soldi e democrazia | tamtàm democratico

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NUMERO MAGGIO/GIUGNO 2012 9 contributi di Mario Barbi • Giorgio Benigni • Paolo Borioni • Rodolfo Brancoli • Vanni Bulgarelli • Giuseppe Caldarola Pier Luigi Castagnetti • Paolo Corsini • Sergio Gentili • Fabrizio Di Mascio • Alfio Mastropaolo • Antonio Misiani Franco Monaco • Annamaria Parente • Giannino Piana • Geminello Preterossi • Luigi Zanda Soldi e democrazia

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Numero 9 della rivista di approfondimento politico del Partito Democratico

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NUMERO MAGGIO/GIUGNO 20129

contributi di Mario Barbi • Giorgio Benigni • Paolo Borioni • Rodolfo Brancoli • Vanni Bulgarelli • Giuseppe Caldarola

Pier Luigi Castagnetti • Paolo Corsini • Sergio Gentili • Fabrizio Di Mascio • Alfio Mastropaolo • Antonio Misiani

Franco Monaco • Annamaria Parente • Giannino Piana • Geminello Preterossi • Luigi Zanda

Soldi e democrazia

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Stefano Di TragliaDirettore responsabile

Franco MonacoDirettore editoriale

Alfredo D’AttorreCoordinatore del Comitato editoriale

Valentina SantarelliSegretaria di redazione

COMITATO EDITORIALE

Massimo AdinolfiMauro CerutiPaolo CorsiniStefano FassinaChiara GeloniClaudio GiuntaMiguel GotorRoberto GualtieriMarcella MarcelliEugenio MazzarellaAnna Maria ParenteFrancesco RussoWalter TocciGiorgio Tonini

SITO INTERNETwww.tamtamdemocratico.it

[email protected]

Tam Tam Democraticospazio di approfondimentodel Partito Democratico

Proprietario ed editore Partito DemocraticoSede Legale - Direzione e RedazioneVIa Sant’Andrea delle Fratte n. 16, 00187 RomaTel. 06/695321Direttore Responsabile Stefano Di TragliaRegistrazione Tribunale di Roma n.270del 20/09/2011I testi e i contenuti sono tutelati da una licenza CreativeCommons 2.5 CC BY-NC-ND 2.5 Attribuzione - Noncommerciale - Non opere derivate

COMUNICAZIONEprogetto grafico/sito internetdol - www.dol.it

5 Denaro e potere, realtàambivalentiGiannino Piana

9 Etica della trascendenzae creazione della ricchezzaGiorgio Benigni

14 Contro la privatizzazionedella democraziaGeminello Preterossi

18 Berlinguere la terza RepubblicaPaolo Corsini

25 I partiti nellalegislazione europeaPier Luigi Castagnetti

29 Dimezzamento e riformadel finanziamento ai partitiAntonio Misiani

35 Innovare guardandoall’EuropaPaolo Borioni

40 Le peculiaritàdel caso UsaRodolfo Brancoli

45 Partiti sazi e inadeguatiMario Barbi

48 Quando i soldi sonospesi bene:la formazione politicaAnnamaria Parente

57 La personalizzazionedella corruzione al tempodella “partitopenia”Fabrizio Di Mascio

58 Conflitto di interessi,vulnus alla democraziaLuigi Zanda

64 Stampa di partitotra crisi e metamorfosiGiuseppe Caldarola

68 Promemoria sul caso LusiFranco Monaco

74 Scienziati sociali, politici ela suocera di Ilvo DiamantiAlfio Mastropaolo

80 Dalle città per farripartire l’ItaliaSergio Gentili e Vanni Bulgarelli

ALTRI CONTRIBUTI

SOMMARIO

FOCUS

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FOCUSSoldi e democrazia

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enaro e potere sono realtà ambivalenti, che nonvanno demonizzate, ma che devono essere tenutesotto controllo, perché, soprattutto laddove siassociano, possono trasformarsi in una micciaesplosiva. Le ragioni di tale ambivalenza sono

chiaramente evidenziate dalla tradizione biblica, in particolareneotestamentaria. Vi sono infatti nei Vangeli, soprattutto aproposito del denaro, affermazioni perentorie che non sonopassibili di interpretazioni accomodanti.

Dal “guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostraconsolazione” (Lc 6, 24) fino a: “Nessuno può servire duepadroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure siaffezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dioe la ricchezza” (Mt 6, 24; cfr anche Lc 14, 33; 16, 1-13). Avenire qui enunciato non è il rifiuto radicale dei benieconomici, i quali sono segno della benevolenza divina chepremia l’uomo impegnato a trasformare il mondo con il lavoro.

La condanna del denaro in quanto “mammona di iniquità” ècondanna di uno status sociologico, che si intreccia strettamentecon una attitudine interiore; è, in altri termini, condanna di unacondizione materiale, contrassegnata da un’accumulazioneeccessiva di beni, la quale provoca ingiustizia e idolatria. Ildenaro infatti non alimenta soltanto la chiusura egocentricadell’uomo, concorrendo ad accentuare le sperequazioni e ildisagio sociale, ma tende anche a trasformarsi in idolo cui tuttoviene sacrificato, compresa la capacità di aprirsi a Dio,riconoscendone l’assoluta supremazia.

Un’analoga riflessione riguarda il tema del potere, la cuiambiguità è riconducibile alla duplicità di significati che loconnotano: da un lato, esso esprime infatti “capacità di” o

Denaro e potere,

realtà ambivalentiGiannino Pianainsegna Etica Cristiana all’Università di Urbino ed Etica ed Economia all'Università di Torino

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FOCUS

“possibilità di” – l’exousìa di cui parlano i Vangeli facendoriferimento all’azione salvifica di Cristo (che si estrinsecasoprattutto nei miracoli) – ma contiene, dall’altro, il pericolo diindulgere a quella “volontà di potenza”, che alberga in essocome una componente costitutiva e che racchiude in sé impulsiirrazionali e forze pericolosamente distruttrici.

La politica, in quanto comporta necessariamente lagestione del potere, non può prescindere da uno strettorapporto con esso; ma deve prendere seriamente inconsiderazione i rischi che gli sono connaturati, in primoluogo la tentazione permanente della caduta in una forma diradicale autoreferenzialità.

Questi rischi diventano ancora più consistenti quando ilpotere politico si lascia lusingare – come purtroppo è avvenutoin questi anni in termini sempre più accentuati anche da noi (ilcaso della Lega non è che la punta più alta e più volgare di uniceberg che ha radici assai profonde) – dal potere del denaro,provocando l’insorgenza di una vera hybris, di un sensosmisurato di onnipotenza per il quale si tende a giustificarequalsiasi comportamento.

Che fare allora? Come uscire da questa situazione? Non sitratta, come già si è accennato, di tabuizzare o di rimuoveredenaro e potere – non è infrequente che chi fa proprio taleatteggiamento si adegui poi, quando si trova a gestirli, alle

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FOCUS

logiche più deteriori – ; si tratta piuttosto di modificareradicalmente il rapporto che si instaura con essi, sia a livellodi atteggiamento di fondo che di comportamenti concretinella vita quotidiana. L’ambiguità che connota il denaro e ilpotere è infatti legata alle modalità di uso che si fa di essi daparte dell’uomo.

Il capovolgimento di prospettiva richiesto quando ci sirapporta con il denaro è il passaggio dalla tendenza adaccumulare alla disponibilità a donare. L’atteggiamento che vacoltivato è dunque il superamento della logica del possessoesclusivo e totalizzante (che porta sempre con sé l’essereposseduti: “poiché laddove è il tuo tesoro, là è il tuo cuore”)per fare propria la logica della condivisione.

Questo (e non altro) è il significato della povertà evangelica,la quale non implica il rifiuto dei beni – si tratterebbe altrimentidi una forma di manicheismo – ma la capacità dicomparteciparli, venendo incontro soprattutto a chi vive incondizioni di precarietà e di emarginazione.

E questo è il senso della testimonianza offerta dallaprimitiva comunità cristiana come è descritta dal libro degliAtti degli Apostoli: “Tutti i credenti stavano insieme eavevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà esostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno diciascuno” (Atti 2, 44-45).

L’attualità di questo messaggio è oggi particolarmenteevidente: la crisi che attraversiamo impone un radicalecambiamento degli stili di vita, la rinuncia cioè alla corsa albenessere e ai consumi, che incrementa le disparità sociali eproduce alienazione nei rapporti.

La ricerca di una nuova qualità della vita e la promozione deibeni relazionali passa attraverso la redistribuzione dei benieconomici, l’uso sociale delle risorse e la creazione di formeallargate di socializzazione ma passa soprattutto attraversol’adozione della povertà evangelica, cioè della sobrietà come viaper vincere la povertà negativa, la privazione di benifondamentali che impedisce ogni possibilità di realizzazionepersonale e collettiva.

In modo analogo, il potere, che è di per sé uno strumentonecessario dell’azione politica, deve essere esercitato – come ciricorda il Vangelo – non come potere sull’uomo, ma comepotere per l’uomo; deve cioè trasformarsi in servizio allacrescita umana, di ciascuno e di tutti: “I capi delle nazioni, voilo sapete, dominano su di esse, e i grandi esercitano su di esse ilpotere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà

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Il potere è unostrumento delicatoche va maneggiatocon prudenza,consapevoli delpericolo chepermanentementeincombe sulla suagestione: l’egoismo,che si annida nelprofondo dell’ioumano, ha in essoun potente alleato

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diventare grande tra voi si farà vostro servo… appunto come ilFiglio dell’Uomo che non è venuto per essere servito ma perservire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt. 20, 24-28;cfr. anche Mc. 10, 42-44; Lc. 22, 25-26).

La condizione fondamentale perché questo avvenga èl’integrità morale della persona. La capacità di resistere e divincere le tentazioni (molto forti) della “volontà di potenza”,che rischia altrimenti di avere il sopravvento, è strettamenteconnessa allo sviluppo di un’attitudine di costante vigilanzafrutto di un'autentica vita interiore.

Il potere è uno strumento delicato che va maneggiato conprudenza, consapevoli del pericolo che permanentementeincombe sulla sua gestione: l’egoismo, che si annida nelprofondo dell’io umano, ha in esso un potente alleato. Il poteretende ad autoconservarsi, alimenta nell’uomo una smisuratobisogno di autoaffermazione, spesso camuffato – è il caso dellapolitica o dell’impegno nel volontariato – dalla presunzione dioperare per gli altri o per il bene comune, con il rischio perciòdell’autogiustificazione.

La vigilanza richiesta implica l’acquisizione di una particolareattitudine a riconoscere le dinamiche sottese ai comportamenti,smascherando ciò che è (spesso inconsciamente) occultato efacendo emergere con coraggio le ragioni che presiedono allescelte. La ricerca del bene comune, che è il fine proprio dellapolitica, esige il superamento della tentazione a perseguirel’interesse personale e la coltivazione di un senso profondo disolidarietà interumana.

Condivisione dei beni e spirito di servizio sono dunque ipresupposti per uscire dalla duplice (e collegata) tentazione deldenaro e del potere e restituire alla politica il ruolo di forma piùalta (e più nobile) – come ricordava Paolo VI – di eserciziodella carità.

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La ricerca del benecomune, che è il fine

proprio dellapolitica, esige il

superamento dellatentazione a

perseguire l’interessepersonale e la

coltivazione di unsenso profondo di

solidarietàinterumana

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a crisi delle economie occidentali, cominciata inAmerica con la crisi del debito privato eproseguita in Europa con quella del debitopubblico continua a mantenere nellospaesamento non solo le popolazioni dei Paesi

del G8 ma, cosa più preoccupante, le rispettive classidirigenti. Si riscontra un’evidente e generale incapacità ditrovare soluzioni adeguate sia sul piano tecnico che su quelloetico politico. Il fenomeno dell’impoverimento sia in termini assoluti(decrescita del PIL) che relativi (in relazione ai paesiemergenti) delle economie occidentali ed europee inparticolare, sembra essere qualcosa di epocale, irreversibile equindi impossibile da modificare. È diffusa la sensazione di mantenere ancora standard di vitaelevati grazie alla ricchezza accumulata dalle passategenerazioni ma senza che le nuove siano in grado di ripeterealtrettanto1. Questo, lungi dal colpevolizzare chicchessia, conun atteggiamento moralistico che porterebbe a giudicaresenza comprendere, e quindi sostanzialmente senza riusciread incidere, rivela però l’esistenza di una questione reale che,in queste brevi note, si tenterà di interpretare con categorieetico-politiche, pertanto non tecniche, ovveroderesponsabilizzanti, né tantomeno morali, ovverocolpevolizzanti.

Etica familiare e creazione di ricchezza Fare una famiglia ha un interessante corrispettivo nel concettodi “mettere su casa”. Fare una famiglia implica quindi unprogetto, l’idea di un progetto, il progetto della casa, e insieme

Etica della trascendenza

e creazione della ricchezza

Giorgio BenigniUfficio documentazione e studi del gruppo PD alla Camera

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1. “Almeno da due decenni le nuove generazioni non sono in condizione di produrre ricchezza e possono godere soltanto di quella accumulatadai genitori” Enrico Letta, Arel, La rivista, Ricchezza 2/2010

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l’idea di stabilità, l’idea di un progetto che non si compienell’istante ma che si realizza nella durata. Un progetto dilungo periodo. Casa e famiglia possono quindi essere definitidue prodotti di una economia del lungo periodo. Un’economia fondata su presupposti antropologici totalmentealtri rispetto a quelli imperanti nella nuova economia chetendono alla massimizzazione del profitto nell’istante, si pensiai prodotti cosiddetti “derivati”, e più in generale a quellafinanziarizzazione dell’economia che ha la sua “ideologia”nella “visione a breve termine” ovvero nello short-termism,malamente italianizzato con il termine “shortermismo”. Del resto la relazione tra economia e casa, economia efamiglia e quindi tra casa famiglia e ricchezza, prima cheessere storica e antropologica è etimologica: la parolaeconomia deriva dal greco e significa “leggi della casa”,quindi le norme che sovrintendono alla sua gestione. E se sipensa che, sempre in greco, famiglia si dice “οικογένεια”,“casa della generazione”, si capisce come la centralità dellacasa sia alla base e della formazione della famiglia e quindidella formazione della ricchezza. Del resto, se passiamo dalgreco al latino la parola “patrimonio”, che individual’esistenza di un capitale accumulato nel tempo, ha la suaradice nella parola “pater”, padre, e “munus” compito,indicando pertanto non solo ciò che appartiene al padre maanche il suo compito. Ergo la costituzione di un capitale, ovvero di un patrimonio,di fatto la creazione di ricchezza, è propriamente ciò checompete al padre. Confrontiamo ora queste considerazionicon quelle che seguono: “la famiglia e la casa sono state lemolle principali del tipo di movente specificamente borghesedel profitto. Non sempre gli economisti hanno attribuito ilgiusto peso a questo fattore. (…) coscientemente o incoscientemente ilcomportamento dell’uomo, le sue idee, i suoi moventi erano foggiati dalla“home”: egli lavorava e risparmiava soprattutto per la moglie e per ifigli” “in questo dopoguerra l’ascesa di milioni di persone che si mettonoin proprio nelle regioni che vanno dalla Baviera all’Emilia, al Veneto, ècaratterizzata da questa etica della famiglia”. A pronunciare queste parole, venticinque anni fa, nel 1987, èstato il Prof. Beniamino Andreatta, in un convegno aBologna dal titolo “Danaro e coscienza cristiana”2. Andreattanella sua prolusione si colloca in una visione eterodossa siarispetto all’analisi classica dell’Homo Oeconomicus, che compie

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La relazione traeconomia e casa,

economia e famigliae quindi tra casa

famiglia ericchezza, prima

che essere storica eantropologica èetimologica: la

parola economiaderiva dal greco e

significa “leggi dellacasa”

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2. Ora in “Danaro e coscienza cristiana” Edizioni Dehoniane, Bologna. 1987

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scelte in base all’utile immediato e si relaziona solo con lecose, ma anche con il concetto keynesiano di famiglia, che lacolloca nell’universo economico essenzialmente come nucleodi consumo, quindi non come nucleo generatore di valori,immateriali e materiali e, in ultima analisi, anche comecreatore di ricchezza.

Etica pubblica e creazione di ricchezza Se il “patrimonio” è il prodotto in termini economicidell’etica familiare, anche quella che potremmo definire eticapubblica ha un suo prodotto, certo diversamente e piùdifficilmente misurabile ma tuttavia riconoscibile ericonducibile al concetto di “bene comune” o anche“benessere comune”. Come il patrimonio va al di là, ovvero trascende l’esistenza el’azione di colui che lo ha creato, così il bene comunetrascende l’azione dei singoli, non è il semplice risultato diuna somma di azioni ma ilprodotto dell’esercizio, più omeno consapevole, direlazioni. Proprio per questo il ”benecomune” non è l’eterogenesidei fini di Adam Smith: nonbasta al fornaio fare bene ilproprio pane per costruire laricchezza della sua “nazione”.Non c’è solo la responsabilitàverso il proprio lavoro, ilproprio prodotto. Non sonouna somma di self made man agenerare ricchezza per unacomunità. Gli animal spiritsrappresentano una condizionenecessaria ma non sufficientealla creazione di ricchezza.Privi di un’etica pubblica, unavolta acquisita una posizionedominante, ovvero dimonopolio, possono risultareoppressivi e opprimenti,

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3. Ivi

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generando ricchezza parassitaria per sé e impoverendo lamaggioranza. Privi di un’etica pubblica gli animal spirits possono quindiarrivare a negare quella società competitiva da cui inizialmentehanno preso le mosse. Non c’è contraddizione allora ma pienacoincidenza tra etica pubblica e società competitiva. Anche suquesto punto ci possono essere di aiuto le parole di BeniaminoAndreatta: “l’anima del progresso è desiderare di fare meglio (…)competere, cum petere, cercare insieme, per quanto l’uno contro l’altro non èun vizio. Ciò che uno guadagna nella competizione non è tolto agli altri,dato che la somma iniziale è investita per essere aumentata e il suoinvestimento apre nuove possibilità per altri investimenti”3 ovvero per lacreazione di nuova ricchezza.

ConclusioniL’impoverimento dell’occidente e dell’Europa è unaquestione politica, etico politica. E’ un fenomeno che nonpuò essere arrestato né dalla buona volontà di governi tecniciné da pronunciamenti ex cathedra di governi moralizzatori. Governi di professori che si nascondono dietro la tecnica egoverni di maestri che dettano compiti a casa non hanno ititoli per farci uscire dalla prospettiva dell’impoverimento. Ifatti stanno lì a dimostrarlo. Non lo sono perché in realtàpartecipano in tutto e per tutto alla visione dominante che ciha condotto a questo punto: la totale autoreferenzialità e lavisione di breve periodo, che ora, attraverso il feticcio dellospread è diventata la dittatura del breve periodo. I governi suindicati si dimostrano succubi di questacondizione e subalterni a questa visione; schiavidell’emergenza, incapaci di indicare una prospettiva diliberazione, di ri-creazione di ricchezza, di redenzione. Sedunque l’etica del breve periodo e l’autoreferenzialità dellaricchezza finanziaria, hanno determinato in questi anni unaimponente distruzione del valore, vuol dire che dobbiamoaffidarci a un’altra idea di ricchezza, un’idea di ricchezza realee relazionale, solidale e competitiva, legata ad un orizzontetotalmente altro rispetto a quello dominante negli ultimitrent’anni: un orizzonte di lungo periodo. Sì, lo stesso che, secondo una famosa battuta di Keynes ciavrebbe visto “tutti morti”. Ecco, è proprio questo il punto,si tornerà a creare ricchezza se si avrà la consapevolezza diconcorrere a realizzare progetti grandi, di cui non è detto chenoi stessi godremo, progetti che in qualche modotrascendono la nostra esistenza. Che ci sopravvivono.

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Si tornerà a crearericchezza se si avrà

la consapevolezza diconcorrere a

realizzare progettigrandi, di cui non èdetto che noi stessigodremo, progetti

che in qualche modotrascendono la

nostra esistenza

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FOCUS Soldi e democrazia

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a logica dei tagli imperversa come unicoorizzonte possibile del nostro presente. Dominaormai anche il dibattito sulla crisi dellarappresentanza democratica e sulla necessariarigenerazione della politica in Italia.

Le uniche ricette che sembrano prevalere nella discussionepubblica sono tutte declinate nel senso della contrazione dellospazio della politica. Come se il vero problema oggi non fosse ilradicale squilibrio di potere tra finanza e democrazia, decisioniimposte in virtù di uno stato di necessità economicointerpretato come legge naturale e autonoma progettualitàpolitica fondata su un’effettiva legittimazione democratica. Le soluzioni invece, seguendo il dibattito mediatico e gli umoridominanti dell’opinione pubblica, sarebbero l’eliminazione (o ladrastica riduzione) del finanziamento pubblico dei partiti, iltaglio dei parlamentari, il rafforzamento del verticedell’Esecutivo a scapito del Parlamento ecc.Lungi da me negare che le istituzioni e l’amministrazione diquesto Paese debbano diventare molto più efficienti: ma ciò alfine non già di ridurre lo spazio e il ruolo della politica, bensìper ribadirne e rilanciarne la funzione irrinunciabile dimediazione e orientamento collettivo. Il problema che abbiamo di fronte non è quello diprivatizzare e comprimere i soggetti della democrazia, ma diricostruirne l’autorevolezza e la legittimazione. Di riannodarequei fili che debbono connettere costantemente la societàalle istituzioni, senza i quali le condizioni minime dellaconvivenza civile vengono meno e una comunità politica sisfalda, riprecipitando nello stato di natura, nella guerra perbande, nella decivilizzazione. Ora è innegabile che una parte significativa del ceto politicoitaliano stia facendo di tutto per dare ragione all’antipolitica,confermando la massima secondo la quale Dio acceca quelliche vuole perdere.

Contro la privatizzazione

della democraziaGeminello Preterossiinsegna filosofia del diritto e storia delle dottrine politiche all'Università di Salerno

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Così come è indubbio che la qualità della rappresentanza si siaprofondamente degradata, grazie soprattutto (ma non solo) aglieffetti del berlusconismo, prima trionfante e poi crepuscolare, eal Porcellum. Peraltro, questo processo degenerativo non hatrovato nelle élites economiche e intellettuali anticorpi adeguati,bensì spesso collusioni interessate. Un accecamento collettivo e irresponsabile che preparal’eclissi della democrazia stessa, perché annuncia non un veroe profondo cambiamento, ma possibili fuoriuscite autoritariedalla crisi, nuove deleghe in bianco (alla tecnocrazia o alpopulismo poco importa), e magari un nuovo riflussoquietista dopo la gogna. Insomma, gli errori e l’impotenza della politica alimentanogiudizi generici e sommari, determinando un clima nel qualefioriscono luoghi comuni semplicisti e suggestioniantipolitiche che producono un avvitamento pernicioso. Ma pongo un interrogativo: non sarà che la privatizzazionedella politica – che conosce oggi episodi eclatanti etristissimi di corruzione, di uso personale dei partiti e dellefunzioni pubbliche –, è anche conseguenza del più generaleprocesso di privatizzazione che ha reso subalterna e serventela politica all’economia? Tanto che, se la politica non serve o al massimo deve(sempre più faticosamente) procacciare consenso a decisioniprese dai grandi poteri finanziari, obbedendo alla nuova“teologia dei mercati”, molti “politici” hanno pensato chetanto valeva usare la politica e il proprio ruolo istituzionaleper fini puramente personali o di clan, lucrando un vantaggioprivato? Questa non è affatto una giustificazione, com’èevidente,ma un tentativo di comprendere il senso di quantosta accadendo andando al di là della superficie.Invece, qual è l’alternativa che oggi viene proposta a questacrisi di legittimità? Quella di assumerla e aggravarla: riducendoil peso della rappresentanza (quando invece occorrerebbeinterrogarsi sulle ragioni strutturali e le conseguenzepericolose della sua crisi); sostituendo alla politica la tecnica(come se questa fosse neutra e di per sé legittima);privatizzando il finanziamento della politica (quandooccorrerebbe porre argini forti all’influenza diretta o indirettadella ricchezza nella politica e ai conflitti di interesse, senzaconfidare eccessivamente in authorities e regolatori, le cuicondizioni di indipendenza debbono essere sempre verificatee in particolare in Italia ricostruite dalle fondamenta). Oltretutto, senza considerare attentamente un punto: laddove

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più pesa il denaro nelle scelte politiche e si è puntato tutto suifinanziamenti privati ai candidati (riducendo di fatto i partiti acomitati elettorali e collettori di raccolta-fondi), come negli StatiUniti, non è che le cose funzionino così bene. Su molte materie è assai difficile legiferare (dall’acquisto liberodi armi alle questioni energetiche ed ecologiche, dalle impresefarmaceutiche alla sanità, dai mercati finanziari alle banche),perché il peso delle lobbies e dei loro finanziamenti agli eletti ètale da rendere quasi impossibili – o molto onerose –determinate scelte nell’interesse della collettività, masvantaggiose per i finanziatori. I fenomeni di corruzione, condizionamento opaco,commistione tra regolatori e regolati, strapotere della finanza -nonostante la regolamentazione delle attività delle lobbies e lapresenza di autorità indipendenti -, sono ormai strutturali eminano la credibilità del sistema americano (si pensi a casicome quello Enron, ai ripetuti crack bancari, agli inquietanticonflitti di interessi di vari esponenti della amministrazioneBush jr. protagonisti della guerra in Iraq). Nella campagna presidenziale in corso Wall Street ha di fatto“comprato” il suo candidato, con un investimento colossale emai come questa volta univoco sul repubblicano Romney(evidentemente, bisogna farla pagare a Obama, per quel pocodi politica indipendente che è riuscito a fare). E francamente è assai dubbio che questa potenza di fuocopossa essere bilanciata dai finanziamenti dal basso che siconcentrano sul Presidente in carica. Di fronte a tendenze di questa portata, fa impressione che laCorte Suprema (a maggioranza conservatrice) abbia di recenteritenuto non doversi porre un limite alla raccolta difinanziamenti privati ai candidati, a tutela dell’uguaglianzademocratica, legittimando di fatto una sperequazionepotenzialmente illimitata tra attori politici e sottovalutandone lepesanti conseguenze in termini di alterazione dellacompetizione, soprattutto nella possibilità di utilizzare glistrumenti decisivi della comunicazione per spiegare, farconoscere, diffondere capillarmente le proprie posizioni. Ora, il potere economico ha sempre contato in politica,mirando a condizionarne le decisioni. Ma proprio per questosono stati previsti argini e freni a tutela di una sua (relativa)autonomia. Sancire costituzionalmente che non c’è limiteall’intervento della ricchezza nella vita democratica non minaalla radice anche una concezione realistica della democraziacome “poliarchia” (Dahl)?

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Nella campagnapresidenziale in

corso Wall Street hadi fatto “comprato”il suo candidato, con

un investimentocolossale e mai comequesta volta univoco

sul repubblicanoRomney

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Come mostra Bernard Manin nei suoi Principi del governorappresentativo, il vincolo della ricchezza altera lacompetizione perché conferisce potere di per sé, in virtù delcosto della diffusione dell’informazione: “Il primocambiamento che si rende necessario è l’eliminazione deglieffetti della ricchezza sulle elezioni. Un tetto alle speseelettorali, un’applicazione rigorosa di tale tetto, e ilfinanziamento pubblico della campagne elettorali sono imezzi più ovvi per progredire in direzione di questo fine”(ed. it. Bologna, Il Mulino 2010, p.177). Dunque, a mio avviso occorre ribadire con forza, anche se nonè di moda, che il finanziamento pubblico è giusto e deve esseredifeso, se si vuole combattere una concezione patrimonialedella politica (del tutto funzionale all’egemonia neoliberista) esi vuol continuare a prendere sul serio la promessa normativadella democrazia. Ma ciò presuppone una ricostruzione culturale e sociale dellaqualità della politica, che muova dalla radicale – e autocritica –messa in discussione della bolla ideologica “privatistica” che hadominato (anche a Sinistra) l’ultimo ventennio. Ilfinanziamento pubblico dei partiti deve servire a sostenere unapolitica di alto profilo e autonoma. Affermato questo principio, si può e si deveriformare modalità ed entità di talefinanziamento, imporre trasparenza, dareattuazione al dettato costituzionale sul ruolo deipartiti garantendo democrazia interna econtrolli, ripensare seriamente il rapportopolitica-denaro, anche con norme incisive sullacorruzione (fin ad oggi mai prese sul serio inconsiderazione). Perché le storture sonoevidenti e insopportabili. E cospicue le forze“elitiste/nichiliste” pronte a utilizzarle perportare a compimento una definitiva transizionepostpolitica e antisociale. Se crediamo ancora che la politica democraticaserva a dare voce e a chi altrimenti nonl’avrebbe, ricordiamoci della lezione di EnricoBerlinguer: una classe politica per esseredirigente e non subalterna deve riconoscere lanatura politica e istituzionale della questionemorale, essere attrezzata culturalmente edeticamente, avere una visione del mondo e nontemere di portarla avanti nella società.

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rionfa, ormai, la “democrazia del pubblico”,uno specchio opaco in cui si riflette il modelloamericano. Mutano le forme del Governorappresentativo i cui principi classici vengonotravolti lungo una china al fondo della quale il

sistema dei partiti, la “democrazia dei partiti”, sembra sulpunto di implodere travolta da uno tsunami di discredito eostilità, da un’avversione che investe la politica nel suocomplesso.

Una sorta di “crisi generale” della politica ormai alle presecon una caduta verticale di credibilità e di consenso, orientatacom’è, se non eterodiretta, dal dominio della tecnica, dallasupremazia dell’economia finanziaria. All’orizzontepopulismo e tecnocrazia si profilano quali possibili,incombenti esiti di un crollo, un vero e proprio disfacimento.

La “Seconda Repubblica” si conclude con unacapitolazione forse ancor più ignominiosa della Prima. Senzaneppure percepire la propria vergogna (vereor gogna) in quantooffuscato, se non smarrito, risulta lo stesso sentimento delpudore e affievolito persino l’impegno di una sanzionemorale nel quadro di un diffuso adattamento al costume dicasa da tempo invalso.

Si invoca e da tutti si plaude al nuovo – identificato congiovane il cui contrario tuttavia è vecchio – e non si persegueil “diverso”, la possibilità stessa di una rigenerazione morale ecivile, foriera di un costume rinnovato ed abilitata apromuovere un sistema condiviso di regole e comportamenti.

Assistiamo in diretta, come titola il suo libro MarcoDamilano, all’ “eutanasia di un potere”, lungo una sequenzache per più versi rievoca, reduplicandola, la fine della “Prima

Berlinguere la Terza Repubblica

Paolo Corsiniè deputato del Partito Democratico, già sindaco di Brescia

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Repubblica”: una “Tangentopoli” che non è mai finita – oggisi ruba non solo per il partito, ma anche al partito, cioè sientra in politica per rubare –, affaristi che si fanno nominarein Parlamento, parlamentari che finiscono in carcere, il defaultdel Paese all’orizzonte, il Quirinale garante della gestione diuna fase transitoria, la Casta ridotta a capro espiatorio, a enteinutile, a costo da eliminare.

Dunque il compimento del giudizio, quasi una profezia,pronunciato da Pietro Scoppola nel lontano 1991: la“Seconda Repubblica” come “travestimento del vecchioordine, più che premessa di una nuova realtà”. Ed insieme laconferma dell’ammonimento dovuto ad un buon maestrodel pensiero quale Norberto Bobbio: “dov’è il nemico? Ilnemico è dentro di noi. Disfacimento indica una lenta,inesorabile decadenza delle nostre istituzioni, per insipienza,superficialità, disonestà degli uomini che se ne servono”.

Qui è riconoscibile la traiettoria tanto dei partiti“pubblicitari” – il partito blob , del “presidente”, modellatosul club dei tifosi, con la bandiera, l’inno della squadra, i

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gadget, ben descritto da Pier Luigi Castagnetti in una propostadi legge di cui è primo firmatario, proposta che recadisposizioni per l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione –,quanto dei partiti personali e personalizzati a centralismocarismatico che definiscono un campo in cui partecipazione,argomentazione pubblica, mobilitazione sociale cedono ilpasso al marketing politico ed alla mediatizzazione al puntotale che l’offerta politica non può essere influenzata dalmilitante, dall’iscritto, dal simpatizzante o dall’elettore, nèsottoposta ad interazione alcuna.

Come ha sottolineato Ilvo Diamanti, è lamaterializzazione della “democrazia immediata” di cuiteorizzava il marchese di Condorcet negli anni precedenti laRivoluzione francese, una democrazia “dis–ancorata, senzaorizzonti futuri e lontani”, istantanea perché rivolta alsoddisfacimento di preferenze individuali; oggi, nel tempo diinternet, delle nuove tecnologie della comunicazione atte apromuovere un processo di “dis-intermediazione” che saltaogni mediazione politico-organizzativa, una democraziairriflessiva il cui criterio appare il gusto del singolo,l’ipertrofia dell’io, la pulsione incontenibile del “mi piace”.

Ma c’è pure un’ulteriore mutazione della forma partito chesembra investire l’intero sistema, della forma partito, intendodire, quale abbiamo conosciuto nelle sue evoluzioni nel corsodella modernità contemporanea: dal partito dei notabili, aquello di “milizia”, al partito di integrazione di massa aquello “pigliatutto”. Il modus odiernus (appunto moderno) è ilpartito “cartello” non solo “azienda” di emanazione statale,articolazione dello Stato in quanto frutto di“interpenetrazione”, partito che controlla e gestisce risorsepubbliche – ad esempio le nomine nei vari Enti – tra le qualirientra il finanziamento pubblico, ma pure formazionepolitica strutturata in oligarchie chiuse, autoconservative,reciprocamente referenziali, che gestiscono fedeltà,appartenenza, selezione e cooptazione di gruppi dirigentipraticamente non contendibili.

Come scrivono Katz e Mair, in un saggio ormai classicodel 1995 , i partiti sembrano diventati “partnership diprofessionisti più che associazioni di e per i cittadini” ed –echeggiando Weber – la politica si riduce ad “occupazione”piuttosto che “interpretare una vocazione”.

Appunto, per scostarci dalle tipizzazioni teoriche erimettere i piedi per terra, per restare in corpore vili: forse piùche il passaggio ad una “Terza Repubblica”, dopo il

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fallimento per consumazione della Seconda, unaconsumazione fortunatamente ancora senza “ordaselvaggia”, seppure non manchino segni assai preoccupantidi frantumazione sociale, d’insorgenza di nuovi potericriminali, di tentazioni aggressive ad impronta neo–stragistica e anarco–insurrezionalista, il problema resta lostesso dei primi anni Novanta, vale a dire come fondare, darevita ad una democrazia (non giacobina) dei cittadini e delleIstituzioni, che rimetta a loro posto i partiti e restituisca allapolitica la sua dignità, le sue ambizioni.

I cittadini, le Istituzioni, i partiti. A costo di apparire retro ed inguaribili nostalgici, non ci

pare a questo proposito disdicevole, rileggere l’ultimoBerlinguer. Rileggerlo in un mondo radicalmente mutato,dove campeggiano globalizzazione e mercati finanziari,secolarizzazione post–ideologica ed innumerabili icone delconsumo, il web e la comunicazione mediatica, insommanon solo un mondo nuovo, ma un altro mondocaratterizzato dalla fine di tutti gli “ismi” come pure daun’indubitabile spread morale.

Eppure accanto ad un Berlinguer inevitabilmente datato,espressione di una politica che ha da tempo scontato tutti isuoi appuntamenti, resta un Berlinguer “metastorico”, piùgobettiano che gramsciano o post-togliattiano, ancora alleprese con quella “eterna Italia” magistralmente descritta daStendhal, che pure oggi si riproduce nella sua perenneautobiografia, con i suoi vizi secolari, dal trasformismo allacortigianeria, alla mancanza di ogni vincolo di obbligazioneai valori della coscienza.

Un leader “civile”, che può essere riletto in chiave attuale,“volontarista”, “idealista”. È il Berlinguer dell’intervista adEugenio Scalfari del 28 luglio 1981, del saggio su “Rinascita”del 4 dicembre dello stesso anno, saggio dedicato al“rinnovamento della politica”.

Ancora: del testo, pubblicato postumo nel giugno dell’’84,preparato come parte conclusiva della prefazione ai Discorsiparlamentari di Palmiro Togliatti, e del quale aveva decisol’anticipazione sul settimanale del Pci, uno scritto titolatoemblematicamente “Parlamento, governo, partiti”. Insommail Berlinguer della “questione morale”; per ricorrere ad unossimoro , il Berlinguer democratico di cui un “anti-italiano”come Ugo La Malfa riconosce per tempo l’apprezzamento diun sistema di regole, la valorizzazione del governo delle

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Dove sta, dunque,l’attualità diBerlinguer?Esattamente là doveindividua latrasformazione deipartiti collocandolanel cuore dellaquestione morale

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leggi” sempre da preferire al “governo degli uomini” anorchéilluminati, secondo la lezione insuperata di Bobbio.

Dove sta, dunque, l’attualità di Berlinguer? Esattamente làdove individua la trasformazione dei partiti collocandola nelcuore della questione morale, introducendo per tempo leragioni basilari di un prevedibile crollo del sistema politicodell’Italia repubblicana e tuttavia finendo col sancirel’isolamento del proprio partito, nonché con l’introiettare laconventio ad excludendum, sino all’autovittimizzazione.

“I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e diclientela – questa la raffigurazione del segretario comunista –: scarsa o mistificata conoscenza dei problemi della società,della gente: idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimentie passione civile zero. Gestiscono interessi più disparati, i piùcontraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcunrapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppuredistorcendoli senza perseguire il bene comune”.

Da qui il passaggio successivo sulle forme e modalitàorganizzative : “la loro stessa struttura […] si è ormaiconformata su questo modello, non sono più organizzatori

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del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazionecivile e l’iniziativa, sono piuttosto federazione di correnti, dicamarille, ciascuna con un boss e dei sottoboss”.

Passaggi che costituiscono la premessa attraverso la qualeBerlinguer giunge a tematizzare, rivendicando la “diversitàcomunista” – in realtà una deontologia, un dovere essere,un’aspirazione etica, non un dato politico antropologico – ilrapporto partiti-Stato. L’obiettivo, che dà per scontato ilriferimento all’onestà, alla pulizia, alla trasparenza, allacorrettezza di condotta del personale politico, punta alladenuncia dei fenomeni di degenerazione, dei fattori disconvolgimento delle relazioni che devono intercorrere estabilirsi tra compiti dello Stato e delle Istituzioni da un latoe funzioni dei partiti dall’altro, tutti i partiti, comunque essisiano collocati, al governo o all’opposizione.

“Noi vogliamo – così Berlinguer dialogando con Scalfari– che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partitidebbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere allaformazione della volontà politica della Nazione: e ciòpossono farlo non occupando pezzi sempre più larghi delloStato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo,ma interpretando le grandi correnti di opinione,organizzando le aspirazioni del popolo, controllandodemocraticamente l’operato delle Istituzioni”.

E più avanti, precisando ulteriormente la propriariflessione politica: “la questione morale non si esaurisce nelfatto che essendo dei ladri, dei corrotti, dei concussori in altesfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli,bisogna denunciarli […], la questione morale nell’Italia dioggi […] fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato […], fatutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con laconcezione e metodi di governo […] che vannosemplicemente abbandonati e superati”.

Da queste premesse discendono, lungo una linea diassoluta coerenza che denuncia il processo di progressivaappropriazione patrimoniale dello Stato, nonché la tendenzaalla privatizzazione dei partiti, due indicazioni operative.

Da una parte lotta alla corruzione – nel saggio sulrinnovamento della politica – “che sta diffondendosi inogni campo della vita nazionale e cioè la lotta contro ogniatto e tendenza rivolti a continuare ad adoperare perinteressi privati e per fini di partito organi, strumenti,uffici, corpi e mezzi finanziari che sono pubblici, che cioèappartengono a tutti”, dall’altra l’impegno dello Stato a

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prendere atto dei mutamenti della società, delle sueconquiste, fino ad “assumerle progressivamente – così nelloscritto edito successivamente alla morte – nell’ordinamentogiuridico, a sancirle in norme legislative certe e stabili, ossia,in una parola, istituzionalizzarle, rendendole così generali,di tutti i cittadini, loro bene comune […]. In tal senso esolo così lo Stato moderno è davvero Stato di diritto, Statodi tutti, Stato democratico”.

Resta naturalmente impregiudicato, quanto alla dialetticademocratica, il ruolo insostituibile del Parlamento, quelParlamento oggi marginalizzato, ridotto ad organo diacclamazione per la maggioranza e di testimonianza per leminoranze, nonché dei partiti. Insistito è il richiamo ad unafunzione – Berlinguer , critico dei partiti , si spinge asottolinearne addirittura il “primato” – che “può divenirereale, può legittimarsi e può, quindi, ricevere consensi”, solose essi, i partiti, “stabiliscono un rapporto diretto e continuocon la società […], con i cittadini, ne colgono e nerappresentano i veri bisogni, aspirazioni reali, ne organizzanola mobilitazione e partecipazione democratica perindividuare e conseguire obiettivi che avviano a soluzione iproblemi del Paese”.

A questo punto il cerchio della disamina si chiude. ABerlinguer non resta che proporre il proprio partito comemodello di una diversità incontaminata, un soggetto quasidotato di virtù salvifiche anche nel rapporto con gli altriprotagonisti della vita politica italiana. Una linea, unaprospettiva criticata, tanto da Alessandro Natta in alcune notepersonali e appunti riservati, quanto da Giorgio Napolitanoallorché, scrivendo a proposito dell’anniversario di Togliatti,ne sottolinea la concretezza e duttilità politica, distinguendocriticamente tra “orgogliosa affermazione della nostra“diversità” e impegno “a far leva sulle “peculiarità” del nostropartito per contribuire ad un corretto rilancio della funzionedei partiti in generale come elemento insostituibile dicontinuità e di sviluppo della vita democratica”.

Come siano andate poi le cose è a tutti noto. Ilconservatorismo istituzionale del Pci, e molto altro ancora,non è risultato estraneo alla crisi del Paese ed allaconsumazione della prima fase della storia repubblicana. Inquesto la cronaca del suo tempo ha dato indubbiamente tortoa Berlinguer. Ma la vicenda successiva ha finito perconfermare e attribuire indubbie ragioni alla lucidità dei suoigiudizi e alla validità della sua testimonianza morale e politica.

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a nostra Costituzione, all'articolo 49 ha dispostoche: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsiliberamente in partiti per concorrere con metododemocratico a determinare la politica nazionale».

I Costituenti furono tutti d'accordo nelriconoscere il fondamentale ruolo dei partiti politici, ma nonsul fatto di sottoporli a vincoli e a verifiche sulla loro vitainterna; si preferì allora non intervenire su questo aspetto,per la preoccupazione, espressa soprattutto da parte degliesponenti della sinistra, che si arrivassero a definire «unaindebita ingerenza e un pericoloso criterio di esclusione».

È opinione condivisa che su tali decisioni pesò il climapolitico di quegli anni con l'inizio della guerra fredda e larottura intervenuta tra i partiti che avevano dato vita alComitato di liberazione nazionale.

La questione tornò d'attualità, agli inizi degli anni '60, nelcorso delle polemiche contro la cosiddetta «partitocrazia».

I partiti nella legislazione europeaPier Luigi Castagnettiè deputato del Partito Democratico

L

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Nel 1958 Sturzo presentò al Senato un disegno di legge sulfinanziamento dei partiti che prevedeva il riconoscimentodella personalità giuridica dei partiti. Altri progetti furonopredisposti negli anni '60 dalla Commissione per i problemicostituzionali del Partito repubblicano italiano e dal ClubTurati, che non riuscirono ad approdare in Parlamento.

A metà degli anni '80, nella relazione di maggioranza dellaCommissione Bozzi venne poi avanzata una proposta diriformulazione dell'art. 49 che prevedeva: «disposizioni dirette agarantire la partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione dellavolontà politica dei partiti, compresa la designazione dei candidati alleelezioni, il rispetto delle norme statutarie, la tutela delle minoranze».

Anche questa iniziativa non si tradusse in un concretointervento legislativo ma segnò una sorta di inversione dirotta, e nuovi progetti di legge sull'attuazione dell'articolo 49vennero presentati alle Camere a partire dalla IX legislatura.

Attualmente giacciono in Parlamento diversi progetti dilegge di iniziativa parlamentare e finalmente è iniziata ladiscussione nella I Commissione della Camera.

In EuropaTra i Paesi dell'Unione europea che hanno una normativa

di carattere generale riguardante i partiti ci sono la Germania(Gesetz über die politischen Parteien - Parteiengesetz, 22 Dezember2004), la Spagna (Ley orgánica de partidos polìticos, n. 6/2002) eil il Portogallo (Lei organica dos partidos politicos, n. 2/2003).Anche in Austria (Bundesgesetz über die Aufgaben, Finanzierungund Wahlwerbung politischer Parteien - Parteiengesetz, n. 71/2003)esiste una legge ad hoc sui compiti, sul finanziamento e sullapropaganda elettorale dei partiti politici.

In Francia, invece, per un lungo periodo, in presenza diuna disposizione costituzionale non diversa dalla nostra, perregolare l'attività dei partiti politici si è scelto di utilizzare unalegge di carattere generale sulle associazioni del 1901. Ma lapiù recente legislazione sul finanziamento dei partiti, e laconnessa normativa sulla trasparenza della vita pubblica,hanno prodotto una nuova disposizione che prefigura unostatuto specifico dei partiti destinata a sostituire quella finoad ora applicata, di carattere generale, valida per tutte leassociazioni (Loi du 1o juillet 1901 - Loi relative au contratd'association version consolidée au 29 juillet 2005).

In Grecia si è discusso a lungo non solo sull'opportunità maanche sulla legittimità costituzionale di un eventuale interventolegislativo in materia, alla luce di un principio di separazione e

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di non interferenza tra Stato e sistema dei partiti. Nel Regno Unito, infine, dove i partiti sono,

tradizionalmente, una emanazione dei gruppi parlamentari, ilPolitical Parties, Elections and Referendums Act del 2000 disciplinala loro registrazione. Rendere obbligatoria la registrazione deipartiti politici è stato ritenuto un passo necessario per poterprocedere alla previsione di un finanziamento pubblico deipartiti e alla disciplina della propaganda elettorale a livellonazionale. Soprattutto nel momento in cui, con l'adozionedell'Additional Member System come sistema elettorale per leAssemblee di Scozia e di Galles, una parte dei candidati sitrova ad essere eletta non più a livello di collegio, ma in listecosiddette «bloccate».

Verso uno statuto dei partiti europeiNel 2003 l'Unione europea si è dotata di una legislazione

comunitaria per concedere sussidi pubblici ai partiti politicieuropei (regolamento (CE) n. 2004/2003 del Parlamentoeuropeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, relativo allostatuto e al finanziamento dei partiti politici a livelloeuropeo, Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, 15novembre 2003). Il regolamento, entrato in vigore nel 2004,fissa le condizioni necessarie per poter identificare «unpartito politico a livello europeo», riconoscimento che dàdiritto al finanziamento comunitario.

Esse sono: possedere la personalità giuridica nello Statomembro in cui esso ha la sede; rispettare, in particolare nelsuo programma e nella sua azione, i princìpi sui quali èfondata l'Unione europea, libertà, democrazia, rispetto deidiritti dell'uomo; essere rappresentato da membri eletti alParlamento europeo o in assemblee legislative a livellonazionale o regionale in almeno un quarto degli Statimembri (l'alternativa è avere ottenuto perlomeno il 3 percento dei suffragi espressi nelle ultime elezioni alParlamento europeo in ciascuno di questi Stati membri);aver partecipato alle elezioni europee o averne espressol'intenzione.

Infine, la domanda di finanziamento a carico del bilanciogenerale dell'Unione europea deve essere corredata da uno«statuto che definisca segnatamente gli organi responsabilidella gestione politica e finanziaria, e gli organismi o lepersone fisiche che detengono, in ciascuno degli Statimembri interessati, il potere di rappresentanza legale, inparticolare per quanto riguarda l'acquisizione o la cessione

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di beni immobili e la capacità di stare in giudizio». Il 23 marzo 2006, il Parlamento europeo, con 498 voti

favorevoli, 95 contrari e 7 astensioni, ha adottato larelazione di Jo Leinen (PSE, Germania) sui partiti politicieuropei con la quale si chiede «un vero e proprio statutodei partiti politici europei» che definisca i loro diritti edoveri e dia loro la possibilità di ottenere una personalitàgiuridica basata sul diritto comunitario, valida anche negliStati membri. In effetti, allo stato attuale, i partiti politicieuropei possono solamente avere uno statuto legale basatosulla loro personalità giuridica nel Paese in cui hanno lapropria sede.

Nella risoluzione approvata si sottolinea, inoltre, lanecessità che detto statuto contempli «regole concernentil'appartenenza individuale ai partiti politici a livelloeuropeo, la loro direzione, la candidatura e le elezioninonché le modalità e il sostegno per i congressi e leriunioni di tali partiti» (risoluzione del Parlamento europeosui partiti politici europei (2005/2224(INI)), approvata il23 marzo 2006).

Tornando in ItaliaTornando in Italia si può solo aggiungere che una volta

approvata anche dal Senato la proposta riguardante latrasparenza e il finanziamento dei partiti politici, occorreriprendere alla Camera tempestivamente l’iter del testounificato riguardante la disciplina dell’art. 49 dellaCostituzione su cui – al momento – si registra una certa“freddezza” da parte delle forze politiche del centro e delladestra. Il Pd dovrà insistere e “pretendere” un’assunzione diresponsabilità da parte di tutti, non foss’altro perchél’antipolitica o l’ “altra politica” sta strutturando – è cronacadi questi giorni – una insidiosa campagna contro il sistemadei partiti che è ben più di un campanello d’allarme per lanostra democrazia. La democrazia senza i partiti, infatti, nonha senso, anzi non può esistere e non esiste da nessuna parte.A meno che si pensi a un modello di democrazia in cuiesistono le istituzioni del tutto separate dal popolo, cosìprivato della sua prerogativa fondamentale di essere il titolaredella sovranità. I partiti restano infatti l’unico strumentoconosciuto attraverso cui la società si fa Stato.

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Il Pd dovrà insisteree “pretendere”

un’assunzione diresponsabilità da

parte di tutti, nonfoss’altro perché

l’antipolitica o l’“altra politica” sta

strutturando – ècronaca di questi

giorni – unainsidiosa campagnacontro il sistema dei

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ulla ha potuto e può sostituire il ruolo deipartiti, nel rapporto con le istituzionidemocratiche. Occorre allora impegnarsiperché dove si è creato del marcio vengaestirpato, perché i partiti ritrovino slancio

ideale, tensione morale, capacità nuova di proposta e di governo.”(Giorgio Napolitano, 25 aprile 2012)

L’Italia post-berlusconiana è alle prese con una vera epropria “crisi di sistema”: politica, economica e sociale. Losbocco di questa stagione dolorosa non è affatto scontato.

Dimezzamento e riforma

del finanziamento ai partiti

Antonio Misiani è deputato e tesoriere del Partito Democratico

“N

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Se il PD lavora per un’alleanza tra progressisti e moderaticome perno di un progetto di ricostruzione del Paese, unaparte della borghesia aspira dichiaratamente ad unademocrazia tecnocratica, fatta di partiti-sherpa e sindacatiremissivi.

Sullo sfondo, ma neanche tanto, incombe il rischio piùgrande: l’ingovernabilità stile-Grecia, ad alto tasso dipopulismo e antipolitica. Tirare fuori l’Italiadall’emergenza è la missione dei democratici. Ma ilcompito è indubbiamente improbo. È indispensabile uncambio di passo a livello europeo, precondizioneessenziale per rimettere crescita ed equità al centro dellepolitiche economiche e sociali. Serve una accelerazioneriformista a livello nazionale, per riannodare il filospezzato dei cittadini nei confronti della politica e delleIstituzioni.

I partiti, in questo contesto difficile, sono l’anellodebole del sistema. Intendiamoci: differenziare è d’obbligo.Un conto è il vero e proprio collasso elettorale del PDL edella Lega Nord, che alle comunali hanno persorispettivamente la metà e due terzi dei voti conseguiti alleregionali di due anni prima. Un altro conto è la condizionedel PD, che diventa il primo partito italiano conquistandola guida di 16 capoluoghi su 26.

Ma al netto di queste distinzioni, il punto è che oggi –secondo un recente sondaggio IPSOS – l’85 per centodegli italiani esprime poca o nessuna fiducia nei partiti, lacui credibilità già non eccelsa è letteralmente crollata sottoi colpi degli scandali Lusi e Belsito. Risalire questa china èarduo, ma cruciale per il futuro della nostra democrazia.

Condizione necessaria è una riforma coraggiosa deipartiti stessi, attraverso una legge attuativa dell’articolo 49della Costituzione – che attribuisca personalità giuridica aipartiti e definisca criteri statutari inderogabili didemocrazia interna e trasparenza – e una radicale revisionedei meccanismi di finanziamento e di gestione economico-finanziaria dei partiti stessi.

Se sul primo punto si registrano ancora distanzesignificative con il PDL (che propende per unaregolamentazione “ultra-leggera” della vita interna delleforze politiche), sul finanziamento i passi in avanti sonoinnegabili, con l’approvazione in prima lettura alla Cameradei Deputati di un provvedimento importante elargamente positivo.

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Oggi – secondo unrecente sondaggio

IPSOS – l’85 percento degli italiani

esprime poca onessuna fiducia nei

partiti, la cuicredibilità già non

eccelsa èletteralmente crollata

sotto i colpi degliscandali Lusi e

Belsito

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Il punto di partenza è il fallimento del modellointrodotto dopo il referendum del 1993: un sistema basatosu “rimborsi elettorali” molto generosi (nel 2010 lostanziamento ha toccato la cifra record di 290 milioni dieuro); attribuiti a tutti o quasi, senza discriminare tra partitiveri o finti, esistenti o in via di scioglimento, democratici opersonali; sottoposti a controlli interni ed esterni moltodeboli, di natura quasi esclusivamente formale.

Questa miscela di criticità – evidenziata da ultimo dalRapporto del Consiglio d’Europa sulla trasparenza delfinanziamento dei partiti politici del marzo scorso – haaperto la strada ai casi di malversazione che tanta(comprensibilissima) indignazione hanno suscitatonell’opinione pubblica. Il risultato è una fortissima spintaverso l’azzeramento di ogni forma di contributo pubblico.

Una scelta che ci condurrebbe dritti verso il modelloamericano di democrazia: partiti-comitati elettorali,campagne costosissime finanziate totalmente dai privati,agende politiche fortemente condizionate dai debiti diriconoscenza nei confronti dei grandi donatori. Dallapadella alla brace, verrebbe da dire.

All’Italia serve altro: partiti capaci di recuperareradicamento, autonomia e autorevolezza; una politicasobria e il più possibile libera da condizionamenti. Perquesto, dobbiamo guardare al di là delle Alpi, nonoltreoceano. In tutti i Paesi europei sono previste – afianco delle entrate proprie dei partiti - forme difinanziamento pubblico della politica. Contenute,trasparenti, controllate. La riforma approvata dalla Camerava esattamente in questa direzione. Si conferma ilprincipio che i partiti, la cui funzione è riconosciuta dallaCostituzione, hanno diritto ad accedere a fondi pubblici.

Ma l’ammontare di queste risorse è dimezzato rispettoalla legislazione vigente: nel 2012 i partiti avrebberoricevuto 182 milioni (destinati a ridursi negli anni seguentifino a 142 milioni con i tagli decisi nel 2010-2011). Con lanuova normativa, si scenderà a 91 milioni. La metà dasubito, come sollecitato dal PD. Cambiano anche lemodalità di erogazione dei contributi, riorganizzatesecondo il modello tedesco da noi proposto. Il 70 percento continuerà ad essere distribuito sotto forma dirimborsi elettorali. Il 30 per cento sarà invece attribuitocome contributo proporzionale all’autofinanziamento:0,50 euro per ogni euro raccolto da quote associative ed

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erogazioni liberali. Vengono resi omogenei i criteri di accesso ai rimborsi

(almeno 1 eletto) e si introduce l’obbligo per i partiti didotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto conformato aprincipi democratici nella vita interna, pena la perdita deifondi pubblici. Il progetto di legge rafforza notevolmentele regole di trasparenza – i bilanci dei partiti dovrannoessere pubblicati in Internet e saranno pubbliche ledonazioni oltre i 5 mila euro – e i meccanismi di controllo,prevedendo la certificazione obbligatoria dei rendiconti eaffidando il controllo esterno ad una Commissioneindipendente composta da 5 magistrati designati daipresidenti della Corte di cassazione, del Consiglio di Statoe della Corte dei Conti.

Il PD avrebbe preferito attribuire questo compito allaCorte dei Conti, ma il compromesso raggiunto è

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accettabile, se guardiamo a quanto accade nei grandi Paesieuropei (i controlli sono affidati in Spagna alla Corte deiConti, in Germania al Parlamento, in Francia e RegnoUnito a commissioni indipendenti). Anche per quantoriguarda le sanzioni, il cambiamento è profondo: mentreoggi è prevista la mera sospensione dell’erogazione deirimborsi, in futuro i contributi pubblici saranno decurtatiin proporzione alla gravità delle violazioni, fino al lorototale azzeramento nei casi limite.

È prevista una penalizzazione anche per i partiti checandidano nelle liste esponenti dello stesso sesso per piùdi due terzi. La riforma introduce limiti alle spese per leelezioni europee e comunali (prima non previsti) e rivede ilregime delle detrazioni fiscali per le erogazioni liberali aipartiti e alle Onlus, riducendo di molto la sperequazioneiniziale e innalzando l’aliquota dal 19% al 26%. Obiettivo,per quanto riguarda i partiti, è favorire le donazionimedio-piccole: si potrà detrarre di più, ma su cifre piùcontenute visto che l’ammontare massimo è stato ridottoda 103 mila a 10 mila euro annui.

In termini economici la nuova normativa produrrànotevoli risparmi: 319 milioni di euro nel quinquennio2012-2016. Di questi, 119 milioni finanzieranno lemaggiori detrazioni per le Onlus; 22 milioni le maggioridetrazioni per i partiti; 161 milioni saranno destinati allevittime di terremoti e calamità naturali. I fustigatori dellacasta hanno definito questo progetto di legge una“porcata” (Antonio Di Pietro) o, al massimo, una“riformicchia” (Sergio Rizzo). In realtà si tratta di unariforma vera.

Certo, nel Paese dei “benaltristi” nulla è mai sufficiente.Ma se questa proposta diventerà legge, l’Italia si doterà dellanormativa più severa d’Europa per quanto riguarda i bilancidei partiti, con contributi pubblici – 1,50€ per abitante -nettamente inferiori a quelli previsti in grandi democraziecome la Germania (5,64€ comprese le fondazioni dipartito), la Francia (2,46€) e la Spagna (2,84€).

C’è molto PD, in questa legge: dalle regole ditrasparenza (i nostri bilanci sono certificati e pubblicati inInternet sin dalla fondazione del partito) alla scelta delmodello tedesco con il dimezzamento immediato deirimborsi elettorali. È giusto rivendicarlo: senza trionfalismifuori luogo, ma con la consapevolezza del nostrocontributo per l’autoriforma dei partiti e della politica.

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C’è molto PD, inquesta legge: dalleregole di trasparenza(i nostri bilanci sonocertificati epubblicati inInternet sin dallafondazione delpartito) alla sceltadel modello tedescocon il dimezzamentoimmediato deirimborsi elettorali

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ur essendo indubbio che il finanziamento aipartiti va riformato, occorre fissare alcuniconcetti per capire in quale direzionemuoversi: 1) le migliori soluzioni si trovanonell’ Europa continentale, e dal lato opposto

c’è il sistema Usa; 2) Tramite il sistema di finanziamento sidetermina gran parte del tipo di partecipazione che siintende ottenere. Il sistema Usa conferma che unfinanziamento pressoché esclusivamente privato nonfavorisce l’ abbattimento dei costi della politica, immensiin quel paese nonostante l’esilità territoriale e volontariadei partiti fra le elezioni.

La ragione è che sono indispensabili le sezioni e laselezione dei quadri dal basso come in Europa, perchésolo così si anima la democrazia con risorse non eccessive;3) la forza dei partiti non corrisponde affatto ad unasocietà paternalistica e bloccata come alcuni affermano.

Partiamo da questo: i dati rivelano che l’Italia non èmolto al di sopra della media europea in quanto a poteredi nomina (patronage) dei partiti. Inoltre, sui suoi stessivalori sono due paesi di grande efficienza e competitivitàcome la Germania (leggermente al di sotto) e l’Austria(leggermente al di sopra).

Quindi i partiti possono legittimamente selezionareparte della classe dirigente per rinforzare la democrazia, edin effetti in Italia è indiscutibile che la democrazia sia stata

Innovareguardandoall'EuropaPaolo Borioni lavora per la Fondazione Brodolini e per il Center for Nordic Studies dell'Università di Helsinki

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costruita ad un livello di qualità europeo. Semmai i veriproblemi sono giunti negli ultimi 18 anni, quando lapresenza sociale dei partiti si è rarefatta, la loro capacità dirappresentare grandi ideali si è indebolita, e la lorogestione si è personalizzata, divenendo eccessivamentemediatica e personalistica.

In Austria e Germania i partiti non sono, come da noi,stati investiti da pseudo-innovazioni che demonizzano ilmodello europeo del Novecento. Il problema è che laparticolare influenza della guerra fredda e dei poteri esteriin Italia ha impedito di limitare il forte ruolo (tutt’altro chesolo italiano) del finanziamento informale o illecito.Soprattutto, questo alla fine (specie nella Dc e nel Psi) èsfuggito al controllo centrale ed ha minato il tesseramento,distorcendo proprio i parametri dell’inclusione e dellarappresentanza. Ecco perché è vitale una legge sulla basedell’art. 49 della Costituzione, che stabilisca l’importanzadei partiti per la democrazia nell’unico modo possibile:regolandone la vita interna, con sanzioni comminate daun’apposita magistratura indipendente.

Negli anni della “prima repubblica”, comunque, i partititramite la propria capacità di associare larghe masse,includerle negli ideali, nella democrazia e nella politica epoi selezionare classi dirigenti popolari sono stati unindubbio canale di mobilità sociale. La loro scarsapopolarità odierna dipende quindi soprattutto da duefattori: da un lato essi non sono più riusciti a riformare ilcapitalismo modificandone la tendenza verso sfruttamentoe diseguaglianza.

Dall’altro, inevitabilmente, hanno assunto su di sé i vizi diuna società più disuguale: data l’egemonia neoliberale, hannoavuto minori risorse (e intenzioni) per trasformare lasituazione, il che ha ridotto la loro rappresentatività,facendoli identificare con lo status quo. È questa la principalecausa dei populismi, il resto è ideologia elitista. Tutto ciò èconfermato proprio dai dati sulla mobilità sociale.

I paesi a maggiore mobilità sociale sono quelli in cuiavviene la migliore redistribuzione primaria (ovvero lamaggiore redistribuzione di profitti verso i salari) e doveesiste una democrazia fortemente radicata: partiti forti enon “liquidi” (concetto sconosciuto nelle democrazie piùavanzate), sindacati forti e welfare forte. Sono i paesinordici. Subito dopo ci sono appunto i paesi germanici,che hanno livelli apprezzabili (ma non nordici) di

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eguaglianza e hanno però appunto partiti più forti nelpromuovere la classe dirigente diffusa, il cheevidentemente potenzia la mobilità eguale.

Inevitabilmente, i paesi con minore mobilità socialesono gli Usa e il Regno Unito, perché il loro sistemasociale produce forte disuguaglianza, e d’altra parte il lorosistema politico-partitico non vi rimedia come abbiamovisto accadere in Austria e in Germania.

In Usa, poi, altri dati ci dicono che la politica èaltamente condizionata dai grandi poteri economici, conricambio bassissimo ai vertici. Purtroppo, la mobilitàsociale italiana è poco migliore che negli Usa, poiché negliultimi 20 anni è cresciuta la diseguaglianza primaria, e ilwelfare, che in parte la riduce, è stato indebolito. E cosìpure i partiti, con la loro passata capacità di promuoverepartecipazione e classe dirigente.

Ma non si tratta di un destino antropologico, a pattoche si scelgano i modelli sociali e politici giusti e non quellierrati. A patto quindi che si torni a riformare il capitalismo

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nel senso della maggiore parità capitale-lavoro,innovazione, mobilità, e si pratichi un finanziamentopartitico che, pur ridotto, rimanga forte e promuova ilradicamento e la cultura politica. Come?

Va rafforzato il radicamento perché la rappresentanza ela rappresentatività di un partito socialista/progressistaimplicano coerenza fra ceti rappresentati, politiche(privilegiando l’innovazione/eguaglianza e laremunerazione delle competenze anziché lo sfruttamentointensivo del lavoro) e provenienza di militanza e risorse.La socialdemocrazia nordica pratica (nonostante recenticontraddizioni) tale coerenza fra sistema socio-produttivo,elevato finanziamento dallo Stato e finanziamento dalsindacato. Quest’ultimo è però difficile da imitare in altretradizioni.

La Germania, quindi, somma alto finanziamentopubblico ai partiti (133 milioni di Euro) e alle fondazionidi partito (circa 400 milioni per formazione e culturapolitica, mai propaganda). Soprattutto, una quotaimportante di questo finanziamento è composta da “fondiproporzionali”, ovvero erogati in base non ai voti, ma allepiccole donazioni dichiarate, comprese le quote diadesione, magari da promuovere fiscalmente, così daincentivare la trasparenza.

Si dovrebbe prevedere inoltre che una quotaobbligatoria di finanziamento pubblico vada alle sedi localie di quartiere. Ricostruita la forza del partito sul campo, sidispone del miglior potenziale di dialogo e monitoraggiosociale, riducendo la dipendenza da costosi sondaggi e focusgroups. Il potenziale però va realizzato con la formazione:corsi ai militanti per comunicare, raccogliere piccole cifre,organizzare feste locali, eventi culturali e ricreativi. Questocostruisce la fiducia in sé delle sezioni territoriali, emoltiplica la loro presenza anche lontano dalle elezioni: unfattore vitale di credibilità.

Inoltre, tale base, opportunamente formata, consente diinnovare: si può affidare singole campagne difinanziamento per progetti concreti (di formazionedemocratica per italiani etnici e cittadini immigrati,solidarietà, cultura in zone disagiate, cultura antimafia,partecipazione femminile) alle organizzazioni dei giovani,delle donne, o a zone in cui è importante incrementare lapresenza del partito.

Questo tipo di attivazione dei vari settori del partito

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può: 1) farli entrare in contatto con nuovi aderenti; 2)assicurare loro un finanziamento proporzionale ai risultatiottenuti, accrescendo così la varietà e la capacitàfunzionale (non solo territoriale) dell’organizzazione.Inoltre, si potrebbero coinvolgere le associazioni vicine, eil sindacato, in queste operazioni, allargando l’ampiezzaoperativa e la base di raccolta delle campagne.

È importante farlo intensificando in modo innovativo larelazione con l’area di riferimento sociale del partito,ovvero reciprocamente e duplicemente: prima attivando ilcontatto per sostenere progetti valorialmente condivisibili,poi restituendo risorse sotto forma di iniziativediversificate, così da coinvolgere settori e livelli diversidella propria militanza e della propria area di consenso.

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li articoli che in abbondanza (anche se noncon pari serietà) sono stati pubblicati in Italiain tempi recentissimi sul tema delfinanziamento della politica contengono tuttoquello che c’era da dire in proposito: poiché i

termini della questione sono stranoti da tempo, e così lepossibili soluzioni.

Se i meccanismi via via adottati in Italia sono risultaticosì discutibili non è per mancanza di analisi e di idee, maper l’interesse fortissimo dei partiti a finanziamentipubblici abbondanti e certi, sposati a controlli inesistenti.Tanti soldi pubblici, da gestire con assoluta discrezionalità:così è stato finora, e resta da vedere se ora esiste davverola diffusa volontà politica di approdare a un sistema deltutto opposto, fondato su contributi pubblici limitati la cuigestione sia sottoposta a controlli efficaci.

Questo richiede una vera e propria rivoluzione culturaleperché il ceto politico è assuefatto a modalità di gestionedei partiti, e di attività pubblica degli stessi, che ha i suoipresupposti nelle due condizioni che andrebbero ribaltate.

Un paio di osservazioni generali. Se c’è un campo – sidice – in cui il meglio è nemico del bene è proprio quellodi cui stiamo parlando. E in effetti i “puristi” fanno spessodanno perché, nel proporre soluzioni irrealistiche,finiscono per fornire un alibi a quanti intendono cambiareil meno possibile (e che, non dimentichiamolo, sono i soliabilitati a fare e disfare le leggi in Parlamento).

A patto però di mettersi d’accordo sulla definizione dibene, perché spesso viene spacciato per tale uncompromesso mediocre, che lascia passare qualche norma

Le peculiaritàdel caso UsaRodolfo Brancoliè giornalista e scrittore, ex collaboratore del Presidente Romano Prodi

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positiva in un contesto sostanzialmente continuista chemantiene l’opacità del vecchio sistema.

Una seconda osservazione generale. Non esiste societàdemocratica in cui la questione non venga periodicamentedibattuta. In altri termini, non esistono soluzioni valideuna volta per tutte. Per un verso lentamente mainesorabilmente i professionisti della politica tendono aforzare i limiti della legislazione in vigore pro tempore, perun altro verso tende a mutare il comune sentire,generalmente a seguito di scandali ma anche inconnessione con lo sviluppo generale del paese.

Quindi si deve andare per tentativi cercando risposteadeguate sia a esigenze reali ed eventualmente nuove che sipresentano, sia all’evoluzione del comune sentire,individuando di volta in volta un compromesso di qualità.La questione andrebbe insomma affrontata con unatteggiamento laico, senza furori moralistici come senzasordità e arroccamenti. Il che è praticamente impossibile.Per questo le soluzioni di volta in volta adottate appaionoquasi da subito insoddisfacenti e/o inadeguate.

I modi escogitati per affrontare il problema nelle societàdemocratiche si collocano lungo un continuum che ha ad unestremo il finanziamento totalmente privato e all’altroestremo il finanziamento totalmente pubblico. Ogni altrosistema si colloca fra i due , più prossimo al primo o alsecondo in dipendenza di fattori storici e culturali e dellasensibilità del personale politico e della società civile.

In teoria, peraltro, i due estremi non esistono. Anchenegli Stati Uniti, la democrazia che più si affida alfinanziamento privato, esiste sulla carta il finanziamentopubblico (non sto qui a entrare nei dettagli tecnici) nellecampagne presidenziali (primarie ed elezioni generali), esolo in queste. Le campagne per Camera e Senato, comeper l’elezione dei governatori e delle assemblee statali,sono totalmente finanziate con denaro donato daicittadini, come singoli o in associazione con altri neicosiddetti PACS.

Dico sulla carta perché in questo decennio solo iperdenti in partenza, quelli con limitatissima capacità diautofinanziamento, hanno fatto ricorso al finanziamentopubblico, che comporta l’obbligo di contenere le speseentro il limite del finanziamento stesso, peraltro adeguatoal costo della vita ad ogni ciclo elettorale. Prima alcunicandidati repubblicani e poi il democratico Obama nel

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Anche negli StatiUniti, lademocrazia che piùsi affida alfinanziamentoprivato, esiste sullacarta ilfinanziamentopubblico nellecampagnepresidenziali(primarie ed elezionigenerali), e solo inqueste

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2008 vi hanno rinunciato per il semplice motivo che nonha senso accettare i limiti di spesa nel momento in cui ilfinanziamento privato è disponibile in abbondanza e, purcostringendo entro limiti individuali le donazioni, consentedi raccogliere complessivamente ad ogni ciclo elettoralealcuni miliardi di dollari (da notare che, contrariamente aquanto affermano spesso i nostri orecchianti della materia,tali donazioni NON sono detraibili dal fisco, neppureparzialmente).

Alcune cifre, per cogliere la dimensione del fenomeno.Nel biennio 2007-2008 (negli Stati Uniti il ciclo elettorale èbiennale, perchè la Camera viene rinnovata ogni due anni,e così un terzo del Senato) Obama raccolse 745 milioni didollari, più che doppiando il rivale. E la spesa totale,includendo anche i candidati presidenziali di formazioniminori, fu di un miliardo e 300 milioni di dollari. Ma , se siinclude anche quanto speso dai candidati per i seggi dellaCamera e per i 33 seggi a scadenza nel Senato, si arrivaall’incredibile totale di oltre quattro miliardi di dollari (danotare che solo otto anni prima il totale era stato di tremiliardi).

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Quest’anno, secondo ogni previsione, verrà stabilito unnuovo record, se non altro per la capacità del candidatorepubblicano di non essere da meno del rivale nelraccogliere fondi. Del resto nel 2011 sono già statiraccolti complessivamente, includendo anche i fondi per lecampagne parlamentari, quasi due miliardi di dollari, e si sache nell’anno delle elezioni il fundrising si intensifica. Inrealtà poi le somme che entrano in gioco sononotevolmente superiori, attraverso il finanziamento diprivati a entità come i SuperPacs che in modonominalmente indipendente dai candidati nefiancheggiano lo sforzo.

Quello americano è insomma di fatto un sistema afinanziamento totalmente privato, anche volendo nonreplicabile altrove per diversi fattori. Stiamo parlando diun paese-continente con oltre 300 milioni di abitanti, diuna società ricca in cui è diffusa l’abitudine a donare anchepoco alle cause in cui si crede (ma ci sono miliardari chedonano anche una diecina di milioni di dollari), e in cui èabituale la forma di pagamento attraverso assegni e cartedi credito, che facilita il fundrising elettronico e,

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incidentalmente, consente la tracciabilità delle donazioni (infatti il limite per le donazioni in contanti è di 100dollari). Un paese in cui non a caso ci si interroga nonsulla adeguatezza dei finanziamenti, ma su come contenerel’influenza dei fondi privati sulle decisioni dei politici.

Neppure esiste, in teoria, l’estremo del finanziamentointeramente pubblico. Anche in Italia, la democrazia chepiù dipende dal finanziamento pubblico, sono contemplateforme di finanziamento privato. Ma le somme che vengonoraccolte sono, stando ai bilanci, così limitate da essereinsignificanti. In parte perché non esiste una abitudine oinclinazione a finanziare direttamente la politica andandooltre la quota associativa o l’obolo versato in occasione diqualche manifestazione; in parte perché nessun partito si èposto finora il problema di un fundrising serio e ripetuto neltempo, non essendoci motivo di destinare tempo ed energiea una attività che l’abbondante finanziamento pubblicorende di marginale utilità.

È possibile che la nuova legge, creando un incentivo allaraccolta di fondi privati per concorrere alla attribuzione diuna quota di finanziamento pubblico, cambi qualcosa aquesto riguardo. Ma è un fatto che generalmente i siti deipartiti neppure prevedono modalità di finanziamentoelettronico, forme di sollecitazione costante anche dipiccole somme. Voglio qui ricordare che nel 2008 Obamaraccolse online 500 milioni di dollari, e che il 58 per centodel totale finora raccolto in questa campagna èrappresentato da importi, anche con assegni, inferiori ai200 dollari. Nel solo mese di marzo ha raccolto in questomodo oltre 14 milioni di dollari.

Insomma, quello italiano è di fatto un sistema difinanziamento interamente pubblico, o almeno lo è statofinora accennando appena a staccarsi da questo estremo ea muoversi con passi esitanti lungo quel continuum di cui hoparlato. Un sistema che, a parte ogni altra considerazione,è profondamente diseducativo sia per i percettori deifinanziamenti, che per i cittadini.

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el 1978, in un referendum, i cittadini respinsero laproposta di abolire il finanziamento pubblico deipartiti. Nel 1993 la approvaronoplebiscitariamente.

Il risultato di quel referendum fu disatteso erovesciato fino a fare lievitare oltre ogni misura unfinanziamento pubblico assegnato formalmente come“rimborsi elettorali” calcolati per ogni tipo di elezione(europea, nazionale e locale), per ogni elettore (compresi pro-quota i non votanti) e per la durata di tutta la legislatura (anchenel caso di una sua anticipata interruzione).

Il risultato è che i partiti, anche quelli piccoli-piccoli nonrappresentati nelle assemblee elettive ma che superano unasoglia percentuale minima di voti, sono sommersi da unaenorme quantità di denaro. Per i partiti maggiori si tratta didecine di milioni di euro all’anno.

I partiti, però, è giusto e doveroso evidenziarlo, non sonotutti uguali. Il Pd non è il Pdl né la Lega. I partiti a gestione“collegiale” hanno un funzionamento un po’ diverso da quelli“carismatici” o strettamente “personali”. I partiti chediscendono da una storia, che comporta patrimoni di idee e dirisorse, non sono uguali a quelli che sorgono da movimentipuntuali o che si costituiscono come meri cartelli elettorali.

Eppure, nonostante le differenze, i “nostri” partitiqualcosa in comune lo hanno. Il finanziamento pubblico èla voce stra-dominante, quando non l’unica, dei loro bilanci.Infimo – almeno relativamente – il contributo degliaderenti, trascurabili le erogazioni liberali di altri soggettiprivati. Negli organismi dirigenti, l’approvazione dei bilanci(certificati o no da organismi terzi) è preferibilmentecondotta come una mera formalità per pochi appassionati e

Partiti,sazi e inadeguatiMario Barbi è deputato del Partito Democratico

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senza eccessiva trasparenza e pubblicità.I bilanci sono sottoposti a controlli pubblici meramente

formali. Insomma, i partiti dipendono per la loro esistenza dalfinanziamento pubblico e godono del privilegio di una gestioneaffidata a codici interni. È questo lo sfondo in cui si collocano icasi Lusi e Belsito, che sono ovviamente diversi, e cheriguardano due partiti differenti sotto ogni punto di vista: unpartito ibernato e dormiente e un partito che dovrebbe essereben vivo e vegeto e che è stato – lo ricordiamo incidentalmente– portato a modello, anche a sinistra, dell’idea stessa di partito. 

È stupefacente che le parti lese (intendo almeno i numerouno dei partiti), che non si sono accorte di nulla, proprioperché non si sono accorte di nulla non abbiano sentito e nonsentano il bisogno di farsi da parte e di chiedere scusa perprovata incapacità.

Tutto questo accade mentre la capacità dei partiti di dirigerela vita nazionale con proposte di governo che tengano contodelle loro basi sociali e degli interessi generali del paese si èridotto ai minimi termini fino all’abdicazione formale delleproprie prerogative in favore di un governo tecnico.

Come meravigliarsi allora che la credibilità dei partiti oscilliora tra il quattro e l’otto per cento e si situi nel gradino piùbasso nella classifica di fiducia delle istituzioni? È paradossaleche nel bel mezzo della crisi si immagini di ri-costruire larepubblica intorno a questi partiti, ancorché rinnovati. E che siimmagini che il loro rinnovamento possa venire da leggi che nedisciplinino il “funzionamento” e assegnando loro ilmonopolio della presentazione alle elezioni.

E senza toccare il “finanziamento”, che è invece causa edeffetto del distacco dei partiti dalle loro “basi”, e dellasostanziale in-influenza degli attivisti e degli aderenti sul lorofunzionamento e sulle loro scelte di fondo. Partiti, sazi eperduti…Partiti di stato, drogati e intontiti dai soldi pubblici.

Non è con leggi di facciata, scritte per rispondere alle sfide diun’opinione pubblica sempre più stanca e insofferente, che sifaranno risorgere partiti che hanno smarrito la strada edimenticato le ragioni della loro esistenza. Riduzione drasticadel finanziamento pubblico, incentivi alla partecipazione direttadei cittadini alla vita e alla decisione delle forze politiche (cioèprimarie con disciplina pubblica) e comportamenti coerenti erigorosi di dirigenti ed eletti: questa – e non quella delle leggimanifesto – sarebbe la strada da seguire, una strada che sipropone di fare rivivere e ri-animare la democrazia italiana dicui le forze politiche sono un mezzo e non il fine.

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Non è con leggi difacciata, scritte per

rispondere alle sfidedi un’opinione

pubblica sempre piùstanca e insofferente,

che si farannorisorgere partiti chehanno smarrito la

strada

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articolo 49 della nostra Costituzione recita“tutti i cittadini hanno diritto di associarsiliberamente in partiti per concorrere conmetodo democratico a determinare lapolitica nazionale”. L'animazione della

democrazia è dunque il compito fondamentale dei partiti.È per consentire a cittadine e a cittadini di assolvere ad un

dovere civico e democratico costituzionalmente sancito chesono previsti i finanziamenti pubblici. E la cura dellademocrazia non è limitata a garantire il libero svolgimentodelle elezioni, ma si intende estesa ad un ambito più generaledi convivenza civica, di buon governo, di ethos pubblico.

Mai come in questa fase valgono gli esempi. Il Partito Democratico sta compiendo percorsi complessi

di formazione politica per approfondire i problemi dellanostra società, sensibilizzare l'opinione pubblica, accrescerecompetenze e conoscenze della classe dirigente, aumentare

Quando i soldi sono spesi bene:

la formazione politicaAnnamaria Parenteè responsabile Formazione Politica Partito Democratico

L’

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la partecipazione dei giovani alla vita pubblica, affrontaretematiche della crescita economica e sociale nelMezzogiorno per una politica nazionale in grado di usciredalla crisi economica che stiamo vivendo.

Un sistema così concepito è un servizio non soloorientato a rafforzare il partito al suo interno, ma anche, esoprattutto, rivolto a costruire una cultura partecipativa einclusiva anche dei soggetti e dei territori più deboli.Descriverò tre iniziative, diverse tra loro, ma coerenti conl'intero impianto.

Ogni anno organizziamo la Scuola di Formazione estivadi Cortona con temi di attualità. É aperta a tutti (leiscrizioni sono previste direttamente sul sito), con relatoriitaliani ed internazionali. Non ci sono solo conferenze, maseminari e gruppi di lavoro dove i partecipanti possonoconfrontarsi liberamente tra di loro e con gli esperti.

È uno spazio vero di apprendimento, di scambio diconoscenze ed esperienze, di partecipazione. Nell'edizione2011 abbiamo addirittura condotto insieme a Reset unesperimento di democrazia deliberativa sul tema delLavoro. Alla fine di questo percorso le ragazze e i ragazzi,non solo conoscevano leggi europee e italiane, contratti,proposte, dati statistici, ma erano in grado di prenderedecisioni "informate" su un tema che riguarda da vicino lavita delle giovani generazioni.

Impieghiamo dunque risorse economiche per ospitare inostri esperti, organizzare documenti, fornire servizi diinterpretariato, affittare le sale, utilizzare professionisti dimetodologie, di tutoraggio, mettere a disposizione sullanostra piattaforma di formazione a distanza, denominata"abaco", le relazioni di Cortona ragionate e catalogate pertemi insieme alle video lezioni.

Dall'aprile 2011 al maggio 2012 si è realizzato il primoMaster di Politica. Iniziativa questa volta dedicata a 40giovani del PD, sotto i 30 anni, la maggioranzaamministratori locali, tra cui due sindaci. Gli obiettivi sonostati il rafforzamento delle competenze, l'esercizio dellecapacità di essere e creare reti per agire con sempremaggior efficacia nelle comunità locali con una tensionecostante al bene comune.

Abbiamo speso 10 euro all'ora a partecipante per unpercorso di un anno, per un fine settimana al mese,compreso vitto e alloggio, relatori, materiale didattico. Sepensiamo ora che un corso di formazione professionale

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regionale costa 15 euro, si comprende bene lo sforzocompiuto dal partito a beneficio della collettività pergarantire, anche attraverso l’utilizzo coscienzioso delfinanziamento pubblico, la formazione politica di qualitàsempre orientata al buon governo territoriale e soprattuttoa creare una classe dirigente motivata e preparata.

Infine, da qualche mese siamo partiti con un progettocapillare per 2000 giovani del Mezzogiorno "FinalmenteSud". Anche qui non solo iscritti al PD. Conosciamo tutti ledifficoltà del nostro Mezzogiorno. Ripartiamo dai giovani,da tanti giovani per una riscossa civica, morale, politica. Si èconcepita una grande piattaforma di Rete di E-Collaboration (Enterprise Content Management). Unasperimentazione unica nel panorama politico italiano. Igiovani partecipanti, dell’età media di 26 anni, siconfrontano costantemente su temi come l'ambiente, illavoro, la legalità, le prospettive del Mediterraneo, la Scuola,l'Università, il Welfare, le Istituzioni Locali. Una rete dicondivisione, animazione territoriale, di scambio diinformazioni, di formazione.

Abbiamo creato una piattaforma di formazione adistanza che propone temi generali e, nello stesso tempo,raccoglie istanze delle persone coinvolte.Contemporaneamente diamo vita a laboratori locali con

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tematiche scelte dai partecipanti e che coinvolgono mondiassociati e della società civile. Quindi rete telematica edincontri in loco. Una nuova modalità di essere partito nellarealtà sociale, una diversa organizzazione partitica.

In questi giorni, solo per fare degli esempi, con i ragazzie le ragazze di Finalmente Sud affrontiamo alcuneproblematiche di territorio: l'inceneritore di Acerra, ilMuos di Niscemi, i rifiuti a cielo aperto di Campomarino,i pendolari nella circumvesuviana di Napoli, lo stato disalute e l’efficienza dei servizi urbani a Palermo, l'incontroscuola/ lavoro a Mesagne, i trasporti a Crotone. E nellostesso tempo parliamo nei forum nazionali di Siria, Egitto,del futuro del Mar Mediterraneo, di economia illegale.Discussioni sempre orientate allo studio,all'approfondimento, volte non solo ad animarecittadinanza attiva, ma anche ad elaborare in un collettivouna maturità civica e politica. Siamo consapevoli che il verorinnovamento si compia dal basso, coinvolgendo la societàe cercando insieme nuove modalità di approccio alle cose,proposte aderenti alle diverse situazioni.

La formazione della futura classe dirigente di un paese èoperazione complessa, permanente, non avviene unatantum e non potrebbe essere altrimenti in un mondo cosìglobalizzato. Il portale prevede anche forum permanenticon gli amministratori locali per aiutare, chiquotidianamente deve fornire risposte alle cittadine e aicittadini nel proprio "particulare", a collegarle sempre alletematiche della crescita e dello sviluppo sostenibile, dellagestione dell'acqua, dei rifiuti, delle infrastrutture,dell'occupazione, dell'impresa.

Naturalmente anche qui ci sono dei costi che il partitoha fin qui sostenuto. Di viaggi per i giovani partecipanti,dalla tre giorni di Napoli in occasione dell’inaugurazionedel percorso, agli incontri provinciali e regionali, alle speseper la piattaforma telematica e per la FAD, per l'acquistodi testi e la produzione di documenti.

Stiamo perfino sperimentando con alcuni qualificatiricercatori "ambienti di apprendimento" innovativirispondenti alle nuove modalità di conoscenza delle giovanigenerazioni. Finora il costo a partecipante è stato di 245 euro.

Anche così il Partito Democratico utilizza le risorsepubbliche. Sì, per tenere vivo il "metodo democratico",offrendo spazi di partecipazione ai giovani, mettendosi alservizio della società e lavorando alla creazione di una

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La formazione dellafutura classedirigente di un paeseè operazionecomplessa,permanente, nonavviene una tantume non potrebbe esserealtrimenti in unmondo cosìglobalizzato

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nuova classe dirigente preparata, competente, appassionata. Questo lavoro, certosino e capillare insieme, non ha per

ora "visibilità", come si usa dire oggi, non entra comedovrebbe nella “Babele” del dibattito pubblico dove sitende sempre al pessimismo, al "sono tutti uguali" e sidimostra spesso scarsa capacità di discernimento.Situazione pericolosa per la tenuta della democrazia. Perquesto il PD ha presentato una proposta di legge perl'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione in materia didemocrazia interna e trasparenza dei partiti. Ilfinanziamento pubblico è necessario e il suo utilizzo deveessere controllato in primis dalle cittadine e dai cittadini, daun'opinione pubblica informata e consapevole.

Lo sanno bene le persone coinvolte nei percorsi diformazione del Partito Democratico. E la realtà prima o poiavrà la meglio sulla "fabbricazione di immagini ", secondoun'espressione cara ad Hannah Arendt o sul "reality",volendo usare un concetto moderno. Noi siamo orgogliosidi partecipare ad un processo di ricostruzione del tessutodemocratico del paese in un momento così difficile ancheper il sogno e l'idea di Europa.

La formazione politica è un valore non solo perchésollecita e incoraggia il civismo, coltiva una nuovaumanità, rianima la fiducia, ma per l'indicazione chefornisce della strada giusta per la democrazia fatta dicostruzione di progetti di soluzione a problematiche locali,europei e internazionali in un alveo collettivo di ideali,cultura politica, Weltanschauung, mediazione tra bisogni edinteressi per una convivenza equa e solidale.

Un partito è tutto questo. Non bastano le denunce, leproteste; il populismo è dilagante, bisogna essere in gradodi proporre soluzioni e strumenti per attuarle. So bene cheviviamo tempi di degenerazione politica con i recentiscandali che hanno coinvolto chi ricopriva incarichi digestione delle risorse dei partiti. Per questo dobbiamosempre anteporre nella nostra vita associativa la questionemorale nell'accezione quasi profetica di Enrico Berlinguer.Nello stesso tempo bisogna andare avanti con orgoglio epassione perché stiamo costruendo il futuro.

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La realtà prima opoi avrà la meglio

sulla "fabbricazionedi immagini ",

secondo un'espressionecara ad Hannah

Arendt o sul"reality", volendousare un concetto

moderno

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distanza di 20 anni dalle indagini del pool diMani Pulite che sancirono il crollo dellavecchia partitocrazia, sono nuovamente levicende di cronaca giudiziaria in tema dirapporti tra politica e affari a minare le

gracili fondamenta del bipolarismo all’italiana inventatodall’anomala discesa in campo di Berlusconi.

Esposta alla grandine di inchieste e scandali che

La personalizzazionedella corruzione al tempo della “partitopenia”

Fabrizio Di Mascio è dottore di ricerca in Scienza Politica presso l'Istituto Italiano di Scienze di Firenze

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campeggiano stabilmente sulla stampa, l’opinione pubblicaappare disorientata e rassegnata alla natura gattopardescadella transizione italiana in cui tutta l’offerta politicaappare mutata nell’invarianza della corruzione.

Disorientamento e rassegnazione dei cittadini italianisono ben evidenziati dall’indice di percezione dicorruzione (CPI) elaborato da Transparency International nelcui ranking l’Italia è crollata dalla 33esima alla 69esimaposizione nel periodo 1995-2011, finendo per collocarsi inpiena zona retrocessione nell’area OCSE in cui su 34 paesisolo Grecia e Messico fanno rilevare uno score inferiore.

Inoltre, la percezione dei cittadini sembra esserecorroborata dalle evidenze raccolte da tutte le fonti piùautorevoli – dai lavori di Della Porta e Vannucci (Maniimpunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia, Laterza 2007) allerelazioni annuali della Corte dei Conti – secondo cui lacorruzione in Italia rimane sistemica, vale a direistituzionalizzata da condizioni durevoli che favoriscono losviluppo di estesi e radicati reticoli di transazioni occulte.

Eppure, se la corruzione è sopravvissuta alla grandetrasformazione del sistema politico italiano, i suoi tratti –logiche, meccanismi e attori – sono stati alterati dallariconfigurazione tanto del sistema partitico quanto diquello amministrativo.

Al fine di evidenziare con maggiore efficacia la natura ditale cambiamento, è opportuno tratteggiare in primo luogo ilpunto di partenza della transizione, vale a dire la corruzionecosì come era stata organizzata dai partiti storici. Infatti, lavecchia corruzione trovava nelle organizzazioni di partito gliagenti di coordinamento e protezione centralizzata degliscambi occulti che andavano intrecciandosi tra pubblicheamministrazioni e operatori economici.

Come intuito con la consueta lucidità da AlessandroPizzorno, al tempo del pluralismo polarizzato imperniatosul controllo permanente degli apparati pubblici da partedella DC i circuiti dello scambio politico sono stati gestitisecondo la logica del “sistema fiscale secondo”.

In base a questa logica, gli operatori economiciottenevano prestazioni erogate selettivamente daamministrazioni saldamente controllate dai partiti versandoil denaro che andava ad alimentare i partiti come apparati didelega organizzati secondo il modello del partito di massa.

In sostanza, si trattava di una corruzione che scorrevanell’alveo del regime clientelare centralizzato e distributivo

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Disorientamento erassegnazione deicittadini italiani

sono ben evidenziatidall’indice dipercezione di

corruzione (CPI)elaborato da

TransparencyInternational

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edificato dalla DC per consolidare la difficile democraziaitaliana attraverso la socializzazione delle rendite estratteda uno Stato debole. In condizioni di integralepoliticizzazione di amministrazioni colonizzate da partitidi massa, si accedeva dunque alle prestazioni pubblicheversando voti o soldi come imposta gradita ai partiti dimassa come architrave amministrativa di un sistema privodi un corpo burocratico professionale.

Con il crollo dei partiti storici, la logica del sistemafiscale secondo è però divenuta residuale rispetto ai nuovimeccanismi che hanno governato la corruzione nell’era delbipolarismo all’italiana. La corruzione, infatti, non è piùorganizzata da partiti solidi bensìda partiti liquidi quali quelli dellacosiddetta “Seconda Repubblica”,affetti da un cronico deficit diistituzionalizzazione delle proprieorganizzazioni prive di identità efisionomia ben definite.

Tali partiti tendono a operarecome fluide organizzazioni di élitesche auto-finanziano la propriaattività politica. Si tratta di partitiridotti a mero veicolo diprofessionisti che investono nellacarriera politica per rafforzare leproprie posizioni di potere nellasocietà civile. Nell’invarianza dellascarsa istituzionalizzazione tantodei mercati quanto delle burocraziepubbliche, non è più la societàcivile a piegarsi al sistema fiscalesecondo della società politico-affaristica come accadeva al tempodella partitocrazia.

Nell’era della “partitopenia”denunciata dall’ultimo Bobbio èpiuttosto la società politica aessere al servizio della societàcivile. Non ci sono più i politicid’affari indagati da Pizzorno, iquali progredivano in carrieraorganizzando i reticoli dellacorruzione.

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Ci sono invece uomini degli affari che agganciano ipropri reticoli privati a partiti fluidi per estrarre risorsedallo Stato. Il vecchio politico d’affari era ancora unmediatore partitico che faceva fare affari ai privati perguadagnare status nelle cerchie partitiche. Il nuovo politicod’affari è un privato che entra/resta in politica per fareaffari, per consolidare il proprio status nelle cerchie privatedelle professioni e della finanza.

Abbattere il vecchio sistema partitico a colpi direferendum e inchieste giudiziarie, pertanto, ha solocambiato i protagonisti della corruzione. In assenza di unosforzo organizzativo e istituzionale teso a costruire unsistema imperniato su partiti robusti, il posto dei vecchipartiti come agenti del coordinamento delle pratiche dicattura dello Stato è stato preso dagli entourages cheemergono da un mio recente studio sulle nominepubbliche in Italia (Partiti e Stato in Italia, Il Mulino 2012).

Il circuito degli entourages è costituito da queicollaboratori delle élites politiche che organizzano lascambio politico sfruttando i propri reticoli fiduciariinnervati nei mondi professionali (finanza, media egiustizia). Scomparsi i partiti come reticoli cheaccumulavano fiducia, sono i professionisti che operano alconfine opaco tra amministrazione ed economia ariprodurre quella fiducia che alimenta le pratiche dicorruzione sistemica.

La corruzione, dunque, è andata personalizzandosiessendo organizzata da individui (i professionisti deglientourages) a vantaggio di individui (le élites politiche) cheacquisiscono quote di potere organizzativo nei partiti inbase alla propria capacità di mobilitare reticoli privati acaccia di rendite nello Stato.

La personalizzazione della corruzione, abbinata allariconfigurazione del sistema amministrativo, hadeterminato la configurazione dei nuovi partiti comegrappoli stratarchici di élites. Infatti, la contrazione delperimetro dell’intervento pubblico a livello centrale el’estensione della galassia di società a capitale pubblico inperiferia ha contribuito ad ampliare notevolmente il poteredei notabili locali come attori che scambiano il consensoorganizzato sul territorio attraverso il controllopersonalizzato delle amministrazioni contro l’autonomiaconcessa dai leaders nazionali.

Il denaro così non alimenta più i partiti come macchine

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nazionali bensì i comitati dei notabili raccolti in partiticome cartelli elettorali multi-livello. In uno scenario didebolezza endemica dei partiti, a nulla sono valsi gliimpulsi comunitari a sviluppare una efficace politica dicontrasto alla corruzione.

Nemmeno il severo monito del Group of States againstCorruption (GRECO), organismo del Consiglio d’Europache ha denunciato l’inconsistenza di strategia e strumentidi lotta alla corruzione in Italia in occasione del suosecondo Evaluation Round, è riuscito a scuotere ilprovinciale e confuso dibattito domesticotradizionalmente poco attento all’elaborazione di politichetese a restituire funzionalità al sistema italiano.

Del resto, alle rissose coalizioni prendi-tutto dellaSeconda Repubblica, cementate solo dal controllo pro-tempore degli apparati pubblici, è risultato convenientealimentare il dibattito sulla grande riforma della politicaitaliana lasciando nel dimenticatoio il tema delle politicheanti-corruzione. Piuttosto che restituire trasparenza alloscambio occulto, la lotta anti-corruzione è così diventataanch’essa occulta.

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oldi e politica". Due sostantivi che, scrittivicini, oggi portano subito alla mente duevergognose vicende di malapolitica: il casoLusi e quello Belsito. Questa, certo,l'associazione immediata. Ma ce ne è

un'altra, non so se più dannosa per i cittadini, ma certamentealtrettanto subdola e minacciosa per la qualità dellademocrazia. È il conflitto d'interessi, in Italia davveromacroscopico.

Non solo nell'informazione televisiva (dove ha raggiuntolivelli elevatissimi ed ha riguardato il vertice delle istituzioni),ma anche in gran parte della vita economica e socialenazionale. Da qualche decennio, Berlusconi personifica ilconflitto d'interessi nella forma più alta. Ma, col tempo, lamalattia ha contagiato in profondità larga parte della societàitaliana. Come ha ben detto Guido Rossi, da noi il conflitto èdiventato endemico.

Sono il dilatarsi e lo spandersi dei privilegi, dei monopoli,del potere delle corporazioni, delle variegate forme delconflitto di interessi ad aver fatto dell'Italia un paesebloccato, incapace di crescere e svilupparsi.

È sintomatico come, in un mercato oppresso dalle scatolecinesi e da un capitalismo familistico e di relazioni, sia statanecessaria una legge dello Stato per metter fine alla presenzadelle stesse persone in decine e decine di consigli diamministrazione di imprese anche di grandissime dimensionioperanti nei settori del credito, delle assicurazioni, della finanza.

Se dobbiamo dare una definizione elementare del conflittod'interessi, possiamo dire che esso si verifica quando vieneaffidata un'alta responsabilità decisionale – politica o non – a

Conflitto d'interessi,

vulnus alla democrazia

Luigi Zanda Vicepresidente del gruppo PD al Senato

“S

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un soggetto che abbia interessi personali in conflitto conl'imparzialità che gli è richiesta e che può venir meno proprioin relazione ai suoi interessi.

Gli italiani hanno a lungo subito e tollerato che gliinteressi privati del capo del loro governo venisserosubordinati agli interessi generali dello Stato e dei cittadini. Ilconflitto d'interessi, quando arriva a tali livelli, può incideregravemente sull'equilibrio del sistema democratico econseguentemente, soprattutto in tempi complessi comequelli che stiamo vivendo, lo Stato di diritto ha il dovere didisciplinarlo efficacemente. Sinora l'Italia non l'ha fatto.

Adesso esiste un obbligo democratico inderogabile chedeve indurre il Parlamento ad adottare al più presto unanormativa in grado di impedire realmente e non fittiziamentetutti i conflitti d'interesse.

L'Italia ha assistito, negli ultimi venti anni, a un vero eproprio spappolamento dello Stato, perseguito attraversoattacchi alle istituzioni, al Parlamento, al Capo dello Stato, alla

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magistratura, alla libera stampa e con atti legislativi spessousati in modo improprio: decreti legge, maxi emendamenti,provvedimenti eterogenei e sconclusionati, finalizzati solo adinserire qualche norma ad personam qua e là.

Un quadro aggravato dalla mancanza di una legge seria sulconflitto d'interessi. D'altra parte lo riconosce lo stessosegretario del Pdl, Alfano, quando annuncia la possibilità diuna legge sul conflitto d'interessi come se oggi, in Italia, nonce ne fosse già una.

Infatti, la legge 215 (la cosiddetta Legge Frattini) è statacostruita nel 2004 con il chiaro obiettivo non dico di noncolpire, ma nemmeno di disturbare la gravissima degenerazionedella democrazia, la profonda distorsione del mercato, il fortecondizionamento della concorrenza rappresentati dal conflittod'interessi del presidente del Consiglio.

E non ha quindi impedito né l'arricchimento personale diBerlusconi attraverso numerosi atti di governo emanati inevidente conflitto d'interessi, né l'utilizzo a fini politici dellapotenza delle televisioni commerciali (di sua proprietà) e diquelle pubbliche (controllate dalla sua maggioranzaparlamentare). La legge Frattini del 2004 nei suoi otto anni divita, senza divieti, senza sanzioni e senza controlli, haampiamente dimostrato tutta la sua inutilità.

Un solo esempio: l'andamento della pubblicità televisivanegli ultimi anni, in particolare dopo l'approvazione dellalegge Gasparri del 2004.

Da alcuni decenni, la televisione in Italia è caratterizzatada un duopolio quasi perfetto che produce effetti nefastisoprattutto negli incassi pubblicitari. Su un monte totale di4,7 miliardi di euro, le quote attuali sono 3,1 miliardi perMediaset e di 1,4 per la Rai.

Ma, nonostante una discreta tenuta negli ascolti, la Rai hamostrato una crescente debolezza nella capacità divalorizzare economicamente lo share. Nel 2006, un punto dishare valeva 28,3 milioni di euro per la Rai e 60,3 milioni dieuro per Mediaset. Nel 2010 il suo valore era crollato per laRai a 24,9 milioni di euro, mentre per Mediaset era salito a64,7 milioni di euro.

Questo significa che negli anni del ritorno del centrodestra algoverno i grandi inserzionisti pubblicitari hanno spostato unaquota significativa di spesa pubblicitaria dalla Rai a Mediaset.

Inoltre, in coincidenza con l'approvazione della leggeGasparri, si è prodotto un profondo ampliamento dellatristemente nota lottizzazione della Rai da parte della

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politica, anch'esso segno dell'invadenza del conflittod'interessi. E, con grave responsabilità dell'ingerenzaberlusconiana, in Rai si è passati dalla "sola" designazionepolitica di direttori di testata e di rete, e una vera e propriaoccupazione di pressoché tutte le posizioni chiave dellastruttura industriale: palinsesti, produzione, marketing,pubblicità, finanza, personale, affari legali. Si è così creatauna "rete" interna di influenza, capace di determinarel'agenda politica dell'informazione Rai e condizionare le suedinamiche industriali. Sotto molti profili il duopolio si èavvicinato pericolosamente al monopolio.

Da un punto di vista politico il conflitto d'interessinell'informazione è il più acuto e pericoloso esistente inItalia (per il Censis una larga maggioranza di cittadini italianicondiziona il proprio voto a quel che vede nei telegiornali).Questo spiega perchè la maggior parte delle proposte dilegge riguardino specificatamente quel particolare conflittod'interessi. In Senato, tra le altre, c'è anche una mia proposta.

Si tratta di un ddl costituzionale contenente una disciplinasul pluralismo dell’informazione e sul conflitto di interessianaloga a quella presente nella legislazione di molte altredemocrazie evolute, anche se tiene conto delle esigenze piùspecifiche, ma non meno rilevanti, legate alla storia d’Italiadegli ultimi anni.

L'obiettivo è la regolamentazione di questioni generali edi principio determinanti per il corretto svolgimento deifondamentali processi democratici del nostro Paese e,come tali, degni d'essere disciplinati con normativa dirango costituzionale.

Il disegno di legge tiene conto della necessità di porrerimedio alle gravi conseguenze che l’assenza di una leggeadeguata sta determinando nella nostra Repubblica dove daanni prospera e si sviluppa indisturbato il più eclatante einvasivo conflitto di interessi che sia mai apparso in unademocrazia occidentale, cui consegue una quotidianamortificazione del pluralismo dell’informazione.

Il disegno di legge costituzionale lascia immutato,completandolo, il contenuto dell’articolo 21 dellaCostituzione, le cui prescrizioni sono tuttora attuali e valide.La proposta prevede esclusivamente l’inserimento, all’internodell’articolo 21, e precisamente dopo il primo comma, di duenuovi commi volti a disciplinare due fattispecie che nel '48,quando cioè la nostra Costituzione è stata emanata, non erain nessun modo prevedibile che si sarebbero sviluppate con

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Da un puntodi vista politicoil conflitto d'interessinell'informazioneè il più acutoe pericoloso esistentein Italia

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tanta forza e tanta pericolosità e che, quindi, non potevano innessun modo essere regolamentate.

Le nuove norme, nel riaffermare i princìpi del pluralismodell’informazione, vogliono disciplinare i casi più rilevantidi ineleggibilità e incompatibilità dovuti al conflitto diinteressi dei proprietari o dei gestori di mezzi diinformazione a diffusione nazionale. In particolare, laprevisione del secondo comma dell’articolo 21 è diretta arendere chiara, esplicita e netta la tutela del pluralismodell’informazione. Per far ciò la nuova normacostituzionale impegna il Parlamento ad emanare norme agaranzia del pluralismo dell’informazione, a favore della suaimparzialità anche ponendo limiti alle concentrazioni evietando posizioni dominanti.

Nel nuovo terzo comma dell’articolo 21 viene poiregolamentato, attraverso la previsione di specifiche cause diineleggibilità e di incompatibilità, il gravissimo fenomeno delconflitto di interessi tra i titolari di alcuni organi costituzionali,nonchè dei membri del Governo e dei Presidenti delle giunteregionali e posizioni di rilevante influenza nella proprietà onella gestione di reti televisive o telematiche e la proprietà o lagestione di quotidiani o periodici.

"Influenza rilevante" è l’espressione che meglio definiscele posizioni societarie dalle quali possono potenzialmentescaturire i conflitti di interessi che è necessario disciplinare.

Si tratta di un'espressione che ha ormai trovato pienaaccoglienza nel nostro ordinamento giuridico dove comparesia nella normativa antitrust, sia in quella del codice civile epiù precisamente del nuovo diritto societario.

Lo stesso nuovo terzo comma, infine, prevede che altricasi di conflitto di interessi possano essere regolamentaticon legge ordinaria.

Vista l'attuale forza dei gruppi politici in Parlamento, inquest'ultima parte della Legislatura, sarà improbabile riuscirea sanare il grave vulnus democratico che il conflittod'interessi crea all'Italia.

È però fondamentale che il Pd, quando governerà il Paese,non commetta lo stesso errore del passato: lasciaresostanzialmente intatto il conflitto d'interesse.

Così come i Costituenti, nel '48, hanno fatto di tutto pertutelare la democrazia nascente, allo stesso modo oggi ènecessario fare di tutto per non rischiare che nuovi conflittid'interessi finiscano per mortificare la democrazia italiana giàumiliata da Silvio Berlusconi.

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a questione del finanziamento pubblico deigiornali di partito e delle cooperative coglie ilmondo dell’informazione nel pieno dellatempesta. Alcuni giornali hanno già chiuso, sipensi al “Riformista”, altri lo seguiranno, si pensi

al “Manifesto”, altri ancora sono a rischio, si pensi a “Europa”e all’ “Unità” per stare nel campo del centro-sinistra anche sela fine si avvicina per gli stessi quotidiani di destra.

Il sottosegretario Peluffo ha fatto approvare dal governo,lo scorso 10 maggio, un decreto legge e un disegno di leggedelega in cui sono disciplinati i contributi per l’editoria ingenerale. L’ammontare della cifra a disposizione è assai piùbassa che nel recente passato e i criteri nel sostegno almondo dell’informazione sono cambiati. Ad esempiogodranno del finanziamento solo le testate nazionalidistribuite in almeno cinque regioni che dovranno dimostraredi vendere almeno il 30% del distribuito, prima si parlava del15%, mentre per le testate locali si porta la soglia al 35%mentre prima era del 25%.

C’è poi il parametro occupazionale che prevede almenocinque contratti a tempo indeterminato con unamaggioranza di assunti iscritti all’Ordine. Per i giornali gestitida cooperative si richiede che queste siano composte solo dagiornalisti, poligrafici e grafici, e in prevalenza giornalisti, eche i soci debbano essere assunti a tempo indeterminato.

Da quel che si capisce i criteri adottati sono due: il primol’effettiva presenza sul mercato dei giornali finanziati, ilsecondo, per quanto riguarda le cooperative, il criterio è chesiano cooperative vere. In ogni caso siamo di fronte a un tagliodei finanziamenti diretti e indiretti che riguardano sia i giornali

Stampa di partitotra crisi e metamorfosi

Giuseppe Caldarola è giornalista, ex parlamentare Gruppo Ds-Ulivo

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di partito e editi da cooperative sia l’intero sistema. Per igiornali di partito siamo di fronte a un vero colpo d’accetta.

È giusto o no? I giornali di partito furono aiutati per laprima volta da una legge, governo Forlani, del 1981, poi consuccessive modifiche quella normativa allargò la platea degli“assistiti”. Nell’87 venne stabilito, infatti, il sostegno agiornali che fossero editi da movimenti politici promossi daalmeno due deputati. Fu da quella data in poi che ilfinanziamento diventò a pioggia e iniziò lo “scandalo” deigiornali finti, perché neppure in edicola, o di “finti” giornalidi partito, perché i movimenti politici sottostanti nonesistevano, che ha portato a un enorme spreco di denaro.

Oggi siamo di fronte a un bivio, anzi a dire la verità a unbaratro. L’intero sistema dell’informazione su carta è in gravecrisi. I grandi giornali, sostenitori della legge Fornerosull’allungamento dell’età pensionabile, hanno fatto ricorsoai pensionamenti anticipati, e persino il “Sole-24 ore”, che èespressione di una Confindustria che lamenta l’eccessivaspesa pubblica, applica il contratto di solidarietà che scaricasullo stato le spese del costo del lavoro.

I giornali sono in crisi per diverse ragioni: perché il costodi produzione è eccessivo, perché la pubblicità è drenatadalle tv, perché le formule giornalistiche sono desuete,perché l’ on line fa una serrata concorrenza al punto che glistessi quotidiani in crisi nell’edicola hanno un proprio on lineassai frequentato. In questo stesso settore si stamoltiplicando l’offerta sia locale, sono molti i giornali on lineche nascono nelle città e nelle regioni, sia l’offerta di nicchia,e si sta per abbattere il ciclone dell’ “Huffington Post”,edizione italiana.

Di fronte a questo uragano il tema del finanziamento deigiornali di partiti e delle cooperative rischia di appariresecondario. Tuttavia c’è un problema di pluralismo che sipuò affrontare solo disboscando il settore dalle presenzeibride, le false cooperative, o ingannevoli, i giornali che nonvanno in edicola o che in edicola non hanno lettori.

Il rischio della scomparsa di giornali storici è un rischiograve per la democrazia così come altrettanto grave sarebbeimmaginare un futuro di giornali, a loro volta sostenuti daldenaro pubblico, come lo sono tutti i giornali cosiddettiindipendenti, che non diano voce al pluralismo politico italiano.

I giornali nel resto di Europa godono di diversotrattamento. Sono finanziati in Francia, non lo sono in GranBretagna. Non c’è una formula unica, quindi. La via d’uscita

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I giornali sono incrisi per diverseragioni: perché ilcosto di produzione èeccessivo, perché lapubblicità è drenatadalle tv, perché leformulegiornalistiche sonodesuete, perché l’ online fa una serrataconcorrenza

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dovrebbe prevedere il mantenimento del finanziamento per igiornali realmente espressione di cooperative e di partiti realia raffronto con la loro reale diffusione, più o meno comeprevede il provvedimento Peluffo.

Tuttavia la rivoluzione nel mondo dell’informazione non

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si potrà fare con una Cassa del Mezzogiorno dei giornali.Serve un grande mutamento e questo prevede il passaggio adaltre forme di comunicazione da parte dei partiti. Il vecchiogiornale di partito serviva negli anni dei partiti di massa.Diversi da ora erano quei partiti, diversi da ora i lorogiornali, i quali, in epoca storica, da un lato garantivanol’acculturazione popolare, pensiamo all’Italia del dopoguerra,dall’altro l’unificazione politica su una linea stabilita dall’alto.

La crisi inizia con l’ avvento di “Repubblica”, così come intempi recenti per i giornali di destra con il “Giornale” e“Libero”, quando cioè il giornale di area prevale sul giornale dipartito perché risponde con maggiore libertà alle domande delpubblico e degli elettori. I giornali di destra addirittura perchédanno voce a un sentimento profondo, le cosiddette viscere.

A questo punto i giornali di partito cessano la lorofunzione. “L’Unità” cercò una mutazione ponendo il temadella propria autonomia, nel periodo inaugurato da RenzoFoa, o con il proprio spostamento su una linea più radicale,neo-giustizialista, rispetto al partito, la stagione di FurioColombo. Tuttavia era esaurita la funzione storica delgiornale di partito.

Anche le nuove testate, penso ad “Europa”, malgrado labuona fattura, non riescono ad intercettare il grandepubblico, operazione che riesce invece a un giornale senzafinanziamenti pubblici come “Il Fatto” che si sintonizza suun movimento di opinione critico verso il sistema dei partiti.La difesa dello status quo se quindi ha un senso rispetto altema della tutela delle testate storiche, non ha senso rispettoall’evoluzione del sistema che vedrà resistere, nel panoramadell’informazione scritta, poche testate nazionali, alcunetestate locali e quei giornali di nicchia che saprannosopravvivere con le proprie forze o aiutati dal pubblico.

Ma il mondo sta correndo verso altri orizzonti in cuiprevarrà l’on line, che adesso sta esplodendo e che fra qualcheanno selezionerà i più forti. In questa morte ad opera dellarete i giornali pagano un prezzo alla rivoluzione tecnologicama anche alla difficoltà mostrata dal sistema dei media diauto-rigenerarsi.

L’informazione scritta arriva al lettore quando è giàinformato sui fatti e addirittura quando gli opinion leader deigiornali hanno già detto quello che pensano nei talk show. Nonso se la “carta scritta” sta scomparendo, so che il modo didifenderla sa di vecchio e di antico. Non basteranno quattrosoldi dallo Stato a tenere in vita quel che sta morendo.

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n tema di rapporto tra soldi e politica, è nostropreciso dovere riflettere sul caso Lusi. Non ci èpossibile esorcizzarlo. Un caso, sia chiaro, con ilquale il PD non ha nulla a che vedere, ma che nonci esonera da una riflessione di ordine generale

circa i partiti, il loro finanziamento, la destinazione delle lororisorse, le responsabilità nella gestione e nel controllo di esse.

Vi sono precise e manifeste responsabilità personali dirilievo penale in capo al protagonista principe. Di esse si staoccupando la magistratura. Mi limito a una sola osservazione:dimensioni e modi della sottrazione di denaro sono cosìclamorosi da risultare sconcertanti. È persino materia dapsicologi e qui ci fermiamo, per passare alle radici delproblema, per ricavare dal caso Lusi una lezione e unpromemoria. Mettiamo in fila i problemi che esso ci consegna.

Primo: girano troppi soldi. Come per il caso Lega, amonte sta la contraddizione di tesorieri di partito che sitrasformano in operatori finanziari, impegnati a investiredenaro che evidentemente sopravanza il costo delle attivitàpolitiche conformi a legge e fini statutari di partito.

Dunque, in primo luogo, si deve procedere a una curadimagrante, a ridurre sensibilmente il volume dei finanziamenti.Tagli ma anche riforma di essi, nel senso di un di più ditrasparenza, di controlli, di mixaggio tra finanziamentopubblico ed erogazioni liberali (da incentivare, ma fissandolimiti ed assicurando la loro pubblicità), di connessione con lacertificata democraticità della vita interna ai partiti inconformità all’art. 49 della Costituzione. A Dio piacendo,sembra che finalmente si siano avviate in sede parlamentareconcrete iniziative di legge che vanno in tale direzione.

Promemoriasul caso LusiFranco Monacoè senatore del Partito Democratico

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Secondo. Sino a prova contraria, siamo tenuti a credereche i vertici della Margherita nulla sapessero di talidistrazioni e maneggi. Anche se, diciamo la verità,considerate le modalità e le dimensioni del fenomeno, non èfacile convincersene. Resta tuttavia la responsabilità politica(non penale) di chi ha dato fiducia a quell’amministratoreinfedele e, per lunghi anni, lo ha conservato e confermato inquella funzione.

Per statuto e per consuetudine, il tesoriere è persona distretta fiducia del vertice del partito e, più precisamente, delsuo leader. Così notoriamente anche nel nostro caso.

Terzo: il vistoso deficit di controlli interni ed esterni.Quelli interni hanno un nome e un cognome: i revisori deiconti e il Comitato di tesoreria del partito. Quelli esterni siconcretano in quei funzionari della Camera dei deputatipresso la quale la legge prescrive siano depositati i bilanciquale condizione per l’erogazione del finanziamentopubblico. Ora ci informano che il loro potere di controllo èlimitato e che i bilanci erano contraffatti con diabolica abilità.Può essere. Resta tuttavia la domanda: è normale che ascoprire la patologia siano solo a valle i magistrati? Problemacruciale cui urge porre rimedio.

Quarto. Abbiamo premesso che il PD non c’entra. Loconfermiamo. Salvo un peccato d’origine, all’atto della suanascita. Alla fusione politica tra Ds e Margherita non siaccompagnò una fusione altrettanto limpida e compiuta dellerispettive risorse.

Conosciamo la ragione: l’asimmetria delle condizioni. I Dscon un cospicuo debito arretrato accumulato nel tempo, afronte del quale tuttavia essi disponevano di un riccopatrimonio immobiliare confluito in una appositafondazione; la Margherita senza debiti, anzi in attivo, e perconverso priva di un suo patrimonio.

Un problema, un grana che non è stata affrontata. Oggipossiamo dire che fu un errore non impegnarsi a risolverla.Ci sarebbero voluti intelligenza, coraggio, applicazione,vincendo reciproche diffidenze e la resistenza di vecchi“sancta santorum”.

Ma è la politica che deve guidare la cassa, non viceversa, ela politica aveva fatto la scelta audace e saggia dell’unità. Se sifosse seguita quella strada, si sarebbero fatte accurateverifiche, precisi inventari e il tesoriere di un partito discioltonon avrebbe potuto scorrazzare per quattro lunghi anni conassegni e bonifici milionari.

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Quinto: a quanto si è inteso, le risorse non sottratteillecitamente alla Margherita sono state destinate ad attivitàpolitiche di persone e associazioni che fanno capo adesponenti che militavano in quel partito. Destinazioniconformi alle legge.

Ma sulla base di quali criteri? A quanto si è inteso, ledestinazioni erano a totale, assoluta discrezionalità di unocome Lusi. Non il massimo della garanzia. Lo ripeto:finanziamenti leciti se e in quanto finalizzati ad attivitàpolitiche. Si pone tuttavia un serio problema etico epolitico: quello dell’alterazione della competizionedemocratica, della concorrenza sleale, di piccole leadershipcostruite sulla disponibilità privilegiata di risorse.Accessibili ad alcuni e non ad altri.

E ancora: tra costoro figura anche chi ha lasciato il PDper dare vita a iniziative altre e concorrenti, in contrastocon l’approdo politico deliberato formalmente dagliorgani di Margherita e dunque semmai naturaledestinatario di quelle risorse.

Sesto. Una lettura retrospettiva suggerisce che, all’esitomalato, forse non sono estranee la natura e la struttura diMargherita. Non voglio essere frainteso: va fatto salvol’onore di elettori, militanti e dirigenti di quel partito, maquesto non ci esonera da una riflessione critica sulle radicipolitiche della degenerazione, dentro la “costituzionemateriale” di quel partito.

Due in particolare: una leadership marcatamentepersonale e una struttura federativa tra componenti separatee mai per davvero rimescolate dalla politica. Una leadershippersonale che teneva strette a sé la comunicazione e lerisorse; una struttura tripartita di rutelliani, Popolari, ulivisti,tra loro poco o nulla permeabili.

Qualcuno – penso a Gad Lerner – in chiave retrospettivaha sollevato un signor problema evocando il grave erroreoriginato da una sciagurata assemblea di Margherita del 2005che condusse, nel 2006, a liste separate tra Ds e Margheritaanziché alla lista unitaria dell’Ulivo al Senato (con l’assurditàdi due campagne schizofreniche Camera-Senato e il risultatodi due punti percentuali in meno a palazzo Madama, cui nonfu estraneo il calvario del secondo governo Prodi in quelramo del parlamento).

A quel colpevole errore, dicevo, è del tutto estranea la curadi preservare l’autonoma e distinta gestione delle risorse? Intutta franchezza, non so dare una risposta. Credo che a

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FOCUS

quella infelice decisione abbiano condotto semmai velleitariparticolarismi di partito e mediocri ambizioni personali. Nonla cassa. E tuttavia la domanda non è in assoluto peregrina.Resta il fatto che il prezzo pagato a quell’errore politico èstata la caduta del Prodi 2, la bruciante sconfitta del 2008 e itre anni di Berlusconi che sono seguiti. Non è poco.

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Altri Contributi

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politica (e dintorni: in primo luogo i media)che suona più o meno così: non fidatevitroppo. Il libro di Diamanti è dunque unapreziosa occasione per riflettere. Il mondo reale è una cosa complicata. Lescienze sociali, per renderlo comprensibile,lo semplificano. Ed è un lavoro necessario.Ma non prendiamo le semplificazioniprodotte dalle scienze sociali per il mondoreale, che resta pur sempre complicato. Ilproblema è che le semplificazioni dellescienze sociali entrano comunque nelmondo reale e comunque qualcuno leprende sul serio. Di qui Diamanti rivolge uninvito esplicito: alle scienze sociali di esserepiù riflessive e più responsabili, ovveroconsapevoli dei loro limiti. E alla politica dievitare di cadere nella trappola dellesemplificazioni e delle previsioni dellescienze sociali ne fanno seguire. Delle semplificazioni delle scienze socialipotremmo redigere un lunghissimo catalogo. Una tra tutte è quella secondo cui liberarel’economica dai vincoli e dai costi che leimponeva lo Stato l’avrebbe resa più libera eavrebbe favorito lo sviluppo. Stiamo di questitempi scoprendo come le energie sprigionatedall’economia liberata sono finite in

ietro un’apparenzainoffensiva, bonaria,ironica e smilzo pure dipagine, Ilvo Diamantiha scritto un libroferoce (Gramsci, Manzonie mia suocera. Quando gli

esperti sbagliano le previsioni politiche, Il MulinoBologna, 2011). È un libro che, dietrol’apparenza, cela una polemica serrata comepoche contro le scienze sociali e purecontro la politica. A leggere il titolo, e la quarta di copertina, laprima ipotesi che vien da fare è che l’autore,come si usa, parli a suocera perché nuoraintenda, o viceversa. Come si scopreleggendolo, alla suocera il libro riserva unaparte assai più nobile, che è quella di fare dasurrogato ai sondaggisti: è una spia,involontaria, sguinzagliata per scoprire comela pensano gli ordinari esseri umani, inmaniera meno raffinata, ma forse piùattendibile di quanto i sondaggi non facciano. Ciò malgrado, neanche la prima impressioneè del tutto fuori luogo, perché il libro da uncanto si rivolge a quelli che per professionefanno scienze sociali, mentre per un altro, eforse ancor di più, lancia un avvertimento alla

Scienziati sociali,

politici e la suocera

di Ilvo Diamanti

Alfio Mastropaoloè docente di Scienza Politica alla Facoltà di Scienze Politiche di Torino

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speculazione finanziaria, che per mantenere iltenore di vita della gente comune e sostenerei consumi e la domanda, lo Stato si è caricatodi debiti – in qualche paese si sono caricati didebiti invece i privati –, e che alla lunga loStato stesso si trova sottoposto a vincolidrammatici, tanto che non può più aiutarel’economia produttiva, proprio adesso che neavrebbe gran bisogno. Il miraggio dellescienze sociali si è rivelato per quel che era.Nel mondo delle scienze sociali, in realtà, sifanno tantissime cose serie, ma nonmancano neanche paillettes e lustrini, magarisenza che gli scienziati sociali ne sianoconsapevoli appieno. Quello che essiraccontano non è il mondo reale, ma ilmondo per come essi lo leggono, con lentinecessariamente imprecise, le quali necondizionano le capacità di visione. Le lenti sono i valori in cui ciascunoscienziato sociale crede, le sue preferenzepolitiche, le teorie (o i paradigmi) cheadopera e i metodi di ricerca di cui si serve.Questo non significa che il loro sia un lavoroinutile. È anzi un lavoro prezioso, perchécomunque ci aiuta a capire cosa succede nelmondo. Ma è importante sapere in partenzache per uno scienziato sociale, come qualsiasialtro osservatore, le lenti sono una risorsa,non meno di quanto non siano un handicap,giacché consentono solo unarappresentazione parziale del mondo reale.Del resto, rappresentazioni perfettedell’originale notoriamente non esistono. Dove sta il problema? Sta in buona parteanche nel fatto che le rappresentazioni degliscienziati sociali da tempo ormaiimmemorabile – tra Sei e Settecento – hannola pretesa di essere “scientifiche”. Le scienzesociali avanzano la pretesa di raggiungere laverità e, siccome da un tempo esseadoperano lo strumento principe dellascienza, che sono i numeri, esse sipretendono indiscutibilmente scientifiche.

Le smentite che tale pretesa, e le previsioniche ad essa si accompagnano, subisconosono quotidiane. Eppure, le scienze socialifaticano a riconoscersi per quel che sono,cioè un genere letterario (come i gialli, ifotoromanzi, ecc.), sicuramente tarato perdeterminati scopi (diversamente da altreopere letterarie), anziché un sapere ingrado di dettare prescrizioni su comemanipolare il mondo. Ora, il mondo lo si manipola comunque, espesso virtuosamente. Non è necessarioevocare la letteratura politica: Gomorra diSaviano. Sono tanti i libri che hanno lasciatodietro di sé un mondo un po’ diverso daquello che avevano trovato. Ma si può essereanche avvertiti delle proprie limitatezze e sipuò essere presi da deliri di onnipotenza. E

Scienziati sociali,

politici e la suocera

di Ilvo Diamanti

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sociali e anche prescindono da esse. Ma lescienze sociali, la scienza politica in specialmodo, si sono fatte veicolo privilegiato diquesta standardizzazione, che cammina sullegambe dei paradigmi. Naturalmente la standardizzazione promossadalle scienze sociali si accompagna a un motodi standardizzazione effettivo. Se rileggiamogli ultimi settant’anni è stato un moto diamericanizzazione. L’America è diventata ilgrande modello. Donde le scienze socialiarrivano. Non è stato un moto univoco.L’America ha importato moltissimo dal restodel pianeta, le parti del pianeta che si sonoamericanizzate hanno adattato le coseamericane a loro uso e consumo e questiscambi esistono da sempre (nondimentichiamo che la parola jeans arriva daGenova). Non è neanche detto che l’Americadebba far scuola per sempre. Potremmoprima o poi cinesizzarci. Intanto però lescienze sociali, anziché seminare dubbi,propongono certezze.L’altra questione è che la standardizzazione,che è complicata da sempre, è da qualchetempo diventata ancor più complicata.Perché i destinatari non solo recepiscono, amodo loro, ma si sentono pure autorizzati a

resistere. Il moto di standardizzazionepromosso dall’America, e diffuso dallescienze sociali, è ferreo e anchediscretamente pianificato. Ma indossa ipanni del pluralismo e della democrazia.Una volta indossati quei panni, la resistenzadiventa legittima. Siamo in democrazia, che diamine! Se poi ci

quindi, con la pretesa di smentire il sensocomune, come osserva Diamanti, si offendeil buon senso e si perpetrano disastri. Quella che le scienze sociali si sonostoricamente giocate è una partitadelicatissima: la politica le ha viziate e lorohanno accettato le sue attenzioni. Perché noile chiamiamo scienze sociali, ma sono tuttenate come scienze del governo,successivamente articolatesi in economia,sociologia e quant’altro, neanche sempre aservizio del governo in carica, ma taloraanche dei suoi avversari. In ogni casomantenendo la pretesa di essere scienze, inun mondo in cui le scienze esatteavanzavano la pretesa di dire l’ultima parola,a spese di chi l’aveva detta prima, cioè lareligione (o i filosofi). Corroborando da ultimo la loro pretesa coimetodi quantitativi, le scienze sociali sonoriuscite ad accreditarsi nell’accademia epresso la politica, salvo che adesso, quando lescienze esatte stanno radicalmenteripensando il loro statuto, e accettando leproprie inesattezze, troppo spesso le scienzesociali si irrigidiscono. Non capita sempre.Punti di vista problematici non ne mancano.Ma sono minoritari e anche meno ascoltati.

Quello affidato alle scienze sociali – a granparte di esse, almeno – è un servizio distandardizzazione del mondo. Si fa così daqualche parte, in genere in America, qualchevolta in Gran Bretagna, così ha da farsidappertutto. Non c’è niente di male. Imovimenti di standardizzazione sono antichi:pacifici e violenti, precedono le scienze

Nel mondo delle scienze sociali, in realtà, si fanno tantissime cose

serie, ma non mancano neanche paillettes e lustrini, magari senza

che gli scienziati sociali ne siano consapevoli

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aggiungiamo che tra le cose che abbiamolegittimato c’è la sfera locale, c’è la societàcivile, mentre abbiamo delegittimato loStato, i grandi partiti, e via di seguito, quandola sfera locale si oppone, come capita in Valdi Susa, e fa resistenza, non dobbiamostupirci. Dobbiamo stupirci invecedell’ingenuità dei politici e del semplicismodelle scienze sociali, che si concentrano sulleistituzioni e ci spiegano che basta adeguarequelle e tutto si risolve. Purtroppo, i politici,che dovrebbero saperla più lunga, perché lapolitica non la raccontano, ma la vivono, cicascano pure loro. Gli apprendisti stregoni – scienziati sociali euomini politici – sono caduti vittime delleloro alchimie. Fai il tuo sindaco! E, allora,perché non posso fare pure la mia galleria? Ese devo scegliere io il mio premier, se sonoio il sovrano, ma allora le mediazioni deipolitici, che di questi tempi per giunta noncombinano niente di buono, un po’ percolpa loro, ma molto in ragione dellecircostanze, che sono assai impervie, nonservono più. Non pretendo di far politica io,ma sono pronto a dar fiducia al mio vicinodi casa, che è giovane (come prescriveun’altra regola di successo), è un granlavoratore e promette di non arricchirsi aspese della collettività e dunque mie. Beppe Grillo è figlio non di umoriantipolitici, bensì proprio di questo spirito: diumori molto politici, che sono stati piegatidalle idee messe in circolo dalla politica stessae dalle scienze sociali. E dire che lo si sapeva.Prima di lui, figlio di questi umori era pure ilsuccesso di Bossi. Questi sono i disastri dellapretesa democrazia immediata. Un po’inevitabili, perché il mondo è cambiato e lademocrazia rappresentativa non basta più.Ma un po’ evitabili, se si fosse usato un po’ dibuon senso. A promettere i miracoli,qualcuno ci crede. Già, e magari si sarebbero utilizzati i media

con un po’ più di cautela. I media hannocambiato la competizione politica, hannocambiato il modo di fruirla (ma solo per unaparte del pubblico), hanno suscitato,giustamente osserva Diamanti, l’illusionedell’immediatezza. Ma, a ben vedere, gli orientamenti di votosono sempre gli stessi, mentre gli elettori,quelli che fruiscono i media attivamente –perché ci sono anche i fruitori passivi –sono diventati più esigenti: incalzano ipolitici da vicino, si trincerano nel non-voto,votano a dispetto. Al contempo, tuttavia, èraro che gli elettori si smentiscano, chesmentiscano le proprie opzioni dischieramento, che sono ben sedimentate – iconvertiti, in politica come nella sferareligiosa, sono sempre pochi – ma sonoinsofferenti e ben più irritabili che in passato. E coi sistemi elettorali binari che si èpensato bene di introdurre bastano unpugno di irritati a cambiare il risultato (fral’altro: non tiriamo conclusioni affrettatedalle amministrative. Alle amministrativespesso di scherza, alle politiche si fa sulserio… Si fa gran parlare del risultato diPalermo: se guardiamo alle liste, quelle dicentrosinistra non hanno ottenuto neancheil 35 per cento, il 60 è andato al centro e alcentrodestra. Cosa avrebbe fatto ilcentrosinistra senza il traino di Orlando? Ecosa capiterà alle politiche?)I politici sono dunque un po’ ingenui,credendo di fare i furbi. Prendono permondo reale il mondo che gli raccontano gliscienziati sociali – di solito quelli che diconocose che piace loro sentirsi dire – salvo poiscoprire che le previsioni erano sbagliate.Cercano la pietra filosofale che faccia lorovincere le elezioni senza troppa fatica emagari li faccia governare senza intoppi,liberandoli a un tempo dei loro concorrentipolitici e delle troppe pretese dei cittadini.Solo che la pietra filosofale non c’è. Lo

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scopriranno presto anche i sindaci delMovimento 5 Stelle: non basta essere nuovi eonesti per governare un comune e persoddisfare gli elettoriSi potrebbe continuare con gli esempi.Diamanti si sofferma sul partito personale. Esottolinea come le nuove tecnologiemediatiche abbiano personalizzato lacompetizione politica, trasformandola nonpoco. Se non che, una cosa è un partito cheappone sulle sue insegne l’effigie di unpersonaggio, ne riempie i cartellonipubblicitari e satura gli spot televisivi, altracosa è pensare che il partito sia pertinenzapersonale di quell’individuo. Anche in uncaso molto particolare come quello di ForzaItalia, poi Pdl, di un partito che è nato suiniziativa di un individuo, che ci ha investitomassicciamente del suo, il partito restacomunque un’intrapresa collettiva: è unamacchina complessa, che richiede un’accuratadivisione del lavoro, competenze moltoraffinate, staff e line e quant’altro. Basterebbe andare a vedere con un po’d’attenzione cosa capita al livello locale.Forza Italia per osservare che il kit delcandidato è stato sì molto scenografico, mache il partito per radicarsi ha dovutoincorporare le reti politiche locali che giàc’erano. Qualcuno ha parlato, non a torto, diun partito in franchising. In ogni caso, nelle sueinterazioni con gli elettori, Forza Italia si èpresto preoccupata con molto scrupolo diriattivare i bacini elettorali della Dc e deglialtri partiti di centro. Gli elettori, si è detto,sono inerziali. Ci vuole del bello e del buono per farlimuovere. Il gruppo dirigente di Forza Italiaha presto capito che la sua prima sfida eraquella di apparire il più legittimo erede dellaDc. Inizialmente l’ha fatto soprattutto sulpiano dell’immagine: siamo nuovi, ma siamoanche la nuova Dc, il decisivo baluardocontro i comunisti. E poi con sempre più

convinzione l’ha fatto in termini di quadridirigenti. Il ceto dirigente locale di ForzaItalia, e ora del Pdl, è in grandissima partearrivato dalla vecchia Dc e dai suoi dintorni.Qual è il paradosso? Che la fiaba del partitopersonale, che era solo una battuta diNorberto Bobbio, l’hanno presa in tanti sulserio. L’ha presa sul serio il Pd, che pure è unpartito strutturato, andando a caccia dipersonaggi – del Berlusconi di sinistra, adesempio, senza mai trovarlo – e la staprendendo troppo sul serio lo stesso Pdl, cherischia di sfasciarsi, adesso che la stella diBerlusconi si è appannata, quando invecedovrebbe serrare le fila e prendere atto dellasua natura di impresa collettiva. In questa sede potrebbe apparire un consigliodato al nemico. Il Pdl non è granché, anzi èuna brutta cosa, per più di un motivo. Maforse bisognerebbe pensare che se si sfascia,è alquanto improbabile che il centrosinistrase ne giovi. A rimpiazzarlo potrebbe anchevenire di peggio. E pertanto bisognerebbeanzitutto puntare a irrobustire il Pd (e leformazioni politiche che gli sono contigue). Ipartiti non si improvvisano. Sono il frutto diun lungo, umile, defatigante lavoro diorganizzazione e di messa a punto simbolica.E forse sono proprio loro – quellidemocratici – la principale difesa su cui lademocrazia può contare.

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politiche neoliberiste, gli aggregati urbaniassumono una nuova e maggiore centralitànella vita nazionale ed europea. Pertanto il programma del PD perricostruire l’Italia e per contrastarne ildeclino, dovrà partire necessariamente dallecittà e dovrà farlo innovando, affermandocioè una nuova idea di città: sostenibile,intelligente, accessibile, inclusiva e bella.Perché è proprio dai livelli di governo piùvicini ai cittadini e dalla loro partecipazioneche può essere ricostruito e sostenuto un“nuovo civismo” che rappresenta l’energiapulita per ridare futuro all’intero Paese.

Le responsabilità delle destreNella lunga fase neoliberista le città sonostate sempre più sole nell’organizzazionedel territorio e del welfare locale, nelleemergenze, nella realizzazione diinfrastrutture e servizi, essenziali per losviluppo economico e la coesione sociale,fenomeno aggravatosi soprattuttonell’attuale drammatica fase. In tanti casi igoverni locali guidati dal centrodestra nonsono stati all’altezza del compito,generando sprechi, inefficienze e logicheclientelari, abusando delle risorse naturali. Nell’ultimo decennio, tagli lineari e ripetutidei trasferimenti statali, una fiscalità localeprecaria, l’erosione dell’autonomia locale,

uando come ForumAmbiente del PDabbiamo avviato unariflessione sulrinnovamento dellepolitiche urbane e sullanecessità di dotare il

nostro paese di una politica nazionale per lecittà, non pensavamo certo di scriverne eragionarne con “Tam Tam” nel mezzo diuna dolorosa tragedia prodotta dalterremoto nelle terre emiliane. La solidarietà è già in forte movimento e gliinterventi di emergenza sono d’obbligo: lepopolazioni non possono rimanere solecon le proprie paure e bisogni, le attivitàeconomia non si debbono fermare. Le realtà urbane italiane, piccole e grandi,sono una straordinaria risorsa umana,economica, storico-culturale ed ecologica,generatrici di energie creative, di capitalesociale, di cultura e saperi. Ma il territoriosu cui insistono è fragile. Da questaconsiderazione generale proponiamo unariflessione e delle proposte.Condividendo l’ispirazione del dibattitopromosso dalla rivista, crediamo cheoccorra ragionare sul ruolo dei centriurbani oggi. La considerazione di fondo èche di fronte alla necessità di superare glieffetti drammatici della recessione e delle

Dalle città per far

ripartire l’ItaliaSergio Gentili è Coordinatore Forum Politiche ambientali Partito Democratico

Vanni Bulgarelliè esponente del Forum Politiche ambientali Partito Democratico

Q

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disordine normativo e assenza di strategienazionali hanno colpito i comuni, spessopenalizzando i più attivi. Questo è stato ilfederalismo ideologico e inconcludentedella Lega e del PdL, che con il localismoegoista e con il centralismo hanno negato lafunzione nazionale delle città.

Una società ecologica urbanaQuestione urbana, economica, sociale edecologica s’intrecciano. Vanno per questosuperati interventi settoriali, disorganici ediscontinui per affermare una visioneintegrata del governo urbano e di area vasta. Le città non sono solo i luoghi delconsumo intensivo di risorse,dell’inquinamento, ma sono storicamente ilmodo più efficace di organizzare su grandescala la vita e le attività umane. Per questosono soggetti primi e decisivi nellaricostruzione/cambiamento per una societàecologica. Tante città, anche in Italia, hannoscelto già politiche innovative di tutela deibeni comuni, dell’aria, del suolo, delterritorio, del patrimonio artistico da cuisono emerse nuove opportunitàeconomiche, lavorative e sociali.

Un nuovo rapporto tra urbanesimo, tutelae promozione del capitale naturale esociale, è necessario anche per la credibilitàdel brand Italia, fatto di paesaggi e bellezzadelle città, di tipicità e cultura nelleproduzioni agro-alimentari, di creativitànella manifattura, di valore del suopatrimonio storico-culturale, che vamantenuto e in più punti ricostruito. Laleva con cui operare è l’economia

ecologica, la green economy. Solo per questa via sarà possibile alle cittàcogliere le grandi opportunità checomporta correggere le storture di unosviluppo che ha spezzato il rapporto città-campagna, consumato risorse naturalioltre limiti sostenibili. La recente proposta del Governo Monti diun “Piano per le città” va nella direzionegiusta e va resa una politica nazionalecoerente e centrale, dovrà essere messa asistema, oltre la logica delle “operepubbliche”.

Le città motore della ripresa economicasostenibileL’economia urbana è stata a lungo ostaggiodella rendita immobiliare, organica allaspeculazione finanziaria. Lafinanziarizzazione ha penalizzatol’economia reale, l’innovazione, il welfare el’ambiente. Questo meccanismo speculativova rovesciato. Le priorità sono altre. Sono la ripresa economica e l’occupazione,soprattutto di giovani e donne. Siamoconvinti che con un programma nazionaledi rigenerazione delle città, grandi e

piccole, sia possibile contribuire ad unanuova politica industriale per il Paese,incentrata sull’innovazione ecologica deiprodotti e dei processi. L’attuazione di nuovi indirizzi nel governourbano (territorio, acqua, rifiuti, energiaimmobili, mobilità, biodiversità), ha comeconseguenza la ripresa economica e delleimprese, la creazione di migliaia di nuoviposti di lavoro, la formazione e lo

In tanti casi i governi locali guidati dal centrodestra non sono stati

all’altezza del compito, generando sprechi, inefficienze e logiche

clientelari, abusando delle risorse naturali

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delle emissioni di CO2 e l’adattamento alcambiamento climatico, come contributo alrelativo Piano nazionale;d) le politiche urbanistiche, ambientali e perla mobilità e l’accessibilità delle città vannoposte al servizio di una strategia generale. Ilgoverno del territorio e delletrasformazioni urbane è un punto crucialeper l’insieme delle azioni di sostegno allaqualità dello sviluppo delle città e del Paese.

Resta indispensabile una riformaurbanistica. Si pone tuttavia, in terministringenti, l’approvazione di alcuniprovvedimenti per dotare i comuni distrumenti più adeguati. Una revisionedelle norme fiscali, premianti gliinterventi sui suoli già urbanizzati,riportando gli oneri urbanistici alla lorooriginaria destinazione. Occorre poi sancire, con norma nazionale, imeccanismi di perequazione ecompensazione previsti in diverse regioni,rafforzandone l’efficacia giuridica,introducendo il principio dellacompensazione ambientale. È necessariorilanciare l’edilizia residenziale pubblicadestinata all’affitto e il social housing,attivando innovativi strumenti finanziari egestionali.

Risorse per una politica integrataLo stato dei conti pubblici non consentemassicci investimenti e minore pressionefiscale. Tuttavia, è comunque indispensabileaiutare i comuni per il pieno utilizzo dei fondicomunitari. Anche il fondo rotativo di600milioni, per gli obiettivi di Kyoto vaaumentato e stabilizzato e impiegato ancheper le aree urbane e ad esso va affiancata lacreazione di fondi di investimento privato ecooperativo, non speculativo, per concorrerea sostenere specifici interventi e nellaformazione delle figure professionali richieste

sviluppo della ricerca.Le proposte che riteniamo essenziali peruna “road map” contro la recessione e perla ricostruzione sostenibile riguardano:

a) il monitoraggio del patrimonioimmobiliare e della rete idraulica urbana; lariqualificazione e rigenerazione urbana, perridurre il consumo di suolo; lavalorizzazione del patrimonio immobiliarestatale, da condurre insieme tra Stato ecittà; un programma di bonifica erisanamento dei siti industriali dismessi,spesso collocati in posizioni urbanestrategiche; reti tecnologiche e digitali (smartgrid), al servizio di cittadini e imprese, e perla mobilità sostenibile; servizi ambientali edenergetici intelligenti, stimolandoinvestimenti pubblici e privati, per fare retidi città intelligenti; vanno resi stabili gliincentivi fiscali a favore di chi investenell’efficienza energetica degli edifici, negliinterventi antisismici (le recenti decisionidel Governo sugli incentivi vanno nellagiusta direzione); un allentamento selettivodel patto di stabilità interno, per consentireinvestimenti nell’efficienza energetica degliedifici pubblici, nella loro messa insicurezza e nella manutenzione e difesa delterritorio;b) il superamento della contrapposizione traStato e comuni per completare il disegno diun mercato sociale dei servizi pubblicilocali, senza svendere le aziende pubbliche,in particolare quelle del servizio idricointegrato, ma rafforzandone competitività,integrazione, efficienza e adeguando isistemi di regolazione e controllo pubblico;attuare le linee comunitarie nella gestionedei rifiuti, per costruire una società delrecupero e del riciclo;c) più in generale, il miglioramento delleprestazioni ambientali delle cittàsostenendo i Piani locali per la riduzione

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dalla crescita della urban green economy.

Per un vero federalismo e ilrinnovamento partecipativo dellademocraziaLe amministrazioni locali, sollecitate daconsistenti e frammentate domande deicittadini, pur tra limiti e distorsioni anchegravi, si fanno carico e spesso rispondonoattivamente. Il PD sostiene questa azione egli amministratori che la interpretano. Ora,grazie anche al brillante risultato ottenutoin tante città dalle liste del centrosinistra edel PD, si impone una evoluzionequalitativa e quantitativa delle politichelocali. La governance dei territori, lapartecipazione dei cittadini e lariorganizzazione istituzionale eamministrativa degli enti locali sono punticruciali, per praticare una forte innovazione

nella gestione della “cosa pubblica”. Ciò implica di superare i municipalismi. Inparticolare la pianificazione territoriale deveassumere a riferimento l’area vasta,eliminando stratificazioni normative,intrecci perversi di competenze e livellidecisionali. Occorre sostenere le unioni tracomuni o la loro fusione, per gestire iservizi e realizzare programmi d’area,ottenendo economie di scala, piùtrasparenza e competenza tecnica.Nell’agenda politica del Governo e delParlamento deve per questo entrare conforza l’idea di un patto con le città, cheintegri quello di stabilità interno, solofinanziario e restrittivo, con politicheattive per la crescita e lo sviluppo, che lecittà possono attuare, se adeguatamenteaiutate e coinvolte in un progettonazionale di rinascita.

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