sergio zavoli - la notte della repubblica

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I Sergio Zavoli. LA NOTTE DELLA REPUBBLICA. NUOVA ERI ARNOLDO MONDADORI EDITORE Dello stesso autore Nella Collezione Scrittori Italiani Romanza Nella Collezione Arcobaleno Socialista di Dio Nella Collezione Ingrandimenti Zeta come Zavoli Nella Collezione Oscar Nascita di una dittatura Romanza Socialista di Dio ISBN 88-04-33909-8 (c) 1992 Nuova Eri, Roma /Arnaldo Mondadorì Editori S.p.A., Milano I edizione gennaio 1992 III edizione marzo 1992 SOMMARIO 3 Introduzione 15 I Prologo: Italia anni Sessanta - Una società divisa e in- quieta - Rumore di sciabole: il "Piano Solo" 27 II La scalata al ciclo: contestazione giovanile e protesta operaia - II centrosinistra in crisi Interviste a Mario Capanna e Giampiero Mughini, 37 47 III La bomba a piazza Fontana: anarchica o nera? O di chi altro? Depistaggi e inquinamenti Intervista a Corrado Stajano, 47 Internista a Pietro Valpreda, 60 Intervista a Stefano Delle Ghiaie, 64 71 IV Nascono le Brigate rosse: "Colpiscine uno per educarne cento" Intervista ad Alfredo Bonavita, 88 i 98 V Br, un progetto di guerra civile - Dalla propaganda armata alla lotta armata: le prime vittime Interviste a Canada Alunni, Paola Besuschio, Franco Bonisoli, Alberto France- schini, Mario Moretti, Patrizio Peci, Pierluigi Zuffada, 103 ^24 VI La minaccia da destra: golpe e golpisti - "Torà-Torà!", "Boia chi molla!", "Rosa dei Venti" - QuelTautobomba a Peteano Interviste, ad Antonio Labrum eAmos Spiazzi, 139 154 VII "Attacco al cuore dello Stato" - I magistrati nel mirino dei brigatisti - Sossi rapito e rilasciato - Coco, l'intransigente, ucciso Intervista con il Presidente Giovanni Leone, 160 Interviste a Mario Sossi e Al berta Francescani, 166 Vili Piazza della Loggia, un eccidio mirato - II mistero del treno Italicus - "Questi sono i burattini, chi è il buratti- 177 naio.''" Intervista a Franco Castrezzati, 177 Intervista a Vincenzo Vinciguerra, 190 199 IX Le teste dell'idra: le nuove Br - "Pagherete caro, pagherete tutto" Intervista a Enrico Fenzi, 213 Interviste a Corrado Alunni e Mario Moretti, 226 229 X Un'eruzione sociale: i movimenti del Settantasette -Lotta continua, Potere operaio, Autonomia - II processo del 7 aprile e il "teorema" contestato Interviste ad Aldo Natoli, Luciano Lama ed Emilia Vesce, 249 Intervista a Toni Negri, 257 269 XI La tragedia di Aldo Moro: agguato a via Fani - II "fronte della fermezza" Intervista a Franco Doniseli, 285 295 XII La tragedia di Aldo Moro: lotta per la vita nel carcere delle Br e la condanna a morte - II papa in Laterano: "Signore, tu non hai esaudito la nostra supplica" Intervista a Mario Moretti, 317 331 XIII La tragedia di Aldo Moro: i racconti dei brigatisti. Poteva salvarsi? - L'ultima intervista di Zaccagnini - Santia-pichi: il "mestiere di giudicare"

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Page 1: Sergio Zavoli - La Notte Della Repubblica

I

Sergio Zavoli. LA NOTTE DELLA REPUBBLICA.

NUOVAERIARNOLDO MONDADORI EDITORE

Dello stesso autoreNella Collezione Scrittori Italiani RomanzaNella Collezione Arcobaleno Socialista di DioNella Collezione Ingrandimenti Zeta come ZavoliNella Collezione Oscar Nascita di una dittaturaRomanza Socialista di DioISBN 88-04-33909-8(c) 1992 Nuova Eri, Roma /Arnaldo Mondadorì Editori S.p.A., MilanoI edizione gennaio 1992 III edizione marzo 1992

SOMMARIO3 Introduzione15 I Prologo: Italia anni Sessanta - Una società divisa e in-quieta - Rumore di sciabole: il "Piano Solo"27 II La scalata al ciclo: contestazione giovanile e protesta operaia -II centrosinistra in crisi Interviste a Mario Capanna e Giampiero Mughini, 3747 III La bomba a piazza Fontana: anarchica o nera? O di chi altro?Depistaggi e inquinamentiIntervista a Corrado Stajano, 47 Internista a Pietro Valpreda, 60 Intervistaa Stefano Delle Ghiaie, 6471 IV Nascono le Brigate rosse: "Colpiscine uno per educarne cento"Intervista ad Alfredo Bonavita, 88i 98 V Br, un progetto di guerra civile - Dalla propaganda armata alla lottaarmata: le prime vittimeInterviste a Canada Alunni, Paola Besuschio, Franco Bonisoli, Alberto France-schini, Mario Moretti, Patrizio Peci, Pierluigi Zuffada, 103^24 VI La minaccia da destra: golpe e golpisti - "Torà-Torà!", "Boia chimolla!", "Rosa dei Venti" - QuelTautobomba a PeteanoInterviste, ad Antonio Labrum eAmos Spiazzi, 139154 VII "Attacco al cuore dello Stato" - I magistrati nel mirino dei brigatisti- Sossi rapito e rilasciato - Coco, l'intransigente, uccisoIntervista con il Presidente Giovanni Leone, 160 Interviste a Mario Sossi e Alberta Francescani, 166

Vili Piazza della Loggia, un eccidio mirato - II mistero del treno Italicus -"Questi sono i burattini, chi è il buratti-177naio.''"Intervista a Franco Castrezzati, 177 Intervista a Vincenzo Vinciguerra, 190199 IX Le teste dell'idra: le nuove Br - "Pagherete caro, pagherete tutto"Intervista a Enrico Fenzi, 213 Interviste a Corrado Alunni e Mario Moretti, 226229 X Un'eruzione sociale: i movimenti del Settantasette -Lotta continua, Potereoperaio, Autonomia - II processo del 7 aprile e il "teorema" contestatoInterviste ad Aldo Natoli, Luciano Lama ed Emilia Vesce, 249 Intervista a ToniNegri, 257269 XI La tragedia di Aldo Moro: agguato a via Fani - II "fronte della fermezza"Intervista a Franco Doniseli, 285295 XII La tragedia di Aldo Moro: lotta per la vita nel carcere delle Br e lacondanna a morte - II papa in Laterano: "Signore, tu non hai esaudito la nostrasupplica"Intervista a Mario Moretti, 317331 XIII La tragedia di Aldo Moro: i racconti dei brigatisti. Poteva salvarsi? -L'ultima intervista di Zaccagnini - Santia-pichi: il "mestiere di giudicare"

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Interviste a Corrado Alunni, Paola Besuschio, Alfredo Bonavita, Enrico Fenzi,Mario Ferrandi, Alberto Francescani, 331 Intervista a Benigno Zaccagnini, 340Intervista a Severino Santiapichi, 347 Intervista a Giulio Andreotti, 352365 XIV La meteora violenta di Prima linea - Una raffica di arresti, abbandoni epentimenti; poi la resaInterviste a Enrico Buglioni, Maurizio Costa, Mario Ferrandi, Roberto Rosso,Silveria Russo, Sergio Segio, Claudio Zan, 369389 XV La muraglia è incrinata: il primo pentito - D'Urso, l'ostaggio salvatodal "fronte della trattativa"Interviste ad Alfredo Bonavita, Enrico Fenzi, Alberto Francese/lini, PatrizioPeci, Roberto Rosso, 405 Interviste a danni Letta e Giuliano Zincane, 411417 XVI Sulla scacchiera "il nero muove": l'eversione neofascista - Chi copre ivari scenari del terrore? - Strage alla stazione di BolognaIntervista a Torquato Secci, 419 Intervista a Francesco Mambro e Valerio Fio-ravanti. 435

451 XVII II terrorismo sconfitto - Fine di una rivoluzione senza popoloIntervista ad Alfredo Bonavita, Alberto Francese/lini, Enrico Fenzi e PatrizioPeci, 463475 XVIII Epilogo: dopo l'emergenza - Ciò che tocca allo Stato. E a noi?Interviste a Enrico Baglioni, Paola Besuschio, Franco Bonisoli, Giulia Barelli,Maurizio Costa, Enrico Fenzi, Mario Ferrandi, Alberto Francese/lini, EnricoGalmozzi, Mario Moretti, Roberto Rosso, Silveria Russo, Sergio Segio, PierluigiZuffada, 488503 509 523Nota dell'Autore Bibliografia Indice dei nomi

LA NOTTE DELLA REPUBBLICA

INTRODUZIONENelle pagine che seguono troverete la storia del terrorismo italiano dalla suanascita alla sua sconfitta: la prova più lunga, difficile e cruenta che lasocietà civile e le istituzioni abbiano affrontato in epoca repubblicana.Il racconto abbraccia i venti anni, tra il '69 e l'89, nei quali si decise lasorte stessa dei giorni che stiamo vivendo. La nostra democrazia - investita daun'ondata di violenza del tutto nuova, per intensità e durata, nel mondooccidentale - ha rischiato non di perire, ma di pagare la sua sopravvivenza conla riduzione della libertà, a scapito dei principi su cui si fonda.Questa ricostruzione ha preso forma secondo i metodi del lavoro giornalistico,cioè muovendo dalla cronaca e autenticandola con le testimonianze di "chic'era"; il che parrebbe inconciliabile con quell'idea della storia che lavorrebbe credibile solo quando si è decantata nel tempo. A una storia appenapreceduta dalla cronaca, e non da altre opere di sintesi critica e di analisidei fatti e delle fonti, si addebita infatti la mancanza di quel distacco che èconsiderato come la fondamentale premessa dell'imparzialità. Ciò non è semprevero: non mancano esempi illustri di storie che trattano di eventi lontani etuttavia sedimentati in modo parziale o tendenzioso; e di altre, al contrario,avvantaggiate dal fatto che lo storico abbia avuto conoscenza diretta di uominie cose vivendo quel tempo e respirando, per così dire, quell'aria.E il caso, consentite qualche citazione sproporzionata, di Tu-cidide, il qualedichiara di "avere vissuto per intero la guerra del Peloponneso"; di BasiiLiddell Hart, il grande storico militare, che si rammaricava di avere adisposizione, per uno stu-

4 Sergio Zavolidio sulla prima guerra mondiale, solo autobiografie e memorie dalle qualiapprendeva ciò che gli autori pensavano e sentivano dopo, e non durante, gliavvenimenti; e che perciò, alla fine del secondo conflitto mondiale, si risolsea raccogliere le testimonianze dei capi militari, vincitori e vinti; di WilliamShirer per il terzo Reich, e di Arthur Schlesinger Jr. per i mille giorni diKennedy, l'uno e l'altro testimoni dei fatti che narrano: come corrispondentedalla Germania di Hitler, il primo, e quale consigliere del presidente degliStati Uniti, il secondo; e, ancora, dell'opera di Paul Ginsborg sull'Italia del

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dopoguerra, in cui la trattazione dei grandi temi politici, economici e socialisi vale anche dei ricordi individuali, non di rado di gente comune.Certo, la vera e grande difficoltà della storia fatta a ridosso dei fatti chenarra sta nel raccogliere, ordinare e stendere la materia necessaria;soprattutto quando, come nel caso nostro, dovendo abbracciare un periodo dicirca vent'anni, essa è non solo ingente, ma dispersa in mille rivoli. Se questadifficoltà è stata vinta lo si deve al privilegio avuto da chi scrive di potercontare su una équipe agguerrita di collaboratori e di consulenti che halavorato quasi ininterrottamente per due anni, un impegno del tutto fuori dellaportata di organismi diversi dal servizio pubblico radiotelevisivo. Un onereche, ancora in chiave di "servizio", la Nuova Eri a sua volta si assumecondividendolo con Mondadori nella forma di libro che l'inchiesta qui prende.Quanto alla ricerca di documenti e immagini, essa è stata condotta presso ipartiti, il sindacato, le associazioni, i privati, le fondazioni, nella tecacentrale e in quelle regionali della Rai.Alle scoperte, frutto della perizia dei ricercatori, si devono aggiungere alcunirinvenimenti fortunati; spezzoni in "superotto" delle manifestazioni di piazzadel 1977 erano addirittura finiti sui banchi del mercato romano di PortaPortese; un "filmino" girato alla stazione di Bologna da un turista svizzero diritorno dalle vacanze, che coglie l'improvviso passaggio dalla normalità allatragica esplosione, era nascosto in un archivio giudiziario.Più di mille ore di filmati hanno fornito il tessuto narrativo organizzato perimmagini. Una miriade di particolari ha contribuito a conferire al racconto unragionevole grado di preci-

La notte della Repubblica 5sione, tanto da poter azzardare che ogni frase, vorrei dire ogni parola, troviriscontro in un documento, magari minimo, passato al vaglio di una scrupolosaconvalida. Nella ricostruzione non c'è niente che sia il prodotto di illazioni ocongetture, e nella cernita dell'imponente massa di materiali si è cercato dinon omettere nulla che fosse significativo. Il criterio guida si rifa allacelebre definizione che Leopold von Ranke, un grande maestro dell'Ottocento,diede del compito della Storia: accertare e riferire, "wie es eigentlich gewesenist", ciò che realmente è accaduto. Definizione a prima vista ovvia, e persinobanale, ma che in realtà indica un obiettivo difficilmente raggiungibile. Nefummo subito consapevoli, sin da quando con Leonardo Valente e Paolo Graldigettai le basi del progetto, risolvendoci a tentare.Le vicende degli "anni di piombo" sono dunque narrate non secondo il punto divista di chi guardi dall'alto il loro sviluppo, quasi fosse tracciato su unaproiezione cartografica, ma mettendoci, invece, allo stesso livello di chi lipercorse - fossero individui, o gruppi, o la società intera - e scoprendo viavia ciò che si celava al di là dell'orizzonte visibile. Al contrario di quantoraccomandava Cromwell, che "nessuno va così lontano come chi non sa dove staandando", ci siamo dati una bussola rigorosa e obbligante che indirizzassesoltanto verso i fatti, seppure disseminati come tanti atolli in un maresterminato.Proprio per procedere insieme con i protagonisti e i testimoni degliavvenimenti, parte rilevante, caratteristica e originale della ricostruzionesono i loro racconti, fermati in quarantacinque lunghe interviste e in centinaiadi brevi dichiarazioni. Non sono parentesi, mere illustrazioni del racconto, macomponenti dell'impianto narrativo, ciascuna con la sua necessità. La strutturaa cui, per qualche verso, l'ordito generale assomiglia di più è quella dellascena antica: il messo che annuncia, i protagonisti, il coro. Ma la somiglianzàsi ferma qui. Se la forma non è quella tradizionale della storia semplicementenarrata, e ha invece un andamento drammatico, non di meno abbiamo cercato ditenerci ai metodi dell'indagine storiografica, perseguita secondo le regole ditale disciplina.Avevo sperimentato questa formula in Nascita di una dittatura,

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un ciclo televisivo, poi trasposto in volume, sulla presa del potere da parte diBenito Mussolini. L'analisi che ne fece allora il più autorevole storico delfascismo, Renzo De Felice, è appropriata anche per la La notte della Repubblica."Con tutti i suoi limiti, oggettivi e soggettivi (in primo luogo di doversimuovere su un numero limitato di testimoni, quelli ancora viventi, non tuttiugualmente rappresentativi ed omogenei tra loro) la formula dell'intervistadiretta ha (oltre a quella giornalistico-spet-tacolare) questa risorsa: consenteallo spettatore di essere messo a contatto, direttamente, con tutte le tesi ingioco e di confrontare alle fonti i vari punti di vista. " Se ne ricaverà,sembra dire De Felice, un'idea corretta non solo sui significati complessividella vicenda, ma anche su come in essa agirono persone e gruppi, protagonisti ecomparse, eventi specifici e circostanze collaterali, fatti minimi efondamentali, situazioni singole e scenari: permetterà cioè di partecipare conuna sorta di contestualità alla ricostruzione dei fatti senza trovarsi nellacondizione di dovere soltanto recepire, più o meno passivamente, le conclusionialle quali altri è pervenuto. "Né va sottovalutato" aggiunge lo storico "unaltro merito della formula adottata dall'autore: il ricorso alle intervisteconsente, da un lato, di ricostruire stati d'animo, motivazioni politiche,retroscena, che furono alla radice delle vicende di mezzo secolo fa; da un altrolato offre anche la possibilità di stabilire, almeno in prima approssimazione,l'eventuale ripensamento critico che di quelle vicende, e delle loro motivazionid'allora, i protagonisti sono (o non sono) oggi in grado di fare. "Quando fu realizzato Nascita di una dittatura si era alla fine degli anniSessanta, il fascismo era ancora circondato da una sorta di nimbo mitologico.Per la prima volta al come e al perché delle sue origini si tentò di risponderemettendo a confronto le opinioni di fascisti e antifascisti, sindacalisti ed excombattenti, squadristi e intellettuali, monarchici e repubblicani, popolari ecomunisti, socialisti e liberali, invitando con quella partecipazione insiemevaria, aperta e provocante alla lettura razionale di un nodo cruciale dellanostra storia. "Divulgazione storica ed educazione civile in termini nuovi" ladefinì De Felice "nei termini più producenti e aderenti ad una delle esigenzepiù sen-

La notte della Repùbblica 7tite dagli uomini e soprattutto dai giovani d'oggi: essere informati conprecisione e compiutezza sugli avvenimenti che sono alla radice dell'attualesituazione italiana, senza per questo dover necessariamente accettare unadeterminata spiegazione di tali avvenimenti, ma al contrario essere messi nellacondizione di farsi su di essi una propria idea e di darne una propria valu-tazione. Che è poi l'unico modo di fare una vera opera di divulgazione storicamoderna, spregiudicata e in grado di tradur-si in un concreto apporto allacoscienza civile e politica di un Paese che ha dimostrato e dimostra di meritarefiducia nel suo senso di responsabilità e nella sua autocoscienza democratica, edi essere stanco delle verità rivelate, delle spiegazioni unilaterali e diparte."Lo storico dava un giudizio inedito sulle interviste orali; esse, diceva, "hannoun valore documentario che travalica di molto i confini della divulgazionestorica e sconfina spesso in quello della documentazione vera e propria:costituiscono cioè delle vere e proprie fonti anche per lo storicoprofessionale. Da qui la loro importanza e da qui l'opportunità di consegnarlecon precisione alle stampe in maniera di metterle definitivamente a disposizionedegli storici attuali e futuri". "Chi scrive" aggiunge De Felice "non è certo unpatito dell'ora/ history; al contrario, è convinto che le fonti orali nonpossano avere che un valore sussidiario rispetto a quelle coeve. Nascita di unadittatura prova però, concretamente, quanto le fonti orali possano contribuire,se opportunamente vagliate e criticamente trattate, a chiarire posizioni evicende particolari. E dimostra l'estrema utilità di insistere sulla via diraccogliere quante più testimonianze orali è possibile." Chi sa se nell'auspiciopossono comprendersi le parole di quell'anziana donna ebrea che perse a Dachaututti i suoi cari - e sfuggì non si sa come alla camera a gas - la quale hadetto di voler vivere a lungo perché, morto chi vide l'Olocausto, nessuno potràpiù rendere credibile quel crimine immane, neppure il più grande degli storici odegli scrittori o dei poeti. Un giorno, voleva dire, tutto si perderà

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nell'affabulazio-ne ideologica, in qualche mitologia, se non addirittura nellamemoria ingenua dei cantastorie. Saul Bellow scrisse che "bisogna dimenticarsidi ricordare": non riesco ad avere questa idea

8Sergio Zavolisfiduciata del ricordo, e anzi mi conformo a Tullia Zevi quando dice che"bisogna senza tregua testimoniare e trasmettere la memoria".La lunga citazione di De Felice mi sembra giustificata dai molti nessi esistentifra l'esperienza di Nascita dì una dittatura e il trattamento delle fonti oraliper La notte della Repubblica. E qui forse va precisato che, mentre la "storiaorale" comprende anche la registrazione del vissuto quotidiano, generico eacritico di soggetti minori - materiale non di rado grezzo e appena articolato -nel nostro lavoro l'intervista ha invece lo scopo di mettere a fuoco unapersonalità con le motivazioni coscienti del suo agire, con il suo giudicare egiustificarsi in base all'influenza esercitata non solo dall'ideologia e dallastoria individuale, ma anche da una serie di contingenze magari fortuite.Sicché, se nella sua forma compiuta il ciclo aspira ad essere un prisma a piùfacce che rifrange e moltiplica il raggio della ricerca, fissando con un gradodi credibilità che non sta a noi giudicare un risultato storiografico di valoreoggettivo, i colloqui con i terroristi, rivelando sincerità e reticenze,scoprendo dati di certezza e lasciando aperte zone d'ambiguità, riflettono,ciascuno in sé, l'immagine in gran parte inedita di una realtà controversa chesoltanto oggi comincia a schiudersi alla comprensione.Ci ha presto incoraggiato, lo registro al di là d'ogni lusinga, il giudizio dialcuni autorevoli osservatori, emerso, per così dire, in corso d'opera. Pocooltre la metà del nostro itinerario così scriveva il sociologo Luigi Manconi su"La Stampa": "La notte della Repubblica continua a mostrare - nel corso distraordinarie interviste - la più radicale delle riflessioni autocritiche che ungruppo dirigente di una qualunque associazione (politica e non) abbia maifatto". Quanto al significato complessivo dell'inchiesta, lo storico NicolaTranfaglia scriveva: "La storiografia italiana evita gli argomenti troppo vicinie si serve di strumenti d'indagine inadeguati. La ricerca documentariad'archivio non basta più quando il materiale più interessante è sotto segreto diStato, o istruttorio. Bisogna rifarsi ad altre fonti, quelle memorialistiche,biografiche, anche giornalistiche. Il fatto incredibile è che la televisione haindagato sul terrorismo più e meglio di noi". Un altro storico, Silvio Lanaro,ha aggiunto:

La notte della Repubblica 9"II giornalismo televisivo ha a sua disposizione strumenti d'indagine agili,efficaci, preclusi sia al giornalismo scritto sia agli stessi storici".A questo punto, e con particolare riferimento al corpo delle interviste, sentol'obbligo di far partecipe chi legge di alcuni miei convincimenti maturati inuna lunga esperienza. L'intervista orale nasce evidentemente alla radio, dove sifaceva un grande abuso di parole. Bastava che una persona sollevasse un qualcheinteresse per intrattenerla a lungo, spesso al di là del necessario. Credo diavere parlato con migliaia di persone senza pormi il problema di farmi dire cosemai dette prima: non ricercavo, insomma, lo scoop. Mi lusingava invece loscoprire, talvolta, che mi venivano dette cose di cui l'interpellato non sicredeva capace, e che perciò non aveva ancora detto. Questo atteggiamentoimplica che ci si disponga a un'intervista senza idee preconcette, con unquestionario non premeditato, irrigidito da uno schema, ma in un atteggiamentodi contestualità, cioè stabilendo un dialogo che vede le domande nascere dallerisposte appena ricevute. Ciò consente il massimo di naturalezza e di scoperta,scongiurando il massimo di preordinamento e non di rado di pregiudizio.Ho una visione libera del mio mestiere, ma penso che al suo interno vi sianonorme da rispettare. Può essere appagante entrare con facilità nel vissuto deglialtri, non escludo che ci si possa addirittura compiacere di questa attitudine acreare la confidenza; bisogna però sorvegliare le regole del "gioco", le qualistanno, fondamentalmente, nel rispetto reciproco di chi domanda e di chirisponde. E` un problema di natura etica. In una tesi di laurea dedicata alnostro programma, Lorenza Moretti analizza, con gli strumenti della semiotica,

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proprio l'applicazione di questo "contratto comunicativo" fra il giornalista el'interlocutore.Alcune interviste possono risultare significative anche per le risposte che nonsi ottengono. Mi è capitato più di una volta nella realizzazione di questainchiesta. Per esempio con Rober to Rosso, leader di Prima linea, unintellettuale molto lucido, che ha studiato alla Normale di Pisa. Gli dissi:"Lei è fra quelli che decisero di uccidere William Vaccher e scrisse ilvolantino

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che rivendicava il delitto. Vaccher era solo sospettato di delazione. Nelvolantino lei parla di solidarietà. Era solidarietà giudicare e poi uccidere uncompagno senza avere le prove della sua colpevolezza?". Rosso non riuscì arispondere. Lo avevo portato in una zona in cui era molto debole, dove stentavaa organizzare, d'acchito, una difesa. Allora cominciò a guardarmi: in unamaniera prima attonita, poi sempre più intesa a dirmi che a quella domanda nonpoteva rispondere, che quanto gli contestavo era diventata la disperazione dellasua vita. Quel silenzio, quello sguardo, quel tremore sulle labbra diventaronoinsopportabili anche per me che lo intervistavo, oltre che per lui. Mi sembrò,allora, di non dovere profittare di una situazione che pure aveva raggiunto unasua, sebbene dolente, spettacolarità.Per toglierlo dallo sgomento in cui era caduto, e dal quale non sapeva risalire,gli dissi: "Vuole che l'aiuti?", e la risposta non furono le parole, fu quellosguardo fiducioso e quel "sì" appena percepibile. Allora improvvisai unsupplemento di domanda e lui potè uscire dall'ingorgo non solo psicologico incui era finito. E` stato un momento di forte comunicazione tra due persone.Anche nell'intervista a Bonisoli, alla richiesta di descrivere il suo ruolonell'uccisione della scorta di Moro, ci fu una risposta silenziosa, cioè unosguardo d'impotenza, di resa e insieme di rifiuto. Poi, la successione di altredomande: "Lei ha sparato, quel giorno? Quanti colpi?". "Non ricordo, uncaricatore." "Su chi?" E qui, per così dire, il cortocircuito. La domanda èperentoria, e ha l'aria di chiedere: "Glielo devo proprio dire, magariprecisando il numero dei morti?". Allora allunga una mano verso la telecamera echiede: "Ci possiamo fermare?". Io rispondo: "Sì, certo...". Il video si oscurae nessuno saprà mai quanto è durata quella pausa. Nel montaggio, un attimo; inquesto libro, tre puntini di sospensione. Poi l'intervista ricomincia, e ormaiha preso un'altra piega. Ma per quello che è appena accaduto risulterà qualcosadi più, o di diverso.Credo che Adorno avesse ragione quando si pronunciava contro l'estetizzazionedella testimonianza, giudicandola un modo di trasferire i contenuti dentro lacornice dell'effetto, an-

ziché del giudizio. D'altronde, nessuna delle interviste de La notte dellaRepubblica prende mai toni di teatralità, ciascuno sta nel suo ruolo, restadalla propria parte. L'incontro è nella rinuncia alla sopraffazione, per unverso, e alla doppiezza, per un altro.La reazione del pubblico, quando le interviste andarono in onda, si rivelò inprevalenza non diversa dal convincimento che io e il gruppo dei colleghi cheavevano lavorato con me per due anni ce n'eravamo fatto al termine delprogramma: che quel mondo, cioè, era tutt'altro che lunare; anzi, eraterribilmente nostro. Tanto da far cadere molti pregiudizi sulle qualità "ancoraumane" dei suoi protagonisti, per usare un'espressione lombrosiana che nasce dalrifiuto di riconoscere una seppur minima "umanità" a una guerriglia daicaratteri così cupi, devastanti e impietosi. Ma altri, in primo luogo alcuni tra

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i parenti delle vittime, si sentirono offesi proprio dal fatto che si eraincrinato il cliché corrente, costruito intorno all'inflessibilità dello sdegno,della ripulsa e della condanna.Nello stesso tempo si ripresentò la questione, inseparabile da ogni storia,degli effetti del messaggio complessivo. Arnaldo Giuliani, che fu inviato del"Corriere della Sera" negli anni del terrorismo, al termine di una penetranteriflessione su quel periodo (fa parte di un prezioso volume dal titolo L'eskimoin redazione - Quando le Brigate rosse erano sedicenti, di Michele Brambilla)scrive: "Quello che mi ha colpito ne La notte della Repubblica non è stato tantoil riascoltare le filosofie, anche se a volte rivedute e corrette, di certiterroristi. E` stato quel presentare l'uccisione di coloro che avevano eletto anemici come un'operazione estraniata da qualsiasi umanità, quel valutare levittime non come uomini, ma come simboli e quindi come sagome da bersaglio. Misono domandato che reazioni possono avere suscitato Moretti e Franceschini in ungiovane di oggi, se mai un giovane di oggi abbia seguito la trasmissione. Maquello che mi ha turbato di più è quando ho sentito Giusva Fioravanti e France-sca Mambro. Nella loro spiegazione dei delitti commessi c'era lo stesso buiodistacco dai valori della vita; ma è stato quando hanno risposto su quello cheera il loro privato durante la clandestinità che hanno dato la misura delle loroanime morte. Par-

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lavano d'amore e andavano a uccidere. Un particolare che, ai tempi, non è maiemerso in alcuna delle nostre cronache...".Rispondo alla domanda di Arnaldo Giuliani dandogli atto, innanzi tutto, chequando mette in risalto le ambiguità, le incertezze, le reticenze dei mezzi diinformazione rispetto al terrorismo, fino al rapimento e all'assassinio di Moro,contribuisce a ristabilire una grave verità su quel periodo; ma aggiungo che tragli ascoltatori de La notte della Repubblica gran parte erano proprio giovani; egiovani sono, ovviamente, quanti oggi ne fanno oggetto di studio e chevorrebbero avere a disposizione il programma, se non in videocassetta, involume. A centinaia, scuole di vario ordine e grado, università, anchestraniere, centri di ricerca, fondazioni, sindacati, partiti, ne hanno fattorichiesta. Molti, giovani e non giovani, sono stati turbati da ciò che hacolpito Giuliani, e l'hanno visto come la prova irrefutabile che non ci si puòconsegnare al dominio dell'ideologia, di qualunque ideologia, senza rinunciare aessere interamente persone. Il tragico costo di sangue che ha accompagnato lamilitanza eversiva è un rendiconto duro e straziante soprattutto per chi havissuto, anche intellettualmente, quella rivoluzione senza popolo, impersonandouna contraddizione atroce e alienante fra la ricerca della palingenesi sociale ei mezzi usati per raggiungerla; e ciò emergerà con augurabile chiarezza dallalettura di queste pagine.Non credo che si possano addebitare a La notte della Repubblica tesi di comodo,né costruzioni suggestive, né idee pregiudiziali; che dalla serie di intervisteai terroristi si possa trarre la sensazione, e meno ancora il sospetto, di unapproccio animoso e restìo, indulgente o provocatorio; Paolo Graldi, che mi haparticolarmente assistito in questa fase della lavorazione, può testimoniarlo.Eppure, c'è da parte mia qualcosa di non detto che forse va addebitato allariluttante natura del pudore e della discrezione, alla paura di coinvolgeresentimenti e diritti, propri e altrui, in un contesto da valutare, invece,oggettivamente. E` quanto vorrei, adesso, testimoniare: l'approdo, nel giudiziodei terroristi sulla loro esperienza, alla "cognizione del dolore", per dirlacon le parole di Carlo Emilio Gadda. Del dolore, in qualche caso, prima ancorache della disfatta.

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Si poteva certamente cogliere, in ciascuno di essi, un grado diverso diconsapevolezza e di coerenza, di pentimento e di dissociazione, ma nessuno mi halasciato l'idea di non sapere che, per dare credibilità alla sua storia,occorreva innanzitutto dichiararla sconfitta non solo politicamente, ma anchesotto il profilo morale. Nessuno - venisse sopraffatto dall'emozione o restassea ciglio asciutto, ammettesse senza riserve o con qualche reticenza,rivendicasse ragioni per farsene scudo o non trovasse più nulla con cuiaccreditare il frutto della cecità - ha preteso di ritornare sui suoi passisenza pagare lo scotto della sofferenza, cioè senza un'autentica, ritrovatacoscienza dell'errore.Del resto, era ciò che si doveva a una possibile rilettura della tragedia innome dello sdegno e della giustizia, della cronaca e della storia. Non tutto, diquanto fin qui si è detto sull'argomento, ha invece giovato a un auspicabileepilogo. Tempo fa, sul destino dei terroristi che stanno consumando in carcerele rispettive condanne, nacque un concitato dibattito politico e giornalisticoche non ha certo favorito la comprensione del problema. Anzi, si è addiritturacreduto che qualcuno volesse chiudere il libro della più sconvolgente vicenda diquesti ultimi anni con una sorta di esorcismo giuridico capace di esprimere, diper sé, equità e perdono, conciliando l'esigenza di ricordare con il desideriodi dimenticare. Quella concitazione, pur animata da buoni propositi, non potèevitare che generiche ipotesi di indulto (non vuoi dire amnistia, il cuisignificato etimologico è "dimenticanza") provocassero obiezioni più o menofondate, suscitando il comprensibile rifiuto dei familiari delle vittime,sentitisi come spogliati di ogni ruolo, a cominciare proprio da quello morale; enon si poteva eludere l'accorata protesta dei più bisognosi di giustizia. Ma difronte alla sconfitta del terrorismo sarebbe poco razionale non sancire - nelmodo più efficace, cioè applicando il massimo di normalità giuridica - che loStato, con il suo popolo e le sue istituzioni, ha prevalso. Questo e il solobilancio politico che ne emergerebbe, l'opposto dei cosiddetti "riconoscimenti"che i negatori di possibili revisioni Processuali temono di dovere concedere.Una legge la quale non indiscriminatamente aggiornasse talune norme che hannodisegnato una "eccezionale" dimensione della pena, svincolan-

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dosi dal "contesto emergenziale degli anni di piombo", dimostrerebbe essastessa, solennemente, che lo Stato non solo ha vinto, ma è capace di onorare ilsuo primato come meglio, anche giuridicamente, non si potrebbe. D'altronde, unPaese che ha prodotto una tale tragedia non può uscirne affidandone la fine soloa una burocratica, distante espiazione carceraria, come se tutto appartenesse aqualcosa di ormai estraneo alla nostra comunità e alla nostra coscienza.Così, fatto salvo il doveroso e pregiudiziale rispetto di chi più ha pagato,cioè con la partecipazione morale dei familiari delle vittime (peraltro mai deltutto risarcibili, in ogni senso) a una soluzione eticamente compatibile con laqualità politica, sociale e giuridica del problema, si uscirebbe dalla Nottedella Repubblica in nome non più soltanto della cronaca, ma anche della Storia.

IPROLOGO: ITALIA ANNI SESSANTAUNA SOCIETA` DIVISA E INQUIETARUMORE DI SCIABOLE: IL "PIANO SOLO"Ore 18 del 1‘ settembre 1960. Dall'Olimpico giungono, in diretta, le parole deltelecronista Paolo Rosi:Partenza valida! Berruti è scattato... è già in vantaggio... sta per completarei primi cento metri... è nettamente in testa... stupenda l'azione di Berruti cheora viene incalzato da Carney... Berruti riesce a conservare il vantaggio... èmedaglia d'oro...

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Il 25 agosto Giulio Andreotti aveva inaugurato, a Roma, i giochi della 17aOlimpiade. Con una spettacolare manifesta zione, anche di efficienza, Roma sioffriva al giudizio del mondo. Il successo, grazie alla televisione, avrà unarisonanza internazionale.L'Italia è appena uscita da uno dei periodi più concitati della sua giovanestoria repubblicana. Il clima economico e sociale, per molti versi positivo, èfrutto della più grande trasformazione che la nostra società abbia maiconosciuto. Gli aiuti imponenti degli Alleati attraverso il cosiddetto PianoMarshall e la liberalizzazione degli scambi, ma soprattutto la partecipazione diun popolo deciso a rifare il proprio Paese, sono alla base di una rinascita daigrandi successi e dai forti costi.L'uomo politico che guida i governi della ricostruzione è Al-cide De Gasperi.Alla coalizione formata da democristiani, repubblicani e liberali da il suoappoggio anche il Partito socialdemocratico di Giuseppe Saragat, nato nel 1947con la scissione dai socialisti. Sono i tempi della politica economica di LuigiEinaudi, di quella energetica di Enrico Mattei, di quella imprenditoriale diVittorio Valletta e di quella sindacale di Di\7'Vittorio, Santi e Pastore. Sono anche i tempi della riforma

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agraria, dell'impulso seppure non sempre organico e non di rado inefficace dellaCassa per il Mezzogiorno, della cantieristica e della siderurgia, del programmaautostradale e della motorizzazione.Così, una società prevalentemente agricola, e in parte sottosviluppata, affrontaun complesso, veloce e spesso contraddit-torio sviluppo i cui risultaticonfigurano quello che, con una punta di enfasi viene chiamato "il miracoloeconomico".Il Paese, esauritasi la cultura contadina in cui era germinato il fascismo ecresciuta la generazione della seconda guerra mondiale, esce dal disastro conuna moderna vocazione industriale. L'aumento della produttività e l'accresciutopotere di acquisto di una parte cospicua di cittadini favoriscono l'espandersidei consumi. Una congerie di cose fino a ieri estranee alla dimessa economiafamiliare entra in un gran numero di case. L'oggetto-simbolo di questatrasformazione è l'elettrodo-mestico, che porta con st abitudini di vitadiverse, dall'alimentazione al tempo libero. Ma il mutamento non riesce acoinvolgere la società intera. Le strutture dello Stato non sono in grado ditenere il passo di un cambiamento così tumultuoso. La necessità e la richiestadi beni stabili e di rilevanza sociale, come un'abitazione per tutti,l'adeguamento e lo sviluppo dell'edilizia scolastica, dei servizi medico-sanitari e dei trasporti pubblici, restano in larga misura insoddisfatte.Questioni irrisolte che faranno sentire, a breve scadenza, i loro effetti.Non è la sola contraddizione. Mentre le città del cosiddetto triangoloindustriale crescono a vista d'occhio, raggiungendo quote di benesseresconosciuto al nostro Paese, dalle zone più povere del Sud almeno un milione emezzo di persone emigra nelle aree dello sviluppo. Un esodo così massiccio è ilsegnale dell'assenza di una politica di programmazione nazionale capace discongiurare squilibri economici, sperequazioni sociali, disuguaglianzeculturali. A pagare sono le fasce più deboli della comunità.La rinascita del Paese genera dunque, per paradosso, una nuova categoria dipoveri i quali, presa coscienza dell'emarginazione, esprimono la loro protestain forme sempre più dure.Attorno a loro si mobilita la solidarietà non soltanto di par-

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titi e organizzazioni sindacali, ma anche di intellettuali, studenti,disoccupati. Gli esclusi dal cambiamento, che si addensano soprattutto nelMeridione, sono presenti in tutto il Paese, la cui crescita non omogeneaaccentua la distanza fra due diverse comunità.Un grandioso, concitato e disorganico scenario economico-sociale fa così dasfondo all'Italia fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Accanto a legittime formedi protesta si fanno strada re-vanscismi mai sopiti, pronti a sfruttare unarealtà che offre non pochi pretesti allo scontento.Il quadro politico rispecchia questo clima di incertezza. La crisi della formulacentrista inaugurata da Alcide De Gasperi induce il capo dello Stato, GiovanniGronchi, a giocare la carta di un governo cosiddetto del "presidente".L'incarico va al democristiano Fernando Tambroni. Questi, sebbene abbia fattoparte della sinistra De, finisce con il dar vita a un esecutivo che contasull'appoggio esterno della destra missina.Esterno, non gratuito. E la prima cambiale politica in scadenza è la richiestadi tenere il VI Congresso del Movimento sociale a Genova, città dalle fortitradizioni antifasciste e resistenziali. Il 30 giugno 1960 contornila genovesiscendono in piazza per manifestare la loro protesta. E in pericolo l'ordinepubblico: alla fine il prefetto decide di impedire il congresso e i delegatimissini lasciano il capoluogo ligure. Genova ha vinto.Agitazioni anche in altre città: il 7 luglio, a Reggio Emilia, prende vita unagrande e qua e là tumultuosa manifestazione. La polizia interviene. Gli scontrisi fanno durissimi: cinque dimostranti restano uccisi. Incidenti anche aPalermo, con quattro morti, una vittima a Catania e un'altra a Licata.Le forze dell'ordine sono chiamate a un confronto non solo impopolare, ma spessocruento. I loro interventi provocano un'aspra eco in Parlamento, dovemaggioranza e opposizione danno luogo a battaglie memorabili.A questi anni resta legato il ruolo svolto dalla Celere, un reparto deliapolizia particolarmente addestrato a fronteggiare dimostrazioni e a reprimeremoti di piazza. Mario Sceiba, ministro dell'Interno negli anni più difficilidella giovane Repubblica, l'aveva definito così:

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Una specie di cavalleria motorizzata della polizia. Opera proprio come lacavalleria: pochi agenti sulle jeep che, lanciate alla massima velocità, possonomuoversi agilmente anche salendo sui marciapiedi, entrando sotto le gallerie epersine dentro i portoni...Il governo viene travolto non solo dalle durissime reazioni ai tragiciavvenimenti, soprattutto di Reggio Emilia, ma anche dalle nuove prospettivepolitiche che emergono nei partiti. Il clima, d'altronde, si era fatto così tesoche la stessa De, all'interno della quale vi sono forze che chiedono unapolitica nuova, aveva invitato Tambroni a dimettersi. Il leader socialistaPietro Nenni, che ha ripreso il suo cammino verso l'area governativa iniziatosubito dopo l'intervento sovietico in Ungheria del 1956, dichiara:Si fa un grande parlare di nuovo corso politico, di centrosinistra, del fattonuovo dell'appoggio socialista a un governo di centrosinistra. C'è chi loda, chicritica, chi biasima. La svolta è stata reclamata e portata innanzi dalle massedei lavoratori e dall'opinione pubblica democratica, da dieci anni mobilitatenella lotta per una politica sociale che comporti dei sostanziali cambiamentinelle strutture e nel potere.L'apertura a sinistra richiederà due anni. Ne freneranno il progettol'opposizione, seppure non frontale, del Partito comunista, ma anche leresistenze insorte in alcuni settori moderati della De, perno politico di ognipossibile alleanza, e varie componenti conservataci del sistema economico, cui

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la stampa più influente presta aiuto. In seno allo stesso Partito socialista,seppure per ragioni inverse, nascono obiezioni e si chiedono garanzie.Dopo un primo esperimento di governo, detto delle "convergenze parallele" - conquesta espressione si volle dare l'idea di un avvicinamento, senza impegno, frademocristiani e socialisti - l'operazione va in porto nel 1962, quando ilcongresso di Napoli della Democrazia cristiana da al segretario Aldo Moro il vialibera per la svolta.Il primo governo di centrosinistra è visto dalla bonaria "Domenica del Corriere"come un'auto guidata da Fanfani, presidente del Consiglio, con a bordo PietroNenni, Giuseppe Sara-

gat e Oronzo Reale. Aldo Moro, in divisa da vigile urbano, invita a svoltare asinistra.Amintore Fanfani, riferendosi a resistenze e a dubbi, afferma:Ma non possono essere difficoltà virilmente previste a fare scartareun'operazione che dopo avere esperito tutti i sondaggi opportuni, quando sarannoesperiti, dovesse essere reputata utile al Paese e alla democrazia.La nuova formula politica troverà compimento soltanto l'anno successivo, colvaro del primo centrosinistra cosiddetto "organico", vale a dire con isocialisti direttamente inseriti nella compagine ministeriale. Il governo èguidato da Aldo Moro, con Pietro Nenni alla vicepresidenza. Moro, nel chiederela fiducia delle Camere, dice:E` la libertà che soprattutto dobbiamo e vogliamo garantire, in unacollaborazione politica che vuole essenzialmente salvare la giustizia perriempirla, in ogni uomo, di tutto il suo naturale contenuto di dignità, dibenessere, di diritto e di potere.L'indomani l'"Avanti!" titola a tutta pagina: "Da oggi ognuno è più libero". E`il tempo, per molti versi privilegiato, di Giovanni XXIII, di Kennedy e diKruscev. Il mondo sta sperimentando l'uscita dalla guerra fredda e l'ingresso,così si spera, in una dimensione più universale dei problemi della gente.In Italia, il quadro politico riflette il clima del momento. Il centrosinistra,d'altronde, è nato fra l'ostilità di una parte consistente della destraeconomica e la diffidenza del Dipartimento di Stato americano, preoccupato, conil vertice dell'Alleanza atlantica, della possibilità di un indebolimentopolitico del fronte Sud; di cui l'Italia, si dice, è il "ventre molle".La nuova formula di governo appare, in determinati ambienti, l'inizio di unarapida evoluzione verso sinistra che va in qualche modo fermata. Nenni osserva:Ciò che la destra vuole non è un mistero per nessuno. Il suo in tento è diricreare una situazione analoga a quella dell'estate 1960, con l'estrema destraarbitra del governo e il Paese al limite della guerra civile.

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Per ragioni opposte, anche i comunisti e persine la sinistra socialista, uscitadal Psi pochi mesi prima per dare vita al Psiup, avevano accolto il primo"centrosinistra organico" con reazioni negative, giudicando moderato il suoprogramma politico. Togliatti aveva detto:Bisogna oggi andare più in là, occorre una vera svolta a sinistra; è tutta lastruttura della nostra società civile che oggi è in crisi: sono acuti i problemidella casa, della scuola, dello sviluppo delle città, del sistema sanitario,della sicurezza sociale, delle pensioni, della stessa vita domestica, dalmomento in cui centinaia di migliaia di donne sono finalmente entrate nellaproduzione.

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Moro si trova così a governare sotto una specie di fuoco incrociato. Ilchiarimento si ha quando l'esaurirsi del boom economico fa parlare dapprima dicongiuntura, poi di recessione, quindi di crisi vera e propria.Il primo "centrosinistra organico" cade nel giugno del 1964 per contrasti fra Dee Psi sul modo di affrontare, appunto, congiuntura, recessione e crisi. L'ultimoscontro nasce dalla bocciatura alle Camere del finanziamento statale alla scuolaprivata. Il presidente della Repubblica, Antonio Segni, affida ancora l'incaricoa Moro, ma il progressivo sfumarsi del programma originario urta, all'internodella coalizione, con la resistenza dei socialisti. E` il 14 luglio, letrattative per la formazione del nuovo governo vengono interrotte. Segni decidedi ricevere al Quirinale il presidente del Senato Cesare Merzago-ra per sondarela possibilità di dare vita a un gabinetto "tecnico", senza i socialisti. Conprassi inconsueta il presidente ascolta anche il comandante dell'Arma deicarabinieri, il generale Giovanni De Lorenzo. Il colloquio, sulle prime, sollevapiù meraviglia che critiche, più curiosità che inquietudine.GIOVANNI DE LORENZO, 57 anni, è nato a Vizzini, in provincia di Catania. Hapartecipato alla seconda guerra mondiale come ufficiale d'artiglieria e dopo l'8settembre ha preso parte alla guerra partigiana. Ciò gli procurerà le simpatieanche degli ambienti di sinistra. E decorato di medaglia d'argento.Il 27 dicembre 1955 viene nominato capo del Sifar (Servizio informazioni forzearmate). Lo guiderà per sei anni, dieci mesi e

quindici giorni, il più lungo periodo di permanenza di una stessa persona alvertice dei Servizi segreti nella storia repubblicana.E` proprio in questo periodo che si addenseranno molte ombre. Sono gli anni incui gli uomini del Sifar conducono una massiccia schedatura raccogliendo 157.000fascicoli informativi su deputati, senatori, dirigenti di partito, sindacalisti,intellettuali, professionisti, industriali e persine su 4500 fra sacerdoti e"cattolici impegnati".Il 2 febbraio 1961 De Lorenzo è promosso generale di Corpo d'Armata. La nomina èpossibile grazie ad una legge speciale approvata per l'occasione che lo esoneradall'obbligo di esercitare, sia pure per breve tempo, un comando operativo primadi assumere il nuovo grado. La carica di generale di Corpo d'Armata èincompatibile con quella di capo del Sifar, ma una serie di tempestivi rinviiconsentirà a De Lorenzo di ricoprire entrambi i ruoli fino all'anno successivo,quando si libererà, grazie a un pensionamento anticipato, il posto cui DeLorenzo aspira: quello di comandante dell'Arma dei carabinieri.Con una mossa a sorpresa, contro ogni aspettativa, i socialisti accettano ilprogramma di coalizione. E tutto più chiaro pochi giorni dopo, quandosull'"Avanti!" Nenni offre una spiegazione destinata a produrre sorpresa eallarme. L'alternativa, scrive Nenni, era "un governo delle destre con uncontenuto fascistico, agrario e industriale" nei cui confronti il ricordo delluglio 1960 sarebbe impallidito.Cos'era successo? Una Commissione parlamentare d'inchiesta così sintetizza ifatti:Nella primavera-estate del 1964 il generale De Lorenzo, quale comandantedell'Arma dei carabinieri, al di fuori di ordini o direttive o semplicisollecitazioni provenienti dall'autorità politica, e senza nemmeno darnenotizia, ideò e promosse l'elaborazione di piani straordi-nari da parte delletre divisioni dell'Arma operanti nel territorio nazionale. Tutto ciò nellaprevisione che l'impossibilità di costituire un governo di centrosinistraavrebbe portato a un brusco mutamento dell'indirizzo politico, tale da crearegravi tensioni fino a determinare una situazione d'emergenza.E il cosiddetto "Piano Solo". Prende nome dall'ipotesi diutilizzare solo unità di carabinieri per affrontare possibiliemergenze. Il piano prevede un insieme di iniziative tra cuioccupazione della Rai-Tv, il controllo delle centrali telefoni-

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che e telegrafiche, il fermo di numerosi esponenti della vita nazionale. BrunoTrentin ricorda:Che ci sia stato un clima di forte tensione e anche di allarme, non solo neipartiti della sinistra, ma anche nel movimento sindacale, è indubbio. Come èvero che vi sono stati giorni in cui i dirigenti sindacali erano, almeno nella Cgii, in situazione di preallarme e avevano provveduto in alcuni casi a trovaredelle seconde abitazioni. Che siano state utilizzate, francamente non ne hoconoscenza, a parte qualche caso sporadico.Lo scandalo del "Piano Solo" scoppierà un paio d'anni più tardi e si concluderàcon la sostituzione di De Lorenzo nell'incarico di capo di stato maggioredell'esercito, dopo che il generale avrà rifiutato la proposta del ministrodella Difesa, Tré-melloni, di dimettersi.La polemica tornerà a divampare in seguito a una querela per diffamazioneaggravata contro il settimanale "L'Espresso", diretto da Eugenio Scalfari, "reo"di avere pubblicato un articolo di Lino Jannuzzi dal titolo "Finalmente laverità sul Sifar. 14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzopreparano un colpo di Stato". Racconta Lino Jannuzzi:II governo e lo stesso presidente della Repubblica smentirono le nostrerivelazioni. Il generale De Lorenzo ci querelò e il tribunale, a cui il governoaveva rifiutato i documenti con la scusa del segreto militare, ci condannò. Maintanto il Parlamento aveva deciso di fare su tutta la questione un'inchiestaparlamentare. Per la prima volta nella storia d'Italia il Parlamento potèmettere il naso nelle cose segrete del mondo militare. Questa commissione, siapure sfumando o censurando alcune cose, accertò che i fatti erano veri.Subito dopo la vicenda De Lorenzo, il presidente Segni è colpito da trombosi esi dimette. Muore a Yalta il leader comunista Palmiro Togliatti. A Segni succedeGiuseppe Saragat, eletto anche con i voti dei comunisti dopo un lungo scontroall'interno dei partiti della maggioranza. E`, in un certo senso, una vittoriadella sinistra: il tentativo di portare a destra il Paese è fallito.Il Sifar cessa formalmente di esistere nel novembre del 1965, non senza averprima contribuito a finanziare un convegno su "La guerra rivoluzionaria" che sitiene a Roma, all'ho-

tel Parco dei Principi, dal 3 al 5 maggio, singolare per la partecipazione,accanto a generali e a colonnelli, di numerosi esponenti della destraextraparlamentare tra i quali Stefano Delle Ghiaie e Mario Merlino.Al dispiegarsi della strategia dell'eversione di destra non rimangono estraneineppure i servizi segreti internazionali cominciando da quelli americani, i piùattenti al ruolo che in Occidente svolge il nostro Paese. Victor Marchetti, exagente della Già, racconta:Allora avevamo stretti contatti con il Sid, lo appoggiavamo, gli fornivamoattrezzature e addestravamo il suo personale. Gli uomini del Sid venivano inAmerica per perfezionare il loro addestramento. Fornivamo loro direttive peragire in Italia. Non ricordo esattamente la misura dei finanziamenti, so che sitrattò di milioni di dollari. Per la Già, la norma è di farsi degli amici nelleorganizzazioni che fanno capo ai Servizi segreti e di penetrarvi capillarmente.Il Sid: è il nuovo Servizio informazioni della Difesa nato il 18 novembre del1965. Il nome è nuovo, ma strutture e strategia restano quelle di prima. Lo sivedrà nel corso delle successive inchieste sul Sifar, quando il nuovo capo deiServizi segreti, l'ammiraglio Eugenio Henke, otterrà dal governol'autorizzazione a opporre il segreto di Stato. Torna una parola che provocherànegli anni continue polemiche: omissis. Saranno proprio gli omissis a vanificareil lavoro di chi cercherà di far luce su alcune tra le vicende più cupe dellanostra storia contemporanea.C'è poi il mito della cosiddetta "nazione tradita", cui va ae-giunto ilmalinteso patriottismo di alcuni militari, come traspare da questo emblematicosfogo dell'ammiraglio Gino Bi-rindelli, nella cui breve carriera politicafigurerà anche una presidenza dell'Msi-Destra nazionale:

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Io dico che le forze politiche hanno violato un patto fondamentale, hannoingannato i militari che vogliono servire la nazione con un'idea di Patria.Questi sarebbero i ribelli? Ma si ribellano perché voi, forze politiche, aveteviolato il patto!Dopo il 1964 la crisi del riformismo europeo, oltre a mettere *n difficoltàl'esperimento di centrosinistra, provoca in alcuni gruppi estremisti di destrail ritorno di un vecchio revansci-

24Sergio Zavolismo: l'aspirazione allo Stato forte, il disprezzo per quello che viene definitoun parlamentarismo parolaio e imbelle, l'anticomunismo elevato a categoriaideale, la violenza come mito. Da questa matrice ideologica, politica eculturale, si irradia un ventaglio di formazioni e comportamenti.ORDINE NUOVO: fondato nel 1953 da Pino Rauti e Clemente Oraziani, si rifaall'ideologia nazionalsocialista, in forte polemica con quella che vienedefinita la moderazione del neofascismo ufficiale. Nel 1969 Ordine nuovo siscinde. Il gruppo più moderato, che fa capo a Rauti, confluisce nel Movimentosociale italiano. AVANGUARDIA NAZIONALE: fondata nel 1960 da Stefano DelleGhiaie, ha per simbolo la "runa" celtica. La sua "cultura", infatti, si radicain quella dell'arianesimo e della razza eletta. Anche Avanguardia nazionaleaccusa il Movimento sociale di essere sceso a patti con la democrazia moribonda.EUROPA CIVILTA`: sorge nel 1967 sulle ceneri del movimento integralista legatoad ambienti della destra cattolica. Leader del gruppo è Loris Facchinetti. Ilgruppo guarda all'Europa come terza forza fra Stati Uniti e Unione Sovietica.L'attività prevalente è l'organizzazione di campi paramilitari.SAM (Squadre di azione Mussolini) e MAR (Movimento armato rivoluzionario). Laprima formazione nasce a Milano subito dopo la fine della guerra; la seconda,fondata nel 1969 da Carlo Fumagal-li, opera nel Veneto, in Toscana e nel Lazio:qualche bomba, diversi attentati incendiari.GRUPPO AR: si rifa all'ideologia neonazista. Creato a Padova da Franco Preda,nel 1955, opera anche come piccola casa editrice. Si ispira alle idee di Ordinenuovo.LOTTA DI POPOLO, LOTTA STUDENTESCA, COMUNITA` ORGANICHE DI POPOLO, COSTRUIAMOL'AZIONE, TERZA POSIZIONE: sono organizzazioni sorte per germinazione dal filonespontaneista di Ordine nuovo e grazie a confluenze da Avanguardia nazionale.FRONTE NAZIONALE: fondato da Junio Valerio Borghese nel 1968 è costituito,inizialmente, da ex ufficiali della X Mas e da altri reduci della Repubblicasociale. Il movimento ha una struttura nazionale con fiduciari in tutte leregioni. Tra i punti programmatici del fronte è l'esclusione dei partiti da ognipartecipazione al governo.Nel 1974, dopo alcune riunioni costituenti, uomini di Avanguardia nazionale eOrdine nuovo danno vita al gruppo clandestino ORDINE NERO, immaginato e gestitocome una struttura paramilitare. Microgalassia eversiva, è formata da unamiriade di siglt che dal 1976 spuntano qua e là soprattutto a Roma, ma anche ne'

La notte della Repubblica 25Veneto, in Lombardia, in Campania e in Liguria, rivendicando attentatidinamitardi, incendi, omicidi e rapine. Le organizzazioni più importanti sono ilFAR, Fronte armato rivoluzionario; l'MPR, Movimento popolare rivoluzionario; iGOAD, Gruppi organizzati per l'azione diretta; l'UP, Unità di popolo; e infine iNAR, Nuclei armati rivoluzionari.Lo scenario internazionale registra un evento che incoraggia l'estremismo didestra: il 21 aprile del 1967 i "colonnelli" greci prendono il potere. Il golpeè accolto con esultanza nel mondo dell'eversione nera. "Viva i centurioni diAtene", si legge sul periodico di Ordine nuovo "Noi Europa", e ancora: "Anche inGrecia si lotta per un ordine nuovo". Nel Mediterraneo l'Italia è comecircondata dal regime di Salazar in Portogallo, da quello di Franco in Spagna,dai militari in Grecia. Si fa strada la paura di un possibile golpe anche nelnostro Paese.E` un momento cruciale. In una lettera aperta ali'"Espresso" GiangiacomoFeltrinelli teorizza la fine della giovane democrazia italiana, "incapace - così

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si esprime - di reagire alla svolta che le destre reazionarie le voglionoimporre".A Roma l'università vive i prodromi dello scontro frontale. Nell'aprile del 1966la morte di uno studente di sinistra, Paolo Rossi, avvenuta in circostanze lacui dinamica non è stata mai del tutto chiarita, provoca la prima occupazione diun ateneo. E l'annuncio di quello che diventerà il Movimento studentesco.Sei mesi dopo, un drammatico evento naturale, l'alluvione di Firenze, prende persé l'attenzione solidale delle nuove generazioni. La storia di come da tutto ilmondo i giovani furono i primi a rispondere all'appello per salvare la città, isuoi tesori, le sue attività sociali, è nota. Ecco come ne parla Tv7 di quellasettimana:Ieri notte, a partire da San Miniato, per Santa Croce fino al Pon-CK Grazie, gliangeli del fango (così vengono chiamati) hanno rischiarato per un'ora le vie diFirenze. Molti erano stranieri, ma ce " ^ano di ogni parte d'Italia. Cantavanogli inni di un'altra marcia . a pace perché, in fondo, l'idea era quella:testimoniare la solida-a e la fratellanza, tenerne acceso il proposito. Poi getteranno le fecole inArno per dire che, qui, la loro parte è finita.

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Presto questi ragazzi diventeranno, essi stessi, una fiumana; un movimentogiovanile di contestazione che ha già fatto la sua comparsa negli Stati Uniti,in Germania, in Francia, e che la storia chiamerà semplicemente "ilSessantotto", sta per raggiungere l'Italia. La voce dei giovani, dappertutto,crescerà di tono. "Defraudati del futuro" dai loro padri, vorranno disegnarlo efarselo da soli.

IILA SCALATA AL CIELO:CONTESTAZIONE GIOVANILE E PROTESTA OPERAIA IL CENTROSINISTRA IN CRISI

Berkeley, 1964. Nell'università californiana, che per i suoi aspetti elitaripiù avanzati è uno dei simboli della società statunitense, scoppia una rivoltasenza alcun precedente. Il contagio è immediato. Nei campus americani glistudenti lanciano slogan non soltanto contro l'industria del sapere: la lorocontestazione è globale, mette insieme classi, ceti, gruppi, investe la morale ei rapporti umani, sovverte un modello culturale, sconvolge un costume, rifiutauno stile di vita.Questo bisogno di cambiamento, che è di immagine e di sostanza, si manifesteràin tutti i Paesi industrializzati dell'Occidente. I giovani e le loroavanguardie, cioè gli studenti, figli di una società che stenta a mutare,credono nelle stesse cose; esenti da ogni compromissione, respingono subito unmondo che gli adulti avevano ricostruito sulle macerie lasciate dalla guerraperché anch'essi potessero amarlo. Rifiutano, invece, una continuità in cui nonpossono riconoscersi."Vogliamo riprenderci la vita", gridano gli studenti della Sorbona. Lo sloganpassa di bocca in bocca, come una parola d'ordine: ciò che è stato convenutoaltrove, prima e senza di 'oro, è privo di valore.Posti di fronte al dilemma "o una vita borghese obbligata o un'imponderabilerabbia" rispondono: "Diffidate di quelli che "anno più di trent'anni". Nascecosì quella grandiosa chiamata generazionale che muove i giovani a uno a uno, adue a due, e P‘i a fiumane, verso una piazza spesso indefinita da occupare lnnome di qualcosa in cui poter credere.Per alcuni basta un pretesto. Persine i capelli dei Beatles e le ‘ro canzonisono un modo di accordarsi con il nuovo e di

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scendere in pista; per altri parlano Rudy Dutschke o Daniel Cohn-Bendit, ilMaggio francese o il Movimento studentesco; per altri ancora la scopertadell'impegno sociale, l'esperienza del lavoro, la vita comunitaria.Alla ricerca tumultuosa di qualcosa, molti confondono il sociale el'esistenziale, la ricerca e il vagabondaggio, il leader e il ciarlatano, ilprofeta e il drogato, l'anarchia e la liberazione. Fra quanti inseguono modelliimprecisi o stravolti c'è chi sceglie il picaresco anticonformismo hippy, laversione freak, la filosofia zen, il pacifismo radicale, lo yoga, l'erba,l'amore di gruppo o la più generica delle rabbie. Un giorno, essi stessisapranno giudicarsi.Lettera di Pino al giornale "Lotta continua" (1974):Non avendo più nessuna assemblea a cui partecipare, ho potuto osservaredall'esterno il movimento dei compagni e vedere che fine hanno fatto. C'è chi èdiventato un intimista orientale, chi un freak emarginato, chi ha riscoperto ilrock and roll, chi è entrato nel Pci, chi ha scelto la lotta armata. Il modo divestire, poi! Tutti uguali. Una volta portare i jeans era un rifiutodell'abbigliamento borghese, oggi non è più questo, è kitsch sinistrese. Illinguaggio, poi! Tutti parlano nello stesso modo. Siamo veramente diversi l'unodall'altro? I cortei cosa sono diventati? Un pretesto per incontrarsi,raccontarsi l'ultimo viaggio fatto, le esperienze alternative, sfoggiare i beigiacconi di renna usati, le belle gonne a fiori, un modo per conoscere qualcuno.Viva la moda di essere compagni! Tutto questo lo Stato ce lo concede e ce lo hasempre concesso. Vestitevi come vi pare, parlate il linguaggio che volete,fatevi le vostre menate, basta che non rompete i coglioni. Forza compagni!Avanti, fino alla sconfitta totale! Io starò a guardare.L'Italia vive in una democrazia che ha messo forti radici nella società etuttavia è incapace, nei suoi ambiti più conservatori, di capire il nuovo cheemerge. L'ondata protestataria ne suscita altre: dalle rivolte sindacali agliscontri politici, dalle battaglie per nuove condizioni di lavoro a quelle peruna diversa gestione della giustizia, della sanità, della scuola. Si tratta dipulsioni che accelerano la crescita di una società complessa, destinata,nell'arco di qualche anno, a esprimere una violenza drammatica, respinta dallageneralità dei cittadini, ma di cui sarà necessario trovare un'origine, magariimprecisa e lontana.

29La notte della RepubblicaQualcuno sarà incline a collocarla nel clima genericamente eversivo provocatodal grande, inconcluso falò del Sessantotto.Ad accenderlo era stato un libro, L'uomo a una dimensione, del filosofo HerbertMarcuse, che esprime un insieme di pensieri, bisogni, rivalse già latenti neigiovani. Un giorno Marcuse dirà:Esistono molte cose anche in questa società che io non vorrei respingere deltutto, negare del tutto; al contrario, direi che considerandole sottodeterminati aspetti le apprezzo molto e non vorrei vederle scomparire. Quelloche io rifiuto nel senso più completo è il modo in cui questa società èorganizzata, con cui sperpera e abusa delle proprie risorse, accresce laricchezza unicamente di una certa parte della popolazione e, allo stesso tempo,non si preoccupa di fare praticamente niente contro l'abbietta povertà ancoraesistente in larghe aree del Paese. Soprattutto, rifiuto che essa consideriassolutamente normale e scontato il fatto che si combatta, in Vietnam, unaguerra tra le più crudeli, immorali e meno necessarie della storia.Il "Libretto rosso" di Mao Tse-tung, che suscita ed accompagna il grande scontroideologico e armato della rivoluzione culturale cinese, diffuso in milioni dicopie fa il giro delle università occidentali. Il maoismo è per molti unaprovocazione radicale. Il leader della "lunga marcia" invita a far fuoco sul"quartier generale", cioè sul potere, ribadendo il concetto di fondo: ribellarsiè giusto. Nascono altri miti, quello vietnamita di Ho Chi Minh e del generaleGiap, della guerriglia del popolo palestinese condotta da Yasser Arafat, esoprattutto di quella legata al nome di Ernesto Guevara, detto il Che. Il grandeidolo, prima di essere ucciso in Bolivia, lancia lo slogan "Crea due, tre, mille

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Vietnam". Il grido risuonerà a lungo nelle piazze delle grandi metropolioccidentali; specie in Europa, avamposto ideologico della protesta.Gli studenti della Sorbona e di Nanterre innescano una rivolta che coinvolge legrandi fabbriche, dalla Renault alla Citroen. Una piccola auto, la "duecavalli", è data alle fiamme come bersaglio-simbolo del rifiuto giovanile.Nascono slogan che segneranno un'epoca: "Non è che l'inizio, la lotta conti-nua", "Siate ragionevoli, chiedete l'impossibile," gridano altri, e tuttivogliono "l'immaginazione al potere".

30 Sergio Zavo/tLa protesta studentesca trova terreno fertile in un reale disagio, le universitànon sono attrezzate per far fronte alle nuove esigenze. In primo luogo c'è unfortissimo aumento delle iscrizioni e, per giunta, non sono mutati gli indirizzidi studio, né i metodi di insegnamento e le normative che regolano lapartecipazione degli studenti alla vita universitaria. Per contro, il Movimentostudentesco va assumendo un'identità sempre più segnata da un progetto di lottaaperta, esplicita. Ciò porterà all'occupazione di un gran numero di atenei. Inpochi mesi la contestazione esce dalle aule universitarie e dilaga. Intanto,nelle fabbriche, alle maggioranze spoliticizzate, con le quali il Sessantottostabilisce le prime assonanze, vanno affiancandosi sempre più delle minoranze,invece, fortemente politicizzate, decise a contestare i significati di unacrescita che ha sì trasformato il Paese, migliorando sensibilmente le generalicondizioni di vita, ma che non è riuscita a coinvolgere tutta la società. Dellaquale, semmai, ha ancor più emarginato gli strati deboli. Il 1‘ marzo 1968, aRoma, nei giardini di Valle Giulia, accade qualcosa di improvviso e durissimo:studenti e forze dell'ordine danno vita a uno scontro senza precedenti. Allafine si conteranno centinaia di feriti, 228 fermi, 10 arresti. Il Paese è per laprima volta di fronte a qualcosa di impreciso, ma forte, che si dichiara controtutto e tutti. La società è impreparata a capire, anche gli intellettuali sidividono sino all'eresia. Pier Paolo Pasolini viene tacciato quantomeno distravaganza. Oggi il giudizio ha subito una revisione. Ecco un brano di quellasua requisitoria:Avete facce di figli di papa. Vi odio, come odio i vostri papa: buona razza nonmente. Avete lo stesso occhio cattivo, siete pavidi, incerti, disperati.Benissimo; ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri esfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari. Quando ieri a Valle Giuliaavete fatto a botte con i poliziotti io simpatizzavo con i poliziotti, perché ipoliziotti sono figli di poveri, hanno vent'anni, la vostra età, cari e care.Siamo ovviamente d'accordo contro l'istituzione della polizia, ma prendetevelacon la magistratura e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi, per sacro teppismo,di eletta tradizione risorgimentale di figli di papa, avete bastonato,appartengono all'altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è così avuto unframmento di lotta di classe e voi, cari, benché dalla parte della ra*

31La notte della Repubblicagione, eravate i ricchi; mentre i poliziotti, che erano dalla parte del torto,erano i poveri.La protesta esplosa a Valle Giulia non ha un carattere estemporaneo. Le sueorigini risalgono all'occupazione, nel novembre del 1967, dell'Università diTrento, della Normale di Pisa, dell'Università Cattolica di Milano, dellaFacoltà di lettere a Torino.L'agitazione si propaga: Mario Capanna, ormai leader aei Movimento studentesco,guida i dimostranti riuniti davanti alla Scala la sera in cui si inaugura lastagione lirica. Il 31 dicembre, analoga contestazione davanti al dancing LaBussola di Viareggio. Negli scontri rimane gravemente ferito un giovane: SorianoCeccanti.A Milano, il "Corriere della Sera" viene assalito da un migliaio di giovani chealzano barricate e si scontrano con la polizia. In tutta Italia il movimento diprotesta crea i suoi miti * ' suoi leader. Qualche nome tra i più noti. ATrento: Marco Boato, Mara Cagol, Renato Curcio e Mauro Rostagno. A Torino: Luigi

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Bobbio e Guido Viale. A Padova: Massimo Cac-ciari, Toni Negri, Emilio Vesce. ARoma: Oreste Scalzone. Franco Piperno. A Pisa: Adriano Sofri e Gian Mario Cazza-mga.Rostatmo afferma:Noi non vogliamo ottenere una scuola meravigliosa in una società che non lo è;una scuola eguale in una società che è diseguale; una scuola di ricchi per figlidi ricchi. La scuola non può essere separata dal contesto sociale. L'azionefuori dell'università è esattamente un'azione di tipo rivoluzionario,egualitario, che deve portare all'abolizione degli attuali rapporti di potere diquesta società.Marco Boato indica queste prospettive:Ci sarà una prima fase in cui si accentuerà l'impegno sui problemi universitariper allargare la base sociale e recuperare a livello di massa il movimentostudentesco. Ci sarà poi una seconda fase sul piano politico, logica conseguenzadel discorso sulla contestazione globale e sulla strategia rivoluzionaria delmovimento: un allargamento al di fuori dell'università, che porrà anche ilproblema del collegamento c‘n le altre forze sociali e politiche, principalmentecon il movimento operaio.

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In pochi mesi la contestazione esce dall'università. Dilaga nelle fabbriche einveste anche la Chiesa. Un folto gruppo di giovani occupa, a Parma, lacattedrale. Quattro sacerdoti e un centinaio di fedeli della parrocchiadell'Isolotto, a Firenze, danno il via a una clamorosa manifestazione didissenso. Tanto a Parma quanto a Firenze è sotto accusa il ruolo di una Chiesanon più al servizio, sostengono i protagonisti della rivolta, dei poveri e degliemarginati.Padre Ernesto Balducci:E` stata un'eplosione della soggettività che ha seguito le vie del massimalismosenza accettare il duro tirocinio delle mediazioni politiche... E` stata unafiammata che secondo molti ha lasciato il nulla, ma secondo me no, perché daallora si può dire che la storia è cambiata, e le istituzioni hanno conservatosì il loro potere, ma direi un potere nudo... Le spinte al cambiamento dellasoggettività, alla mutazione antropologica, sono durate, hanno seguito le viedella fuga dalla storia, addirittura sulle sponde dei fiunr sacri dell'India,oppure quelle della violenza armata, della violenza introversa, della droga, ecosì via. C'è stato uno scollamento che non si è più saldato. Questo per me è ilSessantotto. La spinta di carattere religioso è stata molto importante.Il progetto è utopia, ideologia e prassi, negazione e proposta, e ha come sfondoil Palazzo: una metafora per esprimere un'idea di potere gestito sì in nomedella delega, ma senza che ad essa corrisponda un reale ed efficace controllo daparte delle masse che la esprimono; e questo mentre si diffonde nella societàcivile una forte richiesta di partecipazione. La maggioranza politica, allaricerca di uno sbocco, non riesce a proporre che una versione ancora piùsbiadita del centrosinistra.E` il terzo governo presieduto da Moro ad affrontare le elezioni del 19 maggio1968. I risultati hanno come effetto la crisi del centrosinistra e l'affidamentodi un monocolore democristiano, cosiddetto balneare, a Giovanni Leone. Il qualespiega:Balneare per dire governo del periodo balneare; escludo che ci sii statoqualcuno che abbia usato l'aggettivo in senso deteriore o offensivo. Questigoverni, non da me desiderati, mi furono quasi imposti. Il primo dal presidenteSegni, il secondo dal presidente Saragat. L'u no e l'altro con pressionipersonali, morali e, soprattutto, col richia

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mo al dovere che avevo, quale Presidente di una assemblea legislativa, disoccorrere il Paese nei momenti delicati.La fragilità del quadro politico alimenta un clima di incertezza che vienestrumentalizzato dai fautori del cosiddetto "tanto peggio, tanto meglio".Nelle manifestazioni, che non di rado sfociano in episodi di violenza, appareuna bottiglia incendiaria di facile confezione, resa famosa, nel corsodell'ultimo conflitto mondiale, dai parti-giani sovietici che la usavano controi carri armati tedeschi: si chiama " molotov ".Ma la violenza non è tutta visibile, non tutti i suoi simboli e i suoi obiettivisono riconoscibili. Il Paese, soprattutto nel Meridione, sta scontando lecontraddizioni più profonde della rinascita economica. Alla fine di novembre del1968 tremila braccianti di Avola, in provincia di Siracusa, scioperano controgli agrari. Chiedono il rinnovo del contratto di lavoro. Il 2 dicembre scoppianogravi incidenti, le forze dell'ordine aprono il fuoco contro un blocco stradale:due braccianti, Giuseppe Sibi-lia e Angelo Sigona, restano uccisi; molti iferiti tra la polizia.Di lì a poco il democristiano Mariano Rumor vara un'altra edizione delcentrosinistra. I socialisti Francesco De Martino e Pietro Nenni sono,rispettivamente, alla vicepresidenza del Consiglio e al ministero degli Esteri.Il Paese è inquieto, alla contestazione studentesca fa eco, sempre più spesso,la pressione di operai e contadini.A Battipaglia, in provincia di Salerno, una delle zone più depresse del Paese,il 9 aprile 1969 la popolazione scende in piazza per chiedere posti di lavoro.Mentre a Roma una delegazione tratta con il ministro dell'Industria, il paesecampano è lr" subbuglio. Intervengono polizia e carabinieri, nascono gravidisordini e negli scontri rimangono uccisi il tipografo diciannovenne CarmineCitro e l'insegnante Teresa Ricciardi.1 fatti di Battipaglia, che seguono di soli quattro mesi quelli 1 Avola, fannosalire la tensione. D'altronde, vi è chi specula ule difficoltà del Paese, lequali surriscaldano il clima socialeVlsta di ben più traumatiche rotture, adova, 15 aprile 1969. Alle 11 di serascoppia una carica

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esplosiva nello studio, a quell'ora deserto, del rettore dell'università, GuidoOpocher. Egli racconta:La bomba è scoppiata proprio nel mio studio. Io, allora, avevo iniziato unapolitica di avvicinamento, di maggior comprensione verso gli studenti. Penso chesia stato un avvertimento o, meglio, una intimidazione per indurmi a cambiarequella politica. Il Veneto ha fama di essere una regione moderata, pacifica. E`chiaro che provocare disordine in una regione come questa voleva diredeterminare una reazione, sulla quale forse gli eversori contavano in modoparticolare. Parlo di eversori di destra, ma questo non significa che non cifossero anche eversori di sinistra nei gruppi extraparlamentari...Per questo attentato, cinque anni più tardi, il giudice milanese GerardoD'Ambrosio rinvierà a giudizio Franco Preda, Giovanni Ventura e Marco Pozzan.Secondo gli atti processuali sono membri, si legge, "di un'organizzazione aventecome scopo immediato il compimento di una serie di attentati terroristiciprogressivamente sempre più gravi e, come scopo ultimo, quello di sovvertire conmezzi violenti l'ordinamento costituzionale della Repubblica".Il 25 aprile, anniversario della Liberazione, dieci giorni dopo l'attentato diPadova, una bomba esplode alla Fiera di Milano distruggendo lo stand della Fiat.Restano ferite venti persone, ma l'obiettivo vero era una strage. Tre ore dopo,

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alla stazione Centrale, un altro ordigno danneggia gravemente l'ufficio dellaBanca Nazionale delle Comunicazioni.Nel frattempo matura un'altra crisi politica. Il Partito socialista unificato sidivide perdendo la componente socialdemocratica; rinasce il Psdi.Rumor è chiamato dal presidente Saragat a dirigere un monocolore democristiano.E` un altro governo "balneare", simile a quello di Giovanni Leone. Nella nottedell'8 agosto otto bombe collocate su convogli ferroviari provocano dieci feritie gravi danni. Sempre nell'agosto del 1969 altri attentati dinarni" tardi sonocompiuti nell'ufficio istruzione dei tribunali di Mila* no e Torino.In un documento, scritto in francese e inviato al Sid dal ministerodell'Interno, mentre viene svalutata l'ipotesi di una iniziativa eversivadell'estrema destra se ne attribuisce la paterni-

tà a gruppi anarcoidi filocinesi e maoisti. Nella relazione, che verosimilmenteproviene dai servizi segreti francesi, è messa in rilievo l'esistenza di unainternazionale anarchica, segnalata come una centrale per collegamenti segreti,all'estero, fra terroristi di sinistra.Passeranno dieci anni e per gli attentati nello studio di Opocher, alla Fiera ealla Stazione centrale di Milano, sui treni, e contro i palazzi di giustizia diMilano e Torino, verranno condannati i neofascisti Franco Freda e GiovanniVentura.In questo scenario, attraversato da segnali inquietanti, va crescendo laprotesta operaia. Se il Sessantotto è stato l'anno degli studenti, ilSessantanove è quello delle tute blu. A Milano, Torino, Genova la lotta sitrasferisce dalle aule università-rie ai cancelli della Fiat, della Pirelli,dell'Alfa, della Sit-Sie-mens e della Magneti Marcili.Tra il settembre e il dicembre del 1969 la questione operaia esplode con unaforza che né imprenditori né sindacati avevano previsto. Comincia il cosiddetto"autunno caldo". Ha sullo sfondo il rinnovo, contemporaneo, di 32 contratticollettivi di lavoro. Oltre cinque milioni di lavoratori dell'industria,dell'agricoltura, dei trasporti e di altri settori sono decisi a fare sentire ilpeso delle loro rivendicazioni. Disagi e malcontenti, covati da tempo nellepieghe di uno sviluppo convulso, vengono allo scoperto. La contestazionegiovanile dei mesi precedenti ha intanto fornito la prova che il primato dellapolitica sulla vita sociale del Paese è in crisi.La combattività dei lavoratori si accentua con l'emergere di una figura nuova:il cosiddetto operaio-massa, generalmente giovane, meridionale, nonspecializzato, addetto alla catena di montaggio, più combattivo del tradizionaleoperaio di mestiere. In fabbrica si producono avvenimenti inediti e clamorosi;dialettica e metodi di lotta sindacale emergono dal basso. Nascono i Cub,Comitati unitari di base che non di rado contestano gli stessi consigli difabbrica."Viva l'unità degli operai, non quella dei sindacati...", si Srida nelleassemblee.A un potere verticalizzato nei suoi contenuti e nei suoi stru-entl se ne contrappone un altro più allargato e più duro, ca-

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pace di suscitare tensioni, e generare conflitti, in una forma e in una misurainedite. Nasce una cultura della diversità che favorisce la comunicazione tragiovani e anziani, tra studenti e operai, tra gente del Nord e del Sud. Ildibattito interno alla fabbrica investe il modo stesso di essere operai e si faessenzialmente politico. In quegli anni i salari degli operai sono tra i piùbassi d'Europa. Cresce di pari passo l'autonomia sindacale dai partiti. Va in

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crisi il collateralismo della Cisl rispetto alla Democrazia cristiana, siallenta la cinghia di trasmissione che lega la Cgil al Partito comunista, leConfederazioni avviano un confronto con il governo su un vasto programma diriforme economico-sociali: qualcuno parla addirittura di supplenza sindacale alsistema dei partiti.A Torino, dopo i primi scioperi per la pensione e la casa, lo scontro tra laFiat e i lavoratori si fa sempre più aspro. In ottobre la direzione aziendaledenuncia alla procura della Repubblica 122 operai accusati di violenze sul postodi lavoro. Alla fine di novembre, a seguito della mediazione sindacale e conl'intervento del ministro del Lavoro, la Fiat ritira i provvedimenti - chel'azienda chiama di sospensione e il sindacato di licenziamento - e gli operaivengono reintegrati nelle loro funzioni.Gianni Agnelli:II ministro del Lavoro di allora non concluse la trattativa con i metalmeccanicifino a quando io non acconsentii, dopo parecchie ore di resistenza, a riassumerein fabbrica un centinaio di operai che si erano resi responsabili di violenze.Ricordo che, ricattato da queste condizioni, accettai la riassunzione. El'umiliazione non fu accettare, o subire, questa forma di ricatto ma, tornato aTorino e presentatomi ai dirigenti della produzione delle fabbriche, comunicareloro che avevo ceduto e che dovevano riassumere questo centinaio di operaiviolenti. Quello fu l'inizio di dieci anni disastrasi di brutalità e violenze infabbrica, che venne corretto solo dopo più di tremila giorni.Bruno Trentin, sindacalista:Credo che l'autunno caldo sia stato un periodo in cui il sindacato hamanifestato il massimo della sua autorità e anche la più grande capacità diorganizzazione. Ci furono segni, certamente, di fermenti fra gruppi dilavoratori, ma soprattutto fra giovani estranei alla classe la-

voratrice, che segnalavano l'inizio di un fenomeno sovversivo. Il movimentosindacale non è mai stato toccato, allora, da questo fenomeno e ha saputo anzi,in tutte le prove, dimostrare una grande capacità di governo del conflittosociale.Intanto, a Milano, si verifica un grave episodio. Il 19 novembre i sindacatihanno dichiarato uno sciopero per la casa; mentre i partecipanti a un comizio,tenuto da Bruno Storti, stanno uscendo dal teatro Lirico, sfila un corteo didimostranti, in buona parte giovani della sinistra extraparlamentare. Comincianoi caroselli delle camionette, vengono coinvolti quanti stanno uscendo dalteatro, che reagiscono. Negli scontri rimane ucciso l'agente di polizia AntonioAnnarumma. Aveva 22 anni, proveniva da una famiglia di braccianti dellaprovincia di Avellino. Da lì a pochi giorni, Milano e l'Italia saranno sconvolteda un altro, e ben più grave, avvenimento: la strage di piazza Fontana. E` il 12dicembre del 1969. Secondo alcuni, la coincidenza con le lotte sindacali non èfortuita; rientra in un disegno che prevede di creare con lo strumento degliattentati le condizioni per una svolta politica e sociale. In questo clima siconclude l'"autunno caldo".Il 9 dicembre firmano l'accordo i sindacati e ITntersind, che raggnippa leimprese a partecipazione statale. Il 21, dopo quattro mesi di lotte, è la voltadella Confindustria. E` una vittoria delle richieste operaie: aumenti di pagauguali per tutti e riduzione dell'orario di lavoro a 40 ore settimanali. Imetalmeccanici, inoltre, acquisiscono il diritto di tenere assemblee infabbrica.Cinque mesi più tardi le principali conquiste di quell'autunno verranno sancitenello Statuto dei diritti dei lavoratori, che diventerà legge dello Stato.Interviste a Mario Capanna e Giampiero MughiniMario Capanna e Giampiero Mughini, o viceversa. Due exc‘rnpagni del Sessantotto, oggi hanno questo in comune: en-rambi scrivono un libro per congedarsi da quella esperienza;^a mentre Capanna lo intitola Formidabili quegli anni, quello diu?hini si chiama Compagni addio. Fra queste due figure c'è

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dunque una divaricazione radicale: Capanna ha nostalgia di quegli anni, Mughinili rigetta. Che cosa, tuttavia, ciascuno di voi accetta ancora delle ideedell'altro, che cosa ancora è conciliabile, e che cosa, al contrario, vi divideirrevocabilmente?Capanna Anzitutto vorrei dire che non mi sono congedato da quegli anni. Hoscritto questo libro per cercare di spiegare bene le ragioni profonde e, credo,molto alte che allora animarono milioni di persone. Penso che quei valori, tuttosommato, siano venuti continuando, nonostante molti abbiano cercato dicalpestarne le radici. Penso, per esempio, che non avremmo avuto conquistecivili importanti come il divorzio, e in anni successivi l'aborto, se allora nonsi fosse aperta questa pagina di profondo rinnovamento culturale, politico emorale. Per quanto riguarda gli addii, questo è un bisogno che ha sentitoMughini. Io saluto milioni di lavoratori, di donne, di giovani, che hanno fattoquesta grande esperienza sociale umana e collettiva e che ora continuano alavorare ber il futuro.Forse, nei suoi saluti, Mughini comprende anche Capanna..Mughini Sì certamente... ma con un addio. Noi siamo entrambi cittadini di questaItalia di fine secolo, abbiamo in comune alcuni capelli bianchi e quello che cidivide è il fatto che lui pensa che quella stagione continui a durare comequalcosa di sostanziale per il nostro Paese. Io ritengo che quella sìa, invece,una stagione nettamente conclusa. Una stagione importante, cruciale nella storiadi questo Paese, ma drammaticamente conclusa.Capanna, lei all'epoca aveva ventitré anni, era il leader del Movimentostudentesco nato all'Università Cattolica di Milano. Successivamente, è statouno dei fondatori di Democrazia proletaria, partito che ha guidato per sei anni,se non sbaglio; e oggi è deputato del gruppo Verdi-Arcobaleno. Un percorso, dicequalcuno, che va verso dimensioni, realtà, prospettive in qualche modo piùmoderate rispetto alle sue idee di allora. Almeno si spera, direbbe qualcunaltro. L'immaginazione non è andata al potere, ma lei, Capanna, è andato alParlamento. Si sente in debito con l'immaginazione, o no?

Capanna Per nulla. Anche perché non sono mai stato estremista e tutta quellagente che prima ricordavo sostanzialmente non lo è stata. E` stato estremista loStato, che ha risposto a quei grandi movimenti con la strage di piazza Fontana,con le bombe, con la polizia che spara ad Avola e a Battipaglia, mettendolavoratori contro lavoratori. I lavoratori non hanno mai chiesto l'impossibile,anche se erano consapevoli che per ottenere il possibile bisognava, e bisogna,chiedere l'impossibile. In politica, solo gli imbecilli non cambiano... Laquestione di fondo è che la grande ondata di allora, al contrario di quantopensa Mughini, non si è conclusa: la Storia è un "continuum"; nella diversità,ovviamente. Se mi è consentito questo paragone, fra il Capanna del 1968 e quellodi oggi vedo una continuità nella differenza. E` il medesimo personaggio che inParlamento si alza con un plico di carte alto così e dice: "Lei, onorevoleministro, nel governo rappresenta la mafia". Quel tale, oggi, non è più ministroMughini, nella sua carriera di giornalista e di scrittore, ha fatto molteesperienze: ha cominciato con "Giovane critica", poi ha prestato la sua firmaalla direzione di "Lotta continua" perché il giornale potesse uscire quando giàsi parlava di lotta dura al sistema, e di lotta perfino armata e, quando non siparlava di lotta armata, si parlava di rivoluzione. Ma lei è anche stato uno deiprimi pentiti, se così si può dire. Come è avvenuta, attraverso quali fasi, lasua conversione?

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Mughini Conversione non è il termine giusto, perché è un termine religioso einvece la mia è stata una esperienza laica. Noi siamo stati i ragazzacci deglianni Sessanta. Negli anni Sessanta la società ebbe come una scossa tellurica...per cui non si poteva non stare in quelle piazze, dentro quelle università.Chiunque respirò quell'aria era difficile che potesse stare altrove, a meno dinon avere una appartenenza ferrea a istituzioni precedentemente consolidate; lanostra, invece, era una istituzione atto stato nascente. Però, a un certo punto,è apparso chiaro che, contra-namente a quanto dice Mario Capanna in una visionepolitica e culturale estremista, si profilava un attacco frontale alleistituzioni politiche e sindacali del Paese, le quali non saranno state perfette- e non erano perfet-*òòò io non ho mai appartenuto a nessuna di questeistituzioni - ma era-n‘, comunque, uno dei baluardi su cui si reggeva la societàin un mo-

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mento dì convulsione. Quando si è sviluppato questo attacco frontale, quando hovisto il settarismo diffondersi nella mia generazione, me ne sono nettamenteallontanato.Capanna Sì, ha fatto quello che sovente capita a certuni: buttare il bambinoinsieme con l'acqua sporca; secondo me, non c'è dubbio, come ha detto Trentin,che il sindacato nel 1968 e nell'autunno caldo del 1969 ha espresso il massimodi rigore, di verità, di forza e di lucidità, oltre che di capacitàcontrattuale. Questo è innegabile.Mughini Posso raccontare un episodio. Nell'autunno del 1969, nella città in cuisono nato, si svolgeva una grande manifestazione per la casa, un problema ditutti, un diritto universale. C'era un corteo sindacale con le sue bandiere e lesue parole d'ordine, eccetera. Dietro, il gruppo estremista della mia città, ungruppo marxista-leninista il cui unico scopo era quello di provocare, insultareil corteo sindacale. Finì a botte spaventose: io mi misi in mezzo e presi la miaparte di botte. Questa era la realtà italiana del 1969, con i gruppidell'estrema sinistra avversi l'uno all'altro, frontalmente contrapposti...In Lotta continua - dice Luigi Bobbio, un personaggio con una bella storiacivile e culturale, oltre che con un grande nome - non c'era uno sfondocriminale, ma solo una realtà politica storica e sociale. Eppure quellebattaglie furono e sono ancora criminalizzate. Perché?Capanna Io ebbi frequenti polemiche, a volte anche molto aspre, con gli amici ei compagni di Lotta continua. Loro ci accusavano di essere moderati, mentre noili criticavamo per un eccesso di verbalismo estremistico e, per dir così, dinichilismo pratico. Lotta continua ebbe, comunque, una funzione moltoimportante, non solo a Torino e nelle lotte alla Fiat.Oreste Scalzone, uno dei leader degli studenti romani e uno dei fondatori diPotere operaio, ha recentemente scritto: "Molto spesso la quotidianità delmovimento oscillava tra la tensione epica e la farsa", quasi a sottolineare chec'era molta enfasi in quello che si faceva, ma poca progettualità. Si è maisorpreso a chiedersi, Capanna, il perché di tutta quella energia pre-

stata, come dice qualcuno, a una astrazione, se non anche a una violenza, chepurtroppo negli anni futuri non sarà più facile governare?Capanna Questo è un punto delicato. Che il Sessantotto nasca violento è un falsostorico, sfido chiunque a dimostrare il contrario. Non lo dico io, lo dicono ifatti. Il Sessantotto nasce e per lungo tempo si sviluppa in modo assolutamentenon violento. La violenza viene inoculata quando le università occupate, icortei operai, i picchetti operai, sono attaccati militarmente dalle forze di

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repressione dello Stato. Ci toccò allora difendere nelle strade e nelle piazze,in una situazione difficile, i diritti di libertà e di democrazia...Mughini Ma no! Credo che questa sia una favola... Capanna Questa è la veritàstorica, non una favola!Mughini Senza enfasi, è una favola. Nel 1968 c'è Valle Giulia. E a Valle Giuliache cosa succede? Interviene la polizia, gli studenti reagiscono.Capanna Confermi esattamente il mio...Mughini Aspetta che finisca il ragionamento! Gli studenti reagiscono ed esaltanola loro azione con una cultura che diceva: "In punta al fucile sta il nostropotere".Capanna Non è così...Mughini "In punta al fucile sta il nostro destino. " E` uno slogan che riflettela cultura^ le convinzioni di quegli anni.Capanna Tu hai il dovere morale, politico e storico di prendere atto che il mioasserto è confermato dai fatti: per lunghi mesi ci sono state lotte pacifiche,non violente, fino a quando è intervenuta la polizia. La risposta che la genteha dato può essere criticabile, questo lo si può dire in sede storica. Ma laverità è questa.Mughini No, c'era un organismo di combattimento inserito nel ser-Vlzio ^'ordinedel Movimento studentesco milanese.Capanna Nessuno lo nega. Un servizio d'ordine che ha cercato di Jare età che lapolizia non faceva; come, ad esempio, rendere agibile piaz-Za an Cabila,difendere l'incolumità fisica di decine di personalità de-e, di sindacalisti edi studenti...

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Mughini Che cosa hai pensato quando andarono in cinque contro lostudente Ramelli?Capanna Questo riguarda un'altra organizzazione politica... Mughini Lo sobenissimo!Capanna L'ho anche detto pubblicamente: fu un tragico errore, umano e politico.Siamo nel 1975, non c'entra il Sessantotto. Non facciamo confusione.Mughini // Sessantotto dura fino alla morte di Moro...Capanna Non solo in Italia. Perché io trovo che l'avventura del Sessantotto ècontinuata all'Est. E` quello che ho provato quando ho visto due milioni dicecoslovacchi, in piazza San Venceslao, a Praga, che gridavano: "Dubcek, ventianni fa avevi ragione tu!".Mughini Ma non c'era un solo marxista in quelle folle...Capanna Nel Sessantotto, come tu ricorderai, decisivo fu non solo il filonemarxista, quello libertario, democratico, ma il filone critico del pensierocattolico: don Mazzi, il sacerdote dell'Isolotto che dice al Vaticano: "No, lavostra religione non è ciò che è la mia fede".In tutte le testimonianze dei protagonisti di quegli anni un dato di fondoemerge costante: la sensazione che la rivoluzione fosse vicina. Ma quali proveavevate?Mughini Assolutamente nessuna. C'era qualche indizio, in qualche fabbrica c'erastata una tensione maggiore, in qualche piazza c'erano stati episodiparticolarmente accesi, ma questi indizi venivano elaborati M chiave psicotica.Capanna Secondo me, uno degli errori di molti gruppuscoli nati appunto dal '68al '69 è stato quello di scambiare la contestazione per rivoluzione. Sono duecose radicalmente diverse; è stato un errore di lozione e di prospettiva.Il Sessantotto ha vinto, dicono alcuni, come lei. Il Sessantot' to è statosconfitto e negato dalla storia, dicono altri, Mughini.

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Mughini Io non dico esattamente questo. Capanna Oh, mi fa piacere!Mughini Io dico che il Sessantotto è entrato nelle viscere della società e che,a quel punto, andava chiusa la stagione dei partitini, delle assemblee,eccetera, e bisognava vivere il nostro tempo. Certo, il referendum sul divorzio,quello sì che è un lascito del Sessantotto, ma non ha nulla a che vedere con leforme precedenti di agitazione e di protesta.Capanna Posso fare una osservazione? L'ultima grande conquista riformistica chequesto Paese ha avuto è lo Statuto dei diritti dei lavoratori: 1970.*Quanta influenza ha avuto, secondo la vostra personale esperienza, il movimentodegli studenti su quello degli operai e, quindi, sulle lotte dell'autunno caldo?Capanna Dipende. Nelle grandi metropoli del Nord, come a Milano e Torinosoprattutto, ma in parte anche nel Meridione, a Napoli per esempio, abbastanza.L'idea cardine della democrazia diretta, l'assemblea: discutiamo, ci guardiamonegli occhi, decidiamo, e una volta che abbiamo deciso, controlliamo insieme ledecisioni... Questa idea si è propagata nonostante gli ostacoli e le diffidenze.Una sorta di contagio in positivo.Le suggestioni rivoluzionarie di quegli anni quanto sono rintracciabili nellanascita della lotta armata?Mughini Ali '85 per cento...Capanna Dissento radicalmente, perché, a mio avviso, il terrori-o è stato lanegazione di ciò che fu il 1968-69. E` stato la lotta dietro 1 angoloJl'agguato, il pensare che eliminando fisicamente l'avversario si colpiva ilcuore dello Stato. Non occorreva aver letto Marx per sapere che sarebbe accadutoquanto è successo, e cioè che invece di colpire il cuore 0 Sfato in quel modo siconsentiva allo Stato, come puntualmente è venuto, di rendersi più autoritario.Abbiamo avuto la legislazione digenza, l'uso sfrenato del pentitismo. Il caso Tortora grida ancora ^ridetta!

44Sergio ZavoliMughini // terrorismo ha coinvolto in Italia qualcosa, a dir poco, comediecimila persone. Da dove venivano fuori questi diecimila compagni di viaggio?Capanna Mughini, ti prego, non esagerare.Mughini Se le Br avessero fatto un partito avrebbero preso centomi-la voti. Dadove venivano tutti costoro se non dal brodo di coltura dell'Italia di allora:1Capanna Ti rispondo. Io, tu, centinaia di migliaia di altri, non solo non siamodiventati terroristi, ma siamo stati coloro che conducevano in prima fila unabattaglia fiera e in taluni momenti anche rischiosa, ideale, culturale epolitica. Noi abbiamo contribuito a creare le condizioni, non il generale dallaChiesa...Mughini Ma conducevamo una battaglia contro una parte di noi stessi, contro ilSatana che era nella nostra cultura...Capanna Nella tua non so, nella mia no... Abbiamo contribuito a creare lecondizioni perché il terrorismo franasse, come poi è successo. Questo lorivendico con orgoglio. Insamma, cerchiamo adesso di non pentirci delle cosemigliori...Mughini Ma per carità!Capanna ... Cose che durano, che reggono.Lei, Mughini, ha scritto Compagni addio, un libro molto forte e provocatorio.Addio a chi? Che cosa di quegli anni ha voluto sconfessare, rimuovere,condannare?Mughini No, sconfessare non è il termine giusto. Ho detto addio ai compagni deimiei vent'anni, come Capanna, perché non ero d'accordo con loro; e ho dettoaddio alle idee motrici della sinistra di allora, che mi sembravano invecchiate,lise, e i fatti di questi ultimi mesi mi pare che lo dimostrino a iosa. ForseCapanna non è d'accordo.Capanna No, ascoltami... Non amo molto i pentiti, sarei disonesto se lofacessi...Quindi non ama neanche Mughini...

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Capanna No, dal punto di vista politico; umanamente è un 'altra cosa, ma dalpunto di vista politico assolutamente no. Tu hai sentito il bisogno di dire"compagni addio!" Io, invece, dico "compagni arriveder-CH". La vitalità delSessantotto sta proprio in questo: che guarda lontano e tende ad andare lontano.Mughini, quali sono stati successivamente i suoi rapporti con i compagni e amicidi un tempo che si sono invischiati nelle vicende del terrorismo?Mughini E` uno dei lutti della mia vita, che ha preso anche un aspettonevrotico. Quando ero ragazzo, e facevo "Giovane critica", scrivevo una quantitàenorme di lettere. Allora vìvevo in provincia e scrivevo a tutti. Poi ho smesso,non ho mai più scritto lettere, proprio per quel ricordo nevrotico di unastagione che per me era finita. Ho ricominciato a scrivere lettere molti annidopo, verso il 1982-83, e ho avuto una corrispondenza assidua con alcuni pentitidel terrorismo, perché sentivo che c'erano fratelli con i quali dovevo parlare,dire qualcosa, e dai quali dovevo capire qualcosa.Due ex compagni di lotta del Sessantotto si erano irrevocabilmente separati.Ecco, vi siete trovati dopo tanto tempo: non credo che siate venuti qui felicidi incontrarvi, anche se non ostili l'uno all'altro...Mughini Assolutamente no.Che cosa è ancora riconoscibile delle vostre vecchie esperienze in ciò che visiete detti? Che cosa è riconducibile, anche minimamente, a quei tempi, che cosasiete disposti a salvare l'uno dell'altro?Capanna Vorrei dire che è la prima volta che Mughini ed io ci troviamofisicamente vicini. Non era mai successo prima. A me pare che lo finto critico,la voglia di sviscerare le questioni, pur nel dissenso, è una ' quelle cose cheil Sessantotto lascia come segno. Io non sento affatto uºhini come un nemico, oun avversario. Trovo in lui un eccesso di n ttismo che non apprezzo, ma credoche non bisogna mettere limiti al I')?*0 ^ Sess(wtotto avrà vita lunga. Loabbiamo visto nell'Europa del-ò Lredo che bisogna guardare avanti, senzatagliare le radici che af-

46 Sergio Zavolifondano nel passato, perché chi recide le radici del proprio passato non ècapace di conquistare il futuro da protagonista.Mughini Di quel che dice Capanna, io non condivido, veramente, quasi nulla.Però, lungi dal sentirlo come ostile, o qualcosa del genere, lo sento comemembro di una tribù di apache, dai capelli ormai brizzolati, di cui abbiamofatto inesorabilmente parte. E questo resta per sempre, anche nei rapportipersonali.Lei si riconosce in un vecchio capo indiano?Capanna No, perché possiamo andare ancora indietro nella storia: per esempio,fino ai cartaginesi. Noi conosciamo la storia dei cartaginesi solo attraversogli scritti dei vincitori che, come si sa, rosero al suolo la città e vicosparsero il sale. Ebbene, coloro che hanno fatto le grandi lotte nel 1968 e1969, al contrario dei cartaginesi, non sono stati sbaragliati. ..Mughini Ma ha vinto la democrazia, per fortuna.Capanna Non sono stati sbaragliati e sono vivi grazie anche a quelle lotte. Percui la storia, d'ora in poi, sarà scritta a più mani. E che questa opportunitàaccomuni due persone diversissime come Mughini e me lo considero positivo, ancheper il futuro.

IliLA BOMBA A PIAZZA FONTANA:ANARCHICA O NERA? O DI CHI ALTRO?DEPISTAGGI E INQUINAMENTIII 12 dicembre del 1969 cade di venerdì. A Milano, per tutta la notte, èpiovuto. Il tempo si manterrà incerto fino a sera. E giorno di mercato.La sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura, in piazza Fontana, è colma diclienti venuti soprattutto dalla provincia. Gli altri istituti di credito hannochiuso alle 16,30; qui gli sportelli restano aperti più a lungo.Sono le 16,37 quando nel grande salone dal tetto a cupola scoppia un ordignocontenente 7 chili di tritolo. Nella grande sala, orrendamente mutilati, i 16corpi delle vittime. Per un'ora e mezzo le ambulanze fanno la spola con gliospedali più vicini dove vengono ricoverati i feriti: 87

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Un impiegato della banca:Mi sono affacciato allo sportello e ho visto cadaveri da tutte le parti Sulladestra c'era un signore senza le gambe che chiedeva aiuto... dei lamentiindimenticabili. Persone anziane... persone che chiedevano aiuto, alla madresoprattutto...Fra le primissime persone che entrano nella grande sala della "anca Nazionaledell'Agricoltura appena sconvolta dall'esplo-sione c'è un giornalista: è CorradoStajano, autore, fra l'altro, con Marco Fini e Franco Campigotto, del famosociclo televisivo La forza della democrazia.Iiuervista a Corrado StajanoArrivasti a Milano pochi minuti prima che accadesse la trage-Qla: che cosaricordi?

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Ero arrivato in treno da Roma a Milano, alla stazione ho preso un taxi e iltassista mi ha detto che era scoppiata una caldaia in piazza Fontana; allora,invece di andare a casa, gli ho detto: "Mi porti in piazza Fontana!". Sonoarrivato davanti alla banca e ho incontrato un giornalista della Rai che mi hadetto: "Ma che caldaia, è una bomba! Ci sono 20-30 morti!". Non e 'erano ancorai blocchi della polizia: sono entrato nella banca e ho visto sangue dappertuttoe poi dei pezzi di mani, credo, dei pezzi di gambe e poi dei pezzi di corpoumano appiccicati ai muri. Dopo un po' I arrivato il cardinale di Milano e aquel punto cominciò l'ufficialità, cominciarono gli sbarramenti...Che cosa pensasti quel giorno?Ho pensato che cominciava davvero un periodo cupo, un periodo atroce. Ma già dalsettembre, ottobre e novembre di quell'anno avevamo cominciato a stare moltoattenti a quanto stava accadendo e timorosi di quanto poteva accadere.Dall'autunno caldo in avanti.Quale fu, quel giorno e subito dopo, l'atteggiamento prevalente della città edegli inquirenti?L'atteggiamento della città fu straordinario. C'era una consapevolezza, c'era undesiderio di capire, di fare fronte. Lo si intuì subito da quella straordinaria,ma terribile mattinata dei funerali delle vittime in piazza del Duomo.E gli inquirenti?è'Erano proprio i figli del vecchio Stato che non si rendevano conto che iqualche cosa era cambiata. Tra l'altro, questi inquirenti non si capacitavanoche noi, giornalisti delle testate borghesi, facessimo il nostro lavoro, nonfossimo dalla loro parte come sempre era stata l'informazione, e fossimo inveceestremamente critici.Si trattava di una sorta d'ingenuità, o tutto questo apparteneva a qualcosa dipreconcetto?C 'era un pò ' di ignoranza, un pò ' di presunzione, il presumere che tuttoquanto riguardava una classe sociale appartenesse a quella classe. Pii2' zaFontana scatenò contraddizioni umane e civili molto forti e io sono con-

vinto che quella strage sia la chiave per capire la storia di questi ultimivent'anni.Se i colpevoli fossero stati trovati e se quindi fosse stata fatta subitogiustizia, che cosa, verosimilmente, ci saremmo risparmiati?Penso che tante morti innocenti non ci sarebbero state, che il terrorismoavrebbe potuto essere frenato, perché tanti giovani ebbero anche questa spinta.Undici anni dopo, il 2 agosto del 1980, la strage alla stazione di Bologna:ancora una volta scoppia una "caldaia", ricordi?

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Sono i modi classici per guadagnare tempo: le autorità si muovono, nel frattempovedono come reagisce l'opinione pubblica, quali possono essere le decisioni deiprossimi minuti. Non è casuale, quindi.Lo stesso pomeriggio, a Roma, scoppiano altre tre bombe, una nel sottopassaggiodella Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, due sull'Altare dellaPatria: 16 feriti. Una quinta bomba, contenuta in una borsa, viene trovatainesplosa a Milano, nei locali della Banca Commerciale di piazza della Scala. Laborsa è recuperata, ma l'ordigno, che potrebbe fornire elementi preziosi per leindagini, viene fatto brillare la sera ^icssa dagli artificieri. Da Milano ilprefetto Libero Mazza telegrafa al presidente del Consiglio Mariano Rumor:"L'ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza le indagini verso gruppianarcoidi". Nascono i primi dubbi. La sera della strage, intervistato da Tv7,Indro Montanelli si era dichiarato contrario all'ipotesi del-a Pista anarchica.Questa, ribadita in seguito, la tesi del giornalista:.al 10> non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara 8 ‘' mSenere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. "^ S, .atte "^ Seinpre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame ‘>evidentemente, non era di marca anarchica o anche se erao ho escluso immediatamente la responsabilità degli anarchici per zio"6 ra^.0m:Prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intui-dall C> ^‘' Perc'1éconosco gli anarchici. Gli anarchici non sono alieni . enza> ma la usano in unaltro modo: non sparano mai nel 10

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ai marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, manon apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversae che credo sia ancora ben diversa...Piero Bassetti:Si aveva l'impressione di un doppio comando, di qualcosa che sfuggiva anche alleautorità politiche. Ricordo un colloquio con il prefetto Mazza, un colloquiodifficile, nel corso del quale io, nella mia veste di segretario regionale dellaDemocrazia cristiana, non esitai a dirgli che noi avevamo l'impressione chequalche cosa, in questura, fosse sfuggita dalle mani del controllo politico.In quattro giorni vengono fermati, soltanto a Milano, 84 fra anarchici emilitanti di estrema sinistra; 2 gli appartenenti a formazioni di destra. Iprimi sospetti cadono su Giuseppe Pinelli, ferroviere, una figura di spiccodegli ambienti anarchici milanesi. Convocato in questura la sera stessa dellastrage, Pinelli viene interrogato a lungo, ininterrottamente. Tre giorni dopo,lunedì 15, l'anarchico non viene rilasciato anche se non gli è stata contestataalcuna imputazione precisa.A interrogarlo è Luigi Calabresi, il commissario di polizia che guidal'inchiesta sulla strage, la quale è coordinata dal questore di Milano.L'avvocato Luca Boneschi, a cui gli anarchici sono soliti rivolgersi, dichiarache l'inchiesta sembra avere un unico obiettivo:Io ricordo che parecchie persone, madri e padri, mi hanno telefonato quellanotte dicendomi: "Stanno portando via mio figlio, cosa devo fare?". Sabatomattina, e poi lunedì, siamo andati alla Procura della Repubblica a parlare conPaolillo, il pubblico ministero che si occupava delle bombe della sera prima,per protestare contro questi fermi-Non si capiva da che cosa fosserogiustificati: il fermo deve partire da indizi gravi. Non c'era nessun indizio,invece, contro le persone fermate. Eravamo fuori dalla legalità anche perun'altra ragione: il magistrato non sapeva nulla di tutti questi fermati. Siamo

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andati noi in tribunale a dirgli: "Guardi che ci sono decine e decine di personei*1 questura e non sappiamo il perché". L'indagine era condotta dalla pò* lizia,che aveva fatto queste retate. Hanno detto "a destra e a sin"' stra", ma inrealtà, da quello che ho potuto vedere io, c'erano molti6' simi anarchici equalche extraparlamentare non anarchico.

L'ultimo interrogatorio di Pinelli ha inizio lunedì sera. Licia Pinelli, mogliedell'anarchico, racconta:Mi telefonarono dalla questura verso le nove e mezzo, dieci, per chiedermi illibretto ferroviario di mio marito, quello dove sono segnati i viaggi. Dopodieci minuti ho ritelefonato per dire che l'avevo trovato e se potevo andarlo aportare. Intanto, ho chiesto notizie di Pino e mi hanno risposto che era inquestura dove stava molto bene. Mi avevano detto che avrebbero mandato qualcunoda me a ritirare il libretto. Verso le undici è arrivato un brigadiere. All'unameno dieci sono arrivati i giornalisti per avvisarmi che mio marito era cadutoda una finestra del quarto piano della questura. Eravamo in casa io e le bambinepiccole. C'era anche mia suocera. Tutte e due ci siamo mosse verso il telefonoper chiamare la questura, per chiedere se era vero. Non ci volevamo rendereconto che le cose fossero andate così. Chiamiamo, io dico: "Sono arrivati duegiornalisti, mi hanno detto che mio marito è caduto dal quarto piano dellaquestura. Perché non siamo state avvisate?". Mi è stato risposto: "Non avevamotempo".Ecco come il Telegiornale da la notizia:Giuseppe Pinelli, stanotte, veniva interrogato in una stanza al quarto pianodella questura. Pinelli era noto per la sua attività anarchica e il suo fermoera stato convalidato e protratto su disposizione dell'autorità giudiziaria.Secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa egli aveva fornito agliinquirenti un alibi che, sempre a detta delle stesse agenzie di stampa, nonaveva trovato convalida. Durante una breve sosta dell'interrogatorio si ègettato nel vuoto da una finestra rimasta socchiusa. Nonostante il tentativo ditrattenerlo da parte del personale di polizia presente in quel momento, unufficiale dei carabinieri e quattro sottufficiali di pubblica sicurezza, Pinelliè precipitato nel vuoto. E` caduto su questa aiuola. Lo hanno trasportatoall'ospedale, ma le cure dei sanitari sono risultate vane. Lascia la moglie edue figlie. Era frenatore delle ferrovie dello Stato nella stazione di PortaGaribaldi, aveva 41 anni. Il suo corpo è ora a disposizione dell'Autoritàgiudiziaria che ha subito aperto un'inchiesta.Gemma Capra, moglie del commissario Calabresi:Lui rincasò quella notte, all'alba. Era veramente distrutto, e molto,0 to triste. Posso assicurare che in quel momento non pensava certa-Se nt^- ^ corso delle indagini, ma alle conseguenze di questo fatto.di p- ,5:mente pensava che un uomo era morto. Non ha mai parlatoSo ^ come di un avversario, di un imputato, ma come di una per-a cne, purtroppo, aveva perso la vita.

52 Sergio ZavoliSulla morte di Pinelli nascono e si sviluppano aspre polemiche. Esse dilaganonel Paese e dividono l'opinione pubblica anche internazionale. Sebbene laversione ufficiale sancisca la tesi del suicidio, un dubbio resterà fino ainostri giorni.Per il procuratore generale della Repubblica di Milano, Luigi Bianchid'Espinosa, il comportamento di chi stava interrogando l'anarchico può dirsinegligente e imprudente, al punto che quattro poliziotti e un capitano deicarabinieri, gli unici presenti nella stanza, saranno oggetto di un'inchiestabasata sull'ipotesi dell'omicidio colposo.Per la sinistra extraparlamentare si è invece trattato di un vero e proprioomicidio e la responsabilità, quantomeno morale, viene addossata al commissarioLuigi Calabresi.La magistratura apre due procedimenti penali, il primo con l'accusa di omicidiovolontario a carico dei poliziotti e del capitano dei carabinieri Lo Grano,presenti nell'ufficio al momento della morte di Pinelli. Contro il commissarioCalabresi, che non si trovava nella stanza, il procuratore procede invece peromicidio colposo.

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Ciò che non viene chiarito oggi lo sarà domani: così ci si consola in queigiorni. La vedova Pinelli non è estranea a quella, seppure amara, speranza. "Noisiamo in una democrazia e in uno Stato di diritto," dice "la verità è una sola ela verità deve venir fuori." Il clima di allora traspare da queste parole dellamoglie del commissario Calabresi:Fu un periodo molto triste per noi; anche se, insieme, lo superammo abbastanzabene. Non ricordo con precisione quanti giorni dopo la morte di Pinelli cominciòquesta diffamazione. Bisognerebbe andare a monte per capire il periodo e come sisvolsero i fatti. I gruppi extraparlamentari che in quel momento volevano larivoluzione e rovesciare il governo, se la prendevano ovviamente con l'organodello Stato che quasi quotidianamente si vedevano di fronte, faccia a faccia: lapolizia. Da qui il passo fu breve e mio marito diventò il capro espiatorio.Il 27 ottobre 1975 il giudice istruttore Gerardo D'Ambrosio proscioglierà tuttigli imputati, agenti e funzionari di polizia, perché il "fatto non sussiste". Aquasi tre anni dalla strage, Lui"

La notte della Repubblica 53d Calabresi verrà ucciso con cinque colpi di pistola esplosi da un killer che loaspetterà in strada, davanti alla sua abitazione.Il 15 dicembre 1969 si svolgono i funerali delle vittime di piazza Fontana. IlPaese, quel lunedì, è tutto a Milano. La democrazia si riconosce in queste voci,raccolte da Tv7 di quella settimana:Hanno voluto seminare il terrore e io penso che non sia giusto raccoglierel'invito al terrore... piuttosto, sì, preoccupazione per i giorni futuri. E`stato un delitto terribile commesso contro gente semplice, contro tutta lagente, contro la collettività, contro il popolo...Sono un operaio che vive nella fabbrica, che conosce bene il mondo del lavoro.Siamo rimasti esterrefatti da questa strage. Siamo rimasti colpiti dalla mortedi tanta povera gente, di tutti i ceti, pensionati, commercianti, gente chelavora, gente che soffre, gente che ha passato una vita nel suo lavoro cononestà...Questo lutto popolare così silenzioso, e così eloquente, conferma che gliitaliani sono sensibili ai grandi moti dell'animo, ma avverte anche che sonocapaci di fare un attento uso della ragione; e questa è una scelta che siaccompagna a un rifiuto. Di fronte a ciò che potrebbe mettere in gioco il benecomune della libertà, così duro da pagare, prima, e da consolidare, poi, ilPaese, nella grande piazza del Nord in cui è per tanti versi riconoscibile ilvolto dell'Italia che cambia, ha rifiutato il rischio di dividersi. Un'altravoce del popolo:L'impressione è di essere divisi da mille contrasti, da mille problemi, ma difronte a una cosa così tragica, così mostruosa, è qui, in questa occasione, checi siamo ritrovati forti e uniti, noi milanesi, italiani, u|ti, dico tutti, perdimostrare che il Paese è compatto, che tutto è risolvibile con la forza dellanostra volontà, della nostra democrazia e. "berta che mio padre e i padri di mille altri hanno saputo conquistare.Prende la parola anche Paolo VI:eno n‘Pra una volta il sangue innocente di Abele, sparso a macchie traH^;1'?^enc*e questa mia diletta città, industre e onesta. Offende lee cristiane della nazione. A quest'ora grave e sacra addirebbe il silenzio.

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II Paese è ancora sotto shock, e ha negli occhi le immagini strazianti deifunerali delle vittime di piazza Fontana, quando il Telegiornale annuncia:

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Buona sera. Pochi istanti fa è arrivata questa notizia: un anarchico,appartenente al gruppo XXII Marzo, si chiama Pietro Valpreda, è statoriconosciuto da un testimone nel corso di un confronto che si è svolto allapresenza del magistrato, ed è stato incriminato per il reato di concorso instrage. Il suo fermo è stato tramutato in arresto.Milanese, figlio di piccoli commercianti, Valpreda comincia a lavorare comeartigiano, ma ha la passione della danza e diventa ballerino di fila in unacompagnia di avanspettacolo. E` anarchico. Frequenta i circoli libertarimilanesi, dove incontra Giuseppe Pinelli.Nel 1969 si trasferisce a Roma e frequenta il circolo Bakunin. Qui conosce MarioMerlino, militante di Avanguardia nazionale, che si dice anarchico. Con Merlinoe un certo Andrea, un agente infiltrato della polizia, Valpreda fonda il gruppoXXII Marzo.Valpreda arriva a Milano alle 6,30 di venerdì 12: è il giorno della strage. Devepresentarsi al giudice istruttore Amati. Ha in corso un processo per averediffuso un volantino anarchico che diffama, dice l'accusa, il pontefice PaoloVI.Alle 11 si incontra con i suoi avvocati. Ha l'influenza, con febbre alta. Tornaa casa della zia, Rachele Torri; riuscirà a provare di essere rimasto a lettoper tutta la giornata.Il nome di Pietro Valpreda era stato fatto subito dopo la strage. CornelioRolandi, tassista milanese, rimarrà a lungo un pilastro dell'accusa, anche se lasua testimonianza, per il modo stesso in cui viene promossa, confrontata, erespinta quantome-no da Valpreda, presta subito il fianco a una serie di dub_bi.Così Valpreda racconta:Siamo stati schierati nella stanza. Di fronte avevamo il pubblico ministero che,avevo saputo, si chiamava Occorsio. A un certo punto entrato questo tassista,deciso, che fa: "E` lui!". Io gli ho detto: "M m'hai guardato bene?". Lui èrimasto un po' lì e fa: "Beh, se n‘n lui, chi el ghe no!". Allora l'avvocatoCalvi è intervenuto: "Mettiart1 a verbale quello che dice il teste e cioè: "Senon è lui, qui non c'è *; Invece agli atti risulta: "... il tassista riconoscenell'imputato... ecc-"'

poi dice: "il tassista riconferma". Tra queste due frasi c'è il fatto dellaritrattazione del tassista, quando io gli son piombato a dire: "Ma mi haiguardato bene?". Non ho inveito, gli ho solo detto: "Ma guardami bene infaccia". Però questo fatto, agli atti, non esiste.Si continua a battere la pista anarchica, sebbene alcuni indizi portino altrove.Il timer utilizzato per l'esplosione di Milano è stato venduto a Treviso, e daPadova arriva una segnalazione che riguarda le borse in cui erano stati nascostigli ordigni.Ci vorrà quasi un anno e mezzo prima che le indagini investano anche l'eversionenera. L'inchiesta parallela, condotta a Treviso dai giudici Giancarlo Stiz ePietro Calogero, porta alla ribalta i nomi di due neofascisti padovani: FrancoFreda e Giovanni Ventura.FRANCO PREDA, 30 anni, nato ad Avelline e vissuto sempre a Padova, e unprocuratore legale. Appartiene sin dal liceo alla gioventù mis-sina, poipresiede il Fuan-Caravella di Padova, l'organizzazione degli studentiuniversitari del Movimento sociale italiano. Ma la militanza nel partito diAlmirante dura poco. Freda, sostenitore delle teorie nazionalsocialiste, iniziaa polemizzare da destra con la direzione dell'Msi, accusandola di compromessocon quella che definisce la democrazia moribonda della Repubblica. Nella suapiccola casa editrice, AR, pubblica il Mein Kampjdi Hitler. Si proclamaammiratore di Himmler, il primo comandante delle SS, e sostiene la supremaziadella razza ariana. Stringerà rapporti con Pino Rau-ti, aderendo a Ordine nuovo.GIOVANNI VENTURA, 27 anni, trevigiano, milita nell'Azione cattolica fino aquando un innamoramento giovanile, così definisce la svolta, lo spinge versol'Msi. Per vivere insegna ginnastica, apre una libreria e diventa un piccoloeditore. Amico di Franco Freda, proprio sotto la sua influenza ideologicapubblica una rivista ciclostilata dal titolo "Reazione", di tono neonazista.Stampa La giustizia è come il timone: dove la si gira va, di Freda, un violentoattacco alla magistratura e alla democrazia costituzionale. Proprio questa

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attività editoriale segnerà la sua evoluzione ideologica; dalle pubblicazioni ditesti neonazisti, passerà via via a opere di intonazione opposta.i risultati dell'inchiesta di Treviso vengono trasmessi alla magistraturamilanese. L'istruttoria si allarga: oltre a Freda e aentura coinvolge tra gli altri Guido Giannettini, esperto di Problemi militari,appartenente al Sid, che nel suo libro-paga lo

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identifica con la sigla "Agente Zeta". L'accusa è la stessa che viene mossa aPietro Valpreda. E` nata la cosiddetta pista nera.GUIDO GIANNETTINI, 41 anni, romano, è studioso di tecniche militari, haimportanti agganci con gli ambienti dei servizi segreti occidentali. Nel 1962gli americani lo invitano alla Scuola della Marina militare degli Stati Uniti,ad Annapolis, perché vi tenga un corso di tre giorni sul tema "Tecniche epossibilità di un colpo di Stato in Europa". E` uno specialista dei metodi dicontroguerriglia per fronteggiare insurrezioni e guerre rivoluzionarie. Neglianni Sessanta organizza convegni e gruppi di studio, stende piani militarisegreti, dirige agenzie di stampa. Il nome di Giannettini emergerà dalleindagini quando il professore trevigiano Guido Lorenzon dichiarerà al giudiceCalogero che il suo amico Giovanni Ventura gli aveva fatto delle confidenzesugli attentati dinamitardi di quel periodo.Lorenzon, che fino ad ora ha tenuto per sé le confidenze di Ventura, si è decisoa parlare. Tre giorni dopo la strage, il 15 dicembre, si reca a Vittorio Venetonello studio dell'avvocato Alberto Steccanella. Vuole liberarsi di ciò che sa,chiede consiglio. L'avvocato lo convince intanto a scrivere un memoriale, poidecideranno se presentarlo o no alla magistratura.Ecco come i due protagonisti hanno ricostruito quel colloquio:Steccanella: Mi aiuta, per cortesia, a decifrare quanto ha scritto? Dunque: "V.mi ha parlato di essersi interessato per sistemare una bomba in un palazzo diMilano: procura, prefettura, questura o altro. " Non riesce proprio apuntualizzare? Neppure ripensandoci?Lorenzon: No, no. Ricordo solo indistintamente che era un palazzo pubblico, ebasta.Steccanella: Andiamo avanti: "E che contemporaneamente un'altra sarebbe statasistemata a Roma. Abbiamo parlato degli attentati sui treni dopo che la stampane aveva parlato". Prima, non ne aveva fatto nessun cenno?Lorenzon: No. Non c'eravamo neanche incontrati, prima.Steccanella: "Mi disse il costo, circa 100.000 lire per ciascuna bomba; e glialibi venivano studiati accuratamente, anzi attentamente". Disse da chi eranoconcertati? Disse di chi era la regia di questi alibi?Lorenzon: No, no.Steccanella: "... che la borghesia aveva capito contro chi fossero le bombe. Ela polizia, che cercava i produttori in Germania, soltanto dopo dieci giorni siera accorta che gli orologi venivano venduti nel supermercati. 16 luglio,incontro V. a stazione Termini". Senta, L‘~

renzon, a questo punto credo proprio che lei mi debba dire chi sta dietro aquesta V.Lorenzon: E l'iniziale del cognome di Giovanni Ventura.Cesare Palminteri, sostituto procuratore della Repubblica a Padova:Le cosiddette farneticazioni del professor Guido Lorenzon, trasfuse in unperfetto verbale di interrogatorio da parte del dottor Calogero, mia collega inprocura, costituiscono il pilastro intorno al quale ruota tutto il processo di

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piazza Fontana, perché tutte le affermazioni, tutte le dichiarazioni delprofessor Guido Lorenzon sono state obiettivamente riscontrate.Il collaboratore più fidato di Franco Preda è Marco Pozzan, bidello di unistituto per non vedenti di Padova. Qual è il suo ruolo nella vicenda? Lochiarisce il magistrato Pietro Calogero, sostituto procuratore della Repubblicaa Padova:Accadde che organi collocati ai vertici, e comunque all'interno degli apparatidi sicurezza dello Stato, cominciarono, ad un certo punto, a lavorare non afavore dell'indagine, ma contro di essa, non per colla-borare con i giudici, maper intralciare e depistare il loro lavoro. Mi limiterò a ricordare, tra imolti, tre episodi. Il primo riguarda Marco Pozzan, uomo di fiducia di FrancoPreda, colpito da mandato di cattura nel giugno 1972 per concorso nella stragedi piazza Fontana. Il Pozzan aveva dato segni di cedimento in un precedenteinterrogatorio e rivelato dati di notevole importanza sulla strategia dellatensione e sulla sua matrice di ^destra. Sarebbe stato perciò decisivo avere lasua disponibilità fisica. E` risultato, invece, che verso la fine di quell'annouomini del Sid avevano intercettato durante la sua latitanza il Pozzan, loavevano condotto in via Sicilia, ove il Sid aveva gli uffici di copertura, Ioavevano sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio per saggiarne la tenuta ele conoscenze, e infine lo avevano fatto espatriare in ^Pagna con un passaportofalso.H secondo episodio riguarda Giovanni Ventura, anch'egli colpito da mandato dicattura per complicità nella strage. Anche il Ventura, nei primi mesi del 1972,dava segni di inquietudine e mostrava di vo-aer fc*re delle rivelazioni sullastrategia della tensione. Ebbene, il Sidche questa volta interviene, ma non già per collaborare; infatti, at-verso un proprio emissario, propone al Ventura un piano di fuga edei S'' mette a disposizione una chiave idonea ad aprire le celleboi Carcere di Monza, dove il Ventura è allora detenuto, e due bom-i cu-st0(j-te contenenti sostanze narcotizzanti per stordire gli agenti dila durante la programmata operazione di fuga.

58Sergio ZavoliII terzo episodio riguarda Guido Giannettini, uomo di destra, legato al Sid daun rapporto di collaborazione organico e a tal fine retribuito. Anche ilGiannettini, verso la metà del 1972, dopo aver subito una perquisizione, vienesospettato di complicità nella strage; contro di lui verso la fine di quell'annoviene emesso mandato di cattura. I] Sid interviene ancora una volta, non percollaborare, ma per indurre il Giannettini a sottrarsi alle investigazionidell'autorità inquirente. Viene infatti fatto espatriare in Francia dove saràtenuto sotto il controllo del Servizio che, anziché troncare ogni rapporto dicollaborazione, continuerà addirittura a stipendiarlo.Pista nera e pista anarchica. La storia processuale di piazza Fontana puòcominciare. Tra ipotesi che cadono e altre che si fanno largo sarà unsusseguirsi di nuove inchieste, nuovi rinvii a giudizio, nuovi dibattimenti,nuove sentenze. Persone sempre diverse prenderanno il volto degli imputati. Mai,nella storia del nostro Paese riferita a reati politici, la giustizia si troveràdi fronte a una rete così fitta e spesso impenetrabile di complicità, reticenzee deviazioni. Di questa strategia dell'occultamento fanno parte laframmentazione dei processi, il lasciar trascorrere tempo, il ricorso agliomissis.Il 27 gennaio 1973 il giudice D'Ambrosio chiede al Sid, con una ordinanza, dispiegare chi è esattamente Giannettini. Il Sid risponde: "Si solleva eccezionealla richiesta a causa del segreto militare".Vito Miceli, generale, ex capo del Sid, il 14 gennaio 1976 è davanti ai giudicidi Catanzaro: "Sui rapporti tra il Sid e Giannettini, la questione è coperta dasegreto militare al quale mi richiamo".Eugenio Henke, ammiraglio, capo del Sid, il 15 gennaio 1976, alla Corte d'assisedi Catanzaro: "Sui contatti fra il capitano Labruna e Giannettini, mi richiamoformalmente al segreto di Stato".

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Del problema degli omissis si occuperà il Parlamento che dopo un ampio dibattitoapproverà una apposita legge.LEGGE 24 OTTOBRE 1977, NUMERO 801. ARTICOLO 12: Sono coper" dal segreto di Statogli atti, i documenti, le notizie, le attività e og|> altra cosa la cuidiffusione sia idonea a recar danno all'integrità del ‘ Stato democratico anchein relazione ad accordi internazionali, al difesa delle istituzioni poste dallaCostituzione a suo fondamento, al l

La notte della Repubblica 59bero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, alla indipendenzadello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, allapreparazione e alla difesa militare dello Stato. In nessun caso possono essereoggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell'ordinamento costituzionale.Un ventennio, cioè l'equivalente temporale dell'epoca fascista che segnò lastoria di una generazione di italiani, non è bastato per sapere chi ha messo unabomba in una banca, a Milano, facendo una strage. Eppure l'Italia si ècompletamente trasformata, è divenuta un Paese moderno che ormai sta al passocon quelli più avanzati. Tutto ciò è accaduto in una democrazia profondamenteradicata nel tessuto civile del Paese e la cui trasparenza rivendichiamo ognigiorno contro ogni forma, specie ideologica, di occultamento.Da più parti, in tanti anni di attese sempre frustrate, è stata chiesta lasospensione, almeno in questi casi, del segreto di Stato. D'altronde, ildelegare in misura così ampia ai tribunali la ricerca della verità - lavorandoal tempo stesso perché non traspaia, come se essa non andasse cercata prima ealtrove - è un modo per non volere giustizia.E` pericoloso - si sostiene ragionevolmente - trasformare l'aula giudiziarianella sede unica e sacrale della verità, specie quando questa vi giungaindelebilmente sfigurata da inconfessabili interferenze. Ancora peggio è dareascolto a quella ben calcolata strategia dell'ingiustizia che, consegnando tuttoall'impossibilità di fare luce sui fatti, punta impassibile alla sfiducia e allaresa della gente. Indignarsi perle assoluzioni, piene o parziali, nonrestituisce nulla a chi non ha avuto giustizia; giustizia che, in uno Stato didiritto, deve poter rimanere credibile anche quando assolve. Il dramma è unaltro: sta nel nascondere prima e altrove, come si è detto, colpe e colpevoli.La verità entra in un cono d'ombra. Il Paese è turbato dalla sequenza didepistaggi e inquinamenti che impediscono alla giusti-2|a di venire alla luce.Emblematica, in questo senso, la storia giudiziaria della strage di piazzaFontana.!\OMA 23 FEBBRAIO 1972, inizia il processo. Principali imputati: Val-corn a>'mo- Dieci giorni dopo, processo trasferito a Milano per in-n_ Petenzaterritoriale. Poi, trasferimento a Catanzaro per motivi di Ordlne pubblico.

60Sergio ZavoliCATANZARO 18 MARZO 1974, secondo processo. Sospeso dopo trenta giorni percoinvolgimento di nuovi imputati: Preda, Ventura.27 GENNAIO 1975, terzo processo. Coimputati: anarchici e neofascisti. Dopo unanno, nuova sospensione. Incriminato: Giannettini.18 GENNAIO 1977, quarto processo. Imputati: anarchici, neofascisti, Sid.Sentenza: ergastolo per Preda, Ventura, Giannettini. Assolti: Val-preda eMerlino.Sentenza d'appello: tutti assolti.La Cassazione annulla la sentenza, proscioglie Giannettini e ordina un nuovoprocesso.13 DICEMBRE 1984, quinto processo. Imputati: Valpreda, Merlino, Preda, Ventura.Nuova sentenza: tutti assolti.La Cassazione conferma.26 OTTOBRE 1987, sesto processo. Imputati neofascisti: Fachini, Delle Ghiaie.20 FEBBRAIO 1989. Assolti per non aver commesso il fatto.5 LUGLIO 1991, la Corte d'assise d'appello di Catanzaro confermeràl'assoluzione.Intervista a Pietro ValpredaSignor Valpreda, dove si è fermata a suo avviso la verità?

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Subito dopo la strage, appena arrivarono i giudici mandati dal potere, da Roma,che carpirono l'istruttoria al giudice naturale di Milano, un giudice diMagistratura democratica che, allora, sembrava volesse fare non solo un'indaginecon i crismi della legalità, come non è stato fatto in seguito, ma ancheappurare la verità che fu rapinata, invece, dopo ventiquattro ore. Credo che daallora la verità sia sparita totalmente, anche se poi con controinchieste, mezzeammissioni, eccetera, qualcosa emerse... non informa attiva, ma informanegativa... non del genere "ho fatto", ma "non mi ricordo", "non ho potutofare". Però, sì, qualcosa è rimasto.Il nostro è uno Stato di diritto, con una democrazia forte, in cui si ha la piùalta percentuale di votanti nel mondo, e che al terrorismo ha dato risposte nonideologiche: è disposto oggi a riconoscerlo?Secondo le mie esperienze mi sembra che siamo usciti abbastanza Costituzione.Non voglio parlare di altre persone che, inquisite, sono state anni in carcere,forse più duro del mio, e che poi, passati gli anni dell e~

La notte della Repubblica 61iriergenza, sono risultate innocenti. C'era un clima pesante, allora, e non inisembra fosse il clima dei dettami costituzionali.In altri Paesi pur democratici - la Germania occidentale, per esempio - si sonoscelte a volte forme inconfessabili di repressione, mentre da noi emergenza egarantismo hanno cercato una difficile conciliazione. A suo giudizio, il sistemadelle garanzie, in generale, è stato rispettato nel nostro Paese?No.Questa giustizia che le è stata resa le basta o la vuole piena, senza alcunariserva?Ma senta, io ho trovato abbastanza forza in me per reagire, e forse ho avutoanche una situazione aggettiva che mi ha permesso di rifarmi una vita. Per ilresto, non credo di dover chiedere di più... Non credo neanche che lo Statopossa e voglia dare di più. Altri hanno detto: sarà fatta giustizia, sarà fattaluce. Non so, questo mi pare misticismo... Credere in un dio statale che nonesiste... Perché dovrei pregare davanti a un altare in cui non credo? C'è unaverità dello Stato. Io ho avuto la mia, che mi ha permesso di sopravvivere.Proseguo con la mia.C'è un tempo della verità che viene per le persone, cioè dentro di noi, al di làdi ciò che accade fuori. In genere è il dolore, la sofferenza a risistemare,negli anni, cose, pensieri, sentimenti e giudizi. Quella strage ha avutostrascichi gravi, persine delittuosi (penso all'uccisione del commissarioCalabresi). Di fronte "la colpevolizzazione di Calabresi, concitata, emotiva,senza aPpello, qual era il suo stato d'animo, allora? Come reagì alla notizia diquell'evento e come lo giudica, oggi?YI`Mndofu ammazzato il commissario Calabresi mi trovavo ancora inarcere, attraversavo un periodo abbastanza critico. Il commissario fu uc-50 poco tempo dopo che fu sospeso il mio primo processo a Roma e non(fo una via d'uscita. Se dicessi che allora mi è dispiaciuto della mortecommissario Calabresi sarei un ipocrita. Adesso, forse, riuscirò a scin-" Calabresi uomo che conoscevo dal Calabresi politico, portato avantiemblema di morte da Lotta continua, dai compagni e anche dal sot-‘- Calabresi era sicuramente un individuo preparato e intelligente.

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Credo che uno dei motivi per cui è arrivato dove è arrivato, cioè ad essereassassinato, sia stata l'ambizione. Sì, Calabresi era un ambizioso... nel sensoche anche nei nostri interrogatori non voleva mostrarsi un commissariosprovveduto, ma diceva: << Guarda, io ho letto Bakunin, perciò non mi direquesto, ho letto Malatesta" e così via. Aveva una certa preparazione, insomma.E` certo che Calabresi non era nella stanza quanao morì Pinellì, C'erano quattropoliziotti e un carabiniere, si sanno i nomi e i cognomi. Un altro dato è certo:Calabresi conosceva me e conosceva ancora meglio Pìnelli, che era quello cheandava in questura a chiedere i permessi per le affissioni dei manifesti e perle manifestazioni. Lo conosceva benissimo e sapeva benissimo che Pinelli erainnocente... ne sono convinto. Perché a un sospetto di strage, fermato in ungruppo anarchico, si dice: "Noi andiamo in macchina, tu seguici con il motorino."? Quella era una strage. Quando mai si è visto che la polizia, anche a unosospettato di avere accoltellato la moglie, dica: "Siamo stretti, noi andiamo inmacchina, tu seguici in bicicletta"? Qui si prende in giro l'intelligenza dellepersone. La morte di Calabresi credo che alla sinistra abbia fatto più male chebene. Mentre con Calabresi vivo potevano forse emergere alcune responsabilità,Calabresi morto diventava una pietra tombale.Perdoni, a me non interessava tanto sapere il giudizio, diciamo, politico suquella morte e sull'opportunità o meno di uccidere in base ad alcune logiche,seppure perverse. Io volevo chiederle: lei, in fondo, parlando di Calabresi, lacosa più negativa che ha potuto attribuirgli è l'ambizione. Ma l'ambizione è unacolpa da pagare con la vita?No!Oggi, che giudizio da dell'uccisione di Calabresi?Come ho detto prima, un giudizio negativo sotto tutti i punti di vista-E là inquestura, sicuramente, ci sono nomi e cognomi di persone che hanno senz 'altropiù responsabilità di Calabresi.Che cosa pensa sia accaduto quella notte negli uffici della questura, dopo chePinelli fu interrogato da Calabresi?Senta, io ci ho pensato per anni e ci penso ancora sul piano politico, t sulpiano umano, perché per me Pinelli era un amico e un compagno, f1 mili trascorsesettantadue ore in questura, ben oltre i tempi di un fermo 1(

polamentare. In quei due giorni potè muoversi, telefonare alla moglie, la mooliepotè andare a ritirare la sua paga. Ora, quel minimo di libertà che Pinelliaveva in questura non era la libertà che si da a un individuo sospettato nondico di strage, ma nemmeno di un volgare furto. Difatti, appena c'è un piccolosospetto, la polizia tiene altri comportamenti. Il fermato viene accompagnatoanche per i suoi bisogni personali e la porta rimane aperta. Pinelli, invece, hapotuto, come dicevo prima, telefonare a casa fino alle dieci di sera. Alle diecidi sera comincia questo interrogatorio e Pinelli precipita dal quarto pianodella questura. Sembra che ci sia una frattura tra queste settanta ore e leultime due, che sia successo un qualcosa che esuli da piazza Fontana, unavvenimento diverso, estraneo: qualunque ipotesi è buona. Che Pinelli sia statoassassinato, ne sono pienamente convinto. Io, che lo conoscevo bene, so che nonsi sarebbe mai suicidato. Aveva due bambine che adorava, la Silvia e la Claudio,aveva una moglie... e poi tutta la sua attività politica, gli amici, eccetera.Quanto è successo lì, in questura, anche a distanza di anni, mi èincomprensibile, davvero...Vent'anni, dunque, per avere giustizia: non solo lei ma, insieme con lei e contanti altri, soprattutto i familiari di quelle povere persone morte distragismo, cioè di un delitto alla cieca che mette insieme della gentesconosciuta e la trasforma in un bersaglio. Si saprà mai la verità, e a qualicondizioni? Lei crede ancora nella giustizia?Non necessariamente. Credere nella verità non comporta credere nella giustizia.In questi ultimi tempi abbiamo visto che, forse, credere nella verità è porsi inantitesi con la giustizia. Io, per conto mio, sono convinto che alcune veritànon si sapranno più. Credo che, anche aprendo tutti gli archivi dei Servizisegreti, non possano emergere altre verità. Potrebbero Bergere delleindicazioni, delle ammissioni, delle non responsabilità, for-se- Ma lacolpevolezza non credo più che si trovi!Io non sono in grado di stabilire se questo suo pessimismo ab-

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la fondamento, so però che non andrebbe incoraggiato. VorreiPnre una piccola finestra, invece, sul futuro. In nome dell'otti-"iismo: suo figlio. Lei lo ha chiamato Tupa Libero Emiliano.ggi ha quindici anni; ha pertanto vissuto, in grado di capirle,ultime fasi delle sue lunghe vicissitudini giudiziarie. Gli ha

64Sergio Zavolimai parlato della sua storia? E lui le ha mai fatto domande? Come vi sietespiegati?Devo dire che mio figlio non ha mai avuto problemi. Casa mia è sempre statafrequentata dalla nostra cerchia, un gruppo di amici, compagni, persone che nonhanno fatto pesare a mio figlio niente. Nel quartiere, uguale. Non venivaadditato come "ilfiglio del mostro". La mia storia lo ha sfiorato, senza nemmenotoccarlo.Che cosa si augura per suo figlio?Beh, che sia felice. Non gli auguro né soldi, né successo. E, ovviamente, chenon passi le esperienze che ha passato suo padre.Intervista a Stefano Delle GhiaieLei è stato chiamato "la primula nera", un soprannome dovuto alla sua lungalatitanza - quasi diciassette anni, se non sbaglio - e alla sua apparenteimprendibilità. Come si definisce: un cospiratore, un fascista di nuovo tipo, unrivoluzionario, un agente segreto, un mercenario, la vittima di poteri occulti,o che altro?Io vorrei definirmi, dal punto di vista storico, fascista. Accetto cioè tuttociò che il fascismo ha rappresentato in Italia. Sotto questo aspetto, forse, ladefinizione esatta è quella che già ci viene data, quella cioè di "neofascisti".Più esattamente noi, o almeno alcuni di noi, si definiscono "na-zionalrivoluzionari". Se per rivoluzione si intende il cambiamento dell'attualeordine, io sono rivoluzionario. Non ho mai avuto rapporti con i Servizi eritengo che l'accusa infame di essere stato collegato ai Servizi provengaproprio dai Servizi. Credo che essi abbiano avuto interesse a sgretolare la miaimmagine, come quella di altri, per isolarci nel nostro stesso ambiente politicoe forse per dare spazio ad altre imprese che la nostra presenza poteva renderepiù difficili. Respingo anche il sospetto che io possa aver avuto a che fare constragi, stragismo, stragisti, o con chiunque altro abbia potuto immaginarequesti barbari delitti, che io ho sempre condannato. Bisognerebbe leggere conattenzione gli atti dei processi in cui sono stato trascinato per capire che nonpoteva esserci, non può esserci, e non potrà mai esserci, un collegamento fra mee gli organismi dello Stato.

La notte della Repubblica 65Lei ha avuto rapporti con Mario Merlino, con Franco Preda C0n Guido Giannettini.Questi nomi conducono alla strage di piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 ealle bombe esplose a Roma lo stesso giorno. In una nota di servizio del Sid, del17 dicembre 1969, Jei è indicato come mandante e Merlino come esecutore degliattentati di Roma.Giannettini non l'ho mai conosciuto. Preda, nella mia vita, l'ho visto duevolte, una nel 1964-65 e l'ultima volta nel 1965, a Roma, al teatro pancaccio,quando ci fu una riunione di comitati di Riscossa nazionale. Non ho mai piùvisto Preda, né prima né dopo. Mario Merlino era uno degli elementi chefrequentava l'università, che si schierò nel 1968 sulle nostre stesse posizionie che, dopo l'incidente, credo, del 16 marzo, quando ci fu l'assalto delMovimento sociale, ruppe con il nostro ambiente, ptr reazione. Inquell'occasione io ed altri che provenivamo da Avanguardia nazionale, al momentodello scontro, ci schierammo, sbagliando, lo dico oggi, con i missini che eranoarrivati all'università. Questo non piacque a Mario Merlino né ad altri. Lei hafatto cenno ad una velina. E` una velina che io contesto come vera, perchéquella velina viene dal Sid deviato. Quella nota appare nel 1973, ma quando lamagistratura ordinerà di periziare le macchine per scrivere dei Servizi non sitroverà la macchina per scrivere sulla quale quella velina era stata battuta.Però si dimentica di fare la perizia sulle macchine degli uffici di via Sicilia,

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quei famosi uffici di via Sicilia dove stavano il capitano Labrum e il generaleMaletti.Perché, se lei era fuori da tutte queste cose, preferì fuggire all'estero, nelluglio del 1970 se non sbaglio, piuttosto che essere interrogato come testimonedal giudice Cudillo sulla strage di piazza Fontana? Voleva proteggere qualcuno?Aveva ricevuto un avvertimento?No, le spiegò subito. Avvertimenti no, piuttosto avvisi, molti. Tutto è nomisterioso di quanto possa sembrare. Fu, forse, il mio più grave er-r‘re, almenosotto il profilo della mia credibilità personale. Fu una scelta, Però, anchefortunata perché mi permise di vìvere diciassette anni intensi, che non avreimai vissuto. Devo ringraziare, sia pure in parte, i miei per-Autori perché mihanno permesso di fare esperienze che, diversamente, n‘n avrei fatto. Andai viaperché ero già stato interrogato moltissime volte, urante questi interrogatori,sia giornalisti sia altra gente che girava in

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tribunale mi dicevano: "Guarda che da un momento all'altro ti arrestano.Vogliono coinvolgerti... ". Avevo subito un confronto il giorno prima. Unconfronto che mi era sembrato scorretto, perché ogni volta che mettevo indifficoltà chi mi era stato messo a confronto il giudice interveniva persalvarlo, per toglierlo dall'imbarazzo. Ebbi anche uno scontro... Dissi: "Sevolete arrestarmi, arrestatemi, non giochiamo più, è inutile che stiamo ascherzare". Mi convocarono per il giorno dopo. Quando arrivai al palazzo digiustizia mi indicarono il cellulare della traduzione carceraria. Era l'unico,era vuoto, era solo per me. Allora i miei avvocati mi consigliarono diallontanarmi, e io mi allontanai. In questo modo inizia la mia storia. Midissero: in due o tre mesi ritornerai. Così sono fuggito. Non volevo proteggerenessuno, assolutamente. Al contrario: fui assillato a lungo dalla preoccupazioneche, andandomene, non avrei potuto testimoniare a favore di Mario Merlino.Rientrai nel gennaio del 1971 con la ferma intenzione di presentarmi al processodi Roma, e mi sarei presentato se il processo non fosse stato trasferito aMilano.Lei manifestava una grande ammirazione per il regime franchista, in Spagna.No, sbaglia.Sbaglio? Sì.E per quello di Salazar, in Portogallo?Forse più verso quello di Salazar.E per la dittatura dei colonnelli, in Grecia? Non ho avuto possibilità divalutarla.Ricevette da qualcuno di questi Paesi qualche concreta dimostrazione disolidarietà prima della sua fuga dall'Italia?No, dopo.Lei ebbe un incontro con Franco? Sì.

Che cosa vi diceste?Spiegai i motivi per cui ero stato costretto ad andare via doli'Italia e chiesidi poter rimanere in Spagna finché non fossero stati risolti i miei problemi.Un incontro, si direbbe, a livello di capi di Stato...Beh, senta, dottar Zavoli, io credo di avere il senso della misura! Quindi nonmi faccia passare per matto, per favore...Con quali servizi segreti stranieri ha avuto rapporti? Che cosa le chiedevano, eche cosa offriva?Non vedo perché avrei dovuto collegarmi ai servizi spagnoli. Per averecopertura? I miei reati non erano perseguibili all'estero, e inoltre credo che

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la copertura del Generalissimo valesse più di quella dei servizi. Ho avutocontatti con elementi militari della Spagna che erano miei camerati, avevocombattuto nella Divisione Azzurra e li avevo conosciuti. Nessun altro rapportocon i servizi spagnoli, sfido chiunque a dirlo. Ci sono le mie interviste suigiornali spagnoli, su questo argomento. Si è parlato anche di connessione con laFide portoghese. Sa in che anno? 1976. Ora, nel 1975, aprile, non e 'era più laFide perché erano arrivati i colonnelli democratici. .. già, perché ci sono imilitari democratici e quelli non democratici! Non esìsteva più la Fide. Liavevano arrestati tutti. Ma il pentito Calore e il pentito Ansaldi hanno detto"nel 1976". Dato che il pentitismo fa legge, non si va nemmeno a leggere iltesto di storia, l'articolo, perlomeno, per vedere che nel 1975 c'è stato ilgolpe dei garofani, de los cla-veles, e così si parla ancora di Fide. Bolivia?Ma io ero consigliere di un dipartimento dello stato maggiore, avevo rapporticon i presidenti dell'epoca e quindi non avevo bisogno di altre coperture.Escludo assolutamente quahiasi mio rapporto con Servizi stranieri o italiani,mentre, sì, ho avuto contatti con civili e militari che la pensavano come me.Era mio diritto.Le è mai accaduto di venire in contatto con qualche affiliato della P2 o con Iostesso Celli?Con Celli assolutamente no. Con altri della P2, che io sappia, no. Od-dio,Labruna sì era della P2, ma l'ho saputo dopo... Del resto, non era ^cessano cheLabruna entrasse nella P2. Era già nei Servizi e questo do-

68Sergio Zavoliveva bastare. Comunque, le assicuro di non avere avuto contatti con la P2!E` vero che quando a Roma fu ucciso il giudice Vittorio Oc-corsio lei commentò:"Non sono il mandante di quell'azione, ma la condivido"?Sì, è vero. Non avvenne quando fu ammazzato, ma nel 1982, dopo i fatti dellaBolivia. Occorsio muore nel 1976, questa dichiarazione l'ho fatta nell'82.Potrei addurre a scusante che era proprio un momento particolare di astio, possodire una delle rarissime volte nella mia vita in cui ho sentito astio e odioperché difficilmente riesco a sentire odio... non mi rendo schiavo di unsentimento che può essere nobile, ma anche abbastanza limitativo della proprialibertà. Al processo Occorsio mandai una memoria dove dicevo appunto che nonavevo né brindato né pianto, anche perché nessuno aveva pianto i nostri morti:questo l'ho detto.Ma condividere sia pure ideologicamente un delitto non è come compierlo?No, non lo è. Forse l'espressione letterale è infelice: potrei dire che hocondiviso il gesto, ma non l'ho condiviso dal punto di vista politico, cioèscindevo i due problemi. Poiché politicamente ritengo che sia stato un attonegativo...Perché Occorsio, perché Amato, perché i magistrati?Se me lo avesse chiesto nel 1982, dopo gli eventi che ho ricordato... in quelmomento sentivo un astio profondo nei confronti del giudice Gentile, peresempio. Ringrazio chi in quel momento mi fece riflettere su una assurdasituazione, perché è stato forse l'unico momento della mia vita in cui stavoperdendo l'autocontrollo.Torniamo al capitano del Sid Antonio Labruna, con il quale lei ha ammesso pocofa di avere avuto rapporti. Le spiegò perché i Servizi...Non "rapporti", un solo rapporto.... le spiegò perché i Servizi segreti erano interessati ad allontanaredall'Italia Preda e Ventura? Perché Labruna si rivolse proprio a lei?

La notte della Repubblica 69Perché proprio a me? Penso che ci sia una logica: intanto, io mi trovavo inSpagna. Poi, badi bene, bisogna vedere qual era l'obiettivo reale di La-bruna edi Maletti. Se e 'era una volontà deviante, nei miei confronti... beh, solo a mepotevano rivolgersi... non bisogna dimenticare che ero espatriato proprio perl'accusa di falsa testimonianza su Merlino, anzi per reticenza.Lei a quel punto sapeva che Guido Giannettini, anch'egli implicato nella stragedi piazza Fontana, lavorava per i Servizi segreti e aveva contatti proprio conil capitano Labruna?

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No, non credo... Potrei dire una sciocchezza, ma ritengo di no perché credo cheall'epoca non si fosse ancora parlato di Giannettini.E quali rapporti ebbe con il generale Maletti, superiore di Labruna?Nessun rapporto. Non ho mai incontrato Maletti.Ma quali reati ammette di avere commesso? Nessuno, mai?Vede, io mi trovo sempre in difficoltà, sa perché? Io, quasi quasi, sareiportato ad ammettere qualche reato che non ho commesso...Lei è qui per gioco, oggi?Glielo assicuro, non auguro a nessuno di poter giocare questo gioco che non èstato voluto da me.Questo Stato, il cui ordine lei vorrebbe sovvertire o quanto-meno cambiare...Cambiare. Il termine "sovvertire" non mi piace molto. Sono stato abituato apensare che sovversivi erano gli altri.Ancora oggi il Parlamento, la magistratura, le forze dell'ordine, ma soprattuttol'opinione pubblica, chiedono che sia fatta luce sulle stragi. Lei crede chesarà possibile?ùpero di sì, anche perché noi siamo, parlo a nome mio e dei miei came-Tah diAvanguardia, i primi interessati a ottenere che luce sia fatta. Non Cl bastanole assoluzioni nelle aule giudiziarie. Vogliamo che venga can-

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celiato il sospetto su di noi e perciò faremo di tutto per sapere la verità. Eagiremo in questo senso.C'è qualche segreto che lei non rivelerà?Sì. Qualche segreto che per ora non rivelo. Se infuturo lo rivelerò, solamenteil Signore può saperlo. Io sono stato sempre sincero, anche nelle aulegiudiziarie davanti ai giudici, anche se sono stato accusato di reticenza...Ritengo che alcune ricostruzioni vadano fatte fuori dalle aule giudiziarie; e,questo è certo, non rinuncerò a una ricostruzione puntuale di tutti i fatticompiuti nell'area che mi appartiene. Vogliamo vedere se siamo noi a non volerela verità o se c'è qualcun altro che non vuole la verità. Ci devono spiegare chiispirava i Servizi, se i Servizi erano al nostro servizio o erano al serviziodel padrone logico, costituzionale, che si trova all'interno del sistemapolitico. Quando parlo di sistema non parlo mai di qualcosa di omogeneo... nonbisogna mai creare le astrazioni. Ma esistono componenti del sistema,contraddizioni interne al sistema...Rovesciamo per un attimo lo scenario: non crede che la stragrande maggioranzadegli italiani che si riconoscono in questo Stato democratico avrebbe il dirittodi chiederle se non sia disposto anche a fare un esame di coscienza, riconosceredegli errori, a dirsi pentito di...Ma di che cosa? I miei errori sono di carattere politico. Per esempio, sentopesantemente quello di aver fallito la battaglia politica, di non aver saputoguidare un movimento politico, e quindi di aver permesso che si aprisse unospazio che fu poi riempito dalla lotta armata che portò alla morte di moltissimigiovani. E, badi bene, la lotta armata nasce anche dai nostri slogan, da quelloche noi dicevamo: la rivoluzione, l'antisistema, l'alternativa..Le assicuro, non voglio declamare, ma non sente che la sua lotta è piena disolitudine?Che significa solitudine? Tutti, poi, siamo soli.

IVNASCONO LE BRIGATE ROSSE: "COLPISCINE UNO PER EDUCARNE CENTO"16 aprile 1970, ore 20,33. Una voce si inserisce nel canale audio dellatelevisione mentre sta trasmettendo il Telegiornale:Attenzione, attenzione. Sono i Gap che vi parlano, non avvicinatevi, èpericoloso.Il messaggio, captato a Genova, Milano e Trento, parla di una nuova resistenzaall'offensiva padronale e fascista condotta in nome dell'imperialismo straniero:

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E` nata una nuova resistenza di massa, è nata la ribellione operaia al padrone eallo Stato dei padroni, è nata la ribellione all'imperialismo straniero, è natala ribellione delle popolazioni, delle classi lavo-ratrici del Sud. Sono nate leBrigate rosse e si sono ricostituite le brigate Gap. La via delle riforme, lavia della rivoluzione comunista, la via della liberazione definitiva delproletariato e dei lavoratori italiani dalla dominazione e dallo sfruttamentodel capitale italiano e straniero comporta una lunga e dura guerra. Ma su questavia le brigate partigiane, i lavoratori, i braccianti, gli studentirivoluzionari marceranno compatti e uniti fino alla vittoria.NE la sortita pubblica del primo gruppo della sinistra che propugna apertamenteil ricorso alla lotta armata. Capo, oltre che sovvenzionatore dei Gap, èl'editore Giangiacomo Feltrinelli.GIANGIACOMO FELTRINELLI, nel 1970, ha 47 anni. E` l'erede di una famiglia che,con il legname delle sue foreste in Carinzia, ha messo insieme un grandepatrimonio. Iscritto al Partito socialista italiano, dopo la scissione dipalazzo Barberini del 1947 passa con i comunisti. Nel 1950 fonda l'Istituto perla storia del movimento operaio che porterà il suo nome e diventerà unautorevole centro-studi di respiro internazionale. Con il Partito comunista haun rapporto travagliato; gli intellettuali gli imputano un ribellismoestremistico,

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di maniera, e una cultura incapace di mediazioni. Per la base rimane, dopotutto, il compagno miliardario. Lui, del resto, offre il fianco alle critiche.E` un uomo generoso, ma facile agli entusiasmi; di forte creatività, ma diconfuse ambizioni.La crisi dei rapporti con il Partito comunista si accentua dopo la fondazionedella casa editrice e l'apertura di una catena di librerie in tutta Italia. Lapubblicazione del best-seller di Boris Pasternak, // dottar Zivago, trova nonsolo a Mosca, ma anche tra molti dei dirigenti ancora filosovietici di BottegheOscure, pesanti critiche.Feltrinelli esce dal partito nel 1958 e si trasforma in un viaggiatoreinfaticabile alla ricerca, si direbbe, del modello ideale di rivoluzione. Visitail Medio Oriente, la Cina, i Paesi dell'Est, Cuba e l'America Latina. Siincontra con Habbash, capo della linea dura palestinese, con Rudy Dutschke eCohn-Bendit, con gli strateghi della Raf tedesca, che diventerà di lì a poco unadelle più aggressive formazioni terroristiche europee, con Fidel Castro e CheGue-vara.Comincia a stampare opuscoli e documenti dedicati alle tecniche guerriglieredell'America Latina e testi firmati "Tupamaro", "Che Guevara", "Camilo Torres",il prete guerrigliero. Questi volumet-ti diventeranno, poi, il breviario dimolti terroristi italiani, tanto che ne verrà trovato almeno uno in ogni covodelle Br.Lo si accusa di non fare l'editore, bensì il propagandista della rivoluzione; maanche di restare sostanzialmente estraneo alla vita rivoluzionaria. Citando unafrase di Marx, Feltrinelli risponde affermando di essere passato dalle armidella critica alla critica delle armi. Il suo primo tentativo di accendere unfocolaio insurrezionale, un "fuoco", come si dice in Sudamerica, si ha inSardegna quando l'editore offre al bandito Graziano Mesina armi e denaro perorganizzare la guerriglia sull'isola. Ma il "fuoco", la cui natura è stavoltarozzamente strumentale, non si accende e Feltrinelli imbocca un'altra strada: iGap sono alle porte.

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L'avere assunto l'attività dei Gap della Resistenza come punto di riferimento,presumendo di stabilire tra l'una e l'altra una continuità addirittura storica,è in realtà un'usurpazione. Eppure, una esigua minoranza di militanti dellasinistra considera la società democratica, nata dalla caduta del fascismo, untradimento proprio della Resistenza. Essa si era battuta, afferma questaminoranza, per una società socialista, ma il risultato non le corrispondeaffatto. C'è chi sostiene, ancora più esplicitamente, che la Resistenza avrebbemancato il suo fine ultimo, quello di scardinare e sostituire il sistemaeconomico e sociale

Dominante. Da tali premesse la necessità di riprendere il discorso e di passareall'azione.Intanto, nel Paese che cambia e progredisce aumentano anche i motivi diinquietudine provocati, paradossalmente, proprio dal cambiamento. Alla crisidella cultura contadina si accompagna la crescita di una logica produttiva checonferisce alla fabbrica un ruolo primario: economico, sociale e culturale.Nasce, nel contempo, il potere dell'informazione di massa. Una più vasta eomogenea alfabetizzazione porta con sé un maggiore interesse per ogni forma dicomunicazione: stampa, cinema, radio. E poi la neonata Tv, il cui diffondersi hail merito di avviare la prima, anche se sommaria, unificazione culturale delPaese; del quale evidenzierà, allo stesso tempo, diversità e contraddizioni.La crescita civile e il progresso sociale sono tutt'uno con ritardi e mancanze.I comportamenti anche politici ne rimangono fortemente segnati, estremizzandosi.La lotta iniziale contro ingiustizie, corruzioni, inefficienze tenderà, coltempo, a trasformarsi in forme di opposizione sempre più radicali.Nel Pci, attorno ad Aldo Natoli, Luigi Pintor, Rossana Ros-sanda e Lucio Magri,il 23 giugno del 1969, nasce "il manifesto", una rivista di ricerca politica edi contestazione a sinistra della linea ufficiale del partito.A novembre, i responsabili del periodico vengono radiati e "il manifesto", chedue anni dopo si trasformerà in quotidiano, assume, parallelamente all'attivitàeditoriale, i caratteri di un piccolo, ma combattivo partito. La sua funzione,culturale prima ancora che politica, sarà quella di affrontare criticamente ilruolo controverso della sinistra italiana, interpretandolo al di là delle sueposizioni istituzionali.Di pari passo vanno formandosi gruppi e gruppuscoli che, elaborando differentistrategie eversive, si collocano al di fuori della stessa sinistraextraparlamentare. Dalla grande pianta del Sessantotto partono due rami: suquello marxista-leninista che guarda a Mao, alle Guardie rosse e allarivoluzione culturale cinese, si colloca il gruppo fondato da un ex operaiocomunista, Aldo Brandirali, che in una prima fase viene chiamato "Servire "popolo" e successivamente "Unione dei marxisti-leninisti ita-

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liani". L'identificazione con il modello cinese è presente, anche se menomarcata, nel Movimento studentesco nato all'interno dell'Università Statale diMilano, di cui è leader Mario Capanna.

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L'altro grande ramo, che si propaga nelle fabbriche, è quello operaista.Dall'assemblea operai-studenti della Fiat prendono origine Lotta continua ePotere operaio, il gruppo più radicale: ne fanno parte Oreste Scalzone, ToniNegri e Franco Piperno. Lotta continua, più articolato nei metodi e negliobiettivi, ha tra i suoi leader Guido Viale, Addano Sofri, Luigi Bobbio, MauroRostagno. A metà tra operaismo e maoismo si colloca il gruppo milanese diAvanguardia operaia, destinato a confluire in Democrazia proletaria.Anche il Collettivo politico metropolitano di Renato Curcio, Mario Moretti,Alberto Franceschini e Duccio Berio, si può collocare a metà tra operaisti emarxisti-leninisti di stampo cinese. Avrà vita breve: i suoi militanti nedecreteranno presto lo scioglimento per dare vita alle Brigate rosse.Negli anni Settanta la lotta armata attirerà a sé anche molti militantiprovenienti da Potere operaio. Si ritroveranno in Autonomia operaia, la galassiadel terrorismo diffuso, il serbatoio privilegiato dei gruppi responsabili dellaguerriglia urbana più violenta.Negli stessi anni uscirà da Lotta continua un primo nucleo di militanti chepasserà alla lotta armata: i Nap. Più tardi, nel 1976, un altro gruppo,proveniente dai settori più estremisti di Milano e di Torino, formerà Primalinea.Il 22 dicembre del 1969, dieci giorni dopo la strage di piazza Fontana, ilprefetto di Milano, Libero Mazza, trasmette al Viminale un rapporto sull'ordinepubblico nel capoluogo lombardo. Vi si legge fra l'altro:I disordini verificatisi in questa città (...) sono da considerare i prodromi dialtri eventi ben più gravi e deprecabili che possono ancora verificarsi inconseguenza del progressivo rafforzamento (...) delle formazioni estremisteextraparlamentari di ispirazione "maoista" (Movimento studentesco, Lottacontinua, Avanguardia operaia ecc.) nonché dei movimenti anarchici e di quellidi estrema destra (...). Gli appartenenti a tali formazioni, che sino a qualcheanno fa erano po'

che migliaia, ammontano oggi a circa ventimila unità (...). Questi estremistidispongono di organizzazione, equipaggiamento e armamento che può definirsiparamilitare...Il dossier suscita polemiche, provoca la reazione di comunisti e socialisti, esarà presto al centro di un dibattito parlamentare che, nelle intenzioni dellasinistra, dovrebbe contestare la fondatezza del rapporto, peraltro in seguitosostanzialmente accertata.Per la prima volta vi si descrive anche la violenza dei gruppi extraparlamentaridi sinistra, confermando un'analisi che verrà ricordata come la teoria degli"opposti estremismi".A Chiavari, all'hotel Stella Maris, oggi Stella del Mare, nel novembre del 1969si erano intanto riuniti una settantina di militanti del Collettivo politicometropolitano milanese. In un documento del Collettivo si legge:Compagni, non è con le armi della critica e della chiarificazione che si intaccala corazza del potere capitalistico. Questi anni di lotta proletaria hannofinalmente maturato un fatto nuovo ed un fiore è sbocciato: la lotta violenta eorganizzata dei nuovi partigiani contro il potere, i suoi strumenti e i suoiservi. Da Milano a Roma, da Trento al Sud, le poderose e incessanti lotteproletarie hanno trovato uno sbocco nelle azioni offensive dei primi nucleiproletari della nuova Resistenza.Il salto decisivo verso la guerriglia è ancora lontano, ma l'incontro diChiavari ne è una articolata premessa. Non pochi tra i partecipanti sonodestinati a occupare in futuro, con i loro nomi e con le loro azioni, le primepagine dei giornali. Alcuni di essi provengono dal Partito comunista emiliano,altri hanno origini molto diverse: sono studenti di sociologia dell'Universitàdi Trento, ma anche tecnici e operai milanesi della Sit-Sie-niens.Dall'Università di Trento:RENATO CURCIO, nato a Monterotondo, 28 anni, cattolico, ex studente disociologia, futuro ideologo delle Brigate rosse.MARGHERITA (MARA) CAGOL, 25 anni, nata a Sardana di Trento, laureata insociologia, cattolica. Si unisce in matrimonio con Rena-

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to Curcio. Morirà nel 1975 in uno scontro a fuoco con i carabinieri.PAOLA BESUSCHIO, nata a Verona, 22 anni, laureata in sociologia. Sarà al centrodi un'ipotesi di scambio durante il sequestro Moro.GIORGIO SEMERIA, nato a Milano, 20 anni, ex studente di sociologia, entrerànelle Brigate rosse dopo un periodo di attività nei Gap.Ex militanti del Partito comunista:ALBERTO FRANCESCHINI, nato a Reggio Emilia, 23 anni, ex studente di ingegneria,organizzerà il sequestro del giudice Mario Sossi.PROSPERO GALLINARI, nato a Reggio Emilia, 19 anni, operaio. Parteciperà alsequestro Moro.ROBERTO OGNIBENE, nato a Reggio Emilia, 16 anni. Inizia la militanza politicanella Federazione giovanile comunista che abbandonerà per entrare nelle Brigaterosse.Operai della Sit-Siemens:MARIO MORETTI, 23 anni, nato a Porto San Giorgio, perito industriale. Giungeràal vertice dell'organizzazione dopo la cattura degli altri capi storici. Saràl'artefice principale del sequestro Moro.CORRADO ALUNNI, 23 anni, romano. Lascerà le Brigate rosse per dare vita alleFormazioni Comuniste Combattenti.ALFREDO BONAVITA, 24 anni, nato ad Avelline, operaio elettrotecnico. Parteciperàal sequestro del dirigente della Fiat Ettore Amerio.Antonio Bernardi, già vicesegretario della Federazione comunista di ReggioEmilia:Alcuni di questi giovani, che io ho conosciuto, erano militanti dellaFederazione giovanile comunista. Venivano da famiglie operaie proletarie. Larottura con il partito avvenne proprio sulla scelta che il Pci aveva compiuto:quella che la lotta per la trasformazione del Paese avvenisse con mezzidemocratici. Questi gruppi, ma non solo questi gruppi - si può parlare di unacultura diffusa - ci accusavano di essere dei riformisti, di avere costruito unasocietà ricca, opulenta, che aveva offuscato o annullato le speranze dellapalingenesi rivoluzionaria. A volte ripenso con una certa amarezza per i guastiprovocati, ma anche con ironia, alle critiche che allora ci furono rivolte.Quando l'incontro allo Stella Maris si conclude, le Brigate rosse non sonoancora nate, almeno ufficialmente; ma il primo vertice dell'organizzazione chetra breve darà l'avvio alla lotta armata sta già formandosi e sono pronte alcuneidee-guida di

77La notte della Repubblicaquello che sarà il più organico, risoluto ed efficiente gruppo terroristicodegli anni Settanta.La decisione di passare alla lotta armata viene presa l'anno dopo, a Pecorino,vicino a Reggio Emilia. Qui, nell'agosto del 1970, si radunano un centinaio digiovani di Milano, Trento Reggio Emilia, Roma.Milano, quartiere del Lorenteggio. Nella primavera del 1970 appaiono deivolantini firmati Brigate rosse. Vi è disegnata una asimmetrica stella a cinquepunte. E` nato un progetto di guerra civile, ma l'opinione pubblica non se neaccorge. Lo Stato stesso lo sottovaluta. Non ci si allarma neppure nell'ultimasettimana di agosto quando, all'interno dello stabilimento Sit-Siemens di piazzaZavattari, a Milano, viene rinvenuto un pacco di ciclostilati. Il testo, in cuici si riferisce soprattutto a situazioni aziendali, contiene pesanti insulti a"dirigenti bastardi" e a "capi reparto aguzzini" da mettere - così è scritto -fuori gioco. Ma quella sigla, Br, è pressoché sconosciuta alla direzione difabbrica e molto di più non ne sa neppure la questura di Milano.17 settembre 1970, via Moretto da Brescia, una tranquilla strada residenzialedel quartiere Città Studi. Ore 20,30. Due bidoni di benzina esplodono contro ilbox di Giuseppe Leoni, direttore centrale del personale della Sit-Siemens. Sullaporta del garage la scritta: Brigate rosse.E la prima azione cosiddetta punitiva delle Brigate rosse in ottemperanza alloslogan: "colpiscine uno per educarne cento". Ma gli inquirenti ritengono che sitratti di un atto teppistico, e che la rivendicazione sia soltanto unacopertura.

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Solo molto più tardi qualcuno sarà pronto a riconoscere errori, anche gravi, divalutazione. Quasi dieci anni dopo, Pieroassmo, dirigente della Federazione comunista torinese, re-"Ponsabile dellaCommissione fabbriche del partito, in un'in-eryista al giornalista GiampaoloPansa confesserà ritardi, inge-Ulta e, in qualche caso, persine ipocrisie:‘reanr deCennI` V' fu Una P‘lemica ideologica, culturale e politica tra leSi ar lom della sinistra e chi teorizzava la pratica del terrorismo.Dettava con difficoltà l'idea che vi potesse essere a sinistra chi

78Sergio Zavoliconsiderava il terrorismo uno strumento politico. La consapevolezza del fattoche esisteva invece un terrorismo rosso, che come un cancro si era insinuato nelcorpo della sinistra e del movimento operaio, andò maturando e fu acquisita apartire dal 1975-76. Quando quell'offensiva si fece via via più dura, le primeinchieste dimostrarono che non si era in presenza di un fenomeno di destramascherato di rosso, ma di un fenomeno, corposo e non marginale, che affondavale sue radici in una concezione impazzita, dogmatica, esasperatamente ideologicadella rivoluzione e della politica.In due famosi articoli su "il manifesto", pubblicati durante il caso Moro,Rossana Rossanda si addentrerà nel dramma del terrorismo cercandone le radiciteoriche e politiche. Quell'analisi si farà ricordare anche per un'espressione,coniata dalla stessa Rossanda, che coinvolge il Pci e la "nuova sinistra":"l'album di famiglia".(...) Chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo ilnuovo linguaggio delle Br. Sembra di sfogliare l'album di famiglia: ci sonotutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stai in e Zdanov difelice memoria. Il mondo - imparavamo allora - è diviso in due. Da una partel'imperialismo, dall'altro il socialismo. L'imperialismo agisce come centraleunica del capitale monopolistico internazionale (allora non si diceva"multinazionali"). Gli Stati erano il "comitato d'affari" localedell'imperialismo internazionale. In Italia il partito di fiducia -l'espressione è di Togliatti - ne era la De. In questo quadro, appena meno rozzoe fortunatamente riequilibrato dalla "doppiezza", cioè dall'intuizione delpartito nuovo, dalla lettura di Gramsci, da una pratica di massa diversa, crebbeil militarismo comunista fino agli anni Cinquanta. Vecchio o giovane che sia iltizio che maneggia la famosa Ibm (NdR: la macchina da scrivere con cui le Brscrivevano i loro comunicati), il suo schema è veterocomunismo puroRicorderà poi la Rossanda:Questo mio corsivo, // discorso sulla De, del 28 marzo 1978 (L'album di famigliaè una replica), sollevò polemiche a destra e a sinistra, pef' che scrivevo cheil secondo comunicato delle Br (NdR: "... Al partito di Berlinguer e aisindacati collaborazionisti spetta il compito, al quale sembra stU' no ormaicompletamente votati, di funzionare da apparato poliziesco antioperato> dadelatori, da spie del regime... ò>) non rifletteva affatto la cultura dell3nuova sinistra, che aveva ignorato la De, ma quella dei comunisti &' gli anniCinquanta. Nell'analisi, si intende, perché la tradizione comunista, puntandosul "movimento storico del proletariato", consid6'

La notte della Repubblica 79rava premoderno il terrorismo. Soltanto nel quarto comunicato delle Br del 4aprile ("... E possibile utilizzare l'enorme sviluppo raggiunto dalle forzeproduttive per liberare finalmente l'uomo dallo sfruttamento bestiale, dallamiseria, dalla degradazione sociale in cui l'inchioda l'imperialismo dellemultinazionali. ò ò") i cenni sulla ricomposizione del valore manuale eintellettuale, sul valore d'uso e di scambio, mi parvero venire da unariflessione più recente.Quattro giorni dopo Emanuele Macaluso replica alla Rossanda con un articolo su"l'Unità":(...) La nostra visione e concezione dello sviluppo della democrazia italiananon è certo una novità. Essa affonda le radici nella tradizione comunista cosìcome si è espressa in questi trent'anni nel nostro Paese. Rossana Rossanda,

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leggendo il comunicato numero due delle Brigate rosse, ha scritto che lesembrava di sfogliare un album di famiglia, l'album di quando militava nel Pci.Io non so quale album conservi Rossana Rossanda: è certo che in esso non c'è lafotografia di Togliatti; né ci sono le immagini di milioni di lavoratori e dicomunisti che hanno vissuto le lotte, i travagli e anche le contraddizioni diquesti anni. Non a caso, della stessa opinione della Rossanda sono quei fogliconservatori come "il Giornale" di Montanelli che si è affrettato a pubblicarequesta sua "testimonianza", ma anche alcuni esponenti della De e redattori de"II Popolo". Che dire della petulante quanto insulsa campagna di stampa sullo"stalinismo" in cui si distinguono "Lotta Continua" e "II Popolo", ma anche -purtroppo - del furbesco discorso chiaramente elettorale dell'on. Galloni, ilquale anche egli cerca di far discendere da certe impostazioni "staliniane" delPci le azioni del terrorismo e della violenza? Una tale confusione e distorsionedelle nostre posizioni da parte degli anticomunisti di destra e di sinistra èveramente impressionante (...)Rossana Rossanda l'indomani scriverà:(...) Indebolisce il Pci l'incertezza della sua collaborazione nei confrontidella Democrazia cristiana. Questa "lo fa codardo" rispetto al mio e suo albumdi famiglia, che è un album niente affatto da butta-re- (òòò) Questa debolezza(...) gli fa gridare "al terrorista" contro chiunque dica che, sì, la De era edè il partito della borghesia italiana e che il Pci, smettendo di dirlo, portauna responsabilità anche dell'oscurarsi del fronte di lotta, dell'intorbidarsidella vita politica (...)E forse il momento più forte, a sinistra, del dibattito sulla "solidarietànazionale" e sul ruolo del Pci nell'ambito della Maggioranza. Il tema delleradici storiche, dal terreno ideologi-

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co e politico, si sposta su quello delle fabbriche. Giorgio Benvenuto,sindacalista:Quale fu l'errore del sindacato e della sinistra, ma soprattutto del sindacato?Quello di aver pensato che non esistessero gli opposti estremismi. Noi pensavamoche il terrorismo fosse solo di destra, e al di fuori delle fabbriche. Invece ilterrorismo, forse anche perché non ci fu la capacità di combattere l'eversionedi destra, ebbe anche un connotato di sinistra. Sottovalutammo le Brigate rosse,sottovalutammo un certo tipo di linguaggio, sottovalutammo un certo tipo dilotte che se avevano una loro validità nel '69, nel '70 e nel '71, a lungoandare finivano per rappresentare un terreno di coltura.La fabbrica diventa il campo di azione. Le attività brigatiste si moltiplicano.Ne fanno le spese capi e capetti, secondo una strategia chiaramente elaboratasoprattutto all'esterno dei luoghi di lavoro.Il 1970 si chiude senza che le Br siano davvero passate all'offensiva; manell'autunno, a Genova, un nucleo armato autonomo, anche se collegato ai Gap diPel trincili, imprime una significativa accelerazione al fenomeno terroristico.Il gruppo, che prende il nome dalla sua data di nascita, 22 ottobre 1970, èguidato da Mario Rossi, 32 anni, imbalsamatore di animali, e da Augusto Viel, 30anni, elettrotecnico. Ne fanno parte alcuni giovani comunisti, ma anchesbandati, persone ai margini della malavita e un estremista di destra che è unconfidente della polizia. Mario Rossi è il primo a organizzare una classicaazione terroristica: un sequestro per autofinanziarsi. Obiettivo: il figlio diuna ricca famiglia genovese, Sergio Gadolla. Ricorda:II riscatto fu pagato e a quel punto cominciarono i guai seri, o meglio, quelliche ripenso anche più drammaticamente dello stesso rapimento. Non mi credeva lapolizia, non mi credevano i magistrati; la tenda dove ero stato non si riusciva

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a trovarla nonostante le numerosissime visite su posti che io ormai nonriconoscevo più, perché la stagione era cambiata... Mi trovai una città contro.Vincenzo Curia, giornalista:II risvolto politico, che poi si rivelò esatto, fu intuito da Giampaolo Pansache all'epoca era inviato del "Corriere della Sera". Insieme con tutti icolleghi facevamo il punto ogni giorno, in questura. Una mattina Pansa disse:"Ragazzi, qui noi ci scervelliamo, scaviamo nella fa-

miglia dei Gadolla, nella delinquenza comune ecc... A mio giudizio si tratta ditupamaros".E` il 26 marzo del 1971. Alessandro Floris, commesso dell'Istituto case popolaridi Genova, viene rapinato mentre trasferisce le buste paga dei dipendenti.Floris reagisce, tenta di afferrare alla caviglia uno degli aggressori che stafuggendo sulla motoretta guidata da un complice, Augusto Viel, ma l'excarceriere di Gadolla, Mario Rossi, si volta e spara. Il coraggioso portavalori,colpito a morte, si accascia in una pozza di sangue. La motoretta si allontana.I momenti più significativi dell'azione sono colti da un fotografo dilettante;uno scatto, in particolare, ferma l'attimo cruciale del raid. I compagni diMario Rossi testimonieranno che il capo della XXII Ottobre non aveva intenzionedi uccidere e rifiuteranno il valore della prova fotografica.Silvio Malagoli, uno di loro, afferma:Sarebbe ora che quella fotografia sparisse dalla circolazione e non la facesseropiù vedere perché è bugiarda. Il Floris a terra era già stato colpito inprecedenza, prima che il Rossi salisse sulla moto ed era stato colpitoaccidentalmente perché Rossi ha sempre sparato a terra.Il processo si concluderà in appello, nel marzo del 1974, con una condannaall'ergastolo per Mario Rossi e oltre 180 anni di carcere agli altri imputati.Nel caso "XXII Ottobre" sarà coinvolto anche Giangiacomo Feltrinelli per averenascosto Augusto Viel, a Milano, subito dopo il delitto Floris. Lo stesso Vielha dichiarato che Feltrinelli lo accompagnò poi con passaporto falso a Pragadove rimase per un breve periodo.Viel ha aggiunto di non sapere nulla di eventuali rapporti tra Feltrinelli e iservizi segreti dell'Est. "A Praga facevo il turista," ha detto "pensavamo cheda lì avrei potuto trasferirmi in Norvegia." Comunque, il sospetto che l'Europaorientale possa rappresentare un santuario, se non addirittura un committente e'terrorismo rosso, comincia da quel momento ad aleggiare su molte indagini.Pubblico ministero del processo contro il gruppo XXII Otto-re è un giovanegiudice che negli ambienti dell'ultrasinistra

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viene chiamato "dottor Manette". L'appellativo nasce dalla sua intransigenza. Larequisitoria del magistrato sarà rigorosa, incalzante. Quel magistrato è MarioSossi. Presto si troverà al centro di un episodio clamoroso, quello del suosequestro: il primo "attacco al cuore dello Stato", come lo definiranno le Br.Milano, 3 marzo 1972, ore 19. Tre uomini in tuta blu e passamontagna sequestranoIdalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens. La vittima designata, lasciatol'ufficio, si dirige verso la propria auto, in una strada semibuia. E` preso,colpito a un occhio e portato via con un furgone. Tenuto nascosto in un piccoloappartamento, viene fotografato. Quello della foto, sormontata della stella acinque punte, è un rituale che farà parte del codice comunicativo delle Br.Il sequestro Macchiarini non desta però grande scalpore. Siamo ancora moltolontani dalla percezione esatta del fenomeno e dal suo rapido indurirsi.L'attenzione generale è del resto concentrata su altri importanti avvenimenti.Il 23 febbraio era cominciato, a Roma, il processo Valpreda sulla strage di

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piazza Fontana. Tre giorni dopo veniva bocciato il governo Andreotti e il 28febbraio il presidente della Repubblica, Leone, aveva sciolto il Parlamento eindetto le elezioni anticipate.Milano, 15 marzo del 1972. Sono passate meno di due settimane dal sequestroMacchiarini. Un cadavere mutilato e coperto di bruciature viene rinvenuto sottoun traliccio dell'alta tensione, a Segrate, un comune appena fuori dallametropoli. Sul pilone, assicurati con nastro adesivo, 43 candelotti di dinamite.Secondo i documenti trovati addosso al cadavere dovrebbe trattarsi di un certoVincenzo Maggioni. La prima ipotesi della polizia è che sia morto mentre tentavadi far saltare il traliccio. Ventiquattro ore dopo si saprà che VincenzoMaggioni non è altri che Giangiacomo Feltrinelli.Stavolta la notizia desta grande emozione nel Paese, e soprattutto negliambienti di sinistra. A Milano, proprio in quei giorni, è in corso il XIIICongresso nazionale del Pci. Quella bomba sul traliccio sembra anche unmessaggio al vertice comunista, accusato di avere scelto la strada delleriforme, rifiutando così il progetto rivoluzionario.

L'estrema destra trae spunto dalla morte di Feltrinelli per rilanciare unagrande campagna propagandistica. Negli ambienti della sinistra si avanza subitol'ipotesi di un assassinio ad opera, così vien detto, della reazioneinternazionale. I funerali di Feltrinelli, che sarà tumulato nella tomba difamiglia al Monumentale di Milano, si trasformano in una manifestazionepolitica. Gruppi di giovani intonano l'Internazionale e lanciano slogan controla Già e la "borghesia assassina".Osvaldo, nome di battaglia di Feltrinelli, era davvero a Se-grate per compiereun attentato. L'incidente di cui rimane vittima verrà definito nel rapportodella magistratura del tutto casuale. Un nastro magnetico rinvenuto nella basedelle Br di Robbiano di Mediglia, in provincia di Milano, contiene il raccontodettagliato di un compagno di Feltrinelli: conferma la versione degliinquirenti.Guido Viola, sostituto procuratore della Repubblica:Qualcuno che non è mai stato identificato ha raccontato la famosa notte diSegrate, in un nastro, ai brigatisti che si occupavano di quella vicenda efacevano un'inchiesta, devo dire, di estrema obiettività. In quel nastro venneconfermato il racconto dell'accompagnatore del Feltrinelli: lo smarrimentodell'accompagnatore, che rimase anche ferito, la fuga nella notte, la ricerca diappoggi e quindi l'incontro successivo con le allora nascenti Brigate rosse cheerano in quel momento il raggruppamento più forte dal punto di vista militare.Dalla registrazione:All'inizio Osvaldo ha i candelotti di dinamite (della carica che serviva a farsaltare il longherone centrale) in mezzo alle gambe... Si trova impacciato nellaposizione, impreca. Sposta i candelotti, probabilmente sotto la gamba sinistrae, seduto con i candelotti sotto la gamba, in modo che li tiene fermi, sembrache prepari l'innesco, cioè il congegno di scoppio. E` in questo momento chequello a mezz'aria sul traliccio sente uno scoppio fortissimo. Guarda versol'alto e non vede nulla. Guarda verso il basso e vede Osvaldo a terra,rantolante. La sua impressione immediata è che abbia perso entrambe le gambe. Vada lui immediatamente e gli dice: "Osvaldo, Osvaldo...". Non c'è., escoppiato...Le polemiche sulla morte di Feltrinelli non si sono ancora spente che un altrogravissimo fatto di sangue scuote il Paese.

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17 maggio del 1972, Milano, ore 9,15. Il commissario di polizia Luigi Calabresiesce di casa e si avvia verso la sua 500 per recarsi in ufficio.LUIGI CALABRESI, romano, 35 anni, è il vicedirettore dal 1968 dell'Ufficiopolitico della questura di Milano dove si occupa prevalentemente dell'attivitàdei gruppi estremisti. Nel 1969 partecipa alle indagini per la strage di piazzaFontana. Il suo nome viene associato alla morte dell'anarchico Pinelli, avvenutain questura in circostanze mai del tutto chiarite e, comunque, senza cheCalabresi fosse presente al fatto.La sinistra extraparlamentare continuerà a indicarlo come il responsabile, anchese indiretto, della morte di Pinelli. Il 27 ottobre del 1975 il giudiceistruttore Gerardo D'Ambrosio proscioglierà tutti gli imputati, agenti efunzionari di polizia, perché il fatto non sussiste.Nel novembre dell'89 Giampiero Mughini, a quei tempi uno dei direttoriresponsabili di " Lotta continua", in una lettera aperta al figlio delcommissario riconoscerà l'innocenza di Calabresi e gli eccessi accusatori delsuo giornale. "Sbagliai" dirà. "Calabresi era innocente." Dal 1971 LuigiCalabresi stava indagando su una vicenda che riguardava l'estrema destraneonazista: un traffico d'armi e finanziamenti agli eversori tedeschi.Il killer attende Calabresi sul marciapiedi fingendo di leggere un giornale, poiestrae una pistola e spara alla schiena del commissario. Lo finisce con un colpoalla nuca e si dilegua su una 125 blu guidata da un complice.Camilla Cederna:Sono rimasta molto turbata e sono andata immediatamente sul posto. Sono arrivatatalmente presto che non c'era ancora la polizia. Poi sono andata al San Carloper sapere se era morto. Lì mi è stato subito detto da un medico, e daigiornalisti che erano presenti, che mentre il primario componeva la salma diCalabresi nella sala di rianimazione era entrato un mucchio di gente, ilprefetto Mazza in testa, e dietro la polizia e i giornalisti. Libero Mazza avevafatto un segno al primario, come per dire "C'è speranza o no?" e il primarioaveva scosso la testa: no, non c'era. E Mazza, rivolgendosi ai giornalisti,aveva detto: "E pensare che è tutta colpa di quella carogna di Camilla Cedernache col suo libro su Pinelli e contro Calabresi, tra l'altro, ha guadagnatodecine di milioni".Aldo Aniasi, allora sindaco di Milano:La stampa milanese e nazionale, una certa stampa di destra, diceva che io ero ilresponsabile morale. Un settimanale milanese, in una foto, mi ha indicato con uncerchio e con una freccia: ecco il sindaco Aniasi ai

funerali, e poi, sotto, un commento dove si diceva che ero responsabile moraledelle violenze...Le prime indagini vanno in direzione dell'ultrasinistra. Più tardi, l'ambientein cui il commissario ha svolto le ultime inchieste induce gli inquirenti aspostare l'attenzione verso la pista nera.Nel luglio dell'88 il caso Calabresi verrà riaperto in seguito alla confessionedi un ex militante di Lotta continua, Leonardo Marino, che si accuserà deldelitto coinvolgendo, come mandanti, alcuni leader dell'organizzazione.Nell'agosto dell'89, il giudice istruttore Antonio Lombardi, accogliendo lerichieste del pubblico ministero milanese Ferdi-nando Pomarici, lo rinvierà agiudizio insieme con Bompressi, Pietrostefani e Sofri; gli ultimi due eranoritenuti i mandanti.Il 2 maggio 1990 la Corte d'assise di Milano condanna Adriano Sofri, OvidioBompressi e Giorgio Pietrostefani a 22 anni di reclusione ciascuno; a LeonardoMarino vengono comminati 11 anni. La sentenza è stata confermata in appello.L'iter giudiziario di questa vicenda non si è ancora concluso.La primavera di sangue del 1972 produce un effetto disastro-so su tutto ilfronte del nascente terrorismo rosso, investito da una massiccia controffensivadelle forze dell'ordine. Il blitz colpisce per primi i Gap, la cuiorganizzazione è rapidamente smantellata; quindi tocca alle Br.n 2 giugno del 1972 viene individuata a Milano la base di via Boiardo, poi è lavolta di altri cinque covi. Di pari passo Procede 1:identificazione del verticebrigatista che, un nome do-PO l'altro, finisce allo scoperto. Le retate, invece,non producono risultati apprezzabili.

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L'unico capo storico fermato è Giorgio Semeria. Non verrà Però riconosciuto comebrigatista e di lì a poco tornerà libero lnsieme con altri, per scadenza deitermini di carcerazione preventiva. Fra costoro c'è anche un elettrotecnico,entrato da po-o nel giro delle Br. Si chiama Marco Pisetta, ha 26 anni. Ap-hbero, Pisetta si trasferisce in Austria dove sarà avvicina-da| carabinieri, poidagli uomini del Sid. Nel mese di re Pisetta soggiorna per due settimane in unavilla affit-

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tata dai Servizi segreti in località Pochi di Salorno. Stende un lungomemoriale, oltre 90 cartelle manoscritte, ricco di dettagli sulle Br e di accusea personaggi della sinistra che egli coinvolge in vari progetti di guerriglia.Il memoriale finisce sulle pagi-ne della stampa di destra e l'estensore replicadal suo rifugio con un contromemoriale in cui accusa gli uomini del Sid di averemanipolato il suo interrogatorio per inscenare una clamorosa provocazione.La smentita di Pisetta non convince il giudice Viola, il quale definiràl'episodio un'illecita e indebita interferenza dei servizi segreti deviatinell'attività della magistratura milanese; mentre il vertice brigatista, perqualche tempo, accarezzerà l'idea di punire il traditore.Due brigatisti, Roberto Ognibene e Alfredo Bonavita, si recheranno in auto sinoa Friburgo, ma come ci dirà Bonavita dovranno, in circostanze rocambolesche,abbandonare il progetto.Nello stesso periodo le Br si danno una nuova struttura organizzativa cheprevede al vertice una direzione strategica e un comitato esecutivo. Leformazioni combattenti vengono divise in colonne e brigate, cui si aggiungonotre fronti di supporto logistico.Torino, 12 febbraio 1973, ore 21,30. Un commando rapisce il sindacalista dellaCisnal Bruno Labate. E` il primo effetto, si dice, dell'arrivo di Renato Curcioe Mara Cagol nel capoluogo piemontese.Labate, che i brigatisti considerano il responsabile dell'assunzione alla Fiatdi numerosi attivisti neri, viene rinchiuso in un garage e interrogato percinque ore. Alla fine del cosiddetto processo, dopo averlo rapato a zero, loincatenano senza pantaloni al cancello n. 1 della Fiat Mirafiori. Appeso alcollo ha un cartello in cui la Cisnal è definita uno pseudosindacato fascistamantenuto nelle fabbriche dai padroni per dividere - così e scritto - la classeoperaia.La serie dei sequestri di persona continua. Pochi mesi dopo, il 28 giugno, è lavolta di un dirigente dell'Alfa Romeo, Michele Mincuzzi, prelevato ad Arese.Anche Mincuzzi, sottoposto a

un sommario interrogatorio, viene lasciato in manette vicino alla fabbrica conun cartello su cui campeggiano queste parole "Dirigente fascista, processatodalle Brigate rosse".Torino, 10 dicembre 1973. Ettore Amerio, capo del personale della Fiat Auto,viene rapito alle 7,30 del mattino, in pieno centro, mentre sta avviandosi allavoro. Questa volta il processo dura otto giorni. Amerio tornerà libero il 18dicembre "per avere collaborato in modo soddisfacente agli interrogatori" chehanno avuto per tema, si precisa, la questione dello spionaggio Fiat, deilicenziamenti, dell'assunzione dei fascisti e, più in generale, della cosiddetta"controrivoluzione" all'interno della Fiat. Gli interrogatori, si accerterà piùtardi, sono stati condotti personalmente da Renato Curcio.

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Agli inizi degli anni Settanta la sinistra non ha certezze sugli autori dellapropaganda armata. Le Brigate rosse vengono definite sedicenti; le loro azioni,opera di provocatori.Valentino Parlato, direttore de "il manifesto":Ci abbiamo messo troppo tempo a convincerci che le Brigate rosse fosseroveramente rosse. Perché questo nostro ritardo? Telegraficamente eschematicamente: in primo luogo perché, per noi di sinistra, per noi comunisti,era inconcepibile che il terrorismo fosse arma di lotta politica. In secondoluogo, c'era la strategia della tensione, piazza Fontana. Il sospetto eralegittimo. In terzo luogo, perché l'imbroglio c'era e c'è ancora. E` in gradoqualcuno di dire che tutto è chiaro del rapimento Moro?Ugo Intini, deputato del Psi:Sul caso Feltrinelli i socialisti sulle prime furono perplessi e divisi; poidissero con chiarezza, finalmente, la loro: scontrandosi con la cecitàideologica di una gran parte della sinistra. Dicemmo, cioè, che Feltrinelli erastato il fondatore delle Brigate rosse e che nella sua azione c'erano lecaratteristiche che sarebbero state costanti nel brigatismo, cioè il leninismo ei collegamenti internazionali. Nel caso di Feltrinelli, i collegamenti con laCecoslovacchia.Anni dopo, ripercorrendo le tappe della lunga ricerca di possibili collegamenticon l'estero delle Br, il parlamentare socialista rivendicherà:. Quando Craxi parlava di "grande vecchio" del terrorismo interna-z'ona!e,incontrava un muro insormontabile di ostilità. Eppure esisto-n‘ fatti provati edocumentati: il primo brigatista che compì una rapi-

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na nel 1972 fu portato in salvo a Praga da Feltrinelli; il Kgb guidava i Servizisegreti della Germania orientale che organizzavano attentati all'Ovest; iguerriglieri palestinesi venivano riforniti da Mosca.Diego Novelli, già sindaco di Torino, deputato del Pci:Più che di ritardi io parlerei del rifiuto di prendere coscienza di una realtàche si stava manifestando. Dobbiamo tener conto che, in una situazione comequella di Torino, avevamo alle spalle anni di gravi provocazioni antioperaie equindi per noi era stato più facile vedere in quelle violenze una ennesimaprovocazione, piuttosto che prendere coscienza di quanto stava maturando.Tra il 1972 e il '73, le operazioni delle Br vanno acquistando una diversafisionomia. Per un verso, il raggio d'azione sta ampliandosi. Da Milano e daGenova le iniziative si estendono a Torino e in altre città del Nord. Volantinidi rivendicazione dei sequestri vengono ritrovati a Bologna, Piacenza, Firenze,Porto Marghera. Per un altro verso, la rivolta armata sta vivendo un lungo edifficile processo di organizzazione. I sequestri non sono ancora lotta armata;si può parlare di azioni propagandisti-che, sebbene gravi, ma quelle ben piùviolente sono ancora lontane. Tuttavia è un periodo importante. Scompare unacerta approssimazione, cominciano a emergere personalità più risolute.Alla fine del 1973 sembra vicina una svolta. Eppure il Paese stenta ancora arendersi conto della gravita del pericolo. Per uno strano paradosso il settorepiù confuso è proprio quello della sinistra, a cominciare dagli eredi dellacosiddetta "scalata al ciclo" fallita nel 1969.Intervista ad Alfredo BonavitaALFREDO BONAVITA, 40 anni, è uno dei fondatori delle Brigate rosse. Hapartecipato alle prime imprese dell'organizzazione: i sequestri dimostrativicome quello del dirigente della Fiat, Ettore Amerio, e del sindacalista dellaCisnal, Bruno Labate, indirizzati al mondo della fabbrica, e quello del giudiceMario Sossi. Entra a far parte del comitato esecutivo delle Br nell'ottobre del

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1974, e nel novembre successivo viene sorpreso da una pattuglia, a Torino,mentre sta rubando un'auto con Prospero Gallinari.Non ha mai ucciso, non ha mai ricevuto alcun beneficio di leg-

ae, ha scontato 14 anni di carcere. Di famiglia operaia, ha il titolo ài studiodi terza media. Iscritto al Pci e alla Cgil, aveva lasciato partito e sindacatonel 1969, dopo essere entrato in contatto con Giangiacomo Feltrinelli. Nel 1971era entrato in clandestinità partecipando, con Renato Curcio, Mara Cagol,Maurizio Ferrari e Fabrizio Pelli alla creazione della colonna torinese.Nel giugno dell'81 lei lanciò dal carcere il primo appello all'abbandono dellalotta armata. Un documento lucido, impietoso, inusuale per il suo linguaggio,tenuto conto che lei era stato uno dei capi delle Br; e, va anche detto,coraggioso. In quel periodo il terrorismo brigatista era forse condannato, macerto non definitivamente sconfitto. Quale fu la reazione dei suoi ex compagni aquell'appello?La reazione delle Br fu quella di sempre in questi casi. Quando si poneva unproblema di questo tipo, difuoruscita non concordata, e 'era automaticamente lacondanna a morte. Sia che uno si associasse, sia che colla-borasse in altreforme con la magistratura, con i carabinieri, sia che semplicemente avesse deimomenti di debolezza nella lotta perenne che si svolgeva in galera tra idetenuti, la direzione, il ministero di Grazia e Giustizia, e lo Stato, poi, nelsuo insieme. Per cui, automaticamente, anche per me è scattata la condanna amorte.Venne espressa esplicitamente, quella condanna?Sì, per iscritto. L'hanno scritta i brigatisti quando hanno ucciso il fratellodi Patrizio Peci e hanno messo insieme anche me. E credo che si possainterpretare nello stesso modo anche una lettera pubblica dei miei ex compagni.Lei ricorda quella motivazione?Sì, fondamentalmente diceva questo: che per i Peci e per i Bonavita non e 'èspazio, sono fuscelli che verranno spazzati via, e cose del genere.Lei rispose: da voi non c'era da aspettarsi di meglio. Lo san-n‘ tutti chequando vi tocca valutare delle situazioni dove è richiesta intelligenzapolitica, siete come elefanti nella cristalle-r|a. E un giudizio che nonrisparmia niente e nessuno. Come fu così duro, inflessibile? Valutò il rischio?

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Nel rìschio mi mettevo automaticamente dal momento in cui lasciavo i mieicompagni e decidevo di prendere un'altra strada. Non c'era ancora un movimentodi dissociati, la condanna era già lì, pronta, il rischio anche. Il resto èpolemica, carta scritta. Sono stato molto duro perché, secondo me, e 'era undistacco tra le Br che avevo avuto in testa io, quelle che avevamo tentato dicostruire, e la sequela di assassinii, secondo me senza più senso, che siripetevano in quel periodo. Non ne comprendevo più la logica politica. Eccoperché mi rivolgevo a loro con toni così duri.Vorrei ripercorrere con lei alcuni passi del suo appello, metterne a fuocoalcuni contenuti, verificarne l'eventuale attualità. Lei si rivolgeva aiproletari, ai comunisti e infine ai compagni delle Br - è lei che parla - "...con i quali da ormai lungo tempo sono in disaccordo e con i quali solo oggitrovo il coraggio necessario di parlare in questa forma".A un certo punto della mia vita e della militanza nelle Br mi sono accorto chegli scopi prefissati, le idealità, la carica che avevamo dentro per batterci,venivano man mano a cadere. Non solo per me: i valori ideali scadevano anchedentro l'organizzazione. C'era un processo di burocratizzazione, dimilitarizzazione, di scontro sempre più feroce e sempre meno giustificato dal

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punto di vista politico. Ammazzare la gente non è mai giustificato. Violare ilcodice penale può esserlo, a volte. Però, se violare il codice penale èammazzare la gente, questo è un modo di agire che non ha più respiro politico,non si inserisce in nessuna strategia se non in quella della pura sopravvivenzadell'organizzazione. A quel punto anche il più duro molla; oppure, se non molla,vive in modo conflittuale la sua militanza.Lei ha detto poco fa "scontro feroce"; debbo supporre all'internodell'organizzazione. Può dirmi tra chi, e per quali motivi?Ma in quale periodo? E importante definirlo perché, all'inizio, non e t nessunoscontro. Negli anni successivi al nostro arresto e 'è uno scontro tft noiinterni e l'organizzazione esterna che è compatta. Successivamente di' ventaquasi una faida di tutti contro tutti. Ognuno ha i suoi referenti tn galera: ilgruppo di Senzani cavalca i suoi cavalli, il resto dell'organizzò'

zione ne cavalca degli altri, la brigata Walter Alasia di Milano fa vita a sé,nel Veneto mettono in piedi una colonna "2 Agosto"...Ci aiuti a capire meglio i motivi del dissenso...La maggior parte dei brigatisti della prima ora erano stati arrestati, nonavevamo più contatto con l'organizzazione, che non faceva nulla per darci contodi quello che faceva. Non che ci dovesse qualcosa perché, in quanto detenuti,non avevamo più un ruolo dirigente; ma eravamo pur sempre tra i fondatoridell'organizzazione, dei militanti, facevamo parte dell'immagine, e quel poco diteoria che si produceva, si produceva in galera e veniva utilizzata all'esterno.Perciò ritenevamo che l'organizzazione dovesse spiegarci le scelte che stavacompiendo. Ma l'organizzazione, per sua debolezza intrinseca, e anche per suascelta, volle tenerci fuori da tutto. Lo scontro più grosso avvenne fra noi eMoretti. Ma Moretti significava la direzione delle Brigate rosse all'esterno."I motivi che mi spingono alla scelta di abbandonare la lotta armata sono dicarattere politico e anche di carattere morale." Erano e sono separabili questidue caratteri?Ma sa, io uso le parole che mi vengono in mente... non sono un intellettuale...Comunque, do un peso a quelle parole... perché, di fatto, io sono arrivato anchea giustificare l'omicidio politico da un punto di vista politico. Moralmente,certo, è ben diverso. Però, estremizzando il discorso, sì, in certi momenti,carattere politico e carattere morale sono separabili.Nell'appello, lei affermava di essere uscito dal Pci e dal sindacato perché,sono parole sue, "queste organizzazioni storiche del movimento operaio nondavano alcuna prospettiva di potere alle grandi lotte di massa di quegli anni".E aggiungeva: "Nelle Br vedevo l'unica, seria prospettiva di classe che andassem diverse direzioni, un partito rivoluzionario dove il politico e il militaremarciassero di pari passo". Come potevate credere m una rivoluzione senzapopolo, specie senza il popolo operaio?Non concordo con questa valutazione. Non voglio dire che avessimo "tetro milionidi operai, ma all'epoca valutavamo, forse in modo enato, fhe la situazione fosseesplosiva.

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Mi perdoni, se lei dice "all'epoca valutavamo e forse sbaglia-vamo", nonsmentisce l'impostazione della mia domanda...Sì, è vero, infatti... sono un pò ' confuso, perché a momenti parlo dabrigatista, cioè come negli anni Settanta... ora parlo da dissociato, uscitodalle Br, che ritiene negativa l'esperienza fatta per cui, a volte, confondo idue piani. Però, se vogliamo trarre una conclusione, dico: mi sono dissociatoperché quelle scelte erano, secondo me, sbagliate, perché la lotta armata non

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porta a nulla, e così il discorso è chiuso. Se invece vogliamo aprirlo, dobbiamodiscutere di quello che pensavo, nei primi anni Settanta, e di quello chepensavano gli altri insieme a me, anche se oggi, a qua-rant'anni, faccio unavalutazione diversa."Erano altri tempi - dice ricordando le Br degli inizi - erano tempi in cui learmi ci facevano paura - sono parole sue - dove il colpo in canna non si mettevaneanche in azione, erano i tempi in cui si pagava in contanti l'auto bruciataper errore. Il compagno passato in clandestinità ci rimetteva la liquidazione afavore della collettività, in cambio di 120.000 lire mensili." Quando e perchési ha la svolta che ha portato a tanta morte, a tanto sangue, a tanta violenza?Mah... io credo che, infondo, non ci sia stata una svolta. Penso che le Brsuccessive, quelle che conosciamo per il sangue e per i morti, siano già tutteinsite nel progetto iniziale. Si può parlare di svolta solo facendo un discorsointerno alle Br: cioè l'affermarsi di alcuni leader, la caduta di altri... Peròsarebbe un discorso troppo interno, troppo tecnico. In realtà, secondo me, è nelprogetto iniziale che c'è già la sua fine.Lei scriveva ancora: "Gli errori delle Br in questo periodo sono stati tragici,la traiettoria folle della disarticolazione ha portato a rinnegare tutti iprincipi che ci avevano inizialmente guidato, si è rafforzata la logicaforsennata del militarismo, dove all'inconsistenza politica faceva fronte lariaffermazione dei sacri principi". "Questo periodo", lei dice. Vede dunque cheè possibile in qualche modo identificarlo? Ce lo vuole ricordare?E` possibile identificarlo a partire dal fatto che noi, per esempio, prendiamoSossi, chiediamo delle cose in cambio, lo condanniamo a morte, non ce le danno,e Sossi lo liberiamo. Dopo non è mai successo. Perché!'

Perché noi infondo ritenevamo che fosse più importante, sempre e comun-ilcarattere politico della vicenda. Per noi, Sossi libero era meglio che Sosstmorto.Da questo punto di vista, perfeziono un po' la domanda precedente, qual è ildiscrimine fra il prima e il dopo del sequestroMoro?In due parole si può dire che fino al rapimento Moro c'è una crescitaesponenziale delle Br e del terrorismo nel suo insieme (uso un termine che non èil mio, ma tanto per farci capire). Poi, e 'è una caduta verticale: e 'èl'incapacità di affrontare il dopo Moro.Apriamo un altro capitolo. Marco Pisetta: un infiltrato che aveva fattoarrestare alcuni di voi e che si nascondeva in Germania, a Friburgo se nonsbaglio. Chi era esattamente Marco Pisetta, e per chi lavorava?Marco Pisetta era un tipo strano, un bombarolo ante litteram che vivevanell'ambiente studentesco di estrema sinistra di Trento (lui non era unostudente). Aveva diverse amicizie e probabilmente aveva fatto degli attentatidinamitardi, allora e anche successivamente, secondo noi per fare delle cose,per entrare in simpatia con un certo mondo, per crearsi un personaggio.Diventato latitante, è stato ospitato prima da altra gente e poi dalle Br. Manon era un brigatista, Marco Pisetta. Gli si dava ospitalità perché altricompagni, che volevano scaricarlo, ci avevano pregato di tenercelo noi, vistoche avevamo qualche documento falso e qualche casa dove alloggiarlo. Così hagiacchiato un pò ' nel nostro ambiente di allora, quello del 1972, e haconosciuto un sacco di gente.\E vero, Bonavita, che l'esecutivo ordinò a lei e a Roberto Ugnibene di andare aFriburgo per giustiziarlo? Era il giugno del 1974, se non sbaglioNon esattamente. Nel senso che l'esecutivo non "ordinò". Mi chiese ladisponibilità e io dissi di sì.lei andò effettivamente a Friburgo?Si.

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Come si svolsero i fatti?I fatti si svolsero tecnicamente così: andò prima Mara Cagol con Fa-brìzioPelli, per accertare se l'indirizzo era giusto. Per fortuna di Piselta loincontrarono in un supermercato vicino a casa, per cui ritennero che l'indirizzofosse giusto. Tornarono indietro immediatamente e riferirono.Presero l'indirizzo e il numero della targa della sua auto, che era una Opel...Sì, una Opel verde. A quel punto partì immediatamente il gruppo perfarlo fuori... Eravamo io e Ognibene, perché venivamo giudicati abbastanza decisi. Alloggiavamo in Francia, passavamo la frontiera tutti igiorni, armati, ci appostavamo sotto casa di Pisetta e aspettavamo cheuscisse. Dopo il terzo, quarto giorno ancora non si vedeva. Abbiamo cominciato a girare tutti i locali frequentati da italiani, e così siamo andatiavanti per una settimana. Gli ultimi giorni, per due volte, ho rischiato diuccidere una persona che non e 'entrava, dopodiché ho deciso di tornare indietro. Un giorno ho inseguito su per le scale uno che mi sembrava lui einvece era un idraulico. Un 'altra volta, invece, alle dieci di sera, proprioalla fine della giornata - perché noi partivamo alle otto e mezzo al mattino e stavamo lì fino alle dieci di sera, con il rischio di essere segnalati earrestati, per cui i nervi erano tesi - abbiamo visto arrivare la sua macchina. Ci ha sorpassato e abbiamo deciso di sparargli al volo, cioè di ammazzarlo appena fermava la macchina. Quando l'auto si è fermata sottocasa Ognibene si è affiancato, io ho tirato giù il finestrino, ho messo ilcolpo in canna. Poi ci siamo guardati in faccia... perché secondo me nonera lui... io non lo conoscevo, l'avevamo visto solo in fotografia. Chiedevo a Ognibene se era giusto sparargli o no! A me non sembrava, lui mi ha \fatto cenno di no e siamo andati via. Insamma, mi sono rifiutato, non -ivolevo rischiare di sparare a uno qualsiasi... ! |Lei dichiarò che per capire le radici politiche e culturali del terrorismo lavostra riflessione deve andare agli anni cruciali ; del 1968-69; nonritiene importanti anche gli anni 1962-68, in cui, a partire da Trento, esplosela contestazione studentesca?Sì, certo. Comunque, fondamentali negli anni intorno al 1969, p& me, sonol'insubordinazione operaia, lafuoruscita dalle logiche del vecchio movimentooperaio, le nuove organizzazioni operaie che si creano nel-

le grandi fabbriche, a partire dalla Pirelli di Milano o dalla Fiat Mira-fiori,questo traboccare spontaneo al di fuori delle istituzioni della sinistra. E` inquella stagione lì che nasciamo noi, anche come individui.Pensa che la strage di piazza Fontana abbia avuto un peso nell'origine delterrorismo rosso, e in quale misura?Per molta gente che ho conosciuto, si, sicuramente. Per me stesso, non è statala molla fondamentale. Però, da quel momento, ho deciso che avere in tasca unapistola non era un reato, visto che serviva. Certo, non ero io, a Borgomanero inprovincia di Novara, ad essere oggetto di persecuzioni, però mi identificavo conla gente perseguitata e anche con la gente che avrebbe dovuto vendicarla, perchéavevo vent'anni, avevo queste idee in testa. La prima pistola me la sonoprocurata in quel periodo lì, non da brigatista, perché ragionavo da operaio difabbrica che era ancora iscritto al Poi e alla Cgil.Quando, e per opera di chi, decideste di adottare la parola d'ordine: "Lo Statoborghese si abbatte, non si cambia"?Se c'è stata una vera e propria decisione, non ricordo... Io l'ho trovata unaparola d'ordine corretta in seguito, appunto, ai fatti che erano successi.Secondo me, piazza Fontana era emblematica dal punto di vista delleresponsabilità dello Stato. Quella parola d'ordine l'ho condivisa. Credo chevenga da Stato e rivoluzione di Lenin, tradotta poi nella nostra realtàdell'Europa occidentale.

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Qual era il rapporto delle Br con la realtà? Quando vi accorgeste di vederlaattraverso una lente che la deformava?Io, personalmente, l'ho sempre vissuta così... Ho sempre creduto che vedessimola realtà secondo un'ottica deformata, almeno a partire dal 1975-76. Però, difatto, alternative non se ne ponevano. Ferme, l'alternativa si è posta più inlà, quella di mollare le Br, e fare altre scelte, accettare il terreno delconfronto democratico, accettare gli spazi che ci sono ^ questa società.Qual era il vostro giudizio sui magistrati dell'antiterrorismo? Quale è stato illoro contributo all'analisi, alla comprensione del fenomeno e poi alla suasconfitta?

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Secondo me è stato determinante. Soprattutto da parte dei giudici che l'hannoseguito dall'inizio, come Caselli, ma poi di tutto il pool di magistrati che siè formato su quella esperienza: parlo di Vigna, di Imposima-to e altri...Lei è ormai considerato una sorta di storico delle Br. Quale fu il momento dimaggiore espansione, di maggior successo del brigatismo rosso?Secondo me, in termini politici, il più grosso successo l'ha avuto tra il 1973 eil '74. Quello è stato l'unico periodo in cui era accettato come una forza disinistra e nella sinistra. Io ero fuori, in quel periodo, e ricordo che con noiallora si discuteva... Non in tutta la sinistra, però in una certa sinistra sidiscuteva con noi da pari a pari e non come con i reietti o i cugini sullastrada sbagliata. Ed era il periodo in cui attraverso il sequestro Amerio si erariusciti a far togliere la cassa integrazione a parecchie migliaia di operaiFiat, e con il sequestro Sossi si erano messe in luce le debolezze del poteresenza ammazzare nessuno.E il primo grave segnale di crisi?Ce ne sono stati tanti. Ognuno, poi, li vede in modo molto soggettivo. Di crisigrosse, nell'organizzazione, ce ne sono state nel 1974 con i nostri arresti, cene sono state successivamente con l'arresto di Curdo, quando si è dovutoripartire da zero; ce ne sono state poi nel 1978, con l'arresto di metàdell'esecutivo e di molti militanti. Se invece vogliamo dare una valu-tazionepolitica, direi quando incominciano gli omicidi a tamburo battente.Qual è oggi la sua visione politica, quali sono i suoi ideali, le sue speranze?Io oggi non faccio politica con la "p" maiuscola, lavoro, ho una famiglia, ho unfiglio piccolo, mi interesso moltissimo dei problemi dell'ambiente, anche per ilfatto che la zona dove abito è superinquinata e sulla difesa dell'ambiente,probabilmente, non ci sono caratterizzazioni ideolo-giche tanto spinte damettermi in difficoltà.Lei è tornato a casa anche nel senso che si sarebbe augurato suo padre? In unacasa comunista, voglio dire?

Certo. Sì.E cosa dire alla gente che ha pagato per la vostra avventura? Eh, qui non socosa dire. Cioè, non ci sono parole sufficienti...Provi a trovarne qualcuna!No, sarebbero comunque inadeguate... in parte false. Non mi piace! Preferiscoche ognuno le parole le trovi da sé e capisca se da questa parte, dove ci sonoio, e 'è davvero la sensazione del superamento, del rimorso, anche, lasensazione di avere sprecato parte della propria vita.E a tutti coloro che hanno pagato per la "sua" storia, cosa ha da dire?Credo che la cosa più importante sia che si avverta che da questa parte, laparte dove sono seduto adesso, e 'è anche, non tanto il rimorso, quanto untentativo di superamento reale di un periodo sicuramente sbagliato. Credo che la

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cosa più importante sia dimostrare che è una storia chiusa, e che le personeimplicate come me hanno fatto ogni sforzo per venirne fuori, per riparare inqualche modo. Non credo che sia possibile dire altro.Quanto è costato a uno come lei dovere riconoscere di essere perdente?Mah, non mi è costato molto. Perché per me questa storia è stata un po' unascommessa. Mi vengono in mente le parole di Che Guevara: "Non bisognarecriminare". Io ho affrontato questa scommessa dando tutto quello che potevodare, mettendoci nei momenti più critici tutta l'umanità che potevo, la capacitàdi rendere umane anche le cose meno belle...Citando Che Guevara, ha detto: "Non bisogna recrimina-re>>, ma rifarebbe lostesso percorso?Eh... l'ipotesi in questi termini è improponibile perché sono mutate lecondizioni della nostra società, sono mutate le persone e sono mutato an-c" lo-Però, quando quella scelta l'ho fatta, ero io.

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BR, UN PROGETTO DI GUERRA CIVILEDALLA PROPAGANDA ARMATA ALLA LOTTA ARMATA:LE PRIME VITTIMECon la nascita delle Brigate rosse comincia quell'ossessione rivoluzionaria chesegnerà circa un ventennio della nostra storia. Quasi immediata la scelta dellaclandestinità; dalle azioni in tono minore, dagli attentati alle macchine, daibrevi sequestri di persona che hanno caratterizzato i primi due anni diattività, si passa ai ferimenti, agli agguati quotidiani; dai progetti ancorasommari, al terrorismo più organizzato e diffuso. Ormai, si legge in undocumento brigatista, il proletariato ha raggiunto una maturazione sicura, èuscito dalla sua prima fase, quella dello scontro dimostrativo, propagandistico,e incomincia a interpretare la lotta di classe come una guerra. I terroristiimparano a colpire all'improvviso, concentrando le proprie forze nell'attacco edisperdendosi, poi, rapidamente. E` il momento del "mordi e fuggì". Teatro dellabattaglia è la città. "Capimmo" ha osservato Giorgio Semeria "che metropoli nonsignificava città più grande, ma un intreccio nuovo di rapporti sociali, unanuova pelle urbana di leopardo, il luogo dove imparare a vivere e a sopravviverecome in una giungla o in un deserto. "C'era un filone neomarxista che rifiutava ogni riformismo e si contrapponeva aipartiti della sinistra storica mescolandosi a correnti guevariste, maoiste eperfino poststaliniste. C'era un neocattolicesimo rivoluzionario che facevariferimento, fra gli altri, a un prete guerrigliero, il colombiano CamiloTorres, secondo una tradizione cristiana di segno rivoluzionario, riemersa evivificata negli anni della contestazione anche religiosa. C'era larivendicazione del "personale" e del "politico" da vivere insieme, che dava unsignificato rivoluzionario alla lotta

per i bisogni e la libertà individuali. Questo aspetto sarà spesso prevalente,come leggeremo nelle interviste che seguiranno, e darà all'adesione dei singolialla lotta armata i connotati di una vera e propria scelta di vita.Nell'immaginario di alcuni brigatisti, infine, perdurava la delusione per ilprogetto a loro avviso inconcluso, se non addirittura tradito, della Resistenza,che aveva prodotto un ribellismo irrazionale e violento.Alla lotta armata le Br arrivano in progressione. Perché le Brigate rosse sonolotta armata, e la lotta armata non è un modo di far politica: in vista di unarifondazione rivoluzionaria, è la politica stessa. " II solo modo per usciredalla non politica del pci e della sinistra ufficiale" afferma Franceschini "ilsolo modo per spezzare la paralisi partitocratica. "In un comunicato brigatista si legge:

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Con la costruzione delle Br abbiamo voluto creare un polo strategico in grado diporsi almeno i più urgenti tra i problemi sollevati dal movimento di resistenzaproletaria. Non abbiamo costruito un nuovo gruppo, ma abbiamo lavoratoall'interno di ogni manifestazione operaia, per unificare i suoi livelli dicoscienza intorno alla proposta strategica della lotta armata per il comunismo.L'organizzazione cerca di intervenire nelle principali vertenze aziendali conazioni provocatorie e gesti cosiddetti esemplari, tesi a dimostrare che ipadroni sono vulnerabili nelle loro persone e che gli operai, armati, riescono adifendere le loro vittorie, mentre le esitazioni del Pci e del sindacato portanoalla sconfitta.Le Br si autodefiniscono formazioni di propaganda armata, il cui compitofondamentale è guadagnare la simpatia e l'appoggio delle masse alla rivoluzione;ma contemporaneamente sostengono la tesi (diventerà la linea ufficiale) secondocui è intorno alla lotta armata che si aggrega l'autonomia di classe e nonviceversa, perché solo la lotta armata esprime potere di classe.In quei primi anni Settanta, è una lotta immaginata come guerriglia di lunga,lunghissima durata. Un giorno, parlando a Questo proposito con l'avvocatoLazagna, Franceschini si sentì Gire: "Va bene, fate pure, io intanto vado apesca. Noi parti-

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giani abbiamo resistito un anno, ed era una guerra dichiarata, popolare, conscadenze prevedibili. E voi volete andare avanti vent'anni?".La clandestinità, resa necessaria dall'intensificarsi delle azioni illegali, ecomunque considerata un trauma salutare per tagliare i ponti con l'esistenza diprima, pone i brigatisti di fronte all'esigenza di disporre di basi sicure, diabitazioni che servano da rifugio per i militanti o come deposito del materialepropagandistico e delle prime armi: sono i cosiddetti covi.COVI è un'invenzione dei mass media. Le forze di polizia imparano presto adistinguerli in caldi e freddi. I primi sono veri e propri appartamenti neiquali gli occupanti conservano armi, archivi e materiali vari; i secondi sonoluoghi ormai abbandonati che non offrono, in genere, indicazioni utili alleindagini. Per i terroristi si chiamano "basi".Logistiche sono quelle che servono da vero e proprio quartier generale, dove sipreparano azioni particolari: come ad esempio i covi Br di via Gradoli a Roma edi via Monte Nevoso a Milano. Basi armeria, sono quelle utilizzate come depositodi armi. Basi dormitorio, quelle usate solo come alloggi. Basi infcrmeria,quelle attrezzate per le cure ai feriti. Una base sicura è il locale gestito dapersone non individuate dalla polizia. Esemplare l'appartamento di viaMontalcini, a Roma, dove Anna Laura Braghetti viveva da anni e che quasisicuramente è stato la prigione di Aldo Moro.Le basi sicure, che avrebbero dovuto rappresentare il punto forte della lottaarmata, sono in realtà l'anello debole. L'ha capito il generale dalla Chiesamettendo in atto, tra le sue strategie, quella che, sulla carta, suscitavamaggiore scetticismo, ma che si rivelerà quasi risolutiva: la rilevazioneattraverso il catasto delle case con particolari caratteristiche vendute negliultimi tempi, e dei nominativi degli acquirenti.Fra le leggi speciali dell'antiterrorismo la più temuta sarà proprio quella cheestenderà il controllo ai locatori obbligandoli a comunicare entro un mese alcommissariato i nomi degli inquilini.Dal 1974 in poi i covi terroristici rossi e neri scoperti da polizia ecarabinieri saranno 714, di cui l'86 per cento situati in dieci città: Roma,Milano, Firenze, Torino, Genova, Bologna, Padova, Venezia, Mestre, Napoli.

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Il passaggio dalla fase detta della propaganda armata a quella più aspra deiferimenti e poi delle uccisioni obbliga le Brigate rosse a darsi, e in un certosenso a codificare, un metodo per

la scelta delle persone da colpire. Un'attività alla quale i brigatistidedicheranno una parte delle loro energie.Il fronte, formato da gruppi di militanti, ha il compito di organizzareschedari, raccogliendo e classificando informazioni sui politici e surappresentanti delle istituzioni, giornalisti, magistrati, uomini delle forzedell'ordine. I terroristi addetti a queste inchieste leggono un gran numero digiornali traendone ogni indicazione possibile. Vengono impostati i primiarchivi, custoditi con la massima cura nelle basi. Ogni scheda riferita a unsingolo personaggio è composta da una fotografia, dall'elenco delle attivitàsvolte, dalla descrizione delle abitudini, ricostruite attraverso numerosisopralluoghi.Un elemento non viene mai trascurato: il genere di protezione cui è sottopostoil bersaglio. L'inchiesta può durare anche diversi mesi; ciò dipende dal tipo diattentato e dalle difficoltà che si devono superare.L'insieme delle schede serve alla direzione di colonna per discutere e poiscegliere l'obiettivo da colpire. Spesso, dirà la storia del terrorismo, il menodifeso. L'ultima fase riguarda lo studio dei luoghi e la scelta delle vie difuga.Di tutto questo - idee, scelte, comportamenti - le Brigate rosse lascianotraccia scritta. Nessun gruppo terrorista, in Italia e forse nel mondo, ha maiaccumulato una mole così imponente di documenti, risoluzioni, appunti, note,tutti accuratamente catalogati e archiviati. Sembra quasi che in questainesausta elaborazione le Br cerchino la convalida stessa del loro progetto.Sono testi talvolta oscuri, spesso involuti, intrisi di una tradizioneideologica che affonda le sue radici nelle teorizzazioni originarie delmarxismo-leninismo, aggiornato dalle esperienze più radicali: da quella cinese aquella cubana. Il linguaggio, che spesso si contrae in enunciazioni apodittichee addirittura in slogan, è quello di una cultura che non conosce né " dubbio néla tolleranza. Ecco taluni passaggi significativi del Pensiero brigatista:(òòò) Cosa vogliamo? Vogliamo il potere! (...) Finché il potere lo ^ranno ipadroni, la nostra condizione non potrà cambiare. (Il pa-fia‘ n‘n "nuncerà aincutere paura e a seminare il terrore perccare la nostra volontà di lotta, per dividerci. (...)! padroni illumi-

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nati non per questo sono meno feroci. E per far questo (si serviranno) di capi,capetti, spie, mostri e ruffiani. Inutile spendere troppe parole; meglio diresubito che chi interviene e si adopera contro la lotta e gli interessi deilavoratori è un nostro nemico e come tale va colpito (...)(...) Nuova resistenza indica continuità con tradizioni di lotta che, seppurpervertita da una guida revisionista, hanno coinvolto le migliori forze delnostro Paese (...) Non ha il sapore di una nostalgica ed impolitica ripropostadella viziosa tematica resistenziale. (...) Ha invece per noi il senso tuttogiovane ed offensivo che questa parola d'ordine assume nel quadro della guerramondiale imperialista che oppone la controrivoluzione armata alla lottarivoluzionaria dei pro-letari, dei popoli e delle nazioni oppresse...(...) Lo Stato diventa espressione diretta dei grandi gruppi (...) con polonazionale. Lo Stato diventa perciò funzione specifica dello sviluppocapitalistico nella fase dell'imperialismo delle multinazionali; diventa Statoimperialista delle multinazionali. (...) La nostra linea entro questo quadro

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generale resta quella di un attacco convergente al cuore dello Stato. (...)Compito principale in questa fase è dunque la massima disarticolazione politicapossibile tanto del regime che dello Stato. (...) La guerriglia urbana gioca unruolo decisivo nella azione di disarticolazione politica del regime. (...) Nonsi tratta di organizzare il movimento di classe sul terreno della lotta armata,ma di radicare l'organizzazione della lotta armata e la coscienza politica dellasua necessità storica nel movimento di classe...(...) La clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza diuna organizzazione politico-militare offensiva che operi all'interno dellemetropoli imperialiste. (...) Operare a partire dalla clandestinità consente unvantaggio tattico decisivo sul nemico di classe che vive invece esposto nei suoiuomini e nelle sue installa-zioni...E` su premesse teoriche come queste che le Brigate rosse entrano in azione. Leprime vittime risalgono al giugno del 1974. In una sede del Movimento sociale, aPadova, vengono uccisi Giuseppe Mazzola e Graziano Giraluce.Chi sono i brigatisti? Da dove vengono? Che cosa persegu0' no? E come intendonoarrivarvi? Le risposte non possono essere univoche, né esaurienti. C'è in questofenomeno una a1' mensione anche psicologica che non è facile da capire e neppu'

re, forse, da spiegare. Ecco un insieme di risposte a questi interrogativi.Interviste a Corrado Alunni, Paola Besuschio, Franco Bo-nisoli, AlbertoFranceschini, Mario Moretti, Patrizio Peci, Pierluigi ZuffadaFranceschini, come giudica l'affermazione di Moretti secondo cui sulle Br si satutto? Lei, come Curcio, non ne sembra molto convinto. Cosa sospetta che manchiin quella parte di storia da lei vissuta in carcere?Io credo che un fenomeno come il nostro, quello delle Brigate rosse, sia unfenomeno molto particolare; intanto per la durata nel tempo, visto che duraormai da diciott 'anni e con fasi molto diverse. Non credo che si sappia tuttosulla storia della nostra organizzazione; credo che ci siano un sacco di cose dasapere e che solo uno sforzo collettivo di tutti possa portare a capirerealmente cos'è stato e cos'è questo fenomeno.Quali erano i modelli rivoluzionari ai quali vi ispiraste quando furono createle Brigate rosse? Si è parlato di volta in volta di Lenin, di Mao, di CheGuevara e di altri...Se parliamo di persone, un punto di riferimento era un mito di quegli anni: CheGuevara. C'erano poi riferimenti molto più concreti: uno, fondamentale, eracertamente la guerra del popolo vietnamita contro gli americani; un altro, moltoimportante, era la rivoluzione culturale cinese, interessantissima per noi comemovimento di massa per cambiare lo stato di cose presenti, anche se in quel caso"lo stato di cose presenti" si chiamava socialismo. L'altro riferimentoimportante erano i movimenti del Suda-merica, e in particolare il movimentourbano dei tupamaros, proprio perché era un movimento di lotta armata in unagrande metropoli come Montevideo.A parte gli schemi e le suggestioni, che cosa di quelle esperienzerivoluzionarie portaste concretamente, profondamente ^'interno della vostraorganizzazione? Non le pare che fu una strutturazione molto improvvisata epochissimo organica rigetto a quei modelli?

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Sì, certamente fu molto improvvisata e per certi aspetti molto sperimentale.Nella nostra esperienza portammo soprattutto terminologie, fraseologie... Peresempio, il termine "colonna" con cui noi indicavamo i gruppi di compagni che

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agivano nelle singole città era mutuato dalla terminologia dei tupamaros."Brigate rosse" viene dal nome delle Brigate Garibaldi della lotta partigiana.L'invenzione, poiché ho ragione di credere che fosse un'invenzione e ancheabbastanza estemporanea, del cosiddetto "potere delle multinazionali",corrispondeva a un tentativo di accreditare la vostra capacità di elaborazioneteorica, ideologica, o era solo un'affabulazione?Sì, per certi aspetti sì. Tanto è vero che il famoso Sim, questo nostro grandenemico, che era lo "Stato imperialista delle multinazionali", se ricordo bene èuna definizione che inventai io, proprio partendo dal tentativo di ridefinireuna terminologia leninista dello Stato moderno.Ma non è singolare che poi queste invenzioni circolassero e trovasserofondamento anche all'interno del vostro lessico rivoluzionario?Sì, questo è un aspetto che lei giustamente definisce singolare, e da un certopunto di vista fa riflettere. Forse, alcune terminologie, frasi, lessici cheabbiamo inventato, avevano una loro efficacia elementare: come "Portarel'attacco al cuore dello Stato", oppure il Sim, lo Stato imperialista dellemultinazionali.Ho detto singolare, ma si potrebbe parlare di drammatica semplificazione...Sì, cose semplici, anzi semplificate. Forse, però, anche efficaci dal punto divista proprio della comunicazione dei mass media.Perché quella stella a cinque punte asimmetrica?Beh, per certi aspetti può anche essere comico, perché non riuscivamo 0.disegnare una stella che fosse simmetrica. Ci veniva sempre asimmetrica eallora, a un certo punto, guardando quella stella asimmetrica ci piacqui più diquella simmetrica!

Conviene che questi aspetti di comicità, che lei ogni tanto intravede nelle coseche rievochiamo, conferiscono una ulteriore drammaticità a quanto ci diciamo?Sì, per certi aspetti sì. Però anche di realismo!Come decideste le prime azioni?In modo, anche qui, molto semplice. Discutendo con alcuni compagni e operaidelle fabbriche, ci ponemmo il problema di come iniziare quella che noichiamavamo la lotta armata. Parlando in termini molto semplici, alla portata dellivello di coscienza e di mentalità della gente, in modo da non spaventare.Come picchiare i capireparto di alcune fabbriche, incendiare le loro auto perintimidirli, per dare un esempio, come si diceva allora. Pensavate già a unaescalation del futuro terrorismo, o no?Sì, certamente sì. Per noi quella era la mediazione tattica rispetto a quellache noi chiamavamo la coscienza delle masse.Aveste la sensazione di fare proseliti? Quando, e in quali ambiti?Ci fu un periodo fino al 1972, che noi allora definimmo di impianto, in cui ilnostro progetto non riusciva a diffondersi. . . soprattutto consumavamo energiedei compagni che venivano dal movimento del 1968-69. Dopo il 1972, inparticolare dopo il sequestro Ameno, iniziò una fase nuova in cui molte persone,soprattutto operai delle fabbriche e proletarì dei quartieri, cercavano dimettersi in contatto con noi e cominciavano a Porsi, anche in modo concreto, lapossibilità di uno sviluppo della lotta armata.Corrado Alunni, vorrà convenire che la lotta armata non fu rivoluzione dipopolo...o. Io credo che si possa dire - anche se dirlo, spesso, suscita pole-, e ~che fino agli anni Settanta dentro il movimento operaio vivevano anime,chiamiamole rivoluzionaria e riformista, per cui la trasforma-‘ne ^fa societàpoteva essere vista in un senso o nell'altro. C'erano de-

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terminati momenti in cui l'ipotesi rivoluzionaria diventava più viva dentro lelotte. E questo perché tutti i movimenti degli anni Settanta, in realtà, avevanoal loro interno un 'ipotesi rivoluzionaria. Io non pensavo alla rivoluzione comeconquista del potere, come l'assalto al Palazzo d'Inverno. Ma pensavo che lalotta armata servisse a trasformare l'esistente.Paola Besuschio, 41 anni, si è laureata in sociologia a Trento dove ha studiatocon Renato Curcio e Mara Cagol; subito dopo si è trasferita a Milano perlavorare alla Sit-Siemens, poi ha lasciato il lavoro ed è diventata unabrigatista a tempo pieno. Che cosa era avvenuto nel frattempo? Che cosa l'avevaspinta a compiere quel salto?// salto deriva fondamentalmente dall'esperienza fatta all'interno dei gruppiextraparlamentari e del Movimento studentesco. Milano, in quegli anni, èricchissima di protagonismo proletario. Non solo gli operai, ma soprattutto itecnici sono in prima fila a porre l'esigenza della trasformazione sociale nellaricerca di un cambiamento dello stato di cose presenti, che non potevanofunzionare. Io sono una compagna giovane, vivo tutta l'esperienza dalSessantotto fino all'inizio degli anni Settanta. Le Brigate rosse, per me, sonoun 'ipotesi di proseguimento della lotta rispetto appunto a una trasformazionedi cose che in quel momento non andavano bene.Che cosa significava essere donna in una organizzazione terroristica? Comevivevate nella clandestinità, quali erano le norme di comportamento, qualiproblemi comportava, insomma, questa doppia vita?Essere donna nelle Brigate rosse! Detto così è come affermare l'esistenza di unadivisione di ruoli. All'interno delle Brigate rosse, per quella che è stata lamia esperienza e quella dei compagni in quegli anni, non c'era divisione deiruoli. Vivevamo tutti quanti con gli stessi compiti e con l'entusiasmo di unavita in comune. All'esterno dell'organizzazione posso avere sfruttato la miaqualità di donna, perché la donna passava più inosservata, ed era sempreconsiderata, diciamo così, inferiore all'uomo, quindi meno capace di agire, omeno pericolosa.Vorrei che ora mi aiutasse a delineare un po' meglio i contorni di quellascelta. Allora, tra i gruppi della sinistra extraparlamentare vi era, per cosìdire, una. diffusa domanda di

azioni rivoluzionarie. L'illusione brigatista esprimeva questa richiesta dilotta armata? Le Br sono figlie del Sessantotto o almeno di qualche parte, o diqualche connotato, del Sessantotto?Più che figlie del Sessantotto, sono figlie delle grandi lotte di quegli anni.Ricordiamoci che sono gli anni del contratto nazionale dei metalmeccanici, conle fabbriche di Milano e di Torino estremamente vivaci e attive nella lotta.Noi, dall'interno del movimento, portavamo il nostro contributo. A differenza dialtre organizzazioni extraparlamentari, le Brigate rosse avevano un punto diforza: la fusione del politico e del cosiddetto militare. Oggi non esiste unmovimento che lotta. Non esiste un antagonismo diffuso, organizzato. Sembraquasi che stiamo vivendo con torpore l'accettazione di una realtà. Non so qualesarà la dinamica futura, però in questa realtà non potrebbero esistere leBrigate rosse...Non può anche darsi che la delega operaia sia tornata democraticamente alsindacato, in nome del movimento operaio?Forse oggi è così. Allora questa delega al sindacato non c'era, perché lamassima espressione di quegli anni era proprio l'autonomia operaia.La classe operaia che dette la delega a voi, in realtà era costituita da unaminoranza. La grande massa della fabbrica non stava con voi.La grande massa della fabbrica lottava anche al di fuori delle regole sindacali.Io mi ricordo assemblee gremite dì lavoratori, organizzate dal sindacato pervotare le piattaforme e, quasi immancabilmente, la piattaforma non si votavaall'interno dell'assemblea. Quindi, c'era un dissenso operaio rispettoall'organizzazione sindacale.Voi interpretavate l'inquietudine di una classe operaia che in qualche mododelegava persine voi, oltre che il sindacato, a interpretare le sue esigenze; manessuno vi ha mai delegato a uccidere. Tant'è che quando le Brigate rosse

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iniziano la lotta armata, il distacco della fabbrica via via si palesa ediventerà addirittura clamoroso con l'assassinio di Guido Rossa...Sì, ci sono state vicende anche infelici all'interno dell'organizzazione. Perònon si può interpretare una storia sulla base di singoli episodi. Infatti potreiportare altri esempi, secondo me positivi, del periodo della

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propaganda annata. Alla Sit-Siemens, quando io sono stata assunta subito dopo ilsequestro Macchiarmi, ci fu un momento esaltante per i lavoratori dellafabbrica. In quel caso era stato individuato un simbolo, che rappresentava laviolenza che i lavoratori subivano nelle otto ore di lavoro. Le Brigate rossecosa fanno? Sequestrano per poco tempo questo signore e lo fotografano; quindic'è un'immagine che sfata il mito dell'invulnerabilità del potente.Mi chiedo se la vostra strategia ebbe mai, almeno inizialmente, un'istruttoriateorica o una progettazione concreta che la rendessero plausibile o se tuttomaturò e crebbe col tempo... Franceschini.Innanzitutto per noi era fondamentale la pratica. La scelta della lotta annatacredo fosse anche una reazione a quello che noi chiamavamo il teoricismo, cioèl'eccessiva mania della sinistra di discutere, teorizzare tutto. Pensavamo cheattraverso la pratica, riflettendo su di essa, saremmo stati in grado dielaborare una teoria specifica per la rivoluzione nel nostro Paese.Ma per pretendere una dignità rivoluzionaria non le sembra un po' grossolanoapplicare il teorema in base al quale tutto si verifica e si legittimaattraverso la pratica?Senza l'utilizzo della violenza non sarebbe stata possibile nessuna presa delpotere in termini rivoluzionari. Questo era il punto di partenza fondamentale.Quindi, per noi, la ricerca pratica e teorica fondamentale era proprio intornoai modi e ai tempi dell'uso della violenza in un Paese a capitalismo avanzato.Quindi sapevate che prima o poi avreste cominciato a uccidere?Certo. Io credo che chiunque inizi a mettere in piedi un discorso di lottaarmata, anche quando comincia col distribuire un volantino, debba mettere inconto che lo sviluppo successivo sarà comunque l'uso delle armi.La violenza rivoluzionaria ne presuppone un'altra. Ma quando non esiste unasorta di equivalenza, la qualità rivoluzionaria a che cosa si riduce?

Mah, francamente... il discorso, almeno per noi allora, non era questo. Cioè loStato non opponeva soltanto una difesa a una nostra offesa.Ma i morti li facevate voi...Sì, però prima c'erano già stati dei morti sulle piazze. Per noi questo erafondamentale. Negli anni Settanta abbiamo cominciato sì a fare i morti, peròprima degli anni Settanta i morti erano dalla parte degli operai, deglistudenti, dei proletari. Perciò noi vedevamo il nostro agire violento come unarisposta che nessuno fino allora aveva dato.Ma quelle morti che trovano, se si può usare questa orrenda parola,"giustificazione", in un contesto politico di grandi, drammatiche vertenzesociali, che sono costate, appunto, conflitti di cui non è certo possibile averebella memoria, non possono costituire la premessa per andare poi a colpire altriinnocenti separati da quel contesto...Questo penso sia, purtroppo, il grosso problema della politica. Non so quantol'etica possa influenzare la politica, ma per certi aspetti anche i morti dellepiazze erano morti innocenti.Non avete giustificato quell'ondata di eversione che aveva seminato la strage invarie piazze d'Italia iniziando voi stessi a esercitare la violenza più o menocon gli stessi metodi?

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Ceno, ne eravamo consapevoli. Io, almeno, lo ero sin dall'inizio, forse perchéprovengo dal Pci e le critiche continue del Pci a chi si voleva mettere sulterreno estremista, l'avvertimento "Non fare il gioco della destra., dellareazione", mi ponevano il problema ogni volta che compivamo atti violenti. Però,la giustificazione che mi davo era: questo serve alla rivoluzione.Lei, Franceschini, si rende conto di usare la parola rivolutone, che ha unagrande storia ideale, in luogo della parola terrorismo?W‘i non ci siamo mai definiti terroristi. E` un termine che abbiamo Sernprerifiutato, che ci è stato applicato dai mass media. Noi abbiamo Pre creduto difare la rivoluzione, di essere dei rivoluzionari.

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La rivoluzione, disse Lenin che se ne intendeva, puoi incominciarla quando seisicuro di vincerla. Contavate di vincerla o vi bastava, intanto, cominciarla?Ci bastava cominciarla. Credevamo che il cominciarla era già una vittoria, e checon il nostro agire avremmo messo in moto un processo che avrebbe portatocertamente alla vittoria della rivoluzione.Una rivoluzione che non solo non conquista l'immaginazione popolare, ma ne vienerespinta, non è già condannata?Sì, però credo che fino al 1978, fino a prima del sequestro Moro, questo rifiutocosì netto dell'immaginario collettivo rispetto al nostro progetto non ci fosse.Almeno negli anni in cui sono stato fuori, anni che ho vissuto direttamentesulla mia pelle, questo rifiuto così netto non c'era. Anzi, in molti stratipopolari, ci guardavano con un occhio di simpatia. Se non e 'era la complicità,e 'era comunque simpatia.Non si è mai vista una rivoluzione che ha vinto grazie alla simpatia...Certo, e infatti abbiamo perso.Patrizio Peci, come venivano individuati i bersagli, e come prendevate ladecisione di colpirli?C'era una linea dell'organizzazione, una linea politica, che veniva decisanormalmente a livello di fronte. Una direttiva generale: si decideva unacampagna, diciamo sui giornalisti, e la direttiva veniva passata alle colonne.Le colonne facevano già un lavoro di schedatura. Per mezzo delle schede sivedeva qual era la persona politicamente, diciamo, più adatta a quel tipo dicampagna, e si prendevano le decisioni. Però devo dire che molte volte sipensava di voler colpire un determinato giornalista, ma non si avevano i datinecessari per l'azione e se ne colpiva un altro, sul quale avevamo un minimo diinformazioni per raggiungerlo. Quindi non sempre la persona che per noi sarebbestata il bersaglio ottimale veniva colpita.Lei faceva sopralluoghi, disegnava le mappe: si sentiva in ufl certo senso unasorta, mi perdoni, di geometra della morte?

La notte della Repubblica 111Sì, io facevo quello che ha detto lei, però non mi sentivo un geometra dellamorte, ma una persona che quelle cose le faceva in buonafede. Oggi, solo apensare quelle cose, mi vergogno. E mi devo vergognare non tanto per essermipentito, ma per avere fatto quelle cose.Senta, Peci, ammesso che si possano fare graduatorie di questo tipo, c'è unomicidio che le pesa più di altri sulla coscienza? Più degli altri, sì uno,quello di un dirigente della Lancia. Eravamo andati per azzopparlo, ma ilcompagno che doveva sparare sparò tutto il caricatore e quello ebbe un infarto emorì. Mi pesa di più perché subito dopo incontrai un compagno che mi disse:"Guarda, ho visto l'autoambulanza con dei poliziotti dentro e avevano dellefacce incredibili. Penso che l'abbiamo fatta grossa, che ci siano dellecomplicazioni". E allora, in quel momento, mi si è un po' gelato il sangueperché anch 'io avevo visto che e 'era qualcosa che non andava. Cioè...normalmente, quando si colpisce qualcuno alle gambe, il personaggio urla, eanche questo urlava, all'inizio. Però mentre andavo via non urlava più... e in

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macchina a quello che ha sparato ho detto: "Ma non è che per caso l'hai colpitoalla pancia, cioè non hai osservato bene le regole per non colpirlo in organivitali?". Mi ha risposto: "Guarda che sono stato attento". Rimaneva però ilfatto di questo personaggio che non urlava... Ecco, questa cosa qui mi hacolpito...E per quelli che non urlavano, le si gelava il sangue?òSi'... si gelava il sangue... era sempre una vita che moriva, sempre una vitatolta. Le faccio un altro esempio: è capitato che noi dovessimo azzoppare unapersona, l'abbiamo bloccata e - io ne avevo fatte già abbastanza di questeazioni, però era la prima volta che avevamo un contatto diretto - questo mi fa:"Per favore, non mi sparate alle gambe". E lì sono rimasto veramente male, ancheperche' gli altri due che erano con me m' guardavano in faccia perche' in quelmomento dirigevo l'azione, e io "M sono trovato a non sapere che fare. Allora hodetto: " Va', sparagli solo un colpo", e fu tirato solo un colpo. Può sembrareuna cosa cattiva, P&O`, ecco, in quel momento, per il fatto di avere il contattoumano con la vittima, già era cambiato qualcosa. Cioè di solito si sparano 3, 4,5 col-Pl> anche in maniera cattiva, qualche volta. Invece lì, avendo il contattoUrnano, scambiandosi due parole, guardandosi negli occhi, c'è stata que-

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sta... diversità. Può sembrare un niente a chi è al di fuori. Però per me ètanto, specialmente pensandoci ora...Quel contatto umano consentì in quel caso di fare uno "sconto". Ma in genere il"conto" veniva tutto pagato...Lo so, lo so...Franco Bonisoli, quali erano in particolare i ruoli della direzione strategica?La direzione strategica era una specie di assemblea, un comitato centrale delpartito, non so come definirla, dove venivano rappresentate tutte le più grosserealtà.Da quanti uomini era composta?La composizione è variata a seconda degli anni.Dove si riuniva?Si è riunita di volta in volta in case diverse. Al massimo sarà stata compostadi quindici persone, penso all'ultima, la più numerosa.Da chi venivano convocati i partecipanti alla direzione? Venivano convocati dalcomitato esecutivo.Con quali mezzi?/ compagni, le cosiddette forze regolari, cioè i militanti clandestini, avevanooccasione di vedersi durante la settimana. Così veniva fissata una data. Noneravamo in tanti, quindi era abbastanza facile.Ma i contatti tra una città e l'altra?Attraverso il comitato esecutivo e i militanti clandestini.Che cos'era il comitato esecutivo?// comitato esecutivo era l'organo che veniva eletto dalla direzione strategica.Aveva il compito di attuare la linea, il programma definito dalla direzionestrategica.

per quali meriti si avanzava di grado all'interno delle Br, e chi decideva lepromozioni? C'erano proposte, dibattiti, vota-zioni?Questo linguaggio, "avanzare di grado", non era il nostro. C'eranoresponsabilità che venivano definite di volta in volta e assunte dai compamiritenuti, a maggioranza di consensi, i più idonei.

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La gerarchla brigatista, almeno per quel poco che se ne sa, appare molto rigida.Era ugualmente rigoroso il rispetto delle regole che vi eravate dati?In linea di massima sì. Poi, ovviamente, come tutti, eravamo uomini. .. Sullepiccole cose, però... sicuramente eravamo molto più rigidi di altreorganizzazioni. Ci consideravano anche un po' bacchettoni. Per esempio laquestione del denaro: ogni militante aveva il suo stipendio, e basta. Non ci siconcedeva lussi o divertimenti estranei. Solo una vita abbastanza rigorosa.Anche dopo il sequestro dell'armatore Costa, che portò un miliardo e 300 o 400milioni, fu mantenuto lo stesso sistema rigido di rapporto con il denaro, che inquel caso era il denaro pubblico dell'organizzazione.Mi vuole dire qual era lo stipendio mensile di un brigatista?Quando sono stato arrestato io, se non sbaglio, era sulle trecentomila lire.C'erano poi la luce, il gas eccetera, che erano conteggiati a parte.Lo stipendio era uguale per tutti? Uguale per tutti.Con quali mezzi facevate rispettare la disciplina? C'erano casi in cui imilitanti trasgredivano?Sì, piccoli fatti... qualche problema per delle donne, magari, che non potevanoessere presentate! In genere si cercava di parlarne in una discussionecollettiva nell'ambito della struttura dove il fatto era accaduto, e diSpellarsi al senso di responsabilità della persona.Quali punizioni erano previste per chi disubbidiva?

114 Sergio ZavoliNon c'erano punizioni vere e proprie. Certo, se una persona si comportava male,poteva esserci anche l'espulsione. Ma doveva avere commesso fatti checompromettevano la vita dell'organizzazione.Quali precauzioni prendevate?Quella di non rientrare in casa alla sera tardi, di stare attenti a non essereseguiti... Quando si usavano le auto, non essere troppi su una macchina, nonfermarsi troppo agli appuntamenti in un punto fisso, non frequentare certi postidove potevano passare forze dell 'ordine, non frequentare ambienti che potevanoessere soggetti a controlli...Le chiamavate anche allora "forze dell'ordine"?No, le chiamavamo la polizia, i carabinieri, secondo...Moretti, può raccontarci come avveniva il reclutamento dei militanti, qualicaratteristiche doveva avere il neobrigatista, come avveniva nei fatti la sceltadella clandestinità e altre cose del genere?Avveniva nelle fabbriche, nelle università, nei luoghi di lavoro. Era ilmovimento che produceva il brigatista. Non e 'era la scuola di brigatismo, nonc'è mai stata, fortunatamente. In quegli anni esisteva un forte movimento nellefabbriche (io ho lavorato in una fabbrica, alla Sit-Siemens, per più di seianni), un movimento fortemente innovativo che si è trovato di fronte chi hacercato in tutti i modi di sbarrargli la strada. In Italia non ci sono statesolo le Brigate rosse, in quegli anni. Ci sono stati tentativi di colpi di Statofalliti in partenza, o abortiti a mezza strada, o rientrati all'ultimo momento;ci sono stati anche progetti che hanno attraversato tutto l'apparato delloStato, questo è arcinoto, anche i bambini lo sanno: la storia della P2. Più ingenerale, e 'è stato anche un sistema politico bloccato, obsoleto,sclerotizzato, incapace di accogliere le istanze che da questo movimentoprovenivano. E dentro questo contesto, io come o.l~ trì, abbiamo fatto unascelta di lotta armata.Ho capito. Però, date tutte queste premesse, perché a suo avviso molti di voihanno poi riconosciuto che alla base della scelta della lotta armata c'era statauna sorta di colossale abbaglio, un modo quasi allucinato di vedere e di viverela realtà'

115La notte della RepubblicaCioè: pensavate di essere veramente una avanguardia, che la classe operaia fossepronta davvero a seguirvi? E perché, poi, questa rivoluzione è stata indefinitiva senza seguito?

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Penso che se noi siamo stati sconfìtti, questo è avvenuto all'interno,purtroppo, di una sconfitta ben più ampia che riguarda un intero movimento; ilquale, comunque, si è arrestato sulla soglia di una serie di problemi che non èriuscito a sciogliere, e noi soli non eravamo in grado di farlo.La vostra storia è stata scandita da una serie di risoluzioni strategicheconsiderate una specie di binario ideologico, politico, e anche militare, sulquale far passare la vostra operatività, le vostre azioni. C'è ancora un alonedi mistero intorno a questi documenti; come venivano elaborati? I militanti dibase, per esempio, contribuivano all'elaborazione delle diverse risoluzioni onon vi contribuivano affatto? Qual era, insomma, il gruppo dirigente, ilpensatoio, il punto forte nel quale si realizzava la messa a punto ideologica,politica, strategica e militare della vostra azione?Beh, il tipo di ragionamento che si faceva non era tanto cosa dice Marx, ma cosasta succedendo in queste fabbriche, in questi quartieri, nelle piazze, cosa stasuccedendo nei progetti che sta realizzando lo Stato, a quali trasformazionistiamo assistendo, che cosa dobbiamo fare! Questo tipo di elaborazione, che davapoi origine a delle sintesi, avveniva a tutti i livelli. Anche perché in quelmomento, non mi chieda come né perche', partecipavano con un ruolo nonindifferente anche i compagni imprigionati.Poco fa, quando lei parlava del lavoro del "pensatoio" se ne riceveva unasensazione, come posso dire, di severità quasi intellettuale, se non proprio diaccademismo. In realtà, poi, produce un certo effetto il pensare che proprio daquei "pensatoi" discendevano decisioni dure, cruente, drammatiche. Il lavoroPreparatorio degli attentati e degli obiettivi da colpire, per esempio, mi pareche avvenisse all'interno, appunto, di quelle riunioni. Oggi conosciamo moltidettagli su questo tema, ma è ugualmente interessante sapere da lei come idirigenti delle Br

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sceglievano, per esempio, le persone da colpire, e attraverso quali passaggivenivano prese le decisioni.Ci fu un momento, a cavallo del 1973, grosso modo, in cui le Brigate rosseoperarono un primo salto di carattere strategico con l'azione Sossi, ilrapimento del magistrato. Lì noi facciamo una prima scelta, lucidamente. Altrene seguiranno in passaggi successivi, e saranno condivise da tutti i militantidelle Brigate rosse. Non poteva essere altrimenti. Si aderiva alla lineapolitica delle Brigate rosse, nel suo insieme. E` chiaro che un 'organizzazioneclandestina decide le operazioni secondo metodi assolutamente compartimentati,questo fa parte della sua operatività; ma, una volta accettati i presuppostiiniziali, si accettano anche questi, senza nessuna difficoltà.Bonisoli, che cos'era "il cuore dello Stato" per le Brigate rosse?Era una grande astrazione... però con delle cose molto concrete, perché se da unlato si pensava al Sim, questo Stato imperialista delle multinazionali con uncervello unico che poteva controllare e dirigere e muovere tutto - e ciaccorgevamo invece della varietà delle posizioni all'interno di quello Statostesso, spesso anche in contraddizione e conflitto - dall'altro latoindividuavamo poi delle cose concrete, cioè progetti politici e soprattuttopersone, istituzioni.E curioso come lei parli concretamente del Sim quando ormai si è saputo che fuuna specie di metafora. Lo stesso Fran-ceschini ci ha confidato di essere statol'inventore di questa sorta di sigla che doveva in qualche modo suggestionarvi.Non c'è contraddizione?...Si, nel senso che le rivoluzioni, intese come affrancamento totale dell'umanità,hanno bisogno di assoluto e vogliono, come contraltare, un nemico assoluto.

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Non trova che ci sia una piramidale incongruenza tra questa pretesarivoluzionaria e un obiettivo che era costituito soltanto da una invenzione diuno di voi?Di uno di noi, certo. Ma come la storia dimostra, e 'è sempre qualcuno che puòideare il punto di catalizzazione delle idee attorno a determinati progetti.L'esperienza delle Brigate rosse bisogna vederla nel contesto

tìiù ampio delle tensioni politiche, ma soprattutto esistenziali, dei giovani diallora.Zuffada, contro gli errori di questa società avete puntato le arnii e fattofuoco...Sì, era lo scontro di allora. Ma c'è una storia che parte da molto lontano, eanche da alcuni miti: quello della Resistenza, per esempio, un mito forte nonsolo perché era parlato, comunicato, ma era vissuto in rapporti diretti. Ioconoscevo un mucchio di partigiani e li vedevo non solo per ciò che dal 1943 al'45 avevano fatto, ma per ciò che erano in quel momento, persone reali, con iloro problemi, le loro delusioni, le loro esaltazioni, i loro entusiasmi. Quellodella Resistenza era un problema irrisolto, nella sinistra almeno, e lo siavvertiva di continuo. Sono convinto, dal punto di vista storico e politico, cheallora è successo ciò che inevitabilmente doveva succedere: e quanto allefantasie su una possibile rivoluzione dopo il 1945, se non e 'è statasignificava che mancavano le condizioni oggettive. C'era, poi, uno scontrosociale, una grande lotta di massa. Pensi ai contratti operai del 1969, unalotta che era sì contrattuale, ma i contenuti erano completamente al di fuoridel contratto. C'era un grande desiderio, confuso, confusissimo, ditrasformazione di tutta la propria vita. Io lavoravo alla Sit-Siemens, le grandidimostrazioni femministe non le ho viste perché ero in carcere. La primamanifestazione femminista l'ho vista attuata da trecento operaie della Sit-Siemens, che per la prima volta hanno avuto il coraggio e la disponibilità difermarsi dopo l'orario di lavoro anziché correre a casa a spignattare. A questoclima fu data una risposta tremenda: piazza Fontana. I ruoli non potevanoassolutamente essere messi in discussione a livello generale perché arrivavanole bombe. E la bomba di piazza Fontana fu recepita dal movimento sindacale perquella che era: una bomba contro il movimento.Quali erano, Franceschini, le fonti di finanziamento delle Br?Beh, erano essenzialmente quelle che noi chiamavamo gli espropri, cioè k rapinealle banche.Le rapine alle quali partecipò fin dall'inizio erano anche una sceltaideologica, oltre che pratica?

118Sergio ZavoliErano certamente al di là di una necessità pratica. Era soprattutto una sceltaideologica. Infatti, avremmo potuto decidere di procurarci i soldi in tantissimemaniere. Però la scelta di un modo così pericoloso come quello della rapina inbanca, quindi da un punto di vista economico non certamente la scelta migliore,derivava dal fatto che per noi c'era una motivazione politica fondamentale. Noivedevamo nella rapina in banca, che chiamavamo non a caso esproprio, il primopasso concreto di espropriazione di quello che Lenin chiamava il capitalefinanziario, tanto è vero che portavamo via solo i soldi della banca, e non adesempio i soldi dei clienti.Era una specie di metafora...Sì, una metafora che però ci permetteva di darci una giustificazione ideologica.E quali erano i canali per reperire le armi?Erano i più vari: si andava alla ricerca di vecchi depositi della lottapartigiana; un fatto, anche da un punte di vista emotivo, importantissimo.Possedere armi che erano appartenute ai partigiani ci dava un 'idea dicontinuità. A volte erano vecchi catorci, quasi inutilizzabili, però perprocurarceli facevamo un sacco di chilometri in montagna.A qualcun altro potrebbe venire un'idea di contaminazione? In che senso, dicontaminazione?Provi a pensare a un partigiano...

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Mah, probabilmente sì. A un partigiano può venire anche l'idea che qualcuno loespropria di qualcosa che gli è appartenuto.E come venivano scelti i covi?Con un presupposto che era per noi fondamentale: che non avessero li portinerìa,che quindi non ci fosse una forma di controllo che noi chiamavamo controllosociale, cioè operato dalla gente. Poi, privilegiavamo case moderne in zonenuove, residenziali, dove non e 'era vita di quartiere, dove la gente siconosceva poco, non e 'erano rapporti tra inquilini di una casa, non e 'erastoria in quella casa. Questo ci permetteva dì nascondere*

La notte della Repubblica 119meglio, di non essere conosciuti, di non dover dare giustificazioni. L'a-spettofondamentale era questo: trovare luoghi, appartamenti, che fossero il piùpossibile impersonali.Quali furono i vostri rapporti con Giangiacomo Feltrinelli?Furono rapporti per certi aspetti molto importanti. Feltrinelli aveva un'ipotesi politica molto legata alla Resistenza partigiana, che noi criticavamocome ipotesi difensiva. Secondo lui la lotta armata doveva nascere come rispostaa un golpe di destra o al pericolo di un golpe di destra. Per noi questo non eral'aspetto principale; noi non abbiamo mai creduto alla possibilità di un golpedi destra, in Italia. Secondo noi i golpe erano semplicemente delle messinscene,attuate da centrali politiche istituzionali all'interno dello Stato, per portareavanti un processo di ristrutturazione dello Stato in termini autoritari.Una domanda che le sembrerà mediocre: ebbe qualche peso, in quel rapporto conFeltrinelli, la sua disponibilità economica?No, anzi rifiutammo sempre le sue offerte economiche. Le rifiutammo perché pernoi era fondamentale mantenere una nostra indipendenza e una nostra autonomia, acominciare dal denaro.Che ricordo ha degli incontri tra voi brigatisti alle prime armi e Toni Negri?Ricordi di lunghissime discussioni in cui trovavamo pochissimi punti di accordo;anzi, quasi nessuno.Parliamo dei contatti con le altre organizzazioni terroristi-che, alle qualieravate collegati. Con quale scopo? Lei, per esempio, ha parlato di contatti conl'Età dei Baschi, la tedesca Raf, elementi francesi, elementi non di verticedell'Olp. Peci, che ne pensa?Contatti con la Raf, soprattutto. C'erano anche altri contatti appena presi, cheet consentivano lo scambio di armi. C'erano problemi però, come quelloabbastanza importante, data la diversità di lingue, di riuscire a capirsi.Perciò questi contatti andavano molto, molto a rilento.

120 Sergio ZavoìiChi si occupava di questa, per così dire, politica estera delle Br?Normalmente era uno dell'esecutivo, in particolare Moretti.Moretti, di che natura erano questi contatti e che cosa in concreto producevano?Si dice che vi furono, e si crede che dettero risultati...Per quanto è di mia conoscenza, e per quanto riguarda le mie responsabilità, inquesti anni i rapporti delle Brigate rosse con qualunque altra organizzazioneanche internazionale furono soprattutto di carattere politico e non furono mai -capisco dove vuole arrivare - non furono mai di carattere operativo. Mai, innessun caso.Che senso avevano i vostri rapporti con organizzazioni israeliane?Nessuno. Non ho mai visto un israeliano in vita mia.I contatti con l'Est?Non ne abbiamo mai avuti. "';,.^. E le scuole in Cecoslovacchia?Pura fantasia. Non c'è mai stato niente che gli potesse neppure assomigliare.Siamo stati un fenomeno tutto italiano, che ha vissuto ed è sopravvissuto fino ache in Italia sono esistite le condizioni di movimento che l'hanno giustificatoe l'hanno sonetto. Di questo ho l'assoluta certezza.Una domanda semplice e, mi rendo conto, complessa al tempo stesso. Quale Statoimmaginavate per questo Paese? Con quale costituzione, con quale assettoeconomico e sociale? Lei, per esempio, si è mai immaginato vincente e quindi inqualche modo al potere? Per usarlo come, ispirandosi a quali modelli?

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Francamente, i nostri riferimenti ideologici sono sempre stati quelli di tutti icomunisti: la rivoluzione di Ottobre, la rivoluzione culturale cinese, questogrande processo mondiale che fra alti e bassi, fra crisi e svolte,

121La notte della Repubblicaiene distrutto e poi risorge. Riferimenti vissuti e reinterpretati spesso conmolto ingenuità, ma in relazione a movimenti reali che in quel momento t;andavano sviluppando. In realtà noi non ci siamo mai posti dei grandi discriminidi carattere ideologico se non questo, che non è poi poco: di appartenere a quelmondo della trasformazione che in modo reale incideva sulla realtà italiana.Uno dei punti più deboli, forse determinante, della vostra debolezza teorica, mipare fosse quello di credere che avreste potuto coinvolgere il Paese; la pretesadi avere combattuto una guerra civile è, vorrà convenire, un falso oggettivo,non ideologico. Perché tuttavia perdura? E` il frutto di una necessitàpsicologica o rappresenta solo la continuazione di un errore? Franceschini.Credo innanzitutto che sia il frutto di una necessità psicologica e lo siaadesso più che mai. La scelta della lotta armata è una scelta, dal punto divista individuale, così forte che presuppone motivazioni altrettanto forti, e lamotivazione più forte è quella che possa esistere o esista una guerra civile, euna massa in azione. Infatti, una delle nostre preoccupazioni più grosse eraanalizzare qualunque movimento, qualunque piccola lotta per trovare unagiustificazione alla nostra esistenza. Si ha proprio il bisogno di pensare, dicredere che ci sia della gente, una massa che ti viene dietro, che ti segue.Quanto pesò su di lei l'influenza di Renato Curcio e di Margherita Cagol?Ha pesato tantissimo. Non solo da un punto di vista intellettuale-poli-hco, maanche da un punto di vista umano.Lei afferma, ed è logico che sia così, di essere rimasto profondamente segnato,persine formato dalla morte di Margherita Cagol. Mara, come voi la chiamavate, èper voi una sorta di Protomartire. Mara fu uccisa in un conflitto a fuocoiniziato da 'ei stessa e prima di essere finita per un eccesso di ritorsione,senz'altro condannabile, aveva sparato contro un appuntato ^ei carabinieri chegiaceva a terra colpito, uccidendolo. Non

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era dunque, più che un'innocente da vendicare, una guerri-gliera da onorare?Io credo che per quanto riguarda noi compagni la vicenda di Marafu semprevissuta non come quella di una vittima, ma di una compagna che aveva combattutoed era morta combattendo.Non le sembra che il destino di Mara Cagol sia stato molto diverso da quello dicoloro - e sono tanti - che sono rimasti uccisi inermi, e a tradimento, daibrigatisti?Mah, a volte fare la lotta armata, fare il brigatista, non è semplicementeindice di coraggio, può essere anche indice di vigliaccheria. Tanto è vero chequando io mi sono sentito un terrorista ho abbandonato la lotta armata.Quando comincia a sentirsi un terrorista?Quando comincio a rendermi conto che le azioni armate che noi facciamo non hannonessun riscontro sociale. Che sono azioni le quali, se prima avevano un minimodi riferimento rispetto alle lotte e alle contraddizioni sociali, hanno perdutocompletamente questo riferimento.Secondo lei, il terrorismo avrebbe potuto avere un'altra storia? O era nelle suepremesse che fallisse?

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Io credo che il fallimento del terrorismo come fenomeno di rivoluzione socialeera certamente già nelle premesse.E allora, i soprassalti del terrorismo appartengono alla sua stessa logica orappresentano qualcosa che gli è ormai estraneo?Questo è un problema estremamente difficile, su cui occorre fare una riflessionemolto profonda. C'è una affermazione che è stata ripetuta ptu volte in questiultimi anni e che, mi sembra, rischia di essere molto banale, per esempio difronte all'ultimo episodio, l'omicidio del senatore Ruf' filli: l'affermazioneche il terrorismo è stato politicamente sconfitto. l‘ credo, invece, che ilterrorismo sia stato socialmente sconfitto e questo t un fatto certamente difondamentale importanza; però, proprio perche *

siato socialmente sconfitto può essere politicamente utilizzato con maggiorlibertà dì prima.Sembrava che la rivoluzione fosse a portata di mano, che il mondo intero stesseper esplodere. Le manifestazioni di quegli anni consentivano l'incontro dirivoluzionari di tutti i continenti, e in questa ottica l'Italia potevadiventare Cuba, la grande fabbrica, la Sierra Maestra, e lo Stato potevaessere'abbattuto con la violenza. "Saremo il detonatore di una granderivoluzione", avevano sostenuto le Br. E` la premessa degli "anni di piombo". Inessa è già scontato il prezzo di un tragico inganno.

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VILA MINACCIA DA DESTRA: GOLPE E GOLPISTI"TORA`-TORA`!"", "BOIA CHI MOLLA!", "ROSA DEI VENTI,:QUELL'AUTOBOMBA A PETEANOCampionati mondiali di calcio del 1970. Telecronaca dell'incontro Italia-Germania per l'ingresso in finale:Boninsegna ha saltato giusto... passaggio... Rivera... rete! Rivera! 4 a 3! 4 a3... gol di Rivera! Che meravigliosa partita... ascoltatori italiani! Nonringrazieremo mai abbastanza i nostri giocatori per queste emozioni che cioffrono. Guardate Rivera... la finta che sbilancia Maier. 4 a 3 per l'Italia...ha segnato Rivera! Siamo al sesto minuto...Mentre l'"Italia del pallone" gioiva per l'impresa della nazionale, leistituzioni repubblicane subivano attacchi violenti. L'estremismo nero,attraverso un carosello di nomi e di sigle -Mar, Rosa dei Venti, Ordine nuovo -tentava di sovvertire l'ordine democratico, prima diffondendo il terrore con unaserie di attentati e poi addirittura organizzando un colpo di Stato che, unavolta fallito, passerà alla storia come il "golpe Borghese".La violenza politica che l'Italia democratica deve affrontare a partire daglianni Settanta, in talune frange estremiste di entrambe le parti, ha due punti diriferimento, seppure non sempre facilmente identificabili: nel lascitopsicologico, culturale e politico del fascismo repubblicano di Salò da un lato,e della Resistenza dall'altro.In ambedue i casi, l'irriducibilità di queste minoranze muove da un presuppostomitico: l'onore della patria travolto dal cosiddetto tradimento badogliano - dacui è uscito sconfessato il "Patto d'acciaio" con gli alleati tedeschi enipponici - e gli ideali della Resistenza esclusi dal cosiddetto compromesso de-

La notte delta Repubblica125uiocratico e parlamentare, in base al quale si sarebbe venuti a pattiaddirittura con la destra neofascista, rappresentata dal fyfovimento socialeitaliano.Al crollo della Repubblica di Salò erano sopravvissuti individui, gruppi,mentalità e propositi in gran parte espressi dal ceto piccolo-borghese, conqualche frangia socialmente alta non di rado collegata alle leve del potere, chesi sarebbero riaggregati negli anni. Un florilegio emblematico in questo senso:CORTE D'APPELLO DI NAPOLI, 16 APRILE 1957: Non può ravvisarsi esaltazione insenso tecnico giuridico in ogni semplice e banale inneggiamento espresso in

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forme elementari, ad esempio manifesti affissi con le scritte "Viva la Nembo","Viva la Folgore", "Viva la Monte-rosa", "Viva la X Mas", "Mussolini presente".TRIBUNALE DI ROMA, 15 OTTOBRE 1957: Non costituisce manifestazione fascista ilfatto di fare l'appello fascista, il saluto romano e di cantare in coro lapreghiera del Legionario in occasione di un rito funebre.TRIBUNALE DI ROMA, 28 APRILE 1958: Non è reato il lancio di manifestiniinneggiami al fascismo e alla Repubblica sociale.TRIBUNALE DI CALTAGIRONE, 13 DICEMBRE 1961: II canto dell'inno Giovinezza noncostituisce manifestazione usuale del disciolto Partito fascista non essendotale canzone specifica e tipizzatrice dell'attività fascista, bensì comune adaltre ideologie ed altri ambienti politici.Ma alla lontana e generica matrice fascista si aggiungeranno rapidamente altrimiti, quelli dell'arianesimo e del nazionalsocialismo hitleriano o addiritturaquelli della ritualità celtica come espressione di una Europa forte, pura, esuperiore, da contraporre all'Est comunista e al capitalismo occidentale,soprattutto americano.Proprio una Europa vista come terza potenza mondiale, ma vissuta come rivincitasulla guerra perduta dal nazifascismo, darà il nome Terza posizione ad una dellepiù importanti organizzazioni dell'eversione nera che sarà poi il serbatoio direclutamento dei gruppi di fuoco dei Nar.Prevalentemente di segno operaio e studentesco, con diffuso reclutamentonell'emarginazione, è invece lo spazio sociale dei-eversione rossa; essa siradicalizzerà con il crescere di quella "era fino a riempire la scena intornoalla metà degli anni Settanta, quando, mentre ai neri resterà il primato di unaviolenza

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mai rivendicata, che colpisce alla cieca, indifferente a tutto fuorché almassacro che provoca e alle reazioni che suscita, j rossi daranno vita a unterrorismo sistematico, mirato, e tut-t'altro che anonimo.In mezzo a questi due estremismi c'è la moltitudine dei cittadini che credononella democrazia, che vogliono costruire una società moderna, che si impegnanoperché le istituzioni corrispondano al dettato della Carta costituzionale natadalla volontà popolare. In questo scenario, attraversato da tensioni in positivoe in negativo, c'è anche chi è persuaso che la democrazia non sappia difendersidagli estremismi di destra e di sinistra. Questa inquietudine introducesuggestioni e incoraggia a progetti di vario segno.30 maggio 1970. A Biumo di Varese si riuniscono una trentina di ex partigianiautonomi, come erano chiamati durante la Resistenza coloro che combattevanonazisti e fascisti in aggregazioni diverse, soprattutto, da quelle cosiddetterosse. La riunione è indetta da Edgardo Sogno, famoso comandante liberale dellaFranchi, la formazione al cui ricordo si legano alcuni dei celebri annuncicifrati di Radio Londra: "I portici sono lunghi", "la primavera è giunta".EDOARDO SOGNO, 55 anni, nato a Biella da famiglia aristocratica, ufficiale delNizza Cavalleria. Dopo F8 settembre si unisce ai parti-giani e collaboraattivamente con i servizi segreti alleati. Tenta una rocambolesca evasione diFerruccio Farri dalla sede milanese della Gestapo. Libera il maggiore esponentepolitico del movimento cattolico del Nord, Piero Mentasti, catturato dalleBrigate nere e scambia undici prigionieri con la figlia del console generale diGermania a Torino. Medaglia d'oro della Resistenza, fervente monarchico,all'indomani del referendum è tra i firmatari di un ricorso alla Cassazione pertentare di sospendere la proclamazione della Repubblica. Deputato liberale allaCostituente, entra in diplomazia e sarà ambasciatore in Birmania. Tornerà inItalia, come ricorda egli stesso, in obbedienza a un dovere morale. Da vita a un

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movimento anticomunista che auspica la trasformazione del Paese i" unaRepubblica presidenziale. Il progetto ha tra i suoi obiettivi quello diristabilire - così è scritto nel programma - i valori di una democraziaoccidentale e nazionale. Nel 1972, a Torino, ha iniz'‘ un'istruttoria su Sogno ei suoi seguaci. Il procedimento si chiude'

rà a Roma con la caduta di ogni addebito e il proscioglimento di tutti gliimputati perché il fatto non sussiste.14 luglio 1970. Esplode a Reggio Calabria una violenta rivolta popolare. Ainnescarla è la scelta di Catanzaro a sede dell'Assemblea regionale, ma i motihanno radici in mali antichi e in nuove vistose contraddizioni: ladisoccupazione, la precarietà, l'esodo verso il maggior benessere del Nordindustrializzato.La destra, all'inizio, chiama gli scioperanti teppisti e cialtroni, ma quando ilcomitato di azione locale finisce sotto il controllo del segretario provincialedella Cisnal, Francesco Franco detto Ciccio, si schiera con la sollevazione.Nasce lo slogan "Boia chi molla". Ordine nuovo attribuisce a Reggio un ruolopressoché storico: "è la nostra rivolta - dice - è il primo passo dellarivoluzione nazionale in cui si brucia questa oscena democrazia".Il 22 lugjio una traversina divelta della ferrovia provoca il deragliamentodella Freccia del Sud a Gioia Tauro, causando la morte di sei passeggeri e ilferimento di altri cinquanta. La calma torna a Reggio con molte difficoltàalcuni mesi più tardi. Il processo a carico dell'animatore della rivolta,diventato nel frattempo senatore missino, e dei suoi seguaci, si terrà nel 1975.Franco, ritenuto colpevole di istigazione a delinquere, apologià di reato ediffamazione a mezzo stampa, verrà condannato a un anno e quattro mesi direclusione.Nell'ottobre del 1972, a due anni dai fatti di Reggio, su uno dei treni pieni dioperai e di sindacalisti diretti nel capoluogo calabrese per la Conferenza delMezzogiorno, esploderà una bomba: cinque i feriti. Due ordigni scoppierannosulle rotaie in vicinanza di Lamezia Terme. Altre bombe inesplose verrannorinvenute lungo la stessa linea ferroviaria.Pierre Camiti, in un affollatissimo comizio, dice:Quel treno che portava via gli emigranti... non volevano consentire che tornasseper farli partecipare a questa grande manifestazione. Sia-mo in presenza, amicie compagni, e non la sottovalutiamo affatto, siamo in presenza di unacriminalità organizzata, che è anche indicala, però, del suo isolamento. Sitratta di gente disperata, perché ha capito che l'iniziativa di lotta deilavoratori, di questa stessa manifestazione sindacale, rappresenta un colpodurissimo. Ecco perché rea-

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giscono con rabbia, reagiscono con disperazione. E oggi, come cin-quant'anni fa,questa reazione conferma che il fascismo con il manganello e il tritolo è alservizio dei padroni e degli agrari contro i lavoratori e contro ilproletariato.Ma dunque, compagni, debbono sapere che non siamo nel 22 e che la classeoperaia, le masse popolari, le forze politiche democratiche hanno la forza ed imezzi per difendere le istituzioni democratiche dall'attacco e dall'aggressionefascista. E ciascuno farà la sua parte in questa direzione. Oggi non sono calatia Reggio, amici e compagni di Reggio, i barbari del Nord, ma con gli impiegati econ gli operai del Nord sono tornati a Reggio i meridionali!Bruno Trentin:

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Io comprendo benissimo le bombe contro i treni, a Reggio, in quanto ReggioCalabria ha significato un momento di svolta: non solo per quella grandemanifestazione sindacale, ma perché da lì è partito anche un impegno diverso delmondo sindacale rispetto alle masse di lavoratori e anche alle masse didisoccupati del Mezzogiorno. I fascisti hanno colto giustamente, secondo me, ilpericolo che si profilava.Roma, 7 dicembre 1970. Al calare della sera comincia la notte di Torà-Torà, cosìchiamata in ricordo dell'attacco a sorpresa condotto dai giapponesi a PearlHarbor il 7 dicembre del 1941. L'operazione è guidata dal principe Junio ValerioBorghese, ex capo della X Mas al tempo della Repubblica di Salò.JUNIO VALERIO BORGHESE, 64 anni, romano, soprannominato il Principe nero, conaperte simpatie nei confronti della estrema destra. E` un personaggio di vastanotorietà, soprattutto negli ambienti militari. Decorato di medaglia d'oro perle famose operazioni condotte a bordo del suo sommergibile contro navibritanniche alla fonda nel porto di Alessandria d'Egitto. Alla fine della guerraviene condannato a dodici anni di carcere per le repressioni anti-partigianeeffettuate dalla X Mas. Nel 1952 aderisce al Movimento sociale italiano di cuidiventa presidente, ma ne esce subito dopo, ritenendo quel partito - così siesprime - troppo invischiato nel parlamentarismo. Nel 1968 fonderà il Frontenazionale, ottenendo l'appoggio di ambienti politici, economici e militarivicini all'estrema destra. Borghese ha già pronto il proclama da leggere subitodopo la vittoria."Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato, haavuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato e haportato l'Italia sull'orlo dello sfacelo

economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivibollettini, vi verranno indicati i provvedimenti più immediati e idonei afronteggiare gli attuali squilibri della nazione. Le Forze armate, le Forzedell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della Nazione sono connoi, mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari piùpericolosi, quelli per intenderci che volevano asservire la Patria allostraniero, sono stati resi inoffensivi. Soldati di terra, di mare e dell'aria,Forze dell'ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimentodell'ordine interno. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore,vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia, Italia! Vival'Italia!"Gli obiettivi della notte di Torà-Torà sono i ministeri della Difesa edell'Interno, la Rai, le centrali telefoniche e telegrafiche. Sotto la guida delFronte nazionale collaborano all'operazione elementi di Ordine nuovo, diAvanguardia nazionale e di Europa civiltà. Il rapporto finale della Commissioneparlamentare d'inchiesta sulla P2 affaccia l'ipotesi di un coinvolgimento, nelprogetto, di Licio Celli e della sua Loggia.La sera del 7 dicembre Roma è flagellata dalla pioggia. Borghese impartisce gliordini dalla sede del Fronte nazionale, in via Sant'Angela Merici; nel comandooperativo, a Monte Sacro, sono già pronti i bracciali per gli uomini, e icontrassegni per le auto, da usare subito dopo il successo del colpo di mano.Un altro gruppo è in attesa di ordini nella palestra dell'Associazioneparacadutisti d'Italia, al comando dell'ex tenente paracadutista SandroSaccucci, eletto più tardi deputato del Movimento sociale, ma poi espulso dalpartito per avere organizzato nel 1976 il raid di Sezze Romano nel corso delquale morirà un giovane comunista.L'operazione scatta alle 20,30, quando un commando, con l'aiuto di un complice,si introduce nell'armeria del Viminale lrnpossessandosi di duecento mitra dadistribuire ai rivoltosi in attesa nei vari punti di raccolta. Nel frattempo,una colonna di 14 automezzi provenienti da Cittaducale, con a bordo 197 Suardieforestali guidate dal colonnello Luciano Berti, arriva a P‘che centinaia dimetri dal centro di produzione Tv in via *eulada. Poi, d'improvviso, ilcontrordine. Le armi, salvo una

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mitraglietta, restano al Viminale, la Forestale fa dietro-front e jparacadutisti rientrano in palestra, dove Saccucci, infuriato definisce i capidel complotto "una manica di buffoni". Un giornalista domanderà all'ammiraglioGino Birindelli:Perché quel contrordine?Birindelli: Ma i golpe sono una cosa seria! Sono una cosa seria e se si fannonon si fermano perché comincia a piovere! Mi si viene a raccontare che siccomec'era la pioggia le forze armate si ritirarono. Ma chi può credere a una cosa diquesto genere? Siccome io ho avuto l'occasione di conoscere l'allora comandanteBorghese, perché siamo stati in Accademia insieme per tre anni e comandava ilsommergibile che mi portò a Gibilterra per la mia azione con i mezzi d'assalto,posso avere le mie opinioni su certe sue concezioni, ma una persona come lui,per come me lo ricordavo, che ferma una cosa di questo genere perché piove...francamente... Il golpe Borghese, per me, è stata una ingenuità di alcuni,un'esaltazione di altri, una montatura di altri ancora.Giornalista: Ma secondo lei chi li fermò?Birindelli: ...la pioggia!I motivi furono ovviamente più seri e di ordine politico, sebbene destinati arimanere oscuri. Tra le ipotesi anche quella che si volesse strumentalizzarel'operazione dell'oltranzista Borghese per determinare una situazione di taleemergenza da rendere auspicabile la formazione di un vero e duraturo "governoforte".Claudio Vitalone, all'epoca sostituto procuratore della Repubblica:Non fu confermata in primo grado l'ipotesi che la procura aveva avanzato, e cheio ritenevo fondamentalmente motivata da una serie di acquisizioni: quelladell'insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Vi era un dibattitodottrinario aperto; io ritenni che l'azione golpista fosse finalizzata a crearele condizioni per un intervento di tipo autoritario.Su questa tesi ci fu una elaborazione molto ampia nel corso del dibattimento. LaCorte d'assise opinò diversamente; credo che sia g'u' sto riconoscere, damagistrato, che la decisione della Corte d'assise fu sicuramente migliore delladecisione accusatoria. Ma credo che quel processo servì a segnalare l'esigenzadi una serie di correzioni che rt" guardavano il funzionamento dei servizi disicurezza e l'opportuni3 di allestire delle risposte ordinamentali molto piùefficaci e dissuasive-

Forse, se non vi fossero stati quei ritardi che noi abbiamo deplorato con moltovigore, probabilmente avremmo potuto risparmiare al Paese molte altre amarezzecollegate alla stagione dello stragismo.Valerio Borghese espatriato per evitare l'arresto, rivendicherà in unaintervista alla televisione svizzera nel 1971, il suo progetto mancato:Oggi combatto contro degli italiani, oggi parlo contro degli italiani quando ledico che i nostri nemici più pericolosi in Italia sono i comunisti, quindi degliitaliani, e non mi disturba affatto dirle che sono nemici e se potessimosterminarli sarei molto contento perché libereremmo il nostro Paese da nemiciche vivono insieme a noi e che costituiscono un eterno pericolo.A un certo momento bisogna scegliere e impegnarsi. Vuoi dire occupare il proprioposto di combattimento; e combattere significa lottare, e lottare anche finoalla morte. Naturalmente la cosa è diversa se non si vuoi combattere. Io nonsono un filosofo, non sono un metafisico, sono un uomo d'azione, un uomo dicombattimento. Occupo il mio posto di combattimento da cinquant'anni econtinuerò sulla stessa strada.Oggi combatto con il Fronte nazionale, occupo un posto di combattimento allatesta di questo movimento, di questa associazione di italiani che hanno unaconsegna di lotta molto chiara. Sono contro il caos, contro il disordine, control'antinazione e contro il comunismo.

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Il 31 ottobre del 1974, il generale Vito Miceli, mentre è inquisito a Roma perfavoreggiamento nei fatti dell'operazione Torà-Torà - in Corte d'assise saràassolto perché il fatto non sussiste - viene arrestato per ordine del giudicepadovano Giovanni Tamburino. L'imputazione è di avere promosso una strutturaeversiva denominata la Rosa dei Venti, ma l'accusa cadrà nel corso deldibattimento.VITO MICELI, 58 anni, trapanese, militare di carriera, partecipa alla campagnadi Etiopia nel Corpo dei bersaglieri. Promosso sul campo, gli viene conferita lamedaglia d'argento. Dopo aver frequentato la Scuola di alta strategia dellaNato, passa allo Stato maggiore dell'esercito. Nel 1970 viene nominato capo delSid, Servizio informazioni difesa, in sostituzione dell'ammiraglio Henke. Duemesi più tardi avrà luogo il tentativo di golpe di Valerio Borghese.Del tentativo di Borghese l'Italia non sa nulla. L'ordine, mai scritto, è di nonparlarne; comunque, di minimizzare. La mattina dell'8 dicembre, festadell'Immacolata - perciò

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l'operazione Torà-Torà si chiamerà anche "La notte della Madonna" - governo epoteri dello Stato si comportano come se nulla fosse avvenuto.Milano, 11 marzo 1971. Dopo i "Boia chi molla" di Reggio Calabria e la notte diTorà-Torà del principe Borghese, si fa largo la "maggioranza silenziosa". Ne èanimatore l'avvocato milanese Adamo Degli Occhi, monarchico ed ex partigiano.L'esordio era già avvenuto a Torino, quattro giorni prima, con unamanifestazione in piazza Castello indetta per difendere, così affermano ipromotori, "la presenza dell'Italia che lavora, produce, paga, forma lamaggioranza silenziosa degli italiani che vogliono ordine nella libertà e nelprogresso sociale, e libertà di progresso nell'ordine". La manifestazione, cheaveva avuto un modesto successo, si era conclusa con una grande zuffa.L'avvocato Degli Occhi riprova a Milano, e i risultati sono migliori. Il corteo,partito dai Bastioni di Porta Venezia con circa trecento partecipanti, si gonfiaper strada fino a raccogliere alcune migliaia di persone. Adamo Degli Occhimarcia davanti a tutti, avvolto nel tricolore.La dimostrazione si conclude a piazza del Duomo, dirà lui stesso, in un tripudiodi canti patriottici e di bandiere.Massimo De Carolis, uno dei leader della "maggioranza silenziosa":Nel marzo del 1971 ci fu una manifestazione di quella che in quel momento non sichiamava ancora "maggioranza silenziosa". I fascisti furono sostanzialmenteassenti, cioè tentarono marginalmente di inserirsi; fu una manifestazionespontanea, di base, espressione di una opinione pubblica certamente moderata,conservatrice.A organizzarla fu un gruppo di persone costituite in un comitato cittadinoanticomunista, nessuna delle quali era iscritta al Movimento sociale italiano.Uno dei membri era addirittura un dirigente della Democrazia cristiana, c'eranodei liberali. Fu, indubbiamente, una manifestazione di base e di massa. Credoche le polemiche che suscitò fossero dovute proprio a questo fatto: la sinistra,a Milano e in Italia, si accorse per la prima volta che c'era un consenso dimassa a tesi non schierate sulla sinistra.Guarda alla "maggioranza silenziosa" il Movimento di azione rivoluzionaria, Mar,fondato da Carlo Fumagalli.

PARLO FUMAGALLI, originario di Como, milanese di adozione, partecipa allaResistenza adottando il nome di Jordan. Ha precedenti penali per bancarotta euna serie di truffe. Con l'obiettivo di combattere il sistema dall'esterno,fonda il Movimento di azione rivoluzionaria, Mar, di ambigua matrice politica.

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Nel 1970 l'organizzazione mette in atto in Valtellina una serie di attentati eFumagalli finisce davanti ai giudici, ma il processo si concluderà nel 1972 conuna assoluzione. Il Mar non agisce da solo; si inquadra nel più ampio progettoeversivo della Rosa dei Venti. Fra i suoi organizzatori e i suoi capi, spicca lasingolare figura di un tenente colonnello: Amos Spiazzi.AMOS SPIAZZI, triestino, è un militare di carriera. Ha prestato servizio in AltoAdige agli inizi degli anni Sessanta in uno dei periodi più caldi del terrorismosudtirolese. Ufficiale, fiduciario dei Servizi segreti, Spiazzi partecipa algolpe Borghese come responsabile della cosiddetta "esigenza triangolo", un pianobasato sull'intervento nella zona milanese di Sesto San Giovanni di alcunireparti segreti composti da militari di sicura fede anticomunista.La Rosa dei Venti è una struttura eversiva alla quale fanno capo ufficiali inpensione e in servizio attivo, estremisti di destra e qualche imprenditore chela finanzia. Non è affatto, come qualcuno minimizza, un'organizzazionefatiscente e velleitaria. Secondo la magistratura, si è addirittura infiltratanegli ambienti militari della Nato.In uno dei suoi primi volantini si afferma testualmente: "L'obiettivo èabbattere gli sbruffoni politici, sindacali e governativi e tutti coloro checooperano a sostegno dei camaleonti di questa putrida democrazia".Il colonnello Spiazzi sarà tratto in arresto il 13 gennaio del 1974 su mandatodel giudice Giovanni Tamburino con l'accusa di associazione sovversiva. Verràcondannato a cinque anni di carcere e assolto in appello.Giovanni Tamburino:II 1974 è un anno di svolta, cioè rappresenta il punto in cui si ha "orsel'esplosione massima della presenza del terrorismo eversivo di Strema destra einizia invece a decollare in modo quasi irresistibile il err‘rismo delle Brigaterosse. Ora, questa variazione, questa svolta era stata profetizzata da esponentimolto autorevoli dei Servizi segreti

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e, inoltre, si ritrova in uno degli ultimi numeri della rivista "OP" <JiPecorelli, dove si legge, appunto, che sarebbe cambiata la strategia e che daallora in poi vi sarebbe stato un appoggio all'altro versante per così dire, delterrorismo.Carlo Fumagalli è arrestato pochi mesi più tardi, il 9 maggio 1974, per ordinedel giudice bresciano Giovanni Arcai con l'accusa di cospirazione politica amezzo associazione. Riceverà questa volta una condanna a vent'anni e quattromesi di carcere. L'avvocato Adamo Degli Occhi, leader della "maggioranzasilenziosa", è tratto in arresto il 19 luglio del 1974 nel quadro della stessainchiesta. Gli vengono comminati cinque anni e sei mesi.L'Italia conosce non poche iniziative "più o meno volte a costituire baluardi difronte al pericolo rosso", come si legge in un documento dell'epoca.Si saprà in seguito che un protocollo segreto impegnava l'Italia e altri Paesidel blocco occidentale a organizzare formazioni militari e paramilitariclandestine con il compito di resistere a eventuali tentativi d'invasione diforze dell'Est e a possibili sovversioni interne. (NdR: sarà l'operazione "StayBehind", il cui nome di copertura, in Italia, è "Gladio".)Peteano di Sagrado, poco lontano da Gorizia, notte del 31 maggio 1972. Icarabinieri hanno ricevuto e registrato questa telefonata anonima:Pronto? Senta, vorrei dirle che c'è una macchina con due buchi sul parabrezzanella strada da Poggio Terza Armata a Savogna... la xe una 500...Sul posto accorrono i militi. C'è un'auto abbandonata, una Fiat 500 bianca: èuna trappola. Imbottita di esplosivo, la macchina salta in aria. Tre carabinierimuoiono dilaniati, un quarto resta mutilato.

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Renato Tagliari, allora sottotenente dei carabinieri:Io mi trovavo sulla parte sinistra della 500, all'altezza della portierasinistra. Gli altri tre militari, un brigadiere e due carabinieri, stavano a unmetro da me, però sul davanti della macchina. Avvenne l'espl‘'

sione: ci fu un bagliore accecante, un boato enorme. Mi sono sentito volare peraria. Ricordo nettamente che ebbi l'impressione di trovarmi attaccato a qualcosache stava bruciando. Mi dissero poi che era la 500, che si era incendiata. Ioero ricaduto proprio vicino alla 500.Con i gomiti ho cercato di portarmi il più lontano possibile. Poi ricordo chevidi sopra di me una faccia e una camicia bianca. Mi dissero in seguito che miriconobbero perché sulle spalline c'era ancora la stelletta da sottotenente.L'inchiesta appare fin dall'inizio viziata da depistaggi e inquinamenti. Sisegue dapprima un'inconsistente pista rossa, poi ci si indirizza verso un gruppodi sei persone, alcune delle quali appartenenti alla piccola malavita locale,che verranno tutte arrestate. Assolte dapprima con formula dubitativa, dovrannoattendere sei anni prima che, nel 1979, venga riconosciuta la loro totaleestraneità. Si aprirà a quel punto un'inchiesta a carico di ufficiali deicarabinieri e di magistrati. L'accusa è di aver deviato le indagini.L'istruttoria sulla strage, nel frattempo, si era indirizzata verso gli ambientineofascisti.1982: Vincenzo Vinciguerra, appartenente a Ordine nuovo, confessa di esserestato l'organizzatore della strage. Così, fra tutti gli attentati avvenuti inItalia, quello di Peteano è l'unico ad avere una paternità certa per confessionedell'autore stesso. Vinciguerra, che rifiuterà di fare i nomi dei compiici, siattribuisce ogni colpa e dichiara che le protezioni dello Stato nei suoiriguardi sono scattate autonomamente. Quanto alle vittime, dirà:I carabinieri, i poliziotti sono dei militari che accettano volontariamente diimpugnare le armi per difendere lo Stato, che volontariamente uccidono in difesadello Stato e quindi devono accettare la possibilità di morire in difesa delloStato.Nel luglio dell'87 Vinciguerra sarà condannato all'ergastolo dalla Corted'assise di Venezia, insieme con un suo complice, Carlo Cicuttini, tuttoralatitante, pare in Sudamerica. La sentenza della Corte d'assise di Venezia siconcluderà con parole Purissime, il cui significato illumina lo scenario in cuigli avvenimenti erano maturati:Quanto sostenuto da Vincenzo Vinciguerra in tema di strategiaella tensione, e del ruolo svolto da determinati apparati dello Stato, ècfle fin dal dopoguerra sarebbe stata costituita una struttura parallela

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ai servizi di sicurezza. Vinciguerra è credibile quando postula che tutto questoavveniva non tanto perché chi agiva in tal modo fosse fascista, ma perché sempresi intendeva agire in funzione essenzialmente anticomunista e con la volontà diconsolidare l'attuale sistema su basi politiche di chiusura verso possibiliaperture a sinistra. Di qui quelle collusioni tra le forze di destra e apparatidello Stato che sole spiegano la condotta tenuta da certi servizi in occasionedi alcuni più gravi fatti di sangue di matrice nera verificatisi in Italia.Sono parole pesanti e gravi che la Corte sente il dovere di pronunciare nellaconvinzione della loro verità.Generale Ambrogio Viviani, ex capo del controspionaggio:Sono perfettamente convinto che da parte dei Servizi segreti non ci sia statomai nessun depistaggio delle indagini relative a fatti di terrorismo. Il che,però, ne sono altrettanto convinto, non esclude che ci sia stato un depistaggio

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da parte di qualcuno inserito nei Servizi. Il depistaggio, se c'è stato, è statoopera di singoli che io chiamo traditori, perché hanno tradito le istituzioni.Ma non è possibile che si pensi a un depistaggio da parte del Servizio segretonel suo insieme, perché è un organismo costituito in modo così particolare, cosìcomplesso, con controlli dall'inferiore al superiore, dal superioreall'inferiore, dal laterale al laterale, che non consente l'insabbiamento o ildepistaggio delle indagini. Però i traditori ci sono. Per quanto riguarda ilruolo anticomunista dei Servizi, direi che negli ultimi anni sicuramente si èattenuato dato l'evolversi della situazione politica. Non dimentichiamo però chel'Italia fa parte della Nato e i Servizi seguono la politica militare del Paese.Milano, 12 aprile del 1973. Manifestazione indetta dal Movimento socialeitaliano. Vi si innestano gruppi di Avanguardia nazionale, squadre di "Boia chimolla" provenienti da Reggio Calabria, estremisti reduci da un'altra rivolta dipiazza di segno neofascista, organizzata a L'Aquila.La situazione si fa subito tesa. "Aquila, Reggio! Milano sarà peggio" gridano imanifestanti.Lo scontro più duro con la polizia avviene in via Belletti-Vengono lanciatebottiglie molotov; poi da due manifestanti, Maurizio Murelli e Vittorio Loi,parte una bomba a mano che colpisce in pieno petto l'agente Antonio Marinouccidendolo-La sera stessa, poco dopo le 23, il dirigente del Fronte dell3gioventù telefona al capo dell'ufficio politico della questura, Al"

fonso Noce, e gli indica i nomi dei due attentatori. Loi e Murelli vengonorinviati a giudizio.Nel 1975 saranno condannati rispettivamente a ventitré e vent'anni di carcere.Vittorio Loi:Era la nostra esuberanza, il nostro volontariato, la nostra stupidaggine delmomento, sia di destra che di sinistra. Forse sempre guidata. Chi non stava aquesto gioco veniva allontanato e poi richiamato nei momenti in cui sirichiedevano disordini più gravi.Maurizio Murelli:Mi rendo conto di essere stato anche una pedina, in una certa situazione. Lamorte dell'agente Marino non fu un fatto volontario, fu la conseguenza di unoscontro, di una violenza che esisteva su due fronti, un fronte che la perpetravanei nostri confronti e noi che per difenderci da questa violenza producevamoaltra violenza.Giorgio Almirante dichiarò allora:Io voglio dire che non posso certamente negare, e non posso impedire, che anchenel mio partito e fra i miei elettori, fra i miei simpatizzanti, fra coloro chesi definiscono genericamente di destra, vi siano dei violenti o addirittura deiteppisti e dei delinquenti comuni.17 maggio 1973, cortile della questura centrale di Milano in viaFatebenefratelli. Si è da poco concluso alla presenza del ministro dell'Interno,Mariano Rumor, lo scoprimento di un busto dedicato al commissario LuigiCalabresi a un anno dal suo assassinio.All'esterno del palazzo una bomba scoppia tra la folla degli intervenutiprovocando un massacro: 4 morti e 52 feriti. L'attentatore, subito fermato, sichiama Gianfranco Berteli. Affer-ma di aver avuto l'intenzione di uccidere ilministro Rumor e 81 proclama anarchico individualista. Porta la lettera "A"tatuata sul braccio, ma ha precedenti ambigui e contraddittori. Nel'O era espatriato con passaporto falso intestato a un estremi-*ta di sinistra,di Bergamo. Tra il 1971 e il '73 aveva lavoratoun kibbuz israeliano, ma ai primi di maggio, dopo una mi-t ?.nosa sosta aMarsiglia, era rientrato in Italia. Nel 1975 Ber-1 sarà condannato all'ergastolo, per strage, dalla Corte d'As-

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sise di Milano, che lo giudicherà invischiato in relazioni con l'estrema destra,collaboratore di Servizi segreti italiani e internazionali, confidente dellapolizia.A molte migliaia di chilometri, in Cile, nel settembre del '?3 un golpe abbattela democrazia. Il capo dello Stato, Salvador Allende, muore nel palazzopresidenziale ormai caduto. Ha inizio la lunga dittatura del generale Pinochet.In Italia il neofascismo estremista esulta. Ribadisce la sua insofferenza per lesolite, sciocche apologie della libertà democratica - così si esprime - cheprima o poi degenera nell'anarchia, ed esalta la dittatura militare come unicasoluzione logica, possibile e salutare.Il golpe dei militari in Cile è un avvertimento. Le sinistre non possono andareal potere, attraverso una vittoria elettorale di misura, senza provocarereazioni violente.Lo stesso segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, affermache al governo non si arriva con il 50,1 per cento. Elabora allora il progettodi un largo incontro con le masse cattoliche, che include socialisti e laici. Sidelinea la strategia del cosiddetto "compromesso storico".Ma a sinistra del Pci la nuova strategia è vista come una resa all'avversario disempre, la Democrazia cristiana: "Proprio quando per la prima volta sarebbepossibile impedirle di formare un governo, si rinuncia a creare le premesse perridurla all'opposizione." La tregua politica viene interpretata dai settori piùradicali della sinistra, e con ben altri propositi dalle sue frange estremiste,come un tradimento nei confronti della classe operaia. Dal fondo di unafrustrazione esasperata sta già emergendo un progetto eversivo. Di giorno ingiorno, nel divario fra aspirazioni e realtà, nasce e si sviluppa una minoranzaesigua, ma risoluta, che ha già scelto la strada della lotta armata.L'estremismo politico diventa violenza quotidiana. Emblematico sarà l'assassiniodi Sergio Ramelli, il diciannovenne studente missino sprangato sotto casa, aMilano, da un gruppetto di giovani di Avanguardia operaia che volevano dare,così si esprimeranno, "una lezione ai fasci".Ma una violenza rimanda all'altra. Sulla barricata opp‘sta

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cadranno due giovani extraparlamentari di sinistra: Claudio Varalli, colpito daestremisti di destra, e Giovanni Zibecchi, travolto da una jeep delle forzedell'ordine nel corso di una manifestazione di piazza.In quegli anni, gravati da una catena ossessiva di fatti oscuri e violenti, ilPaese continua tuttavia a cercare una dimensione moderna della convivenza. Sononate le Regioni e si vota la legge sul divorzio. Il referendum indetto percancellarla riconfermerà, in modo per molti inatteso, la validità della legge eproverà che va crescendo una coscienza nuova dei problemi sociali.Se dunque in taluni settori della politica, in alcuni ambiti istituzionali, inqualche frangia della società le tentazioni e persine i tentativi reazionarisono evidenti, la generale risposta del Paese, e del Parlamento, mira a unlivello più alto di democrazia e, pur con ritardi, carenze e contraddizioni, adaccrescere i diritti della gente.Mentre perdurano disparità economiche e sociali, e lo Stato spesso non sa farfronte con equità ed efficacia alla domanda del cittadino, non di meno lacollettività non può non giovarsi, nel suo complesso, di una crescita produttivache, in proporzione, si rivelerà la più alta d'Europa. E` in questo convivere eso-vrapporsi di vecchio e di nuovo che quegli anni cruciali, e quegliavvenimenti, vanno interpretati e capiti.Le interviste che seguono mettono a fuoco due personaggi per molti versi legatiai fatti di cui abbiamo appena parlato: sono il capitano Antonio Labruna, unuomo dei Servizi segreti che visse da vicino il golpe Borghese, e il tenentecolonnello Amos Spiazzi, coinvolto nel progetto eversivo Rosa dei Venti.Interviste ad Antonio Labruna e Amos SpiazziANTONIO LABRUNA, ha 62 anni, è sposato con due figli. Dal 1950 nell'Arma deicarabinieri, poi, dal 1967, nei Servizi segreti fino a quando, nel 1976, cioè

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nove anni dopo, viene sospeso dal servizio Perché accusato di favoreggiamentonei confronti di Giannettini e Pozzan, imputati per la strage di piazza Fontana.

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Sino ad oggi ha rifiutato di concedere interviste per rispetto -ha sempredichiarato - della sua etica professionale. Ora ha deciso di concedersi, percosì dire, una deroga. Perché?Per mettere in vera luce la mia vera immagine, immagine che è stata falsata intutti questi anni da attacchi e contrattacchi compiuti sui giornali; che si sonoripercossi, poi, nelle aule giudiziarie. Quindi sento il bisogno di dire chiveramente sono io.La vita di un agente segreto è sempre stata avvolta da un misterioso e per certiaspetti anche inquietante dispiegarsi di azioni pericolose, di comportamenti ailimiti del lecito, quando non fuori dalla stessa legge o, per usareun'espressione molto popolare, addirittura con licenza di uccidere. Lei siriconosce in queste vesti?No, no. Specialmente per la licenza di uccidere, no!In quali altre?Come agente del controspionaggio... Quando si lavora, e si va in cerca dinotizie, bisogna penetrare nell'ambiente da dove la notizia parte. E dopo in unaltro ambiente ove si possa verificare quanto raccolto la prima volta.Mi rendo conto che il suo dovere professionale le impone di non raccontareretroscena coperti dal segreto d'ufficio. Ma forse può aiutarci a ricostruirequalche piccolo tassello del mosaico che ha caratterizzato gli anni bui dellanostra storia repubblicana. Cominciamo, se crede, proprio da piazza Fontana.Lei, quel 12 dicembre del 1969, era già un agente segreto del Sid con il gradodi capitano. Con quale incarico? Di che cosa dovette occuparsi?Io nella strage di piazza Fontana non c'entro per niente, perché allora nonavevo alcun incarico, svolgevo delle funzioni tecniche; appartenevo o, un centroche si chiamava "centro tecnico". Non ero un agente operativo.Le leggo i nomi di cinque imputati nei processi su piazza Fontana: GuidoGiannettini, Marco Pozzan, Stefano Dell6 Ghiaie, Franco Freda e GiovanniVentura.

Mi segua. Gennaio 1973: in una base del Sid in via Sicilia, a Roma, che risultaa nome della Turris Cinematografica, arriva jvlarco Pozzan che viene primainterrogato e poi, con un passaporto intestato a Marco Zanella, fatto espatriarein Spagna. L'episodio le è costato una condanna a dieci mesi per falsoideologico. Come andarono le cose?Noi non sapevamo che si chiamasse Marco Pozzan, ma Marco Zanella. Mi fece vedereuna carta d'identità che, del resto, per me non aveva valore perché potevachiamarsi anche Rossi, poteva chiamarsi anche Ver di, come voleva insomma;l'interessante era che l'autorizzazione del generale Muletti e la fonte che cel'aveva presentato dicevano che poteva portarci notizie riguardanti l'attivitàdell'estrema destra in Spagna. Lo stesso Pozzan in un verbale di interrogatorioammette di essere rimasto libero, che poteva uscire ed entrare, circolare perRoma come voleva. Ora c'è da fare questa considerazione: se io o i mieidipendenti avessimo saputo che per Pozzan c'era un mandato di cattura, nonl'avremmo lasciato libero di girare a Roma, ma l'avremmo fatto espatriareugualmente perché era uno che poteva darci notizie utili; e non l'avremmotrattenuto negli uffici di via Sicilia. Poi, e questo l'ho ripetuto dal 1976-77,non l'abbiamo interrogato per niente, perché non sapevamo chi fosse.

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9 aprile 1973. Nello stesso ufficio passa Guido Giannettini che sta per essereincriminato dai giudici per la strage di piazza Fontana, come è noto. Riceve lostesso trattamento, viene aiutato a espatriare in Francia. E` vero?Guido Giannettini, quando è partito, non aveva a suo carico nessun "^andato dicattura né era stato indiziato di reato. Giannettini era una J‘nte, lo era statoanche in passato, dei capireparto. Cioè di tutti quelli che avevano precedutoMaletti. Il generale Maletti a un certo momento v‘lle disfarsene, cioè non vollepiù avere contatti diretti con Giannettini.Giannettini, alla Corte d'assise di Catanzaro, riferì in modoolto chiaro: Labruna mi disse che su ordine del generale Ma-1 dovevo lasciare l'Italia perché le indagini si stavano rivol--,‘ contro di me; disse anche che non dovevo svelare la miaentità di informatore del Sid. Quando fu spiccato il mandato

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di cattura, Giannettini era latitante. Durante la latitanza, lei 10 incontrò piùvolte e gli diede anche del denaro. E` vero?E` vero in parte. Quando Giannettini è partito ha chiesto l'ospitalità per due otre giorni nell'ufficio asserendo che la madre doveva partire e la sua casarimaneva chiusa. Mi ha detto che doveva partire per un viaggio di lavoro, inFrancia, aveva un biglietto di andata e ritorno per Parigi della Pan American,ricordo. Noi non gli abbiamo pagato niente. Tutte queste cose, forse, glieleavrò dette dopo, a Parigi, quando Maletti mi ha ordinato di andare a portargliquello che gli dovevo portare...Novembre del 1972: va a Barcellona per incontrare Delle Ghiaie. Gli avrebbechiesto se era in grado di accogliere Preda e Ventura che, sempre lei, avrebbefatto fuggire dal carcere. E` vero?Non è vero niente. Ognuno può dire queste cose e altre ancora, contro cui stocombattendo in sede giudiziaria dal 1976-77. .Parliamo del golpe Borghese. Lei fa parte di quelli che ritengono si siatrattato di una messinscena o di qualcosa di molto più serio?Mah, che il golpe Borghese sia iniziato con atti, come vogliamo dire, tatticicon l'entrata al ministero degli Interni, con riunioni di gente pronta aintervenire alla palestra Eleana, questo è vero senz 'altro. Mi consenta unapremessa. Siamo entrati nell 'ottica del golpe Borghese per una serie dicombinazioni. Nella metà del 1972fui incaricato di un'azione che non so comedefinire, si chiamava Venedig; ma, in ogni caso, un 'azione di spionaggio.Dovevo reperire una nave da trasporto, andare nelle acque extra-territoriali anord di Capo Teulada, incontrare una certa nave e cancan delle casse, che eranocasse di armi che dovevano servire allo stato maggiore - così mi disse ilgenerale Maletti - per lo studio dei congegni di pun~ lamento, di sparo, e delmateriale che le costituiva. L'operazione non giunse poi a lieto fine e fusospesa. Ne parlò anche la televisione: la nn‘e che io dovevo incontrare sichiamava Claudia; questa fu dirottata, &*' condata, mi pare, da mezzi israelianied inglesi, e quindi il comanda*11 fu costretto a buttare le casse in mare. Fuiincaricato, dunque, di trov#r una nave e mi rivolsi alla Società MediterraneaNavale, con sede in vl

Sardegna, o da quelle parti, il cui titolare era un vecchio ufficiale di Marina.Entrammo più o meno in simpatia, e nei colloqui per avere questa nave, che sichiamava Fiume nero, parlando del più e del meno a un certo momento mi disse:"Senta, io le voglio confidare qualcosa". "Mi dica." "Io sto per fallire. " "Perquale ragione? Perché gli affari vanno male?" Dice: "No, perché io la nottedell'8 dicembre del 1970 ho messo tutta la mia flotta a disposizione del Fronte

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nazionale nel porto di Civitavecchia e ho tenuto le navi ferme all'attracco.Queste cose non le sanno nemmeno i miei figli... ".Due punti da chiarire: a che cosa sarebbero dovute servire le navi aCivitavecchia e chi era e che ruolo aveva, in quella vicenda, Orlandini.Avevano il compito di portare dei personaggi che dovevano essere prelevati aRoma, come risulta dalle dichiarazioni di Orlandini e di altri, nell'isola diPonza e nelle Eolie. Dovevano essere politici, sindacalisti e altri che più omeno davano una certa preoccupazione. Orlandini era il braccio destro delprincipe Borghese e quindi dirigeva tutto.Della preparazione del golpe erano al corrente decine di persone; di certo tuttequelle che lo stavano preparando, evidentemente; poi, qualche giorno prima, lecentinaia di militanti dei gruppi di estrema destra che avrebbero dovuto entrarein azione. E verosimile che il Sid non avesse ricevuto nessuna informazione inproposito? Eppure si sa che in quegli schieramenti i Servizi segreti avevanoinfiltrati, collaboratori...A questa domanda non so rispondere. Chi potrebbe rispondere è il capo del Centrodi allora, che aveva le sue ramificazioni: ecco la penetrazione, se avevi icollaboratori avevi tutto. Se era a conoscenza di fatti del genere avrebbedovuto segnalarli ai capi. Tenga anche presente che si lavora-‘Q a compartimentistagni. Le faccio un esempio: io entravo nell'ufficio "i un collega, e ilcollega stava scrivendo o trattando una pratica: lui chiudeva la copertina e iomica mi offendevo.Altrimenti, che razza di agente segreto era! E` vero che Or-andini aveva ancheparlato di contatti che i golpisti di Borghe-avrebbero avuto con la Giàattraverso un certo agente Ed-Fendwich?

144 Sergio TavoliSì, ne parlò.Perché fallì, secondo lei, il golpe Borghese? Perché, forse, hanno voluto farlofallire.Luciano Liggio, in un'intervista di qualche tempo fa, ha parlato di richieste diaiuto da parte di golpisti a elementi delle cosche siciliane. Può dirci qualcosaa questo proposito?Sissignore. Nei primi accertamenti fatti da me, lo stesso Orlandini ed altri midissero che avevano avuto l'appoggio anche dì elementi appartenenti alla mafia.Quindi, in un certo qual senso, Liggio ha ragione.Ci sono altri episodi della lunga stagione del terrorismo che la chiamano incausa: lei fu rinviato a giudizio anche dal giudice Felice Casson, di Venezia,per contatti con Massimiliano Fachini. Vincenzo Vinciguerra l'ha indicato comeil punto di contatto tra gli ordinovisti Veneti e gli apparati dello Statointeressati al sovvertimento delle istituzioni democratiche. E` vero?Non è vero. Fachini non l'ho mai conosciuto; Vinciguerra nemmeno. Di ordinovistinon ho mai parlato. Ho parlato soltanto in una relazione degli extraparlamentaridi destra, della loro pericolosità, di quali erano gli elementi che potevano darfastidio. Dopo questa relazione, fatta nel gennaio del 1973, a marzo dellostesso anno vennero gli attacchi contro di me sulla stampa. Su tutta la stampa.Quindi, mi misero nelle condizioni di non operare più: quando un agente èbruciato, come si dice nel gergo nostro, non può più lavorare.Capitano, piazza Fontana; golpe Borghese; strage di Petea-no; strage di Bologna.Perché il suo nome ricorre in tanti fatti delittuosi e legati, in qualche modo,al terrorismo nero?Io credo che ci sia stata una volontà, forse anche da parte dei miei superioridi allora, e delle destre, di farmi apparire implicato in tutte queste stragi.Io non riesco a farmi credere: eppure io non c'entro per niente...Che ruolo ebbe nella strage di Peteano, per esempio?

145La none della RepubblicaNessuno. Della strage di Peteano conosco soltanto quello che dicevano igiornali. Io ero addetto ai servizi tecnici. E` una cosa allucinante... eccoperché ho accettato di essere intervistato, per dire qual è stata la mia veraparte in queste vicende. Io ho avuto cinque, non dico attentati alle mie auto di

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servizio, ma cinque avvertimenti, oltre a telefonate anonime, e tutto in quelperiodo che va dal 1973 fino al 1976. In una circostanza hanno svitato l'alberodi trasmissione della mia macchina. Mi sono salvato per puro caso perchél'autista doveva venirmi a prendere sotto casa, ho tardato n scendere, lui haspostato la macchina ed è caduto l'albero di trasmis-a scendere, sione.Lei dice: "Non ho nulla a che vedere con la strage di Peteano". Perché, allora,Vinciguerra la chiama in causa?Mah, non lo so, non ho letto nemmeno i verbali di Vinciguerra, che non conosco,lo ripeto. Ho cambiato avvocato, perché dalla difesa passiva praticata finoravoglio passare alla difesa attiva; cioè denunciando, sporgendo querela, anche sela querela trova il tempo che trova, perché veramente mi sono scocciato diosservare l'etica professionale, l'etica del carabiniere.Chi era il colonnello Spiazzi? Lei lo conosceva?Non l'ho mai conosciuto di persona. Un anno e mezzo o due anni fa, ne è aconoscenza anche la magistratura, su "la Repubblica" e su "il Giornale" diMontanelli apparve una lunga intervista ad Amos Spiazzi, h questa a un certopunto Amos Spiazzi dice: "Sono stato contattato da un certo maggiore Ventura; misono accorto che era invece il capitano La-bruna". Il maggiore Ventura esistevae continua ad esistere: è in congedo. Era al Raggruppamento Centri CS,Controspionaggio, di Roma. E` emi-ll<*no, è alto 1,80-1,82, parla con accentoemiliano. Io sono alto 1,70-*> '1, parlo con accento napoletano o meridionale.Questa è la realtà dei fatti. Il mio precedente avvocato non ha voluto che dessiquerela. Ha detto ‘he dovevo star calmo.N generale Maletti era il capo dell'ufficio da cui lei dipende-a- Tutti e dueeravate nella P2, poi i vostri rapporti si sono Bastati, perché?

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Sì, si sono guastati i nostri rapporti; perche'a un certo momento, quando siamousciti dopo un periodo di detenzione, quasi un mese a Calamaro, hanno continuatoa darmi dei fastidi: appena uscito volevo recarmi a trovare mia madre e a uncerto momento, sull'autostrada, è scoppiato il motore dell'auto (si vede cheavevano messo lo zucchero). Quando Muletti è stato mandato vìa dal Servizio, glidissi: faccia valere le nostre ragioni, ci difenda, vada dal ministro, dal capodi stato maggiore, lasci perdere la tessera, lasci perdere tutto, ma dica laverità, dica quello che noi non sappiamo. Ma poi, vista la sua inerzia e il suodisinteresse nei miei riguardi, ho mandato una lettera sia al capo di statomaggiore dei carabinieri da cui dipendevo, sia a Malfiti, dicendo che io miallontanavo da lui pur rispettando una certa etica militare e mantenendo, neilimiti del possibile, una tesi difensiva uguale alla sua.Lei ha sorvolato sulla prima parte della domanda... Può darsi che mi siasfuggita, qual era?La vostra appartenenza alla P2.La nostra appartenenza alla P2, vede.,., è stata tutta superficialità, non miasoltanto, ma di molti. Chi ci ha portato alla P2 è stato il colonnello Viezzer,che era il capo della segreteria. Viezzer, con l'autorizzazione di Maletti, midisse: "Perché non ti iscrivi alla P2, così potrai conoscere qualcosa..." e io,con molta superficialità e molta leggerezza, accettai. La presi con una certaallegria, tanto che io e l'autista, il maresciallo Esposito, ci scherzammosopra. Ricordo che scendendo dalla macchina gli ho detto: "Adesso, guarda, midevi chiamare fratello". Le do la mia parola d'onore, con questasuperficialità... poi contatti con la P2 non ne ho più avuti.Tanti anni della nostra vita repubblicana accompagnati da bombe, da attentati,da sparatorie, ammazzamenti, gambizzazioni, e poi sequestri di persona, rapine e

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stragi: tutto o quasi tutto in attesa di essere chiarito. Ma c'è una verità?Qualcuno la conosce? Chi potrebbe aiutare la magistratura a fare chiarezza,secondo lei? Si poteva evitare qualcosa, perché non è stato evitato?Ma credo senz 'altro che qualcuno la conosce, questa verità.

E chi potrebbe essere?Non lo so... come riflessione personale, direi che possono essere tanti ambientiinteressati a taluni fatti, che hanno manovrato questa gente per un disegnopolitico. Non riesco a darle risposte precise perché non sono nelle condizioniopportune. Facevo questa riflessione come un libero cittadino. ..Proviamo a ripensare insieme a un'altra cosa, per esempio all'espressione"servizi segreti deviati".Sì, deviati, senz'altro. Ma una parte, non tutti quanti. Non si può tacciare dideviazionismo un Servizio nel suo complesso. Nella maniera più assoluta. No!Persone, sì; parte dei Servizi, sì, ma limitandoci alle persone che stanno nelledirezioni. Deviazionismo di tutto un Servizio, no.Colonnello Spiazzi, nel suo libretto personale, me lo ha confidato poco fa primadi incominciare questa intervista, vi sono apprezzamenti che avrebbe potutoricevere solo Napoleone. Me ne vuole parlare?Da che sono andato in Accademia nel 1952, all'inizio della mia vicendagiudiziaria nel 1974, ho avuto naturalmente numerosissimi superiori; unoall'anno, più o meno, in media. Devo dire che mi hanno sempre giudicato oeccellente o superiore alla media e anche con apprezzamenti marginali che mistanno molto a cuore: in particolare, grande senso di responsabilità neiconfronti dei miei dipendenti, grande disponibilità nei loro confronti esoprattutto una assoluta assenza di discriminazione per ciò che concerne la loroappartenenza nei periodi caldi, quando ci avvicinavamo al 1974, alle diversetendenze politiche. Di questo sono molto orgoglioso.Lei è stato in carcere, ha testimoniato al processo per la strage di Bologna.Secondo l'accusa ha nascosto dell'esplosivo, ha ovuto rispondere di cospirazionepolitica e di associazione sovversiva e ogni volta è stato assolto in prima oseconda istanza, 'atto di essere coinvolto in tanti processi ha strettamente a ‘e fare con la sua attività di agente segreto militare, o no?

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Io, lo ripeto per l'ennesima volta, non ho mai appartenuto a nessun Serviziosegreto, né al vecchio Sifar, né al Sid, né al Sismi, né al Sisde, bensì hosempre svolto mansioni nel servizio informazioni operativo. Sono lieto di questadomanda perché forse è l'unica maniera per eliminare un grosso equivoco. Ilservizio informazioni operativo si svolge nell'ambito esclusivo delle Forzearmate ed è volto a raccogliere notizie in tempo di guerra sul nemico. In tempodi pace garantisce esclusivamente la sicurezza ali 'interno delle caserme. Ora èpacifico e logico che un ufficiale il quale fa parte del servizio informazionioperativo, quindi è un ufficiale cosiddetto "I", ha contatti con parigrado o conpersonaggi allo stesso suo livello dei carabinieri e del Servizio segretomilitare. Nell'ambito di questi contatti si è cercato di dimostrare cose che poinon sono state dimostrate, circa presunte mie attività informative, dicollaborazione o altro, mentre invece io mi sono sempre ed esclusivamentelimitato alla sicurezza delle installazioni militari e la mia azione è semprestata svolta all'interno delle caserme.Per un militare con un libretto personale come il suo non le sembra almenosingolare questa sequela di sospetti, di accuse, di processi?Certamente è singolare, però bisogna rifarsi a quella che è la genesi dellacosiddetta Rosa dei Venti e del golpe Borghese. Ora, io ho pensato per molti

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anni a questa vicenda, anzi ho avuto modo, purtroppo, di pensarci sopra e anchea lungo in carcere, ma alla fine sono riuscito a farmi un'opinione.Indubbiamente negli anni Settanta forze politiche, che secondo me non sonoancora state individuate, avevano senz'ultra un interesse a far paventare alPaese una svolta autoritaria.Lei è ufficiale superiore di carriera, è uscito dall'Accademia di Modena, hagiurato fedeltà alla Repubblica: come ha potuto essere così vicino aorganizzazioni eversive che avevano l'obiettivo di abbattere lo Statodemocratico?Prima di tutto bisogna distinguere quelle che sono le mie opinioni personali daquella che è la mia carriera, la mia professione. Io ho sempre svolto il miolavoro, ho sempre fatto il mio dovere di fedeltà alla Repubblica, però questonon mi toglie il diritto sacrosanto di pensarla in un de-

terminato modo, che non è assolutamente quello con il quale sono statoetichettato, perché io sono monarchico e per lo Stato organico!Lei è stato uno dei militari di grande spicco dell'organizzazione eversivachiamata la Rosa dei Venti, ebbe rapporti di stretta amicizia con ElioMassagrande e Clemente Oraziani, due dei maggiori esponenti di Ordine nuovo,gestì con la moglie di Massagrande una palestra di karaté che a Verona eradiventata luogo di convegno per tutti i giovani simpatizzanti di Ordine nuovo.Rosa dei Venti, dunque, ma anche Ordine nuovo: non le pare che sia sufficienteper far pensare a qualcosa che ha poco a che fare con la carriera militareall'interno di uno Stato democratico?Assolutamente no, perché ci sono degli elementi non veri. La Rosa dei Venti nonesiste, e c'è una sentenza della Corte di cassazione che lo stabilisce;l'amicizia con Massagrande, non con Clemente Oraziani che ho visto una solavolta occasionalmente, ma con Massagrande, amicizia che non rinnego, e anche conBesutti, uno degli esponenti di spicco di Ordine nuovo, è dovuta esclusivamenteolfatto che sono stati miei ufficiali d'artiglieria. Quindi erano mieidipendenti. Da questa dipendenza gerarchica è nata una profonda amicizia. Sullapalestra di Verona è tutto da dimostrare perché non era affatto un luogo diritrovo di neofascisti, tanto è vero che ha continuato a funzionare e non è maistata inquisita.Colonnello Spiazzi, lei era in Alto Adige all'inizio degli anni Sessanta, quandoin quella zona iniziò il momento più caldo del terrorismo sempre menoirredentistico, per la verità, e sempre più sanguinoso. Lei ha detto: "Mitrovavo in Alto Adige in servizio di ordine pubblico e anche lì spuntanoelementi di Avanguardia nazionale insieme con elementi del Sifar. Il primomomento in cui è caduta la mia ingenuità è stato quando un ufficiale mi hadetto: "Ma lo sai, Spiazzi, che da un po' di tempo nel tuo settore non succedenulla?". Io risposi: "Non è contento? Non va bene?" e lui: "Ma ci sono degliinteressi di carattere globale che sarebbe meglio..." ecc., ecc.". "Poi hotrovato due carabinieri," cito sempre lei "due carabinieri del Sifar che stavanofacendo un attentato, li ho arrestati, ma polizia e cara-

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binieri me li hanno sottratti e il giorno dopo io ho chiuso conl'Alto Adige. " -Cosa può dirci di più su questa storia? IConfermo parola per parola quanto lei ha citato e quanto io ho riferito ' allaCommissione P2, come teste, di fronte all'on. Tina Anselmi. Sono fermamente

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convinto che, così come tanti altri fatti gravi del nostro Paese anche in AltoAdige si voleva, me ne sono accorto allora per la prima volta, creare undeterminato clima di tensione i cui frutti si vedono purtroppo tristemente oggi.Mi vuole spiegare, colonnello Spiazzi, che cosa capì, quando cadde quella chelei ha definito la sua ingenuità?Ma mi sembra molto semplice: trovare due tutori dell'ordine che compiono un attoillecito, addirittura un attentato, per farne ricadere la colpa sui tirolesi, misembra veramente il massimo della provocazione.Vorrei chiederle se a suo parere, e per le esperienze che ha vissuto in primapersona, il terrorismo in Alto Adige è stato o no manovrato dai Servizi segreti,non solo italiani, del tempo.Come mia esperienza personale, senz 'altro è stato manovrato da parti deviatedei Servizi o addirittura dai Servizi per ordini politici, su questo non vi èdubbio perché l'episodio mi sembra chiarissimo. Che poi ci fossero state anchedelle infiltrazioni dei servizi segreti stranieri sicuramente sì, perché noieravamo, se ben ricordo, in Val Sarentino, alla ricerca di elementi francesiche, ben conosciuti ai Servizi segreti italiani, agivano in favore, in appoggio,in supporto, addirittura in sostituzione, dei terroristi.Lei è stato uno dei primi a parlare in sede giudiziaria di un'organizzazioneocculta di sicurezza operante a fini politici non istituzionali all'interno deinostri servizi di sicurezza. Un'accusa all'inizio rigettata, ma più tardilargamente provata in diversi processi. Può spiegarci come funzionavano icosiddetti Servizi segreti paralleli?Questo è un discorso molto lungo, cercherò di sintetizzarlo in pochissi' meparole, ma purtroppo non è facile da spiegare. L'organizzazione c‘' siddetta disicurezza è una predisposizione legittima di tutti i Paesi del''

tfato, che fin dal tempo di pace organizza, appronta mezzi, persone e anche retidi collegamento perché in caso di invasione del territorio nazionale questoterritorio nazionale possa dar luogo a quel movimento di guerriglia e diappoggio all'eventuale esercito amico che permetta la riconquista del territoriostesso. Ora, che questa organizzazione sia non costituzionale è un discorso chenon mi riguarda, io sono un militare e sono i politici che devono stabilire se ècostituzionale o meno. Certamente non può essere resa pubblica, certamente nonpuò essere conosciuta e sicuramente fa parte di trattati internazionali che nonsono noti se non agli addetti ai lavori, a quale livello io non lo so. Macertamente questa organizzazione esiste. Il problema secondo me era questo:quando ci hanno arrestato, dovevano cercare di provare che noi volevamo usarequesto strumento legittimo contro lo Stato; ma non, come è successo, dire chequesto strumento legittimo lo avevamo inventato noi.In una lettera a un amico lei si è lamentato di essere - cito tra virgolette -"l'unico fesso a stare in carcere mentre i suoi superiori se l'erano cavata". Aquali episodi si riferiva?Mi riferisco proprio affatto che quando siamo stati arrestati nel dicembre,anzi, nel gennaio del 1974, e mi meraviglio tuttora - perché in Accademia ci èstato insegnato il coraggio e la lealtà - i capi di stato maggiore dell'epocanon si siano presentati al ministro e non abbiano detto: ma insomma, signorministro, questa gente sta dentro esclusivamente per un piano che era previstodall'autorità politica. Quindi tiriamoli fuori e diciamo chiaramente alla genteche si tratta di un piano previsto. Tutt 'al più, cerchiamo di verificare sequesta gente voleva davvero usare questo piano legittimo per fini non legittimi,ma non neghiamone l'esistenza.Colonnello, il golpe Borghese tentato nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del1970, questo a lei è ben noto, non fu una folcloristica rimpatriata, come vennesuccessivamente definito in sede politica e giudiziaria. Perché, secondo il suoparere, quella notte vennero messi in movimento tanti reparti militari?E semplicissimo; perché un personaggio che non è stato ancora identifi-foto hadiramato quel famoso ordine di mobilitazione di quell'apparato di sicurezza dicui le ho parlato poc'anzi, a insaputa, sembra, dell'alloro capo del Sid,generale Miceli; a insaputa, sembra, del capo di stato mag-

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giare della Difesa; a insaputa del ministro e a insaputa di tutti. Dico "sembra"perché mi pare tuttora impossìbile che questa gente non lo sapesse, mentre altreforze avevano spinto Borghese a fare una pacifica manifestazione fantro Tito.Quindi, il progetto occulto di queste forze politiche avrebbe dovuto secondo meessere questo: spingere Borghese da un lato, e una parte delle forze armatedall'altro, a muoversi; attuare nello stesso tempo un piano di vigilanza intermini di repressione interna, in maniera tale da cogliere i presunti golpistiche si cercava di attivare, mandarli fuo-ri dai covi in maniera tale che sitrovassero sulla piazza disponibili, arrestarli tutti e acquisire unabenemerenza nei confronti del Paese; nel senso naturalmente antidestra,antifascista, e ciò per attuare un programma politico teso unicamente allaconservazione e magari al rafforzamento del regime.Lei ha detto che la cosiddetta esigenza triangolo, cioè l'ordine in codicericevuto quella notte, significava impiego immediato dell'apparato anticomunistacomprendente ufficiali, sottufficiali e soldati di sicura fede che venivanotenuti sempre pronti.Certamente.òPer fare che cosa? Che apparato era? Può essere più preciso a questo proposito?Senz 'altro, precisissimo. Era un piano, predisposto naturalmente dall'autoritàpolitica col benestare dell'autorità militare e con la parte tecnica militare,che prevedeva la selezione all'interno delle caserme di ufficiali, sottufficialie truppa, di provata fede anticomunista. E logico che questa provata fedeanticomunista non può coincidere con i partiti dell'arco costituzionale, peresempio Democrazia cristiana, socialisti eccetera. Ricordiamoci che, all'epoca,addirittura i radicali erano considerati degli eversori. Quindi è logico che nelnumero limitato dì queste persone sulle quali si poteva fare certamenteaffidamento, entrasse anche una parte di elementi di destra. Guardi che questopiano era molto articolato perché, per esempio, nella zona di Reggio Calabria,dove invece c'era una valenza di segno contrario, la selezione della truppa eradiversa, cioè venivano compie' tornente scartati elementi dì destra, perché leisa benissimo che per la manifestazione di Reggio la predominanza, diciamo così,degli eversori po~

letiziali era dì destra. Era quindi un piano bilanciato, che prevedeva una ertascelta di truppe sicure da inviare a presidiare i punti nevralgici nel Paese perevitare sommosse o aiuti a un eventuale esercito invasore in caso .Munto chequesto esercito invasore varcasse le frontiere.Cosa è successo? Che bisognava smantellare questa organizzazione e bersmantellare questa organizzazione non e 'era niente di meglio che farla tassareper eversiva, per strumento di persone che volevano usarla a fini eversivi.Lei rientrava fra quegli ufficiali di sicura fede che venivano tenuti semprepronti?Se ero ufficiale "I", senz 'altro, perché tutti gli ufficiali "I" erano scelticon questo criterio. Tutti, nessuno escluso.

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VII"ATTACCO AL CUORE DELLO STATO" I MAGISTRATI NEL MIRINO DEI BRIGATISTISOSSI RAPITO E RILASCIATO COCO, L'INTRANSIGENTE, UCCISO

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Nella prima metà degli anni Settanta l'estremismo, prima di destra poi disinistra, cambia obiettivo e alza il tiro. Non più una generica propagandaarmata all'interno della fabbrica, ma la violenza esercitata sulle persone comestrumento per colpire lo Stato. I magistrati entrano nel mirino terrorista. LoStato non è ancora pronto per dare una risposta efficace. La prova più difficiledella Repubblica è appena iniziata. Il primo flash d'agenzia, sei righe, èlanciato dall'Ansa alle 21,48 del 18 aprile 1974:II sostituto procuratore della Repubblica, Mario Sossi, è stato rapito questasera in strada da un commando di cinque o sei giovani che con la minaccia dellepistole l'hanno costretto a salire su un furgone grigio. Il rapimento è avvenutoalle 20,50 davanti all'abitazione del magistrato, in via Forte dei Giuliani 2,nella zona di Albaro, a Genova.MARIO SOSSI, 42 anni, nato a Imperia; ha svolto una serie di inchieste negliambienti della sinistra. Nel 1973 è stato pubblico ministero del processo controil gruppo XXII Ottobre guidato da Mario Rossi. La banda, legata ai Gap diFeltrinelli, era accusata del sequestro di Sergio Gadolla a fini di estorsione edell'omicidio del commesso Alessandro Floris, nel corso di una rapina. Ilprocesso si è concluso in appello con la condanna all'ergastolo per Rossi eoltre 180 anni di carcere agli altri sette imputati. La sentenza è stata accoltaal grido di "Sossi fascista, sei il primo della lista".Il sequestro di Sossi, più che clamore, suscita disorientamento. Dei rapitori edei loro propositi sapremo solo quello che essi faranno sapere. Si capirà prestoche il rapimento del giudice Sossi è stato preparato con grande cura. Ibrigatisti sapevano

quali strade il giudice percorreva, e in quali ore; sapevano inoltre che da unasettimana (lo aveva chiesto lui stesso) non era più protetto dalla scorta.Gli sono addosso davanti alla porta di casa, lo sollevano di peso, lo caricanonel retro di un furgone che parte a grande velocità. Tutto si conclude in pochisecondi. Nome in codice dell'operazione: Girasole. Il nucleo di brigatisti cheesegue il sequestro è agli ordini di Alberto Franceschini.ALBERTO FRANCESCHINI, nato a Reggio Emilia, ex studente di ingegneria, exmilitante del Partito comunista, matura negli anni Sessanta la scelta dellalotta armata. Poco più che ventenne si trasferisce a Milano dove incontra RenatoCurcio e Margherita Cagol, appena sposati e provenienti dall'esperienza diTrento. Alberto, Renato e Margherita vanno a vivere insieme in un piccoloappartamento. Qui disegnano la stella a cinque punte; qui scrivono i primivolantini a sostegno dell'azione di un gruppo di operai della Sit-Siemens,gruppo che si mostra il più oltranzista fra quelli che agiscono alla sinistradei sindacati nelle fabbriche.Moretti è già uno dei leader del gruppo. Assieme a lui, Franceschini, Curcio ela Cagol, costituiranno il primissimo nucleo delle Br e decideranno il passaggiodefinitivo alla lotta armata.Arrestato insieme con Renato Curcio nell'autunno del 1974, pochi mesi dopo ilsequestro Sossi, Franceschini subirà una condanna a oltre sessantanni di carcereper costituzione di banda armata, due sequestri, rivolte carcerarie, oltraggi inaula. Si dissocia dalla lotta armata nel 1983 senza avere a suo carico reati diomicidio.Dal 15 gennaio 1988 è in affidamento al lavoro esterno, in base a quanto disponel'art. 21 della riforma carceraria applicato nei confronti dei detenuti nonpericolosi. Attualmente lavora all'Arci, presso la redazione del periodico "Orad'aria". Torna tutte le sere nel carcere di Rebibbia.Il 12 maggio si voterà per il referendum sull'abrogazione del divorzio. Si èdunque nel pieno dello scontro fra il fronte del "Sì" e quello del "No". Lascelta è tra valori e convinzioni, ma agiscono anche convenienze e prospettivepolitiche. I partiti del centrosinistra sono divisi, il confronto è acceso.Amintore Fanfani:òòòcoerentemente, quindi, la Democrazia cristiana è lieta che il po-Polo sipronunzi e, mentre dichiara fin d'ora totale ossequio alle decisioni del popolo,la Democrazia cristiana consiglia ai cittadini di votare "Sì" per l'annullamentodella legge Fortuna.

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Ugo La Malfa:Si dice dagli antidivorzisti che questa legge, minando la famiglia ina l'ordinesociale, ma vi sono altre ragioni, e ne ho accennato, cheminaminano l'ordine economico e sociale. Questa legge non mina la famiglia, ma dauna sistemazione ai rapporti familiari che si sono rotti."Mordi e fuggi. Colpiscine uno per educarne cento": avevano scritto le Br sulcartello appeso al collo di Idalgo Macchiari-ni, sequestrato due anni prima.Sossi, sostituto procuratore della Repubblica, è il primo di un elenco divittime scelte tra i rappresentanti dello Stato. Nella rivendicazione delrapimento si legge:Un nucleo armato delle Brigate rosse ha arrestato e rinchiuso in un carcere delpopolo il famigerato Mario Sossi, pedina fondamentale sulla scacchiera dellacontrorivoluzione; persecutore fanatico della classe operaia, del movimentodegli studenti, dell'organizzazione della sinistra in generale, e della sinistrarivoluzionaria. Mario Sossi sarà processato da un tribunale rivoluzionario.22 aprile. Le Brigate rosse diffondono un altro comunicato. Hanno contestato algiudice undici capi di imputazione. Insieme con il comunicato viene diffusa unafotografia di Sossi e una sua lettera scritta a mano, con la quale egli chiedealla procura di Genova di sospendere le ricerche che definisce inutili edannose. Questa decisione, precisa il magistrato, deve essere presa in assolutaautonomia.Il procuratore capo Lucio Grisolia, valendosi dei suoi poteri, ordina alle forzedi polizia di sospendere le indagini. All'interno delle Br nascono dissensisulla linea seguita. Racconterà Roberto Ognibene, che ha fatto parte del gruppodei rapitori: "La base degli irregolari cominciò a criticarci da sinistradicendo che con i nemici non si parla e non si tratta. La risposta fu: Sossi loabbiamo noi e lo gestiamo noi. Si vedrà alla fine se abbiamo sbagliato".Il 24 aprile i Gap propongono che il giudice venga scambiato con Mario Rossi,capo del gruppo XXII Ottobre, condannato all'ergastolo, e con gli altri settemilitanti del gruppo che scontano in carcere pene rilevanti.

"Fuori Rossi o morte a Sossi" è lo slogan che enfatizza e indurisce la proposta.Le Br chiedono anche che i detenuti possano raggiungere Cu-h o l'Algeria o laCorea del Nord. Il ministro dell'Interno, Paolo Emili‘ Taviani, democristiano,genovese, comandante partivano e decorato della Resistenza, respinge la propostae definisce assurda ogni ipotesi di venire a patti con i rapitori.I giudici di Genova, sui quali pesa la responsabilità di stabilirese cedere al ricatto delle Brigate rosse, magari ricorrendo a qualche espediente di tecnica giudiziaria per salvare una regolaritàformale, sono sempre più incerti. Il dilemma trattativa o fermezza, nel quale ci si dibatterà nei 55 giorni del sequestro Moro, sipone così per la prima volta.II 14 maggio Mario Sossi si rivolge con una lettera aperta alpresidente della Repubblica. Il magistrato afferma che lo scambio ha fondamenti giuridici, e conclude: "Per quanto mi consta,nessuno degli intransigenti si è offerto, sino ad oggi, di sostituirmi nella prigione del popolo". Il procuratore generale di Genova, Francesco Coco, è contrario a ogni trattativa.FRANCESCO COCO, 67 anni, sardo, è stato sostituto procuratore della Repubblica aCagliari, pubblico ministero in numerosi processi contro sequestratori dipersone, per i quali ha chiesto e ottenuto severe condanne. Destinato alla Cortedi cassazione, poi a Genova come procuratore generale. Ha una reputazione dimagistrato molto rigoroso. E amico personale di Sossi. Ma a chi gli fa osservare

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che è facile essere intransigenti quando in gioco è la vita di un altrorisponde: "Perché, non sono forse qui a disposizione di chi mi voglia ammazzare?Qualcuno mi ha mai visto circolare su un carro armato? ".Il 18 maggio, a un mese esatto dal sequestro, le Brigate rosse lanciano unultimatum: "Se entro 48 ore non saranno liberati gli otto compagni della XXIIOttobre, Mario Sossi verrà giustiziato". Due giorni dopo la Corte d'appello diGenova concede agli ‘tto condannati la libertà provvisoria, e ne ordina lascarcerazione.Maurizio De Vita, allora presidente della Corte d'assise d>aPpello di Genova:1 siamo trovati in una situazione che è piuttosto anomala, diversa e^a m cu's*trovano m genere tutti i magistrati, i quali in piena ndenza di giudizio,serenità, obiettività di parere, ritengono di

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applicare la legge. Noi ci siamo trovati di fronte non tanto alla necessità diapplicare una norma di legge, quanto a quella di scegliere tra due mali. Abbiamoritenuto di scegliere il minore.La reazione è immediata. Il ministro dell'Interno ordina che il carcere diMarassi sia circondato per impedire l'uscita dei detenuti messi in libertà dallaCorte d'appello. Il procuratore generale impugna l'ordinanza con un ricorso allaCassazione: i detenuti non potranno essere messi in libertà prima che laCassazione si pronunci. Francesco Coco, con quel ricorso, firma la sua condannaa morte. La sua è- una mossa decisiva. Ora, di fronte al dilemma sono iterroristi.Tre giorni dopo, il 23 maggio, Sossi torna libero senza contropartite di sorta.Il giudice viene portato sino alla periferia di Milano, da dove può raggiungerela stazione Centrale per prendere un treno diretto a Genova.Sossi ha in tasca l'ultimo comunicato delle Brigate rosse. Dovrà consegnarlo ilgiorno dopo al "Corriere della Sera". Nel documento, intitolato "Perchérilasciamo Sossi in questo momento", si afferma che i 35 giorni del sequestroerano già serviti allo scopo di sviluppare al massimo, così si legge, lecontraddizioni all'interno e tra i vari organi dello Stato. Di fronteall'intervento di Coco, inteso a mettere le Br in posizione di stallo, la solaalternativa al rilascio immediato sarebbe stata, si legge ancora nel documentobrigatista, di tenere prigioniero Sossi con la prospettiva di doverlo liberare ogiustiziare qualche giorno dopo senza nessuna contropartita politica.Le Br compiono dunque il cosiddetto salto di qualità, per usare il lorolinguaggio. "E` venuto il momento di portare l'attacco al cuore dello Stato",teorizza il secondo documento delle Brigate rosse. Il sequestro del giudiceMario Sossi è stato - dirà Marco Boato, allora dirigente di Lotta continua - unpreciso punto di svolta, uno spartiacque all'interno del complesso e variegatoschieramento della sinistra rivoluzionaria, del quale fino a quel momento, sepure in modo del tutto marginale, anche il piccolo gruppo brigatista aveva fattoparte.Genova, 8 giugno del 1976. I terroristi attendono Francesco Coco all'imboccodella salita di Santa Brigida, una stradina angusta della città antica che ilmagistrato, tornando a casa, deve

percorrere a piedi. Sono tre, armati di pistole con silenziatore. Coco scendedall'auto, che si è fermata in via Balbi, alle 13,38. Il brigadiere di pubblicasicurezza, Giuseppe Saponara, lo segue. Insieme si avviano per la salita. Iterroristi sparano da pochi passi, alle spalle. Coco e il brigadiere muoionoall'istante. L'appuntato dei carabinieri, Antioco Dejana, è rimasto nell'auto,

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al volante. Un colpo lo uccide prima che possa fare un solo gesto. Larivendicazione delle Br dirà:II tribunale del popolo ha deciso di porre fine al bieco operato di FrancescoCoco e lo ha condannato a morte. Ora questa sentenza è stata eseguita e gliaguzzini del popolo possono stare sicuri che se il proletariato ha una pazienzainfinita ha anche una memoria prodigiosa, e che alla fine niente resteràimpunito.Magistratura, polizia, carabinieri, carceri, costituiscono ormai un bloccounico, sono le articolazioni cardine di uno stesso fronte militare che lo Statodelle multinazionali schiera contro il proletariato.L'unica alternativa di potere è la lotta armata per il comunismo. Occorre acuirela crisi di regime, puntando l'attacco ai cuore dello Stato, occorre rafforzareil potere proletario armato costruendo il partito combattente.C'è un'altra rivendicazione. Ha per scenario l'aula del tribunale di Torino doveè in corso, dal 17 maggio del '76, il primo processo alle Br. Dietro le sbarre:Renato Curcio, Alberto Franceschini e altri nove appartenenti al nucleo storicobrigatista, catturato, come vedremo, nel corso della prima, dura azione delloStato dopo il sequestro Sossi.Uno di loro, Prospero Gallinari, comincia a leggere: "Ieri i nuclei delleBrigate rosse hanno giustiziato il boia Francesco Coco e i due mercenari che lodovevano proteggere". Il presidente lo interrompe subito. I carabinieristrappano dalle mani di Gallinari il foglio del comunicato, ma il testo arrivaugualmente ai giornalisti. Il contenuto è minaccioso. "Coco non è u"arappresaglia esemplare," dice il documento. "Da questa azione si apre una nuovafase della guerra di classe. Oggi, insieme a Coco, siete stati giudicati anchevoi, egregie eccellenze. "Con l'attacco di Genova la strategia delle Brigate rosse com-PJe una svoltadecisiva. Siamo a un momento cruciale. Dopo la

160Sergio Zavolipropaganda armata, e la scelta della fabbrica come luogo privilegiato delconflitto di classe, il terrorismo rosso va all'attacco dello Stato. La primaazione è stata un sequestro: quello del giudice Sossi, rilasciato indenne senzacontropartite. Poi le Brigate rosse hanno deciso di innalzare il livello delloscontro. Il magistrato Francesco Coco è l'obiettivo simbolo di una nuovastrategia che accetta, includendolo nei mezzi di lotta politica, l'assassinio.Intervista con il Presidente Giovanni LeonePresidente Leone, sebbene ciò non rientrasse, a rigore, nelle sueresponsabilità, tuttavia le fu chiesto di esprimere un parere per cercare dirisolvere un dilemma dal punto di vista non soltanto umano. Che cosa ricorda diquel giorno?In quel giorno comincia il rosario del terrorismo, e io lo ricordo come ilmomento più tragico, più triste della Repubblica italiana.Presidente, la signora Sossi le inviò un telegramma. Che cosa diceva?Se lei consente lo leggo, lo faccio con l'ansia che è cominciata dal caso Sossi,che è durata per tutta la mia vita e che tuttora mi accompagna. Il telegrammadiceva: "Invoco urgente e immediato intervento vostra massima autorità a favoremio marito gravissimo pericolo soltanto per aver compiuto scrupolosamenteproprio dovere di magistrato della Repubblica. Mie fìglie supplicano e confidanovostra sensibilità uomo padre e magistrato affinchè il loro papa possa tornare acasa". Io risposi con una lunga lettera, non credo che vogliate sentirla, con laquale dicevo che non potevo far niente. Altre lettere io ho avutosuccessivamente dalla signora Sossi, la quale scrisse a suo tempo anche al papa;si rivolse, come è umano per una moglie, per una madre, a mezza Italia: ma noinon potevamo far niente.Il ministro Taviani impersonava allora la linea ferma del governo. Che cosa vidiceste in quella circostanza?Eravamo perfettamente d'accordo nel non mollare. Taviani va ricordato per averdato inizio, con la sua presa di posizione, al senso di rigore dello Statocontro il terrorismo.

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Si è molto parlato di una sua telefonata notturna, mi pare al-1 due di notte, alprocuratore generale di Genova, Francesco Coco: ci vuole ricostruire quelmomento?Come sa, il caso Sossi è stato quasi un giallo: per esempio, quando Sossi èstato liberato, non si è capito come, tanto è vero che Sossi ha avuto deifastidi, ed ebbe anche uno scontro con lo stesso Coco. I terroristi chiedevano,per lo. libertà di Sossi, la liberazione di tredici dei loro. La Corte d'assised'appello di Genova emise una decisione umanamente comprensibile, magiuridicamente assurda, perché concesse a costoro la libertà provvisoria. Ioricordo anche il nome del presidente di quella sezione: si chiamava De Vita,l'avevo conosciuto in Corte di cassazione come consigliere, ed era un magistratodi grande umanità: è chiaro che questa umanità gli prese la mano. Orbene, controquella decisione, per impedire che i terroristi uscissero, occorreva il ricorsoin Cassazione, e Coco presentò ricorso. Ma bisognava essere sicuri che egli nonmollasse. Una certa sera io ebbi la sensazione che Coco potesse cedere, potessenon combattere fino infondo. C'era anche la preoccupazione per la sua vita, perquello che poi è accaduto: e alle due di notte io fui preso da un incubo, hochiamato al telefono Coco, che mi ha risposto con molto garbo e non mi ha fattoneppure parlare, mi ha detto: "Signor Presidente, farò tutto il mio dovere, finoin fondo". Non è che si fece convincere da me. Era già convinto, e questocostituisce il punto di onore della memoria di Coco: il fatto che stesse agendoper sua spontanea decisione. A me aveva dato solo la conferma della sua volontà,non l'accettazione di un ordine del capo dello Stato.Senatore Leone, che cosa lasciò nel suo animo quella telefonata?Quella telefonata mi lasciò terribilmente preoccupato. Mi dissi: chissà che Cocofirmando questo ricorso per Cassazione non abbia segnato la sua condanna amorte. Avevo intuito che ciò poteva accadere, e ciò purtroppo accadde a distanzadi tempo.Ed io ai funerali dì Coco a Genova mi sentivo... mi sentivo un poco...ò ò. un poco colpevole?ò ò ò colpevole di aver indotto Coco a firmare... anche se, come ho detto,indotto da me, ma dalla sua coscienza.

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Parallelamente all'attacco del terrorismo rosso contro la magistratura, con glistessi obiettivi, nel 1976 anche l'estremismo di destra compie una svolta. Essaè provocata da una modifica negli orientamenti dello Stato verso la violenzanera, che fino ad allora era stata fin troppo sottovalutata. Sollecitati dalclima generale di crescita democratica, gli interventi degli organi repressivi,a lungo concentrati sulla sinistra, si rivolgono adesso anche nella direzioneopposta. Lo scenario, ora, ha tutti i suoi protagonisti allo scoperto; la storiadi quelli cosiddetti neri ha queste premesse:Nel 1973 si ha il processo contro Ordine nuovo; l'anno dopo i giudici di Torinoe di Padova danno il via a energiche istruttorie sul piano nazionale controtutta l'eversione di destra. Nel 1975 comincia il processo contro Avanguardianazionale; l'accusa, come per Ordine nuovo, è di ricostituzione del Partitofascista. Ordine nuovo è già sciolto, Avanguardia nazionale lo sarà tra poco.Nel settembre del 1975, in un casolare di Albano Laziale, alle porte di Roma, iresti di Ordine nuovo e di Avanguardia nazionale si fondono segretamente edecidono di contrattaccare. L'iniziativa è di Stefano Delle Ghiaie, tornato inItalia clandestinamente, e di Pier Luigi Concutelli, Paolo Signorelli, Massi-miliano Fachini e Adriano Tilgher.Nel documento conclusivo della riunione compaiono le parole "attacco alloStato". La prima vittima designata del nuovo corso del terrorismo rosso è stato

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un magistrato, Francesco Co-co. Un magistrato sarà la prima vittima del nuovoterrorismo nero: Vittorio Occorsio.VITTORIO OCCORSIO, 47 anni, sposato con due figli, è il sostituto procuratoreche nel 1967, al tempo del processo per il Piano Solo, si era schierato alfianco degli accusatori del generale De Lorenzo. Per la strage di piazza Fontanaaveva invece seguito con decisione la pista anarchica. " Prima mi hanno accusatodi essere di sinistra e poi di destra" aveva commentato "eppure io sono semprelo stesso. " Agli inizi degli anni Settanta Occorsio istruisce i processi controOrdine nuovo e Avanguardia nazionale. Più volte minacciato, era stato definitodagli estremisti neri un nemico da abbatter6 " perché era lui che faceva caderela scure che vuole smantellare destra".

Roma, 8,30 di sabato 10 luglio 1976. Vittorio Occorsio è appena uscito di casa,sale sulla sua auto, una 125. Dopo poche centinaia di metri frena bruscamente:due terroristi gli sbarrano la strada; uno, armato di mitra, spara. Occorsiomuore sotto la prima raffica. I terroristi prendono la borsa del magistrato efuggono. Sul cadavere hanno lasciato nove volantini: la rivendicazione deldelitto.La giustizia borghese si ferma all'ergastolo, la giustizia rivoluzionaria vaoltre. Un tribunale speciale ha giudicato Vittorio Occorsio e lo ha ritenutocolpevole di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittaturademocratica, perseguitando i militanti di Ordine nuovo, le idee di cui questisono portatori. L'atteggiamento inquisitorio tenuto dal servo del sistemaOccorsio non è meritevole di alcuna attenuante. L'accanimento da lui usato nelcolpire gli ordinovisti lo ha degradato a livello di un boia. Anche i boiamuoiono. La sentenza emessa dal tribunale del movimento politico Ordine nuovo èdi morte, e sarà eseguita da uno speciale nucleo operativo. Avanti per l'ordinenuovo!Eugenio Occorsio, giornalista, figlio del magistrato ucciso:II mio ricordo è di rabbia. Perché di rabbia? Perché era una persona chelavorava serenamente, coscientemente, lucidamente e con coerenza, lavoravamolto, persine a Casa. Era come sconcertato dalla gravita delle cose chesuccedevano e che doveva seguire. Le stesse cose che inquietano e turbano ognunodi noi leggendo il giornale. Però, poi, ognuno di noi può ripiegare il giornale:lui, invece, doveva approfondire questi argomenti, entrare nel vivo, valutare icasi umani, sentire le persone, capire quale logica mai si muovesse dietroquesto terrorismo... ecco... ci metteva, forse, un po' di sorpresa, come sedicesse: "Tu pensa questi che cosa hanno fatto...".Una vendetta, dunque, se si vuoi credere alla rivendicazione di Ordine nuovo.Dietro al delitto si profilano però altri sospetti, altre ombre: Occorsio stavainvestigando sul Piano Solo del generale De Lorenzo, conosceva perciò moltisegreti del Sifar. Inquietanti le prove, emerse nel corso dei lavoriparlamentari d'inchiesta sulla Loggia P2 e riferite nella relazione Anselmi, cheOccorsio stava minuziosamente indagando su possibili collegamenti fra le loggemassoniche e le organizzazioni sovversive nere. Licio Celli, maestro venerabiledella Loggia P2, alcuni giorni prima che Occorsio fosse assassinato era statovisto nella

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sua anticamera. C'era il sospetto di un collegamento loggia-terrorismo nero chearrivasse fino alla grande criminalità organizzata. Il magistrato ne aveva coltoalcuni indizi nelle indagini che stava svolgendo su alcuni sequestri insieme conil giudice istnittorc di Roma Ferdinando Imposimato, il quale ricorda:

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Stavo istruendo con Vittorio Occorsio alcuni sequestri di persona a scopo diestorsione, tra cui il sequestro Danesi, il sequestro Ortolani il sequestroAndreuzzi, il sequestro Francisci, e ricordo perfettamente che egli, pochigiorni prima, mi aveva fatto un'istanza di emissione di alcuni mandati dicattura contro alcuni imputati; uno di questi era iscritto alla Loggia P2. Egliaveva anche individuato dei collegamenti tra sequestratori di persona,terroristi neri e appartenenti alla Loggia P2 manifestando delle fortipreoccupazioni. Occorsio disponeva di una grande esperienza perché aveva giàistruito in parte il processo per la strage di piazza Fontana e all'inizio erastato depistato, purtroppo, dai servizi segreti. Poi aveva imboccato la stradagiusta. Ricordo anche che la mattina in cui fu ucciso, io, mezz'ora primadell'assassinio, gli telefonai per chiedergli qua! era il suo parere su unaistanza di libertà provvisoria che era stata presentata da un imputato iscrittoalla P2, ed egli mi disse che avrebbe espresso parere contrario.Il comandante militare di Ordine nuovo, Pier Luigi Concu-telli, è arrestatodagli agenti dell'ufficio politico della questura, nel febbraio del 1977, in unappartamento del centro di Roma. La polizia vi scopre armi, munizioni, un mitraIngram, che secondo le perizie è lo stesso usato per uccidere Occorsio, e unvolantino che rivendica l'assassinio del giudice, identico a quello trovatoaccanto al cadavere del magistrato. Concutelli sarà condannato all'ergastolo nelgennaio del 1978.PIER LUIGI CONCUTELLI, 33 anni, romano, si è trasferito giovanissimo a Palermocon la famiglia. Nel 1969 viene arrestato per deten-zione e porto abusivo diarmi da guerra. Torna in libertà nel 1970. Studente fuori corso della Facoltà diagraria nel 1973 e nel 1974, e presidente provinciale del Fuan, l'organizzazioneuniversitaria missina di Palermo. Nel giugno 1975 è candidato per il Movimen~ tosociale italiano alla Camera dei Deputati, ma prende solo 9oU voti. Poco più diun mese dopo Concutelli sequestra il direttore della Banca Agricola Salernitana,Luigi Mariano, e gli estorce un riscatto di 280 milioni. Espulso dal partito,dopo il sequestro fugge all'estero. Rientrerà

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clandestinamente in Italia pochi mesi prima dell'uccisione del giudice Occorsio.Nel nascondiglio di Concutelli la polizia trova anche undici ilioni in bigliettidi banca. I numeri di serie indicheranno che sono quelli pagati per il riscattodi Emanuela Trapani, una giovane milanese sequestrata dalla banda di RenatoVallanzasca. Per la prima volta viene alla luce un collegamento fra terrorismonero e delinquenza comune: trova così una conferma l'ipotesi su cui, prima diessere ucciso, lavorava Occorsio.Il 12 novembre del 1977 sono imputati dell'omicidio di Occorsio anche ClementeOraziani, capo di Ordine nuovo, Elio Massagrande, responsabile del settorepolitico e ideologico del eruppe, Paolo Signorelli, Stefano Delle Ghiaie eGiuseppe Pugliese. Si accerta che Ordine nuovo aveva organizzato basi in Spagnae in Corsica, utilizzate da capi e gregari del terrorismo nero.Gli omicidi di Coco e di Occorsio, i primi giudici che hanno perso la vita permano di terroristi, creano una situazione di turbamento all'interno dellamagistratura. Sono in molti a lamentare l'inefficienza della macchinagiudiziaria, ma la difficoltà di condurre fino in fondo indagini e istruttorieirte di intralci politici è un dato incontestabile. Il problema colpisce tuttala società civile.Nella difesa della comunità e dello Stato dall'attacco dell'eversione, lesentenze dei giudici pronunciate dopo dibattiti pubblici nei limiti di precisegaranzie per gli accusati, sono ar-nii costituzionali e morali; sono latestimonianza di uno Stato di diritto, che non si militarizza; proprio ilcontrario di ciò che il terrorismo vorrebbe.In questo ambito la magistratura ha svolto una funzione che S'i studiosi delsistema politico italiano chiamano "suppletiva".arenze altrui, nella maggior parte dei casi, l'hanno spinta in Prima linea, esul fronte aperto dal terrorismo ha lasciato que-sta tragica epigrafe:NCESCO COCO, procuratore generale della Repubblica di Genova, y ucciso dalle Br.ORIO OCCORSIO, sostituto procuratore a Roma, ucciso da Ordi-ne nuovo.

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RICCARDO PALMA, consigliere di Cassazione, ucciso dalle Br. GIROLAMOTARTAGLIONE, consigliere di Cassazione, ucciso dalle Br. FEDELE CALVOSA,procuratore della Repubblica a Prosinone, uccisodalle Unità comuniste combattenti. EMILIO ALESSANDRINI, sostituto procuratore aMilano, ucciso da Fri-ma linea. VITTORIO BACHELET, vicepresidente del Consiglio superiore dellamagistratura, ucciso dalle Br. NICOLA GIACUMBI, procuratore della Repubblica aSalerno, uccisodalle Br.GIROLAMO MINERVINI, consigliere di Cassazione, ucciso dalle Br. GUIDO GALLI,giudice istruttore a Milano, ucciso da Prima linea. MARIO AMATO, sostitutoprocuratore a Roma, ucciso dai Nar.Interviste a Mario Sossi e Alberto FranceschiniDottor Sossi, sono trascorsi più di quindici anni dal giorno in cui fu rapito,ma immagino che lei lo ricordi bene. Come tutte le sere, terminato il suolavoro, uscì dal tribunale per rincasare, e poi?Sì, mi ero attardato alquanto nel vecchio palazzo dì giustizia di Genova,Palazzo Ducale, in piazza Matteotti; dopodiché lasciai il palazzo di giustizia,scambiai qualche chiacchiera con un collega, il dottar Luciano Di Noto, e salii,essendo al capolinea, sull'autobus 42, il solito autobus che mi portava nellazona di Albaro.Al rapimento parteciparono una ventina di brigatisti divisi in tre nuclei, setteautomobili e un furgoncino, tutti rubati, naturalmente. L'intera operazione eradiretta da Margherita Cagol, che guidava una delle due auto di scorta, e daAlberto Franceschini. Spinto all'interno del furgone, lei venne colpito da unviolento calcio al torace e incatenato. Uno dei rapitori le disse: "Le haicercate le Br? Adesso le hai trovate!".Sì, quella fu la prima frase che udii pronunciare ed esattamente nei tef' miniche lei ha ricordato. Venni chiuso in un sacco, incatenato alle cav*slie e ai bolsi, e attraverso la iuta del sacco in cui ero chiuso riuscivo of, Lari-pena ad intravedere qualche cosa... mi pare però di essere stato anchet>edato, con garza o con cerotto... Purtroppo, anche ricordi così dramrnat1

attraverso il tempo si offuscano, certi particolari non sono più freschi comeuna volta.Mentre accadeva tutto questo, che cosa pensava?Pensai che forse il programma dei brigatisti sarebbe slato quello di gettarmidall'auto in corsa in qualche scarpala, oppure di uccidermi con colpi d'arma dafuoco durante il percorso. Naturalmente questo avvicendarsi di pensieri nonprecisamente rosei ebbe termine, temporaneamente diciamo, quando si giunse adestinazione e mi resi conto che venivo introdotto in un locale chiuso. Vennisbendato. Poi...Glielo ricordo io: lei entra in una stanza di circa sei metri quadrati senzafinestre, insonorizzata con del polistirolo; una sola lampadina, una branda, untavolinetto a mensola, un seggiolino pieghevole. Fissata a una parete unabandiera di stoffa rossa; al centro ha una stella gialla con una scritta"Portare l'attacco al cuore dello Stato". Che cosa capiva dei suoi carcerieri?Come parlavano? Qual era il loro umore? Li sentì forti e determinati o nervosi eincerti?Li sentii non so se incerti, certamente molto nervosi e agitati, molto inquieti.Veniamo ai due uomini che la sorvegliavano. Lei li chiama il laureato e ilgregario. Il primo è Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, e l'altro

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è Pietro Bertolazzi. Di Franceschini lei dice: mi parve subito colto, preparato;era lui che poi avrebbe fatto la parte del dominus in quella specie didibattimento. L'altro, invece, sembrava il pubblico ministero. C'è dell'ironia mquesta definizione? Che aspetti assunse quella sorta di processo? Di che cosal'accusavano, che tipo di rapporto si creò con i suoi carcerieri?Più che dell'ironia direi che in questo mio giudizio vi è una impressio-teimmediata, e molto relativa. Non vorrei che venisse fraintesa; nel rife-nrmi alFranceschini come al laureato, intendevo stabilire un termine di Paragonerispetto al gregario, molto rozzo e piuttosto limitato, direi an-e colturalmente, rispetto a esigenze di comunicazione con l'ostaggio.

168 Sergio TavoliEvidentemente tutto ciò che concerneva i rapporti con il prigioniero era gestitoda Franceschi(tm).Franceschini, lei era il responsabile primo del sequestro Sossi?Sì.Partecipò agli interrogatori? Si.Influì sulla decisione finale, cioè quella di liberarlo? Sì e la decisione, datala mia posizione, fu determinante.Lei pensa che l'esito avrebbe potuto essere diverso?Sì, certo. Avrebbe potuto anche essere un esito non di liberazione, ma di morte.Dottor Sossi, cito dal suo libro: "La prima cosa che pensai all'alba di venerdì19 aprile fu che fuori doveva essere scoppiata la guerra civile, le sinistreestreme avranno deciso di passare all'insurrezione armata che ormai predicano daquattro anni, avranno fatto prigionieri simultaneamente in tutta Italiamagistrati, funzionari di polizia, uomini politici; il governo a quest'ora staràreagendo..." e così via. Che cosa glielo faceva credere?Diciamo che essendosi verificati nei mesi precedenti episodi di minar rilievo,ma così incalzanti, quali il sequestro dell'ingegner Amerio e del collega DiGennaro, allora al ministero di Grazia e Giustizia con funzioni di dirigentenell'ambito dell'amministrazione penitenziaria, questa escalation, che dovevasfociare nel mio sequestro, mi faceva pensare ad una decisione di caratterecollegiale, a brevi contatti tra i gruppi più agguerriti e più potenti e allapossibilità che il disordine, il marasma provocato da tali fatti avrebbefavorito determinate iniziative prettamente politiche, che avrebbero ancheportato a un tentativo di insurrezione o, in tempi relativamente brevi, a unmutamento politico in Italia.

169La notte della RepubblicaAffrontiamo il capitolo dell'indagine. Il governo presieduto dal democristianoMariano Rumor viene preso alla sprovvista. Il ministro dell'Interno, ildemocristiano Paolo Emilio Taviani, dispone l'invio immediato a Genova del capodella polizia, Zanda Loy. Nella sua prima conferenza stampa, in questura, ZandaLoy annuncia ironicamente ai giornalisti: "Non posso dire molto sulle Br, holasciato gli appunti a casa". Comunque, a Genova, giungono quattromila uominitra polizia e carabinieri; per le ricerche vengono impiegati elicotteri,motovedette e cani. Era al corrente, attraverso i suoi carcerieri, di quellamobilitazione? Sperava che si riuscisse a trovare il nascondiglio dove latenevano prigioniero o temeva, al contrario, le conseguenze di un possibilescontro a fuoco?I miei carcerieri si preoccuparono di informarmi immediatamente dellospiegamento di forze conseguente al mio sequestro, ma a queste informazioni, checertamente non ero in grado di controllare, in un primo tempo, salvo poi poterleverificare attraverso i ritagli di giornale che saltuariamente mi venivanoforniti, si aggiungevano considerazioni e battute di Franceschini, soprattutto,

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ma anche di Bertolazzi, come: "Ma qui facciamo la fine dei topi", "Cercano ilmorto", "C'è la volontà di fare un 'irruzione e poi di uccidere te e noi".Furono i suoi carcerieri a imporle di chiedere alla procura della Repubblica lasospensione immediata, cito dal suo libro, "di ricerche inutili e dannose"?La realtà è che, secondo me, era necessario prendere tempo. Prendere tempoperché eventualmente si potesse stabilire anche attraverso messaggi un qualchecontatto che venisse capito da coloro che lo avrebbero ricevuto.Col suo sequestro l'Italia conosce il simbolo delle Brigate ros-Se> la stella acinque punte. Tutti la ricordiamo in quella dram-matica fotografia. Chi fu a imporle di posare davanti al drappo?Mah, veramente successe questo: mi fecero capire che attraverso lafoto-ia cheavrebbero scattato con la Polaroid, le mie figlie, mia moglie, ‘ ' amia,avrebbero saputo che ero in vita e quella fu la mia prima e, in ^'òmomento,unica preoccupazione.

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In quei momenti qual era il suo stato d'animo? Tendeva alla depressione? Avevamomenti di scoramento?Direi che certamente attraversai momenti di grande scoramento, ma determinatinon soltanto o non prevalentemente dalla mia situazione disgra-ziatissima,quanto dal pensiero che rivolgevo ai congiunti, alle persone amiche, a coloroche improvvisamente si trovavano di fronte a un fatto enorme, imprevedibile eimpensabile.Franceschini La cosa che mi colpì di più fu la differenza tra l'immagine che ioavevo, e che lui dava di sé, come giudice in un 'aula di tribunale, e l'immaginedi lui come persona. Certamente l'immagine di luì come persona era molto megliodell'immagine di lui come giudice. E` una persona con cui io, durante la suaprigionia, avevo stabilito anche un rapporto diciamo di amicizia, ma è diretroppo... Comunque, tra noi e 'era certamente un rapporto di vicinanza...E come si manifestava?Nel senso che, ad esempio, io lo consolavo anche in momenti di crisi suaprofonda... Mi colpiva, vedevo in lui un uomo realmente sofferente.Non era un po' paradossale consolarlo rispetto a qualcosa che lei stessoprovocava?Sì, per certi aspetti sì. Infatti questa è la contraddizione, e grossa, che anch'io vedevo. Tanto è vero che mi sono sempre detto, successivamente, che nonavrei mai più voluto essere nella situazione di uno che fa il carceriere. Pensoche sia il mestiere più terribile.Con il passare dei giorni, dottor Sossi, che cosa andava maturando, nel bene enel male, tra lei e i suoi carcerieri?Mah... da parte mia la consapevolezza che nei miei rapporti con loro, al di làdella possibilità di recapitare messaggi, instaurare un colloquio che potesserendermi consapevole delle reali intenzioni dei carcerieri poteva forsepermettermi di sfruttare un pochino quello che era il loro modo di pensare e iloro programmi, nei limiti in cui gli stessi programmi rnifo5' sera statirivelati.Mi ripeta, se può, qualche domanda che le venne fatta...

Le domande riguardavano quasi esclusivamente inchieste giudiziarie e per il 90per cento il processo contro i componenti del gruppo XXII Ottobre. Quindi, comemai era stato accusato un certo Ardolino, nei primi tempi ritenuto autoredell'omicidio di Alessandro Floris; se qualcuno aveva, diciamo, seguito certipersonaggi marginali rispetto all'esecuzione del delitto; se pensavo che vifossero state infiltrazioni; come potevo ritenere meritevole di ergastolo un

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personaggio che aveva da ragazzo dovuto affrontare determinate difficoltà diambiente familiare. C'erano poi, a volte, considerazioni di carattere, direi,pietistico nei confronti dei protagonisti o di primo o di secondo piano dellavicenda XXII Ottobre.Il tono era inquisitorio o si trattava di una semplice acquisizione di notizie?Acquisizione di notizie direi zero, direi piuttosto che era il commento dideterminate mie iniziative, e richieste sul perché le avevo prese soprattuttosotto il profilo della sensibilità o insensibilità che avrei dimostrato neiconfronti degli autori del sequestro Gadolla e dell'omicidio Floris.Trovò legittima anche una sola delle domande che le vennero fatte?Nessuna.Pensò mai che la situazione stesse anticipando, con i suoi rituali, un finaledrammatico?Certo. Anche se all'inizio un pensiero del genere non mi sfiorò neppure.Malgrado il carattere così esibizionistico, se vogliamo, e propagandistico delmio sequestro, io ritenevo che potesse ancora collocarsi nell'ambito degli attidimostrativi, anche se esasperati, anche se temerari...E quando e perché incominciò a pensare al peggio?Quando si iniziò a parlare in termini di ostaggio, di scambi e di ospitalitàpresso le ambasciate di determinati Stati a favore degli imputati che avrebberodovuto essere scarcerati.Ecco il punto, la sua libertà in cambio di quella di Mario i e degli altri settemembri della XXII Ottobre. Pensò che richiesta potesse venire accettata? Lagiudicò uno stru-risolutore della vicenda o un'ulteriore complicazione?

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Ritenevo molto improbabile che una richiesta del genere venisse accettata.Intendevo sfruttare al massimo la richiesta formulata dalle Brigate rosse perchéproprio nell'ultima fase del mio sequestro, forse sono in errore, credetti diravvisare una grave difficoltà, anche di movimento e decisionale dei componentidelle Brigate rosse che indubbiamente, in quel momento, a differenza di altriperiodi, di altre situazioni, non avevano la possibilità di una consulenzalegale e pertanto si affidavano un pochino alla sorte e giocavano d'azzardo. Eraun tentativo di osare il più possibile, esasperare la situazione, creare quellostato di necessità che avrebbe potuto anche indurre l'autorità polìtica ol'autorità giudiziaria allo scambio.A questo proposito, come reagì quando apprese che il governo e in particolare ilministro dell'Interno Taviani, il segretario della Democrazia cristiana Fanfanie il Partito comunista si erano fermamente pronunciati contro ogni trattativa?Si sentiva abbandonato, tradito, condannato, o sperava ancora?Da me quella decisione era data per scontata. Ripeto, si trattava non tanto disperare in una soluzione quanto mai improbabile e quanto mai remota, ma, invece,di svolgere una certa opera di convincimento, se così la possiamo chiamare, neiconfronti dei carcerieri; nel senso - e a questo fine mi fu molto utile laposizione assunta dal dottar Caco - che senza la mia liberazione nessunaconcessione sarebbe stata fatta, vuoi dal governo, vuoi dalla magistratura, alleBrigate rosse.Lei in quei giorni, per così dire, si indurisce, non è tenero nei confrontidello Stato. Scrive infatti: "Non intendo pagare per altrui errori; lo Stato cheho sempre servito, ora, tutelando me tutela se stesso e adempie a un precisoobbligo giuridico e morale". A quali errori si riferiva?

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Attraverso un mio messaggio avevo ritenuto di essere stato abbastanza, chiaronei confronti di chi avrebbe dovuto intendere, fra le righe, i mieisuggerimenti. Questo senza falsa modestia; vale a dire, vi era unacontraddizione evidente fra tutta una serie di norme che, se vogliamo, avevanoallentato un pochino il freno della repressione nei confronti dei componenti deigruppi eversivi, e questa apparente durezza, intransigenza e inflessibilità inordine alle possibilità di uno scambio.

Chi si oppose con maggiore decisione a una trattativa da lei condivisa, cheportasse alla liberazione di detenuti già condannati, fu il procuratore generaledi Genova, Francesco Coco. Lei, se non sbaglio, era legato a Coco da un rapportodi collaborazione, di stima reciproca, se non anche di amicizia. Come logiudicò, in quel momento?In realtà, le prime informazioni che mi furono fornite dai carcerieri mitrassero in inganno. Mi resi ben presto conto, già nella "prigione del popolo",che la tattica del compianto dottar Coco rispondeva all'esigenza di armonizzaree contemperare la necessità da parte dello Stato di mantenere in carcere coloroche si erano resi responsabili di gravissimi crimini, con la possibilità diottenere la mia liberazione. Tant 'è vero che la condizione posta dal dottarCoco non fu un rifiuto categorico alla scarcerazione, ma che, prima, io avreidovuto uscire incolume, nel senso letterale della parola, dalla prigionia; soloallora sarebbe stato dato corso alla scarcerazione, all'esecuzione della famosaordinanza della Corte d'appello di Genova.Il 18 maggio, a un mese dal sequestro, le Br lanciano un ultimatum: o lo scambioentro 48 ore dalla mezzanotte o Sossi verrà ucciso. Le era stata comunicataquesta decisione? Con quali parole?Non in questi termini ma diciamo in modo più morbido. Un conto è il contenutodel messaggio diffuso all'esterno e un conto è il discorso fattomi daicarcerieri in questi termini, grosso modo: "Noi ci troviamo in un vicolo cieco,abbiamo detto che tu rischi la pelle se non verrà accettata la nostra proposta,ma cercheremo assolutamente, se non siamo proprio costret-tl> di non realizzarequesto intento che ufficialmente abbiamo divulgato attraverso il messaggio.Magari si tratterà di una prigionia lunghissima, 7?tó non arriveremoprobabilmente all'epilogo... ".Mi perdoni una piccola curiosità: lei, a sua volta, dava del tu ai carcerieri?Certamente, in quanto loro davano del tu a me e non ritenevo di doverli ignaredèi "lei" o di qualche altro particolare riguardo.Franceschi(tm), Sossi temette mai per la sua vita?

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Sì, spessissimo temette per la sua vita.Ci furono nei suoi rapporti con lui, nei suoi interrogato!-1 elementi chepotessero indurlo a credere che non se la sarebK cavata a buon mercato?Sì. Una volta polizia e carabinieri, nei loro rastrellamenti, arrivaronvicinissimi alla prigione, tanto che si sentiva il rumore di un elicotteronettissimo, sopra le nostre teste. Io cercai di far credere a Sossi che era untrattore di una casa di campagna lì vicino, ma era chiarissimo che non era untrattore. E lui si spaventò moltissimo, perché si rendeva conto che se fossearrivata la polizia, certamente sarebbe successo l'irreparabile.E quale rapporto si creò in quel momento?Eh, lì ci fu un rapporto di solidarietà. Cioè tutti e due ci sentivamo in unasituazione in cui le nostre vite erano strettamente legate. Quindi, o cisalvavamo insieme o non si salvava nessuno dei due!

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L'ultimatum delle Br affretta i tempi di una decisione che a molti appare diresa. La Corte d'appello, malgrado il parere contrario del procuratore generale,Coco, il 20 maggio concede agli otto della banda XXII Ottobre il beneficio dellalibertà provvisoria e il nulla osta per il rilascio del passaporto ai finidell'espatrio. Le sembrò una decisione giuridicamente corretta? Capì allora,dottor Sossi, che sarebbe stato liberato o no?Ritengo, al di là di quelle che sono le norme giuridiche, che indubbiamenteesistesse quello stato di necessità che mette in moto particolari strumenti,particolari possibilità, rinvenibili anche nel nostro ordinamento giuridico neiprincipi generali. Ritengo, in particolare, che lo scopo dell'ordinanza che,secondo me, anche nelle intenzioni di chi ebbe ad approvarla non avrebbe avutoconcrete possibilità di realizzazione, e tuttavia aveva indubbiamente un enormeeffetto psicologico, ritengo che lo scopo dell'ordinanza fosse quello didisarmare i miei carcerieri.Il 22 maggio è la sua ultima sera in carcere. Come l'ha vissuta?Beh, direi che l'ultima sera ormai i giochi erano fatti. Mi era stata comunicataad horas la mia imminente liberazione. Ci fu un rituale: coi^ l'aggiustamentodella barba, qualche cibo un pochino più sostanzioso "'

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f>etto a quelli che mi venivano normalmente somministrati, ed anche l'è-posizione di un programma di massima che riguardava le modalità del ;aopio perMilano, perché mi venne chiaramente detto che sarei stato posto in libertà,definitivamente, a Milano.E` vero che all'improvviso si era fatto vivo un elicottero, e che aveva creatouna forte concitazione nei suoi carcerieri?Verissimo, una specie di panico, direi, che traspariva chiaramente dalle parolee dagli atteggiamenti di Franceschini e di Bertolazzi.Poi, il viaggio a Milano. Che cosa le dissero i brigatisti al momento dilasciarla su una panchina, in un giardino? Se non sbaglio le consegnarono unbiglietto ferroviario per Genova. Può farci il racconto di quel congedo?Innanzitutto è importante un particolare che mi consentì poi di riconoscere icarcerieri. Con grave rischio, penso, durante il tragitto in macchina misollevai uno dei cerotti e riuscii a individuare, per intero, non più con lamaschera e con la cappa, le fisionomie di Bertolazzi e di Franceschini che sitrovavano sui due sedili anteriori dell'autovettura con la quale fui trasportatoa Milano.A Milano, appena tornato libero, lei non prese subito contatto con la polizia,ma si recò in taxi alla stazione. In treno si fece addirittura riconoscere da uncompagno di viaggio. Perché?Mi rendevo conto, vista la mia decisione di non fermarmi a Milano, che a meno dinon venire riconosciuto da qualcuno, ma non era facile riconoscermi con ilberretto, gli occhiali scuri, la barba incolta e così via, difficilmente sareistato creduto e avrei conservato la freddezza di non chiedere soccorso, di nonrivelare la mia identità, di non consegnarmi anche al primo viandante, per dire:ecco, sono qua, avvisate mia moglie, avvisate i miei figli, sono stato liberato.Franceschini, in virtù di che cosa si salvò il dottor Sossi?Immediatamente mi viene da rispondere che si salvò in base ad una riflessionepolitica sulla situazione che si era venuta a creare: la Corte d'aste d'appellodi Genova aveva dato la libertà ai compagni, anche se, al-

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meno io, ero perfettamente consapevole che era una libertà formale, e nonsarebbe mai diventata reale. Questo riconoscimento formale di libertà, ter noi,dal punto di vista simbolica-politico, era già una vittoria che quindi cipermetteva di poter liberare Sossi salvando, diciamo così, la faccia. Credo chein me abbiano funzionato - mi sono posto spesso il problema -ragioni di tipo

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personale: cioè, ero spaventato di fronte al fatto di dover decidere anchel'irreparabile nei confronti di Sossi.L'8 giugno del 1976, Francesco Coco, l'uomo che aveva respinto la trattativa peril suo scambio con gli elementi della XXII Ottobre, fu ucciso a Genova da uncommando brigatista. Che cosa pensò, allora, dottor Sossi?Appena liberato avvertii la polizia che vi erano state gravissime minacce neiconfronti del dottor Coco. Dopo un certo periodo di tempo, con il compiantodottor Coco, pochi mesi prima del suo assassinio ad opera delle Brigate rosse,ebbi un lungo colloquio nel corso del quale vennero chiariti equivoci che sierano ingenerati specialmente durante i primi tempi della mia segregazione.Un breve passo indietro, per appagare, se lei crede, una piccola curiosità. E`vero che Franceschini nel congedarsi da lei le aveva detto, ostentandoun'ironica confidenza: "Vai, Mario. Adesso fai il bravo".Non esattamente. Disse: "Metti giudizio"... e non ebbe risposta. Furono leultime parole che sentii dire da Franceschini.

ViliPIAZZA DELLA LOGGIA, UN ECCIDIO MIRATOIL MISTERO DEL TRENO ITALICUS QUESTI SONO I BURATTINI, CHI E` IL BURATTINAIO?"NBrescia, 28 maggio 1974, piazza della Loggia. E in corso una manifestazionesindacale di protesta contro gli attentati e le provocazioni dei gruppineofascisti, che si ripetono da mesi. Comincia a piovere, la folla si dirada.Molti si riparano sotto i portici. Sta parlando Franco Castrezzati,sindacalista. Sono le10 e 12 minuti.Amici e compagni, lavoratori, studenti, siamo in piazza perché in questi ultimitempi una serie di attentati di marca fascista ha posto la nostra cittàall'attenzione preoccupata di tutte le forze antifasciste. Sono così venuti allaluce uomini di primo piano che hanno rapporti con gli attentatori di piazzaFontana e del direttissimo Torino-Roma, vengono pure alla luce bombe, armi,tritolo, esplosivi di ogni genere. Ci troviamo dunque di fronte a trameintessute segretamente da chi ha mezzi e obiettivi precisi. A Milano...[Esplosioni e grida]State fermi... state calmi, state calmi! State all'interno della piazza!11 servizio d'ordine faccia cordone attorno alla piazza; state all'internodella piazza! Invitiamo tutti a portarsi sotto il palco! Venite sotto ilpalco! State calmi! Lasciate posto alla Croce Bianca, lasciate il passo!Lasciate il passaggio alle macchine! Lasciate il passaggio alle macchine! Tutti in piazza della Vittoria! Tutti in piazza della Vittoria!Una bomba è scoppiata sotto l'arcata della Torre dell'Orologio. Era nascosta inun cestino dei rifiuti: 8 i morti (5 insegnan-ll> due operai e un pensionato),94 i feriti.

Intervista a Franco CastrezzatiFranco Castrezzati, dirigente della Cisl. Quel giorno era sta-‘ designato atenere il comizio. Che cosa ricorda di quella lattina? Pioveva, se nonsbaglio...

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Sì, pioveva parecchio e questo aveva impedito che ci fosse una grosspartecipazione. Per non lasciare le persone in situazione di disagio, ave. vamodeciso anche di cominciare puntualmente alle dieci...Lei cominciò a parlare: con quale stato d'animo?

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In uno stato d'animo che rifletteva quello stesso della città, una città chesubiva da mesi attentati, anche se limitati alle cose. Quel giorno fu la primavolta che l'attentato colpì tragicamente la gente...Che cosa vide dal palco?Ricordo di aver visto, prima di tutto, una specie di nube e, subito dopo,l'esplosione: e contemporaneamente ho visto volare striscioni, bandiere, e hocapito, ho capito subito, che e 'era stata qualche cosa di molto grave. Dalpalco ho visto la piazza ribollire di rabbia, di ansia, di dolore di paura,certamente di paura, e in quel momento ho capito un 'altra cosa: che dovevo unpò ' controllare la situazione.Lei rimase sul palco, al microfono, e cominciò a dare ordini...Si.Che cosa disse?Arrivavano le voci più disparate: certo, c'era uno stato di grande tensioneemotiva, qualcuno diceva: "Abbiamo sentito che hanno messo bombe anche in altreparti della piazza", per cui io dovevo dire: "State al centro della piazza", epoi: " Venite verso il palco", perché le voci si accavallavano. Si diceva dialtre bombe collocate pressappoco nella zona dove era scoppiata la prima, e io,sulla base di queste voci, cercavo di dire alla gente cosa doveva fare fino aquando non dissi: "Spostatevi in piazza della Vittoria", che è una piazzaadiacente, dove si pensava che non rifosse perìcolo.Quando, e perché, si decise a scendere dal palco?Quando ho visto che ormai erano arrivate le autolettighe, e le macchii^ avevanoportato via i feriti, oltre cento; e poi quando ho visto arrivare, M~ compagnatoda alcuni lavoratori, mio fratello completamente coperto "l

sangue- Siccome non bastavano le autolettighe, ho preso una macchina deisindacati, abbiamo fatto fatica anche a caricare. Ero parecchio preoccupaloanche perché mio figlio mi aveva detto che l'altro fratello, che si trovava conlui, e(tm) sparito e non se ne sapeva niente. Ma il problema più importante eradire alla gente cosa dovesse fare. Per esempio, ricordo che in un primo momentoerano arrivati anche alcuni autocarri carichi di carabinieri e questo potevasembrare una provocazione: io mi rivolsi all'ufficiale che li comandava, unapersona molto intelligente che capì subito la situazione e dette ordine aicarabinieri di risalire sugli autocani e di andarsene.Quante persone erano rimaste sul selciato, ferite o morte?Ecco, era difficile da dirsi, perché i corpi erano completamente dilaniati: sivedeva una gamba da una parte e poi dei busti decapitati, oppure arti mescolaticon altri. E` per questo che abbiamo avuto difficoltà, in quel momento, a direquanti erano i morti. Io ho visto questo carnaio dopo aver fatto un altro mezzocomizio in piazza della Vittoria, perché si capiva che i lavoratori non volevanorestare soli, non volevano andarsene, sentivano il bisogno di stare insieme.Quando si decise a tornare a casa, con chi parlò per primo?Sono tornato a casa che era sera. Ero bagnato fradicio perché non avevo neancheun soprabito, sono stato sempre sotto l'acqua. Mi era venuto un forte mal ditesta. Quando sono arrivato a casa ho vomitato l'anima. Ma cercavo di resistere,ecco, perché sapevo che il giorno dopo sarebbe stato molto impegnativo...\E rimasto segnato da quell'episodio?Sì. Avevo già avuto un 'esperienza traumatica durante la Resistenza. Ricordo unavolta, ero prigioniero, e ci obbligarono ad assistere a una fucilazione...Pensavo fosse stata l'esperienza peggiore della mia vita. Ma sbagliavo. Questoattentato è stata la cosa peggiore. Può darsi che oggi io "a più fragile diquando ero giovane. Non lo so. So che certamente la cosa mi ha segnato.Le indagini della magistratura prendono il via fra grandi dif-"coltà; sirivolgono verso gli ambienti del neofascismo brescia-n‘- Dopo quasi tre anni diistruttoria verranno rinviate a giudi-

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zio nove persone imputate di strage: tra queste, Ermanno Buzzi e i fratelliAngiolino e Raffaele Papa. Ecco l'iter dei processi.BRESCIA 1979, sentenza di primo grado: ergastolo a Ermanno Buzzi; 10 anni adAngiolino Papa; assolti con formula piena gli altri imputati.BRESCIA 1982, sentenza d'appello: assolti tutti gli imputati per non avercommesso il fatto. Per Buzzi, sentenza di non doversi procedere "per la mortedel reo". E` stato infatti strangolato nel supercarcere di Novara da Pier LuigiConcutelli e Mario Tuli.ROMA 1983, la Cassazione annulla il processo d'appello.VENEZIA 1985, nuovo processo d'appello: Angiolino Papa, Marco De Amici eFernando Ferrari assolti per insufficienza di prove. Nel 1987 la sentenza saràdefinitiva.Intanto, un'inchiesta bis aveva portato nel gennaio 1987 a un altro processo contre nuovi imputati: Cesare Ferri, Alessandro Stefanov e Sergio Latini. Ilprocesso si conclude in prima istanza con una assoluzione per insufficienza diprove e, in appello, il 31 marzo 1989, per non aver commesso il fatto. Questasentenza assolutoria è confermata dalla Cassazione il 13 novembre 1989. Dopo 15anni e 6 processi, la strage di Brescia è ancora senza colpevoli.Quella di Piazza della Loggia, da vent'anni a questa parte, è la quarta stragepolitica. La prima fu quella di piazza Fontana; in essa morì gente comune,clienti della banca; la seconda fu quella di Gioia Tauro, dove venne fattoderagliare il treno Freccia del Sud, diretto a Reggio Calabria; la terza, quellaprovocata da Bertoli davanti alla questura centrale di Milano: anche lì rimaseuccisa gente qualunque, passanti. A Brescia, invece, le vittime non sonocasuali: cadono cittadini che protestano in piazza contro la violenza nera.30 maggio, due giorni dopo la strage di Brescia. Uno dei capi di Ordine nero,Giancarlo Esposti, spara su una pattuglia di carabinieri e guardie forestali chelo hanno scoperto accampato con tre compagni a Pian del Rascino, sulle montagnefra le province dell'Aquila e di Rieti. La pattuglia dei militari risponde alfuoco. Dopo una violenta sparatoria due carabinieri rimangono feriti, treestremisti si arrendono e vengono arrestati-Esposti resta sul terreno crivellatodi proiettili. La ferita mortale è alla testa. Si dirà che sembrava un colpo digrazia dop‘

"'esecuzione, ma mentre nulla avvalora questo sospetto sarà provato che fuEsposti a sparare per primo.Testimonianza di due guardie forestali:All'atto della sparatoria hanno detto che facevano parte delle Brigate rosse,poi subito dopo hanno smentito e infatti hanno proprio affermato: "Noi siamo deifascisti"."Ma perché portate tutta questa roba, tutto questo arsenale, tutte queste armi,tutta questa polvere, che cosa ne fate?""Dobbiamo uccidere, dobbiamo uccidere... però non voi, non siamo contro le forzedi polizia, noi non vogliamo voi. Ci stiamo addestrando alla guerriglia edobbiamo uccidere. "Abbiamo chiesto: "Chi vi ha fornito tutto questo materiale?". Ci hanno risposto:"Domandatelo a lui". All'Esposti che era già morto e grondava sangue.Sotto le tende del campo paramilitare, armi, munizioni e 65 chili di esplosivo.Polizia e carabinieri avevano già scoperto negli ultimi anni altri attendamentisimili a quello di Pian del Rascino, una settantina, alcuni con poligoni di tiroe percorsi di guerra.I primi campi paramilitari furono organizzati da Avanguardia nazionale e Ordinenuovo. Avevano lo scopo di addestrare gruppi di giovani nelle tecniche dellaguerriglia e della controguerriglia: tiro con armi da guerra, uso di esplosivi,combattimento corpo a corpo.Nel convegno dell'Istituto Alberto Pollio che si era tenuto a Roma all'hotelParco dei Principi nel maggio del 1965, sul tema "La guerra rivoluzionaria",erano state espresse molte delle convinzioni della destra estremista che non si

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riconosceva nei Partiti politici; neppure nel Movimento sociale italiano,giudicato complice del sistema parlamentare.La prima di queste convinzioni, d'altronde largamente con-Vlsa in Paesi come la Spagna, la Grecia e il Cile, era che l'a-nzata palese e occulta del comunismo si potesse arrestare sol-‘ c‘n l'interventodei militari, affiancati da una sorta di vo-ntarlato civile. Edgardo Bel trametti aveva detto: "Di fronte alcolò comunista che minaccia la civiltà occidentale i sistemiocratici sono inadeguati; occorre radicalizzare lo scontrorando uno strumento che comprenda la creazione di

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gruppi permanenti di autodifesa i quali non esitino ad accettare la lotta nellecondizioni meno ortodosse".Un altro relatore, il professor Pio Filipponi Ronconi, aveva descritto unoschieramento di forze rivoluzionarie articolato in gruppi disposti su varilivelli, secondo la loro collocazione nella società e i compiti che dovevanosvolgere: "Tali unità andranno addestrate a compiti di controterrore e dirottura nei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversacostellazione di forze al potere".Ci si domandò perché Esposti, a due giorni dalla strage di piazza della Loggia,fosse accampato a Pian del Rascino con armi, munizioni ed esplosivi. Si parlò alungo di un misterioso secondo uomo, suo compagno di tenda, sfuggito allacattura e scomparso. Restò senza spiegazione il fatto che molte delle munizionisequestrate facessero parte di uno stock assegnato al ministero dell'Interno.Infine, si fece strada un dubbio ancora più inquietante: che vi fosse unprogetto, annullato all'ultimo momento, per attentare addirittura alla vita delpresidente della Repubblica, Giovanni Leone. In questo ipotetico piano era inqualche modo coinvolto anche Esposti? Al di là del suo fondamento, subitoincerto, di quell'ipotesi non si parlò più.Tra maggio e giugno del 1974, tre modifiche dell'organigramma dei carabinieri edel ministero dell'Interno si riveleranno di grande importanza nella lottacontro l'eversione.Il 22 maggio, viene costituito presso la Brigata carabinieri di Torino un corpospeciale contro l'attività terroristica agli ordini del generale Carlo Albertodalla Chiesa. Al nuovo reparto sono assegnati, all'inizio, quaranta uomini.Nuclei del corpo speciale verranno presto inseriti nei reparti operativi dellecittà più ini' portanti.Il 29 maggio, il ministro dell'Interno Taviani scioglie l'U"1'ciò affari riservati, un organismo su cui pesano giudizi controversi e persine di legittimità, retto da Umberto Federico D A'mato fin dal 1968. ,II 1‘ giugno nasce l'Ispettorato antiterrorismo, diretto d questore EmilieSantillo, con un organico di 300 uomini

iti in 13 centri periferici e sottocentri minori. alle dipendenze dirette delcapo della polizia.Dietro i provvedimenti per contrastare l'eversione c'è la crescita minacciosadel terrorismo nero, nel quale trovano sfogo le ossessioni anticomuniste e iprogetti autoritari dell'estremismo di destra. Il Movimento sociale italiano, inquegli anni, è non di rado sospettato di connivenza con terroristi della destraeversiva, i quali, prima di entrare in Ordine nero, nei Nar o nelle Sam, dopoaver militato nell'Msi l'avevano abbandonato perché lo giudicavano ormai

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compromesso con il regime parlamentare o ne erano stati espulsi. La scelta daparte di Almiran-te di una linea che verrà sommariamente chiamata del "doppiopetto", teorizzerà il distacco del suo partito dall'area eversiva neofascista.I giovani estremisti non si appagano dell'esaltazione del ventennio sulla qualenon di rado fa leva un'ala del neofascismo confluito nel Movimento sociale. Essisi riconoscono soprattutto nell'insegnamento di Julius Evola, un singolarepensatore di nobile origine siciliana, la cui dottrina costituisce uno deisistemi più radicalmente antiegualitari, antiliberali, antidemocratici eantipopolari del XX secolo. E una strana mescolanza di idealismo, di filosofieorientali, di tradizionalismo. Lo Stato, per Evola, deve essere retto da unaminoranza elitaria, animosa, ispirata a ideali eroici fino al sacrificioestremo. Ecco uno stralcio della sua predicazione:Gli uomini del nuovo schieramento saranno sì antiborghesi, ma per via di unasuperiore concezione eroica ed aristocratica dell'esistenza. Sarannoantiborghesi che disdegnano la vita comoda; antiborghesi Perché seguiranno noncoloro che promettono vantaggi materiali, ma coloro che esigono tutto da sestessi; antiborghesi, infine, perché non hanno la preoccupazione dellasicurezza, ma amano un'unione essen-ziate fra vita e morte, su tutti i piani,facendo propria l'inesorabilità ae'l idea nuda e dell'azione precisa.il modello di organizzazione politica, per Evola, non è il par-‘> ma l'Ordine.Egli si richiama agli ordini monastici, e suerrieri insieme, del Medioevo: primofra tutti quello dei Ca-len Teutonici, conquistatori della Prussia orientale.Incartoni moderne dell'Ordine sono, per Evola, la Falange na-

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zionalista e tradizionalista dello spagnolo José Antonio Primo de Rivera, laLegione dell'Arcangelo Michele e le Guardie di Ferro, entrambe fasciste eantisemite, fondate in Romania da Corneliu Codreanu e infine le SS naziste, acui Evola dedica pagine dense di ammirazione.L'influenza di Evola sulla destra estrema di questo dopoguerra, e non soltantosu quella italiana, è stata grandissima; ciò non significa che gli si possaattribuire la diretta responsabilità del terrorismo e delle stragi. Nelle idee eancor più nelle azioni dei discepoli, assai di rado, forse mai, si trovaintatto, senza modifiche, sviluppi e persino distorsioni, il pensiero del"maestro". Tuttavia, non va dimenticato che il leader di Ordine nuovo, ClementeOraziani, definisce proprio il libro di Evola, Gli uomini e le rovine, il"vangelo politico della gioventù na-zionalrivoluzionaria" ed afferma che ilprogramma di Ordine nuovo è nient'altro che il tentativo di realizzare ladottrina evo-liana.Rosario Minna, magistrato:Dal 1969 al '75, il terrorismo di destra compie circa l'85 per cento di tutte leazioni terroristiche in Italia, e proprio in questo periodo il terrorismo didestra cerca di conquistare il potere. E` quello l'obiettivo dichiarato.Pietro Ingrao:Vorrei fare una precisazione: questo non significa che dietro a ogni fatto, aogni episodio, e dietro a ogni organizzazione ci fosse lì, direttamenteesplicitata, diciamo così, la mano del nemico, per intenderci della reazione. Avolte quelli che agivano, forse, non sapevano nemmeno chi comandava e la veraricerca bisognerebbe indirizzarla in questa direzione.Ci sono, per intenderci, i burattini che possono essere diversi; la cosa piùimportante è capire chi sono stati i burattinai.Nella notte del 4 agosto 1974 il numero delle stragi sale a cinque. Un treno,Yltalicus, in viaggio da Roma a Monaco di Baviera, sta percorrendo una galleria

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del tratto Firenze-Bologna quando scoppia una bomba. Il bilancio è gravissimo:12 morti e 105 feriti.E` l'una e venti. Per un caso il treno non deraglia all'intem0

<jel tunnel. Sarebbe stata una strage ancora più spaventosa: fiamme e fumo,addensandosi sotto la volta, avrebbero provocato un massacro.Il macchinista riesce a fermare il convoglio all'aperto, vicino alla stazione diSan Benedetto Val di Sambro. Ai funerali, cui partecipa anche il presidentedella Repubblica, Leone, proromponosconforto e rabbia.Ma il nuovo gravissimo tentativo di minare il rapporto tra società e democraziaancora una volta fallisce. Il Paese, anzi, si raccoglie intorno alleistituzioni. Partiti e sindacati danno vita a grandi manifestazionidemocratiche.Colpo di scena in Parlamento: durante un acceso dibattito il segretario delMovimento sociale, Giorgio Almirante, annuncia di avere segnalato al capodell'Ispettorato antiterrorismo, 19 giorni prima della strage, che si stavapreparando un attentato contro il treno Palatino, in partenza dalla stazioneTiburtina di Roma.L'attentato sarebbe stato opera di gruppi extraparlamentari di sinistra. Ildeposito di esplosivi dei terroristi si troverebbe in uno scantinatodell'Istituto di Fisica dell'Università di Roma. A dare queste informazioni è unbidello, Francesco Sgro. Le raccoglie un dirigente del Movimento sociale,l'avvocato Aldo Basile. Il 12 agosto, Sgro afferma di essersi inventato ognicosa dietro pagamento di un compenso. L'avvocato Basile sarà tratto in arrestocon l'accusa di avere indotto Sgro a inventare una pista rossa. Poco dopo saràcompletamente prosciolto da ogni addebito. Era del tutto incolpevole.Inserire una dose calcolata di falso in un messaggio - in questo caso il nomedel treno, Palatino, anziché Italicus - per il resto veritiero, è una delletecniche della disinformazione e in questo caso sembrò usata per montare undepistaggio preventivo nel quale Almirante, suo malgrado, rimase coinvolto.Questo e al-ro finiranno per alimentare la mitologia di un regista occulto cneispira e devia, coinvolge e scagiona, provoca e nasconde. In ealtà, quello didestabilizzare il Paese secondo alcuni, o al con-fario di stabilizzarlo secondoaltri, è un progetto politico con Una logica, un metodo e un obiettivo. Lastoria di questo prosetto, al di là del fatto di perseguire la sovversione, ol'intangi-

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bilità del sistema, segna quasi ogni giorno la sua pagina di ero naca, spessotragica.Empoli, 24 gennaio 1975: alcuni agenti di polizia suonano alla porta delgeometra Mario Tuti.MARIO TUTI, nato a Empoli, 28 anni, viso di ragazzo tranquillo, in,, piegato alComune. E` felicemente sposato, ha un figlio, gode della stima dei colleghi.Qualcuno sa di certe sue simpatie per la destra extraparlamentare e della maniadi collezionare armi, ma, in generale, non è ritenuto un estremista, né tantomeno pericoloso.E` tra i fondatori, invece, del Fronte nazionale rivoluzionario di Arezzo e saràcondannato per tre attentati ferroviari.Nell'agosto 1987, nel penitenziario di Porto Azzurro, Tuti guiderà un tentativodi fuga alla testa di altri quattro detenuti comuni. La fuga non riesce e sitrasforma in rivolta. I cinque si barricano con trentasei ostagginell'infcrmeria del carcere e resisteranno per sette giorni prima di arrendersi.

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Gli agenti hanno in tasca un ordine di cattura per associazione sovversiva, maintanto chiedono a Tuti i permessi per le armi che colleziona. Il tono delleguardie è quello di chi sbriga una formalità. L'appuntato Arturo Rocca racconta:Dice: "Ragazzi, prima di buttarmi all'aria la casa, ve lo dico io dove sono learmi, perché io, voi lo sapete, sono regolare, sono qui, sono là...". Su unpianerottolo che sarà, non so, un paio di metri quadrati, c'era una cassapanca,e sopra questa cassapanca una rastrelliera. A questa rastrelliera c'eranoattaccati due fucili automatici non di marca italiana... allora io cominciai aperquisire un armadio, c'era attaccata una giacca sportiva con le toppe dipelle, ho messo la mano in tasca alla giacca, nella tasca destra, e ho trovatodue bombe a mano. E allora dico: "Via, carichiamo ogni cosa, su...". "Sì, sì"dice lui. Mi sono messo le due bombe a mano in tasca, perché non le volevo micalasciare in giro, a questo punto ho sentito un colpo, mi son girato di scatto,ho visto il brigadiere Falco buttato giù... Con questo mitra Tuti ha cominciatoa sparare... Ha dato una sventagliata... 1‘ sono cascato con la parte anterioredel corpo dentro un altro stanzino-Mentre cascavo ho sentito la voce di Ceravoloche ha gridato: "Madonna mia!". Nel soprabito avevo le due bombe a mano. IlPadretei"' no mi ha salvato perché se un proiettile prendeva la bomba a quest ora il Rocca stava insieme a... quegli altri miei colleghi...Restano uccisi il brigadiere Leonardo Falco e l'appuntat‘ Giovanni Ceravolo.Rocca è ferito gravemente. Tuti fugg6' Centinaia di agenti e di carabinieri glidanno la caccia. Si n

"conde per qualche giorno sulle colline intorno a Lucca, poi cerca di procurarsidocumenti falsi e denaro per espatriare: chiede aiuto all'ambasciatore del Cileche glielo rifiuta; si rivolge anche all'ambasciata di Libia. Vorrebberaggiungere Tripoli per arruolarsi, così dichiara, in una formazione diguerriglieri palestinesi. Tutto ciò che ottiene è un sussidio di 50.000 lire.Alla fine riesce a riparare in Francia. Forse crede di essere in salvo, ma lasua fuga è finita. Viene catturato a Saint-Raphaèl, vicino a Nizza, dopo unasparatoria con agenti dell'antiterrorismo italiano. Ferito al collo e a unfianco, si arrende.Il processo per la strage delVItalicus si apre di lì a poco; come perl'attentato di piazza della Loggia l'andamento processuale sarà faticoso, lungoe inconcludente.Sentenza della Corte d'assise: Tuti è assolto con tutti gli altri imputati perinsufficienza di prove.Sentenza d'appello: Tuti è condannato all'ergastolo assieme a Luciano Franci, unneofascista di Arezzo che dirigeva con lui la cellula nera toscana e aveva messoa punto il piano di attentati sulla ferrovia Firenze-Bologna del 1975. LaCassazione annulla la sentenza. La Corte d'appello, alla quale il processo èstato rinviato, assolve entrambi per non aver commesso il fatto. La Cassazionedeve pronunciarsi sul ricorso dell'accusa e delle parti civili.Tuti:Prendo atto che anche il difensore di parte civile, sembra citando i testi dellamagistratura, riconosce che la mia pretesa di considerarmi in guerra non èinfondata. Per questo ribadisco che sono completamente indifferente allacondanna che mi verrà data. Come ho già detto, praticamente, con la miaqualifica di detenuto politico, la pena che mi verrà data al massimo potràdurare quanto il regime che mi condanna.Anche la strage del treno Italicus, dunque, dopo tanti anni non ha ancoracolpevoli. Così è stato per le stragi che l'hanno Preceduta, e così sarà perquelle che seguiranno.Se l'impegno, il coraggio, la capacità professionale delle forse dell'ordine edella magistratura non ottengono i risultati che f1 vorrebbero, è anche perchéil sistematico occultamento degli e delle prove ha la prontezza e l'efficaciache soltanto un

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disegno strategico può assicurare. Il silenzio, l'omertà, le protezioni, sommatealle difficoltà obiettive che si incontrano nell'in. dagare su crimini nonrivendicati, e di volta in volta attribuiti a gruppi diversi, finiscono perrappresentare un grave ostacolo alla ricerca della verità.Soltanto di una strage, quella di Peteano, si conosce il responsabile, ma perchéè lui stesso, Vincenzo Vinciguerra, ad ammettere la propria colpa.Il 19 luglio 1984, dichiarerà al giudice Felice Casson:Con l'attentato di Peteano, e con tutto quanto ne derivò, ebbi finalmente chiaraconsapevolezza che esisteva una vera e propria struttura occulta, capace diporsi come direzione strategica degli attentati e non, come in precedenza avevopensato, una serie di rapporti umani, di affinità politiche. L'amiciziapersonale e il comune credo ideologico fra alcune persone inserite in apparatistatali ed elementi di estrema destra non avrebbero mai potuto produrre livellidi copertura così estesi, e capaci di raggiungere i vertici dei servizi diinformazione.Il 30 gennaio 1990 la Corte di cassazione ha confermato la condannaall'ergastolo del latitante Carlo Cicuttini, uno degli esecutori della strage diPeteano, e ordinato la ripetizione del processo d'appello per i due ufficiali eil sottufficiale dei carabinieri imputati di falso, calunnia e peculato.Vincenzo Vinciguerra, che non si era appellato contro la sentenza di primogrado, continuerà a scontare l'ergastolo nei carcere di Solicciano."Se il terrore è il fine primario - ha scritto Norberto Bobbio - un atto è tantopiù terrorizzante quanto più è circondato da un mistero impenetrabile. " Ma ladifficoltà maggiore incontrata dalla magistratura è consistita in una serie diostacoli frapposti nel corso delle indagini: reperti e documenti importantidistrutti, testimoni attendibili e possibili imputati fatti espatriare,testimoni falsi fatti comparire, continue indicazioni fuorvianti. Per oltre undecennio, dal 1970 al 1981, cioè fino alla scoperta delle liste degli iscrittialla Loggia P2 di Licio Celli, e alla conseguente epurazione dei cosiddettiservizi deviati, essi hanno interferito in tutte le indagini sulle stragi, esolo in quelle. Non si hanno notizie, infatti, di depistaggi a danno delleindagini sul

terrorismo rosso. Appare dunque evidente un interesse a evitare che glistragisti venissero assicurati alla giustizia. Ritorna la Comanda iniziale: dachi è diretto il disegno che sta dietro allestragi?Italo Calvino, con un linguaggio da cui alla fine degli anni Ottanta un famosorapporto del capo della polizia, Vincenzo Parisi, mutuerà alcune inquietantiparole, e con quella capacità profetica che non di rado appartiene ai grandiartisti anche quando sembrano lontani dalle cose di cui parlano, così scrivedopo la strage dell'/tó/iotf :II piano eversivo fascista è certo un pericolo, ma più insidiosa e concreta,perché già in atto, è l'instaurazione di un antistato che conviva stabilmentecon la nostra democrazia corrodendo i vertici del potere con il ricatto, con lestragi e con i regolamenti di conti. La mafia convisse con l'Italia liberale econvive con quella democratica; il pericolo oggi è che la trama nera, tramontatal'illusione del golpe per le mutate condizioni internazionali, si stabilizzicome un fenomeno di criminalità politica statica sul tipo della mafia e delgangsterismo.Il Paese vive questi anni coinvolto in problemi di varia e complessa natura, checondizionano non soltanto lo sviluppo in generale dell'economia, ma anche, neglieffetti quotidiani, la vita di ogni singolo. La crisi petrolifera del 1973seguita alla guerra del Kippur ha un grave riflesso in un'Italia che, rispettoad altre nazioni europee, si trova in condizioni di forte dipendenza energeticaed è in una fase ancora di ripresa dopo gli avvenimenti del 1969-70.

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Il governo decreta una diminuzione dei consumi privati: dal riscaldamento dellecase alla circolazione delle automobili, alla chiusura anticipata dei localipubblici. Appare una parola nuova, presa dall'inglese: austerity.La ricomparsa delle biciclette e addirittura dei pattini a rotel-c tornisce aimass media immagini sdrammatizzanti; ma, al di a del folclore, si ha un severopeggioramento della bilancia dei Pagamenti e l'aumento dei prezzi fa lievitarel'indice d'inflazio-ne. che diventa il più alto d'Europa.La produzione industriale torna a calare e crescono fino a0 milioni in un anno le ore di cassa integrazione. Solo alla fi-dei 1975 siverificheranno i primi sintomi di ripresa del siste-

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ma economico e avrà inizio una costante e progressiva rimonta che collocheràl'Italia al sesto posto fra i Paesi più industriali^ zati dell'Occidente. Nelfrattempo nascono e si sviluppano nuove dinamiche economiche, più elastiche equindi più resistenti di quelle usuali. A cominciare dal cosiddetto "sommerso",cioè la minuta imprenditoria spontanea e diffusa che promuove e insedia una retefittissima di iniziative al di fuori dei medi e grandi settori industriali.In questo quadro complesso, l'Italia si prepara ancora una volta a cambiare edeve farlo fra strettoie di tipo diverso e calcoli di vario segno, nei qualirientrano persine quelli del partito, più o meno occulto, dell'eversione. E inquesto clima che allo Stato di diritto, alla democrazia parlamentare, alleistituzioni della Repubblica si chiede di rinsaldare, nella garanzia dellelibertà istituzionali, la difesa degli ordinamenti scelti dai cittadini.Da poco il corpo elettorale è cresciuto, si vota a partire dai diciotto anni:mentre qualche cerchio pretende di chiudersi, la base democratica rispondeallargandosi. Ma la società nel suo complesso dovrà presto misurarsi con unaminaccia che, nel frattempo, va più o meno oscuramente determinandosi.Intervista a Vincenzo VinciguerraVincenzo Vinciguerra, catanese, 40 anni. Lei è l'unico reo confesso - questo èil termine tecnico - di una strage. Se nell'84 non avesse preso l'iniziativa diparlare, il colpevole della strage di Peteano del 1972 forse non l'avremmo maiconosciuto e lei, forse, non sarebbe qui a scontare l'ergastolo. In realtà, comeva chiamata questa sua presunta confessione?Ci sono due punti importanti da chiarire: non c'è stata nessuna confessione. C'èstata una assunzione di responsabilità, preannunciata in un interrogatorio aimagistrati di Bologna il 20 giugno 1984, che può e deve essere intesa comerivendicazione, eventualmente, dell'attentato; non o*1 di contrizione, come faintendere il termine confessione.cheL'altro punto riguarda il termine di strage. Giuridicamente èqualsiasi fatto provochi la morte di più di due persone o comunque

ponga, in pericolo l'incolumità di diverse persone. Su un piano morale, lastrage è quella che colpisce indiscriminatamente obiettivi civili, falcia lapopolazione civile, nelle banche, nelle stazioni ferroviarie, sui treni. Unobiettivo militare colpito nell'ottica di un attacco allo Stato non può esseremesso sullo stesso livello dell'attentato di piazza Fontana, di Brescia,dell'ltalicus, della stazione di Bologna.Lei ha chiamato Peteano un atto di guerra contro lo Stato. Esatto.E quei carabinieri che non sapevano di essere in guerra?Ma i carabinieri sapevano di essere in guerra perche' lo Stato lo è da anni.Ancora prima del 1972 si parla di conflitto, in Italia. Perché dire che nonsapevano?

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Perché un conflitto va dichiarato e presuppone due parti disposte acombatterlo..... e e 'erano infatti le due parti!In uno Stato di diritto, la parte che lei considera avversa non ha mai intesopartecipare a una guerra.Ma io dico di più. Dico una cosa diametralmente opposta alla sua. Dico che loStato ha dichiarato una guerra senza avvertire la popolazione e l'ha fatta,questa guerra; quindi i carabinieri di Peteano, lei ha ragione, non avevanocolpe specifiche, su questo punto concordo, e proprio per questo non ho usato iltermine rivendicazione, fino ad oggi. Ma dire che non e e stata una guerra, chenon c'era una guerra, già nel 1972, è cosa inesatta.Guerra contro chi? Contro che cosa?òDa parte mia guerra contro lo Stato, da parte dello Stato guerra contro Questanazione.Cioè lo Stato che fa la guerra a se stesso?o Stato strumentalizza oppositori, crea una situazione di scontro, de-a l'ordinepubblico alfine di stabilizzare l'ordine politico.

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Cominciamo dal principio. Lei apparteneva a Ordine nuovo?Sì, ho iniziato la mia attività nel Movimento sociale italiano, poi sono passatoa Ordine nuovo.Ma voi non volevate un partito, volevate un fronte di guerra?Noi eravamo impegnati in una attività politica contro un sistema di partiti chenon poteva trovare il nostro favore. Io non sono democratico, non erodemocratico e rimango antidemocratico perché non credo alla democrazia, noncredo che esista un regime democratico.Qual era stata, prima di Peteano, l'attività del suo gruppo e sua? Quali furonole azioni più importanti?No, guardi, non è che ci siano state azioni edatanti. E`l'attività di un gruppopolitico che si affida al volantinaggio, partecipa alle manifestazioni dipiazza, fa opera di proselitismo, un 'attività più che normale...Mette qualche bomba...Qualche bomba è stata messa a partire dal novembre del 1971. La prima fu allaDemocrazia cristiana, in coincidenza dell'ingresso dei blindati dei carabinieria Reggio Calabria. Come vede, già in quell'attentato non c'è l'ottica delneofascista che vede nell'Arma dei carabinieri o nelle forze di polizia i corpisani della nazione, che contrappone lo Stato al regime. Infatti il primoattentato fu di protesta contro questo intervento delle forze di polizia aReggio Calabria e colpì la sede provinciale della Democrazia cristiana di Udine.In quali circostanze maturò la decisione di compiere l'azione di Peteano?L'attentato di Peteano non matura in un giorno, nasce da una analisti che iniziasul finire del 1969 e coinvolge l'esperienza mia personale tJt quella che è lavalutazione del mondo neofascista. Dalla nostra azione dall'analisi si arrivaalla conclusione di uno scontro frontale con lo Stato-Peteano è stata unsegnale.

Chi fu il teorico di quella azione? Lei, che parte ebbe in quella fase?Guardi che io ho rivendicato l'ideazione, l'organizzazione, l'esecuzionedell'attentato di Peteano. Io non ho mai avuto un teorico, sono statocontemporaneamente il teorico e il pratico.Uccidendo dei carabinieri, che cosa contava di ottenere?Contavo di lanciare un segnale perché venisse meno questa strumentalizzazioneche veniva fatta nel mondo neofascista da parte dei suoi dirìgenti, i quali non

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potevano continuare a frequentare gli stati maggiori e i servizi di sicurezza econtemporaneamente proclamare la guerra al sistema e l'eredità della Germanianazionalsocialista.Perché sceglieste proprio quel luogo?Un posto nel quale non potevano essere coinvolti i civili. Anche la telefonatavenne fatta in quest'ottica, perché quando mi accorsi che questa trappola,questo agguato, perché sempre agguato rimane, non era scattato, lì restava unamacchina che chiunque poteva far detonare. Bastava un curioso, bastava anche unbambino; di conseguenza, feci telefonare e la telefonata provocò l'accorrere deicarabinieri e quindi l'attentato ebbe l'esito che si prefiggeva.Lei si è definito, se non ricordo male, un soldato politico. Che cosa significa?Significa che ho delle idee...E da soldato attirare tre vittime inconsapevoli in un tranello"tortale?a questa non è la guerra classica. Questa è la guerra che i tecnici de-^ Sait maggiori, compreso quello italiano, chiamano "non ortodossa".guerra che ha per obiettivo le menti, le coscienze, i cuori e eli animi^xll lirt-mj-.' ‘c/ie mi^ari'"> non i tenitori. La guerra "non ortodossa" non risponde alle " guerraclassica: e questo degli agguati, degli attentati, non è zo, uno dei tantiimpiegati in questo tipo di guerra anche dai uniforme ai quali, però, nessunorimprovera l'adozione di certi

Sergio Tavolimetodi. Si rimprovera soltanto a coloro che non hanno un 'uniforme visi, bile.Mi perdoni, non le sembra un eufemismo chiamare guerra impropria l'uccisione ditre ragazzi?No, non erano tre ragazzi. Erano tre uomini che avevano scelto una loro via,indossavano una divisa, rappresentavano lo Stato. Io non credo neanche che sialogico cercare il piano umano, su queste faccende. Per quei tre ragazzi che leicita, morti a Peteano, il termine assunzione di responsabilità, che oggimodifico in rivendicazione, l'ho utilizzato proprio perché erano tre carabinieriche non avevano colpe specifiche, se non quella di avere indossato la divisa edi essersi trovati lì quella sera.Lei allora dichiarò guerra a quello stesso Stato di fronte al quale, poi, perusare il suo stesso linguaggio, non confessa ma si assume delle responsabilità.Parrebbe esserci una incongruenza fra queste due cose e, in ogni caso, nonrinuncio a farle queste domande: che cosa è successo nel frattempo? Poiché deglianni sono passati, in cui lei sarà pure cambiato in qualcosa! E cambiato lei o ècambiato lo Stato, sono cambiati gli scenari o le strategie? O è semplicementeun caso di coscienza e non è cambiato assolutamente nulla?Io non sono stato arrestato. Io mi sono costituito il 12 settembre 1979. Anchequesto si è prestato, poi, all'interpretazione di un atto di resa allo Stato einvece così non era. Ebbi modo di riflettere, pensavo già da tempo se dire laverità. E così decisi che era venuto il momento di contribuire al chiarimento,alla ricerca della verità su quella che era la strategia della tensione, lastrategia delle stragi e del terrorismo, e mi assunsi la responsabilità di ciòche io avevo fatto. Non, quindi, in un 'ottica di confessione.Si è detto che lo Stato da lei combattuto avesse dei servitori cosiddettideviati che conoscevano molte cose di voi, e di lei" prima e dopo Peteano...Questi servizi, "deviati" fra virgolette, conoscono perfettamente il doneofascista. Su Peteano sono stati informati nei mesi seguenti a tato; nonprima, prima non lo potevano né immaginare né prevedere-

La notte della RepubblicaQuindi, non potevano nemmeno intervenire. Sono stati informati per viaconfidenziale nei mesi seguenti all'attentato con indicazioni generiche e boinell'ottobre del 1972, hanno avuto in mano elementi concreti per po-ler provarela mia responsabilità nell'attentato di Peteano. Non lo hanno voluto fare, e nonperché io ero un uomo da proteggere da parte di questi servizi, e tanto meno daparte dell'Arma dei carabinieri, ma perché il farlo contrastava con la strategiapolitica che stavano portando avanti.

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E` possibile che quei due servitori di due padroni, per così dire, l'abbianostrumentalizzata?No. Non vedo come potessero strumentalizzarmi. Si sono limitati a lasciarmistare, a lasciarmi perdere, hanno continuato nella loro strategia che voleva chela violenza, in quel periodo, fosse esclusivamente di sinistra, e non anche didestra. Non hanno fatto nulla, in concreto, per strumentalizzarmi.La sua tesi, cioè che vi fossero stati depistaggi e coperture, fu raccolta dallasentenza di primo grado, e un certo numero di ufficiali venne di conseguenzacondannato; ma, in appello, i giudici hanno poi negato che vi fosserodepistaggi, coperture, inquinamento delle prove. E quindi hanno assolto quegliimputati. Lei dunque si è autoaccusato, e per questo sconta l'ergastolo, perdenunciare fatti che secondo i giudici di appello non si sono verificati. E piùdifficile accusarsi o accusare, Vinciguerra?Guardi, io le dico questo: il processo in Corte d'assise è durato quattro mesi,quella Corte, per la quale ho il massimo rispetto, per la coerenza e l'onestàcon la quale ha agito, ha interrogato 120 testimoni, ha fatto deci-ne diconfronti, ha esaminato tutti gli atti, ed è arrivata a delle sue conclusioni.Io non accuso con fatti specifici Mingarelli o Chirico, perché non ho mai avutorapporti con loro; sono stato interrogato dall'ottobre del 1972 da Chirico perun breve periodo di tempo.Forse va detto che Mingarelli e Chirico erano due alti ufficia-" deicarabinieri...ò ò ò si, due ufficiali dei carabinieri, diciamo i maggiori implicati nelPestaggio. Gli elementi concreti in mano alla magistratura sono emersila deposizione di sottufficiali e ufficiali dei carabinieri, dal ritrova-

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mento di verbali alterati, dalla scomparsa di tre bossoli di pistola, daelementi aggettivi e comunque non attribuibili a delle mie accuse genericke. Silegge nella sentenza d'appello che, è vero, sono spariti tre bossoli, ma puòcapitare; è vero che i verbali sono alterati, però si può comprendere; è veroche qualche firma è falsificata, ma, insomma, può succedere...Lei ha sostenuto che i servizi segreti - io mi ostino a chiamarli deviati -conoscevano fin dal 1972 l'identità dell'autore dell'attentato di Peteano, cioèlei. Che prove ha per affermare una cosa del genere?Io ho raccolto un sacco di elementi. Oltre ad alcuni altri di cui potrei parlarese fossi pentito, e che quindi taccio. Ci fu una decisione collegiale di coprirela verità sulla matrice politica dell'attentato di Peteano perché, si ricordiuna cosa, i carabinieri di Peteano li ho uccisi io, ma lo Stato cherappresentavano li ha traditi due volte: una volta nell'ottobre del 1972, eancora nell'86, al processo in Corte di assùe, pur sapendo da allora qual era laverità.La storia di questo ergastolo, Vinciguerra, comincia con la morte dei trecarabinieri in quel lontano 1972. Secondo la vostra ideologia le stragi dovevanoservire a sollevare il popolo, per abbattere questo Stato. Non solo tutto questonon è accaduto, non solo il popolo non si è mosso, ma tutta questa vicendafinisce nella sua solitudine: in questo ergastolo, appunto. Tutto ciò la inducea fare qualche riflessione?L'attentato di Peteano non poteva provocare alcuna reazione popolare; escludevail popolo, non lo coinvolgeva.Ma lei si rende conto che il popolo, di fronte alla morte di quei trecarabinieri, ha detto "No" a lei e a quanti la pensano come lei, se mi consente,e non è accaduto nulla e non c'è stata la sollevazione e lo Stato è rimastoquello che era?

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Ma il popolo non poteva dire di no perché non gli ho lanciato alcun messaggio.L'attentato di Peteano era un messaggio interno al mondo al quale appartenevo,non un messaggio diretto al popolo, che non poteva di' re nulla, non poteva farenulla perché al popolo è stata negata la verità. & oggi questa opinione pubblicaa che cosa può dire no? Può prendere atto

che di fronte a un attentato che è costato la vita a tre carabinieri lo Statonega la verità; e chi ha compiuto l'attentato, invece, la afferma. L'qffer-fiuiprendendosi un ergastolo, facendosi un ergastolo, non rifiutandolo, tfon chiedonulla perché non ho nulla da chiedere a questo Stato, ma sol-fajito da darequello che gli ho sempre dato: il disprezzo che merita.Vinciguerra, lei è qui con questi tre morti che non pesano sulla sua coscienzaperché l'eccidio fu compiuto per combattere lo Stato, come lei dice; quellaguerra in realtà non c'è stata, e lei consuma qui, nella solitudine, l'illusionedi averla combattuta. Che senso vuoi dare almeno al suo futuro?Io ho un futuro che assomiglia molto al passato. Io affermo che questa guerrac'è stata, questo eccidio, come lei lo chiama, non mi pesa sulla coscienzaperché è un atto di guerra, rimane un atto di guerra, e quindi non mi puòpesare. Il senso che posso dare al mio futuro è quello di continuare sullastrada che ho intrapreso quando avevo tredici anni, sulla quale ho camminatofino ad oggi e sulla quale continuerò a camminare, in un ergastolo non impostodallo Stato, ma voluto, cercato, e vissuto con la stessa coerenza che ho sempremantenuto.Lei è sposato?No.Se lo fosse, e avesse dei figli, è proprio certo che consegnerebbe loro questomessaggio?cheSe avessi dei figli... non ho moglie e non ho affetti. Anzi, li ho, ma nonverranno mai al primo posto. Se fossero venuti al primo posto, non avreipercorso la strada che ho percorso, perché di ciò che faccio mi assu-mo leconseguenze. Come sono stato capace di uccidere, non ho mai avuto more di essereucciso o di finire in quella che voi chiamate la morte civi-e- ^ ve l'hodimostrato ampiamente! Anche se questo non corrisponde Cattamente all'immaginedell'umano. Quindi sono stato indubbiamente ; ma lo sono anche nei mieiconfronti... più nei miei confrontinei confronti degli altri, e continuerò ad esserlo... òòò non fosse altro cheper espiare...

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No, nessuna espiazione. Ho rivendicato un gesto che, per rispetto quei morti,avevo chiamato assunzione di responsabilità. Oggi mi avet obbligato ad usare iltermine rivendicazione proprio per porre termine una campagna di disinformazioneche mi vuole contrito, pentito, se no altro su un piano morale, in ginocchio difronte allo Stato-papa. No. So-no in piedi, rivendico l'attentato di Peteano, econtinuerò con altri mezzi con quelli che mi sono consentiti nella situazionenella quale mi trovò quella guerra che ho iniziato 27 anni fa e che non finiràprima che finisca io. Finirà nello stesso momento.Lei è consapevole che questa guerra continuerà a farla da solo?Non è una buona ragione per smetterla.

IXLE TESTE DELL'IDRA: LE NUOVE BR "PAGHERETE CARO, PAGHERETE TUTTO"Domenica 8 settembre 1974. I carabinieri del Nucleo speciale diretto dalgenerale dalla Chiesa mettono a segno il colpo più duro inferto al partitoarmato: l'arresto di Renato Curcio e Alberto Franceschini, fondatori e capidelle Brigate rosse. L'operazione è stata resa possibile dall'infiltrato SilvanoGirotte, un ambiguo personaggio detto anche "Frate mitra".

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SILVANO GIROTTO, nel 1974, ha 35 anni e dietro le spalle una vita avventurosa.Messosi nei guai con la giustizia, si è arruolato nella Legione straniera, poi èentrato nell'Ordine francescano diventando frate Leone. Va in America Latina, dadove ritorna con la fama, in gran parte millantata, di frate guerrigliero.Divenuto informatore dei carabinieri, si mette in contatto con due persone ingrado di condurlo sino alle Br: l'avvocato genovese Giambattista La-zagna,medaglia d'argento della Resistenza e amico di Feltrinelli, e il medicopiemontese Enrico Levati. Al primo incontro Lazagna commenta: "E` un personaggioda fiera", ma poi acconsente a fare da tramite con il vertice brigatista.Il 28 luglio 1974, "Frate mitra" incontra Curcio e Franceschini davanti allastazione di Pinerolo. I due brigatisti sono diffidenti, ma i contatti nonverranno interrotti. Girotte comincia ad annotare nomi, dati, circostanze. Lamissione di "Frate mitra" si conclude al terzo incontro con Curcio eFranceschini, fissato per l'8 settembre, sempre alla stazione di Pinerolo. Duegiorni prima, il dot-tor Enrico Levati riceve una telefonata anonima che glipreannun-cia l'imminente arresto di Curcio. Levati ne informa Mario Moretti, cheperò non riesce ad avvertire né Curcio né Franceschini. Il richiamo a questacircostanza verrà usato contro Moretti per insinuare un sospetto che il nuovocapo delle Br respingerà con sdegno

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Giretto:II mio ruolo non è stato di informatore nel senso volgare del termi-ne, diquello che fa la soffiata e poi i carabinieri facciano, se credono la lorooperazione. Sin dall'inizio ho voluto che fosse molto chiaro che il nostrorapporto era un rapporto di collaborazione. Quindi io ho agito effettivamente:ero a Pinerolo, a tre metri da loro, quando i brigatisti sono stati arrestati, esono stato io che ho dato, per radio, il via all'operazione.Dalla Chiesa:Se è vero che l'infiltrazione esisteva fin dai tempi dei babilonesi è anche veroche, in tutte le guerre, tutti gli eserciti hanno attinto a piene mani al nemicovinto. E c'è da aggiungere una cosa: la collaborazione vale in quanto coloro chela utilizzano siano ben preparati, in grado cioè di coglierne l'intera tematicasenza lasciare spazi alla reticenza, alle omissioni, ai falsi.Il 14 ottobre i carabinieri scoprono una base brigatista a Robbiano di Mediglia,vicino a Milano. Schedari e cassetti sono colmi di carte: ci vorranno duesettimane per redigere un elenco completo. Si tratta di una sorta di bilanciopolitico del sequestro Sossi, un testo ad uso interno dei militanti e alcuniappunti sugli incontri di Lazagna e Levati con Giretto, definito in codice "Labestia feroce".I carabinieri si appostano per sorprendere eventuali visitatori. Due brigatisti,Pietro Bassi e Pietro Bertolazzi, caduti nella rete, si arrenderanno senzaopporre resistenza. Un terzo, che si da alla fuga sparando, uccide ilmaresciallo Felice Maritano; ma, ferito dai carabinieri, viene catturato. E`Roberto Ognibe-ne, vent'anni, di Reggio Emilia, appartenente al gruppo storicodelle Br.Alla fine del 1974 sembra che le Br siano sul punto di essere annientate; unsolo membro della direzione strategica, Mario Moretti, è ancora in libertà dopol'arresto di Curcio e France-schini. Prendono il loro posto Giorgio Semeria eMargherita Cagol, moglie di Curcio.Marco Boato:La gente, spesso, ha un'immagine un po' mitologica, quasi demonizzante, di comenasce la figura di uno che poi diventa terrorista, entra nella lotta armata.Renato Curcio e Margherita Cagol non era

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0 nulla di tutto questo nell'esperienza concreta di Trento. Renato ra venutodalla Liguria per studiare sociologia e per collegare lo studio con l'impegnopolitico e sociale. Lo abbiamo conosciuto in quegli anni universitari, dal 1964al 1968-69, come uomo di grande sensibilità e anche di grande timidezza. Non èmai stato un leader del Movimento studentesco, ma ne ha fatto parte, a piùriprese. In altri momenti della sua vita, invece, ha fatto esperienze parallelepiù minori-tarie, più chiuse, più intellettuali.Margherita era una delle poche ragazze di Trento, proprio nate a Trento, che havissuto l'esperienza diretta del Movimento studentesco; vi ha conosciuto Renatoe ha intrecciato la sua vita con quella di lui. Nulla, però, di ciò che ci sipuò immaginare dall'esterno, vedendo quella che poi è stata la storia delleBrigate rosse negli anni Settanta. H suo era un impegno di studio, moltorigoroso, molto serio, e di grande colleganza, di solidarietà umana con larealtà sociale degli operai, della gente dei quartieri di Trento; c'era anche unrapporto, a volte molto dialettico, con i docenti di questa università.Un'esperienza straordinaria, vissuta da loro due come da centinaia di altristudenti che non hanno fatto scelte di tipo terroristico e di lotta armata.Credo che gli esiti successivi, e anche quello tragico per Margherita, nondebbano cancellare questa radice umana e storica, questa esperienza soggettivache ne fa un uomo e una donna in carne e ossa, non due fantasmi che hannoattraversato la storia del nostro Paese.Mara Cagol ha un progetto che dovrebbe dar prova della vitalità delle Br:l'evasione di Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato. La detenzione nonè particolarmente dura, e la vigilanza è tutt'altro che stretta. Le porte dellecelle, spesso, restano aperte. Curcio può telefonare all'esterno, avere visite,scrivere lettere. Riceve senza difficoltà un telegramma che lo avverte di ciòche si prepara: il testo è "Pacco in arrivo". Il commando di 5 brigatisti èguidato dalla Cagol. E` lei che, mostrando un pacco, si fa aprire dalla guardiail portone del carce-re' Appena varcata la soglia, spiana il mitra che avevasotto il cappotto. Con lei entra un altro brigatista e i due, armi alla mano,superano il cancello del corridoio sul quale si affacciano *~ celle. Curcio è inattesa. Quando polizia e carabinieri chiu-ono la città con una cintura di postidi blocco, il capo brigati-a e già lontano assieme ai suoi compagni. Il giudiceGiancarlo aselli dirà: "Abbiamo lavorato tanto, bisogna ricominciaretutt‘dacapo". La liberazione di Renato Curcio dal carcere di Casale Mon-

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ferrato mette in risalto uno dei problemi più delicati nella lotta aiterroristi: la sicurezza dei penitenziari. Si tratta di impedire non solo leevasioni ma anche la ricostituzione, all'interno delle carceri, dei gruppieversivi.Adelaide Aglietta, deputato radicale:Negli anni dal 1975 al 1980 nelle carceri italiane si verificarono vi0-lenzemolto gravi: si ebbero le prime rivolte all'interno, ci furono molte evasioniarmate. Fu in quel periodo, più precisamente alla fine del 1976 e nel 1977, chefacemmo un lungo sciopero della fame per l'attuazione della riforma, paventandoche questo clima avrebbe portato all'instaurarsi di un carcere duro, come giàera avvenuto in altre parti d'Europa; in Germania, ad esempio. E difattinacquero le "carceri speciali", nelle quali venivano negati un minimo di dignitàe tutti quei diritti della persona e del cittadino che neanche la detenzionedovrebbe annullare. Ci rendemmo conto che il grado di civiltà di un Paese simisura dalle carceri.

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Governo e Parlamento cercano risposte efficaci per contrastare e sconfiggere unnemico che si fa sempre più aggressivo. Tra gli interventi repressivi - la cuinatura, secondo l'interpretazio-ne dei garantisti, si presta a giudizi di dubbiacostituzionalità -alcuni riguardano l'ordinamento delle carceri e l'esecuzionedelle pene. Il 1975 è l'anno della riforma penitenziaria, che si ispira alprincipio del recupero sociale del detenuto e introduce una serie di misurealternative alla detenzione, come l'affidamento in prova al servizio sociale ela semilibertà. La legge contiene anche un articolo, il 90, secondo cui ilministro di Grazia e Giustizia ha facoltà di sospendere taluni benefici pergravi ed eccezionali motivi di ordine e di sicurezza.Questa norma verrà applicata, a partire dal 1977, per i detenuti politici e peri detenuti comuni maggiormente pericolosi, soprattutto i cosiddetti killer dellecarceri. Ciò implica, in pratica, l'istituzione delle "carceri speciali" o "dimassima sicurezza". Essa avviene con decreti ministeriali del 1977 cheinterpretano in chiave di "emergenza" la necessità di rispondere con durezzaalla grande offensiva del terrorismo.La reazione delle Br è pronta. Il 13 febbraio 1977 feriscono alle gambe ValerioTraversi, dirigente superiore del ministero di Grazia e Giustizia, che si occupadella ristrutturazione àe& edifici e del problema delle evasioni.

Entrano in funzione le strutture carcerarie superprotette di palmi, Trani edell'Asinara. Le Br rispondono alzando il tiro. Il 14 febbraio 1978, a Roma,Prospero Gallinari uccide il magistrato Riccardo Palma, accusato di essere unodegli artefici del nuovo sistema carcerario. L'arma usata è la stessa Skorpionche, tre mesi dopo, ucciderà Aldo Moro.I terroristi non danno tregua. Cade il giudice Girolamo Tartaglione: è accusatodi essere espressione del sistema repressivo applicato in danno del cosiddetto"proletariato prigioniero". Verranno anche uccisi il professore di medicinalegale Alfredo Paolella, nel 1978, e il generale dei carabinieri Enrico Galvali-gi, nell'80. Nello stesso anno rimane gravemente ferito da Prima linea ilprofessore Sergio Lenci, un architetto assai reputato, che aveva preso partealla progettazione delle nuove strutture penitenziarie. Vive con una pallottoladelle Br in testa.Poi, con il progressivo esaurirsi dell'offensiva terroristica, anche all'internodelle prigioni la violenza tenderà a diminuire. Intanto, grazie alla leggesull'ordinamento carcerario del 1975 e alla successiva modifica dell'86,conosciuta come "legge Goz-zini", si avvia un nuovo regime di rapporti con idetenuti. In quello spirito il dialogo sarà meno difficile; consentirà, tral'altro, la mediazione del ministro guardasigilli Giuliano Vassalli e deldirettore per gli Istituti di prevenzione e pena Nicolo Amato, insieme con altrimagistrati ed avvocati, la quale porrà fine senza spargimento di sangue allarivolta nel carcere di Porto Azzurro, risoltasi con la resa di Mario Tuti e dialtri detenuti, e con la liberazione dei 36 ostaggi dei quali si eranoimpadroniti.Nicolo Amato:Alla fine degli anni Settanta il carcere ha dovuto affrontare l'urto terribiledel terrorismo politico. Ci siamo scontrati con molti problemi, moltedifficoltà: vi sono state evasioni, rivolte, vi sono stati delitti, omicididentro il carcere. Poi, a poco a poco, la situazione è migliorata perché, dal1983, siamo riusciti, con una offerta di disponibilità, ad Aprire in qualchemodo un dialogo con molti, moltissimi detenuti po-{Kici, terroristi ed exterroristi. Siamo riusciti a sostituire il conflitto ls"tuzionale, che ha semprecaratterizzato i rapporti tra l'istituzione carceraria e i terroristi, con unrapporto di comprensione e di dialogo Possibili. Da questo dialogo, che horipetuto personalmente in molte carceri con moltissimi terroristi, permoltissimo tempo, è nato quel fé-

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nomeno straordinariamente interessante, decisivo secondo me per la sconfittapolitica del terrorismo, che è stato la dissociazione dalla lotta armata.L'attenzione per il mondo carcerario è assai viva in alcuni settori dellasinistra extraparlamentare. Un piccolo gruppo di militanti, in parte usciti daLotta continua, si fa interprete della cosiddetta "questione carceraria" e davita a una nuova formazione terrorista, i Nap, Nuclei armati proletari. Fondatinel 1974, vi confluiscono studenti ed ex detenuti comuni giunti al terrorismoattraverso una pratica politica concitata e sommaria. La base dei Nap è aNapoli, città alla quale i terroristi attribuiscono uno specifico potenzialerivoluzionario dovuto alle sue condizioni di arretratezza e di diffusoscontento.Nei loro primi messaggi i Nap si proclamano costituiti in clandestinità,all'esterno delle carceri, per "affiancare e sostenere le lotte dei detenuti",così scrivono, e per "rispondere agli omicidi, alle stragi e alle repressioni diStato".I sequestri di Antonio Gargiulo, figlio di un noto ginecologo napoletano, edell'industriale cementiere Giuseppe Moccia, fruttano poco più di un miliardo dilire, ma sono episodi isolati in un percorso costellato di insuccessi.Per evitare di essere sgominati i Nap si trasferiscono a Roma, dove sono giàpronte alcune basi. E nella capitale, dopo una serie di azioni minori,effettuate con ordigni esplosivi e in-cendiari, il 6 maggio del 1975 viene messoin atto il colpo più ambizioso. E` ispirato all'Operazione Girasole, messa inatto l'anno precedente dalle Br per il sequestro del giudice genovese MarioSossi.Vittima del rapimento è il magistrato Giuseppe Di Gennaro, consigliere diCassazione e direttore del Centro elettronico dell'amministrazionepenitenziaria, cioè lo schedario dei detenuti.Di Gennaro sostiene una politica di riforme all'interno delle carceri; il fattod'essere scelto come bersaglio indica forse il disegno di ostacolare propositidistensivi e tentativi di mediazione. Tre giorni dopo, il 9 maggio, nellaprigione di Viterbo, 1 eX bandito Martino Zicchitella, Pietro Sofia el'ergastolano Gioì" gio Panizzari accoltellano due guardie, ne prendono inostagg10

una terza e si barricano in una cella di sicurezza. Hanno coltelli pistole ecandelotti di dinamite. I tre rivendicano ai Nap il rapimento del giudice DiGennaro, chiedono la trasmissione di un proclama del gruppo terroristicoattraverso la radio e di venire trasferiti in carceri del Nord. Le lororichieste sono accolte. Dopo cinque giorni di prigionia, Giuseppe Di Gennaroviene liberato:10 non sapevo quanto tempo fosse trascorso e se, fuori, si stavachiedendo come riscatto la liberazione di otto prigionieri, come miavevano detto. Ricordo con esattezza: dopo aver chiarito che in Italianon esisteva un vertice politico che avesse in mano il potere della magistratura e potesse far scarcerare otto persone, e avere insistito suquesto fatto, mi fu detto che continuassi a credere e a dichiarare d'essere importante, ma che, contemporaneamente, indicassi i personaggiinfluenti che mi proteggevano; pareva infatti che avessi avuto sempreun grande spazio di iniziativa e ciò dimostrava che disponevo di unagrande protezione. Detto questo, mi hanno lasciato a pensare. A uncerto momento sono riuscito a farmi sentire, bussando. Qualcuno èentrato e io gli ho detto: "Fatemi la cortesia, la branda è scomoda,ammazzatemi adesso perché, tanto, gli otto non usciranno".11 21 maggio il Parlamento approva una nuova legge per latutela dell'ordine pubblico. E` la legge Reale, dal nome del ministro della Giustizia in carica: ha l'obiettivo dichiarato di rendere più flessibile l'azione delle forze dell'ordine nella lotta contro il terrorismo. Essa, in realtà, nega la libertà provvisoria achi è indiziato di reati contro l'ordine pubblico; estende i termi

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ni della carcerazione preventiva; da facoltà a polizia e carabinieri di arrestare non solo le persone colte in flagranza di reato,ma anche quelle sospettate di essere sul punto di commetterlo;autorizza perquisizioni senza mandato della magistratura; le-S'ttima l'uso delle armi da parte delle forze dell'ordine per pre-Venire omicidi, stragi e sequestri di persona; attribuisce al soloProcuratore generale presso la Corte d'appello, anziché al giu-lce naturale, la facoltà di promuovere procedimenti giudiziari controappartenenti alle forze dell'ordine.. a kgge Reale, presentata dal governo di centrosinistra pre-uto da Aldo Moro,crea dissensi all'interno della stessa d ]]^loranza e suscita aspri dissensinelle correnti "garantiste" aea opinione pubblica.

206Sergio ZavoliII consigliere di Cassazione Mario Battaglini, scrivendo su "il manifesto",commenta la legge citando un giudizio espresso all'inizio dell'Ottocento dallostorico Vincenzo Cuoco: "Io te-mo le piccole usurpazioni giornaliere, fatteperlopiù sotto appa. renza di bene, che non si avvertono, e talvolta siapplaudono finché l'abuso diventa costume e si conosce il male solo quando èdivenuto gigante"II 21 febbraio del 1976, a Milano, durante una manifestazione per l'aborto,alcune femministe irrompono nel Duomo. Il cardinale Colombo, due giorni dopo,pronuncerà un'omelia per riparare, dice, alla profanazione:Potevamo fare un corteo: abbiamo preferito riunirci in assemblea liturgica nellaquale il popolo di Dio si riconosce e condivide la fede, la missione el'esperienza. Potevamo scandire slogan: innalziamo invece preghiere ferventi ecoscienti a Colui che rimane il protagonista della storia, anche quando essa sifa irrequieta e maligna... Ci siamo ritrovati sotto le guglie del Duomo che ilsuo stemma descrive come il manto protettivo di Maria..Roma, sera del 22 marzo 1977. All'interno di un autobus che percorre vialeTrastevere l'agente di polizia Franco Graziosi riconosce Maria Pia Vianale,nappista evasa dal carcere femminile di Pozzuoli insieme con Franca Salerno,un'altra terrorista.Alfonsina Graziosi, sorella dell'agente:C'erano cinque persone dentro l'autobus, quella sera, e lei si eraseduta proprio di fronte a lui, con tanti posti che c'erano; ma era perché, così, lei aveva le spalle coperte. Quando la vide, lei leggeva igiornaletti, lui si alzò immediatamente, andò dall'autista e gli disseche sull'autobus c'era una terrorista molto pericolosa e che si sarebbedovuto fermare se avesse incontrato una "volante" per la strada.questo non fosse avvenuto doveva portarsi alla caserma di polizia p'uvicina. jj.La gente dentro l'autobus cominciò a protestare con l'autista, cendo: "Ma lei hasbagliato strada!". Al che l'autista rispose: "Ip n ho sbagliato strada, ma c'èuno della polizia che mi ha detto di P‘^. tarmi alla caserma più vicina, che èquesta della stradale". AUora. fu costretto a farsi riconoscere, si alzò con iltesserino in mano e

La notte della Repubblicatutti, per rassicurarli: "Non vi preoccupate, sono della polizia"; erivolgendosi alla Vianale, la prese per i polsi: "Lei, la dichiaro in arresto".Graziosi tenta di bloccare la Vianale, che resta ferita; ma viene freddato conun colpo di pistola alla schiena da un altro nappista, Antonio Lo Muscio,anch'egli sul mezzo pubblico.Il 1‘ luglio, Maria Pia Vianale, Franca Salerno e Antonio Lo Muscio sono fermatidai carabinieri sulla scalinata di San Pietro in Vincoli. Lo Muscio si da allafuga, sparando: muore sotto il fuoco dei carabinieri. Le due donne vengonoarrestate e sottoposte a un duro interrogatorio. Antonio Lo Muscio è l'ultimonappista ucciso in uno scontro a fuoco. I Nuclei armati proletari di fatto nonesistono più; i superstiti ancora a piede libero si sbandano o confluiscononelle Br.

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Il 28 febbraio del 1975 comincia a Roma il processo contro tre giovani di Potereoperaio, accusati di aver dato fuoco nell'aprile del 1973 all'appartamento delsegretario della Sezione missina di Primavalle, causando la morte dei fratelliVirgilio e Stefano Mattei. Si accendono violenti scontri fra gruppi di estremadestra e di estrema sinistra, nel corso dei quali viene ucciso con un colpo dipistola alla testa lo studente greco Mikis Mantakas, iscritto all'Università diRoma e militante del Fuan.La spirale della violenza si impenna, a Milano, il 13 marzo: uno studentemissino, Sergio Ramelli, viene picchiato a sangue. Nei cortei si scandiva:"Hazet 36, fascista dove sei!". Hazet 36 è la chiave inglese usata dai servizid'ordine dei gruppuscoli milanesi come arma impropria negli scontri fisici con ineofascisti, ed è appunto una Hazet 36 che uccide il giovane missino. SergioRamelli ha 19 anni, morirà dopo 47 giorni di agonia.Maurizio Costa, il suo aggressore:sembrava un'eternità, ma in realtà erano pochi minuti di attesa. A*> certo punto, girandomi, vidi il ragazzo, Ramelli, che stava par-AlH^lan^‘ " Pr‘P"‘ motorino. A quel punto, diedi una gomitata adI . ‘.e e.' avviammo. Nel pezzo di strada brevissimo che ci separava,ci vide e io vidi lui. Quello fu per me il momento più tremendo,erti a-ncora "vivo adesso, perché lo vidi negli occhi e provai molte‘zioni. Una era quella di dire "lasciamo perdere, andiamocene via

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subito, non si può, non si può". In quel momento mi ero reso conto che una cosaerano i fascisti idealizzati come simbolo e un'altra il ragazzo che avevo difronte, praticamente un mio coetaneo. Ma qui inizia la mia colpa, credo, piùgrossa: quella di aver comunque continuato, di aver fatto appello a quell'altraforza che c'era in tutti noi, la forza dell'ideologia, e di essere andatoavanti. Mi ricordo che lui mi mostrò il viso, ma io non ebbi la forza dicolpirlo al viso perché avevo paura di provocargli uno sfregio, rompergli deidenti oppure rovinargli un occhio, per cui cercai di colpirlo al capo in modo dastordirlo. Perché quella era la cosa che ci si era prefissata di fare:stordirlo. E quindi cercai di farlo. Non so con quanta forza lo feci... difatto, però, non riuscii nel mio intento, perché il motorino che aveva fra legambe ci sbilanciò e finimmo per terra tutti e due... E il ragazzo continuava adire "no!" e in quello stesso momento, da una finestra, una donna si mise aurlare. A quel punto non ce l'ho più fatta a continuare, mi sono girato e sonoscappato. Io ho sempre avuto la sensazione che in quegli anni ci fossimodilaniati gli uni con gli altri, giovani contro giovani, ed è una cosa che nondeve più ripetersi... è inaccettabile!Si muore da entrambe le parti. Il 16 aprile un estremista di destra uccide acolpi di pistola lo studente Claudio Varalli, estremista di sinistra. L'indomaniMilano sembra una città in guerra. Durante un carosello una jeep investel'insegnante Giovanni Zibecchi, uno dei leader dei Caf, Comitati antifascisti.Per la prima volta si sente uno slogan destinato a risuonare a lungo: "Pagheretecaro, pagherete tutto". Pagheranno, da una parte e dall'altra, soprattutto igiovani.Sul finire della primavera del 1975 viene deciso il rapimento a scopo diestorsione dell'industriale Vittorio Vallarino Gancia. L'ha organizzatoMargherita Cagol insieme con Walter Alasia, da poco giunto nelle Br e destinatoa una breve militanza.Il vertice brigatista, lo riferirà più tardi Giorgio Semeria, è poco convintodell'operazione; Mara, però, brucia i tempi e questa fretta determina alcunierrori di preparazione. Quello più grave è la scelta, come base, della cascina

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Spiotta d'Arzel-lo, sulle colline del Monferrato, usata da anni dai brigatisti,ma troppo vicina al luogo del sequestro.Vallarino Gancia è rapito il 4 giugno e subito si verifica " primo imprevisto:l'arresto casuale di una recluta delle Br>

Alassimo Maraschi. A suo carico c'è soltanto uno scontro d'auto seguito da unabreve fuga. Maraschi si proclama subito prigioniero politico e il generale dallaChiesa, che dirige le indagini deduce da questo particolare che le Br si trovanonella zona. La cascina Spiotta, quinta nella lista delle perquisizioni, èraggiunta dai carabinieri verso le 11,30 del 5 giugno. Colonnello Umberto Rocca,allora tenente:Arrivai nella cascina Spiotta, e giunto nel cortile vidi che la porta e lefinestre erano sbarrate; c'erano due macchine posteggiate sotto un porticato.Gli sportelli non erano chiusi a chiave; li aprii, controllai le carte dicircolazione e diedi l'incarico a un appuntato di chiamare la centrale percontrollare i nomi. Un altro appuntato mi segnalò una donna che ci stavaguardando attraverso delle persiane; poi la porta della cascina venne aperta esi affacciò un individuo che mi domandò che cosa volevo. Gli feci presente cheeravamo in divisa, che eravamo carabinieri, e gli chiesi se cortesemente volevauscire e presentarmi i documenti.Siccome la mia attenzione era sempre attirata dal piano superiore, mi voltai dinuovo in alto. In quel momento sentii la voce del mio maresciallo che migridava: "Attento, attento!". Ebbi appena il tempo di voltarmi e vidi una cosarossa, una bomba a mano, che volava verso di me. Istintivamente alzai il bracciosinistro. La bomba colpì il gomito sinistro e mi amputò il braccio. Ebbifortuna, il calore dello scoppio chiuse i vasi sanguigni, per cui non moriidissanguato. Non caddi a terra, sparai con l'Ml in direzione della finestra. Nelconflitto un mio appuntato fu ferito gravemente e morì sei giorni dopoall'ospedale. Sul campo, diciamo, rimase una donna che fu identificata perMargherita Cagol, la moglie di Renato Curcio. Subito dopo liberammo ilsequestrato.Prima di fare la scelta guerrigliera, Mara Cagol suonava la chitarra classica.Nella registroteca della Rai c'è una sua inter-Pretazione: era parte di unconcerto eseguito il 7 dicembre del !966 negli studi di Trento. Per la finedella terrorista si parlerà dl un eccesso di ritorsione, peraltro maidimostrato.La scomparsa di Mara Cagol contribuisce al declino del ver-1Ce Brigatistacosiddetto storico, ormai sul punto di essere sosti-uito dal gruppo militaristache sta trovando il suo capo in Mano Moretti.tirante gli ultimi mesi del 1975 le Br riprendono l'offensiva 'zzando azionicontro professionisti e industriali e assalti al-

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le caserme. Devono però subire, una dopo l'altra, non pochp sconfitte. Anche perCurcio i giorni di libertà sono ormai con. tati. Localizzato dal Nucleo specialedei carabinieri, viene trat. to in arresto in una base di Porta Ticinese, dopoventi minutj di scontro a fuoco, nel tardo pomeriggio di domenica 18 gen. naio1976. Con lui è Nadia Mantovani, la cui foto, scoperta in un covo, ha consentitodi arrivare fino all'appartamento.Curcio, ferito, dice ai giornalisti: "Con me è stato preso solo un uomo". Sembrache riaffermi l'invincibilità delle Br, ma è l'avvisaglia della sconfitta. Acominciare dalla propria: dopo l'evasione, durante i 334 giorni della sualatitanza, Curcio conosce infatti una progressiva emarginazionenell'organizzazione. In carcere continua a vivere il suo carisma di "capo

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storico", ma è ormai lontano dalla possibilità di influenzare la strategia delgruppo. Tra i pochi terroristi che non si sono mai macchiati di reati di sangue,non ha mai chiesto sconti di pena. Il suo arresto sancisce il passaggio dellaleadership alla nuova direzione strategica che ora è nelle mani di Moretti,Semeria, Az-zolini e Bonisoli. Il 22 marzo anche Giorgio Semeria viene presoalla Stazione di Milano. Era l'ultimo capo storico delle Br ancora in grado dicontrastare la leadership di Mario Moretti.MARIO MORETTI è nato a Porto San Giorgio, nelle Marche. Il padre è commerciantedi bestiame, la madre maestra di musica. Diplomatosi perito industriale,all'inizio del 1968 è a Milano in cerca di lavoro. Ha in tasca due lettere diraccomandazione: una del rettore del Convitto di Fermo, Ottorino Prosperi, perun posto all'Università Cattolica, l'altra della marchesa Anna Casati Stampa diSonci-no, per un impiego alla Sit-Siemens. Lo assumono in fabbrica. Qui diventasubito amico di Corrado Alunni, Giorgio Semeria e Paola Besuschio. Con loroentra a far parte del Collettivo politico metropolitano di Renato Curcio e diMargherita Cagol.Il 29 settembre 1969, in una comune di piazza. Stuparich, si sposa con AmeliaCochetti, maestra d'asilo. Avranno un figlio, Ma'" cello Massimo.La scelta della clandestinità arriva, per Moretti, tra l'estate l'autunno del1970, quando con il gruppetto dei compagni de Sit-Siemens e del collettivo davita a quello che sarà il nucleo stor co delle Brigate rosse. E` un teorico edelabora i primi docume brigatisti, ma è anche tra i primi a prendere le armi ead entrare azione.

II 30 giugno 1971, a Pergine di Valsugana, partecipa con Curcio a una rapina perautofinanziamento. E` la sua prima azione.Dopo l'arresto di Curcio e Franceschini, e poi di Ognibene e Gallinari,diventerà il capo più autorevole delle Br, fino a gestire il sequestro, laprigionia e la morte di Moro e a concludere con quella tragedia la faseculminante della sua attività operativa.Dal '73 al '76 il clima politico del Paese è ricco di contrasti e di scontri chetroveranno soluzioni sempre provvisorie, ma tali da tenere lontano il rischio diuna involuzione verso modelli autoritari. Alla fine del 1973, dopo il colpo diStato in Cile, si fa largo la formula del "compromesso storico" concepito,afferma il Pci di Berlinguer, per garantire il superamento dei gravi problemiche investono il Paese. Così il segretario comunista ne parla con il giornalistaEmanuele Rocco, del Tg2:... Il confronto che si è iniziato non è facile, non solo per il peso cheesercita il passato, ma anche per i dissensi che esistono tra la Democraziacristiana e noi circa la portata politica generale e le conseguenze da trarre daun eventuale accordo. Inoltre molti problemi sono oggettivamente difficili.Rocco: Se vi mettete d'accordo su dei punti programmatici, non è questo fattostesso una svolta, comunque la chiamiate?Berlinguer. Questo sarebbe un fatto politico assai rilevante dal qualebisognerebbe trarre tutte le conseguenze relative al modo con cui garantirel'applicazione di quell'accordo.Rocco: Cioè voi nel governo?Berlinguer: Questa di noi nel governo è una richiesta che manteniamo.\E un altro momento cruciale. Nei risultati del referendum sul divorzio del 1974la sinistra estrema vede un'occasione per sferrare un duro colpo alla De, chegiudica isolata e ormai incapace di riprendere un solido rapporto con i suoialleati tradizionali. Le elezioni amministrative del 1975 modificano i vecchiequilibri politici: è il cosiddetto "terremoto del 15 giugno". Co-niumsti esocialisti vedono aumentare i propri voti, globalmente, del 13 per cento. La Deperde il 2,5 per cento dei suffragi. "J molte città il Pci diventa il primopartito. Si diffondono le "giunte rosse", destinate a creare l'attesa, o iltimore, di radili mutamenti politici. Si parla della possibilità di un "sorpas-So>>, un'evenienza che, per taluni settori della società, della pò-

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litica e delle istituzioni, diverrà preoccupante dopo i risultati delle elezionipolitiche dell'anno seguente.E` la stagione in cui, anche per il succedersi di grandi scandali, la tensionepolitica è forte; l'offrire più rilevante è il giro di tangenti che l'industriaaeronautica americana Lockheed ha pagato a esponenti di partito per agevolarel'acquisto, da parte delle Forze armate, di alcuni aerei da trasporto: gliHercules C-130. Una apposita commissione parlamentare di inchiesta, che ha ilcompito di accertare le responsabilità, il 29 gennaio 1977 manda assolto l'expresidente del Consiglio Mariano Rumor, ma rinvia al giudizio del Parlamento glionorevoli Luigi Gui (De) e Mario Tanassi (Psdi). In difesa di Gui si leva aparlare Aldo Moro: con un discorso di inusitata veemenza dichiara che attraversoil "linciaggio morale" del collega di partito si intende fare un processoall'intera Democrazia cristiana. Ciò, dice, è inaccettabile. Gui viene assolto,Tanassi finisce in tribunale. Una campagna dai toni non di rado esasperati - cheattribuisce al capo dello Stato legami di amicizia con uomini d'affari coinvoltinello scandalo - induce Giovanni Leone a dimettersi - dichiara egli stesso - perevitare una grave crisi istituzionale. E` il 15 giugno 1978, trentasette giornidalla uccisione di Moro. L'8 luglio, con votazione quasi unanime, viene elettocapo dello Stato uno dei fondatori della Repubblica, il socialista SandroPertini.Nella De la crisi interna porta alle dimissioni di Fanfani dalla segreteria eall'avvento di Zaccagnini che, con un nuovo gruppo dirigente, vuole trarre ilpartito dall'isolamento e riprendere il dialogo con gli alleati. Senza moltosuccesso: infatti, alla fine del 1975, l'indisponibilità dei socialisti provocala crisi del governo Moro e il ricorso alle elezioni anticipate.Il voto del 20 giugno 1976 si annuncia come un confronto diretto fra De e Pci. Irisultati rivelano una Democrazia cristiana in buona salute, con il 38,7 percento dei voti, anche in virtù di un ridimensionamento dei partiti alleati; e unPartito comunista che vola al suo massimo storico, raggiungendo il 34,4 p^rcento. La crisi del Partito socialista, che scende sotto il 10 per cento, portaalla sostituzione della vecchia guardia: la segrete"

La notte della Repubblica 213ria di Francesco De Martino cede il passo a un nuovo corso guidato da BettinoCraxi.Il disgregarsi dei gruppi extraparlamentari ingrossa le file jell'"autonomiaorganizzata", che ha per nemico principale il Pci berlingueriano giudicatorevisionista e amico dei padroni. Pi fronte alle difficoltà economiche e socialidel Paese, all'espandersi degli atti di terrorismo e alla difficoltà degliapparati statali di reagire, Moro indica la necessità di una terza fase dellapolitica italiana; essa deve impostare per il futuro l'alternativa fra dueblocchi di partiti che abbiano alla loro testa, rispettivamente, De e Pci.Questo schema presta il fianco non solo a forti obiezioni politiche, madiventerà causa, o pretesto, di una complessa, tragica svolta. Sullo sfondo, ildestino personale di un leader: Aldo Moro.Intervista a Enrico FenziEnrico Fenzi, docente universitario, è considerato l'ideologo delle Br.L'intervista che segue contribuisce a far luce sui rapporti tra i brigatisti incarcere e quelli che conducevano, in libertà, la lotta armata.Professor Fenzi, oggi lei ha cinquant'anni, ne aveva quaranta quando decise dientrare nelle Br: un caso raro, se si considera l'età in cui è avvenuta quellascelta. Che cosa la spinse a compierla?lerFondamentalmente, la convinzione che si assistesse al crollo di un ordinevecchio di cose, che fosse in atto un processo di degenerazione, di deca-Eruzione della società e dei suoi valori, e che occorresse intervenire peressere protagonisti di una svolta, di un cambiamento radicale. Era un "vo-esserci" nel momento in cui questa società si stava distruggendo.Questo privilegiare l'aspetto della distruzione rispetto a quel-0 creativorisulta un po' singolare per un ideologo, come nel Casosuo...ò" aveva la percezione di un grosso sommovimento, che mandava inWurni le cose! Esserne protagonisti, l'entrarci dentro, purtroppo ha as-‘> per me e per altri, come unico contenuto possibile e positivo, la vìa-

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lenza, cioè un 'ulteriore carica distruttiva. Però io vivevo, e credo anche al-tri con me, questo senso di mutamento, di trasformazione, di crisi profon, da:come quando, non so, un serpente cambia la pelle, ed è il momento in cui i nerviescono allo scoperto, in cui tutto diventa più deciso, più crudo e più crudele.Era una sensazione quasi fisica... Entrare nelle Br ha voluto dire, per esempio,abbandonare una famiglia, dei figli. Come mai? Ma perché questa realtà sembravapiccola e limitata in confronto all'altra grande realtà, alla valanga chesembrava arrivare e travolgere tutto e tutti.Mi permetterei di osservare che il volere "entrar dentro quella situazione",come lei dice, per favorirne l'annientamento, corrisponde poco al progetto,ripeto, di un ideologo il quale dovrebbe essere tutto proiettato a immaginare,invece, l'alternativa, il diverso, il nuovo...... questo in me non e 'è mai stato, non ho mai avuto una particolare capacitàdi immaginare il nuovo, non ho mai contribuito a uno scenario nuovo e positivo!No, direi che e 'era una visione di tipo apocalittico, più che una visioneproiettata verso il futuro.Allora qui va fatta subito giustizia di qualcosa: questa sua immagine diideologo forse le è stata male attribuita.Sono due discorsi diversi. Secondo me è stata male attribuita, sì, e io dicosinceramente che sopporto, accetto il fatto che per mille motivi mi venga datal'etichetta di ideologo delle Br, cosa che non sono mai stato! Ma è ormaiinevitabile! Quella etichetta è inevitabile, pazienza! Però la domanda richiedeun 'altra risposta e cioè che, a mio parere, e i documenti credo lo dimostrino,l'ideologia delle Br, in ogni caso, era più volta agli aspetti di un mondo incrisi che non agli aspetti di un mondo da costruire.Lei ha scelto la clandestinità a metà dell'80, dopo essere stato assoltodall'accusa di banda, armata. In quell'occasione la sua figura di brigatista eragià nota; il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, che allora comandaval'antiterrorismo, commentò la sentenza con queste parole: "L'ingiustizia cheassolve".Eh, guardi, è vero, sono stato assolto ingiustamente, considerando <& realtàdelle cose! Però continuo a ripetere, molto serenamente, che f‘quell'istruttoria e con quel processo un giudice non poteva fare altro eassolvere...

L'averla scampata bella non era una buona ragione per farsi da parte, perchiudere con la lotta armata? O era, al contrario, un motivo per ricominciare?No, in realtà è stato un passaggio decisivo quella assoluzione. Avevo abbastanzasenso delle cose per capire come sarebbe andata: durante il processo ho avuto uncolloquio con mia madre, nel carcere di Marassi, a Genova, e mi ricordo che lei,che non sapeva nulla, molto apprensiva si domandava: andrà bene, andrà male? Eio, sorrìdendo, avevo risposto: spero che mi condannino a un numero di anni nontroppo alto, cinque, sei, perché così, quando uscirò, vorrà dire che "ho giàdato" e nessuno mi verrà più a cercare; mentre, se mi assolvono, certamentefinirò in guai peggiori.Su questo "ho già dato", che è molto genovese, forse c'è una riflessione dafare: non mi sembra che la sua fosse proprio un'ansia di espiazione, mapiuttosto il bisogno di cavarsela con il sacrificio minore, al prezzo minore...No, vedevo che le cose sarebbero andate così, che in quel momento non avreipotuto fare altro perché, pur mettendola in battuta, ero convinto di quellescelte e sapevo che le avrei fatte, nonostante le difficoltà, i problemi

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familiari, e nonostante tutto. C'era anche una sorta di fatalismo, forse, eppureero razionalmente convinto.Il suo status di intellettuale le procurava qualche vantaggio all'internodell'organizzazione? Poteva pensare piuttosto che sparare? Oppure le regole delgioco le imponevano di testimoniare anche con le armi?Io desideravo, in questo sono molto sincero, fare il militante, quello chespregiativamente viene detto il manovale. Non avevo nessuna ambizione daideologo!Non a caso andava a distribuire i volantini...faseò ò ò ", le cose sono poi andate come se questo status di intellettuale miavesse protetto, riparato; e probabilmente è stato così, ma più per un condìcircostanze che per una precisa volontà. Ad esempio, nella primagenovese, avendo molti studenti all'università, ed esponendomi nelle

216 Sergio Zavoliassemblee pubbliche con le mie prese di posizione, ecco, ero tenuto in dispartedalla colonna genovese dei brigatisti, che del resto non conoscevo. Avevo unrapporto soltanto con uno o due, che erano i capi della colonna, e questo, difatto, si configurava come un privilegio dovuto a questo status diintellettuale.Professor Fenzi, credo sia così poco credibile questo suo descriversi soltantonel ruolo di semplice militante da indurmi a farmi tramite di una curiositàdiffusa. Lei partecipava all'elaborazione di documenti brigatisti o no?No.Mi saprebbe dire come avveniva la stesura dei testi, tenendo conto che bisognavarispettare le norme della clandestinità e della compartimcntazione?Come avvenisse esattamente non lo so, perché non ho mai partecipato alla stesuradi testi brigatisti; salvo uno, cui del resto ho partecipato solo discutendo,non scrivendo. Questo documento è stato redatto in carcere e ha avuto moltaimportanza nella storia delle Brigate rosse e del movimento. Si intitolaSoggettivismo e militarismo. E` un documento critico nei confronti delle Brigaterosse, scritto da Curdo e Franceschini nel carcere di Palmi. Io ero in cella conloro. La stesura ha occupato circa un mese, e tutti i pomeriggi e tutte le seresi discuteva dei contenuti; su alcuni punti non ero affatto d'accordo, ma questonon ha influito molto. E` stato scritto da Curdo e Franceschini, dicevo. Io hoassistito da vicino all'elaborazione di questo documento che poi è stato fattoproprio da tutta l'organizzazione, specialmente da quella in carcere.Le risoluzioni brigatiste sono state, e in buona misura sono ancora, un rovelloper gli inquirenti. Il loro linguaggio viene analizzato ormai con lascientificità di un semiologo. Lei, come le giudica? Le ha mai criticate, le hamai giudicate incongrue, superficiali, retoriche, mistificanti, mitologiche?Ecco, la dichiarazione è molto antipatica e può anche sembrare snobistica, osciocca: io non sono mai stato un gran lettore dì documenti briga tisti. Hoscoperto che lettori infinitamente migliori di me erano i che mi interrogavanosulla base dei documenti brigatisti.

La notte della Repubblica 217E d'altronde come si può negare che quella fosse la vostrastrategia?Certo, no. Ma, più che altro, quei documenti trattavano di problemiorganizzativi. Io ero un lettore molto, molto disattento e anzi, spesso, non lelfggevo> 1ue^e cose- Quando è uscito un volume diventato famoso, L'ape e ilcomunista, che costituiva un pò ' la summa di questo pensiero brigatista,Franceschini, dal carcere di Palmi, mi ha scritto: "Hai visto, cosa ne dici? Eil risultato del lavoro di anni e anni", e io gli ho risposto: "Non l'ho letto enon lo leggerò perché è un libro troppo kitsch per i mìei gusti". Ho la letteradi Franceschini che mi risponde molto seccato: "Ma che cosa vuoi dire, seipazzo... ".C'è in quel che lei dice una vaga sfumatura elitaria... ... forse sì, loconfesso; però, non mi piaceva quel linguaggio.

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Dietro le decisioni, c'era un dibattito? Come venivano scelte le vittime? Checosa ne sapevano i componenti del commando incaricato di uccidere? Sapevanoperché era stata decretata la soppressione di questa o quella persona?Capitavano delle cose stranissime. Ecco un piccolo episodio, perché,poi, la mia cronaca è fatta di piccoli episodi. Ricordo che, a Genova, uncommando è andato in una delegazione per ferire una rappresentante dellaDemocrazia cristiana sulla base di un documento, anzi, di una traccia divolantino, in cui si dipingeva questa persona come l'agente periferico didiaboliche strategie del potere e di disegni malvagi. La zona mi pare fosseMomigliano, una zona operaia. I brigatisti si sono trovati davanti unapersona di mezza età, con una piccola automobile sgangherata, che viveva"i una casa popolare, e che solo a vederla vanificava il pomposo documen-0 su questo famigerato nemico del popolo che avrebbe dovuto essere colpi-‘- Così hanno detto: no, è proprio assurdo, non si può fare... Questa,P^e, brava persona che viveva e lavorava in fabbrica come tutti gli altri,c e era semplicemente un 'attivista della sezione locale della De, non è sta-colpita perché è sembrata una cosa veramente inaccettabile. Ecco, è av-Mo anche questo, e il fatto è interessante perché mostra questa schizo-te tra la realtà e le conseguenze di un modo di ragionare, appunto,Alogico, astratto...

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E` inquietante dover pensare che, cito a caso, Casalegno, bagi, Bachelet, non sisiano salvati in virtù di una macchina sgangherata, di un appartamento popolare?Certo, ma perché in altri casi hanno agito meccanismi diversi.D'altronde abbiamo convenuto entrambi, per quello che può contare, che stiamoparlando di una storia di delitti, e quindi non stiamo cercando esemplarità insenso buono o cattivo rispetto a quella o quell'altra uccisione.Certo, ma se stabiliamo che sono delitti, e che configurano una storiaaberrante, criminale, una storia che è stata sconfitta nella coscienza dellagente, e c'è stato in tal senso un giudizio morale diffuso, che non appartienesolo a noi, ma alla maggioranza del popolo italiano... allora, secondo me, èl'insieme che va giudicato. Ma, anche se non sta a me dirlo, con molta pietà perognuna delle vittime e senza ripercorrere il calvario delle giustificazioniinterne, perché allora si finirebbe davvero a fare le categorie dei delitti.Un giovane terrorista pentito, durante un'intervista, ha toccato il problema dellinguaggio. Ha raccontato in un modo straziante come a questi ragazzi fossevenuta meno la parola per dire agli altri chi erano, per dirsi l'un l'altro checosa volevano. Ecco, come può una rivoluzione essere priva di parole?C'è stata una sconfitta sociale del terrorismo, una sconfitta politica, unasconfitta militare e c'è anche stata certamente questa enorme e, secondo medeterminante, sconfitta della parola, della comunicazione, sul pinna culturale.Questo era un movimento rivoluzionario, nato, bene o male, dalle grandi speranzee dai grandi movimenti del Sessantotto, che raccoglieva e presumeva di portare aradicalità estrema tutta una serie di tensioni che investivano non solo la sferastrettamente politica, ma la vtta, l'esistenza, i suoi contenuti, i suoi valori.Che, quindi, avrebbe dovuto inventare, come le grandi rivoluzioni inventano, unnuovo Iinguaggt0>t nuovi costumi, nuove espressioni, nuove idee, nuove immagini.Ciò non avvenuto nella maniera più clamorosa, e questa è stata la sconfitta flatroce. Perché posso anche pensare a delle rivoluzioni, a dei movimi > sconfittidalla forza militare, o dalla politica, o da altro ancora, rnaseu

Movimento è genuino e nasce davvero dal popolo, da esigenze profonde, non puònon incidere, non innovare, non lasciare qualche cosa. Io sfido a trovare, oggi,

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che cosa in questo campo hanno lasciato le Brigate rosse. Credo davvero cheanche su questo terreno, in maniera molto chiara ed evidente, si misuri la lorosconfitta.Lei ha partecipato al ferimento dell'ingegner Castellano. Nella mitologiabrigatista quella fu un'operazione esemplare che poi si rivelò essere ditutt'altro significato. Ce ne vuole parlare?Sì, mi pesa davvero molto. Ecco, riportandoci all'ottica di allora delle Brigaterosse, l'ingegner Castellano era un dirigente del Partito comunista che sibatteva al fianco degli operai in sciopero contro la ristrutturazione del gruppoAnsaldo; e, nello stesso tempo, era una delle intelligenze più determinantidella ristrutturazione. L'azione delle Br ha evidenziato un fatto fino allorasconosciuto, credo, che ha provocato, sembra, un certo shock nella fabbrica, nelPartito comunista, nella base operaia. E` importante questo discorso, perchépartendo da questo shock, le Brigate rosse hanno diffuso delle analisitrionfalistiche dicendosi convinte di avere toccato un nervo, di avere colpitogiusto per dimostrare alla classe operaia chi erano i suoi veri alleati e chi isuoi nemici. La fallacia di questo ragionamento si scopre però nella verificache ne è seguita: ali'Ansaldo non c'è stato nessun reclutamento, e dopoquell'azione le Brigate rosse hanno trovato solo terra bruciata.Poi le Br hanno ucciso Rossa.E` una storia in cui, credo, si può vedere come dentro una certa logica no cheprevale, alla fin fine, è il peggio; sono convinto della versione accertata deifatti, per cui l'uccisione sarebbe stata opera di un brigatista il quale, dopoche Rossa era stato ferito, si è attardato ad ucciderlo: che cioè fa voluto,come dire, forzare la situazione, esasperarla. Il volantino di rì-Mndicazionediceva: "E` stato un errore". E` una, eh 'io sappia, delle po-c tssime volte checiò è accaduto. Il volantino era contorto e tradiva un 'e-ornu difficoltà. Poi ha prevalso una logica un pò ' galeotta, quella del ' osafatta capo ha, l'organizzazione è l'organizzazione, quello che fa bi-s'ta m ogni caso difenderlo..." e un po' per volta questa cosa è stata dicoesaltata, ma quantomeno censurata. Non se ne è più discusso...

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E` diffìcile accettare questa obiettività: perché dire "è stato un errore" è unmodo implicito di accreditare, in qualche misura le azioni diverse, precedenti eseguenti.Sì, sì, questo è vero. Comunque, il volantino parlava di errore e io credo chela meccanica sia stata quella; ciò che fa riflettere, però, è come all'internodi questa organizzazione, così militare e così orgogliosa dei suoi meccanismiprecisi, potesse in realtà avvenire una cosa del genere, e potesse imporsi, epassare.Non a caso alcuni terroristi, o pentiti o dissociati, parlano di un momento diimpazzimento generale, di allucinazione collettiva, di visione, come dire,schizofrenica della realtà. Ora, mi aiuti a capire se non nascesse anchedall'incapacità di giudicare questa stessa catena di delitti - e di connetterlitra loro - l'ostinazione di continuare per quella strada, come per una sorta ditragica ineluttabilità...E` certamente così. Tornando a Guido Rossa, direi... lo so che è difficile usareun certo tipo di parole... che quell'uccisione è stata veramente un'uccisione...ecco, dovuta al dispetto, alla frustrazione di fronte a una classe operaiagenovese alla quale s'erano indirizzati tutti gli sforzi di reclutamento delleBrigate rosse, e che si era dimostrata praticamente impermeabile a questeprofferte. Perché non bisogna dimenticare che a Genova, come a Torino,diversamente che in altri posti, l'obiettivo era la grande fabbrica, erano gli

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operai... C'era questo mito della fabbrica, della classe operaia, come unaossessione... L'uccisione di Guido Rossa è stata davvero qualcosa di tragico cheha chiuso, sigillato questa storia, e nella maniera peggiore. E stata vista conle ragioni del poi, naturalmente, ma in realtà fu l'ammissione feroce e,aggiungo, dispettosa della sconfitta. I*1' fatti questo omicidio ha chiuso ognipossibile discorso con la classe operaia genovese.Può dirmi se c'è stato un momento in cui lei ha immaginato, o soltanto sognato,che la lotta sarebbe stata vinta e se sì, quando? Attraverso quali analisi?No, no. Non ho mai respirato questa aria o visto spiragli su unfatu~ ro. Devodire che... ecco, questo lo dico agghiacciando ancora adesso, cnt l'unico - sonosincero e onesto - l'unico spiraglio su questo futuro staj‘r

nella frase di un brigatista ammiratore di Poi Poi il quale diceva: "Io,mai vinceremo, non voglio cariche, onori, nulla. Voglio solo che mi siaj to l'incarico di far fuori i nemici, tutti quelli che devono essere fattifjiori. Sarà un duro lavoro perché ci saranno svariati e svariati milioni di{tersone che andranno eliminate. Ecco, io questo vorrei fare, dopo".Quando lei incontrò in carcere Renato Curcio, nacque tra voi, diciamo, tested'uovo, un confronto a livello ideologico? E se sì, su quale terreno viincontraste?Personalmente, mi sono trovato molto più in sintonia con Franceschini che conRenato Curcio.E nelle discussioni che aveste a Palmi, c'era anche ToniNegri?Sì, a Palmi. E anche con Toni Negri, sì, c'è stata qualche discussione. .. Unrapporto molto particolare, questo, certo...Negri è stato un cattivo o un buon maestro?Guardi, per me è una definizione giornalistica e mi secca un pò ' aderire aquesto tipo di etichette; tuttavia mi prendo le mie responsabilità: direi uncattivo maestro, però aggiungerei che, secondo me, la posizione di Negri èquella di chi dice: "Ah!, come sono perseguitato, mi si accusa di essere il capoe il mandante ideologico di tutto quello che è avvenuto in Italia negli anniSettanta, che tremenda ingiustizia!". E, mentre dice questo, in qualche manieravuoi far capire che è proprio così, che è vero; >nentre, invece, non è vero.Penso che, nel bene e nel male, ci sia una so-Pravvalutazione. Negri è, secondome, più innocente, per certi versi, di Wd che lui stesso pensa. Salvo leresponsabilità concrete, che non conosco perché l'ho visto solo in carcere eprima non avevo avuto nessun rapporto con lui,Qualcosa del genere deve esserle sfuggito anche ai tempi del Carcere. Si diceche a causa dei suoi discorsi Negri avrebbe cor-0 u rischio di essereaddirittura ucciso. E` vero?vero.s', sì. E`

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Chi avrebbe potuto dare l'ordine di ucciderlo? E per motivo?// motivo è un insieme di motivi. Io ho l'impressione... ma poi non f> seguito ecapito bene... che dopo il 7 Aprile ci sia stato un grosso divorzia daimovimenti di estrema sinistra di tutta un 'ala radical-intellettuale. úò ilprezzo di questo distacco è stato: salviamo il 7 Aprile e diamo in testa alleBrigate rosse. Ecco, nel carcere questo si è avvertito. L'autodifesa di Negri, eil modo in cui veniva impostata tutta la difesa sua e del 7 Apri-le, era statainterpretata come una operazione di sganciamento che è avvenuta sia dentro ilcarcere - quando i detenuti dell'area, diciamo 7 Aprile hanno teso sempre adistinguersi come buoni dai detenuti, cattivi, delle Brigate rosse - sia fuori.Nel momento in cui alcune persone difendevano il 7 Aprile, dovevano anche dire:"Noi lo difendiamo, ma possiamo difenderlo perché condanniamo recisamente icrimini delle Brigate rosse". Quindi si è creata una polarizzazione tra sinistri

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buoni e sinistri cattivi; questo, fuori, appartiene a una normale dialettica epolarizzazione dì forze, di schieramenti anche intellettuali e politici, ma nelcarcere è un fatto immediato, concreto, vissuto in termini drammatici. E comeessere in una trincea, in prima linea, nel momento dell 'attacco. Uno non puòchiamarsi fuori anche se magari è fuori, per tante cose. E una situazionedifficile.Professore, a parte lo scenario, vuole tornare gentilmente all'episodio?Su Negri si è concentrato tutto questo; quindi per molti era l'emblema deltraditore, dell'intellettuale venduto, che nel momento della difficoltà scendevaa patti con lo Stato. Negri, attraverso alcune sue dichiarazioni, ha del restotranquillamente avallato questa impostazione e, io l'ho ricordato, e 'è statauna lunga intervista di Toni Negri in cui diceva allo Stato: "Ma insommma,Stato, tu non capisci quale errore hai fatto colpendo me: io sono un uomo diconfine, sono l'uomo che media le tensioni tra w Stato e una fascia dipotenziale eversione che in qualche maniera, p6*0' deve essere tenuta sottocontrollo; io vi faccio da filtro". Forse non uso U parole esatte, ma Negri harilasciato in carcere un 'intervista di questo ti pò, rivendicando questo suoruolo. Quindi da una mentalità brigatista v( niva visto doppiamente come nemico,come il peggior nemico.Perché non fu ucciso?

fu ucciso perché tutto ciò, alla fin fine, secondo me, appariva troppoideologico, perché all'esterno sarebbe stato inspiegabile, perché per lamaggioranza degli italiani Toni Negri era pur sempre il leader dell'Autonomia,perché non c'erano dei motivi concreti così precisi per farlo, perché era troppodifficile e poco giustificabile. Quindi per un insieme di cose, per un calcolodi tipo politico; mentre i più ingenui tra le Brigate rosse e tra i detenuticomuni erano pronti a farlo e dicevano: "Ma come, lui è il nemico e rappresentain questo momento il traditore, è qui, facciamolo fuori", i più avvertiti sirendevano conto che era una enormità, che non sarebbe stata spiegabilefacilmente...Apriamo un altro capitolo: quando lei si avvicinò alle Br, sia pure dairregolare, che cosa sapeva dell'attività di suo cognato Giovanni Senzani, oggi"irriducibile"?Praticamente nulla... sapevo che aveva dei rapporti con le Br, però la scopertadel suo pieno coinvolgimento è stata una sorpresa anche per me.Sentì mai parlare di rapporti tra Senzani e la camorra?No, non ne ho sentito mai parlare. Però, nella mia esperienza carceraria, hopotuto constatare che i camorristi, che si richiamavano in particolare a Culaio,cioè i cutoliani veri e propri, si consideravano non tanto una banda criminale,quanto un movimento sociale, con forti connotati antistatali ed eversivi e forticontenuti di solidarietà popolare. Ho trovato una grande, intensa simpatia daparte di questi camorristi verso le Brigate rosse, quasi un 'adesione. Mi riescedifficile immaginare, ancora oggi, seppure meno che in passato, una presenzadelle Brigate rosse, o di un gruppo eversivo, in una realtà come quellanapoletana, senza qualche rapporto con una organizzazione come quella di Cutolo.Lei, con Moretti, è stato tratto in arresto a Milano il 4 aprile 1981. Il 27aprile, cioè 23 giorni dopo, le Br di Senzani rapiscono a Napoli l'assessoreregionale Ciro Cirillo. Sapeva che si stava preparando questa operazione?n verso Ciro Cirillo. Sapevo, in generale, che la colonna di Napoli in mentequalche grossa azione per inserirsi nelle contraddizioni del d‘Po terremoto.

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Lo svolgimento dell'operazione Ç delle sue fasi successive con il pesantecoinvolgimento, si è detto, dei Servizi segreti, di uomini politici, dellacamorra, le hanno fatto sorgere dei dubbi sulla figura di Senzani?Secondo il mio giudizio, no. Sul ruolo di Senzani non mi sono venuti particolaridubbi perché mi sembra sia avvenuto il contrario: che in questo caso i passi percapire qualche cosa delle Brigate rosse li abbia fatti qual-cun altro. E loStato, voglio dire, che è andato a cercare le strade per ani-vare alle Brigaterosse, compresa quella della camorra. Senzani e la colonna napoletana non misembrano, nei fatti, toccati da questa vicenda. Sembra che il riscatto metà selo siano tenuto e metà sia stato pagato: Senzani, quindi, avrà preso quello chegli è stato dato; che poi prima ci sia stato un filtro, che dei soldi si sianopersi per strada, si siano create strane complicità, tutto questo può esserevero, ma non mi pare che ciò arrivi a toccare Senzani. Credo che forse,successivamente, magari per megalomania - ma è una mia, diciamo così, illazione- Senzani abbia potuto civettare un pò ' di più con la camorra o con qualchealtro ambiente, ma in quella specifica azione, che segnava anche il suo esordioalla guida della colonna napoletana, non direi.Una volta lei fu testimone dell'arrivo in carcere di un messaggio inviato daMoretti a Curcio e ai suoi compagni, scritto con inchiostro simpatico tra lerighe di un libro. Tra l'altro Moretti scriveva testualmente: "Diteci voi quantimorti dobbiamo fare di mattina prima che voi prendiate il caffè, per sapervicontenti: se dieci, se venti, se cento". Che cosa significa?L'opinione di Curcio, di Moretti e di altri era che l'Italia fosse sull'orlodella guerra civile, che le masse fossero pronte a lottare, che la linea delleBrigate rosse fosse una linea burocratica, redditivistica, troppo prudente,troppo politica in senso degenere; mentre una linea di movimento più apertaavrebbe sicuramente aggregato grandi masse e permesso la rivoluzione. Curciodiceva: "Ma come! Sono riusciti a perdere tutti gli operai delle fabbriche,mentre quando e 'ero io parlavo a migliaia di persone e strade intere siimbandieravano coi simboli delle Brigate rosse". Era una follia totale questavisione di un 'Italia tutta pronta a scendere in lotta con grandi movimenti dimassa, con le Brigate rosse che facevano da freno perché avevano questa gestionecautelosa e prudente. Se e 'era pazzia fuori,

altrettanta ce n 'era dentro il carcere, visto che, in nome di questa visione diuna società pronta ad esplodere - piena di simpatie represse per le Brigaterosse, solo che queste avessero avuto una linea popolare e di massa vincente -si proclamava la sfiducia per il gruppo dirigente esterno, considerato troppoprudente, troppo politico, troppo burocratico, troppo chiuso, troppo settario.Si può supporre che Curcio e compagni pretendessero di decidere dal carcere leazioni da compiere all'esterno e che Moretti, al contrario, rivendicasse laresponsabilità di queste scelte?Sì. Certamente era così, ma altrettanto certamente - non veniva detto, perchédietro a tutto questo era in gioco la direzione effettiva delle Brigate rosse -i carcerati accettavano il principio, stabilito già dalla fondazione delleBrigate rosse, che chi entrava in carcere perdeva ogni carica e in particolareogni possibilità di direzione, come stabilito da tutte le vecchie, stancheorganizzazioni rivoluzionarie. Veniva detta un 'altra cosa: "sulle questionirelative alla lotta contro l'istituzione carceraria, siamo noi di dentro chedettiamo la linea e che diciamo a voi, di fuori, cosa dovete fare". Quindi, perpiani di evasione, attacchi eventuali al personale ecc., si rivendicava queltipo di direzione; anch'essa, naturalmente, negata dall'esterno. Questo era ilvero nodo della questione, e da ciò si capisce in maniera chiarissima comel'ultima tappa della follia del nucleo storico sia stata quella, spessodimenticata, di abbracciare in massa la causa di Senzani, quando Senzani, a capodel fronte carceri, ha rotto con le Brigate rosse per fondare un 'organizzazionea parte. Il nucleo storico si è schierato nella quasi totalità con entusiasmoper Senzani e per le sue tesi movimen-hste. La cautela e la burocrazia diMoretti vengono sconfitte, finalmente c t un movimento che si radica nell'areanapoletana, che ha contatti con il proletariato, che fa dei discorsisull'emarginazione più avanzati, che è in Srodo di interessare i giovani e dimobilitarli ecc., ecc. E` stato l'ultimo grande e tremendo abbaglio del nucleostorico e io... non vorrei dirlo, forse e un po' carogna... ma insomma, ecco,

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molti che si sono dissociati dovrebbero ricordare di aver fatto anche questosbaglio, di aver abbracciato ?"" tipo di posizioni e di avere quindi avallatotutta una serie di azioni.a grande adesione all'ala senzaniana non è un episodio di poco conto u fa stradadella degenerazione politica del fenomeno delle Brigate rosse, sefondo me, e ciòva sottolineato con forza.

226Sergio ZavoliC'è chi ha detto che può esservi qualcosa di strumentale nel-la decisione dicollaborare in qualche modo con la giustizia; ad esempio il desiderio, peraltrocomprensibile, di uscire di galera. O è stato più forte il sentimento dellasconfitta, e quasi un bisogno di espiazione?Non posso rinnegare nessuna di queste motivazioni. C'è il desiderio di uscire digalera, sicuramente, e c'è certamente il senso della sconfitta, e dì una ripulsaanche morale verso quello che si è fatto. C'è un diverso giudizio politico. C'èla percezione di una realtà diversa da quella che si pensava che fosse. Ma tornoal primo punto: c'è, di certo, anche il desiderio di uscire di galera.Lei ha parlato spesso di una casa a Genova sulla collina, cito parole sue, inuno splendido angolo di vecchia Liguria. C'è lirismo, commozione, amore per lanatura, per la vita, nei suoi ricordi: dobbiamo vedervi qualche contraddizione osemplicemente due situazioni opposte e insieme coesistenti?Vede... siamo sempre al nucleo: perché ho fatto quelle scelte? Credo che sianostate frutto quasi esclusivo di un percorso razionale o irrazionale, è lostesso, ma non di motivazioni di tipo personale. Io vivevo bene, ero soddisfattodi quello che facevo e dicevo: "Se mai vinceremo, vorrei tornare a fareesattamente quello che faccio ora, come lo faccio ora. Quindi perché lo faccio?Non per ottenere delle cose diverse, ma perché sono convinto che questa sia oggila cosa giusta". C'era questa forma di totalizzazione storica, se così si puòdire.Interviste a Corrado Alunni e Mario MorettiLe è mai accaduto, Alunni, di provare un sentimento di ripulsa di fronte agliomicidi commessi da suoi ex compagni?Sì, in un caso soprattutto: quello di via Domodossola a Torino, credo chel'impazzimento fosse manifesto, dove appunto le organizzazioni si rifugiavano inse stesse cercando di affermare solo se stesse, più che va lori, ideali,progetti, obiettivi, ecco. . . e allora, in quel caso dì via DoW dossola, sì, hosentito una distanza notevole non solo sul piano po<-ltlC ma anche sul pianopersonale, etico, emotivo.

La notte della Repubblica 227Alla vigilia del suo processo, nel 1980, se non sbaglio, tentò di evadere dalcarcere di San Vittore. Condivise questo tentativo con Renato Vallanzasca, unbandito pluriomicida. Come spiega quel sodalizio?Ma perché tutti i militanti finiti in carcere sapevano e volevano costruire unrapporto con quelli che noi chiamavamo "proletari prigionieri", per direl'insieme dell'altra popolazione carceraria. Quando furono aperti i carcerispeciali nel 1977, di detenuti politici ce n 'erano cento, forse meno, quindigli altri 1400 non erano detenuti per reati politici o legati al terrorismo. Eradelinquenza comune e già da prima, noi come area, come militanti, avevamocercato di sviluppare rapporti con il movimento all'interno delle carceri cheaveva prodotto molte cose negli anni precedenti, fino ai tempi della riforma eanche successivamente, e che simpatizzava in qualche modo con la lotta armata.Quindi pensavo di avere un rapporto anche con figure come Renato Vallanzasca.Ciò non significava, almeno per quanto mi riguarda, reclutarli per un progettopolitico, ma avere un rapporto basato sulla condizione che uno vive, cioè sullarealtà della propria esistenza come detenuti.Granisci aveva e manifestava molta solidarietà umana per i cosiddettidelinquenti comuni, ma non ammetteva nessuna commistione, nessuna complicità,nessun tipo di contatto che andasse oltre la contiguità fisica. Erano altridetenuti?No, ma erano anche altri tempi.

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Perché dopo l'arresto di Curdo, di Franceschini, di Bonavi-ta> di Semeria e dialtri, la vostra strategia si indurì fino a una sorta di militarizzazione?Moretti.Perché è una storia di movimento. Quando si sono palesemente induriti 'tenr>'ini della pratica militare delle Brigate rosse, ciò avveniva in rappor-0alle condizioni politiche italiane. E` erroneo pensare che i mutamenti "a lìneadelle Brigate rosse possano risalire all'arresto di questo o di compagno o alprevalere di una tendenza o di un 'altra. E` una tesi al dietrologismo, chevorrebbe scindere le Brigate rosse buone dalle rosse cattive.

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Ecco, il discorso è caduto su un tema forte del nostro incontro ed è un discorsodi fondo anche sulla morte. Lei ha mai ucciso?E` una domanda che a un soldato è retorico fare, nel senso che chi accetta dicombattere ne accetta tutto. Io mi sono assunto la responsabilità politica,morale, e anche giuridica, se è per questo, di tutto ciò che hanno fatto leBrigate rosse e quindi anche delle azioni più cruente. Non ho tuttora nessunadifficoltà ad assumermene la responsabilità.La realtà vi aiutò mai a capire che la vostra strategia o la vostra avventuraera fallita?Dopo Moro e negli anni successivi, 1981, 1982, con la sconfitta della classeoperaia nella Fiat: quando il movimento non riesce più a tenere, e questo nonsono solo io a dirlo, cioè quando la complessità della trasformazione socialenon genera più quei movimenti che supportavano l'iniziativa delle Brigate rosse.Mi perdoni, lei ha detto "quando il movimento non riesce più a tenere" lasciandosupporre che dietro avesse una massa. In realtà, quando vi accorgeste che dietrodi voi il popolo non c'era?Noi ci rendemmo conto che si stava esaurendo la prospettiva delle Brigate rossequando si sono spenti quei movimenti che le avevano prodotte. Non c'era piùacqua, per questo pesce.

UN'ERUZIONE SOCIALE: I MOVIMENTIDEL SETTANTASETTE LOTTA CONTINUA, POTERE OPERAIO, AUTONOMIAIL PROCESSO DEL 7 APRILE E IL "TEOREMA" CONTESTATONove anni dopo il Sessantotto, la controcultura giovanile vive una secondautopia.Il Sessantotto era fallito, l'immaginazione non era andata al potere, eppurequel grande falò era stato, a suo modo, rivoluzionario. Una certa mentalitàcontemporanea, grazie a una scintilla minoritaria, aveva dovuto quantomenoripensare alle grandi questioni dell'esistenza, della società, della politica.Il Sessantotto, ricco di denunce, ma privo di progetto, è morto, si sentivadire, ma nessuno aggiungeva che avendo innescato la carica, prima o poi, inaltre forme, si sarebbe rifatto vivo; non foss' altro che per liquidare,intanto, i propri errori.Mentre le bottiglie del Sessantotto con i loro messaggi ideologici, a furia dimareggiate, erano finite chissà dove, le P38 vanno subito a segno. In meno didieci anni gli slogan si sono fatti sempre più duri e disperati. "Rinunciarealla violenza vuoi dire rinunciare a nascere storicamente, significa rinunciarea cambiare il mondo", dice una delle nuove massime. E ancora: "la violenza paga,la violenza è sempre politica". Oppure: "la distruzione è gioia continua". Ideeproclamate anche in altri tem-P1' su altre sponde. Non sono il seguito delSessantotto, anche Se i suoi colpi di coda hanno agitato a lungo l'acquario enon di rado, sul fondo, scorgiamo qualcuna delle sue vittime. Diviso ra ideali eimposture, realtà e utopia, irrompe e si spande il Srande magma del 1977;anticipatore, almeno nei fatti, di annien più bui. E qui comincia a disegnarsi la mappa del cosiddet-

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"movimentismo": un'esplosione ribellistica che prenderà va-, attraversando nonsolo la parte più ideologica e ani-

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mosa della protesta giovanile, ma anche quella meno politicizzata, velleitaria eviolenta.Lotta continua accoglie subito tutte le ondate della protesta: studenti,femministe, soldati di leva, sfrattati. Scende in piazza con cortei fortementeprotetti da un agguerrito servizio d'ordine. Si divide presto su un contrasto difondo fra la linea che ra-dicalizza lo scontro, sostenuta da intransigentifrazioni operaiste, e quella del gruppo dirigente, che tende a trasformare ilmovimento in partito e ne teorizza l'ingresso nell'area istituzionale con ilrifiuto definitivo della lotta armata.Quando questa linea prevarrà, centinaia di militanti, disorientati e delusi,lasceranno Lotta continua. Con loro anche Walter Alasia, che in quell'occasionecompirà la scelta decisiva della sua breve vita diventando clandestino eterrorista.Altri dopo di lui faranno quella scelta, percorrendo la stessa strada,dall'antifascismo rosso o cattolico ai gruppi extraparlamentari, per uscirne poiin crisi politica ed esistenziale e arrivare al partito armato.WALTER ALASIA entra nelle Brigate rosse a 19 anni, nel 1975. E` nato e cresciutoa Sesto San Giovanni. I genitori sono operai e comunisti. Diplomato all'Istitutotecnico industriale, ha un lavoro precario alle poste. Quando comincia a farepolitica è vicino al Partito comunista, ma poi se ne allontana per passare aLotta continua, la formazione extraparlamentare capeggiata da Adriano So-fri,già leader di Potere operaio a Pisa, che contesta da sinistra il Pci e isindacati. Non ha più di tremila aderenti, giovani e giovanissimi, non teorizzal'insurrezione, e in ciò dissente dal gruppo contiguo e concorrente di Potereoperaio; considera strumento politico la violenza purché "rivoluzionaria, dimassa e di avanguardia".Walter Alasia è tra i terroristi che il 15 maggio del 1975 irrompono, armi inpugno, nello studio milanese dell'avvocato Massimo De Carolis, esponente didestra della Democrazia cristiana. Lo ammanettano e lo sottopongono a uncosiddetto processo proletario. "Ora ti ammazzo", gli dice alla fine uno deiterroristi. Avvita il silenziatore alla canna della pistola spara: un solocolpo, al polpaccio sinistro.Il 15 dicembre, alle 5 e mezzo del mattino, Walter Alasia

fuoco sui poliziotti che sono andati ad arrestarlo a casa. Uccide jlvicequestore Vittorio Padovani e il maresciallo Sergio Bazze-ga. Salta da unafinestra e nella fuga è colpito.Nel 1976, quando muore Walter Alasia, le Br sembrano sconfitte. I capi e lamaggior parte dei militanti sono in carcere; i brigatisti regolari in libertà,si saprà in seguito, ridotti a non più di quindici.Giancarlo Caselli, magistrato:Quando ci siamo trovati ad affrontare questi personaggi, meglio, questi problemi- perché in una prima fase i personaggi non si trovavano - ne sapevamo moltopoco. Soltanto col passare del tempo abbiamo cominciato a capire alcune cose.Per esempio, che un gruppo terrorista può diventare forte, purtroppo,facilmente. Basta mescolare fanatismo ideologico e una certa capacità diorganizzarsi, sfruttando le mille possibilità mimetiche di una grande città,diversificando i compiti tra regolari e irregolari e cercando collegamenti conla società civile a vario livello. Bastano queste capacità per poter colpireanche duramente, sia pure con un gruppo terroristico di consistenza numerica

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modesta. Ciò rendeva le Brigate rosse pericolose non tanto dal punto di vistamilitare, ma politico: per la possibilità che avevano di stabilire uncollegamento con settori della società civile e del mondo intellettuale.I brigatisti intanto stanno riordinando le fila: i nuovi capi sono MarioMoretti, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli, Barbara Balzerani. Devono adottare unanuova strategia; la loro scelta è quella estrema: intensificare la lotta armatae quindi potenziare l'ala militante delle Br.A Roma Moretti organizza una colonna che si aggiunge a quelle di Genova, Torinoe Milano. Ne faranno parte Valerio Morucci e Adriana Faranda, che hanno lasciatoPotere operaio. Ma questi rinforzi, importanti soprattutto perché giungonoquando più sono necessari, non bastano a spiegare come le "T riescano a vincererapidamente la crisi, fino a divenire una delle più temibili struttureterroristiche del mondo occidentale.Intorno al progressivo frantumarsi dell'ultrasinistra ribolle area frastagliatae variopinta del dissenso e della contestazio-e giovanile. E` uno spaziooccupato da gruppi e gruppuscoli di udenti, di ex studenti lavoratori, difreakanzi fricchettoni co-

232 Sergio Zavolime si dice nel gergo giovanile, figli dei fiori, gay, libertari, ex anarchici,emarginati, femministe. A tutti questi è destinato il Festival del proletariatogiovanile che si apre al Parco Lambro di Milano a fine giugno del 1976,organizzato da "Re Nudo", rivista di cultura alternativa. Con sacchi a pelo etende, vi partecipano circa 100.000 giovani. Un giovane al Parco Lambro:Esproprio... è giusto da un punto di vista politico... il problema è diorganizzarci partendo dai nostri bisogni, all'interno delle situazioni in cuisiamo e quindi, dopo il Festival, riprendere questa problematica e questapratica, concretamente, nei quartieri, nelle fabbriche e darci una definizionepolitica generale... contro la crisi e contro il capitale, senza delega anessuno... perché all'interno di un processo politico l'autonomia cresca e siaffermi proprio come l'unica alternativa per una società che è basatasull'abbattimento del lavoro salariale.Un altro giovane:Io sono d'accordo sull'esproprio dei supermercati, la Standa, la Rinascente, micapisci? Per questo ci sono stati degli scontri... quando siamo arrivati,abbiamo deciso di fare un esproprio in un super-mercato per prendere roba damangiare. Cioè, l'esproprio è anche una cosa di classe, una cosa che conta, nelmovimento. Appena arrivati all'angolo, una pattuglia di polizia ha avvisato ilcomando dei carabinieri. Sono arrivati i "caramba" che hanno caricato; noigiustamente abbiamo risposto con sassi, pietre e anche bottiglie molotov, perchéin quel momento era giusto farlo, come è quasi sempre giusto... perché bisognaportare veramente l'attacco al cuore dello Stato. Quando la "pula" ha caricato,abbiamo risposto e poi siamo scappati. Un candelotto ha colpito un compagno auna gamba, ha colpito gente di striscio, gente che piangeva, vomitava. Hannoammazzato u cane di un compagno, si sono sfogati sugli animali, sono propriodelle bestie! Dopo un po' hanno caricato in un'altra via, questa volta era laCelere e abbiamo risposto anche là, abbiamo respinto l'attacco. Questa volta nonsolo il cane hanno colpito, ma anche i miei compagni, hanno sparato non solocandelotti, ma anche colpi da arma da fuoco. Abbiamo tre proiettili, cioè trebossoli di calibro 9 che possiamo far vedere... ci sono le testimonianze digente del vicinato-Un candelotto è entrato in un campo da tennis e ha ferito ungiocato" re. Cioè... non sono puttanate che sto dicendo... non so che altrodire, perché ho una tale rabbia in corpo che... non mi va proprio di parlare..

La notte della Repubblica 233lì Festival del Parco Lambro sarà l'ultimo della serie. Tra i giovani si èdiffuso il dubbio che il Festival fosse anch'esso una sorta di ghetto da cuibisognava uscire per entrare nei quartieri della città, affermare i propribisogni e lottare per soddisfarli.Tutto questo esplode in quella sorta di eruzione sociale che è il movimento del1977. Hanno spaccio parole come "esproprio", "autoriduzione", "ronda","occupazione" e "spesa proletaria"; si teorizza un paradossale rifiuto del

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lavoro, si proclama la necessità del gioco, della festa come politica eviceversa.Si parla, insieme, di comunismo e di strategia dei desideri, si mescolanocuriosamente i valori egualitari della sinistra e quelli permissivi econsumistici delle società capitaliste avanzate. "Pane e rose", chiede unoslogan di quel tempo. E, ancora, il gusto della beffa, del dileggio,dell'insulto, dello slogan dissacrante, dell'happening nelle piazze e nei corteicon mimi e clown, girotondi e danze. Scendono in piazza le diverse tribù degliindiani metropolitani con il volto dipinto, i tamburi, le asce-giocattolo,indiani di pianura e di città che, come i pellerossa, si considerano espropriatie chiusi nelle riserve e levano grida di guerra contro "i visi pallidi in giaccagrigia", così li definiscono, del capitalismo.Il movimento conferma le sue due anime: una è quella della creatività, cioètrasgressiva, irridente, spontaneista, e quasi sempre non violenta; l'altra,quella della lotta politica, è dura, intransigente e violenta.Dal 1970 sono andati formandosi centinaia di circoli, comitati e collettivi infabbriche, università, ospedali, quartieri cittadini e borgate. Diversi perispirazione, hanno in comune soltanto il voler essere tutti autonomi rispettoalle istituzioni delordine costituito: politiche, economiche e culturali; masoprattutto autonomi dai partiti e dai sindacati. Per uscire da n aggregazioneconfusa e rissosa, i gruppi più radicalizzati e Aitami avevano già progettato difare causa comune. Era na-a così, nel 1973, Autonomia operaia organizzata,rivelatasi P01 capace di porsi all'avanguardia dell'intero movimento, diPenderne la guida.ero teorico e riconosciuto maestro di Autonomia operaia è

234 Sergio TavoliToni Negri, che insegna dottrina dello Stato all'Università di Padova.TONI NEGRI è nato a Padova, padre comunista, nonno socialista. Tra i diciotto ei vent'anni nella Gioventù dell'Azione cattolica, n0j iscritto al Partitosocialista, libero docente universitario a 25 anni Fa parte del gruppo di"Quaderni Rossi", rivista fondata a Torino da Raniero Panzieri, già direttoredel socialista "Mondo Ope-raio". "Quaderni Rossi" ha un'impostazione operaista:teorizza tra l'altro, lo sciopero improvviso e imprevedibile, detto a "gattoselvaggio", contro la programmazione neocapitalista. E` solidale con gli operaiche durante i grandi scioperi per i rinnovi contrattuali del 1962 si scontranoper tre giorni con la polizia in piazza Statuto, a Torino, e assediano la sededella Uil che ha accettato un accordo separato.Nel 1963 Negri lascia il Partito socialista per dissensi sulla prospettivapolitica di centrosinistra e nel 1969, con Franco Piperno e Oreste Scalzone,fonda Potere operaio e la rivista dallo stesso nome. Nel 1970, al primo convegnotenutosi a Firenze, la violenza rivoluzionaria viene definita discriminante edecisiva; l'anno dopo l'organizzazione dichiara, senza mezzi termini, che il"partito armato" è immediatamente all'ordine del giorno.Tra le idee di Potere operaio fanno spicco non solo l'assenteismo e ilsabotaggio come strumenti di lotta per scardinare e distruggere il sistema dellaproduzione industriale: nemici dichiarati sono i padroni e la De, le riforme, isindacati, il Partito comunista, quello socialista e lo Statuto dei lavoratori.Rompendo con il socialismo storico, Negri aveva scritto: "Siamo qui,incrollabili, maggioritari, abbiamo un metodo di distruzione del lavoro, siamotesi alla ricerca di una misura positiva del non lavoro, della liberazione daquella schiavitù che i pa* droni vogliono, che il movimento ufficiale delsocialismo ci ha sempre imposto come araldo di nobiltà. Noi non possiamo davverodirci socialisti, non possiamo più accettare la vostra infamia".Tra il luglio e l'agosto del 1973 Potere operaio si sciogli6-Negri e il suogruppo passano ad Autonomia operaia organi^' zata; ma è un vero scioglimento ouna trasformazione in visi di uno scontro più duro con lo Stato?Il dubbio rimane. Un episodio gravissimo risulta provato i sede giudiziaria: il5 dicembre del 1974, ad Argelato, nei pressl

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di Bologna, un commando aggredisce un portavalori. Sono cinque ragazziinesperti, che non riescono neppure a condurre a termine la rapina. Nella fugasparano e uccidono il brigadiere dei carabinieri Andrea Lombardini che li stavainseguendo. I giovani vengono arrestati, uno di loro si uccide in carcere.L'istruttoria individua il mandante dell'operazione in Toni Negri che nell'87sarà riconosciuto colpevole e condannato.Un potente diffusore delle idee di Autonomia è la rivista "Rosso": ha sede aMilano ed è la prova di come e quanto sia salita, nella sinistra più radicale,l'inquietudine dei giovani. Una parte di loro si convince che l'uso dellaviolenza, magari spicciola e quotidiana, è l'unica strada possibile persoddisfare "desideri, bisogni e diritti". "Rosso" ispira occupazione di case,espropri proletari, assalti a supermercati, dove a volte, magari per irrisione,vengono razziati anche caviale e champagne. Uno slogan afferma, beffardamente,che "i proletari hanno diritto al lusso".Un altro filone è nato a Roma, intorno a un vecchio collettivo di sinistra:quello di via dei Volsci. Asse portante sono gli infermieri del Policlinico, trai quali si distingue Daniele Pifano che nel novembre del 1979 verrà arrestatomentre trasporta, nientemeno, due missili Sam 7.Una roccaforte dell'Autonomia è Padova, la cui università vive in un clima diintimidazione e paura. Professori e studenti che dissentono, ricevono minacce enon di rado vengono pestati. Dal 1977 al 79, soltanto nel Veneto, si contano 817attentati, 174 aggressioni, 206 espropri.Angelo Ventura, professore dell'Università di Padova:Sono stato oggetto di un attentato terroristico il 26 settembre del 1979. Poichéme l'aspettavo, fui in grado di reagire e di sventare l'attacco. La ragionedell'attentato risiedeva proprio, come si rileva dalla stessa rivendicazione,nel fatto che avevo scritto su diversi giornali spiegando il rapporto dialetticoche esisteva tra l'Autonomia operaia Organizzata e i gruppi terroristici armati,quelli che sparavano, ferivano e uccidevano.Severino Galante, docente universitario:"iu di 500 attentati in un breve arco di mesi, in una sola città, pic-ola,mediopiccola, come Padova, lasciano segni profondi, di terrore eale nella mentee nell'esperienza quotidiana della gente. Questa era

236Sergio Zavolila realtà della Facoltà di Scienze politiche, e della città di Padova-violenzefisiche e violenze morali, aggressioni, attentati, bombe molotov, spari dipistola; violenze più sottili come le intimidazioni, le minacce, le telefonateanonime, i silenzi al telefono, i sibili dietro alle spalle. Tante cose che sicongiungevano insieme e che riguardavano non singoli individui, ma decine,centinaia di persone dalla parte delle vittime e dalla parte dei carnefici.Uno dei principali obiettivi della galassia dell'Autonomia appare quasi subitoil "potere rosso", accusato di andare a braccetto, o giù di lì, con la vecchiaclasse dirigente. Il Pci, che ha ribadito la sua scelta democratica eparlamentare, diventa il nemico numero uno. E` Luciano Lama, comunista,segretario generale della Cgil, uomo simbolo dell'unità sindacale, a fare lespese per primo di questa nuova ribellione. Il Pci aveva deciso di far tenere aLama un comizio all'Università di Roma, occupata dagli autonomi, quasi chel'autorevole sindacalista potesse avere un effetto, come dire, taumaturgicosugli studenti."Via, via la nuova polizia!" gridano gruppi di studenti appena Lama entranell'ateneo accompagnato da un servizio d'ordine di giovani comunisti. Le murasono cosparse di scritte irridenti. Per esempio: "I Lama stanno nel Tibet". Trail servizio d'ordine sindacale e gli autonomi si scatena una zuffa furibonda.Lama deve rinunciare al discorso ed è costretto a lasciare, sotto scorta,l'università. Quel giorno, intervistato dopo gli incidenti, affermò:Secondo me è indispensabile che le forze del progresso, che ci sono anchenell'università, si impegnino in un'azione positiva. Diversamente, si troverannoridotte tutte, in pratica, in una posizione di stallo. Noi siamo nettamente laforza maggioritaria anche dentro l'università. Non si possono confondere deipiccoli gruppi con la grande massa degli studenti dell'Università di Roma.

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Bologna: la città vetrina del comunismo che governa, come viene chiamata. E l'ilmarzo quando Francesco Lo Russo, ex militante di Lotta continua, viene colpito amorte da un cara" biniere.Agostino Lo Russo, padre di Francesco:

La notte della Repubblica 237L'11 marzo del 1977, rientrando in casa dal mio servizio a Forlì, ove eropresidente del Consiglio di leva, non vidi mio figlio all'ora di pranzo. Chiesia mia moglie e all'altro figliolo e mi dissero che era andato a studiare con uncollega suo, un certo dottor Moretti, che abitava qua vicino, dalle parti di SanDonato. Poco più tardi telefonò questo Moretti dicendo che Francesco era statoportato in ospedale. Jl figliolo che era qua, Giovanni, scappò in ospedale e dilà mi telefonò, dicendomi queste testuali parole: "E` stato portato a Medicinalegale". Capii subito... Cosa era avvenuto? In mattinata c'era stata unamanifestazione di studenti di opposte fazioni. Francesco, che era in casa diquesto amico a studiare, verso le dodici e mezzo uscì per venire a casa, peròvolle passare dall'università perché doveva vedere degli amici. All'universitàvenne a sapere dei tafferugli del mattino e della dura carica fatta dalla forzapubblica. Con alcuni compagni, quattro o cinque, si diresse verso il centro eall'incrocio tra via Ma-scarella e via Irnerio, mentre passava l'autocolonnadella polizia, ci fu una piccola, diciamo così, manifestazione contro le forzedell'ordine; e allora un carabiniere scese dall'autocarro e sparò nell'occhiodel portico, e un colpo raggiunse Francesco al cuore.La città è invasa dalla contestazione, che prende di mira il più popolare deisimboli istituzionali: il sindaco Renato Zan-gheri. "Zangherì, Zangherà,zangheremo la città", è lo slogan del movimento.Zangheri:Ma che cosa c'era sotto questo prendersela con il sindaco, con la città e conl'amministrazione comunale da parte di molti studenti, di molti giovani? Certo,c'era una protesta giusta, quella contro le condizioni di vita e di lavoro deglistudenti che erano ammassati nelle aule e non avevano servizi; e a questo, inverità, il Comune non poteva porre riparo se non in piccola parte perché,allora, né la Regione né il Comune avevano alcun potere in questo campo. Ma lacittà era la città amministrata dai comunisti, dai socialisti, e quindi sipensava che dovesse provvedere a tutto; persine Sartre, in una lettera che mandòa "Le Monde", disse che il sindaco aveva ordinato alla Polizia di sparare, e "LeMonde", correttamente, dovette apporre una nota alla lettera di Sartre dicendoche non risultava che in Italia i Andaci avessero competenza sull'impiego delleforze dell'ordine. Ma,'peto, c'era una protesta che era giusta e c'era il dolore di tutti peruccisione di uno studente: era la prima volta che accadeva a Bolo-sna, nellelotte del lavoro, nelle lotte sociali di questi decenni. E spe-arno che non avvenga più... anche se, purtroppo, oggi i giovanigono uccisi dalla droga. C'era anche una spinta alla violenza e su‘ noi fummo intransigenti: no, la violenza non deve prevalere.

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Le ragioni non devono essere fatte valere con la violenza. La democrazia hastabilito delle regole per tutti.Non è tutto nuovo, né autentico, ciò che viene detto o urlato; molte voci, così,finiscono in vocìo. E` il tempo in cui la na. rola prorompe da ogni parte; ancheper la piccola lusinga o per il bisogno di dire qualcosa, qualunque cosa,talvolta non si sa a chi. La radio, fattasi così nuova, scopertasi così

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domestica e popolare, verrà usata addirittura per dar fiato alla rivoluzione eper dirigere i moti di piazza.Da Radio Alice, un'emittente di Bologna:Tutti coloro che ci sentono si mettano immediatamente in comunicazione con gliavvocati...Radio Alice aveva tenuto aperto il suo microfono giorno e notte, facendo unlavoro di controinformazione sulla morte di Francesco Lo Russo. Alle 23,15agenti con giubbotti antiproiettile e pistole entrano nello studiodell'emittente per interrompere una "diretta" su quanto stava accadendo incittà. Il cronista la trasforma nel racconto, dal vivo, dell'irruzione:... la polizia ha ricominciato a battere sulla porta e continua a urlare diaprire... stai attento! stai giù! Stanno arrivando gli avvocati... aspettatecinque minuti... sono qui per strada.Alice... non so chi sia Alberto o comunque... non sono Matteo, senti, c'è lapolizia alla porta. Sono entrati... sono entrati... siamo con le mani alzate...sono entrati... stiamo con le mani alzate..- mi strappano il microfono...teniamo le mani in alto..."Sono giorni che valgono anni", si legge nel giornale del collettivo di via deiVolsci. Toni Negri afferma: "Quanto sta accadendo è assolutamenteentusiasmante".Roma, 12 maggio, due mesi dopo la morte di Lo Russo-Grande manifestazione per ilterzo anniversario della vittori* nel referendum per il divorzio: scontri con lapolizia, che presi' dia la città, scoppiano quasi subito; molti agenti sono inborghese e ciò rende la situazione ancora più confusa. Del resto> da qualchetempo le forze dell'ordine vengono sottoposte a u duro confronto conl'eversione. Di fronte alla crescente aggre

sività dei gruppi più violenti, l'attività repressiva si svolge in condizionidifficili. E sono già troppi i morti alle spalle. Un giovane:Qui, tra piazza San Pantaleo e piazza della Cancelleria, si è poi sviluppato ilcentro di questa guerriglia di cui si parlava e che, in realtà, non esisteva...cioè... c'erano cento persone da quella parte e qui uno schieramento imponentedi Celere. Era composto da due furgoni blindati, diversi plotoni in uniforme econ giubbotti antiproiettile, più un numero non calcolabile... perché io nonsono riuscito a contarli tutti, ma comunque certamente superiore alle dieci...quindici unità, di agenti vestiti nei modi più diversi, come posso esserevestito io in questo momento, o come te. Addirittura ce n'erano un paio che honotato, vestiti da operai... erano agenti piuttosto anziani, corpulenti, vestitida borgataro, con un fazzoletto rosso al collo, da tirare su eventualmente, econ delle spranghe...A Ponte Garibaldi, sono circa le 20, un proiettile di pistola trapassa l'addomedi Giorgiana Masi, 19 anni, militante di un collettivo femminista. La ragazza,trasportata d'urgenza all'ospedale, morirà mezz'ora dopo.Chi ha sparato? Nella versione ufficiale si parla di un colpo vagante partito dachissà chi. I radicali accusano invece la polizia e in televisione, a Tribunapolitica, Marco Pannella, d'impeto, definirà i poliziotti di quel giorno "lupiscesi dalle montagne per farci paura". La trasmissione andrà in onda precedutada una nota della Commissione parlamentare di vigilanza, in cui si deplorano leespressioni del leader radicale.Il 14 maggio, a Milano, durante una manifestazione di studenti che provoca duriscontri degli autonomi con la polizia, ridiane ucciso il vicebrigadiere AntoninoCustrà.Le Br, intanto, perseguono con ben altra strategia e ben altri strumenti i loroobiettivi. Essi vanno visti in una logica ormai militare: tutti mirati, efortemente simbolici, corrispondono al Pfogetto di una vera e propriadestabilizzazione.<8 aprile 1977. Tre brigatisti, due uomini e una donna, uc-cWono Fulvio Crocecon cinque colpi di pistola. Presidente dei-órdine degli avvocati piemontesi,Croce era incaricato di degnare gli avvocati d'ufficio in sostituzione deidifensori di fi-

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ducia revocati dai brigatisti rossi sotto processo davanti alla Corte d'assisetorinese. Dopo 338 giorni di interruzione, sta per riprendere il primodibattimento organico sull'organizzazione strategica e sulla struttura militaredelle Br. La prima udienza si tiene cinque giorni dopo l'assassinio di Croce,martedì 3 maggio, in un'atmosfera di grande inquietudine.Le Br, uccidendo Croce, hanno tentato di impedire il processo così come avevanofatto l'anno prima, alla sua apertura. Quel martedì, sul banco del presidente,Guido Barbaro, c'è una pila di certificati medici: la grande maggioranza deigiudici popolari rinuncia all'incarico. E` una vittoria per le Br, che puntanoalla cosiddetta germanizzazione dello Stato di diritto. Se lo Stato vienecostretto a rinunciare alle regole costituzionali, teorizzano le Br, per ciòstesso ne esce accelerato il processo rivoluzionario. Non tutti i giudicipopolari, per la verità, si erano dichiarati indisponibili.Un giurato:Ho accettato principalmente per questo motivo, perché in una comunità nonesistono solo dei diritti, esistono anche dei doveri; e talvolta persine moltospiacevoli, come questo.Adelaide Aglietta:Non fu una decisione facile. Dopo due volte che era stato rinviato quelprocesso, con tanti giurati che rinunciavano, venne estratto il mio nome; io erosegretaria del Partito radicale, di un partito di sinistra, e quindi sareidiventata un bersaglio possibile. Prevalse la convinzione che, anche in periodidi emergenza, le leggi vanno rispettate e che, se non volevamo costruire ilpeggio per il nostro Paese, con episodi per esempio come quello del carcere diStammheim, in Germania, quel processo andava fatto e andava garantito chevenisse fatto rispettando i diritti degli imputati e i diritti della difesa.Questa, nel mio primo incontro con il presidente Barbaro, fu la prima cosa chegli dissi: io, in questo processo, ci sono per garantire che sia un processo didiritto e non un processo speciale come rischiava di esse-re.Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura:II processo non è vanificato, è rinviato; e potrà svolgersi a suo tempo,speriamo in condizioni più serene, proprio perché, su proposi* unanime delConsiglio superiore, il governo è immediatamente inter-

venuto con un decreto legge per stabilire la sospensione dei termini dicarcerazione preventiva in casi come questo: in cui, per forza maggiore, non sipossa comporre la giuria.Vittorio Bachelet sarà ucciso dalle Br tre anni dopo questa dichiarazione.Anche i giornalisti diventano bersaglio del terrorismo. "Colpiscine uno pereducarne cento" ripetono le Br. Nelle piazze fa eco lo slogan degli autonomi:"Giornalista, schiavo maledetto, te lo scriviamo noi l'articolo perfetto".Si affermerà presto un altro neologismo: "gambizzare". L'offensiva terroristicascatta il 1‘ giugno del 1977; quel giorno tocca al vicedirettore del "SecoloXIX", Vittorio Bruno. L'indomani, il 2 giugno, viene colpito alle gambe il piùfamoso dei giornalisti italiani: Indro Montanelli.Il 3 giugno è gravemente ferito il direttore del Tgl, Emilio Rossi.Corte d'assise di Roma, Patrizio Peci è interrogato dal presidente SeverinoSantiapichi.Peci: Si incominciò a parlare in termini di condanna a morte per Emilio Rossi,poi questa condanna fu cambiata e si decise di sparargli alle gambe per undiscorso, diciamo, politico...Santiapichi: Per quale ragione?Peci: Noi avevamo già ucciso a Torino il presidente degli avvocati, FulvioCroce. Si era in una fase iniziale delle Brigate rosse, nella quale c'erano

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stati pochissimi morti. Il fatto di sommare un morto a Torino e dopo poco tempoun altro a Roma, uno dietro l'altro, dava un impressione estremamente negativa.Questi due morti sembravano a quel tempo una forzatura, nel senso che un mortofa discutere molto poco, è una cosa abbastanza piatta. Fare due morti, in quella'ase, in termini politici sembrava invece sconveniente, ecco...Santiapichi: Non ho capito.Peci: Non ha capito?Saitiapichi: Cerchi di spiegarsi! Noi mica facciamo parte di questaOrganizzazione...Peci: C'era la possibilità di fare un altro morto, però questo morto, ‘nirnatoal morto precedente, in termini politici per noi era contro-Pr‘aucente. Rispettoall'opinione pubblica, al movimento, ci sembra-un forzatura; questo morto successivo non sarebbe stato capito. . .eci: Eppure mi sembra di essere chiaro: fare due morti quando se ne sono maifatti crea dei problemi un po' a tutti, sono sem-i: Non sarebbe stato capito? eci

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pre due morti. Più di così... come dire... Non so se ha capito, se ho resol'idea...Santiapichi: E allora si decise di renderlo invalido...Peci: Sì, ma invece di tirargli con una pistola a colpo singolo alle gambe, glifu sparato con una mitraglietta, ecco.Santiapichi: Come mai?Peci: Mah, forse per fargli più male.L'escalation è terrificante. Il 7 luglio viene ferito Antonio Garzotto, del"Gazzettino"; il 19 settembre è la volta di Nino Ferrerò, giornalistadell'"Unità":Era quasi l'una di notte, stavo tornando a casa dal giornale, dove avevoeffettuato il turno festivo; era infatti una domenica e, tra l'altro, avevoscritto un pezzo su un attentato dinamitardo compiuto da un gruppo, Azionerivoluzionaria, contro la sede della "Stampa". Avevo appunto scritto che quellasigla era nuova, almeno per Torino, del tutto sconosciuta. Non sapevo che pocheore più tardi l'avrei dovuta conoscere a mie spese. I due terroristi, infatti,prima di aprire il fuoco contro le mie gambe, dissero di appartenere a quelgruppo, Azione rivoluzionaria. Avevo posteggiato la macchina vicino almarciapiede, nei pressi del mio portone, quando i due, che avevano rapidamenteattraversato la strada, si precipitarono su di me, spalancarono la portieradell'auto e mi ricacciarono dentro con le pistole puntate. Mi diedero unfoglietto che io non riuscii nemmeno a prendere in mano - si trattava dellaprima rivendicazione dell'attentato - quando immediatamente, prima uno poil'altro, iniziarono a spararmi alle gambe. Uno, due, tre, quattro, cinque colpiin rapida successione. Poi si diedero alla fuga. Io rimasi solo e terrorizzato:mi afferrai le gambe con le mani, le ritrassi sporche di sangue... non potevomuovermi perché i colpi mi avevano frantumato i femori, cercai di suonare ilclacson con la fronte e poco dopo, fortunatamente, sono accorse sul posto duevolanti della polizia che mi hanno rapidamente trasportato al vicino ospedaleMauriziano."Riflettete, prima di stendere l'ultimo pezzo", avvertono minacciosi ibrigatisti.Carlo Casalegno scrive l'ultimo pezzo per "La Stampa" del 12 novembre. "Iguerriglieri" vi si legge tra l'altro "colpiscono per una cinica scelta politicae non per un impulso moralistico spinto fino al delitto." Quattro giorni dopo,alle 13,30, cade gravemente ferito in un agguato delle Br.Casalegno morirà il 29 novembre, dopo una lunga agoni all'ospedale delleMolinette. Aveva 61 anni. Nella Resistenza

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era stato ispettore delle formazioni di Giustizia e Libertà. Vicedirettore delquotidiano "La Stampa", scrittore limpido e severo, si ispirava a rigorosiprincipi civili e morali."Abbiamo giustiziato Carlo Casalegno, servo dello Stato", così è scritto nelcomunicato che riceverà l'Ansa, per telefono, mezz'ora dopo l'attentato.Norberto Bobbio, allora professore di filosofia all'Università di Torino:Arrivai in ritardo a lezione, mi scusai con gli studenti e dissi: "Avete capitoche cosa è successo". Mi ero portato dietro un libro che era uscito poco tempoprima da Einaudi, un grande e bel libro del secolo scorso, di uno scrittorerusso, amico di Mazzini e di Garibaldi, Alessandro Herzen. Il libro, intitolatoUn vecchio compagno, è una polemica contro i terroristi del tempo. Lessi, comecommento all'episodio che ci aveva sconvolto quel giorno, alcune frasi. Una diqueste è la seguente: "Con la violenza e col terrore si diffondono le religionie le politiche, si fondano imperi e repubbliche inscindibili; con la violenza sipuò distruggere e sgombrare il posto, ma non si può fare di più".Non saranno colpiti solo i giornalisti; nel mirino finiranno anche uominiimpegnati nelle istituzioni, ai più diversi livelli. Maurizio Puddu, alloraconsigliere provinciale a Torino:Come consigliere provinciale non pensavo di essere bersaglio dei terroristi.Purtroppo questo rientrava in un disegno globale degli eversori che tentavano,attraverso la disarticolazione periferica, di colpire lo Stato. Infatticolpirono non solo me, ma successivamente anche un consigliere regionale e unconsigliere comunale.L'azione continuò incutendo soprattutto paura: ricevetti alcune te-tefonate, manon mi lasciai scoraggiare. I consiglieri comunali, provinciali e regionali delPiemonte si sentivano bersagli e avevano l'intenzione anche di dimettersi, lefamiglie premevano in questo senso, era un'esperienza dura, atroce. Riuscimmo areagire soprattutto cercando di esprimere solidarietà alle forze dell'ordine,cercando il consenso della gente. Il nostro impegno riuscì, i terroristi furonosconfit-*ò non riuscirono più a portare avanti il loro disegno. Questa testi-onianza così atroce per alcuni di noi - teniamo presente che alcuni ‘n sonostati soltanto feriti e gambizzati, ma sono morti - deve po-^ anche dimostrareche effettivamente la lotta si fa quando si ha il "senso: i terroristi perdonoperché non hanno il consenso della "

244Sergio ZavoliT^ *J\,I gt\J fj**WllPublio Fiori, allora capogruppo al Consiglio regionale del Lazio:Quella mattina, quando uscii di casa, stavano giù ad aspettarmi. Erano loro, iterroristi. Sedevano su una panchina del giardinetto, come se fosse unacoppietta che flirtava. Mi diressi verso di loro, capii chi erano, misi manoalla pistola che da qualche giorno portavo all'interno della giacca, alzai ilcane della mia Smith & Wesson 38. Mi vennero incontro, ci incrociammo: nonsuccesse niente. Pensai per un attimo che ero stato vittima della psicosi delterrore che si stava diffondendo in tutto il Paese. Non feci in tempo a finirequesto pensiero che sentii un ordine secco, la ragazza si voltò e mi sparò unaraffica alle gambe. Anch'io mi girai estraendo la pistola e incominciai asparare uno, due, tre colpi. Non mi accorsi che alle mie spalle un altroterrorista mi sparava a sua volta, mirando al bersaglio grosso. Fui colpito daquattro colpi al torace, caddi. Mia moglie aveva assistito dalla finestra atutta la scena con in braccio la bambina, la nostra figlia di due mesi. Ci siamochiesti perché in quel momento ci fu un allargamento del terrore, perché sicolpivano non soltanto i vertici del partito, ma anche i quadri periferici, unesponente regionale. Evidentemente si voleva spandere il terrore anche allaperiferia della Democrazia cristiana e si voleva in questo modo bloccare ognicapacità di risposta dei cattolici democratici.C'è un'inquietudine diffusa, che non risparmia nessuno. La contestazioneoperaia, anche quella che rimane nell'ambito della sinistra tradizionale, mettein discussione i ruoli di chi, questa è l'accusa, agisce per il sistema. In uncontraddittorio duro ma franco, un giornalista sinceramente democratico si rende

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disponibile al confronto sulle tesi espresse in un filmato che ha per tema lacondizione operaia.Giorgio Bocca: Voi, qualunque volta che si accenna minimamente a unaresponsabilità da parte operaia, vi incazzate...Operaio dell'Alfa Romeo: Non è vero, siamo i primi noi, anche nel filmato...Bocca: ... non vi accorgete che il modo di porre le cose è antistorico! Perché,in fondo in fondo, le cose degli uomini sono responsabilità di tutti. Invecequi, ormai, c'è questa mania, c'è sempre questo sistema, c'è sempre questo diomaledetto che è colpa di tutto...Operaio: Ma guarda che se a me mi dessero tanti milioni per scrivere quello chevogliono, con molta probabilità anch'io riuscirei a far6 questo discorso. Io,una volta, al Centro gesuita di Milano, con te ho avuto un discorso: avevi fattoun articolo specifico sull'assenteismo e

245La notte della Repubblicaò ho chiesto come mai avevi fatto quell'articolo lì, e mi hai detto: "Io hofatto un'intervista, ho semplicemente riportato quello che mi hanno detto",punto e basta. Però, dico, tutte le volte che tu scrivi, riporti solo quello cheti hanno detto o scrivi anche il tuo punto di vista? Se hai fatto la Resistenzacome dicono, io non c'ero, no? e quindi non Io so, dico però a questo punto qui:se l'hai fatta veramente, per che cosa l'hai fatta? Perché questa gente quicontinua a fare quello che sta facendo e tu dici che è antistorico quello chestiamo discutendo?Bocca: Ti do la prova. Quando io faccio un articolo sull'assenteismo, qualcunodi voi dice "ecco l'antioperaio" e poi c'è il film e ci sono tutti gli operaiche dicono: "Sì, c'è l'assenteismo, perché facciamo il doppio lavoro". Se c'èl'assenteismo una ragione esiste!Operaio: Però ne parliamo in modo diverso da come tu scrivi dell'assenteismo,dicendone anche quali sono le...Bocca: Perché voi i problemi li sentite sulla vostra pelle, io ne parlo come unosservatore.Operaio: La differenza sta in questo, che tu hai un ruolo importante, informi lagente, l'opinione pubblica in generale, mentre noi lo diciamo solo ailavoratori, qui. La nostra, che è una verità da confrontare, se vuoi, con latua, è una verità che rimane nel chiuso della fabbrica.Alla rivolta dei giovani del movimento e alle violenze del terrorismo siaggiunge, ancora una volta in autunno, il malessere operaio. I lavoratori dellefabbriche protestano contro l'inflazione e le misure prese dal governo perrallentarla. Vedono con sospetto perfino gli inviti all'austerità che vengonodal segretario del Pci, Berlinguer.Il 2 dicembre '77 circa 200.000 metalmeccanici attraversano Roma gridando controuna politica che chiamano "dei sacrifici". Berlinguer chiede formalmente dientrare nell'area di governo. Cominciano le trattative. Il Pci farà parte dellamaggioranza che sostiene la compagine governativa, non dell'esecutivo.Mentre le grandi città in alcuni momenti sembrano vicine a un clima di guerracivile, si apre a Bologna, organizzato dai ºruppi dell'ultrasinistra, unconvegno sulla repressione. Per la Pnrna volta vengono pronunciateesplicitamente parole di solidarietà con le Brigate rosse.Un lavoratore in assemblea:

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C'è chi viene qui e, partendo da un dato emotivo ovvio, ci chiedevo! sietesolidali con i compagni delle Brigate rosse? Volete difendere tutti i compagni?La risposta è facile, è la tradizione del movimento operaio: tutti i compagnisono sempre stati difesi, indipendentemente dalle posizioni. Noi crediamo che sitratti di organizzare settori di avanguardia e di farli battere contro lo Stato,noi crediamo oggi Cne il momento essenziale sia quello dello scontro armato...Il 1977, con le sue incandescenze, ma soprattutto con la sequela di omicididelle Br, è un anno che lascia aperti numerosi interrogativi. Due anni dopo,talune vicende saranno oggetto di un'inchiesta giudiziaria promossa dallaprocura della Repubblica di Padova a carico dell'Autonomia organizzata econdotta dal giudice Pietro Calogero. L'accusa parte da un presuppostoinquietante: che Autonomia sia solamente il volto esteriore e legale di una piùcomplessa organizzazione occulta, responsabile di atti di guerriglia urbana ecollegata addirittura alle Br.Il processo, detto del 7 Aprile, divide non solo Padova, ma l'opinione pubblicaitaliana. A favore di Calogero si schiera il Pci padovano; contro, una granparte dei socialisti e la nuova sinistra, che chiamano "teorema" il complessodelle accuse; una costruzione astratta, sostengono, per criminalizzare ilmovimento. L'impostazione di Calogero non è condivisa dal giudice istruttoreGiovanni Palombarini, il quale ridimensiona le accuse ponendo in risalto ledifferenze tra Autonomia e brigatisti.Il processo, che si conclude in Cassazione a circa dieci anni dai primi arresti,convalida solo in parte le tesi originarie. Viene in sostanza riconosciutafondata quella secondo cui Negri e altri capi dell'Autonomia sarebbero stati ipromotori di una trama eversiva, per l'appunto autonoma, prolungatasi senzainterruzione dal '71 al '79.Marco Pannella:Forse è l'occasione per ricordare che non abbiamo - come dite - presentato ToniNegri alle elezioni contro le condanne del 7 Apr ' ma che siccome la giustizianon lo processava e lo teneva, in ni . vergognoso per il diritto, perl'Italia, in galera senza processo, con tre 80 persone. Per costringere lagiustizia a processarlo e a con

, eventualmente, noi abbiamo sollevato questo scandalo. Ne abbiamo propostol'elezione al Paese, il Paese l'ha eletto, e finalmente il processo del 7 Aprilesi è fatto, con una giustizia che da quattro anni e mezzo teneva gli imputati ingalera cambiando ogni mese l'imputazione, con le famiglie distrutte, e conaccuse che anche la sentenza di Cassazione ha rivelato assolutamente false. Lacondanna di Toni Negri è la condanna di un vile che è scappato, ma che aveva ildiritto di farlo, perché aveva già scontato gran parte della pena che poi gli èstata data, e che è stato condannato per una cosa marginalissima ed assolto pertutte le maggiori imputazioni.Il 4 febbraio 1983, alla Corte d'assise di Roma presieduta da BeverinoSantiapichi, comincia il processo di primo grado per gli arresti del 7 Aprile.Le accuse mosse dai giudici romani Achille Gallucci e Francesco Amato, dopo iltrasferimento nella capitale del troncone principale del processo padovano, sonogravissime: insurrezione armata contro i poteri dello Stato; associazionesovversiva e banda armata; attentati dinamitardi; due omicidi, rapine e furti.Toni Negri, eletto nell'83 nelle liste radicali, grazie all'immunitàparlamentare lascia il carcere ed entra alla Camera. La Corte condanna ToniNegri a 30 anni, e Oreste Scalzone a 20, per vari reati: tra cui quelli diassociazione sovversiva e banda armata. Li assolve con gli altri imputatidall'accusa più grave: quella di insurrezione armata.Altri leader dell'Autonomia sono riconosciuti colpevoli di concorso nelsequestro e nell'uccisione di Carlo Saronio, un militante dell'organizzazione.Lo avevano rapito, con la sua stessa complicità, per ottenere dalla famiglia unforte riscatto; ma Saronio muore per una dose eccessiva di narcotico.Quattro anni dopo, l'8 giugno 1987, si conclude il processo Q appello. Quasitutti gli imputati beneficiano di una sensibile riduzione delle pene. ToniNegri, rifugiatosi in Francia poco Prima che la Camera concedessel'autorizzazione al suo arresto, è condannato a 12 anni. A Oreste Scalzone,anch'egli riparato in Francia, vengono inflitti 8 anni di carcere. Assolti Perinsufficienza di prove altri capi di Autonomia, come Emilio

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esce, oggi deputato radicale, Alberto Magnaghi, Luciano errari Bravo, PaoloVirno e Luciano Castellano. La Cassa-

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zione, il 4 ottobre 1988, conferma la sentenza d'appello: Toni Negri è ancheinterdetto dall'insegnamento.A Padova, intanto, vengono condannati per banda armata azioni di guerriglia,ferimenti e violenze, più di 150 autonomi A Milano, Negri e altri componentidelle strutture militari che facevano capo alla rivista "Rosso", fra cui CorradoAlunni e Marco Barbone, sono riconosciuti responsabili di banda armata,attentati dinamitardi, saccheggi e devastazioni. Il docente padovano ècondannato a 10 anni di reclusione.L'ultimo dei processi originati dal 7 Aprile, quello a carico di Franco Piperno,si conclude in tempi più recenti. Il giudice istnittorc Ferdinando Imposimatoordina il rinvio a giudizio del leader autonomo per i reati di banda armata econcorso nel sequestro e assassinio di Aldo Moro e degli uomini della suascorta. Piperno, che è riparato all'estero, viene condannato in primo grado peril solo reato di banda armata. Si costituisce a Roma, nel 1988, alla Corted'assise di appello che lo ritiene responsabile del reato meno grave diassociazione sovversiva e lo condanna a 4 anni di reclusione concedendogli lalibertà provvisoria. Nel febbraio 1989 la Cassazione conferma questa sentenzache diviene definitiva.Del processo 7 Aprile è stato detto tutto e il contrario di tutto; lo si èindicato come uno strumento di criminalizzazione diffusa e indiscriminata e losi è visto, viceversa, come una decisa risposta al diffondersi di pericoloseforme di disordine. Il bilancio è comunque doloroso se si tiene conto degli annidi carcere non di rado inflitti a cittadini in seguito dichiarati innocenti, oassolti per insufficienza di prove.A spiegare il processo, però, ci sono fatti che non possono essere dimenticati.Nel clima molto inquietante del 1977 le istituzioni e il sistema politico sirivelano impreparati a fronteggiare la violenza delle Brigate rosse e dellealtre centrali eversive; in frontiera i giudici, con il fardello di dover capirema anche di poter sbagliare.Più soli di tutti e più indifesi rimarranno quanti sono diventati i "familiaridelle vittime", un'espressione che accompag116' rà per anni e anniun'insopportabile sequela di uccisioni da una parte e persine di dimenticanzedall'altra.

Interviste ad Aldo Natoli, Luciano Lama ed Emilie VesceUna testimonianza significativa è quella di un personaggio ue agì a sinistradella sinistra parlamentare: Aldo Natoli. Pri-jna nel Pci, poi con Rossanda,Pintor, Magri e altri, radiato dal partito, tra i fondatori del "il manifesto".L'analisi sul Settantasette accrebbe le distanze dal Pci; questa lontananza,Natoli, vi avvicinò ad Autonomia operaia o no?Lei mi ha chiamato a dare una testimonianza, e io sono in condizione di darlasolo perché nel 1977 e negli anni precedenti lavoravo nella redazione de "ilmanifesto". Quando qualcuno pose il problema della fusione del gruppo de "ilmanifesto" con altri gruppi, per esempio Potere operaio, io fui tra quelli chesi opposero. Questa fusione non si fece. Vi erano tra noi delle profondedifferenze politiche; direi persino divergenze di fondo, sia nella valutazionedi guelfa che era la situazione generale, sia sulle prospettive di sviluppodella lotta sociale nel Paese. Ora, chi non si rende conto della crisi profondaattraversata dell'Italia in quegli anni, crisi non solo politica, ma sociale emorale, non può riconoscere le radici profonde dei movimenti di massa giovanili

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che trovarono il loro culmine nel Settantasette, perché il Settantasette non èla data di nascita di questi movimenti, ma segna il culmine della loro parabolae ne innesca la decadenza. Ma vengo, senza indugiare oltre, al nocciolo dellasua domanda. No, noi, in quegli anni, non dichiarammo mai alcuna simpatia e nonavemmo alcun avvicinamento all'Autonomia: non perché noi condividessimo ilgiudizio sull'identità fra Autonomia e terrorismo, un'opinione da fui dissentoprofondamente, ma proprio perché non condividevamo, come dicevo prima, l'analisidella situazione italiana del momento, e le sue Prospettive.Su quali versanti, Natoli, manifestaste la vostra tolleranza nei confronti deimovimenti?La. nostra posizione era caratterizzata dal fatto che contro il disagio ‘ciale,contro tutti gli elementi di repressione che si erano andati accusando in queglianni, noi ci battevamo in una maniera totalmente di-tnta do. quelladell'Autonomia. Lei non può dimenticare che molti degli di violenza di allorafurono provocati anche da gravi errori com-

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messi dalla classe politica. Vorrei ricordare brevemente i fatti del febbraiodel 1977 all'Università di Roma, di cui disgraziatamente, e me ne dispiacque, fuprotagonista Luciano Lama. Dico che se allora non fossero stati commessi deigravi errori da parte del Partito comunista, quell'ex, sodio non si sarebbeverificato. Vi era stata un'occupazione dell'universi-tà da parte del movimentostudentesco. Era un modo per protestare contro una circolare del ministero dellaPubblica Istruzione a proposito, se non ricordo male, delle sessioni di esame.Intervennero dei gruppi neofascisti ci furono degli scontri e uno studente fuanche ferito da un colpo di pistola. Qui, a mio modo di vedere, il Poi e"l'Unità", invece di riconoscere che in quel momento il movimento studentesco el'Autonomia si battevano contro i fascisti che con la violenza cercavano dirioccupare l'università, praticamente presero una posizione che accomunava gliuni e gli altri. Ricordo molto bene che "l'Unità" pubblicò un articolo in cui sileggeva che il movimento studentesco e l'Autonomia erano l'altra faccia delfascismo, che era poi come fare di ogni erba un fascio. La conseguenza immediatafu che gli studenti comunisti furono del tutto isolati e praticamente espulsidall'università. Da qui nacque poi il tentativo del Pci di ricomparireall'università in forze, e disgraziatamente fu scelto Luciano Lama per dirigerequesta operazione...Senatore Lama, ha qualcosa da dire?...Natoli ...vorrei concludere: l'errore tattico fatto dal Pci fu in sostanzaquello di prendere posizione contro tutte le forze che si trovavanoall'università, senza fare alcuna distinzione fra di esse. Non dico che eranecessario schierarsi, ma sicuramente stare dalla parte delle forze chelottavano contro i fascisti. Non comportandosi in questa maniera, il P<* 5Itrovò isolato.Lama Io non andai all'università a rappresentare il Partito comunista! Ioandai all'università a rappresentare le tre confederazioni. ru una decisioneadottata unitariamente. Ricordo che i segretari generali df le confederazionivennero nel mio ufficio a chiedermi di andare all'univi sita per portare unmessaggio, il messaggio del movimento sindacale, studenti che erano certamenteparte di una società disperata, senza pr spettive, destinata in gran misura alladisoccupazione. Io andai P&J . questo discorso e lo feci. Io non so se voi diquel tempo e di quella u versila ricordate qualche immagine: dai tetti a terra,sui muri, era

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serie infinita di scritte. Era il periodo in cui erano state distrutte delleòmacchine all'interno dell'università. Gli indiani metropolitani fecero la loroapparizione folcloristica; dopo dieci minuti si ritirarono, e vennero avantiquelli di Autonomia.Natoli Non vorrei essere frainteso. E ripeto la mia convinzione: che, allora,una politica saggia avrebbe potuto permettere di dividere gli studentidall'Autonomia, e di creare uno schieramento contro i fascisti che erano ilnemico principale. Il Pci in quel momento non fu capace di fare questadistinzione, con il risultato di rimanere isolato e quindi di aprire la stradaalla violenza dell'Autonomia. Vorrei comunque ricordare un'altra occasione incui la posizione del Pci fu profondamente diversa. Quando a settembre ci fu lagrande manifestazione dell'Autonomia, a Bologna, il Pci si comportò con grandetolleranza per tutto ciò che era lecito e democratico. La sostenne persine. Evorrei sottolineare, non a caso, come quella manifestazione segnasse il culminedel movimento del Settantasette: tant'è che si vide la divisione, al suointerno, tra l'Autonomia e Lotta continua, che entrarono in conflitto preparandola strada al progressivo deperimento del movimento del Settantasette. Questo perdire che i cosiddetti cattivi maestri si trovavano anche nella classe politica,e nella sua incapacità di comprendere e di respingere la protesta determinatadal profondo disagio sociale che ormai in Italia durava da un decennio.Ha mai ripensato criticamente a quegli anni, quando dalla ribellione delmovimento è nata poi la stagione di sangue che tutti ricordiamo?Sì, certo. Ma anche allora io avevo una posizione critica verso quel movimento,senza per questo giungere a delle conclusioni automaticamente repressive.Pensavo piuttosto a una politica intelligente, capace di mano-Srare all'internodi quel magma; perché proprio di questo si trattava: era u" magma, non era unaorganizzazione monolitica e unitaria come qualcuno pretende. Dunque sarebbestato possibile, lavorando e manovrandoa interno di quel magma, dividere, persuadere, neutralizzare, indirizzare.Vesce, deputato al Parlamento, ex leader dell'Auto-mia padovana, laureato infilosofia del linguaggio, ex diret-e di "Potere operaio" e poi di "Autonomia",fu arrestato nel

252 Sergzo Zavoliblitz del 7 aprile del 79, ordinato dal giudice Calogero. Ha tra-scorso 5 anni,5 mesi e 5 giorni in carcere, ha scritto un libro Bacioni e bestemmie, comeeravamo. Onorevole Vesce, come era' vate?Eravamo un pò ' complicati...... su questo non ci sono dubbi!... ma le semplificazioni su quel periodo storico talvolta irritano, talvoltaprobabilmente sono, come dire, determinate da intenzioni neanche tantorecondite! Eravamo complicati, non orfani. Di nessuno! Eravamo figli di unastoria, di una tradizione che poi, come conseguenza dell'irresponsabilitàpolitica, ha assunto un atteggiamento di totale distacco, di diniego, dirinnegamento, usiamo pure il termine "pentimento". Eravamo figli dellatradizione comunista. Tutti, chi più e chi meno, avevamo appreso l'alfabetodella rivoluzione, e io personalmente nelle sezioni del Partito comunista. Nonla rinnegavo allora e non la rinnego adesso; e non perché sia un continuista, unestremista, ma perché ritengo che la riflessione sulla nostra storia non possapassare attraverso cesure, chiusure drastiche. Non possiamo cancellarel'identità di alcuni fatti. Noi vogliamo rendere un servizio al Paese, allanostra democrazia, facendo conoscere quel periodo..Non è in discussione, qui, la sua personale vicenda giudiziaria, del resto giàconclusa. Mi preme farle una domanda che prescinde, quindi, dai codici scritti eche rientra in altri, se crede, più soggettivi. Lei era un cattivo maestro, ono?Sì, io ero un cattivo maestro! Ma prima di me il mio cattivo maestro è statoCarlo Marx, è stato Lenin, è stato Palmiro Togliatti, è stato anche il senatoreLama, che è qui presente in questa nostra discussione, se p# cattivo maestros'intende il fatto che noi siamo cresciuti nell'ambito di una cultura che vedevail confronto politico all'interno di strumenti ideologici, non pratici, nonconcreti, che portavano la gente a pensare a un riscatto, a un momento fatale

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nel quale tutti quanti saremmo diventati più liberi, più buoni, più comunisti,allora sì: se cattivo maestro vuote dire questo, la definizione ha un senso.

La notte della Repubblica 253Vorrei consentire a Lama una breve replica, se la ritiene ne-cessaria...Lama ...la ritengo necessaria sì, caro Zavoli! Perché mi vergo-gnerei se davvero fossi convinto di avere avuto degli allievi come questo si-more! Tra me e lui non c'è stato mai nessunissimo rapporto che non siatato quello di una totale ostilità da parte mia nei suoi confronti; e certa-nti anche da parte sua nei miei. Io non ho fatto altro che cercare di schierarei lavoratori contro quei movimenti a cui il signor Vesce si rivolgeva conl'atteggiamento di un maestro che indicava la violenza come uno strumento diliberazione, o d'altro genere, non lo so. La mia preoccupazione fu soltantoquella di impedire che la sua falsa predicazione entrasse nelle fabbriche perconvertire a quella cattiva religione milioni di lavoratori italiani. Può darsiche mi sbagliassi, ma questa è stata la mia posizione sin dal principio.Vesce Non capisco questa, diciamo, passione del senatore Lama. . .Lama Io non ho niente a che vedere con lei, caro signor Vesce!Vesce Io non la conosco se non attraverso quello che ha detto e ha scrìtto. Eavrei molto da dire su quello che ha detto e scritto! Voglio semplicementeprecisare alcune cose: la cultura nella quale sono cresciute quelle esperienze,di cui personalmente non sono responsabile, non l'ho inventata io. Non sonostato accusato di essere un istigatore, ma di aver fatto apologià di reato. Non,quindi, di essere un cattivo maestro. Sono stati anni terrìbili, ma noi parliamodel Settantasette e tralasciamo la Cagione precedente, ed è una stagione dilotte operaie, di lotte f ertissime! Quando il senatore Lama dice che si èbattuto perché il terrorismo non entrasse nelle fabbriche, dice una cosa giusta.Però non tiene presente che, ‘d esempio, le organizzazioni terroristiche sonocresciute proprio nelle fabbriche, e io so che il Partito comunista a piùriprese ha dovuto chiude-re fette sezioni. Penso alla Magneti-Moretti di Milano....le abbiamo isolate per impedire che si diffondesse laLama Malattia!Vesce Penso che sia utilissimo ricordare che chi ha sgominato a OTlno le Brigaterosse ha sgominato una colonna che era tutta nella a ò Qui non e 'è proprioniente da difendere! Molto spesso il terrorismo

254 Sergio Za voliè stato opposto ad Autonomia: credo sia giusto precisare che il terrorismoquello che viene chiamato terrorismo, era fatto di gruppi armati combattenti chehanno sempre rivendicato, con una lucidità impressionante, per-sino folle, ogniazione da essi compiuta. Non è vero, come qualcuno sostiene - e fa specie quandoqueste tesi vorrebbero ammantarsi addirittura dell'ufficialità della Storia -che la nascita della lotta armata sia ricon-ducibile a Negri, a Piperno equindi, forse in misura minore, a me. Ci sono documenti che attestano la nascitae la crescita delle Brigate rosse. C'è una data precisa in cui nasce il gruppoarmato! La parola "autonomia" ha molteplici valenze ed è stata, come dire,pronunciata con significati diversi in momenti diversi! Penso all'autonomia, peresempio, nei confronti del mondo del lavoro, all'autonomia sindacale neiconfronti dei partiti, e all'autonomia in generale. Questa parola ha avuto unagrande fortuna, si è andata ingrossando attraverso i mass media e le inchiestegiudiziarie.Onorevole Vesce, ecco un brano dell'editoriale pubblicato dalla rivista che leidirigeva, "Autonomia", settimanale politico comunista, dopo la morte delsindacalista Rossa e del giudice Alessandrini. Ne ho qui una copia, vi si leggefra l'altro: "II soggetto comunista deve essere disciplinato dentro un progettocentrale d'organizzazione capace di armarlo per disarticolare l'intero arsenaledi comando e di controllo dello Stato capitalistico". La domanda è semplice:come si arriva da queste parole al Parlamento?Prima di rispondere a come si arriva al Parlamento dopo quelle parole, voglioprecisare una cosa: non era un editoriale, ma un documento ai un'organizzazione,

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e sul giornale c'era scritto. E` l'estratto di un documento dei collettivipolitici, e noi lo pubblicammo in prima pagina.Figura, però, in quello spazio del giornale normalmente affi" datoall'editoriale...... non voglio assolutamente rinnegare la responsabilità che mi allora, dipubblicare questo testo. Il fatto che sia stato rielaborato, e sta diventato uneditoriale, è un 'opinione del professar Ventura, che io ri$Pe lo come ne horispettato altre! In ogni caso nel giornale fa scritto: "Qj^ sto è un documentoche riceviamo e pubblichiamo".

La notte della Repubblica 255Come si arriva in Parlamento? Ci si arriva attraverso, diciamo così, un contìnuoesercizio di critica e di tolleranza, provando a mantenere inlatta lo. propriadignità nel cambiare idea di fronte a una realtà che si era manifestata in uncerto modo, e a diventare utili al ripristino e alla crescita di quei valoriche, in quel contesto, erano stati calpestati proprio da coloro i quali avevanovoluto portarli avanti! Voglio ricordare a questo proposito un verso di unapoesia di Rimbaud, II fabbro, riferita al momento in cui viene abbattuta laBastiglia: "Noi eravamo buoni, ci sentivamo buoni e volevamo essere buoni".Questo è il senso della mia presenza in Parlamento. Non il signor Vesce,senatore Lama, ma il deputato Vesce! Credo ci sia una responsabilità politica difondo, dottar Zavoli, me lo faccia dire, nel fatto che migliaia di giovani sonostati lasciati alla deriva da un'ideologia che non si rendeva conto di unarealtà completamente mutata.Vede, io non appartengo alla cultura dell'autocritica. Lei, probabilmente, sì.Se crede nel significato di questa parola, come si critica il deputato Vesce?Neanch'io appartengo alla cultura dell'autocritica, se per autocritica ci siriferisce a quella cultura ipocrita che in qualche misura è ben divisa, metà emetà, tra chiesa cattolica e chiesa marxista. Se invece si vuole intenderel'esercizio serio di una laica tolleranza, allora io sono autocritico. Se c'èuna critica da fare al deputato Vesce credo si debba fare, paradossalmente, daquando, il 12 settembre 1984, uscì di galera dopo cinque anni e mezzo di carcerespeciale e una sentenza di assoluzione! Ebbi ancora la forza di operare perchéfosse offerta al Paese la conoscenza di un fenomeno sepolto sotto una coltrepesantissima di menzogne, di ideologia bugiarda! E` stata la peggiore offesa chesi potesse fare alle stesse vittime dei quei fatti.Che cosa pensa di uno Stato che, così tanto e a lungo provocato, l'ha accoltonella massima istituzione della rappresentatila popolare?eio sono stato accolto nell'istituzione, ma ero un cittadino assolto avevamaturato un credito nei confronti di questo Stato! Sono un cit-lno che hatrascorso cinque anni e mezzo in carcere senza aver com-Sso un reato, quindiquesto Stato non ha fatto qualcosa di particolare

256 Sergio Zavolinei miei confronti! Detto ciò, non voglio minimamente negare a me stesso che vaimputata allo Stato una irresponsabilità di fondo, una violenza continua esistematica nel disattendere le domande sociali di questo Paese Diceva ilsenatore Lama che gli studenti, nel 1977, erano disperati. ú gli operai? El'attacco violentissimo portato in epoca di compromesso storico ai valoriacquisiti dalla classe dei lavoratori, a cominciare dal salario reale enonfittizioPMi perdoni se la interrompo. Chiede la parola il senatore Lama...Lama Gli accordi li abbiamo fatti noi. La difesa degli operai l'abbiamo fattanoi, non voi! Voi avevate un altro scopo, basta leggere i vostri libri, i vostrigiornali, i vostri settimanali, per sapere qual era il vostro scopo! Voi nonavevate nessun problema di miglioramento delle condizioni reali della classeoperaia, voi avevate un altro obiettivo! Era semplicemente la predicazione dellaviolenza, per rovesciare con la violenza lo Stato di diritto: questo era ilvostro obiettivo, non ce n 'era un altro!Può darsi, onorevole Vesce, che occorra cambiare questo Stato, come lei diceva;non è una questione nella quale io possa entrare. Posso forse osservare che lei

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è poco generoso nei confronti di uno Stato dal quale ha ricevuto tutte legaranzie e persine tutte le, sia pure dovute, riparazioni.No, Zavoli, io non ho ricevuto le dovute riparazioni: io sono stato cinque annie mezzo in carcere, e poi assolto! Nessuno mi ha chiesto scusa. Chi mi ha elettonon è certo lo Stato! Ero un cittadino come tutti gli altri, che potevaconcorrere in libere elezioni. Un partito che ha avuto ti coraggio di farlo miha presentato in lista e sono stato eletto. Il Paese, " popolo mi hanno eletto.Lo Stato, probabilmente, ha subito questa mia elezione.Ho una domanda molto delicata, considerando i suoi rapporti di grande amiciziacon Negri. Negri, allora deputato radicale, lasciò Montecitorio perché avevaperduto l'immunità parlamentare. Venne meno, così, a un impegno con il suo p^1"tito, lo stesso in cui lei oggi milita, che con molta generosità 1‘ avevaportato in Parlamento. Come giudica tutto questo?

La notte della Repubblica 257Sbagliò, non doveva fuggire! Noi avevamo affidato a lui la prospettiva jj (arconoscere al Paese che cosa erano stati i movimenti in quegli anni. rui sisottrasse a questa responsabilità politica, mancò di fantasia, di intelligenzapolitica, di coraggio. Fece capire di non essere un dirigente politico, mancòcertamente di generosità, come lei dice, nei confronti del Partito radicale,mancò probabilmente di solidarietà anche nei confronti di noi che rimanemmo incarcere...Intervista a Toni NegriProfessor Negri, forse non è infondata l'idea che le basi teo-richeorganizzative del terrorismo siano state poste in due convegni di Potereoperaio, a Roma, nel 1971, e soprattutto a Ro-solina, in Veneto, nel 1973. Dallalettura dei testi di quei due convegni si ricava la sensazione di trovarci difronte a veri e propri manifesti rivoluzionari. Aveva senso, a suo avviso,proporre già in quegli anni una scelta che, praticamente, era di lotta armata?A Rosolino il problema non era quello della lotta armata, ma dell'organizzazionedell'Autonomia, di un contropotere di massa. E` molto difficile spiegare questagrossa differenza perché tutto quello che è avvenuto dopo ha appiattitocompletamente le posizioni dell'Autonomia sulle posizioni delle Brigate rosse,dei gruppi terroristici. In realtà, fin da allora, si trattava, invece, di unaposizione separata, divisa... di una posizione che l'Autonomia sviluppava controla lotta armata così come veniva definendosi da parte delle Brigate rosse.Molti, a cominciare da Angelo Ventura, sostengono che lei ha formulato gliassunti teorici di Potere operaio, prima, e dei-Autonomia operaia, poi. Che cosapuò dirci?Potere operaio viene da una tradizione alla quale io ho partecipato, dai"Quaderni rossi". Ha degli ascendenti che sono interamente impiantati nettastoria del movimento operaio italiano.. * disposto a riconoscere che lei ha quantomeno contribuito a lmPrirnere unasorta di legittimazione scientifica e culturale a n "Ione politico militareancora incerto?

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In questi termini no; rispetto alla costituzione dei gruppi sessantott schi,come Potere operaio, Lotta continua e altri, vale a dire alla moli plicità diorganizzazioni che si riconobbero nell'Autonomia, questa m.' paternità non laposso riconoscere. Ci sono intellettuali importanti all'in terno del movimentooperaio in Italia i quali hanno altrettanta rilevanza nell'ambito di questacostruzione dell'Autonomia, di quanta ne ho io. ú una responsabilità collettiva

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questo tentativo di uscire a sinistra del movimento operaio; che noi abbiamofatto, non che io ho fatto.Un suo collega, molto prima del suo arresto, le disse: "Ma anche se la lottaarmata dovesse mettere radici, chi mai la alimenterebbe?". E lei rispose: "Nonc'è fretta, la lotta può durare anche quarant'anni. Nella storia, a un certopunto, accade sempre qualcosa". Lei crede che perdurino le condizioni perché lastoria del nostro Paese debba ancora conoscere la lotta armata?Devo dire che anche questo discorso sulla lotta armata, così esplicito, loricordo male, nella mia esperienza teorica. Io sono sempre stato per i lenti,profondi processi. C'è perciò una differenza fondamentale rispetto a una certaconcezione della lotta armata come attacco al cuore dello Stato. Questa non l'homai avuta, e neppure i miei compagni l'hanno avuta. Siamo ed eravamo per unprocesso profondo di trasformazione radicale, che vada, lo dico moltoesplicitamente, al di là di quello che è il contenuto della Costituzioneattuale, che non ritengo assolutamente adeguata...Mi consenta di procedere per gradi. Nel numero 35 del 1970 di "Potere operaio"leggiamo: "Si pone ormai la questione discriminante e decisiva della violenzarivoluzionaria". Ora, le' sa bene che quanti collaboravano a "Potere operaio" sifacevano un punto d'onore, per così dire, di assumersi in solido la re-sponsabilità degli articoli in esso pubblicati; dunque anche le1 era per laviolenza rivoluzionaria in quel momento, in quel contesto, oppure no?Su questa dichiarazione a favore della violenza rivoluzionaria che nco noscoessere assolutamente esplicita, devo dire che tutta la stampa del' stremasinistra, da "il manifesto" a "Lotta continua", dai giornale Avanguardia operaiaa quelli del Movimento studentesco, a quei

esprimeva in questi termini. Ciò non significa assolutamente che la riven-jfCazione di un certo fondamentale leninismo del movimento fosse di per séproduttrice di effetti militari e, al lìmite, di omicidi, come abbiamo boivisto. Ma non riesco a capire in che modo si possa innestare il terrorismosuccessivo su quel tipo di dichiarazioni.Alla conferenza organizzativa di Potere operaio, del 1971, venne deciso: "IIpartito armato è immediatamente all'ordine del giorno".Sì, ma devo dire, come avevo già riconosciuto, che eravamo nel pienodell'estremismo e della follia. Ci sono dichiarazioni analoghe nel congresso diLotta continua dell 'anno prima, dello stesso anno, ci sono dichiarazioni ditutte le organizzazioni marxiste-leniniste...... esiste un documento dell'Ufficio internazionale di Potere operaio del 1973che afferma: "L'organizzazione proletaria ha il preciso compito di apprestaretutti gli strumenti della violenza proletaria che la lotta spontanea non è ingrado di produrre, dalla lotta armata al terrorismo di massa".Quello che vorrei farle capire è questo: è esistito un processo dentro il qualevivevano istanze di lotta armata, ma questo processo è vissuto come costruzionedi luoghi di discussione, di iniziative collettive di massa, che non hanno maipermesso, e questa era la cosa estremamente importante per chi vivesse quel tipodi esperienza, mai permesso di esprimersi in quanto organizzazione militarepura, in quanto organizzazione militare che comandava la politica.A proposito di "luoghi di discussione", cambiarne scenario e andiamo là dove leiagisce a livello universitario, quindi nella sua più normale quotidianità. APadova venivano bastonati e gambizzati i professori dell'università in cui leiaveva la cattedra: ha mai preso posizione contro quelle violenze? Come legiudicava?Le giudicavo stupide violenze. Non credo che ci siano state gambizza-*wni,comunque, di professori... non ricordo bene, ma non mi pare. Ah, Sl> forse una!Le giudicavo molto male, come una cosa indegna di un cli-rna universitario,assolutamente folle.

260Sergio TavoliUsciamo per un attimo da Padova e andiamo ad Argelato nel 1974: lei vennecondannato per essere stato uno degli organizzatori di quella rapina, nel corso

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della quale venne ucciso il brigadiere Lombardini. Un autofinanziamento, sidisse. Come si difende da quell'accusa?Come mi sono difeso dagli altri 25 omicidi, almeno, di cui sono stato primaaccusato e poi discolpato. Questo è l'unico residuo di tutto quello di cui sonostato accusato ed è, oltre tutto, il delitto sul quale ci sono meno prove inassoluto; non ci sono, in questo caso, neppure dei pentiti.Secondo la sentenza della Corte d'assise di Roma che l'ha condannata per delittispecifici, al fine di organizzare il movimento armato lei si sarebbe avvalsoanche dell'aiuto di un delinquente comune, Carlo Casirati.Carlo Casirati è stato condannato per diffamazione nei miei confronti dalTribunale di Padova l'anno scorso!Eppure ci fu un contatto con la criminalità..... ci furono i contatti che ci sono sempre stati nella storia dei gruppisovversivi... passaggi, ma nulla di più, contatti con persone non conosciute chea loro volta contattavano ecc. Punto e basta. Ma veramente non e 'è nulla,nulla, nulla di questo genere.Un altro scenario: in via Negroli furono trovate delle norme di comportamentoper praticare la lotta armata. In uno dei documenti più importanti rinvenuti inquello che, d'altronde, era anche il covo di Corrado Alunni, se non sbaglio,c'erano delle annotazioni di suo pugno.Ma questo non è mai stato dimostrato. Comunque, Corrado Alunni, una persona chemi auguro possa uscire finalmente dal carcere, che non ha mai ucciso nessuno, unuomo che io ho molto stimato e che ho ritrovato in prigione, Alunni, dico, è unabrava persona, che ha fatto la sua lotta, ha fatto i suoi errori, ma veramentenon mi sento demonizzato dal' l'accostamento del mio nome al suo.Lei venne accusato di avere deciso il sequestro di Saronio insieme conGianfranco Pancino e Carlo Casirati. Sarà quest'ultimo a ritrovare il cadaveredi Saronio, e ad essere poi pr‘"

UNNI: "Noi ci rendemmo conto che si sta-a esaurendo la prospettiva delle Brigateros-I (5Uando si sono spenti quei movimenti che vevano prodotte. Non c'era piùacqua, per pesce. "tn0 | TA: " Ho sempre creduto che vedessi-rr,ena rea'là secondo un'otticadeformata, al-alterna.partire dal 1975-76. Però, di fatto, di ternat*|1Ve. ftvonse ne ponevano. Per me l'aire ]e gVa s' e posta più in là, quella di molla-deiConrfe fare altre scelte, accettare il terreno che c; r‘nto democratico,accettare gli spazi s‘no in questa società. "

BESUSCHIO: "Essere donna nelle Brigate rosse! Detto così è come affermarel'esistenza di una divisione di ruoli. All'interno delle Brigate rosse, perquella che è stata la mia esperienza e quella dei compagni in quegli anni, nonc'era divisione di ruoli. Vivevamo tutti quanti con gli stessi compiti e conl'entusiasmo di una vita in comune. "BONISOLI: "La cosa più importante per me, la prima che sento, è un esame dicoscienza che attraversa tante cose: i percorsi miei, delle persone con cui hoavuto relazioni, con cui mi sono scontrato, e tutti quelli che oggi soffrono acausa di questa storia, con tutte le lacerazioni che vi sono state. Questa è lacosa più grave e penso che mi rimarrà come mo-

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FENZI: "Se un movimento è genuino e nasce davvero dal popolo, da esigenzeprofonde, non può non incidere, non innovare, non lasciare qualche cosa. Iosfido a trovare, oggi, che cosa in questo campo hanno lasciato le Brigate rosse.Credo davvero che anche su questo terreno, in maniera molto chiara ed evidente,si misuri la loro sconfitta. "MORETTI: "Penso che se noi siamo stati sconfitti, questo è avvenuto all'interno,purtroppo, di una sconfitta ben più ampia, che riguarda un intero movimento; ilquale, comunque, si è arrestato sulla soglia di una serie di problemi che non èriuscito a sciogliere, e noi soli non eravamo in grado di farlo. "

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FRANCESCHINI: "A volte fare la lotta fare il brigatista, non è semplicemente in:. di coraggio, può essere anche indice di gliaccheria. Tanto è vero che quandoio '^ sono sentito un terrorista ho abbandona lotta armata. "JggllZUFFADA: " La vita è molto più ricca ^ új schemi politici. Oggi posso dire cheal ,u. siamo chiusi all'interno della politica r g ft zionaria: e mi rendo contoche ali int ^ questo schema non è possibile ‘Perai,,0. E trasformazione dellasocietà. Ci vuole ^, quest'altro non dipende dalle mie paro '^e\\.\ da unosforzo, da un desiderio che vW ^. società, o in quanti vogliono cambiar6

Non ho il peso di aver dato la orte a un'altra persona, ma credo che que-nonpossa essere per me un alibi; penso che conti, per un uomo, il dover riflette-avere dato, direttamente o indiretta-su", la morte."

Su j. ' " 'n realtà le scelte non venivano fatte tcsti' ‘vì"ettlv' umani dacolpire, ma sui con-U0tn- . ‘'> cioè, avevamo già cancellato gli lni Prima diucciderli. "

SORELLI: " In generale, per la nostra esperienza, mi sembra inevitabile unprocesso di riflessione critica. Sarebbe rozzo, forse poco intelligente,difendere tutto o voler liberarsi di tutto, rinnegare tutto... Per me la dignitàsta nell'aver compiuto questo passo con estrema lealtà intellettuale. "

GALMOZZI: "Credo che un elemento di dignità sia il non aver fatto mercato. Avolte ci viene imputato di aver richiesto sconti, mentre, in realtà, noi non liabbiamo mai chiesti. Noi ci siamo battuti perché nella cultura giuridica diquesto Paese, e quindi nelle sue leggi, venisse introdotto un principio digrande civiltà che esiste in altri ordinamenti: quello della reversibilità dellapena. "

SEGIO: " Io credo di poter parlare di un amore che attraverso alcune lenti,quella dell'ideologia e quella di una lettura sbagliata della realtà, si ètrasformato in morte e dolore. "

FERRANDI: "Non c'era la certezza di arrivare a una vittoria, a una presa delpotere, ma la sensazione di dover dare una testimonianza in qualche manieraallucinata: la sensazione che prima o poi sarebbe finita, e sarebbe finita male."ROSSO: "A un certo punto, quando inizia la lotta armata, cominciamo a vederci ea vivere attraverso l'immagine che di noi viene data. Non diventa centralequindi l'esito delle assemblee in quelle dieci fabbriche in cui contiamo, inquei quartieri dove viviamo, o dentro una manifestazione, ma diventa centrale lanostra immagine nella cronaca, nei media. E sempre di più ragioniamo di noistessi in relazione a ciò che di noi si dice. "

eh '‘ 1r'esco ancora a rendermi conto'10> una persona come tanti altri, con una

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normale, una studentessa universitaria, pUntaVOrava ecc., sia potuta arrivare aquestoZAN- "ii,.tir,dei Pr- arrestarono nell'80 e il mio fu uno cusc j. ' arresti a Torino sull'ondadelle ac-ftiia ajj ‘Derto Sandalo. Arrivarono in casa le HI ue di notte,sembrava un'operazio-st precipitarono dentro con antiproiettile e mitraspianati, e ci dal letto dove noi dormivamoarormPr‘

MAMBRO: " Più del senso di colpa, quello che mi ha colpito è stato il dubbio chepassa in quel secondo prima di decidere della vita di un altro. Ecco, queldubbio, per me, è stata la. parte più angosciante, la più difficile da superare.Questo penso che sia peggio che uccidere. "

FIORA VANTI: "E` difficile riconos' ersi in "qualcosa" dopo dieci anni didistan/a. Alcuni dei delitti che ho commesso mi danno molto fastidio e altrihanno minor peso sulla mia coscienza perché ricordo i sentimenti di allora.Ricordo che buona parte delle cose che mi sono state ascritte erano conflitti inmezzo alla strada. In noi c'era molta rabbia, molta delusione, c'era moltasperanza, c'erano tanti sentimenti...Il rimorso è qualcosa di molto personale, di molto intimo; e invece, purtroppo,le nostre parole sono sempre pubbliche. Non credo perciò che in un'aula ditribunale o davanti a una telecamera ci sia lo spazio per il vero rimorso. Ilrimorso è un'altra cosa: molto silenziosa, molto privata, molto intima. "

allaELLE GHIAIE: "Sento pesantemente di avere '"o la battaglia politica, di nonavere sapu-Suidare un movimento politico, e quindi di |. ere permesso che siaprisse uno spazio che P01 riempito dalla lotta armata che portòmorte di moltissimi giovani. >Utl ^'organizzazione di sicurezza èdell PI5dlsP‘sizi‘ne legittima di tutti i Paesi sia ato--- Ora, che questaorganizzazione mi rj‘n costltuzionale è un discorso che non tic; ?Uar<^a> iosono un militare e sono i polirti^ C devono stabilire se è costituzionale o lees- " a certamente questa organizzazio-JanH" ò ! Pr‘blema secondo me era questo:"li prQ C1 "anno arrestato, dovevano cercare strUtr,e re ‘'le n‘i volevamo usarequesto Come è ‘ 'Attimo contro lo Stato; ma non, 'C8itn~. s"ccesso, dire cheQuesto strumento

LABRUNA: "Credo senz'altro che qualcuno la conosca, la verità. Ma non so chi.Come riflessione personale, direi che possono essere tanti gli ambientiinteressati a taluni fatti, che hanno manovrato la gente per un disegnopolitico. "VINCIGUERRA: " Io non sono democratico, non ero democratico e rimangoantidemocratico perché non credo alla democrazia, non credo che esista un regimedemocratico... Il senso che posso dare al mio futuro è quello di continuaresulla strada che ho intrapreso quando avevo tredici anni, sulla quale hocamminato fino ad oggi e sulla quale continuerò a camminare, in un ergastolo nonimposto dallo Stato, ma voluto, cercato, e vissuto con la stessa coerenza che hosempre mantenuto. "

NEGRI: " Devo dire che anche questo discorso sulla lotta armata, così esplicito,lo ricordo male, nella mia esperienza teorica. Io sono sempre stato per i lenti,profondi processi. C'è perciò una differenza fondamentale rispetto a una certaconcezione della lotta armata come attacco al cuore dello Stato. Questa non l'homai avuta, e neppure i miei compagni l'hanno avuta. Siamo ed eravamo per un

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processo profondo di trasformazione radicale, che vada, lo dico moltoesplicitamente, al di là di quello che è il contenuto della Costituzioneattuale, che non ritengo assolutamente adeguata. "

VALPREDA: "Credere nella verità non coni porta credere nella giustizia. Inquesti ultimi tempi abbiamo visto che, forse, credere nell;; verità è porsi inantitesi con la giustizia. li sono convinto che alcune verità non si saprannopiù. "

261La notte della Repubblicasciolto in istruttoria. A cosa pensa fossero dovute le accuse che le avevanomosso Casirati e Fioroni?E` molto semplice. C'è il tentativo di uscire dalla galera dove erano rinchiusiper l'omicidio di Saronio, da un lato; dall'altro, per quanto riguarda il modoin cui sono state utilizzate le dichiarazioni di Fioroni, per infamarmi, perattribuirmi una serie di delitti, non solo questo.In un'intervista a "Panorama", pubblicata il 5 settembre dell'83, lei sostennedi essere convinto che Barbone e Morandi-ni avevano agito come "esecutoridiretti" cito tra virgolette "di una parte di borghesia rossa cui Tobagi avevarotto le scatole perché ne rappresentava una fazione avversa". Affermava ancheche il Partito socialista italiano aveva perfettamente ragione a insistere sullateoria dei mandanti. Che cosa intende, parlando di borghesia rossa? Essa va,poniamo, da Feltrinelli a chi? A quanti altri? E comprende anche lei?Direi che la borghesia rossa milanese non comprendeva Feltrinelli. Feltrinelline era uscito. Parlo di questa borghesia rossa come di una borghesia che nonaveva cambiato nel dirsi e nell'esser rossa, non aveva tentato minimamente dinegare se stessa, ma aveva semplicemente cercato di attribuirsi ancora potere.Da quel punto di vista è fuori dubbio che Tobagi fosse visto veramente come ilfumo negli occhi.Secondo Barbone, Morandini, Pasini-Gatti, la sua organizzazione era in grado dimettere a disposizione del servizio d'ordine, durante i cortei, armi da fuoco ebottiglie incendiarie. E`vero?Qui il problema grosso è decidere che cosa è l'organizzazione. Eviden-temente,nel mese di maggio del 1977, ci furono delle forme di risposta sem altro moltoviolente. Mai l'organizzazione, della quale io feci parte, promosse azionimilitari di piazza in termini espliciti.Fornire armi da fuoco e bottiglie incendiarie, vorrà conveni-e> significa porrealmeno le premesse per un qualche moto cruento di piazza.a chip La segreteria soggettiva, la redazione di "Rosso"? La segreta soggettivanon esiste, la redazione di "Rosso" era fatta da giomalì-01 c'erano i gruppi dimilanesi che venivano da tutti i quartieri, che

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si ritrovavano in piazza e qualche volta si coordinavano tra loro, maiattraverso il comando di un'organizzazione centrale. Era questa del movimento.Come può pretendere che un professore universitario oltre tutto stava anchemolto poco in Italia, perché insegnavo a Parigi potesse inventarsi una macchinadi questo genere, cioè migliaia e migliaia, centinaia di migliaia di persone inpiazza? Ma come poteva, come si può immaginare una cosa di questo genere, e inpiù distribuire bottiglie molotov e armi?Lei fa più domande di quante ne faccia io...

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... forse, ma le sto facendo a me stesso.Al processo detto del 7 Aprile, lei sostenne di avere avuto quattro incontri conRenato Curcio, il primo nella primavera del 1973, l'ultimo nel luglio del 1974.Quali fini avevano quegli incontri?I fini erano veramente di confronto politico. Ci illustravamo a vicendaqual era il tipo di linea che si immaginava per lo sviluppo della lotta politica in Italia. Deve tener presente che questa serie di incontri partì dopol'occupazione della Fiat nel 1973, dove operai che si riferivano più omeno a "Rosso" e operai delle Brigate rosse si erano trovati ad agire insieme. Le posizioni che erano uscite allora, erano posizioni molto diverse.Si definì, in quel momento, quella che Curcio chiamava la "domandapolitica di assalto allo Stato".Quando ebbe il quarto e, secondo lei, ultimo incontro con Curcio e forse anchecon Franceschini, le Brigate rosse avevano già rapito il giudice Mario Sossi eucciso a Padova i due militanti del Movimento sociale italiano. Lei disse cheera contrario alla rivendicazione di questo duplice omicidio perché avrebbecompromesso una frazione del movimento. Era soltanto un problema dirivendicazione o per lei, a quel punto, le Brigate rosse facevano ancora partedel movimento?II problema era di decidere se l'omicidio politico doveva diventare unacosa normale, nel movimento, o no. Se ci si dichiarava contro l'omicidipolitico o se lo si rivendicava. Io ero assolutamente contrario all'omicidipolitico e quanto ai compagni delle Brigate rosse, perché erano

ani... sa è molto astratto dire: "Lei ritiene che fossero ancora nel movi-fnentoo no"... C'erano, ed erano molto forti, anche se erano pochissimi, perchéattraverso quelle azioni interpretavano delle tensioni che erano vive, nelmovimento. A quel punto la cosa assolutamente fondamentale era lottare perchéqueste persone non assumessero l'omicidio politico come arma, capi(tm) cosasignificava quando esse rivendicavano all'organizzazione l'uccisione di queifascisti. Era tragico. Lì cominciava veramente una china che non si sapeva piùdove si sarebbe arrestata; e sulla base di quello che lei ricordavaprecedentemente, dei tempi lunghi del processo di trasformazione, in Italia, noipensavamo che lo scontro fosse assolutamente da evitare. Questa è stata la tesidell'Autonomia; si trattava di estendere al massimo quello che era il potenzialedi lotta, ma trattenendolo sempre al di qua di uno scontro diretto che sarebbestato assolutamente suicida...... arriveremo poi, a questo punto. Dopo lo scioglimento di Potere operaio, iquadri che contavano confluirono in Autonomia operaia. Tutto fa pensare che sitrattò di una operazione tesa a nascondere la vocazione rivoluzionaria delgruppo che lavorava intorno a lei. Fu così? Fu così del tutto o in parte?Vocazione rivoluzionaria significa che "si vuole radicalmente". Noi siamo deicomunisti. Dei comunisti fino in fondo... in francese si dice "vecchio cru",cioè di una vecchia vendemmia. Io personalmente ritengo che la proprietà privatasia un furto, ritengo che i magistrati debbano essere eletti dal popolo, che isoviet, i consigli debbano gestire l'economia nazionale ecc. eco. Questo loritengo tuttora e penso che devo muovermi verso obiettivi del genere...Nel suo libro // dominio e il sabotaggio si legge il seguente passo: "Nullarivela a tal punto l'enorme storica positività dell'au-tovalorizzazione operaia,nulla più del sabotaggio. Nulla più di questa attività continua di francotiratore, di sabotatore, di assenteista, di deviante, di criminale che mi trovoa vivere. Im-mediatamente risento il calore della comunità operaia e prole-tariatutte le volte che mi calo il passamontagna". C'è in que-ste Parole, se nonleggo male, non solo un'enfasi, tra letterario, esistenziale e politico, maanche un'esplicita, entusiastica ade-1Qne quanto meno allo spirito della lottaarmata.

264Sergio ZavoliE` presto detto, eh? Intanto, il passamontagna la gente lo metteva addosso pernon essere conosciuta dalla polizia, per non finire in galera; # passamontagnanon si metteva per attaccare, si metteva per difendersi.

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Nel 1974 lei sosteneva che "la lotta armata" cito testualmente "rappresenta ilsolo momento strategico fondamentale, essa è il filo rosso dell'organizzazione".Ma che cosa intendeva dire?Questa è una frase completamente leninista; c'è un momento in cui il potere deveessere preso.Qualcuno ha detto che tra le Brigate rosse e l'Autonomia operaia non esistevaalcuna differenza, altri hanno affermato che la diversità consisteva nel fattoche le Brigate rosse sparavano alto e con un elevato potenziale di fuoco, mentrel'Autonomia privilegiava il terrorismo minuto e sparso. E questa, o soltantoquesta, la differenza fra Brigate rosse e Autonomia operaia?La differenza fondamentale tra Autonomia e Brigate rosse è che le Brigate rosseerano una organizzazione terroristica, nel senso tradizionale, mentre inveceAutonomia non fu mai tale. Autonomia fu un largo movimento di associazionepolitica anche violenta, ma che non ha nulla a che fare con il terrorismo,neppure con il terrorismo della tradizione. Quindi è su questo che passava ladifferenza fondamentale, che era di organizzazione, di strategia, di forma dilotta, di identificazione di soggetti sociali, di ideologia, ecc. E` unadifferenza come tra il giorno e la notte, e tutte le omologazioni che si sonofatte di Brigate rosse e Autonomia sono state solamente dannose e confusionarie.Hanno impedito che quello che era un potenziale per la democrazia, per lalibertà, per la trasformazione comfr nista potesse esprimersi. . . con enormesvantaggio, credo, per la società italiana che si è trovata prigioniera delcompromesso storico, prima, e pò1 di tutte le forme di blocco: pietrificata,dopo l'eliminazione di una possibilità di alternativa.Nel suo libro // dominio e il sabotaggio si sostiene ancora: violenza è il filorazionale che lega la valorizzazione proletaria grazie alla destrutturazione delsistema"; e più avanti, "la vl‘

La notte della Repubblica 265lenza è progetto rivoluzionario". Era consapevole quando scri-veva queste coseche esse rappresentavano quanto meno una legittimazione forte della lotta armatao era solo, come dire, declamazione teorica?Sa, lo. declamazione teorica può essere legittimazione, su questo do ragione aimiei giudici. Quando siamo su questo terreno siamo veramente sulle sabbie mobilie sarei falso con me stesso se dicessi: vedete, io ho parlato solamente, non e'erano conseguenze pratiche e cose di questo genere. Non è vero, perché ioqueste conseguenze pratiche in buona parte le desideravo; ma non desideravoquello che è avvenuto e questa è una cosa assolutamente diversa. Non c'entranulla con tutto quello che è avvenuto.Sulla rivista "Rosso", nel 1978 se non sbaglio, lei ha sviluppato il discorsosul partito dell'Autonomia e d'altronde in uno degli editoriali di quel giornalesi sosteneva: "La vittoria dell'Autonomia, la nostra insurrezione, nasceattraverso un'estensione del contropotere di massa". Non si tratta, ancora unavolta, della proposta di un partito dell'insurrezione armata, o era ancoradeclamazione?La violenza era quella di rompere la contrattualità normale, ormai gestitacompletamente dai sindacati o dai partiti che non rispondevano agli interessidella gente: e allora questa è una violenza che si esercita, certo. LaCostituzione italiana la definisce come violenza perché non è nelle formeidentificate dalla Costituzione italiana. Ma tutto questo non ha nulla a chefare con l'arte militare.Gli espropri proletari, le rapine alle banche per autofinan-ziarsi nonavvenivano anche con le armi?Mah, credo di sì. Credo che sia un po' difficile fare una rapina senza armi, nonso cosa vuole dire...cheVoglio dire che questo si concilia un pochino meno con quel-a pretesarivoluzionaria di ottenere le cose senza per ciò stesso . ere di compierequalcosa di eversivo. Quando queste cose ^ottengono con l'uso delle armi, non siafferma forse un dirit-è contro il diritto riconosciuto dalla generalità delPaese,sua Carta costituzionale, o mi sbaglio?

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Ma anche quando lei ruba un 'arancia va contro quello che è il dirittoriconosciuto nel Paese. Il problema è molto semplice: è quello di capire findove dei rapporti di forza, di massa, possono portarla.Lei ha sostenuto, a cose ormai largamente concluse, che dei pentiti da, prima ditutto, un giudizio morale; essi rappresentano il tradimento della fiducia, deilegami elementari che rendono la vita degna di essere vissuta. Le sembra davveroun giudizio eticamente adeguato alla realtà complessiva del terrorismo? Non lesfuggirà, per fare un esempio, che anche un uomo "d'onore", cioè un mafioso,seppure in ben altri contesti potrebbe esprimersi con le sue stesse parole?Devo dire che rispetto all'infamia resto di questo parere; e il fatto che unmafioso possa esprimersi come me, significa semplicemente che anche dietro unmafioso e 'è probabilmente un uomo.Peci è un pentito. Tuttavia nei suoi confronti fu uno dei principali testimoni adiscarico. Lo ha mai ringraziato per la lealtà che le dimostrò o vuole farloadesso?No.E vero che, soprattutto nel carcere di Palmi, la sua vita è stata in pericolo?Perché?Questo lo dicono, appunto, i brigatisti pentiti. Ci sono state delle grossedifficoltà che sono dipese da una diversità politica essenziale, quella cheprima descrivevo e che, infatti, non mi era perdonata.Lei ha mai temuto per la sua vita? Qui, qualche volta...Lei accettò la candidatura del Partito radicale e venne eletto. poi, concessal'autorizzazione a procedere, perdette l'immunità parlamentare e fuggì inFrancia. Alcuni hanno giudicato que" sta sua fuga un tradimento. In particolarmodo si ritiene cn essa abbia danneggiato la situazione processuale dei suoiCOITI pagni. Che cosa può dire in proposito?

Guardi, sono assolutamente convinto che sia stata la migliore delle decisioniche potevo prendere allora. Perché, come tutti sanno, la situazione politica inItalia era molto confusa; d'altra parte, la posizione dei miei compagni faalleggerita per il fatto stesso che io ero assente.Come riuscì a espatriare? Me lo può dire? Con una barca di amici che miportarono in Corsica.Marco Pannella, dopo una sua intervista nell'estate dell'84 al settimanaletedesco "Stern", sul "Corriere della Sera" del 5 agosto 1984 proclamò alto eforte, cito le sue parole, che "se qualcuno in tutta questa vicenda è corrotto,questi è proprio Toni Negri; egli ha letteralmente venduto la verità dei propricompagni, coloro che in Italia, in Europa lottano per la giustizia e il diritto,in cambio della protezione della polizia francese e non solo di quella".Pannella si riferiva alla sua latitanza all'estero per sfuggire a un arresto cheun voto della Camera aveva reso possibile malgrado la sua qualità di deputato; aquali protezioni speciali si riferiva a suo avviso Pannella? Come giudica ladelusione di Pannella, e non solo sua, tant'è che fu largamente giudicatalegittima e condivisibile?Mah, intanto non riesco a capire quale sia la delusione di Pannella: io hodovuto andarmene all'estero perche' il Parlamento, con una manciata di voti, mitolse l'immunità parlamentare. Il signor Pannella si astenne e quindi i pochivoti dei radicali del suo gruppo furono quelli che causarono la mia messa instato di arresto.Vorrà tuttavia riconoscere che Pannella e il suo gruppo, in un momento moltodifficile per lei, le dettero una grande solidarietà. ..

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Certo, mi aiutarono a uscire di prigione. Infatti da questo punto di vì-sta- ò òdella mia evasione... li ritengo responsabili.*n definitiva, professor Negri, chi ha pagato più di tutti? ne cosa pensa peresempio, come uomo, delle vittime di tutto h . cne abbiamo richiamato? E comeintellettuale è sicuroe sia stata sempre ben spesa la ragione?

268 Sergio ZavoliNo. Io sono estremamente impietoso con me stesso. Posso difendere ciascunmomento della mia attività, ma quando devo guardare alla mia vita, dico: no, nonfunzionava, e comunque bisogna andare avanti. /0 posso difendere ciascuna dellemie decisioni, ma sarei assolutamente pazzo se dicessi... ma quando mai la vitadi una persona è sufficiente a portare avanti quello che pensa, i desideri chesi hanno e soprattutto a evitare gli errori che si fanno?

XILA TRAGEDIA DI ALDO MORO: AGGUATO A VIA FANI IL "FRONTE DELLA FERMEZZA"

Giovedì 16 marzo 1978, ore 9,25:Gentili ascoltatori, siete collegati con la redazione del Gr2. Interrompiamo letrasmissioni per una drammatica notizia che ha dell'incredibile e che, anche senon ha trovato finora una conferma ufficiale, purtroppo sembra vera: ilpresidente della Democrazia cristiana, on. Aldo Moro, è stato rapito poco fa aRoma da un commando di terroristi. L'inaudito, ripetiamo, incredibile episodio èavvenuto davanti all'abitazione del parlamentare nella zona della Camilluccia...Ore 9,31:Grl, edizione straordinaria. Il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moroè stato rapito a Roma, stamane, all'uscita dalla sua abitazione. Gli uominidella scorta colpiti e uccisi, non si sa ancora se tutti, dal fuoco delcommando.vE un'azione delle Brigate rosse. Così, davanti ai giudici della Corte d'assised'appello di Roma, Valerio Morucci racconterà nei dettagli l'agguato:L'organizzazione era pronta per il 16 mattina, uno dei giorni in cuiI on. Moro sarebbe potuto passare per via Fani. Non c'era certezza,avrebbe anche potuto fare un'altra strada. Era stato verificato chePassava lì alcuni giorni, ma non era stato verificato che passasse lìsempre. Non c'era stata una verifica da mesi. Quindi il 16 marzo eraII Primo giorno in cui si andava in via Fani per compiere l'azione,sperando, dal punto di vista operativo, ovviamente, che passasse di lìDuella mattina. Altrimenti si sarebbe dovuti tornare il giorno dopo ePQ1 ancora il giorno dopo, fino a quando non si fosse ritenuto che laL esenza di tutte queste persone, su quel luogo per più giorni, avreb-I Cornportato sicuramente il rischio di un allarme. La macchina conf. arga del Corpo diplomatico si mise in seconda fila, mentre l'altra' dov'era. Appena visto arrivare il 130 blu di Moro da via

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Trionfale, il 128 targato Corpo diplomatico è partito ad andatura abbastanzasostenuta per evitare di farsi sorpassare, perché solitamente le due macchineandavano abbastanza veloci... Passò davanti al bar Olivetti e frenò bruscamenteall'altezza dello stop. A quel punto il 130 tamponò il 128, PAlfetta di scortatamponò il 130, il 128 bianco con a bordo le altre due persone, si pose dietroper chiudere l'accesso ad altre macchine; la persona che doveva occupare

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l'incrocio occupò l'incrocio, e noi quattro che eravamo dietro le siepi del barOlivetti uscimmo per sparare... per sparare sulla scorta. Due erano incaricatidi sparare sull'Alfetta e gli altri due di sparare sull'autista e sull'altrapersona che occupava il posto al suo fianco nel 130. Io ero tra questi due equindi sparai contro il 130. Nel frattempo l'autista del 130, appuntato Ricci,cercò disperatamente di guadagnare un varco verso via Stresa, e più volte fecemarcia indietro e marcia avanti mentre era in corso la sparatoria. Ilmaresciallo Leonardi, invece, per prima cosa si preoccupò di proteggere l'on.Moro e si girò per farlo abbassare. Infatti, è stato trovato morto in quellaposizione. Lo stesso accadde per Jozzino che uscì dalla macchina, questo nonl'ho visto, lo desumo dai fatti, per esplodere un paio di colpi con la suapistola.Paolo Frajese, del Tgl, in diretta da via Fani:Ecco la macchina con i corpi degli agenti che facevano parte della scortadell'on. Moro, coperti da un telo... Vi sono due uomini sulla 130, un altrocorpo è sulla macchina che seguiva. I carabinieri stanno facendo i rilievi. Sonoquattro morti più un ferito, mi dice un collega, e l'on. Moro è stato rapito.Sembra, mi dice ancora questo collega, che ringrazio, ...sembra che sia statoanche ferito... guardate i colpi... puoi andare sulla portiera per piacere?...guardate i colpi sparati evidentemente con mitra, con mitragliatori, il corpo diun altro di questi... di questi agenti. Ecco per terra ancora... andiamo qui adestra per piacere... i bossoli... vedete, e poi... ancora a destra... vediamola borsa, evidentemente la borsa di Moro e il berretto di un... di un... non sicapisce che cosa sia, sembra di un pilota... sembrerebbe, no, un berrettoprobabilmente di un metronotte, sembra forse un berretto dell'Alitalia, ma no,l'Alitalia non ha quei gradi... e il caricatore di un mitra. Forse gliattentatori erano mascherati... può darsi..- con una strana divisa! Questa è lascena. Ancora un altro corpo qui a d . stra... per piacere vieni di qua... stavopestando inavvertitamente bossoli... ecco il corpo di un altro, probabilmenteuno dei compo"6 la scorta o forse un passante, non sappiamo ancora, le notizieevia temente potranno essere raccolte solo in un secondo momento. I"s gue... ilsangue per terra, una pistola automatica, ecco... quattro pi, quattro corpi...qui, alle dieci del mattino a via Fani. Quattr

per terra. Ecco il documento di questa mattinata. Non sappiamo se ci sonotestimoni oculari... proviamo a cercare.Giuseppe Marrazzo, del Tg2, in diretta da via Fani:"Da questa finestra lei, signora, ha potuto vedere esattamente quell'uomo?""Quell'uomo era un pochino più alto di Moro, all'incirca, lui era vestito dichiaro... quello che veniva rapito era vestito di scuro invece. ""E ha visto che questo rapito, diciamo...""Sì, che camminava, e appunto... ""Non sembrava ferito?""No, e lo prendeva con il braccio... questo diciamo con l'impermeabile...prendeva il rapito per il braccio e lo portava... ma molto calmi erano... Nonerano concitati, non correvano...""E dove l'ha fatto salire?""L'ha fatto salire su una 128 scura, blu, che si dirigeva poi verso viaTrionfale, naturalmente. Ero in camera mia... ha visto? Là ci sono dei fori...nella camera da bagno... io ero nella camera appresso, cioè nella mia camera daletto, fortunatamente stavo ancora a letto e ho sentito dei rumori... "" Ha sentito anche delle voci? ""Sì. Ho sentito addirittura delle grida, poi... "" Le grida di un uomo? ""Di tanti uomini e anche di una ragazza, ho sentito anche la voce di unaragazza... adesso, che fosse una passante o meno, questo nonIO SO; ""Che diceva questa ragazza?""No... senta... io ho sentito la voce di una persona anziana distintamente chediceva "lasciatemi", poi delle altre voci molto giovani, secondo me, chedicevano "no, quello no"."Aldo Moro ha una posizione di indubbia, anche se non indiscussa, preminenzapolitica. Rappresenta infatti un punto d'incontro delle forze, comunisti

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compresi, che mirano a una svolta di grande respiro del sistema politicoitaliano: quella che si chiamerà il "compromesso storico". A quanti gliobiettano che questa visione consociativa finisce per vanificare il ruolodemocraticamente essenziale dell'opposizione, Moro risponde che alaese non deve "mancare l'apporto", sono parole sue, "delle ‘rze sociali checontano per se stesse, del crescere dei centri diecisione e del pluralismo che esprime la molteplicità irriduci-"e delle libere forme di vita comunitaria".

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E` il punto finale di una riflessione che egli ha sviluppato lungo i quarantannidella sua attività politica: deputato alla Costituente nel 1946, ministro,segretario della Democrazia cristiana, presidente del Consiglio nei governi dicentrosinistra, ministro degli Esteri, fautore della distensione tra Est e Oveste della cooperazione tra Nord e Sud e, da ultimo, ispiratore della strategia disolidarietà nazionale.Alla figura dello statista non manca un radicamento nell'esperienza umana, unretroterra di affetti familiari, di meditazioni religiose, di legami con la suaterra pugliese, di rapporti con i suoi studenti, che gli consentono unapercezione profonda di situazioni anche complesse e contraddittorie proprio comequella che egli si trova a fronteggiare nella seconda metà degli anni Settanta."Siamo in una crisi allarmante" afferma nel 1976 "ma crediamo al suosuperamento. Puntiamo sull'avvenire di un Paese sempre più ricco di energia, diintelligenza, di coraggio, di rispetto, di giustizia, di solidarietà. So che purcon distorsioni ed errori, per i quali si paga talvolta un alto prezzo, avanzanella nostra epoca una nuova umanità più ricca di valori, più consapevole deipropri diritti, più impegnata nella vita sociale. In-somma, malgrado la crisi,sotto la crisi è un nuovo mondo che si affaccia e al quale è doveroso, e insiemesaggio, dare spazio. "Alla Camera dei Deputati, tutto è predisposto per il voto di fiducia al quartogoverno Andreotti. Esso nasce dopo una crisi lunga e difficile, durata quasiotto settimane. E` l'il marzo del 1978, un sabato, quando Andreotti ottienefinalmente il sigillo presidenziale alla lista dei ministri e ne legge i nomi,in diretta, durante i Tg della sera. Il nuovo governo sarà varato con la fiduciadei comunisti e ciò accade per la prima volta negli ultimi trent'anni di vitarepubblicana. I ministri giurano al Quirinale il 13 marzo. Artefice della svoltapolitica, rappresentata dall ingresso dei comunisti nella maggioranza, è dunqueAldo Moro. Formare il nuovo gabinetto non è stato facile neppure per GiulioAndreotti; il suo terzo governo si era dimesso il 16 gennaio-II presidente delConsiglio ha prima dovuto affrontare le borda"

te dei suoi compagni di partito, forzanovisti, dorotei e fanfania-Oj; quindi hadovuto contrastare le aspre critiche lanciate da Ugo La Malfa. Il 27 febbraio,finalmente, è riuscito a sottoporre il programma all'assemblea dei gruppiparlamentari democristiani.Il pomeriggio del giorno seguente, martedì 28 febbraio, Moro ha parlato a 262deputati e a 136 senatori del suo partito, recalcitranti di fronte allaprospettiva di accordo con il Pci. Ha affrontato il nodo dei rapporti con icomunisti, il ruolo della Democrazia cristiana, "cerniera", dice, del sistemapolitico, e l'intricata situazione di crisi provocata dal terrorismo edall'economia. Moro stava tessendo un'operazione delicata. Da una parte dovevatrovare in Parlamento i consensi per una formula di governo in grado di superarele gravissime divisioni che investivano i partiti, dall'altra voleva evitarel'isolamento della De dalle altre forze politiche nel momento in cui le

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emergenze sembravano poter destabilizzare, così si era espresso, il sistemademocratico.Il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, subito informato del rapimento diMoro, convoca il ministro dell'Interno Francesco Cossiga. Un'ora dopo, dalViminale, Antonio Fanello, capo dell'Ucigos, Ufficio centrale per leinvestigazioni generali e le operazioni speciali, dispone perché sia messo inatto il piano "Zero"; ma di questo dispositivo non c'è traccia nelle questureitaliane. In realtà si tratta di un complesso di ordini previsti per casi dibanditismo nella provincia di Sassari, dove Fanello è stato un brillantequestore prima di venire chiamato a Roma dal ministro Cossiga.Vaticano: appartamento del papa. Paolo VI è a letto con l'influenza; a dargli lanotizia è monsignor Pasquale Macchi, segretario particolare. Paolo VI la ricevein preda a una forte emozione; viene chiamato il medico, sono necessarie dueiniezioni di cardiotonici.L'Italia è in attesa di notizie. Bruno Vespa, aprendo il Tgl :Brigate rosse hanno rivendicato poco fa il rapimento di Moro, o telefonato alle10,10 alla redazione centrale dell'Ansa, che peoggi è in sciopero, dettandoquesto messaggio di tre righe: "Que-

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sta mattina abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia eri. stiana,Moro, ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio & Cossiga. Seguiràcomunicato. Firmato Brigate rosse". Le teste H' cuoio, come ben sapete, sono unreparto speciale dell'esercito tedesco che è stato impiegato con successo inoperazioni antiterrorismo.A distanza di qualche minuto, messaggi analoghi giungono alle redazioni di Romae di Torino della stessa agenzia di stampa. Sono solo conferme: il presidentedella De è nelle mani del-la più temibile organizzazione terroristica: le Br.Alle 10,50 un messaggio firmato dalla colonna Walter Alasia viene ricevuto dallaredazione dell'Ansa torinese: si chiede entro 48 ore la liberazione deibrigatisti detenuti a Torino, di quelli di Azione rivoluzionaria e dei Nap.Altrimenti, si dice, "faremo fuori Moro".Alle 11 del 16 marzo, due ore dopo il rapimento, la De ha scelto di respingerequalunque ipotesi di ricatto da parte dei terroristi. La sera, alla Tv, parleràil presidente del Consiglio. Una dichiarazione, la sua, che è chiaramenteorientata verso la linea della fermezza.Il paese è sotto shock. Il Parlamento, il governo, l'insieme del mondo politicoe le forze sociali reagiscono all'avvenimento con grande tensione.Bettino Craxi, segretario del Psi:E` ferita la Repubblica e noi partecipiamo all'angoscia degli amici dellaDemocrazia cristiana. Sappiamo che anche tutto il Paese vive ore di sgomento, sidiffonde il disorientamento e temiamo che si diffonda una sorta dirassegnazione.Enrico Berlinguer, segretario del Pci:Era prevedibile, e direi per una certa misura scontato, che di fronte a unavanzare delle forze popolari e democratiche e a un avanzare, particolarmente inquesto periodo, della loro unità, vi sarebbe stato, come vi è, un tentativoestremo di frenare un processo politico positivo.Guido Bodrato, vicesegretario della De:Non dobbiamo dimenticare che sono stati presi per bersaglio anche cinque giovanidelle forze dell'ordine e che l'on. Moro è certamente la persona piùrappresentativa della Democrazia cristiana e la più i"1' pegnata in questomomento sul piano politico.

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10,20, a Palazzo Chigi comincia una riunione dei vertici jei partiti. ConAndreotti vi partecipa il segretario del Pci Ber-linguer accompagnato da Natta ePajetta, il segretario democristiano Zaccagnini, con Bodrato, il segretario delPartito socialista Craxi con Di Vagno, il segretario del Partitosocialdemocratico Romita, il presidente del Partito repubblicano La Malfa con ilsegretario Biasini. Il clima è di emergenza nazionale. Francesco Cossiga,ministro dell'Interno:Approfitto di questa occasione per rivolgere un appello non soltanto aicittadini che mi sentono, perché dimostrino il loro attaccamento alleistituzioni dando tutta la collaborazione possibile alle forze dell'ordine, maanche alla stampa e alla televisione perché cooperino con una informazioneprecisa ed equilibrata per darci la possibilità di gestire, nell'interesse delloStato e della tutela delle vite umane, questa grave crisi che il Paeseattraversa.Il procuratore capo della Repubblica, Giovanni De Matteo, al termine di unariunione alla quale hanno partecipato venti magistrati romani chiede che ilgoverno proclami lo stato di pericolo pubblico e dichiara:II sostituto di turno, il dottor Infelisi, ha compiuto stamattina i primiaccertamenti con il sopralluogo. Da questo momento, la direzione delle indaginiviene presa personalmente dal capo dell'ufficio che se ne assume tutta laresponsabilità e il quale agirà in collaborazione con un gruppo di sostituti,delegando volta per volta ad ognuno di essi le indagini e le incombenze chesaranno necessarie.Alle 10,30 la Federazione unitaria Cgil, Cisl e Uil proclama lo scioperogenerale dalle 11 alle 24, mentre le sedi nazionali sono raggiunte da centinaiadi telefonate che annunciano scioperi spontanei nelle fabbriche e negli uffici.Migliaia di lavoratori vanno di loro iniziativa a presidiare le sedi deipartiti.Luciano Lama, segretario generale della Cgil, in un grande comizio dirà:Un pugno di terroristi provocatori non può avere ragione di un po-Polo di 56milioni di cittadini coscienti! Non è possibile che questo accada! Dobbiamoaprire gli occhi e collaborare con le forze che sono Cestinate per statuto adifendere la democrazia e la libertà del nostro aese in quanto forze delloStato. Dobbiamo aprire gli occhi, dobbia-m‘ collaborare, dobbiamo parteciparecon impegno! Il terrorismo ali-

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menta nell'uomo comune sentimenti di repressione, l'invocazione a misureeccezionali. Forse molti di noi hanno sentito questi discorsi oggi stesso nellapropria casa, o li hanno fatti essi stessi. Oggi... oggi10 Stato democratico si difenda con le leggi che ha, utilizzando gli uomini che ha, tutti i suoi uomini! Noi dobbiamo essere i suoi uomini!Giorgio Almirante, segretario del Msi:Noi proponiamo: primo, che entro la giornata il ministro dell'Interno dia ledimissioni e il presidente della Repubblica firmi i relativi decreti diacccttazione e di sostituzione del ministro dell'Interno con un militare;secondo, che subito dopo il voto, il Parlamento non si conceda vacanze, ma siaimmediatamente chiamato per approvare una legge eccezionale contro ilterrorismo, che la legge eccezionale contro il terrorismo comporti il ripristinodella pena di morte per i delitti particolarmente efferati e l'applicazione delcodice penale militare nelle zone e nei momenti di emergenza.Adelaide Aglietta, deputato del Pr:Da non violenti non accettiamo il ricatto del terrore e della paura.Lucio Magri, segretario del Pdup:E allora si possono fare due cose, o delle leggi liberticide, ma questo vorrebbedire andare proprio sulla strada che la strategia dell'eversione vuole, oinvece, e questo bisogna fare, dare il segnale, magari anche con un'autocritica,

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di una reale volontà di affrontare i problemi che sono alla base della crisieconomica e morale del Paese.Valerio Zanone, segretario del Pii:Noi crediamo che lo Stato democratico debba rispondere all'aggressione con imezzi della democrazia, che sono la forza della legge e11 consenso del popolo.Ugo La Malfa, presidente del Pri:Secondo me si è creato uno stato di guerra nel nostro Paese e allo stato diguerra si risponde con le misure proprie dello stato di guerra-Si accetta lasfida e allo Stato si danno tutte le armi per combattere il terrorismodilagante.Pier Luigi Romita, segretario del Psdi:

Si tratta di un episodio di inaudita gravita perché viene col struttura politicadel Paese, e cioè il pilastro fondamentale su cui s regge la nostra vitademocratica. La situazione va affrontata c‘ grande energia, ma anche con grandecalma.

Francesco De Martino, già segretario del Psi:Dal lato umano sono pieno di angoscia, dal lato politico penso che bisogna chenon si perda la calma, che il Paese reagisca in modo virile contro questoattentato rivolto senza dubbio alla distruzione dello Stato democratico.Mentre a Palazzo Chigi è riunito il Consiglio dei ministri, si mette in motol'apparato delle forze dell'ordine. La Commissione parlamentare d'inchiesta sulcaso Moro ha accertato che all'epoca di via Fani era in vigore un sistema dipianificazione per la tutela dell'ordine pubblico che risaliva agli anniCinquanta. Esso prevedeva interventi "per grave turbamento da parte di masse",ma non per azioni di tipo terroristico. La stagione del terrorismo, giàresponsabile di tante vittime, non aveva insegnato granché: il sequestro di unuomo politico, per esempio, era ancora impensabile.Adriana Faranda, brigatista:E` difficile oggi descrivere le emozioni di quel giorno. Erano soprattuttosegnate da una enorme ansia, perché sentivo che stava per avvenire comunquequalche cosa sicuramente più grande di noi, di estremamente grave, diestremamente pesante. A questo si aggiungeva anche l'ansia... rispetto agliaffetti... alle persone che conoscevo e che non sapevo se sarebbero tornate acasa... perché non era un tipo di azione che avesse un esito certo.Vengono stesi i primi elenchi di brigatisti sospetti. E` diffuso un bollettinodi ricercati, nomi già noti di persone clandestine da anni. Sei di queste,Azzolini, Bonisoli, Micaletto, Savasta, Gallinari e Moretti, saranno condannate,insieme con altre, per la strage e il sequestro di via Fani.L'elenco contiene alcuni clamorosi errori. Giuseppe Aloisi e Antonio Favale sonoin carcere per reati comuni, Marco Pisetta e un informatore dei servizi disicurezza da tempo rifugiatosi a estero, Bruno Beltrame è a Bolzano con amici,estraneo allaarmata, Antonio Bellavita risiede a Parigi da otto anni. !a stessa ora si ordinadi perquisire l'abitazione della madre Adriana Faranda la quale, tuttavia, nonappare fra i ricerca-' Vengono anche fornite alcune indicazioni, poi smentitedai

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periti, sulle armi impiegate in via Fani: si parla di una pistola cecoslovacca edi un mitra sovietico.

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Giovanni De Matteo, a un giornalista che gli domanda se sono implicati ancheservizi segreti stranieri, risponde:Questo non mi consta. Non so niente, su questo punto. Certamente, un delittocosì perfetto, con le interruzioni delle linee telefoniche che non mi parepossano essere una coincidenza occasionale, è un delitto che è stato preparatolungamente, eseguito con l'abilità di tiratori scelti, di persone che sannosparare da vicino e da lontano. Quindi è frutto di una organizzazione perfetta,che fa pensare a quello cui voi stessi pensate.Anni dopo, in Corte d'assise, un brigatista che prese parte all'agguato, AlfredoBonavita, interrogato dal presidente San-tiapichi, darà un giudizio diverso:C'erano delle persone particolarmente paurose... Erano dei dirigentidell'organizzazione, però non preparati a fare un'azione armata di quel tipo,per cui un minuto prima dell'azione hanno dovuto andare a prendersi uncognachino... perché stavano svenendo dalla paura...Santiapichi: Chi erano?Bonavita: Lauro Azzolini... Altra curiosità: avevamo cinque mitra e se ne eranoinceppati tre, o due, o uno, non so... però, in soldoni, avevamo quattro armiscassate, quattro persone di cui qualcuno se la faceva pure sotto, abbiamo agitoed è andata bene... per cui questo favoleggiare sulle armi sofisticatissime, suquesta strategia internazionale delle Brigate rosse, cade un po' nel ridicolo.Nello stesso processo il presidente della Corte domanda alla vedova dellostatista, Eleonora Moro:Santiapichi: Signora, pare che ci fosse un'abitudine costante, non si sa bene sesuggerita da certe prevenzioni di suo marito nei confronti delle armi, di nontenere pronti il mitra o i mitra che aveva la scorta, di tenerli nelportabagagli. E` vero?Eleonora Moro: No, non era affatto un'idea di mio marito, assolutamente no. Erail fatto tragico che questa gente le armi non le sapeva usare; perché nonfacevano mai esercitazioni di tiro, non avevan abitudine a maneggiarle... tantoche il mitra stava nel portabagaf? ' della scorta, al momento della strage divia Fani.Santiapichi: II maresciallo Leonardi, prima di allora, le aveva parlato di questa circostanza? .Eleonora Moro: Leonardi ne parlava sempre, era un litigio contin"

"Questa gente non può avere un'arma che non sa usare. Deve saperla usare. Devetenerla come si deve. La deve tenere a portata di mano. La deve tenere così,invece che cosà. La radio deve funzionare. La radio non funziona. I freni vannobene, i freni vanno male, ecc. ". Continuamente. Mesi, si è andati avanti così.Viene chiamato a deporre Emanuele De Francesco, allora questore di Roma:Santiapichi: Non c'era stato alcun rapporto, pervenuto a lei si intende, delmaresciallo Leonardi che concernesse preoccupazione dell'on. Moro opreoccupazione del maresciallo Leonardi circa a) la necessità di una macchinablindata; b) la dotazione alla scorta di uomini particolarmente addestrati?De Francesco: Segnalazioni di questo genere non mi erano pervenute, anche perchéil maresciallo Leonardi non aveva rapporti con me. Credo che li avesseesclusivamente col Comando generale dei carabinieri, ma ritengo che anche inquell'ambiente non fosse pervenuta alcuna segnalazione del maresciallo Leonardi.Debbo dire poi - per quello che mi è risultato dal momento in cui ho fatto, trai primi, un sopralluogo in via Fani - che indubbiamente il maresciallo Leonardie l'appuntato Ricci non si aspettavano un agguato in quanto le loro armi eranoriposte nel borsello, e uno dei due borselli, addirittura, era in una foderinadi plastica.La vedova del maresciallo Leonardi, Ileana, ricorda così la mattina del 16 marzo1978:Mio marito si era alzato presto, aveva fatto il caffè e me lo aveva portato;poi, al momento di uscire è tornato indietro e ho sentito che trafficavanell'armadio. Ho chiesto "Che cosa fai?", e lui mi ha detto: "Prendo dellepallottole". Mi ha salutato ed è andato via. Dopo poco, chiama e mi dice:"Ileana ho dimenticato...", però non finisce di dir-jni che cosa avevadimenticato: "Sta scendendo il presidente, ti debbo asciare, ti chiamo piùtardi"... invece non mi ha potuto più chiamare Perché dopo pochi minuti eramorto. Ultimamente andava in giro ar-

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ato perché si era accorto che una macchina lo seguiva. Aveva fatto Presentequesto anche al Comando generale dell'Arma. C'era stato episodio in via Savoiadi un ragazzo con una motocicletta che l'a-insospettito e lui gli era corsodietro con la pistola... Poi, il presi-Coe aveva l'abitudine all'università,finita la lezione, di fermarsi eh ' ra&azz' fuo" dall'aula e mio marito, in quelperiodo, non voleva tae questo accadesse, perché c'erano state delle avvisagliee una vol-' Pr‘prio qualche giorno prima del 16 marzo, aveva quasi bisticcia-

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to con il presidente sostenendo che lì erano esposti, erano come al tiro albersaglio.AJle 11,30 Cossiga incontra al Viminale i ministri della Difesa, delle Finanze edi Grazia e Giustizia, i vertici della Polizia, dei Carabinieri, della Guardiadi finanza, dei servizi di sicurezza e delle Forze armate. In modo concitato eancora disorganico, vengono attivati nelle città i primi posti di blocco e iprimi setacciamenti.E` costituito il primo comitato tecnico operativo; per 55 giorni avrà l'incaricodi coordinare le ricerche dei terroristi e dell'ostaggio. Il ministrodell'Interno Cossiga chiede che venga concordato un piano di intervento eaggiorna i lavori alle 19,30. Solo nel 1981, quando saranno note le liste degliappartenenti alla Loggia P2, si scoprirà che una parte delle persone presentinel comitato compare in quegli elenchi. Sorgono delle domande: come funzionavanoi Servizi segreti appena riformati? Perché era stato sciolto l'efficienteantiterrorismo di Santillo?Alle prime ore del pomeriggio il vertice del Partito socialista si incontra conRenzo Rossellini, responsabile dell'emittente Radio città futura: al centro delcolloquio, una trasmissione andata in onda poco prima dell'agguato di via Fani.Rossellini avrebbe parlato della possibilità, ventilata negli ambientidell'Autonomia romana, di un imminente, clamoroso "colpo" delle Br; con unaallusione, non si sa quanto esplicita, a un probabile sequestro di Aldo Moro.Era una semplice deduzione, ricavata dall'analisi degli eventi e del clima diquei giorni, o una clamorosa anticipazione? L'abbiamo chiesto a RenzoRossellini:Era da immaginare che quel giorno, in coincidenza con questo fatto cosìimportante per il cambiamento di equilibri politici nel Paese, le Brigate rossesi sarebbero fatte vive. Non feci delle ipotesi precise, credo, o se le fecicercai di identificare un possibile obiettivo: ma sicuramente non dissi Moro.Per quello che mi ricordo, la domestica del senatore Cervone, democristiano,raccontò al senatore di aver sentito una radio, non so se disse specificamenteRadio città futura, che p‘' chi minuti prima del rapimento diceva: "rapirannoMoro". Probabi" mente era una sintesi che aveva fatto nella sua testa e nellasua me moria. Avendo sentito, probabilmente, il mio commento politic‘

p0i l'enorme clamore della notizia del rapimento Moro, sintetizzò così, nel suoricordo, la cosa. Da questo nacque un'inchiesta sull'ipotesi che Radio cittàfutura avesse dato la notizia del rapimento Moro con qualche minuto di anticipo.Dal processo Moro risultò poi che il ministero degli Interni registrava 24 oresu 24 Radio città futura, come altre radio della sinistra, e proprio per queidieci minuti che precedettero il rapimento Moro ci fu un black-out, un vuotonella registrazione.Il clima delle settimane che precedono il sequestro pone uno specificointerrogativo: Moro temeva per la sua vita? Le istruttorie, i processi, lastessa Commissione parlamentare sulla strage di via Fani, hanno cercato di dare

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una risposta attraverso la raccolta di numerose testimonianze. Si trattava inparticolare di stabilire se il presidente della De, nei mesi precedenti ilsequestro, avesse ricevuto minacce o avvertimenti di qualunque genere."Sono stati acquisiti elementi notevolmente eterogenei", afferma la relazioneconclusiva della Commissione parlamentare "e si è registrata una divergenzatalora sensibile di valutazioni attribuite all'on. Moro da parte delle personeche lo frequentavano o che comunque entravano in contatto con lui. " Ecco laserie di dichiarazioni cui fa cenno il documento della Commissione:Andreotti: Quando appresi che un vescovo amico della famiglia Moro, monsignorMichele Mincuzzi, aveva detto che l'on. Moro si era confidato con lui dicendo diavere ricevuto inviti ad abbandonare la vita politica, rimasi sorpreso e dissiai magistrati che era utile approfondire la cosa.Zaccagnini: Nel continuo scambio di opinioni per l'elaborazione della lineapolitica della De, l'on. Moro non mi parlò mai di ostacoli di llpo noncostituzionale.Nicola Rana, uno dei collaboratori del presidente democristiano: Moro si erapreoccupato in occasione del rapimento del figlio dell'on. De Martino. I timori,tuttavia, non vennero manifestati per se stesso, ma Per la sua famiglia." figlio dì Moro, Giovanni: Proprio dopo il sequestro De Martino, atraversoun'inconsueta imposizione della sua volontà, mio padre volle ^ r noi familiariuna scorta; questo era il segno di una sua particolare Preoccupazionecol ‘ ^la' Anna Maria: Io rifiutai la scorta, ma papa avvertiva il peri-‘-Teneva la scorta e non usciva senza di essa. tofessor Francesco Trìtio,assistente universitario di Moro: Aveva fre-

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quenti atteggiamenti di ansia e li attribuiva alla delicata fase che i] Paeseattraversava. Il maresciallo Leonardi, negli ultimi tempi, er molto più severonella vigilanza.Corrado Guerzoni, stretto collaboratore di Moro: Immaginava di poter es. sereoggetto di un attentato, tanto è vero che fece mettere i vetri anti-proiettilenello studio di via Savoia.Molte voci accompagneranno questa tragedia, spesso infon-date e non di rado daridimensionare. Più volte e da più parti d'altronde, si è detto che Moro erapreoccupato perché dagli Stati Uniti aveva ricevuto l'indicazione di un dissensosulla sua politica interna ed estera con inviti a modificarla.Si parlò di un contrasto con Kissinger insorto durante la visita di Moro negliUsa del 1974. I motivi di disaccordo si sarebbero incentrati nell'atteggiamentodi Moro verso il Partito comunista italiano - prima di attenzione, quindi diapertura politica - e sulla linea conciliante tenuta nei confronti degli Statiarabi dopo che questi avevano deciso l'embargo sulle vendite di petrolioprovocando la crisi energetica del 1973.In ogni caso i giudici proveranno che Aldo Moro temeva effettivamente per la suavita, al punto di avere dato incarico al capo della polizia, Giuseppe Parlato,un mese prima del 16 marzo del 1978, di disporre indagini su alcuni episodi dalui giudicati allarmanti; uno era stato segnalato da Franco Di Bella, direttoredel "Corriere della Sera", che mentre si recava nello studio di Moro, in viaSavoia, sarebbe stato avvicinato da una persona armata di pistola, su una moto.L'altro episodio riguarda un tale Gianfranco Morene, notato il 24 febbraio del1978 di fronte allo studio di via Savoia. La circostanza fu denunciata da uninquilino del palazzo. Il capo della polizia, 1‘ afferma Nicola Rana, andò nellostudio di Moro il 15 marzo per rassicurarlo, almeno su questo episodio.Nel 1977 le Brigate rosse hanno acquistato l'appartamento u* via Montalcini 8,interno 1, intestandolo ad Anna Laura t>r ghetti. La prigione c'è, ma i

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brigatisti non hanno ancora deci chi rapire. Pensano a tre personaggi della De:Andreotti, Fa fani e Moro. La scelta cadrà definitivamente su quest'ultisoltanto alla fine del 1977.

In un primo tempo il progetto delle Br prevede di rapire il presidente della Denella chiesa di Santa Chiara, ma l'ipotesi del sequestro incruento richiede unnumero di militanti troppo alto e quindi viene scartata. Il piano è cosìdescritto da Adriana Faranda che ha partecipato alla sua preparazione:Moro, la mattina intorno alle nove, si recava nella chiesa di Santa Chiara perla messa. Partì una inchiesta massiccia e fu ideata una prima ipotesi disequestro. Questa ipotesi non prevedeva l'uccisione della scorta, dovevaeffettuarsi all'interno della chiesa e con la diretta partecipazione di unnucleo di sette militanti Br. Era prevista una via di fuga che dall'internodella chiesa, passando per un corridoio di una scuola, arrivava in via Zandonai;perciò completamente fuori dalla vista di chi si trovava in piazza dei GiochiDelfici, su cui si affaccia la chiesa. Furono analizzate anche altre vie di fugae tutte le strade che in automobile erano percorribili da via Zandonai fino aluoghi più sicuri. Questo progetto venne abbandonato perché piazza dei GiochiDelfici si trova in una zona altamente militarizzata, e se ci si fosse accortidel sequestro in atto sarebbe potuto nascere un conflitto a fuoco che avrebbecoinvolto passanti e reso impossibile la fuga dei brigatisti coinvolti; nelpiano, come copertura, si arrivava più o meno a venti persone.La direzione della colonna romana decide allora di agire bloccando l'auto diMoro lungo il percorso tra via Trionfale e la chiesa di Santa Chiara. Propriodavanti alla chiesa, Franco Bonisoli scopre che l'auto di Moro non è blindata.L'azione prevede l'uccisione della scorta.Barbara Balzerani, brigatista:Noi abbiamo iniziato quella che viene definita l'operazione Moro con un attaccoche ha comportato cinque morti, immediatamente. Quindi è evidente che il peso,la gravita, la responsabilità che ci prendevamo rispetto all'operazione eranoadeguati, secondo il nostro punto di vista, a quella che era l'importanza dellaproposta politica da noi 'anciata in quel momento.Mentre lo Stato tenta di rispondere all'attacco brigatista, inarlamento e tra i partiti si forma quello che verrà chiamato il"fronte della fermezza". Già alle 11 del mattino del 16 marzo"dreotti annuncia che i tempi del dibattito sulla fiducia saran-‘ ridotti al minimo per porre l'esecutivo in grado di prenderePrime misure; sottolinea l'estrema gravita della prova che

284Sergio Zavolimaggioranza e nuovo governo si trovano a dover affrontare; afferma la necessitàdi congrui comportamenti politici. Luciana Castellina, deputato del Pdup:C'è una proposta per accelerare il dibattito sulla fiducia al governo Su questonoi non siamo d'accordo, perché l'obiettivo di chi attenta alla democrazia èproprio quello di strozzare il funzionamento delle istituzioni democratiche. Larisposta più forte che la democrazia può dare è proprio quella di fare ildibattito, il quale è necessario in tutta la sua ampiezza. Altrimenti sarebbe uncedimento al terrorismo!Sandro Pertini, presidente della Camera dei Deputati:Costoro, che per me restano dei criminali - e sono, chissà, al servizio diqualcuno che mira a scardinare il sistema democratico - hanno colpito al cuorela classe politica perché Moro, oggi, si è posto al centro della classe politicaitaliana e quindi dello Stato. Io ho fatto una proposta che pare venga accettatae sarà discussa nella conferenza dei capigruppo: e cioè rinunciare alladiscussione generale, passare subito alle dichiarazioni di voto e quindi avereil governo in piena efficienza oggi stesso.Andreotti, alla Camera dei Deputati:Signor presidente, onorevoli colleghi, l'imboscata tesa stamane al-l'on. Morocon l'uccisione di quattro agenti dell'ordine e il rapimento del nostro collega,pone angosciosi quesiti al nostro animo e rafforza in ognuno di noi la totalededizione al servizio della Repubblica per rimuovere, al limite delle umanepossibilità, questi centri di distruzione del tessuto civile della nostra

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nazione. Del discorso di presentazione del governo leggerò qui - interpretando,ne sono certo, lo stato d'animo della Camera - la premessa e la conclusionepolitica, riassumendo molto sinteticamente i contenuti programmatici; con ladoverosa riserva di dedicare ai singoli capitoli adeguato sviluppo espositi-vo,e di discussione, nelle circostanze opportune le prossime settimane.16 marzo. Il quarto governo Andreotti ottiene in una sola giornata la fiducia diCamera e Senato. Il giorno dopo il presi" dente del Consiglio discute con ipartiti di governo i provvedimenti di ordine pubblico e presiede il Comitatointerministeriale per la sicurezza. Qualche ora più tardi il ministro dell'Interno Cossiga mette all'opera il Comitato tecnico operativo che n il compito dicoordinare indagini e operazioni.

La notte della Repubblica 285Intervista a Franco BonisoliLa sua carriera nelle Br fu molto rapida: in tre anni, da semplice regolareclandestino, salì ai vertici dell'organizzazione, entrò a far parte delladirezione strategica e del comitato esecutivo. Affrontiamo il caso Moro...Da tempo avevamo l'idea fissa dì fare quello che noi chiamiamo il con-Iroprocesso: prendere cioè una grossa personalità dello Stato, o unrappresentante di questo Sim, questo Stato imperialista delle multinazionali, eporci come contraltare al grande processo che veniva fatto alle Brigate rosseattraverso i compagni del cosiddetto nucleo storico, i primi che furonoarrestati. Nel 1976 iniziammo a pensare seriamente a questa cosa e, con alcunicompagni, andammo a Roma per iniziare un certo tipo di inchieste. Si cominciòcon Andreotti, perché pensavamo che era il massimo della politicacontrorivoluzionaria. Furono fatte alcune indagini, il lavoro andò avanti, manon si ottennero grandi risultati anche perché un 'azione di quel generepresupponeva quello che chiamavamo un radicamento nella situazione, una serie dipossibilità, di basi, di militanti, di forze capaci di reggere un sequestro diquel genere.Lei fu tra quelli che poi pedinarono l'on. Moro? No, perché allora non mitrovavo a Roma.E prese parte alla decisione di sequestrare Moro? Sì.Alcune riunioni preparatorie del sequestro Moro si tennero ln- un villinoaffittato ai Castelli Romani, come lei ben sa. Chi Prendeva parte a quelleriunioni?I militanti della colonna romana e alcuni altri militanti che componevi comitatoesecutivo. Ci fu una riunione della direzione strategica, i una riunione piùallargata a cui parteciparono anche i militantie rappresentavano le altre colonne, nella quale fu decisa l'operazione.C'era anche lei? Sì.

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Immagino che, compiuta la scelta di sequestrare il leader del-la De, dovesseporsi il problema di come, uso un vostro termi-ne, gestirne il sequestro. Inquella fase, quali risultati vi prefìg. gevate? Si parlò, anche in quei momenti,di una possibile con-danna a morte o la decisione maturò dopo, in base alsusseguir-si degli eventi?L'obiettivo primo era quello di realizzare questo grande scacco allo Stato,realizzare questo grande controprocesso e porci come punto di riferì-mento pertutta la variegata area-della lotta armata. Noi avevamo l'ambizione dicostituirci in partito e quindi come punto di riferimento di tutta questa area.Si dava per scontato che all'interno di un'azione di questo genere sarebbeemerso il problema della liberazione dei prigionieri che erano in carcere, anche

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perché era stato così per l'azione Sossi, e poi era nella tradizione deimovimenti rivoluzionari a cui abbiamo sempre fatto riferimento. Quanto alladecisione di uccidere Moro, anche quella poteva essere contemplata a secondadegli sviluppi dell'azione. Come nell'azione Sossi, e 'è un obiettivo di massimadi carattere politico che si vuoi raggiungere, e tutte le altre cose successivenon si possono mai determinare, prima, con sicurezza. Sono tutte variabili cheperò, ovviamente, vengono valutate.La data del sequestro, il 16 marzo, varo del governo An-dreotti, fu casuale osimbolica?Fu casuale. In sede processuale questo fu oggetto di discussione e venneaccertato che il fatto che si sarebbe varato un governo di intesa si seppe, senon sbaglio, due o tre giorni prima. La decisione però fu presa una settimanaprima. Fu fissato un giorno, poteva essere il 15, poteva essere " 17...Quando, da chi, in quali termini fu posto il problema del vostro riconoscimentopolitico?Ci ponevamo come parte speculare allo Stato e quindi come forza C"1 poteva anchetrattare, discutere, o comunque imporre modifiche di compof lamento. Il discorsodi un riconoscimento, nello specifico, per noi steva nel volere una presa diposizione esplicita da parte della cristiana.

Sinceramente, pensaste mai di ottenere lo scambio dei detenuti?Sì. Ci fu la speranza. . . non che i prigionieri indicati fossero tuttiliberati. òò lo. richiesta era simbolica per il fatto stesso che furono sceltimilitanti di varie forze ed era per noi ovvio che venisse recepita come un fattosimbolico. Chiaramente, c'era la speranza che qualcosa si potesse ottenere,anche perché per noi era forte, con questi compagni, il legame ideale eaffettivo. Era una cosa in cui ho creduto molto. . .Pensavate a un decreto del governo, a un documento della Democrazia cristiana oa che altro? E in quali termini doveva essere reso esplicito il riconoscimento?Ci eravamo intestarditi su questo fatto: avere una presa di posizione ufficialedella Democrazia cristiana. Poteva avvenire in tanti modi, attraverso undiscorso ufficiale di Zaccagnini, con un comunicato, con un breve comunicatoanche indiretto, diciamo. Il problema è che noi, intestarditi su questo, nondavamo credito ad altre possibilità che ci venivano offerte, come la mediazionedella Caritas o di Amnesty International.Qui c'è una incongruenza: molti di voi hanno detto che la sorte di Moro erastata decisa fin dall'inizio.No, questo non è assolutamente vero e non credo neanche che siano stati tanti adirlo perché, allora, l'indicazione data dal comitato esecutivo era che, sefosse stata scoperta la prigione dove era detenuto Moro, la reazione non dovevaessere quella di uccidere l'ostaggio, bensì di trattare l'incolumità deicompagni che tenevano Moro in cambio della vita di Moro.Andiamo a quel tragico 16 marzo. Quanti brigatisti erano stati scelti peruccidere la scorta e sequestrare Moro?Nove.Erano state fatte delle esercitazioni? Si-' Alcune, sì.e come?

288 Sergio ZavoliIn campagna, dentro le grotte. Sparavamo alcuni caricatori per avere un minimodi padronanza dell'arma.Quanto era durata la preparazione del commando?La preparazione vera e propria un mese, due mesi; ma erano preparazioni cheognuno svolgeva nella propria città, andando a sparare con un 'arma in unagrotta, non erano veri e propri addestramenti, come si è detto più tardi. Igiornali hanno parlato in seguito di questo commando superpreparato, super...ecco non e 'era niente di tutto ciò!Chi scelse la composizione del commando? // comitato esecutivo.Quando seppe di dover fare parte di questo commando? In sede di decisione.Chi aveva scelto proprio via Fani e per quali ragioni? Perché sembrava l'unicopunto in cui era praticabile il sequestro.Se quel giorno Moro e la sua scorta avessero deciso di fare un altro percorso,l'intera operazione sarebbe saltata o avrebbe subito solo un rinvio?

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Avrebbe subito un rinvio.Da come poi si sono svolti i fatti era chiaro che per catturare Moro sarebbestato necessario uccidere tutti gli uomini della scorta. Non vi poneste ilproblema che quel massacro avrebbe prodotto reazioni durissime, anche a livelloistituzionale?Noi eravamo già nell'ottica dello scontro violento. Il discorso dello guerraveniva battuto e ribattuto nei comunicati e faceva parte del nostro programma diallora. Pensavamo di potere comunque reagire, nella pr‘~ spettiva di unarivoluzione che si pensava violenta, cruenta, a livello a* guerra civile, e nonci si preoccupava di una reazione dello Stato, tM avrebbe a sua volta innescato,da parte nostra, una risposta ancora plU forte.

289La notte della RepubblicaChissà quante volte le sarà accaduto di rivedere in televisione le immagini divia Fani: quei corpi crivellati di colpi dentro le macchine, sull'asfalto, tuttoquel sangue. Ecco, quel 16 marzo, quando la scena era sotto i suoi occhi, comela vide?In quei casi... non c'è tempo per pensare... il problema è andare via subito eriuscire a realizzare, a compiere definitivamente la cosa, cioè por-tare viaMoro... andare via, ecco, e riuscire a mettersi in salvo. In quei casi non puoipensare, sono cose che si pensano sempre dopo...Lei ha sparato, quel giorno? Quanti colpi?Non ricordo... un caricatore.Su chi?... ci possiamo fermare?Sì, certo...(L'intervista viene sospesa)Lungo la via di fuga, che cosa pensò? Vuole provare a ricordarlo?ò ò. mah, il problema, allora, era quello di andarsene al più presto. Siccomel'azione si concludeva quando si erano messi tutti in salvo, il problema era diriuscire a continuare a realizzare le tappe dell'azione anche nella fase dellafuga. Quindi non e 'era il tempo per pensare.Poi, come le ho detto poco fa, quando le è capitato di rivede-re quella scena intelevisione è cambiato qualcosa nel suo modo di osservarla e anche digiudicarla?Mah, finché ero nelle Brigate rosse questo problema non si poneva mol-‘> uà un punto di vista, non so, umano; perché quella che vinceva semprea I astrazione, l'astrazione dell'idea della rivoluzione. La rivoluzioneevgdeva i morti da una parte e dall 'altra, prevedeva scontri cruenti, ea misura in cui uno accettava questo tipo di scelta era pronto a tutto.vomente, valutandolo in seguito, erano delle grosse corazze che ci siava- Lo stesso problema si sarebbe potuto porre anche per tante altre

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persone che m precedenza o in seguito abbiamo colpito. Questi,pò, sono discorsi... sono cose che si valutano, si maturano quando uno &lìbera da queste corazze e comincia a rivedere tutto in un 'altra chiave.Ha mai pensato di potersi trovare di fronte, e magari per sua stessa scelta, alfamiliare di una vittima?Sì, ho pensato.. ecco, questo è ancora un mio grosso problema e penso che mirimarrà... Non è solo per quella persona, è un po' per tutte che direttamente oindirettamente, mi sento responsabile. Perché, bene o male è stata una

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esperienza così forte, così totalizzante, che anche quando magari non c'ero, nonmi sento meno responsabile della persona che c'era... Questo è un grossoproblema, che rimane, e che ovviamente ognuno riesce ad affrontare con se', congli altri, in modo molto personale... ed è sicuramente, per me, più difficile.Credo che qui non servano le frasi fatte, le dichiarazioni... non so, diprincipio... Si può sospendere un attimo, per favore...Certo. (Un'altra pausa)Qual era l'ordine da eseguire, una volta cessato il fuoco?Era quello di prendere le borse che poteva avere Moro e recuperare deimateriali, interessanti per noi; e il mitra, che sapevamo esserci perché erastato visto sul sedile nella macchina di scorta. Poi sganciarci.Chi prese le borse?Con precisione non lo so. Uno del nucleo, e so che le borse erano due- ò ò\E sicuro che fossero due? Sì.Ne è certo?Sì. Sì, perché erano sulla 128 su cui andai via anch 'io, e quando <* sganciammole passai a un altro. Poi me ne andai lungo la strada che #" stata decisa.

Poi, che lei sappia, quale fu il viaggio di queste borse?Non lo so, furono recuperate dalla colonna romana; non so adesso, spe-ificamente, se andarono in una casa o nell'altra.Subito dopo, il gruppo di fuoco si sciolse; ciascuno prese una trada diversa.Quando e come lasciò la capitale?Portai la 128 in via Licinia Calvo dove si era stabilito di abbandonarla Scesiuna scalinata. . . questa via finisce in una lunga scalinata. Presi un autobusche mi portava alla stazione Termini e da lì il treno per Milano.Ebbe la sensazione, attraversando la città, che la notizia fosse già corsa? Chela gente sapesse?Sì, perché, non mi ricordo adesso in quale zona, le automobili della poliziapassavano a sirene spiegate. . . poteva essere anche per altre cose, ma noipresupponevamo che si recassero in via Fani.Quel viaggio, come lo ricorda?Era un insieme di sensazioni... Sicuramente c'era anche il fatto che l'azionefosse riuscita positivamente... Ecco, adesso mi è difficile dire queste cose,perché vedendo le cose in un 'altra ottica, e con un altro modo di sentire, miviene estremamente difficile per esempio dire: ah, ero contento che fosseriuscita l'azione, che fosse andata bene perché allora l'obiettivo era quello...Sono cose così forti... sicuramente c'era questo... poi, non so, la fretta diarrivare al sicuro.Mentre lei prendeva il treno, l'on. Moro entrava nella sua prima prigione. Leila conosceva?No.che Moro sia sempre stato tenuto nello stesso luogo o c"e lo abbiano trasferitoda un appartamento all'altro?^‘, è sempre stato tenuto nello stesso luogo.^on di rado all'interno dell'organizzazione si creava un cli-a difficile: litigisul da farsi, discussioni sulla strategia da te-re- Poi, però, nel momento piùgrave della vostra storia,

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sembra che abbiate delegato tutto al capo brigatista Mario Moretti. Comeandarono esattamente le cose?

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Ovviamente, in quelle situazioni la difficoltà a far circolare la discussioneera ancora più complessa... anche perché gli eventi si muovevano a gran velocitàe bisognava prendere decisioni rapide. Alcune potevano essere discusseaddirittura successivamente con tutte le colonne e con tutti i membri. .. nonera facile discutere collegialmente in modo ampio.Come facevate, da fuori, a valutare quello che stava accadendo all'interno dellaprigione di Moro?// compagno incaricato riportava le cose e aveva la nostra fiducia in questosenso.Che cosa vi fu detto del comportamento del leader democristiano durante i 55giorni?Avemmo tutti l'impressione, da come ce ne avevano parlato, di una personaestremamente dignitosa, che credeva cioè nel suo ruolo, nella sua funzione. Poiaveva una grossa religiosità che ci colpì molto, e soprattutto ci colpì moltol'attenzione ai problemi della sua famiglia. Noi avevamo sempre questa ideadella persona immersa dentro il suo ruolo, e al di fuori del ruolo nient 'altro.Questa fu un 'altra cosa che ci toccò...Era, che lei sappia, spiato da telecamere? C'erano videoregistratori nelcarcere?Videoregistratori, no. Non so se ci fosse una telecamera a circuito chiuso, o unsemplice occhio prismatico. Sicuramente non videoregistratori.Chi scriveva i comunicati?Venivano scritti a più mani da noi del comitato esecutivo.Collaborava anche lei?Certamente.Via Montalcini: vi furono indagini mirate della polizia che arrivò fin sullasoglia del covo-prigione. Ve ne accorgeste? E I3 decisione di affrettare la finedella vicenda fu dettata anche a questi motivi?

La decisione di concludere la vicenda fu determinata da un insieme di fattori,sicuramente anche da quello delle pressioni da parte delle forze dell'ordine,perché un 'azione di questo genere era estremamente rischioso continuare atenerla molto a lungo. Ma furono, più che altro, valutazioni di caratterepolitico, nel senso che pensavamo non vi fossero più possibilità di soluzionediversa. In quel momento ci siamo trovati a non vedere altre soluzioni.La mattina del 9 maggio Moro sapeva quel che gli sarebbe accaduto?Dunque... no, non gli fu detto dai compagni, proprio perché si pensava ecco chefosse... una cosa... che gli venisse fatta una violenza gratuita. Sembradifficile dire... tanto, poi, lo uccidi... però realmente fu per non farlosoffrire ulteriormente.Che cosa gli fu detto?So che gli fu detto, al momento, che sarebbe stato liberato. E lui ne fu moltocontento.Di fronte a quella reazione così innocente, così fiduciosa, lei ritiene, almenooggi, che fosse davvero pietosa quella bugia?Sono situazioni estremamente difficili... Valutarle col senno di poi è moltoarduo. Io sono sicuro che le persone che glielo hanno detto fossero mosse da unintento sincero.Lei, personalmente, condivise l'idea di mentirgli? Sì.Perché?Perché anche a me sembrava una violenza in più. E strano farsi capirestt queste cose...\& strano altro: voi lo giudicavate un uomo forte, consapevo-> razionale,intelligente, pieno di forza d'animo, e tuttavia...\y e tuttavia... penso che fosse abbastanza naturale pensare una cosa

294 Sergio Zavoti\E vero che Moro aveva chiesto di ascoltare la messa?Sì, se ne parlò e gli fu fatta ascoltare; se non erro, registrata.Lei era d'accordo che fosse ucciso?Alla fine la decisione fu presa collegialmente in questo senso.

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E in base a quali considerazioni?Alle considerazioni che non c'era più possibilità di sbocco se non quella.Se avessero chiesto a lei di sparargli, lo avrebbe fatto? O meglio, lo avrebbedovuto fare?Penso di sì.

XIILA TRAGEDIA DI ALDO MORO: LOTTA PER LA VITA NEL CARCERE DELLE BR E LA CONDANNA AMORTEIL PAPA IN LATERANO: "SIGNORE, TU NON HAI ESAUDITO LA NOSTRA SUPPLICA"II dramma di Aldo Moro è anche l'incubo di un Paese tenuto in scacco, sidirebbe, dalle Brigate rosse. L'incubo durerà 55 giorni, in una estenuantealtalena di speranza e sconforto, ultimatum e appelli, tentativi di dialogo eirrigidimenti.Da 48 ore Aldo Moro è nella prigione brigatista. Verso mezzogiorno, mentre inSan Lorenzo al Verano vengono celebrati i funerali dei cinque uomini dellascorta, voci anonime chiamano redazioni di quotidiani e agenzie di stampa. Nelsottopassaggio di Largo Argentina c'è un plico: contiene la foto di Moroprigioniero e il comunicato n. 1 delle Brigate rosse:Giovedì 16 marzo, un nucleo armato delle Brigate rosse ha catturato e rinchiusoin un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana. Lasua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati corpi speciali, èstata completamente annientata. Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suodegno compare De Ga-speri, è stato fino ad oggi il gerarca più autorevole, ilteorico e lo stratega indiscusso di quel regime democristiano che da trent'anniopprime il popolo italiano.Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la De èstata artefice nel nostro Paese - dalle politiche sanguinarie degli anniCinquanta alla svolta del centrosinistra fino ai giorni nostri con l'accordo asei - ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l'esecutore più fedele delledirettive impartite dalle centrali imperialiste.Sebbene in difesa dell'ordine democratico siano risolutamen-te schierate le forze politiche e sociali, le istituzioni dello Staton‘n riescono ancora a opporsi in modo adeguato all'attaccongatista. Coloro che guidano le ricerche tra forti difficoltà, si"muovono con grande dedizione e ciò, tra non molto, darà i suoiltl- L'azione repressiva, infatti, si farà sempre più risoluta e

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incalzante. Ma sul momento, l'apparato con cui lo Stato deve difendersi risentedi un precario coordinamento, di ambiguità remote e di ostacoli non di radoinspiegabili. Umberto Improta, allora vicequestore aggiunto di Roma:La prima fase fu articolata, diciamo così, per stabilire esattamente qualegruppo delle Br avesse portato a compimento l'azione delittuosa. Subito dopoc'era l'impegno ad evitare che l'ostaggio venisse condotto fuori Roma; il chesarebbe stato pericolosissimo, in quanto avremmo trovato difficoltà anchemaggiori per condurre e coordinare le indagini. Anche se queste furonoimmediatamente estese a tutto il territorio nazionale. Dall'analisi dellemodalità di tutta l'azione delittuosa, risultava chiaro che a Roma c'era la baseprincipale, dalla quale il gruppo era partito e dove certamente era rientrato.Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista, esclude il ricorso a leggieccezionali. "E` sufficiente" dice "la legge Reale. " Viene avanzata persine laproposta, invero risibile, di una taglia.

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Bettino Craxi, segretario del Partito socialista, sostiene l'utilità, intanto,di una massiccia controffensiva psicologica. Quotidiani e settimanali dannoinizio a un fittissimo tam-tam di interrogativi. Esplode sulle colonne deigiornali un complesso e concitato dibattito. Non pochi pensano che il caratterestesso della clamorosa azione brigatista dimostri come, dietro il terrorismo,possano agire anche potenti forze internazionali.Il mondo politico, pur frastornato, ha una reazione forte. Anche i sindacatireagiscono positivamente. Lama, Marianetti, Camiti e Benvenuto concordanoun'azione comune: rafforzare il rapporto tra i lavoratori e le istituzioni.Il 29 marzo si apre a Torino il 41‘ Congresso socialista. Francesco De Martino,che da due anni non ha più la segreteria, affronta il tema del rapimento Moro escuote il fronte in-transigente della fermezza fino a quel momentoapparenternen-te compatto. Con il sequestro di Moro, dice, si pone un proble' mache nessuno avrebbe mai creduto di poter discutere: scegli6' re tra l'autoritàdello Stato e la salvaguardia della vita umana-Bettino Craxi, il quale èrisolutamente per la seconda opzione"

durante il congresso riceve una lettera della signora Moro. Racconta:[vii chiedeva di intervenire presso l'avvocato Guiso, difensore di alcunibrigatisti in carcere a Torino, perché facesse da tramite in qualche modo esondasse la loro opinione, cosa che feci. L'avvocato Guiso si prestò acollaborare e parlò con quei detenuti. Se ne ricavarono questi elementi: idetenuti, benché dicessero che non potevano parlare per conto di chi era fuori,e quindi non portavano nessuna responsabilità ed esprimevano solo la loroopinione, affermavano: primo, che la vicenda non sarebbe finita come l'affareSossi, e cioè che in assenza di qualsiasi elemento, diciamo, di contropartita,Moro sarebbe stato ucciso; secondo, che l'organizzazione non aveva niente dadire, non trattava, e chi avesse avuto da proporre, proponesse; terzo: chel'interlocutore sarebbe stato Moro. Ricordo esattamente la frase che mi furiportata, "dialettizzatevi con Moro". E dopo di allora, quando Moro cominciò ascrivere delle lettere, noi ci sforzammo di interpretare certi loro passaggipartendo da questo elemento che ci era stato fornito. Lo considerammo sempre uninterlocutore.Il 29 marzo viene fatta trovare una busta contenente un nuovo comunicato delleBrigate rosse e due lettere di Moro, una per la moglie Eleonora e l'altradiretta al ministro dell'Interno, Francesco Cossiga. In quest'ultima, Morointroduce l'ipotesi di uno scambio di prigionieri.Caro Francesco, mentre t'indirizzo un caro saluto, sono indotto dalle difficilicircostanze a svolgere dinnanzi a te, avendo presenti le tue responsabilità (cheio ovviamente rispetto), alcune lucide e reali-stiche considerazioni (...) Io mitrovo sotto un dominio pieno e incontrollato, sottoposto a un processo popolareche può essere opportunamente graduato, (...) con il rischio di essere chiamatoo indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa indeterminate situazioni (...)Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di lega-'ta,mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salparli, èinammissibile (...) Che Iddio vi illumini per il meglio evitan-‘ che siateimpantanati in un doloroso episodio, dal quale potrebbe-r‘ dipendere molte cose.30 marzo i massimi esponenti della Democrazia cristiana,ra cui Andreotti, Fanfani, Zaccagnini, De Mila, Forlani, Pic-' e Cossiga, respingono l'ipotesi della liberazione di brigatistienuti e si dicono disponibili al pagamento di un riscatto. La

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linea scelta viene definita "fermezza nella strategia, elasticità nellatattica".Questa posizione sarà ribadita in modo solenne dalla Dire. zione della De. Esebbene il partito di Moro annunci di essere disponibile "a non lasciareinesplorata alcuna strada, né disattesa alcuna possibilità" per restituire lalibertà al prigioniero non è questa la risposta che le Br si aspettano. Il 15aprile, in-fatti, annunciano la fine del "processo". Tre giorni dopo, comevedremo, si verificheranno due episodi destinati a dare alla vicenda una bruscaaccelerazione: la scoperta del covo di via Gradoli e il falso comunicatobrigatista che annuncia l'avvenuta uccisione "mediante suicidio" di Aldo Moro,la cui salma giacerebbe "nei fondali limacciosi del Lago della Duchessa".E` sfruttando le emozioni suscitate da queste notizie che le Br accentuano laloro pressione sull'opinione pubblica e sul mondo politico. Il 20 aprile, con ilcomunicato n. 7, dettano le condizioni:II rilascio del prigioniero Aldo Moro può essere preso in considerazione solo inrelazione alla liberazione di prigionieri comunisti. La De dia una rispostachiara e definitiva se intende percorrere questa strada; deve essere chiaro chenon ce ne sono altre possibili. La De e il suo governo hanno 48 ore di tempo perfarlo a partire dalle 15 del 20 aprile.La De risponde il giorno dopo. All'unanimità, i massimi dirigenti del partitodicono "no" a qualsiasi trattativa. E` in tale contesto che Moro premedirettamente su Zaccagnini con una implacabile lettera:Caro Zaccagnini, mi rivolgo a te ed intendo con ciò rivolgermi nel modo piùformale, e in certo modo solenne, all'intera Democrazia cristiana, alla quale mipermetto d'indirizzarmi ancora nella mia q"a' lità di presidente del Partito. E`un'ora drammatica. (...) Con profonda amarezza e stupore ho visto in pochiminuti, senza nessuna seri valutazione umana e politica, assumere unatteggiamento di ngicl chiusura. (...) La mia stessa, disgraziata famiglia èstata, in certo n>‘ do, soffocata, senza che potesse disperatamente gridare ilsuo do|‘ ed il suo bisogno di me. Possibile che siate tutti d'accordo nel yo.ila mia morte per una presunta ragion di Stato che qualcuno livl , mente visuggerisce, quasi a soluzione di tutti i problemi del Pae Altro che soluzionedei problemi. Se questo crimine fosse perpet

si aprirebbe una spirale terribile che voi non potreste fronteggiare. Ne sarestetravolti. Si aprirebbe una spaccatura con le forze umanitarie che ancoraesistono in questo Paese. Si aprirebbe, insanabile, malgrado le prime apparenze,una frattura nel Partito che non potreste dominare. (...) Se voi nonintervenite, sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d'Italia. Ilmio sangue ricadrebbe su voi, sul partito, sul Paese. Pensateci bene, cariamici. Siate indipendenti. Non guardate al domani ma al dopodomani. Pensacisoprattutto tu, Zaccagnini, massimo responsabile. Ricorda in questo momento -dev'essere un motivo pungente di riflessione per te - la tua straordinariainsistenza e quella degli amici che avevi a tal fine incaricato - la tuainsistenza per avermi presidente del Consiglio nazionale, per avermi partecipe ecorresponsabile nella fase nuova che si apriva o che si profilavadifficilissima. Ricorda la mia fortissima resistenza soprattutto per le ragionidi famiglia a tutti note. Poi mi piegai, come sempre, alla volontà del Partito.Ed eccomi qui, sul punto di morire, per averti detto di sì ed aver detto di sìalla De. Tu hai dunque una responsabilità personalissima. Il tuo sì o il tuo nosono decisivi. Ma sai pure che, se mi togli alla famiglia, l'hai voluto duevolte. Questo peso non te lo scrollerai di dosso più. Che Iddio ti illumini.(...) Se la pietà prevale, il Paese non è finito.A questa lettera ne seguiranno altre due, entrambe volte ad attribuire alsegretario della De la responsabilità di " condannare a morte il prigioniero".Ma la De fa quadrato attorno a Zaccagnini. Se ne distaccano alcuni amicipersonali di Moro e, ovviamente, la famiglia.Il 6 aprile, firmata da Eleonora Moro, giunge al direttore de "II Giorno", chela pubblica con evidenza, una lettera:Gentile direttore, in questa situazione che non ci consente alcun contatto, miavvalgo della cortesia del suo giornale, sul quale mio manto ha tante voltescritto, per rivolgermi a lui, se mai sarà possibile che egli ne sia informato,e rassicurarlo che tutti i componenti della ^miglia sono uniti e in salute.

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Noi purtroppo non abbiamo alcun segno che conforti la nostra speranza del suoritorno. (...)Il dibattito all'interno del mondo politico si fa rovente. Il‘nte che interpreta la "linea umanitaria" accentua la propostaP‘ssibiljsta. Esso impegna tutto l'arco della sinistra, ad eccezio-del PCI` cne rimane fermo sulla posizione del "no". E` un con-0 serrato, che lascia scorgere a Moro un possibile varco.

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:itoDecide, infatti, di scrivere direttamente al segretario del socialista.Caro Craxi, poiché ho colto, pur tra le notizie frammentarie che n\' pervengono,una forte sensibilità umanitaria del tuo partito in quest dolorosa vicenda, sonoqui a scongiurarti di continuare, ed anzi ac centuare, la tua importanteiniziativa. (...) Ogni ora che passa p0. irebbe renderla vana ed allora io tiscongiuro di fare in ogni sede opportuna tutto il possibile nell'unica direzionegiusta, che non è quella della declamazione. Anche la De sembra non capire. Tisarei grato se glielo spiegassi anche tu con l'urgenza che si richiede (...)Don Virgilio Levi, allora direttore dell'"Osservatore romano" dirà:Oggi, in teoria, da lontano, dimenticando quei momenti, si può pensare che, infondo, c'erano due partiti alla pari, 50 per cento ciascuno; e, chissà perché,ha prevalso quello della fermezza... In realtà c'era un partito della fermezza,cioè del senso comune che diceva: questa è la strada da percorrere e non ce n'èun'altra. E c'era il partito del... desiderio che diceva: vediamo se si può farealtro... vediamo, vediamo, vediamo...Guido Bodrato, a sua volta, preciserà:Debbo dire che questo problema che angosciava il Paese e si poneva come undilemma a chi doveva scegliere e assumere delle posizioni rilevanti a livellopolitico fu sempre risolto con grande coerenza, nel senso che non sidimenticarono mai gli uomini che avevano sacrificato la vita, a partire dagliuomini della scorta dell'on. Moro.Le Br non diffonderanno mai gli interrogatori di Moro, i cui verbali sarannorinvenuti incompleti, a Milano, nel covo di via Monte Nevoso, lo stesso dove,dodici anni più tardi, verranno scoperte 421 fotocopie di lettere e documentidello statista.Nei 55 giorni di prigionia la questione della credibilità de lettere di Moroanima il dibattito politico, angoscia la De, stre ta nel travaglio fra leragioni di Stato e di partito, umane e pe sonali, finendo per coinvolgere econfondere l'opinione pu ca. Ci si chiede se Moro prigioniero sia uno strumentomani dei terroristi o se invece mantenga una lucida autono A scrivere eracertamente Moro, affermerà la Commi5 parlamentare nel concludere i suoi lavori;suo era lo sti ò

La notte della Repubblica301ano certe espressioni. Ma uno scritto, precisa la Commissio-è totalmenteriferibile alla volontà di una persona quando so perviene al suo naturaledestinatario senza censura o me-diazione.Eleonora Moro, testimoniando in Corte d'assise, dirà:Quelle cose erano scritte da mio marito, pensate da lui; esprimevano il suo mododi vedere le cose, la sua maniera di valutare le situazioni e davano indicazionimolto precise a chi avesse voluto sentirle con intelligenza... media, direi;perché non c'era bisogno di avere il suo stesso livello di intelligenza, percapire come si poteva uscire dalla situazione.Santiapichi: E l'indicazione di dove si trovasse suo marito? Eleonora Moro: Inqualche modo io credo che ci fosse anche quella. Santiapichi: In quale passo,per esempio?

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Eleonora Moro: Mah, non so. Per esempio quando diceva "qui". Qui, evidentemente,voleva dire Roma.Andreotti è cauto:Va veramente ancora approfondito se si tratta di copie a macchina delle letterescritte da Moro o di minute scritte da lui. In più, anche per il cosiddettomemoriale Moro, ho fortissimi dubbi che sia veramente suo. Anche su questo speroche in sede di processo, o altrove, si scavi un po' di più, perché forse sipossono trovare delle tracce interessanti per vedere chi c'è dietro.Il comunicato n. 6 delle Brigate rosse è il tragico giro di boa: Aldo Moro ècolpevole e viene pertanto condannato a morte. L interpretazione più condivisadel documento è questa: le r si apprestano a trattare attraverso il ricatto laliberazione di cuni detenuti. In quei giorni il fronte politico è ancora unito,a i socialisti e una parte della De, particolarmente legata a ‘r‘, intendonoesplorare ogni possibilità. j lrja Anselmi, che pure non può esseresospettata di cedevo-2Ea, visita quotidianamente la famiglia dello statista. IlPsi j^ de di non lasciare nulla di intentato pur di salvare la vita di Va '/ radicali sono i più espliciti nel propugnare la trattatilo K ei.Part"' kiciagiscono frange "possibiliste", ma il Partito CQ Dicano, specie con LaMalfa, e il Partito socialdemocrati-' -‘no per l'intransigenza assoluta.Comunisti e missini, sia

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pure con atteggiamenti diversi, rappresentano le punte estreme del "no" allatrattativa. Interpretando la sua cultura più liber-taria, "il manifesto" criticala parte assolutista del fronte della fermezza e di fatto persegue la linea deisocialisti.Il 18 aprile ricorre il trentesimo anniversario del successo elettoraledemocristiano del 1948 e si teme un'azione dimostrativa delle Br. In realtà, nelmedesimo giorno, a distanza di pò-che ore, si verificano due fatti checostituiscono tuttora due degli enigmi dell'affare Moro.Qualcuno telefona al centralino de "II Messaggero", avverte che nel cestino deirifiuti di un bar di piazza Indipendenza c'è il comunicato n. 7 delle Brigaterosse. Quel documento annuncia l'avvenuta esecuzione del presidente della De,Aldo Moro, "mediante suicidio" e fa sapere che il suo corpo può essererecuperato nel Lago della Duchessa, in una zona montagnosa ai confini fra ilLazio e l'Abruzzo.Benché agli inquirenti quel volantino sembri poco credibile perché scritto conlinguaggio e strumenti inconsueti, ingenti forze dell'ordine vengono fattepartire per la zona della Duchessa. I dubbi appaiono subito fondati, sia perchéil lago è coperto da uno spesso strato di ghiaccio, sia perché il manto di neveè assolutamente intatto. Ma l'ordine di sospendere le ricerche viene dato solodue giorni dopo, quando le Br fanno trovare a Genova, a Milano e a Torino, lecopie del vero comunicato n. 7 col quale si fissa un ultimatum di 48 ore algoverno e alla Democrazia cristiana.Dal Vaticano parla Paolo VI:Di Aldo Moro, ahimè, nessuna altra notizia. Abbiamo trepidato ieri alla scadenzadell'ora fissata dagli uomini autocostituitisi giudici unilaterali e carnefici etrepidiamo ancora, sempre sperando e pregando sia risparmiata a Roma,all'Italia, al mondo e specialmente alla famiglia, agli amici, la consumazionedel criminale, annunciato misfatto. Questa attesa ci lascia ancora sperare.Andreotti ricorda:II papa aveva fatto prendere delle iniziative, e se ne è poi discusso, ponendosila domanda: "II Vaticano lo sa o non lo sa?". Il papa n‘^ è sempre il Vaticano,il papa ha anche una sua autonomia, ha un s

La notte della Repubblica 303retario particolare proprio per questo. Certamente vi era stata la di-sponibilità a pagare anche una cifra molto forte, se fosse stato questo ;|

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rnezzo per poter salvare Moro... avevano cercato in tutti i modi di avere deicontatti.Guerzoni teneva i rapporti per conto della famiglia Moro con tutti coloro che siadoperavano per salvare in ogni modo la vita dello statista:Cogliamo l'occasione di questo incontro per ringraziare quanti, con l'on. ElioRosati, hanno espresso al segretario politico della De, on. Zaccagnini, lapreoccupazione per la sorte dell'on. Moro e la richiesta che la Democraziacristiana accerti quali concrete condizioni esistano per il rilascio delpresidente del suo partito. Siamo altresì sommamente grati agli esponenti delmondo religioso, culturale, politico, sindacale e giovanile i quali, pur nellagrande diversità di orientamenti di scelte, si sono trovati concordi nelchiedere a quanti ne hanno l'autorità e il potere di salvare la vita dell'on.Aldo Moro.Chi aveva scritto il falso comunicato della Duchessa? Ci vorranno cinque anniper scoprirlo. L'autore è Toni Chicchiarelli, noto falsario romano legato agliambienti della banda della Ma-gliana, amico di neofascisti e dei Nar econfidente dei Servizi segreti, che verrà assassinato nel settembre dell'84 incircostanze rimaste misteriose. Tutto ciò contribuirà a rendere attendibileun'ipotesi sempre ventilata, qualche volta testimoniata, ma mai provata: quelladel collegamento fra Chicchiarelli e uomini dei Servizi segreti o di potentiassociazioni sovversive che lo guidano, lo condizionano e infine lo uccidono.Si è anche detto che il falso comunicato delle Br gli sarebbe statocommissionato al fine di verificare quali effetti avrebbe suscitato nel Paese lanotizia dell'uccisione del presidente della *ò'úò Sta anche in questo enigma lachiave per entrare nei misteri del caso Moro.Enrico Fenzi, ex brigatista:fecondo le Brigate rosse, il comunicato del Lago della Duchessa Sea Un fe'so delgoverno, della polizia, insomma del potere... ed era il chi C cmaro einequivocabile che nessuna trattativa era possibile...e 'o Stato non avrebbe mai trattato per Moro.

304Sergio ZavoliTina Anselmi:Credo che la giornata più difficile sia stata quella del comunicato del Lagodella Duchessa. Fu molto doloroso, molto difficile dire alla moglie e ai figliche c'era questa ipotesi di una possibile uccisione di Aldo Moro; tuttavia nonposso dimenticare che quando i figli e io stessa ci mettemmo a piangere, lasignora Moro, con una grandissima forza d'animo, prima ci invitò a pregare e poidisse: "Aspettate un momento che vado a farvi un buon caffè; ci vuole un buoncaffè". E così fece. Passai con loro parecchie ore, in attesa di qualcheconferma o di qualcosa che smentisse il comunicato.E` la mattina del 18 aprile, Moro da più di un mese è prigioniero delle Brigaterosse. All'interno 7 di una palazzina di via Gradoli a Roma, l'inquilina entranel bagno e scopre che dal soffitto filtra dell'acqua. Inutile cercare quellidel piano superiore, è gente strana che viene e va, e si mostra di rado. Lasignora Bruna Damiano telefona all'amministratore e questi, a sua volta, avvertei Vigili del fuoco. E` così che gli agenti della Digos romana arrivano alla baseoperativa più importante delle Brigate rosse, un covo ancora "caldo", come sidice in gergo, perché ha ospitato una coppia di terroristi fino a poche oreprima.L'infiltrazione d'acqua è dovuta a una doccia lasciata aperta e rivolta verso ilmuro che ha delle crepe. La circostanza genera sospetti e l'appartamento vieneperquisito. Dentro un armadio le forze dell'ordine trovano una divisadell'aeronautica civile e la targa originale della 128 usata per il tamponamentodi via Fani; poi, documenti, tessere false, qualche arma e schede di bersagli dacolpire.Le indagini portano rapidamente all'identificazione dell'uomo che, con il nome"ingegner Mario Borghi", ha affittato l'appartamento nel dicembre del 1975. E`Mario Moretti, il capo delle Brigate rosse, ma in quelle stanze hanno abitatoper diversi mesi anche Valerio Morucci e Adriana Faranda.Al n. 96 di via Gradoli la polizia si era già presentata il 1‘ marzo, cioè duegiorni dopo la strage di via Fani. Gli agenti avevano bussato a tutti gli

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appartamenti, ma secondo le disp0' sizioni ricevute erano entrati solo dove erastata aperta loro la

La notte della Repubblica 305porta. Dall'interno 11, quello dell'ingegner Borghi, non aveva risposto nessuno.Quindici giorni dopo la scena si era ripetuta pressoché identica, questa voltaperò l'inquilina della porta accanto aveva segnalato agli agenti una circostanzasospetta: di notte le era parso sentire il ticchettio di un apparecchio ricetra-smittente, e il rumore proveniva proprio dall'interno 11.Quello stesso giorno, 2 aprile, un'altra singolare circostanza: nella casa dicampagna del professor Alberto Ciò, vicino a Bologna, si incontra un gruppo diamici, tra i quali il professor Romano Prodi. I convenuti parlano del rapimentodi Moro e qualcuno propone una seduta medianica per scoprire, non si sa mai,dove è lo statista prigioniero. Più o meno persuasi, forse incuriositi, allafine tutti aderiscono.L'indicazione scandita dagli spostamenti di un posacenere sul tavolo è chiara:Gradoli - Bolsena.Su richiesta del capufficio stampa del ministro Cossiga e del capo dellapolizia, la questura di Viterbo fa perquisire a tappeto il paesino di Gradoli.L'esito è del tutto negativo. Oggi sappiamo che Aldo Moro non è mai statoportato neppure nel covo di via Gradoli; ma scoprire l'appartamento qualchegiorno prima avrebbe in qualche maniera modificato l'evolversi della vicenda?Eleonora Moro:Dissero che avrebbero fatto gli accertamenti nel paese di Gradoli e io dissi:"Ma siamo sicuri che a Roma non ci sia una via Gradoli dove sarebbe piùprobabile trovare qualche cosa?". E la risposta è stata, adesso non ricordo dichi, che sulle pagine gialle questo nome non risultava. Quando queste persone sene sono andate, ho consultato il m'o elenco telefonico e ho visto che il nomec'era.Ecco la testimonianza alla Corte d'assise di Domenico Mero-la> il brigadiere dipubblica sicurezza incaricato di controllare SJi appartamenti dello stabile divia Gradoli:ichi: Ha cercato di individuare l'amministratore di questo "abile o non lo hacercato?ferola: Nossignore. j a*tìapichi: Ha domandato chi era l'amministratore, l'haconvocato

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Merola: No.Santiapichi: Perché?Merola: Perché durante il controllo, come si è detto, noi abbiam0 bussato adalcune porte, abbiamo identificato le persone presenti e abbiamo chiesto notiziesu chi abitava in quegli appartamenti. Alcune ci hanno riferito delle cose chenon facevano risultare...Santiapichi: Cosa le hanno riferito?Merola: Che erano abitati da una ragazza, o da un giovane o da un...Santiapichi: Chi glielo ha riferito?Merola: Le persone con cui noi abbiamo avuto...Santiapichi: Chi sono queste persone?Merola: Quasi tutte quelle che abbiamo identificate, signor presidente!Santiapichi: Ora io gliele porto tutte qua. E vediamo quali di queste persone lehanno dato queste notizie. Questo è un processo delicato! Lei se ne deve rendereconto...Merola: Sissignore. Ma io me ne rendo conto...

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Santiapichi: Allora, lei mi sta dicendo che queste persone le hanno detto chiabitava nell'appartamento n. 11. Quali sono le persone che conoscevano quelliche abitavano l'appartamento n. 11? Non ce ne importa niente di quello che hafatto o non ha fatto, non è compito nostro accertare questo, lo vedremo poi;però lei ora ci dice, come ufficiale di polizia giudiziaria, che delle personele hanno dato indicazioni su chi abitava al n. 11. Chi ci abitava?Merola: Al n. 11, specificamente? Non avevo capito. Quando siamo arrivati aquesto interno 11, la persona dell'appartamento accanto, che ci ha sentitobussare - ripetutamente, come a tutte le altre porte -si è affacciata e alladomanda: "Chi ci abita qui, signora?" - era una signora, mi pare - ha risposto:"Ci abita una persona sola, si vede uscire la mattina presto, poi si vede lasera tardi, una persona distinta, credo sia un rappresentante".20 aprile, Moro è nella prigione brigatista da 35 giorni. Bel-tino Craxiincarica il socialista Giuliano Vassalli di compier6 un'indagine tesa aindividuare, nel rispetto della legge, i detenuti che si potrebbero liberare,sia brigatisti, sia aderenti a gruppi similari. Dalle ricerche emerge il nome diPaola Besu-schio.PAOLA BESUSCHIO nel 1978 ha trent'anni. E` nata a Verona, ha m"1^ tato nelgruppo extraparlamentare Potere operaio, quindi si iscritta alla Facoltà disociologia di Trento, dove ha conosciuto *<ò nato Curcio e Mara Cagol. Quando,il 30 settembre del

arrestano ad Altopascio, in Toscana, Paola Besuschio è da un anno militantedelle Brigate rosse.La giovane donna deve scontare 15 anni di carcere. Le si imputa di averepartecipato a varie rapine e preso in affitto vari covi per terroristi. E`indiziata di reato per il ferimento del consigliere democristiano Massimo DeCarolis.Nella posizione giudiziaria di Paola Besuschio sembrano configurarsi i requisitinecessari per consentire quel gesto, cosiddetto umanitario, attraverso cuiottenere la liberazione di Moro. Ma il consigliere di Cassazione, GirolamoTartaglione, direttore generale degli affari penali al ministero di Grazia eGiustizia, da parere negativo all'ipotesi di rimettere la brigatista in libertà.Cinque mesi più tardi, il magistrato verrà ucciso sulle scale della suaabitazione da un commando delle Br.Due giorni prima che Tartaglione desse il suo parere, il quotidiano "Lottacontinua" aveva pubblicato un appello che provava quanto fosse variegato ilfronte della trattativa. Recava la firma di intellettuali cattolici e socialistie, a titolo personale, del comunista Umberto Terracini. La Caritas e AmnestyInternational si dichiaravano pronte a intervenire.Pio Baldelli, allora direttore di "Lotta continua":Come mai, a un certo punto, da parti politiche diversissime da quelle di Moro,si arriva a firmare un documento per la sua liberazione? Dico subito chiaro etondo che io non sono mai stato dalla parte politica e ideologica di Moro. A meMoro è sempre sembrato una persona capace di equilibrare anche le posizioni piùdiverse, ma anche smidollarle, svuotarle dall'interno: insomma, un grande erededella tradizione machiavellica italiana, con una mellifluità, come posso dire,con una dolcezza apparente degna appunto del suo cattolicesimo. Ma quando vienesequestrato e rinchiuso nella prigione del "Popolo", si fa per dire, e poi inqualche maniera torturato moralmente, distanziato dalla famiglia, dalle cosecare... beh no, si può essere d accordo o contro, a questo punto diventa unapersona in carne "ossa e allora il sottoscritto e tanti altri come Sciasciaabbiamo deciso 1 proporre e firmare una mozione a favore della scarcerazione diAldo Moro.H 21 aprile la De si pronuncia all'unanimità contro qualsiasi Ottativa. Tregiorni dopo le Br risponderanno con il comuni-Cato n. 8. Questo il passaggioessenziale:

308 Sergio ZavoliII prezzo del destino di Moro è la liberazione di prigionieri comunisti.Il documento contiene una lista di tredici brigatisti, o aderenti ai Nap, daliberare; e l'elenco comprenderà il nome di Paola Besuschio. L'alternativa,

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dicono i brigatisti, è netta: o la liberazione dei prigionieri o l'esecuzione diAldo Moro.Bettino Craxi:Noi respingemmo, come tutti, la proposta che le Brigate rosse fecero a un certopunto della liberazione di tredici detenuti. Noi ci orientammo verso l'idea chelo Stato poteva compiere un gesto autonomo, non una trattativa, ma un atto diclemenza rivolto a una persona, a un detenuto che non si fosse macchiato didelitti di sangue, e ce n'era almeno uno, in quella lista di tredici, e chequesto atto di clemenza potesse servire a provocare la liberazione di Moro.Questa, in sostanza, fu la nostra proposta.Valerio Zanone:Lo Stato non poteva negoziare senza stabilire fra le vittime del terrorismodiversità di trattamento che sarebbero state inique: del resto i comunicatidelle Brigate rosse si incaricarono di dimostrare che non si poteva trattaresenza arrivare al riconoscimento dell'organizzazione e quindi alla capitolazionedello Stato.Guido Pollice:Noi di Democrazia proletaria non abbiamo avuto il minimo tentennamento perportare avanti la linea della trattativa; e d'altronde, poi, come si èverificato, la linea della fermezza era un falso, un falso storico. Quindi,interpretavamo la coscienza popolare che voleva che Aldo Moro fosse salvato e intal senso ci siamo mossi.Gianfranco Spadaccia:In quei 55 giorni noi radicali abbiamo in qualche misura rappre-sentalo ilpartito della legalità repubblicana chiedendo inutilmente che il Parlamentofosse convocato, che potesse discutere di ciò che accadeva, delle iniziative chelo Stato doveva prendere. Invece non W convocato il Parlamento, non furonoconvocati i consigli nazionali o ' comitati centrali dei partiti, la democraziafu sequestrata, tutto venne tenuto nelle mani di pochi uomini e non ci funessuna capacità di inj' ziativa da parte dello Stato. La politica dellafermezza si rivelò, trag1'

309La none della Repubblicacainente, politica dell'inerzia in attesa di ciò che poi inevitabilmente sarebbeavvenuto, ed avvenne, con la morte di Moro.Oddo Biasini:La scelta dei repubblicani per una posizione di intransigente fermezza, controogni possibile forma di trattativa con le Brigate rosse, era determinata dallapreoccupazione per quel che rappresentava il terrorismo contro le nostreistituzioni. Non era una scelta tra umanitarismo e antiumanitarismo, trasacralità della persona umana e no.Luigi Preti:Ai tempi del caso Moro noi socialdemocratici eravamo per la fermezza perché loStato non deve mai cedere; così come oggi riteniamo che non si debba cedere inmateria di droga oppure in materia di mafia. Bisogna sempre essere fermi.Aldo Moro è prigioniero da 37 giorni. Il 22 aprile, alle 10,30 del mattino, ildirettore della sala stampa vaticana, monsignor Romeo Panciroli, legge aigiornalisti un appello del papa alle Brigate rosse:Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi che certamentenon lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno einnocente; e vi prego in ginocchio, liberate l'onorevole Aldo Moro,semplicemente, senza condizioni (...) Uomini delle Brigate rosse, lasciate a me,interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animialberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pursempre amandovi, la prova.Eleonora Moro, deponendo in Corte d'assise, ricorderà:Poi il pontefice scrisse quella lettera bellissima, ma che conteneva unespressione poco felice (pare gli fu fatta aggiungere) che non era nel suopensiero originale.Santiapichi: Qual era questa espressione?Eleonora Moro: "Senza condizioni".

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Interviene anche Kurt Waldheim, allora segretario generale delle Nazioni Unite:^ na volta ancora vi chiedo fermamente di risparmiare la vita a<jj ‘r‘ e vi rivolgo un appello per il suo rilascio immediato. Tale attoP'eta sarà ricevuto con un senso di sollievo in tutto il mondo, e tutti

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coloro che dedicano la loro vita alla ricerca di una maggiore giusti2;e di un maggiore benessere per ogni essere umano approveranno tal*passo. eLe affermazioni di Waldheim suscitano sconcerto: soprattutto repubblicani ecomunisti temono che dietro i toni umanitari possa adombrarsi un riconoscimentopolitico delle Br.Bettino Craxi:Noi avemmo una riunione di più di cinque ore con la Democrazia cristiana. Altermine di quella riunione ci rimase l'impressione che la Democrazia cristianasi orientasse a convenire che un atto di clemenza non sarebbe stato uno strappoinsopportabile, non sarebbe stato un cedimento di fronte alla impossibilità ditrovare altre vie; forse era l'unica via che rimaneva a disposizione. Questa erala nostra impressione. Del resto, a me fu detto da fonte molto autorevole che ilcapo dello Stato "era con la penna in mano".Giovanni Leone:Ricordo con precisione quel giorno; era domenica, quando pronunziai allapresenza di Vassalli e dell'ex avvocato dello Stato, Man-zari, la frase: "Hol'anima pronta e la penna a disposizione" per dire: io sono pronto a qualsiasigrazia purché mi sia proposta. Già in passato me ne ero occupato attraversoanche il compianto Guardasigilli Bonifacio, il quale si attivò moltissimo allaricerca di qualche detenuto che potesse essere oggetto di grazia perché sitrovava al di fuori del giudicato.Flaminio Piccoli:Ci fu un intervento socialista su di noi, fatto del resto con molta discrezione,al quale rispondemmo con una serie di riflessioni. Ma la convinzione che setrattavamo era il declino della libertà nel nostro Paese, fu quella che dominòsempre il gruppo dirigente.Luigi Anderlini:Cedere alle Brigate rosse significa mettere in crisi la struttura stessa delloStato, la sua credibilità. Iniziare o aprire una trattativa con loro significadare loro una patente di legittimità, riconoscere che si tratta di una parte conla quale si può perfino trattare.Giorgio Almirante:C'è una maggioranza del 95 per cento che dichiara tutta: "Niente trattative conle Brigate rosse", mentendo, perché sottobanco stano0 trattando, parlano ditrattative umanitarie, ma stanno trattando-chiedo perché si viene meno alrispetto delle leggi vigenti.

Ugo Pecchioli:Allora noi avvertimmo il presidente del Consiglio che se il governo fosse venutomeno all'atteggiamento di grande rigore nei confronti del terrorismo, cheperaltro fu concordato il giorno stesso del sequestro da tutta la maggioranza,noi comunisti ci saremmo ritirati dalla maggioranza.Il 30 aprile, alle 16,30, un brigatista telefona a casa Moro. Risponde lasignora Eleonora, ma il brigatista ritiene sia la figlia. Chi parla dallastazione Termini è Mario Moretti, che tiene le fila dell'operazione Moro. Non acaso è il brigatista che conduce il suo interrogatorio.Dalla registrazione della telefonata alla famiglia Moro:

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" Senta, io sono uno di quelli che ha qualcosa a che fare con suo padre. Devofarle un'ultima comunicazione. Noi facciamo questa telefonata per puro scrupolo,perché suo padre insiste nel dire che siete stati un po' ingannati eprobabilmente state ragionando su un equivoco. Finora avete fatto tutte cose chenon servono assolutamente a niente. Noi crediamo invece che ormai i giochi sianofatti e abbiamo già preso una decisione. Nelle prossime ore non potremo faraltro che eseguire ciò che abbiamo detto nel comunicato n. 8. Quindi crediamosolo questo, che sia possibile un intervento di Zaccagnini, immediato, echiarificatore in questo senso; se ciò non avviene, rendetevi conto che noi nonpotremo far altro che questo. Mi capisce? Mi ha capito esattamente? ""Sì, i'ho capita benissimo.""Ecco, e quindi è possibile solo questo; lo abbiamo fatto semplicemente perscrupolo, nel senso che, sa, una condanna a morte non è una cosa che si possaprendere così alla leggera neanche da parte nostra. Noi siamo disposti asopportare le responsabilità che ci competo-no e vorremo appunto... siccome lagente crede che non siete intervenuti direttamente perché mal consigliati...""Ma noi abbiamo fatto quello che abbiamo potuto fare, che ci lasciano fare,perché ci tengono proprio prigionieri...""No, il problema è politico, quindi a questo punto deve intervenire\.einocrazia cristiana. Abbiamo insistito moltissimo su questo, per-"e e l'unica maniera per arrivare eventualmente a una trattativa. SeQuesto non avviene, mi ascolti... guardi, non posso discutere, non so-autorizzato a farlo, devo semplicemente farle questa comunicazio-ò oolo un intervento diretto, immediato e chiarificatore, preciso, diBagnini, può modificare la situazione; noi abbiamo già preso la

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decisione, nelle prossime ore accadrà l'inevitabile, non possiamo farealtrimenti. Non ho nient'altro da dirle. "I tentantivi di stabilire un possibile aggancio con le Br proseguono. Nellaseconda metà di aprile, gli esponenti socialisti Claudio Signorile e AntonioLandoli!, hanno i primi contatti con Lanfranco Pace e Franco Piperno, due leaderdell'Autonomia romana.Antonio Landolfi:Ho incontrato Pace il quale, essendo uno degli esponenti dell'areaextraparlamentare, mi espresse il suo apprezzamento per l'iniziativa umanitariache il Psi stava compiendo per salvare la vita dell'on. Moro. La cosa mi parvemolto interessante per l'ambiente da cui proveniva. Accompagnando Pace da Craxiprovocai uno scambio di vedute che fu puramente di natura politica. Naturalmentei margini di iniziativa erano estremamente esigui; non dipendeva, ovviamente, nédai socialisti né da altri, in quel momento, la possibilità concreta di poterdare un corso diverso agli avvenimenti che si stavano svolgendo e che ebbero poiuna conclusione drammatica. Io ritengo che quel colloquio fosse utile e loritengo ancora oggi.Pace riferisce a Valerio Morucci e Adriana Faranda la richiesta socialista diliberare Moro sulla base di un compromesso che non abbia, come passaggioobbligato, la liberazione di terroristi detenuti.Antonio Savasta, ex brigatista:C'era un tentativo politico da parte di Pace e Piperno di essere loro gliinterlocutori verso lo Stato per conto della guerriglia e dei movimenti di massache allora si erano sviluppati. Si diceva che questo tipo di trattative tra Pacee Piperno ed esponenti del Partito socialista italiano non poteva assolutamenteinterferire sul comportamento delle Brigate rosse perché le Brigate rossetendevano ad una trattativa aperta con lo Stato.

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E ormai l'epilogo. Di fronte alla chiusura dello Stato, le Br decidono diforzare i tempi. Il lungo calvario è scandito da comunicati, lettere di Moro,iniziative politiche. E` l'ultimo ricatto dei carcerieri e l'ultima speranza delprigioniero. Moro scrive al presidente della Repubblica, Giovanni Leone:Faccio vivo appello con profonda deferenza al tuo alto senso o' umanità e digiustizia, affinchè, d'accordo con il governo, voglia reJl dere possibileun'equa e umanitaria trattativa per uno scambio di Prl'

.onjeri politici, la quale mi consenta di essere restituito alla mia fa-igliache ha grave e urgente bisogno di me. Le tante forme di soli-H^rietàsperimentate ti indirizzino per la strada giusta.Le lettere si moltiplicano. Sono appelli ormai concitati, incal-?anti, aipresidenti di Camera e Senato, agli amici, ai politici. Tragicamente ultima, eultimativa, è la lettera al partito:(...) Muoio, se così desidera il mio partito, nella pienezza della mia fedecristiana e nell'amore immenso per una famiglia esemplare che io adoro e sperodi vigilare dall'alto dei cicli. Proprio ieri ho letto la tenera lettera d'amoredi mia moglie, dei miei figli, dell'amatissimo nipotino, dell'altro che nonvedrò. La pietà di chi mi recava la lettera ha escluso i contorni che dicevanola mia condanna, se non avverrà il miracolo del ritorno della De a se stessa ela sua assunzione di responsabilità. Ma questo bagno di sangue non andrà bene néper Zaccagni-ni, né per Andreotti, né per la De, né per il Paese. Ciascunoporterà la sua responsabilità. Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gliuomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero econtinueranno ad amarmi e a pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fattala volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l'adempimento di unpresunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto.vE il 1‘ maggio. Il quotidiano "II Giorno" pubblica un messaggio fermo e accoratodella famiglia di Aldo Moro ai dirigenti De. La famiglia di Moro, si legge neldrammatico testo, dopo tanti giorni di attesa angosciosa rivolge un pressanteappello alla De affinchè essa assuma con coraggio le proprie responsabilità perla liberazione del suo presidente.Dal carcere brigatista Moro fa giungere una dichiarazione amaramente e duramentepolemica:Non mi resta che constatare la mia completa incompatibilità con il Partito dellaDemocrazia cristiana. Rinuncio a tutte le cariche, mi difetto dalla Democraziacristiana. Chiedo al presidente della Camera 1 trasferirmi dal gruppo della Deal gruppo misto." tentativo di Moro è al suo culmine. Il comitato esecutivo e le Brigate rossedecide la sua uccisione sottoponendo la con-nna al giudizio delle quattro colonne e ai capi storici detenuti elle carcerispeciali. Il verdetto, quello ufficiale, è unanime. SiPra poi che non tutti erano d'accordo: il 3 maggio, a Roma,

314Sergio ZavoliMario Moretti si incontra in piazza Barberini con Valerio Ivj0, rucci e AdrianaFaranda; i due esprimono nuovamente il I0ro dissenso sulla condanna a morte diAldo Moro.Il 5 maggio, comunicato n. 9 delle Brigate rosse. La conclu. sione è scarna comeun'epigrafe:Concludiamo la battaglia iniziata il 16 marzo eseguendo la sentenza a cui AldoMoro è stato condannato.Moro viene informato dai suoi carcerieri degli sviluppi della situazione. Poi losi invita a fare testamento. Scriverà alla moglie la sua lettera più straziantee, insieme, più rassegnata. E` l'addio:Mia dolcissima Neretta, dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse adun mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, almomento conclusivo. Non mi pare il caso di discutere della cosa in sé edell'incredibilità di una sanzione che cade sulla mia mitezza e sulla miamoderazione. Certo ho sbagliato, a fin di bene, nel definire l'indirizzo dellamia vita. Ma ormai non si può cambiare. Resta solo da riconoscere che tu avevi

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ragione. Si può solo dire che forse saremmo stati in altro modo puniti, noi e inostri piccoli. Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della De conil suo assurdo ed incredibile comportamento. (...) E` poi vero che moltissimiamici (ma non ne so i nomi) o ingannati dall'idea che il parlare midanneggiasse, o preoccupati delle loro personali posizioni, non si sono mossicome avrebbero dovuto. Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare.E questo è tutto per il passato. Per il futuro c'è in questo momento unatenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grandegrande carico di ricordi apparentemente insignificanti ed in realtà preziosi.Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà di essere tra voi. Per carità,vivete in un'unica casa, anche Emma se è possibile e fate ricorso ai buoni ecari amici, che ringrazierai tanto, per le vostre esigenze. Bacia e carezzatutti per me, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli- A ciascunouna mia immensa tenerezza che passa per le tue mani- "u forte, mia dolcissima,in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami atutti i parenti ed amici con immefl so affetto ed a te e tutti un caldissimoabbraccio pegno di un arno eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhimortali, come ci si v drà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio,senti sempre con te e tienimi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, ^u (tantotanto Luca), Anna, Mario, il piccolo non nato, Agnese, y vanni. Sono tanto gratoper quello che hanno fatto. Tutto è inutl

La notte della Repubblica 315quando non si vuole aprire la porta. Il Papa ha fatto pochino: forse ne avràscrupolo.(-) .Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza,"unge incomprensibilmente l'ordine di esecuzione. Neretta dolcissi-jna sononelle mani di Dio e tue. Prega per me, ricordami soavemente carezza i piccolidolcissimi, tutti. Che Iddio vi aiuti tutti. Un bacio di amore a tutti. Aldo.Il fronte della trattativa fa un estremo tentativo. L'ipotesi è di liberare,come atto unilaterale di clemenza, Alberto Buono-conto: un nappista malato, incarcere a Trani, la cui posizione processuale viene subito esaminata perverificare che non sussistano impedimenti alla concessione della grazia. Ma iltempo stringe.E` il 9 maggio. Alla direzione della De Fanfani sta per prendere la parola. Inquel momento le Brigate rosse telefonano al professor Tritto, uno dei più vicinicollaboratori di Moro e intimo della famiglia.\"E il professor Franco Tritto?""Chi parla?""Il dottor Nicolai. ""Chi, Nicolai?""E lei il professor Franco Tritto?""Sì, ma io voglio sapere chi parla. ""Brigate rosse. Ha capito?"c^"ai.""Adempiamo alle ultime volontà del presidente comunicando alla famiglia dovepotrà trovare il corpo dell'on. Aldo Moro. Mi sente?""Che devo fare? Se può ripetere... ""Non posso ripetere, guardi. Allora, lei deve comunicare alla fami-g"a chetroveranno il corpo dell'on. Aldo Moro in via Caetani. Via Cetani. Lì c'è unaRenault 4 rossa. I primi numeri di targa sono"Devo telefonare..." "No, dovrebbe andare personalmente. " "Non posso...""Non può?... Dovrebbe per forza. "> " er co"esia, no, mi dispiace. " (piange)ve 'ei telefona, verrebbe meno all'adempimento delle richieste che eva fattoespressamente il presidente."

316 Sergio Zavoìi"Parli con mio padre, la prego. ""Va bene."" Pronto? "

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"Guardi, lei dovrebbe andare dalla famiglia dell'on. Moro, mandare suo figlio,comunque telefonare, basta che lo sappiano, messaggio ce l'ha già suo figlio. ""Non posso andare io?""Certamente. Purché lo faccia con urgenza, perché la volontà, l'u). tima volontàdell'onorevole, è questa, cioè di comunicare alla famiglia perché la famigliadoveva riavere il suo corpo. Va bene? Arnvederci.""Va bene."Moro giace in una Renault 4 di colore rosso, all'inizio di via Caetani. Lascelta del luogo non è casuale. La strada si trova fra piazza del Gesù e viadelle Botteghe Oscure, sedi, rispettivamente, della De e del Pci. Laprovocazione è evidente. Il cadavere di Moro è deposto nel bagagliaio dellamacchina. La coperta stesa sul corpo lascia intravedere una parte del volto. Il6 marzo dell'82, al giudice Imposimato che svolge l'istruttoria sul rapimentoDozier, Antonio Savasta racconterà le ultime ore del presidente della De. Se nericava che quel giorno, 9 maggio, alle 6 del mattino, Gallinari e la Braghettiprelevano il prigioniero e lo conducono in garage. Gli fanno capire che stannoper liberarlo. Moro è tranquillo. Viene fatto sistemare nel bagagliaio eGallinari lo copre con un plaid. E` a quel punto che il terrorista spara, primacon una pistola e poi con una mitraglietta Skorpion. Compiuto il delitto, chiudela macchina e, accompagnato dalla Braghetti, parte per via Caetani.Il ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, dichiara subito la volontà didimettersi. Un gesto inconsueto nel nostro Paese -di valore non soltantosimbolico, ma anche morale e politico -che verrà accolto con rispetto dalleistituzioni e dalla gente. A" Viminale si insedierà Virginio Rognoni.I familiari di Aldo Moro diffondono un comunicato:La famiglia desidera che sia pienamente rispettata dalle autorità Stato e dipartito la precisa volontà di Aldo Moro. Che vuoi dire: nes suna manifestazionepubblica o cerimonia o discorso, nessun lutto

317La notte della RepubblicaOnale né funerali di Stato o medaglia alla memoria. La famiglia si \iude nelsilenzio e chiede silenzio. ‘ Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicheràla Storia.La salma di Moro viene tumulata, in forma assolutamente 'ntima, nel piccolocimitero di Torrita Tiberina, un paesino del Lazio. Il governo decide di onorareugualmente lo statista "comparso e il 12 maggio un solenne rito funebre, allapresenza delle massime autorità dello Stato, e del Pontefice, viene celebratonella basilica di San Giovanni in Laterano. All'omelia, paolo VI dice:Ed ora le nostre labbra chiuse come da un enorme ostacolo simile alla grossapietra rotolata all'ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi adesprimere il de profundis, il grido, il pianto, l'ineffabile dolore con cui latragedia presente soffoca la nostra voce.Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento se non ancora tu, oDio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per laincolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente e amico.Dolorosamente stretta fra le ragioni dello Stato, le istanze umane e lesolidarietà personali, la De paga con la fine del suo presidente il prezzo piùalto. E` un travaglio che - al di là di tante polemiche, prime fra tutte quellesulla solidarietà nazionale e sulla "linea della fermezza" - il Paese lericonosce e rispetta. A nulla, su altri fronti, è valsa l'ostinata ricerca diuna via umanitaria e di una trattativa che non ledessero la Costituzione.Persine la voce di un papa non ha avuto ascolto. Questo delitto politico,consumato nella logica di un'aberrazione, si svolge nel momento più buio di unanotte attraversata, parrebbe, cent'anni fa. La democrazia ha superato quelladrammatica Prova, ma l'"affare Moro", come è stato definito, è ancora intessutopiù di domande che di risposte.Intervista a Mario Morettiei interrogava e un'altra persona, Moro, rispondeva. E` più 1 e fare domande odare risposte?P*ù facile conversare...

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Lei è in carcere da nove anni e condannato a sei ergastoli, s non fosse incarcere, si disporrebbe a rispondere in modo diver. so alle domande che le farò,e se sì, perché?No, assolutamente. Ciò che le dirò corrisponderà esattamente a ciò che penso.Davanti a Eleonora Moro che cosa direbbe lei per esempio?La ascolterei. Penso che ha il diritto di dire tutto quel che vuole, ma io credoche Eleonora Moro avrà trovato la spiegazione di ciò che successe nel fatto chesuo marito era presidente della Democrazia cristiana. Altrimenti non riuscirebbea spiegarsi che cosa è accaduto.... ma in un Paese democratico, in uno Stato di diritto, l'essere presidentedella Democrazia cristiana non implica fatalmente il destino di essere uccisi!No, certo; le ragioni per le quali ciò è avvenuto, però, stanno in qualchemisura nel ruolo che ciascuno di noi ha assunto. Voglio dire che o si accetta, esi riesce a spiegarlo, che in Italia è avvenuto uno scontro sociale, e alloraall'interno di questo modo di vedere la cosa si possono trovare i tasselli...... mi perdoni: questo devono accettarlo gli altri, ma lei che cosa accetterebbedi farsi dire da Eleonora Moro in questo ipotetico incontro?Tutto, tutto ciò che lei avesse eventualmente da dire... Per me può essere ancheimportante, mi va bene che venga ucciso il personaggio Moretti. E` unpersonaggio dei media, al quale io non tengo minimamente perché la personaMoretti, chi mi conosce, sa che è diversa. Siccome non ho rrure personalistichené politiche, al momento, credo di essere come molti compagni in una posizionedi riflessione, di ascolto e di osservazione attento della realtà, più che nellaposizione di chi ha qualcosa da dire sull'an<ia mento del mondo. Quindi, conanimo molto sereno, potrei parlare anche chiunque abbia sofferto un dolore cosìforte come la perdita di una con cui ha vissuto per tanti anni con emozioniintense...E` questo che direbbe a Eleonora Moro?

Se ritenesse di completare, sentisse il bisogno di conoscere come sua tsperienzapersonale quella che è stata una vicenda che ci ha coinvolto naturalmentetutti...... e dell'uomo Moro, di suo marito ne parlerebbe?Mah, si fa sempre molta fatica a scindere quella che è stata una vicendapolitica da una vicenda anche personale. Io credo che l'uomo Moro non fosse poimolto diverso dal politico Moro. Non gli si fa un grande onore, con questaseparazione netta. Moro ha vìssuto per ciò che ha creduto. Ha vissuto, si ècomportato, ha sentito, è stato un nostro avversario, ha avuto un ruolo,insomma.Quando era nelle vostre mani non era un avversario, era un prigioniero...Sì, certo, ma era il suo ruolo che rimaneva dominante.... il ruolo che gli avevate dato!... questo è un uomo che si trova in un grave problema, in un guaio enorme, cioèpolitico. Sa che si trova dentro un conflitto molto grande e lui ha un modo dirisolvere questo conflitto. C'è un modo umanitario di affrontare questi problemiche non mette in discussione l'integrità dello Stato, né fa abdicare lo Stato,né è una trattativa. Dice: è un modo difficile, cerchiamolo, troviamolo. Tuttinoi proponevamo lo scontro con lo Stato, un'alternativa globale alla Democraziacristiana, al sistema, si figuri se su queste cose noi cedevamo. La trattativasu questo piano generale, politico e ideologico, era assolutamente impensabile.Sul fatto specifico, era stato catturato, preso, rapito, il presidente dellaDemocrazia cristiana, e per contro noi registravamo che nelle carceri italiane e'erano dei prigionieri politici italiani, e dicevamo: signori, trovatela voi una

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strada, riconoscete questo fatto, troviamo un modo... E allora succede che Moroquesto tipo di linea politica la propone ai suoi, ha dei riferimenti storici,nel passato recente anche della Democrazia cristiana e del governo, e sostienecon mol-*‘ dignità e molta forza questa sua posizione.Arriva a scrivere una lettera al papa nella quale cita anche un rapportoPersonale, un percorso comune degli anni di gioventù, la militanza nellaUúi, la visita privata che fece con i suoi familiari al pontefice, chiedendo i,come dire, un intervento equilibratore dentro un grande conflitto e

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un grande scontro e quindi anche un intervento mediatore tra forze istituzionalinon propriamente omogenee, comunque bloccate... e si sente rispondere: uominidelle Brigate rosse, liberatelo, così, senza alcuna condizione. Ma il problemapolitico viene completamente ignorato. E una scelta politica di campo, per cosìdire, che Moro capì subito. Allora si sentì perduto, perché comprese; io invecenon ne so nulla di cosa gira nel Palazzo. E stata una delle nostre peggiorilacune in tutti questi anni. La nostra estraneità al Palazzo ci ha portato anchea delle interpretazioni tutte ideo-logiche di certi meccanismi. Noi, dicevo, nonne sapevamo nulla, ma Moro sì. Moro sapeva tutto del Palazzo, quindi era ingrado di interpretare il significato vero della lettera del papa; e cioè cheera, come dire, il sigillo di una decisione che non si sarebbe più mossa. Inquesto senso, è vero, io simpatizzai moltissimo con quest 'uomo in quel momento.Torniamo alla signora Moro e a quell'ipotetico incontro.Certamente cercherei di evitare discorsi politici... Perché ognuno ha il suomodo di vederla dal punto di vista politico questa faccenda, questa storia...... questa tragedia...... si, certo, questa tragedia che ha coinvolto tutti. Io riconosco che questa èuna tragedia vera, autentica, sono d'accordo. Sapete che Moro chiese una Bibbia?Era un vero credente, alla cosa noi non attribuimmo allora nessun significato,ma probabilmente la signora Moro un significato glielo sa dare perché suo maritoglielo dava.Lei fece comprare la Bibbia?Ah, sì. Tutto ciò che chiese gli venne dato. Decisi io, insieme ad altri,naturalmente. Qualunque cosa chiedesse, anche la Bibbia; del resto, appartenevaalla sua fede religiosa. Ho un rispetto totale su queste cose.E fu lei a consegnargliela?Non glielo posso dire perché non me lo ricordo. Ma anche perche ti ruolo diciascuno di noi, dentro questa vicenda, rischia ancora oggi di &' sereinterpretato con meriti e demeriti, responsabilità giuridiche, responsa-

ilità penali. Io posso soltanto ammettere che a tutte le vicende delle Bri-aaterosse, compresa quella di Moro, ho partecipato in modo totale.Che altro chiese Moro?Molta carta per scrivere. Ha scritto molto, ed è stato poco ascoltato.Si è discusso a lungo del 16 marzo 1978, una data che coincideva con il varo delgoverno di solidarietà nazionale presieduto da Giulio Andreotti. L'operazione divia Fani scattò quel giorno anche per interferire sul voto delle Camere o no?No, la coincidenza col varo del governo fu del tutto casuale. Non fu casuale ilfatto che quella operazione fosse all'interno di una proposta assolutamentealternativa a quanti credevano che lo sviluppo, in Italia, fosse legato a unmutamento politico, quello cosiddetto di solidarietà nazionale. Questo sì,questo non fu casuale perché il progetto veniva varato in quelle settimane, inquei mesi. Un progetto che avrebbe portato grossi guai al nostro Paese.

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Moro fu scelto come obiettivo da colpire perché altri esponenti democristiani viparvero più protetti, o per altri motivi?Fu per la figura emblematica di Aldo Moro. La storia politica di questo Paesenon credo che ammetta spiegazioni diverse da questa.Si sa tuttavia che le Brigate rosse avevano studiato la possibilità di rapirel'on. Andreotti, e anche il senatore Fanfani. Fran-ceschini, per esempio, ci haraccontato di avere pedinato Andreotti, di essere venuto a Roma proprio perconoscerne le abitudini.Che io sappia, in anni molto precedenti al 1978, venne fatta qualche Adaginesull'on. Andreotti, indagini di carattere tecnico-militare. Sanno Un PO ' tuttidove abita Andreotti, ma poi non se ne fece più niente.E in quanto tempo metteste a punto il progetto?Molti mesi. Molti mesi... un 'operazione estremamente complessa, risedevadiverse fasi.Lei allora era il capo delle Br, quindi...

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...ero uno dei dirigenti. Non esiste il capo delle Brigate rosse, non 'esistito, non sono io. Non esiste il capo delle Brigate rosse. Ero uno <fodirigenti in una struttura senza rapporti gerarchici al suo interno.Tuttavia, nella storia del sequestro, della prigionia e dell'uccisione di AldoMoro, lei ha svolto un ruolo di protagonista. Vi si riconosce in tutto o inparte?Nel ruolo di protagonista? Ma quell'operazione fu gestita direttamente dalcomitato esecutivo, cioè la struttura più alta dell'organizzazione, di cuifacevano parte dei compagni perfettamente individuati. Ogni decisione è statapresa nel comitato esecutivo e quelle di carattere più generale, che implicavanoscelte, dalla direzione strategica, da un comitato molto largo. La decisione diporre fine all'operazione e il modo in cui porre fine venne presa da tuttal'organizzazione, ma non ci furono consultazioni generali. Nessuno alzò la mano,perché questo non si confa a una organizzazione clandestina, dove si ascolta ilparere di tutti.A un certo momento della prigionia di Moro, ai fini della trattativa e quindidello scambio, venne individuato il nome del nappista Alberto Buonoconto. Dovevarappresentare la famosa "misura per misura" indicata da Moro, cioè lo scambiouno contro uno. Il cervellone elettronico del Viminale, a sua volta, avevaindividuato anche quello di Paola Besuschio. Come mai lasciaste cadere tutte edue le opportunità?In realtà si dissero tante cose, questo è stato il vero problema, e il sistemapolitico reagì bloccandosi: chi propose lo stato di guerra, chi la pena dimorte, chi indicò la Caritas come interlocutore non si sa bene di che cosa.Tutti escludevano tutto e tutti dicevano tutto.Dietro una scelta complessivamente lucida, che poi fu chiamata la scelta dellafermezza, c'è stata anche una gran confusione da parte di chi doveva decidere.Il nostro problema era che sulla questione dei prigionieri politici qualcunodesse, come dire, una risposta di carattere politico-Stemma ad ascoltare checosa si diceva e fu solo una grande confusione.La mia convinzione personale è che fino all'ultimo momento, se cifosse stata unaparola autorevole sulla possibilità di individuare una soluzioni diversa, sisarebbe sbloccato tutto, immediatamente. Se ci fossero state di sponibilitàpolitiche a individuare soluzioni diverse - di questo sono ass‘ lutamente sicuro- una iniziativa in tale direzione avrebbe prodotto coi"1 minimo un "fermitutti".

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Ma nella vostra richiesta di chiarezza era implicita, come posso dire, una sortadi ricatto o comunque di condizione inaccettabile perché sottintendeva ilriconoscimento politico delle Br.E una questione appunto che secondo me rimarrà irrisolta in eterno. . . cioè loscontro sociale posto in quei termini, probabilmente non ha soluzione e difattinon l'ha avuta. . .Quindi, di fatto, la presunta, mancata chiarezza dello Stato in qualche misuracoincideva con i vostri interessi...No, nostro interesse era sviluppare una strategia capace di coinvolgere, equindi costruire, quello che noi chiamavamo potere proletario armato. In questadinamica lo scontro con lo Stato era inevitabile e perciò pensavamo che lastrategia della lotta armata fosse l'unica possibile, insomma, capace di dare emantenere una prospettiva al movimento di quegli anni, alle sue aspettative,alle speranze, anche, perche' no?, alle sue utopie.Eppure ci fu un momento in cui la soluzione dello scambio con il nappistaAlberto Buonoconto era pronta.Se fu così, non ce ne rendemmo conto. Noi riscontrammo un blocco molto rigidosulla possibilità di arrivare a una mediazione di carattere politico.Eppure una soluzione di tipo umanitario, cioè una linea della trattativa, erastata individuata.E possibile che già in quel momento qualcuno riuscisse a vedere la possibilitàdi affrontare questioni di questo genere con più elasticità e quindi wn lapossibilità di trovare una mediazione di carattere politico. Io credo chesuccessivamente, per esempio, questa linea prevalse su quella che, al tempo delcaso Moro, venne chiamata linea della fermezza. Fu l'occasionecui si chiuse il carcere speciale dell'Asinara, l'operazione D'Urso, con quelloche significava. Lì la mediazione si trovò.&ò v01 e trovata persine, sia pure in forme meno confessabili, perPare di sì.^a conclusione del rapimento Moro era la sua morte o no?

324Sergio ZavoliIo credo che in quelle condizioni fosse molto difficile... realizzare una sceltadiversa. Ma non perché noi avessimo fatto a priori la scelta di concluderla inquella maniera. Le cose si misero in modo tale che ciascuno dovette assumersidelle responsabilità molto grandi, anche di indirizzo ge. rurale, nel governodel Paese. Perché lì si giocò tutto questo...Ma perché, se è vero come lei dice che dalla parte dello Stato non vi fuchiarezza, voi non la chiedeste?Forse questo non era stato neanche tanto capito; il problema che ponevamo eraquello del riconoscimento, cioè che esisteva una questione aperta, che e 'eranodei prigionieri...Si è molto parlato dello stato di costrizione in cui Moro avrebbe scritto le suelettere. Fu così?No, nel modo più assoluto. C'era una condizione aggettiva, di prigionia,indubbiamente, quindi questo metteva Moro in una situazione molto particolare.Lo scrisse più volte. Il suo pensiero traspare con molta chiarezza: non hascritto una frase, ha scritto delle lettere a molti personaggi in cui esprime ilmodo politico di affrontare una contraddizione.Non vorrà negare che eravate interessati alla stesura, alla destinazione e allatempestività di quelle lettere.Sì, certo. Beh, ci mancherebbe! Moro aveva questo punto di vista sullaquestione: certamente non era d'accordo sulla distruzione della Democraziacristiana, mentre noi la proponevamo come linea strategica e su questodifferivamo. Sulla questione dei prigionieri Moro esprimeva un tipo di giudizio,di prospettiva già sperimentata in altri casi; in quello dei palestinesi, peresempio, che andava incontro alla possibilità di una mediazione. Moro erainteressato sia alla prospettiva politica sia alla concretezza di una soluzione.In quale stato d'animo Moro scriveva le sue lettere, per quanto lei ricorda?

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Mah, lo stato d'animo di chi sa che sta affrontando una questione mol-tospinosa, di chi è preoccupato della difficoltà di una soluzione, ma anche unostato d'animo di speranza. Nelle sue lettere traspare, lo scrive alla moglie...

La notte della Repubblica 325Ve le mostrava spontaneamente o pretendevate di leggerle?MOTO era una persona intelligente, sapeva benissimo che le avremmo lette equello che voleva scrivere lo scrisse; e veniva recapitato se ritenevamo chedovesse andare in una certa direzione. Moro aveva l'idea che la auestione deiprigionieri politici potesse essere risolta, questa era la sua lineafondamentale. Cioè che si potesse individuare una strada di mediazio-w> e lacercava.Lei era il solo a condurre l'interrogatorio?Io, ripeto, sono uno di quelli che si sentono responsabili di tutto ciò che èaccaduto in quel periodo e anche di ciò che è accaduto a Moro.Che cosa in particolare vi aspettavate che Moro dicesse?Non saprei. In quegli anni le trame erano state individuate. Forse ci siaspettava una chiarificazione. Evidentemente, parlo con molta onestà, o non ce n'era motivo o Moro se l'è tenuta per sé.Ciò che si conosce di quegli interrogatori è tutto ciò che vi diceste o c'èdell'altro, da qualche parte? E se sì, dove?Ah, ciò che so è che quello che noi avevamo è stato pubblicato. E` statopubblicato, è stato reso noto, non e 'è niente che noi abbiamo tenuto segreto.Non c'era ragione, e non ce n'è ancora oggi, di tenere segreta qualche cosa.Registraste i vostri colloqui?Sì, sono stati registrati e trascritti; credo che tutta questa roba sia statadistrutta.Distrutta dove e da chi?òE sicuro che è stata distrutta. Lo so per certo. Non posso, le ripeto... vedepurtroppo so che fa una brutta impressione, però questi dettagli, e Coltissimialtri, non avrei alcuna difficoltà a chiarirli perché sono delle Salita che nonspostano nulla della valutazione storica e politica sull'e-Puorfjo e sull'interastoria delle Brigate rosse, non aggiungerebbero niente di Unificativo...E allora?

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Allora che cos'è? E che ciascuna di queste specificazioni porterebb quasicertamente della gente in galera, perché questa storia che politica mente èfinita non è una storia giuridicamente finita.'Perciò questo materiale è stato distrutto dalle Br...Sì, sì, è stato distrutto dalle Br, le bobine registrate sicuramente sono statedistrutte dalle Br. Poi se qualcuno, non le Brigate rosse, ha fatto sparirequalcosa, non venga a chiederlo a me. Perché anche questo poi succede: si chiedeconto a me o alle Brigate rosse di sparizioni, nascondimenti e...Quel materiale era custodito dalle Brigate rosse e sono state le Brigate rosse adistruggerlo. Ma ora lei dice che se qualcosa è rimasto, qualcuno deve sapernequalcosa, qualcuno che non è delle Brigate rosse. Chi è questo qualcuno?Ecco, questa è una bella domanda. Purtroppo devo essere brutale. A un certopunto cade una base delle Brigate rosse in via Monte Nevoso, a Milano; lì ècustodito qualcosa, custodito pessimamente se doveva essere un segreto, ed erala copia di quanto Moro aveva scritto, che doveva essere approntata per lapubblicazione e stampata. Quindi, tutt 'altro che un segreto. In questa basequesto si faceva. Qualcuno dice che di questo materiale è stato fatto sparirequalcosa, ma io cosa ne so? Lo chieda a chi ha sequestrato questo materiale.

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Il 18 aprile un presunto comunicato brigatista annunciava la morte "mediantesuicidio" di Aldo Moro e diffondeva la notizia che il suo corpo era statogettato nel Lago della Duchessa, in quei giorni completamente ricoperto dighiaccio. Si è da più parti ipotizzato, e credo anche con qualche fondamento,che quel documento, chiaramente falso, fosse stato scritto da uonu* ni deiservizi segreti deviati per simulare la morte di Aldo Moro e verificarel'impatto dell'annuncio sull'opinione pubblica: una sorta, insomma, di macabraprova generale. Come commentaste il fatto?Esattamente così: che era una prova generale di qualcuno che vale"0 ancheforzare la mano. Perché con l'annuncio della morte si mobiMaV<l l'opinionepubblica creando un clima dal quale era poi molto difficile "C

ò fuorì. La provocazione venne utilizzata come una provocazione, mi rmbraabbastanza evidente. Le Brigate rosse pubblicarono una foto la "aU dimostravaesattamente il contrario, e questo può provare la nostra volontà di cercaresoluzioni anziché di accelerare conclusioni.poco fa, quando le ho chiesto se Moro scrivesse le sue lettere in uno stato dicostrizione, lei l'ha negato recisamente. Moro scrive: "Mi trovo sotto undominio pieno e incontrollato, sottoposto a un processo popolare che può essereopportunamente controllato".Moro diceva semplicemente: dietro alle Brigate rosse non c'è nessuno. E` inutileandare a cercare chissà che cosa, perché immaginava, conoscendo molto bene ilPalazzo, che in quel frangente si sarebbero mossi i Servizi, si sarebbero mossetutte le trame possibili e immaginabili, quindi anche chi cercava dellesoluzioni per attribuirle a qualcuno dietro! Moro, quando diceva "Mi trovo sottoun dominio pieno e incontrollato", intendeva dire: guardate che le Brigate rossenon sono controllate da nessuno. Questo ebbi modo di chiarirlo proprio con Moro.Prima dell'intervista lei mi ha detto di essere stato per così dire inseguito daun'insopportabile domanda, se pure mai esplicitamente formulata, più o menocarica di malizia, di pregiudizi e di malevolenza. Quella domanda tendeva asapere come lei reagisce al sospetto di avere svolto all'interno delle Br unruolo ambiguo, un ruolo che un dietrologo più o meno suggestionato definirebbetrasversale. Qui lei ha l'opportunità e lo spazio per dirlo: come reagisce aquesto sospetto di ambiguità, di trasversalità?Con molta serenità, e molta tranquillità. Mi rendo conto che attraverso questaaccusa si vuole colpire l'idea dell'autenticità delle Brigate rosse. La tesi chele Brigate rosse siano state manovrate dall'esterno è una tesi cara a chi nonpuò sopportare l'idea che in questo Paese si siano svolti dei Jatti, preseiniziative, si siano preparati dei progetti politici esterni ai gio-‘hi diPalazzo. Il Palazzo ha avuto le sue implicazioni occulte e trasver-Sa"- La P2insegna. La P2 ha percorso trasversalmente tutte le istituzio-ni dello Stato. E`un fatto, non sono io a dirlo, e non sto accusando nessu-n‘ perché non sono ingrado di farlo. La trasversalità di un presunto mio atteggiamento all'internodelle Brigate rosse è pretestuosa, e non mi sento ^imamente toccato.

328Sergio ZavoliPerché proprio lei è oggetto di questo sospetto, se non addirittura di questaaccusa?Perché sono stato dirigente delle Brigate rosse per tantissimi anni,praticamente dalla loro nascita, dall'inizio degli anni Settanta fino al mioarresto, nell'81.Ma se prendiamo atto che questo sospetto le viene anche dall'interno delle Br,cambia il suo modo di reagire?Assolutamente no, perché ho tanti compagni nelle Brigate rosse, gente con cui hocondiviso la vita per molti anni. E` un problema che per me non esiste. Esistecome problema politico, questo sì, come interpretazione di un fenomeno. Questadel personaggio Moretti trasversale, manovrato, e che manovra poi tutti glialtri, è un 'invenzione strutturale che dovrebbe mettere in discussionel'autenticità del fatto che le Brigate rosse siano state un 'esperienzacomplessa, prodotta da un movimento reale.

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E` possibile che questa accusa, o questa strumentalizzazione, abbia come puntodi riferimento le divergenze fra lei e taluni suoi compagni sull'interpretazionedi alcune questioni che toccavano l'operatività delle Br?Guardi, la diversità di idee, di punti di vista nelle Brigate rosse è statasempre molto legittima e anche molto ampia. Ogni scelta è sempre stata discussatantissimo, e 'è sempre stata una lunghissima e anche molto profonda discussionepolitica ogniqualvolta si è dovuto operare qualsiasi scelta, da quella operativaa quella di carattere strategico, a quella di carattere tattico. In realtà suquesto piano tutti erano al corrente di tutto; non solo, ma erano coinvolti aprodurre idee e suggerimenti e a organizzare poi quello che è stata la praticapolitica delle Brigate rosse. Non era possibile assolutamente che tutto ciòpotesse essere manovrato. Anche la diversità e la discussione facevano parte delprocesso di determinazione della volontà e delle scelte che poi le Brigate rosseoperavano. Ora non so a cosa lei si riferisce quando parla di divergenze.Per esempio, sull'opportunità di uccidere o no Aldo Moro.--Quella era una scelta politica estremamente importante. Io credo non ci fu maiscelta più dura nelle Brigate rosse, ma non ce ne fu un 'altra, credo, cosìquasi unanime.

La notte della Repubblica 329Ne parleremo dopo. Si è detto e scritto che la libertà di Moro avrebbe giovatoben più della sua morte alla causa delle Brigate rosse. Se è vero, perché venneucciso?lo so che l'organizzazione, in modo pressoché unanime - con dei compagni che nonerano d'accordo, ma non si può parlare neanche di maggioranza o minoranza -quasi l'intera organizzazione si pronunciò in quel modo perché, politicamente,era una scelta che a quel punto diventava obbligata. A meno che, appunto, unintervento in extremis non avesse introdotto una modifica sia pure di poco.A suo avviso, Moro credette mai con sicurezza di avere salva la vita o, alcontrario, di averla perduta?Moro sapeva di trovarsi in una situazione difficilissima: da un lato quellasituazione era determinata dalle Brigate rosse (aveva capito la natura delleBrigate rosse, la loro non manovrabilità) e dall'altro si trovava di fronte unsistema politico che non gli dava risposte su quanto lui proponeva comeindirizzo politico. Il momento in cui si sentì perduto fu quando ebbe modo dileggere la lettera di Paolo VI. Lì, facendo dei ragionamenti di caratterepolitico, capì che un blocco molto solido si era cementato.Siamo alla conclusione. Le consultazioni con i vostri compagni, gli ordini, gliaccordi, i ruoli, e così via. Mi descriva, se può, gli ultimi momentidell'operazione.Non posso.Moro seppe che doveva morire? E se l'annuncio gli fu risparmiato, da chi o dache cosa dipese?^ Moro fu sempre consapevole di tutto lo svolgersi dell'operazione, dal-" inizioalla fine. Quindi qualsiasi cosa sia stata fatta, che lo riguardas-se, Moro lasapeva.Può darmi una risposta più netta, più esplicita? Moro seppe c"e sarebbe statoucciso o no?Capeva che la scelta che noi avremmo adottato era arrivata ad un punto 0 Rigato.Lui di questo si rese conto perfettamente.*u fatto nulla perché Moro credesse che gli sarebbe stata ri-sParmiata la vita?

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Le ripeto, non si infierì in alcun modo: né con un trattamento fisico ^ con untrattamento psicologico. Almeno, ripeto, per guanto riguarda tutte le mieresponsabilità. Non si dava alcuna possibilità che si infierisse anchepsicologicamente sullo stato del prigioniero.

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Mi vuole raccontare il momento in cui lei mise in quell'ap. parecchio telefonicoquel gettone?... c'è poco da dire. Più che quel gettone contava l'attesa delle oresuccessive, insomma che qualcosa succedesse. Non è successo nulla.E` vero che dette un gettone anche a Moro, e se è vero perché?No, è falso.A tragedia compiuta, a cose ormai tutte consumate, si è mai sorpreso a pensare aquanto le era rimasto, umanamente, di Moro? Che cosa l'aveva più segnato diquell'incontro?Per quanto sia forte il ruolo del personaggio, la persona è più ricca.Per parlar chiaro, ebbe mai nostalgia di Moro vivo?Una vicenda politica non ammette questi rimpianti, anche perché io non uccidereimai una persona; mi si creda o no, non riesco ad immaginarlo. Però questa èstata la mia vita, non posso averne un 'altra. E purtroppo non sono neanche unattore.

XIIILA TRAGEDIA DI ALDO MORO: I RACCONTI DEI BRIGATISTI. POTEVA SALVARSI?L'ULTIMA INTERVISTA DI ZACCAGNINI SANTIAPICHI: IL "MESTIERE DI GIUDICARE"Come si sviluppò e prese corpo, all'interno dell'organizzazione, la scelta divia Fani con tutte le sue conseguenze? Ecco un ventaglio di testimonianze: unapubblica, lucida confessione.Interviste a Corrado Alunni, Paola Besuschio, Alfredo Bo-navita, Enrico Fenzi,Mario Ferrandi, Alberto France-schiniBonavita, durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro lei era in carcere daoltre tre anni; nei mesi precedenti quel 16 marzo del 1978 aveva saputo che leBr stavano preparando una grossa operazione e che l'obiettivo da colpire sarebbestato l'on. Moro?No, sapevo che era in preparazione una grossa azione che avrebbe avuto al centroil problema dei prigionieri da liberare, cioè noi. L'ho saputo accidentalmenteperché avevo chiesto aiuto per evadere da solo; sarei uscito con le mie gambe,ma avevo bisogno di una macchina che mi por-tosse via, un nucleo che micoprisse. Mi è stato rifiutato perché era pericoloso, non bisognava esporre icompagni a questo tipo di cose. Comunque, potevo stare tranquillo,l'organizzazione aveva in programma di affrontare questo problema dellaliberazione entro tempi stretti.Se Curcio e gli altri (lei compreso) si fossero energicamente ‘Pposti allacondanna a morte di Moro, pensa che Moretti e il suo gruppo avrebbero dovutomodificare la loro linea di condotta?Non lo so. Può darsi di sì, può darsi di no. Era fuori dalla nostra‘gica apparsi all'organizzazione: significava esseme fuori, non avere/"" voce in capitolo. Nella misura in cui io non sono d'accordo sull'ape-

332 Sergio Zavolirazione più grossa che le Br hanno mai fatto, a quel punto io parlo da esternodell'organizzazione, per cui Moretti può tenerne o non tenerne conto; e così peraltre voci più importanti. Noi, dentro, avevamo una visione della realtà moltopiù ristretta di quella che può avere un militante dell'organizzazioneall'esterno. Non eravamo in grado neanche di pfn. sarla una cosa del genere.A voi, in carcere, l'operazione Moro dette una sensazione di forza, se nonproprio di onnipotenza, o parve qualcosa di abnorme e di pericoloso?Franceschini.Immediatamente ci diede una sensazione di forza, di grande potenza. Era una cosaper noi impensabile, ma nello stesso tempo ci fece anche una grande paura. Io,mi ricordo, vissi una situazione quasi di angoscia, con l'impressione di aversollevato un macigno enorme e il dubbio di avere la forza, poi, di saperlosostenere.Faceste qualcosa perché non fosse commesso il delitto Moro?Sì, ci siamo adoperati per cercare una mediazione, aprire un canale ditrattative; perché eravamo convinti che la conclusione cruenta fosse laconclusione peggiore.L'uccisione dell'on. Moro rappresentò il punto più alto di una strategia o unbisogno ormai disperato di affermazione?

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Credo che fu, a un certo punto, una scelta quasi obbligata. Io ho sempre avutola netta sensazione che ci trovammo in un frangente in cui non erano possibilialtre soluzioni. Quella era la peggiore, però era l'unica che si potevaperseguire.Era la politica, in sostanza, a esigere quella soluzione?C'era da una parte il fronte della fermezza, c'era la volontà dello Stato didare un'immagine di forza, di forza e di potenza; e dall'altra pad* anche noivolevamo dare un'immagine di forza e di potenza, speculare o quella dello Stato.In mezzo a queste due grandi forze, a queste presunte potenze, la vita di unuomo, purtroppo, rischiava di non avere valore.

La notte della Repubblica 333Durante il sequestro Moro le Br chiesero, in cambio del prigioniero, laliberazione di 13 loro compagni. Quando si profila ]a possibilità che le Braccettino lo scambio uno contro uno, i giuristi del Partito socialista italiano,impegnati a perseguire nella vicenda Moro una soluzione umanitaria, stilano unelenco di H7 nomi di terroristi detenuti che non hanno partecipato a fatti disangue e sottopongono la lista al cosiddetto cervellone elettronico delministero della Giustizia, che sceglie il suo nome: Paola Besuschio. Lei,infatti, è malata e la sua liberazione potrebbe configurarsi, appunto, come ungesto umanitario, più che una resa al ricatto. Come apprende la notizia? Cosaprova? Pensa che l'operazione sia possibile o no?La notizia la appresi in prigione dai giornali e da altre fonti. Sono stati, sericordo bene, segnalati due nomi: il mio e quello di Buonoconto, per le suetragiche condizioni fisiche. Forse l'ammalato era lui. Se il mio nome fu sceltoper la condanna esagerata, io la condanna me la sto ancora scontando. Buonocontosi aggravò ulteriormente, venne scarcerato e poco dopo morì suicida.Ma qual era il giudizio politico che davate di questa proposta?Penso che, sulla proposta, gli eventuali giudizi politici li poteva darel'organizzazione esterna.Non c'era soltanto il fronte della fermezza, c'era anche la via umanitaria e cifu anche la lettera di Paolo VI. Quali reazioni provocò l'intervento del papa?Franceschini.Ci fece molto riflettere. A me, ad esempio, fece molto effetto, anche da "npunto di vista personale, psicologico, il fatto che un papa usasse parole umilinei nostri confronti. Non mi dava assolutamente l'idea di es-sere forte, miportava a riflettere su quello che stavamo facendo.Facciamo un passo indietro e richiamiamo una storia che èP1" propriamente sua. Il progetto di sequestrare Andreottivenne frustrato da una serie di difficoltà, ma la cattura di Mo-^‘ non richiederà un'operazione più semplice. A giudicare dautto ciò che implicherà, e costerà, c'è un'incongruenza o no?

334 Sergio ZavoliII sequestro di Andreotti fu bloccato essenzialmente dal fatto che i0 e Curdofummo arrestati.Ma lei venne a Roma con l'incarico di approfondire l'ipotesi di sequestrareAndreotti e quell'incarico, lo ammette lej stesso, qua e là, ebbe evidenticaratteri di improvvisazione. Arrivando a Roma non aveva le più elementarinotizie sulla persona presa di mira, non sapeva, per esempio, neppure doveabitasse. Ciò non è sintomo di qualcosa?Si era avuta questa idea fondamentale: che se si voleva realmente colpire ilcuore dello Stato bisognava andare a Roma, perche' a Roma c'erano i luoghi e lepersone importanti. C'era molta improvvisazione, ma noi, in quegli anni, eravamomolto improvvisatori.Un piccolo aneddoto che le chiedo di confermare: durante un pedinamento dell'on.Andreotti, lei fu tentato di sfiorarlo, di toccarlo con un braccio, è vero?Sì, certo.A che cosa corrispondeva quell'impulso?Alla dimensione nella quale vivevo, la dimensione che vìviamo in molti, esclusidal potere, rispetto alle persone del potere.E davvero voleva toccarlo?

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Sì. L'idea di toccarlo, perché è una persona che comanda, che tu vedi sempre intelevisione...Ma in uno Stato democratico quel potere è una cosa ài tutti...... sì, però non credo che si viva come cosa di tutti, questo potere.Alunni, come apprese la notizia dell'uccisione di Moro?Rimasi molto perplesso, perche' non pensavo che la cosa sarebbe in quel modo.Fu mal gestito il sequestro, politicamente?

335La notte della RepubblicaCredo di sì. Penso che il problema fosse quello di comunicare che cosa leBrigate rosse volevano ottenere con il rapimento di Moro; ma facendolodirettamente, senza essere mediati dai giornali, senza subire le inevitabiliristrettezze di un comunicato, di un volantino. La forma della trasmissioneradio, per esempio, o televisiva, avrebbe probabilmente prodotto più effettirispetto all'obiettivo di affermare la loro presenza come organizzazioneconflittuale con lo Stato.E` vero che il giorno del sequestro Moro, davanti al quotidiano "La Notte", cheper primo è uscito in edizione straordinaria, avete brindato all'ormai prossimavittoria sullo Stato? Ferrandi.Non è andata esattamente così. Quella mattina c'era un corteo dei lavoratoridell'Unidal che erano stati messi in cassa integrazione. Durante il corteo esceuna edizione speciale de "La Notte" con questi titoli "Moro sequestrato. Lascorta uccisa: sono state le Brigate rosse". Il corteo ha un momento di stuporee, successivamente, di euforia mista a inquietudine. C'era la sensazione chefinalmente succedesse qualcosa di talmente grosso per cui le cose non sarebberostate più le stesse; una sensazione durata, a dire il vero, alcune ore, non dipiù. Molto eccitati, con gli studenti che partecipavano al corteo, andiamo allamensa della scuola e si decide, strada facendo, di impiegare i soldi della cassadel circolo giovanile per acquistare dello spumante, brindare a questo fatto ecoinvolgere in questo brindisi i lavoratori della mensa, gli inservienti: cosache avviene. Era un tipo di euforia che lo stesso giornale di Autonomia definìuna sorta di droga pesante. Durò solo alcune ore perche' si mise in moto unmeccanismo che ci fece percepire le conseguenze di quel gesto. Il Par-htocomunista intanto organizza una mobilitazione imponente, facendo chiudere alcunireparti all'Alfa Romeo, facendo tornare a casa i lavoratori. Ricordo le mammeche tornano di corsa agli asili per prendere i bambini. E nelle ore successive,forse per la prima volta, avvertiamo questa ripulsa popolare. Tutti gli occhisono puntati su di noi, che pure avevamo ben poco a che vedere con le Brigaterosse e col sequestro Moro, "^ w qualche modo eravamo identificati comepotenziali simpatizzanti. ^ e subito un 'assemblea generale di studenti e unainsegnante, che era ^"o. nostra parte, tenta in assemblea di dare unagiustificazione ideologica, a questo fatto, e con la consueta retorica dice cheper anni i lavora-

336Sergio Zavolitori sono stati uccisi dalla polizia, che stavolta è successo questo, chgdobbiamo aspettare a dare un giudizio perché la storia... insomma, un pistolottodi questo tenore. La conseguenza è che i suoi colleghi la denunciano allamagistratura. Nel giro di poche ore tutti i rapporti, anche di solidarietàpersonale, umana che avevamo, specialmente con gli ambienti della sinistratradizionale, cominciano a sgretolarsi.Dopo l'uccisione di Moro la situazione si sgretola, per usare un suo verbo; leiprova per la prima volta la sensazione che il suo gruppo sia finito in una sortadi isolamento politico? Le Br vi accusano di non avere previsto lo scontrofrontale, voi e Autonomia avete a vostra volta dei rimproveri da muovere alleBr. Cominciano violente discussioni e contrapposizioni. E` qui che inizia adisgregarsi Prima linea?Non credo. La sensazione di andare verso una sconfìtta penso fosse connaturataalla stessa adesione a questi movimenti. Non e 'era la certezza di arrivare auna vittoria, a una presa del potere, ma la sensazione di dover dare una

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testimonianza in qualche maniera allucinata: la sensazione che prima o poisarebbe finita, e sarebbe finita male. Sicuramente inizia un processo didisgregazione in tutta l'area che sostiene questi gruppi, anche Prima linea.Prima linea prende posizione contro il sequestro dicendo che era una forzatura,un errore. Però, in realtà, ne rimane ipnotizzata fino a convincersi che deveaccettare questo nuovo livello di scontro, come si diceva allora. Quindi, attuauna massiccia riconversione di tutte le sue strutture, pubbliche e di interventodi base, in strutture funzionali a un gruppo di clandestini che inizia di fattoun rapporto di competizione e cooperazione con le Brigate rosse. Nei mesisuccessivi l'omicidio politico diventa lo strumento attraverso il quale siafferma la propria esistenza, e non più l'esito estremo di una lotta sociale.Non era frustrante volere testimoniare qualcosa che non aveva i presupposti peresprimersi?Sì. Questo credo sia il motivo per cui il terrorismo sì è, in un certo senso,autodistrutto.Lei, Fenzi, diventò un militante clandestino dopo il seque' stro e l'uccisionedi Aldo Moro, quando cioè la parabola dell Br era ormai discendente. Come maiquesta scelta così fuorl tempo, anche nella visione, suppongo, di un brigatista?

La notte della Repubblica 337Bell'esperienza del carcere era emersa la necessità di superare questa oravecrisi delle Brigate rosse. Io mi identificavo nei principi dell'organizzazione esentivo di dover dare un contributo. Probabilmente arrivavano in yuel moment‘a^e Brigate rosse tutti i resti di tanti gruppuscoli minori che, avendotraversato una crisi ed essendone stati distrutti, istintivamente cercavano diaggregarsi all'organizzazione più forte. Questo jtiettere assieme i "resti" econtarsi, e reclutare con una certa facilità, ha un pò ' Muso tutti- Invecequesto aumento di simpatizzanti, ma soprattutto di attivisti, partecipanti, eraparadossalmente l'anticamera del crollo.E` vero che Curcio, a Palmi, in evidente polemica con Moretti le disse: "Di Moronon abbiamo mai saputo nulla e sei mesi dopo che lo hanno ammazzato hannochiesto a noi, a noi prigionieri, di scrivere perché lo avevano fatto"?Sì. E verissimo, e credo che una persona come Franceschini lo possatranquillamente testimoniare. Dietro quella frase si nascondevano, da una parte,lo smacco subito dal nucleo storico che dell'operazione complessiva, delsequestro fino alla morte di Moro, era stato tenuto all'oscuro, e questo ilnucleo storico non lo ha mai perdonato a Moretti e a quelli fuori; dall'altra,che non si sia neppure tentato di farli evadere. Infatti pensavano che fuori sifosse deciso di lasciarli in galera, che era meglio così. Questo non venivadetto, però lo si avvertiva. Dopo l'omicidio di Moro le Brigate rosse, per unanno, non hanno fatto nulla e non si sapeva perche'. Non si discuteva, macominciava ad essere introiettato un senso di sconfitta e di crisi che èeffettivamente cominciato il giorno dopo il ntrovamento del cadavere dell'on.Moro.Se uccidere Moro fu un errore, quali vantaggi avrebbero ricavato le Br dal noncommetterlo?Penso nessuno. Penso che l'errore, per usare questo eufemismo, siaaia l'azione nel suo complesso: avere sequestrato Moro, aver fatto quel-e ^chieste. Giunti a quel punto, penso che non ci fossero particolariantaggi a rilasciarlo; così come, certamente, le Brigate rosse non hannouto particolari vantassi a ucciderlo. Sarebbe stata una sconfitta in ‘ni

338 Sergio ZavoliA parte il giudizio sulla decisione iniziale, quale fu poi il VQ. stro pareresulla gestione politica del sequestro? Franceschini.Un parere negativo: certamente non c'è stata, da parte nostra e ìn particolaredei compagni all'esterno, la capacità di gestire in modo poli, ticamenteintelligente il sequestro.A Torino, dalle gabbie, rivendicaste l'uccisione di Moro e si disse che Moretti,dall'esterno, avesse chiesto il vostro parere. Andò esattamente così?No, dai compagni fuori non ci fu imposto di prendere una posizione; anzi,paradossalmente, ci fu imposto proprio dai giornali. Io ricordo benissimo comeprendemmo quella decisione, e il nostro dramma nel prenderla. Fu determinante il

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fatto che i giornali, il giorno dopo il ritrovamento di Moro assassinato,dissero che i capi storici non erano d'accordo. Se i giornali non avesseroscritto questa frase, forse non avremmo detto niente in aula. A quel punto, cisi pose il problema che dovevamo assolutamente parlare. Se no, quello cheavevano scritto i giornali diventava la nostra verità.Se lei fosse stato il responsabile diretto e ultimo delle decisioni a propositodel sequestro Moro, come sarebbe finita quella vicenda?Avrei cercato certamente di fare in modo che si concludesse come la vicendaSossi.E il suo parere sarebbe stato così influente, o avrebbe dovuto subire laverifica di altri pareri?Non lo so. Certamente, per quanto mi fosse riguardato, avrei cercato di dare unosbocco diverso.Ferrandi, mi pare che il tentativo di fermare la mano di chi era sul punto diuccidere l'on. Moro corrispondesse all'ultima possibilità di identificarvi, comegruppo, attraverso il giudiz1^ complessivo che ormai davate del fenomenoterroristico. ^‘ esprimeste disapprovazione piena, ferma, esplicita nei confro‘"ti dell'ipotesi che l'on. Moro potesse venire ucciso. Quella oe

La notte della Repubblica 339cisione, quali canali poi trovò, come si espresse dal punto di vista dei vostrirapporti con le Br?Tutti i gruppi armati clandestini avevano delle strutture pubbliche collegate inmaniera indiretta, ma efficacissima e fra noi, nel nostro linguaggio, nei nostriprocessi di identificazione delle persone, dei gruppi e falle cose, sapevamobenissimo come comunicare con i gruppi armati e attraverso essi con la base.Voi sapevate come comunicare? Sì, certo.Come?Con il lottarmatese o con /'autonomese, non so come dire. Con il tipo dilinguaggio dei volantini dei gruppi di lotta armata, che magari è difficile dadecifrare per chi lo vede dal di fuori, ma che all'interno consente di mandaredei messaggi chiari.La vostra decisione non solo di non approvare, ma addirittura di contrastarel'ipotizzata uccisione di Moro, come fu comunicata?Fu comunicata con un 'assemblea alla Facoltà di Architettura, a Milano, deigruppi di Autonomia, in cui tutti i rappresentanti che in qualche maniera siriconducevano a un 'area politica espressero la loro opinione sul rapimento cheera in corso, e tutti, tranne un rappresentante di un collettivo vicino alleUnità comuniste combattenti, si pronunciarono non solo contro il rapimento, maanche contro il sequestro e mandarono que sto messaggio...ò ò non solo contro la morte, vuoi dire, ma anche contro il sequestro!Sì. Valutato adesso, a mente fredda, e allora secondo i parametri cini-01dell'epoca, direi controproducente da un punto di vista politico e rispetto allosviluppo della lotta armata. Soprattutto l'andamento del sequestro - a quelli dinoi che avevano da più anni osservato il fenomeno e av*vano, forse, intimamenteun po' mitizzato queste Brigate rosse, non ‘ndividendone magari alcuni aspettidi linea - diede l'impressione che i

340 Sergio Tavolisequestraci non avessero la più pallida idea di cosa chiedere a questo uomo, dicosa fare. Insamma, il mito si infrangeva proprio nel momento in cui raggiungevail suo apice.Fin qui, un primo gruppo di testimonianze: è il bilancio di un disegno in cui ilcaso Moro, preceduto e seguito da una lunga scia di violenze, campeggia con lasua storia controversa e inconclusa. Dal lontano 1978 l'uomo politico che avevavissuto quel dramma con un ruolo davvero particolare, cioè l'allora segretariodella De Benigno Zaccagnini, grande e devoto amico di Moro, si era semprerifiutato di addentrarsi pubblicamente in quei ricordi. Lo ha fatto per la Lanotte della Repubblica pochi giorni prima di morire. Assegniamo a queste sueparole il compito di concludere, per l'umanità severa che esprimono, letestimonianze fin qui raccolte sul cosiddetto affare Moro.Intervista a Benigno Zaccagnini

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Mi rivolgo a lei con qualche imbarazzo, sapendo come in tutti questi anni hadifeso i suoi ricordi. E allora vorrei chiederle che cosa non ha dimenticato diquel giorno...Un senso di sgomento, l'incredibilità per quanto era avvenuto. Corsi subito apiazza del Gesù, vidi le strade percorse dalle camionette della polizia, misembrava veramente una cosa impossibile, incredibile...Lei volle andare a vedere dentro la macchina, la famosa macchina rossa?No, non andai. Quella mattina, siccome nelle lettere di Moro vi ffa stata unainsistente richiesta di convocazione del Consiglio nazionale - e qui confessoche non sono mai riuscito a capire quale significato potesse e dovesse avere -avevamo riunito la direzione per deliberare proprio w convocazione del Consiglionazionale. Eravamo alle prime battute, do arrivò la notizia. Io non ebbi ilcoraggio di andare.Come passò quella giornata?

La notte della Repubblica 341Ricordo che da allora e 'è stata un 'unica giornata: giorno e notte, tutto unpeTC‘rso profondamente doloroso, di ansia e di interrogativi continui, perché,ancora oggi, mi domando se quello che legittimamente si poteva fare per salvarela vita di Moro l'ho fatto, fino infondo...Dopo l'uccisione di Moro è cambiato qualcosa nella politica, e qualcosa dentrogli uomini che fanno politica?Temo di sì, temo di sì, proprio perché di Moro credo si possa dire che il suodiscorso - moroteo come si diceva in senso un pò ', non dico dispregiativo, mainsomma, così... non esemplare - era invece un discorso che teneva conto dellaricchezza, della complessità di tutti i fatti. Non ho visto mai nessuno cheabbia avuto questa consapevolezza. Ecco, dopo di allora, mi pare che troppesemplificazioni si siano introdotte nella politica. Poi, l'altro aspetto: Moroera l'antitesi di ogni forma di politica-spettacolo, anche parlando dellatelevisione. Credo di poterlo dire.Mi perdoni se la riporto indietro: lei ricorderà la linea della fermezza el'altra più possibilista, una linea che fu chiamata anche umanitaria. Sonorimaste un grande dilemma. Oggi c'è chi lo ammette, anche tra coloro che alloraerano irriducibili nella loro scelta. Sono passati undici anni, io la vidipersonalmente piangere e tener duro. Una poesia in dialetto ravennate recita piùo meno così: "Vado per la mia strada incontro alla mia guerra, se casco casco interra e accidenti a chi mi tira su". Ecco, vorrei utilizzare questi versi peruna metafora e la rivolgo a lei che fu un grandissimo amico di Moro. Quandoricevette la sua famosa lettera, che la faceva in qualche modo arbitro dellapropria liberazione, lei veniva a trovarsi sotto un Peso che a molti è parsoingiusto. Poi, quando Moro fu ucciso, tei andò in televisione a dire perché unPaese deve "andare incontro alla sua guerra". Con quale animo lo fece, se loricorda?ricordo. Lo ricordo perché, ripeto, in questa grande tragedia che è ilrapimento, e poi i 55 giorni di Moro, e poi la sua morte, in V""ta tragedia e 'èstato questo acuto e profondo dilemma: cioè spingersi J no al limite di ciò chesi poteva fare, nel rispetto però dello Stato e, so-attutto, non potendoaccettare quello che mi pare fosse il prezzo che si

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pretendeva da noi, dare una dignità politica alle Brigate rosse. Mi ckìe. doancora se si poteva fare qualcosa di più, ma con questa distinzioni, fra ciò chesi poteva e si doveva fare per liberare Moro, e ciò che non $ poteva concedereperché non era nella facoltà di un partito o di altri.

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Dopo una proposta da parte di Craxi, ricordo, avemmo un incontro a piazza delGesù per vedere quali risposte si potevano dare. L'"Avanti!" aveva pubblicato unarticolo su questo tema. Mi precipitai direttamente senza fermarmi, da piazzadel Gesù in via del Corso per parlare con Craxi, per vedere che cosa in concretosi poteva fare. Ci fu questa riunione. Mi pare che non emerse nessuna stradaveramente praticabile.C'era un prezzo, dice lei, che lo Stato non poteva pagare; mi perdoni se lainvito a parlare di un altro prezzo, quello che in qualche modo, nella letterafamosa, si chiedeva a lei di pagare in termini personali; perché in nome deiprincipi lei era costretto a venire meno proprio all'idea che la vita di Morofosse più importante di qualunque altra cosa...Questo è vero. Questo, direi, è l'aspetto più angoscioso che ancora mi portodentro, questa scissione fra quello che era il trasporto, l'affetto, la stima,la venerazione che avevo per Moro, e l'obbligo di dovere ugualmente tenere fermoquello che mi sembrava fosse un limite invalicabile, perché ero, in quelmomento, una persona che aveva in sé anche un aspetto pubblico, ero ilsegretario di un partito, di un partito di governo.Mi faccia una confidenza, se crede. Sentì mai maturare, dopo quella lettera, unsia pur piccolo moto di protesta nei confronti di chi gliela aveva scritta?No, no! Sentii un 'altra cosa, quella la devo confessare, la confesso " tei perla prima volta, credo. Sentii fortissima la tentazione di abbandonare il posto,di dimettermi. Perché temevo, appunto, di non regger*" Considerai però che nonera possibile neanche questo. Quale significò0 avrebbe avuto e qualiripercussioni? Non è stato per un problema di c‘ raggio o di viltà no, questono. E` stato solo per una responsabilità de quale non potevo scaricarmi conl'atto, molto semplice, di dimettermi-A chi confidò i suoi pensieri su quell'ipotesi?

Li confidai solo a Umberto Gavina. Era stato il mio amico più caro, quello cheavevo avuto sempre vicino, che anche un pò ' per differenza di età ho sempreconsiderato un figliolo.Ecco, provi a ricordare le parole con le quali cominciò quel discorso...Io dissi: Umberto, mi trovo in questa situazione, tu vedi e tu sai e mi conosci.Ho questa tentazione forte, ecco, cosa pensi che debba fare? Non lo dissi adaltri, non lo dissi neanche a Bodrato, che pure è un amico grandissimo, delquale avevo e ho una grandissima stima per la sua intelligenza politica. Lodissi a Gavina perché parlare con Gavina era come parlare con me stesso; avendoperò la risposta da un altro, ecco. Non so se sia comprensibile questo tipo dirapporto..Sarebbe meno comprensibile se lei mi dicesse che non ne ha parlato con suamoglie..... no, non ne ho parlato con mia moglie.Ed è strano perché..... no, con mia moglie non ne ho parlato perché lei sapeva quello che sentivo,quello che provavo. Ci siamo sempre detti tutto, ma lei mi avrebbe dato unconsiglio o un parere o un'opinione troppo legati all'affetto. Da Umberto potevoavere una risposta diversa. E poi, non credo che avessi il diritto di scaricaresu mia moglie questo peso, neppure in parte.Ma poi tutto ha preso il verso giusto. "Vado per la mia strada incontro alla miaguerra... "Questo verso romagnolo, pensi, mi venne in niente quando, sebbene non me loaspettassi assolutamente, mi elessero segretario del partito.E lo Stato, decidendo per la fermezza, fu un po' più sulle Sue gambe o un po'più in ginocchio?Credo che sia stato un pò ' più sulle sue gambe; però bisognerebbe ricordarel'atmosfera da incubo, io ancora la vivo così, di quegli anni di Ptombo. Hovisto questa tragedia di Moro. Poi rivedo alla Sapienza, ai

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piedi della scala che portava alla sua aula, Vittorio Bachelet, ricordoMattarella e poi, in questa continuità di sangue e di tragedie, ricordoRuffilli, a Farli. Credo che non si possa sottovalutare nemmeno oggi quellarealtà. C'è poi un aspetto ancora più tragico nella vicenda di M0-ro, perche'Moro è stato il politico - non so se dire così, oppure l'uomo di cultura einsieme il politico - che più acutamente ha cercato di capire il Sessantotto,cioè la radice più lontana del terrorismo.Non proprio tutto il Sessantotto, ma la sua parte in negativo, la farneticazioneche ne nacque.Certo. Nessun altro, dicevo, ha guardato con altrettanto rispetto, interesse,con altrettanta ricerca acuta - al di là degli aspetti pur paradossali cheassumeva la vicenda - per capire le ragioni, le motivazioni che c'erano, infondo, e si esprimevano in proteste invece che in impegno... Nessuno più di lui,che ne è rimasto vittima.L'indomani, che cosa era cambiato dentro di lei?// dolore si era acuito, perché veniva smentita la speranza che avevo semprecoltivato: che Moro potesse essere restituito alla sua famiglia prima di tutto,e poi al partito. Finché Moro era vivo, avevo ancora questa certezza di una suapresenza comunque, come lui avrebbe scelto, secondo la sua linea... e adesso e'è questo vuoto.Ha mai incontrato, dopo, la signora Moro? Ho cercato di incontrarla, ma non èstato possibile.Mi può confidare che cosa le avrebbe detto?Credo che le avrei detto... se avevo sbagliato, di capirmi, di scusarmi e diperdonarmi, solo questo...Torrita Tiberina. Nel cimitero riposa il presidente della De-Gente comune, maanche uomini di Stato, scolaresche, persi* no stranieri, fanno visita allacappella lasciando segni di omaggio, di pietà. Qui c'è pace, ma a Roma, Genova,Torino, Milano continua, e addirittura cresce, l'ondata di violenza. L>e

grigate rosse sembrano imprendibili, l'allarme è forte. A mo-jpenti si ha lasensazione che sia in atto qualcosa di non argi-nabile e che il peggio debbaancora venire. Qualcuno, drammatizzando, parla di soglia della guerra civile. E`un giudizio più emotivo che basato su dati di fatto, però è diffuso: si ritrovasulla stampa e nei discorsi della gente. I giornali scandiscono un'incessantelitania di uccisioni, di ferimenti, di agguati. Soltanto più tardi si faràstrada un'analisi realistica. I brigatisti, per ricordare le parole di WalterTobagi che pagherà con la vita questa lungimiranza, non sono samuraiinvincibili; l'azione di via Fani e il suo tragico epilogo rappresentano ilpunto più alto della capacità militare delle Br, ma rivelano una debolezzapolitica che è l'inizio della loro fine. Sarà così anche per Prima linea e peraltri gruppi clandestini, tutti variamente travolti dalla stagione, comequalcuno la chiama, dell'*impazzimento". Essa coincide con una crisi non soloideologica, ma anche progettuale.Lo Stato, intanto, mobilita apparati e uomini, si dota di nuovi mezzi, si danuove strategie. La tragedia di Moro e la costellazione di uccisioni che seguehanno l'effetto di una frustata. Il pericolo del terrorismo a macchia d'olio,con tutti i rischi che comporta, diviene altissimo; si decide di contrastarlo inmodo più risoluto, anche con nuove leggi.Magistrati, poliziotti, carabinieri, impegnandosi al massimo dello sforzo,raggiungeranno importanti risultati, pagando alla loro dedizione un prezzo moltoalto.Il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, il 10 agosto 19?8 amplia i poterigià conferiti al generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa per attuarela controffensiva dello tato. Pochi uomini, scelti accuratamente, riusciranno ainfliggere colpi di maglio a intere cellule di clandestini. Il 1‘ ottobreVengono arrestati Franco Bonisoli e Lauro Azzolini che sono al Vertice

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dell'organizzazione, poi alcuni membri del comitato esecutivo, quindi NadiaMantovani. Viene inoltre scoperta una ragnatela di covi.a base più importante è quella di via Monte Nevoso, aano. I carabinieri mettono le mani su un arsenale, ma so-utto trovano una parte considerevole del materiale raccol-

346Sergio Zavolito dalle Br durante la prigionia del presidente della De: lettere dello statistanon recapitate, originali e copie di vari scritti. \\ documento più rilevante èuna sorta di amarissimo memoriale politico che Moro ha steso durante ilsequestro. Il Viminale 10 distribuisce ai giornali. Lo sconcerto dell'opinionepubblica è grande, specie per i giudizi che Moro esprime nei confronti di amicidi partito. Riesplode la disputa sull'autenticità del pensiero di Moro, cioèsulla condizione quanto meno psicologica in cui ha scritto quelle pagine e sullacompletezza dell'archivio.Sul piano politico si vivono i mesi dell'emergenza. Il governo di solidarietànazionale va incontro a una vita problematica. La tensioni di quei giorni nonrisparmiano nemmeno il Quirinale. Il presidente Leone, investito da un tiroincrociato di critiche e attacchi, sceglie di dimettersi. E` la prima volta checiò accade nella storia della Repubblica. Con voto plebiscitario il Parlamentoelegge Sandro Pertini alla più alta carica dello Stato.In sessanta giorni muoiono due papi, Paolo VI e Giovanni Paolo I, cioè AlbinoLuciani. Sul soglio di Pietro sale un cardinale polacco, Karol Wojtyla; sichiamerà Giovanni Paolo II.Di qui a poco il mondo politico perde un altro leader, Ugo La Malfa. Quanto alquadro politico, l'ipotesi di un ingresso effettivo dei comunisti nell'esecutivosi conferma impraticabile.Alla fine del gennaio 1979, il governo Andreotti, nato dall'emergenza, rassegnale dimissioni. E la fine della formula cosiddetta di solidarietà nazionalevoluta da Moro: con lui e morta anche una difficile e controversa lineapolitica. La crisi che si apre sarà lunga e travagliata.il.sal-iel-Sono passati degli anni da quei 55 giorni che vanno dalla strage di via Fani alritrovamento del corpo di Aldo Moro >‘ via Caetani. Certamente quei fatti nonpossono non avere fluenzato la politica nel nostro Paese. Essi hanno propostoproblema dell'inserimento del Pci nell'area di governo, rin dando le forze dellamaggioranza, aperto prospettive per q le che saranno le prime presidenze laichedella Repubblica. ^ di là di ciò l'"affare Moro" ha rappresentato una fortesfida a"

La notte della Repubblica 347le istituzioni, ma anche la prova, pur sofferta, della loro tenuta.Inquirenti e forze di polizia si dedicano ora ali'individuazione deiresponsabili della strage di via Fani, del sequestro e dell'uccisione di Moro.Ci riusciranno, e sarà un risultato decisivo. Esso aprirà un capitolosignificativo di questa lunga storia: quello giudiziario, largamentecondizionato dal fenomeno del pentitismo e della dissociazione. Darà questifrutti:28 gennaio 1983: i giudici della Corte d'assise di Roma, al termine di unprocesso durato nove mesi, emettono la loro sentenza contro i brigatisti e icompiici implicati nel caso Moro.Per i 63 imputati: 32 ergastoli e 316 anni di carcere, quattro assolti, treamnistiati.La sentenza, letta dal presidente Severino Santiapichi, applica una novitàdestinata ad avere un rilievo non marginale nella lotta contro il terrorismo:concede ai pentiti la riduzione della pena prevista dalla legge, approvataalcuni mesi prima, e riconosce qualche attenuante ai dissociati. Mentre i primiconsiderano un totale errore la loro esperienza di lotta armata, e collaboranocon la giustizia, gli altri si limitano a prendere le distanze dalla militanza.14 marzo 1985. Il verdetto del processo d'appello, conferendo maggior valorealla dissociazione, una scelta che nel frattempo hanno fatto anche Adriana

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Faranda e Valerio Morucci, cancella 10 dei 32 ergastoli e riduce le pene adalcuni imputati.14 novembre 1985. La Cassazione conferma sostanzialmente la sentenza d'appello.Altri procedimenti giudiziari riguardanti il complesso delle azioni brigatisteavranno in seguito, come punto di riferimento, il sequestro e la morte di Moro,a testimonianza della centralità di quella tragedia. D'altronde, già nel '79 erastata istituita una Commissione bicamerale con il compito di affrontare idiversi aspetti del caso Moro per inserirli in un più ampio scenario politico eistituzionale.Intervista a Severino SantiapichiSeverino Santiapichi, presidente di Corte d'assise, ha vissu-to la drammaticaesperienza del primo processo Moro."residente, stavolta lei parla da testimone. Quale mondo Politico, psicologico,umano si trovò davanti nell'aula bunker e' Foro Italico, una specie di fortezzacostruita proprio per il Suo processo?

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Un mondo chiuso, senza spiragli, senza possibilità di dialogo da urta parte edall'altra, quasi una occasione di rottura, senza alcuno spiraglioLei crede che quel processo sarebbe stato lo stesso senza le cosiddette normedell'emergenza?Dal punto di vista del rituale giudiziario non credo che le norme sull'emergenzaabbiano inciso. A monte, con ogni probabilità, hanno inciso in ordine allacattura degli imputati.Che cosa produssero quelle norme di positivo, e che cosa eventualmente dinegativo?In negativo ruppero un momento evolutivo del sistema processuale, ruppero cioèuna linea di tendenza verso l'apertura del processo al principio accusatorio. Mabisogna riconoscere che incisero positivamente sulla lotta al terrorismo.Quel processo, presidente, si potè fare grazie a che cosa?Quel processo si potè fare per l'impegno di tutti: i giudici, gli avvocati, leforze dell'ordine, il Paese in generale.Le udienze furono talvolta quanto di più concitato e persine clamoroso sipotesse immaginare, almeno a quei tempi. Lei per nove mesi giudicò queltentativo di forzare la storia del nostro Paese sulla base di norme provocatedall'emergenza. Presidente, quel suo processo era al centro di una grandequestione nazionale; al termine di quella grande prova lei disse: "Abbiamorispettato le regole dello Stato di diritto e alla fine la gente ci ha capito".Quali regole, e a quale prezzo?Le regole erano le regole della procedura, non introdotte per quel processo, male stesse che si applicavano a tutti i cittadini. Il prezzo era costituito dallamateria stessa del processo: il sangue versato.Si ricordano ancora, nel corso delle udienze, non solo le in' temperanze deibrigatisti, ma anche la sua ostinata e persino inquieta ricerca della veritànell'interrogare gli stessi funziona-ri dello Stato. Perché tanta fatica?

Perché occorreva fare chiarezza. E` come quando da bambini, per bere, sjripulisce con le mani l'acqua del pozzo. Era necessario dare conto, al Paese,della lealtà delle procedure e dell'attendibilità degli accertamenti.Lei presiedeva una giuria popolare. Non posso dimenticare l'esperienza di un suocollega, il presidente Barbaro, a Torino, non posso dimenticare l'uccisione diCroce; ecco, lei come riuscì a portare in porto quel processo con tutti i suoigiurati?

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Furono dei cittadini molto coraggiosi. Avevano probabilmente qualcosa dalasciare, un esempio da lasciare ai loro figli.Lei, per così dire, vide i brigatisti negli occhi, non potè non stabilire ancheun rapporto umano con le persone che giudicava. Mi viene in mente un episodio,che tuttavia lei non ha mai raccontato pubblicamente, e che riguardava NataliaLigas. Un giorno la guardò negli occhi e credette di vedere come una specie diterrore: che cosa c'era dietro quella paura?Era sospettata dai suoi compagni di tradimento. Però, da questo punto di vista,era innocente. Non li aveva traditi. Chiedeva solo di essere riunita a questicompagni che la sospettavano di tradimento. Noi la riunimmo a loro.Ma tutto questo non usciva dalle procedure?Vede, un magistrato deve rispettare la personalità degli imputati. L'imputato èsempre un uomo.Presidente, posso entrare per un attimo nella sua vita privata? Leintimidazioni, le scorte alla sua famiglia, gli elicotteri sul bunker, le attesedella gente, le speranze di qualcuno che tutto le scoppiasse in mano, i rapporticon il pubblico ministe-r‘, con la difesa, tutto questo quanto l'ha segnata equanto le ha insegnato?ò sarei un bugiardo se le dicessi che niente di tutto questo ha inciso mia vita;sono esperienze che logorano, tensioni che, prima o poi, Pagano.

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Lei ha detto: "La verità giudiziaria non è e non può essere la verità nel suosenso più alto". Che cosa ci ha dato la verità che lei ha trovato, e che cosainvece non ha potuto darci quella verità?La verità che la Corte con i suoi strumenti ha accertato investe lapartecipazione degli imputati alla strage di via Fani e ali 'uccisione di AldoMoro. Quello che non abbiamo potuto approfondire sono i momenti tragici vissutidal prigioniero durante i 55 giorni.Le capita di pensare a quei nove mesi?Molto raramente, per la verità. Ci penso come ad un periodo dì tempo nel qualeil problema maggiore - l'imprevisto, tutto sommato - era costituito dalla grandedifficoltà, quasi un mettere a nudo le regole del gioco, di celebrare undibattimento senza la collaborazione, anzi con l'ostilità degli imputati. Unprocesso che abbia il minimo di garanzie accusatone diventa quasi un ordigno,per dirla con Corderò, quando da parte dell'imputato non c'è accettazione delleregole, anzi, esse si ribaltano e allora si dice: " Chi sei tu che mi devigiudicare?".Presidente Santiapichi, l'ho vista arrivare qui assieme a suo figlio. Debbosupporre che all'epoca del processo fosse un bambino. Che cosa ha condiviso conlei allora e che cosa condivide con lei oggi? Perché, mi scusi, se lo è portatodietro?Vede, io appartengo a una generazione che ha cercato di costruire questademocrazia. A una generazione che dopo tutto l'ha difesa. E credo che chiappartiene a questa generazione, avendo alle volte anche pagato di persona,abbia l'elementare dovere d'insegnare ai figli il rispetto della li' berta deglialtri, il rispetto delle regole della democrazia.Ho un'ultima domanda, un po' delicata, da farle: è vero che suo figlio, su unospecchio, ha scritto: "E chi sei tu per giudicarmi? "?Questo è un passo del Vangelo, e mio figlio lo ha trascritto. E un problematicache investe il nostro mestiere di giudici. E anche una "^ niera di ribaltare lostesso passo evangelico...

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Nonostante le inchieste giudiziarie e parlamentari, non tutti gli interrogativisull'affare Moro hanno avuto risposta. Ad esempio: sul "processo" a Moro si èventilata anche l'ipotesi di una quarta persona estranea alla struttura vera epropria delle gr, che nella prigione di Via Montalcini avrebbe "diretto",politicamente, tutta l'operazione conclusiva. Del resto, una delle peculiaritàdi questa vicenda sta, a conti fatti, nel provocare più dubbi che certezze. Ciòriguarda le stesse Br e la loro strategia. Franceschini ha scritto: "Dopo Moroci si trovò privi di prospettive, eravamo cotti". E Mario Moretti ha aggiunto:"Bisognava trovare risorse politiche adeguate, cioè il partito, ma noi almomento non le avevamo". E si ritorna al punto di partenza: quali condizionipolitiche e quali connotati della società avevano consentito, o fatto crederealle Br di potere lanciare una tale sfida allo Stato? E inoltre: quali misteriracchiude ancora la vicenda Moro? Sono stati ricostruiti, sebbene solo in parte,i movimenti delle Br nel giorno dell'agguato e durante il sequestro. Conosciamoi nomi dei brigatisti sicuramente presenti in via Fani: Moretti, Morucci, Fiore,Seghetti, Boni-soli, Gallinari, Balzerani, Casimirri e Lojacono. Ma nessuno èmai riuscito a sapere, o a capire, se l'elenco fosse esatto oppure parziale.Restano anche da chiarire altre circostanze che non riguardano le Brigate rosse;alla Commissione parlamentare d'inchiesta, il procuratore generale PietroPascalino ha dichiarato: "Tante volte si fanno azioni dimostrative perrassicurare la popolazione. Non posso spiegarlo, non spetta a me spiegare perchési preferì fare operazioni di parata anziché ricerche; e in quei giorni sifecero operazioni di parata".Al di là della loro perentorietà, variamente giudicata, quelle Parole avevanomesso in rilievo questioni gravi e sollevato sospetti. La lista degli affiliatialla loggia P2, scoperta nel 1981, nvelerà che tra gli ufficiali e i funzionaria vario livello responsabili delle indagini nel corso dei 55 giorni, non pochierano Ptàuisti, e che buona parte dei Servizi segreti di allora era inseritonegli elenchi della loggia. Un insieme di difficoltà e di Pr‘blemi, ma anche direticenze e di misteri, che ha segnato ‘n poco vent'anni di vita repubblicana.

352 Sergio ZavoliIntervista a Giulio AndreottiGiulio Andreotti, allora presidente del Consiglio, ha vissuto in posizione diresponsabilità non solo la lunga stagione del terrorismo, ma tutta la nostracomplessa vicenda politica da cinquant'anni a questa parte.Presidente, molte cose, anche gravi, sono passate per palazzi e stanze che leiconosce. Ogni volta che le sono state fatte delle domande lei ha fornito, com'ènaturale, risposte soprattutto ufficiali. Sarebbe lungo, e non ci interessa,elencarle; potrebbe invece costarle poca fatica, e soddisfare una grandecuriosità, dirci che cosa pensa, come persona, di questa lunga notte dellaRepubblica.Se dovessi fare un bilancio globale, direi che ci sono molte cose di cui siamoscontenti. Io, personalmente, le dico: avremmo potuto fare di più. Non è sempreuna questione solo di esperienza, ma talvolta anche di un certo tipo di volontà.La società di oggi ha risolto molti problemi, e tuttavia credo che una cosaimportante da farsi sia analizzare il passato con un certo grado di obiettività.Le cose buone, anche se fanno meno chiasso, anche se appaiono di meno, sonomolte di più di quelle che hanno colpito negativamente la nostra sensibilità.Presidente, proviamo a fare questo percorso, e col metodo che lei propone...Volentieri.Qualcosa di oscuro, di imprendibile, ha aleggiato sul terrorismo: è statochiamato il "grande vecchio". Chi potrebbe essere? O a chi potrebbe somigliare?Per parecchio tempo ci siamo domandati, andando un po' a tentoni per riuscire acapire quel che accadeva, se c'era una centrale unica che muoveva varie pedine.Anche se alcune cose ancora sono nel buio, o qua~ si nel buio, tutto quello cheè emerso ci attesta che forse gli impulsi erano di varia natura, e che vi eramolta più varietà di iniziative e di cenilo*1 che non una ispirazione unica.Certamente il terrorismo non è nato da un giorno all'altro. E stato, in qualchemaniera, un po' come una tal'

La notte della Repubblica 35300. E` emerso in modo improvviso, specie nelle sue manifestazioni più

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clamorose.Il giorno di via Fani, il 16 marzo 1978, la Camera varò il governo cosiddetto di"solidarietà nazionale" da lei presieduto, fl terrorismo, in qualche modo, primafavorì e poi mise in crisi quel progetto politico. E` un'analisi corretta o no?Si, penso si possa porre in questi termini. Certamente fu una tragica sorpresa,perché nessuno di noi era preparato a un evento di questo genere; poi abbiamosaputo che c'era stata una lunga preparazione, che io stesso ero stato puntatoper parecchio tempo per vedere se fossi un soggetto adatto; e probabilmente, daquello che poi si è visto, non scelsero me per il fatto che io abitavo al centrodi Roma e perciò l'operazione era più difficile.Probabilmente avrà saputo - noi lo abbiamo raccontato attraverso latestimonianza diretta di Franceschini - che non solo lei fu oggetto di questointeresse, non certamente benevolo, da parte delle Brigate rosse, ma cheFranceschini stesso, un giorno che la pedinava, fu preso dalla tentazione ditoccarla, e la sfiorò, la toccò. Disse poi, per spiegare questo gesto abbastanzaincomprensibile, che a lui provinciale, fuori dai grandi giochi della politica edel potere, pareva così di mettere le mani su qualcosa che contava!Io non so se contassi, certo sono molto contento che non sia riuscito nel suodisegno... Questo testimonia come noi non ci aspettassimo, vera-niente, unareazione di questo genere; che nacque, credo, da un rifiuto to-tok di tutta lasocietà, di tutto quello che è un po' il nostro modo di concepire la convivenza;e poi fu alimentata, ritengo, dalla stizza perché 1 comunisti, per un senso diresponsabilità, perché c'era da salvare il salvabile, appoggiavano il governo.Questo, in fondo, ruppe il disegno "" terrorismo; perché il loro scopo eraquello di far saltare tutto. Se Cessero anche un disegno positivo, non lo so;forse c'erano più disegni, "^ nella sovversione c'è sempre l'aspirazione abuttar tutto all'aria, poi si vedrà.*o credo che quello di via Fani fu veramente un momento non solo tre-

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menda, ma di svolta; perché quel giorno poteva saltare tutto. Vi fu, ^Parlamento, un grande senso di responsabilità.Qualcosa di più personale. La morte di Moro l'hanno pian. ta in molti; leiquella tragedia l'ha vissuta, ufficialmente, a ciglio asciutto, ma privatamente,in famiglia, da solo, quella notte, e dopo, giorno dopo giorno......è stato un incubo terribile, perché con Moro avevamo lavorato negli anniuniversitari, porta a porta, nella sede degli universitari cattolici e quindi viera tra noi una conoscenza del tutto superiore, direi, a quella che si ha conaltri con cui si fa soltanto della politica. In quel momento il fatto di nonpotere far qualche cosa di utile, di non riuscire a sapere nulla, di nonriuscire a liberare Moro, era veramente drammatico; e poi il contatto con la suafamiglia, con sua moglie e, d'altra parte, il dovere preciso che si aveva di noncedere ai ricatti...Parlò mai con la signora Moro, da quel giorno?Le parlai alcune volte, assicurando che tutto quello che era umanamentepossibile sarebbe stato fatto.Presidente, lei è una persona, ne è certamente consapevole, attraversata damolte mitologie. Tra queste ce n'è una che la descrive come, in qualche modo, unoppositore di Moro; rispetto, ovviamente, alle sue linee politiche. Corrispondea verità?Ma guardi, nel corso della nostra vita politica abbiamo avuto anche deidissensi. Io, per esempio, ero del parere che il centrosinistra dovesse nasceredal basso, e non con accordi di partito che poi dovevano essere travasati nellapopolazione; ma questo non aveva mai intaccato i nostri rapporti. Tanto è veroche composi il governo proprio su proposta àt Moro, e con forte insistenza daparte sua; perché riteneva che io potessi essere più adatto, dal momento che

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avevo un certo curriculum e una cervi esperienza. Sul piano personale vi erastima reciproca, e non c'era M*1 stata occasione di avere dei contrasti. Certo,ognuno poi ha il suo ternp rumenta.In quei giorni furono dette molte malevolenze, come lei t>e sa. Lei stesso ne fuoggetto; anzi, venne addirittura sospetta di non soffrire particolarmente perquella tragedia...

Vede, ognuno ha un suo temperamento. C'è gente che è molto estroversa, io nonsono un estroverso. Ma devo dire che sicuramente sono stati i giorni peggioridella mia vita, e hanno inciso in me in maniera tale che ancora me li portodietro...Presidente, il giorno che si scoprì il cadavere di Moro in via Caetani, dentroquella macchina, lei dov'era?Ero alla direzione del partito. E accorse in via Caetani?Per un momento^ quando mi telefonarono dicendo: "Abbiamo trovato Moro", ebbi unattimo di speranza che lo avessero trovato vivo. Poi fu tenibile tutto quelloche accadde... vedere questo mono nella macchina: come una cosa... non come unapersona! Qualche volta, quando si dice "il potere"... ecco, avemmo il senso cheil potere non l'avevamo... perché se lo avessimo avuto davvero, avremmo davverotrovato il modo di liberare Moro.Quale fu la prima cosa che pensò? La prima che fece dopo aver visto la salma diMoro in quelle condizioni, in quella strada a quell'ora, vicino alla Democraziacristiana? Anzi, fra la Democrazia cristiana e il Partito comunista?Tornai immediatamente a palazzo Chigi perché c'erano da prendere delledecisioni, anche in materia di sicurezza; perché chi aveva fatto questo ennesimogesto di provocazione poteva sperare che ciò che non era riuscito ad avereprima, lo avesse in quel momento; che la situazione cioè, potesse precipitare,che si perdesse il controllo. Cosi nanfa.Presidente, come reagì a quelle lettere o a quegli scritti di Moro, cosìesigenti, così strazianti?Io fai tra quanti ritenevano che le parole che Moro usava, a parte lo statod'animo comprensibile, fossero piuttosto artefatte rispetto al suo Pensiero, eche quindi fossero scritte in uno stato di non completa libertà Wellettuale.Tuttavia lei sa che, con qualche fondamento, si sostiene an-c"e la tesi opposta.

356 Sergio TavoliSì, c'è ancora una verifica che non sono mai riuscito a vedere comp(e, tata:quella sulle minute dattiloscritte rinvenute a Milano, in uno dei covi; laverifica esatta delle parole, per accertare se sono esatte o no. Se sono esatte,allora sono soltanto trascrizioni, perché probabilmente non avevano fotocopie,nei covi; ma se invece e 'è qualche diversità, allora p0. Irebbero anche esserele minute che Moro, poi, avrebbe dovuto copiare.In un intervallo, durante un'intervista, mentre i tecnici provvedevano arinnovare il materiale per registrare, un terrorista molto autorevole, alladomanda: "Che fine hanno fatto gli scritti di Moro mai più trovati nel covo diMonte Nevoso", tra lo scherzoso e il serio mi ha detto: "Perché non lo chiedeall'on. Andreotti?".Magari lo sapessi! Anch 'io, ogni tanto, ho visto scritto che il generale dallaChiesa aveva delle carte che poi mi avrebbe dato. Cosa assolutamente non vera.Non solo a me, evidentemente, piacerebbe sapere se Moro si sarebbe potutosalvare. Qual è la sua opinione?No, perché l'unico modo sarebbe stato quello di riuscire a trovare dove Moroveniva tenuto. Ma questo non è imputabile a nessuno, perché in una città comeRoma è impossibile, assolutamente, poter perlustrare tutto. Salvarlo con unatrattativa... eh, no, perché l'unica offerta avuta dai terroristi fa, quella dei"tredici" che dovevano essere liberati ed era assolutamente impossibile accederea una idea di questo genere. C'è stato anche un momento in cui si disse: "Maforse si potrebbe tentare liberando la Besusckio". Ma questa signora avevaun'altra imputazione con mandato di cattura obbligatorio, e quindi anche se ilpresidente Leone avesse firmato la grazia per la precedente incriminazionesarebbe rimasta dentro ugualmente. Quindi, possibilità non ce ne sono state. Siè mossa molta gente, è noto che anche il Vaticano fece tanti tentativi per

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cercare di avere un contatto e trovare dei modi possibili per liberare Moro.Certamente, se ce ne fosse stato qualcuno, l'avremmo usato.Dall'incontro con Moretti, ma anche con altri terroristi, ho tratto l'idea chele Brigate rosse si aspettassero un segnale e che, pur di averlo, sarebberovenute meno al ricatto espresso

La notte della Repubblica 357con la richiesta che fossero liberati tredici dei loro compagni, cosa cheevidentemente lo Stato, come lei dice giustamente, non poteva fare. La Besuschiopoteva essere a loro avviso uno strumento di scambio; anche Buonoconto, che nonaveva imputazioni gravi. Come mai non fu percorsa quella strada?Buonoconto è quello che fu trasferito da un altro carcere al carcere di Napoli?Beh, di fatto era in trasferimento proprio in quel giorno, perché si era saputosoltanto da pochissimo che vi era questa possibilità. Adesso, secondo me, ètroppo facile dire che aspettavano un segnale. Credo che se avessero avuto unadisponibilità a non compiere quell'assassinio, e in quella maniera così feroce,ci sarebbe stato il modo di trovare un tipo di contatto. Si era messo in mototutto: la Croce Rossa, perfino la Chiesa protestante inglese... tutti avevanocercato di fare qualche cosa.La sua vicinanza non solo di segno religioso con la Santa Sede, le ha consentitoforse di apprezzare e decifrare, in modo certamente particolare, la famosalettera del pontefice Paolo VI ai brigatisti. Alla mia domanda a Moretti:"Quando l'on. Moro ebbe la sensazione di avere perduta la vita?", la risposta èstata: "Quando ha conosciuto il testo della lettera di Paolo VI". In quellalettera, infatti, si dice: "Rilasciatelo senza condizioni". Da questa frase, acominciare dalla signora Moro, sono partite molte illazioni: persine quella chePaolo VI fosse stato in qualche modo indotto, se non proprio istigato, ainserirla nella lettera. Qual è la sua opinione?Mi ha raccontato allora don Macchi che Paolo VI dettò a lui, che stava allamacchina per scrivere, questa lettera. Senza la presenza di altri- Quindinessuno aveva suggerito alcunché. L'appello del papa tende-‘<* a questo: chefinalmente Moro, già da parecchi giorni prigioniero dei brigatisti, fosseliberato. Penso quindi che volesse dire: "Basta. Non c'è UK negoziato da fare,dovete liberarlo perché quella che state perpetrando e un'ingiustiziacriminosa".Presidente, ripensandoci oggi, c'è qualcosa che avrebbe potuto fare e che non hafatto?Ci ho pensato molto, dopo, e direi proprio di no. Direi proprio di no!nfhe perché in quei giorni, è chiaro, non pensavamo ad altro, e quindin‘n si scartò nessun tentativo, si fece di tutto, si indagò, si cercò di in-

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dividuare... avevamo perfino dei rapporti con gente che era in prigione... Poisi è visto che, in fondo, l'organizzazione era meno complessa fa quello che inrealtà si poteva temere; ed è vero che molti che stavano ìn prigione nonsapevano niente e non erano in condizione di poter prestare la loro opera, purvolendolo. E credo che molti lo avrebbero voluto.La potenza pensasse...E vero.delle Br era molto meno geometrica di quanto siDevo supporre che da allora i suoi rapporti con la signora Moro si siano, percosì dire, guastati.

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Sì, con la signora Moro purtroppo non ho rapporti. Però con la famiglia sì, epenso abbia capito che certamente non potevamo far niente. Se fosse capitato ame sarebbe accaduta la stessa cosa..Se la signora Moro fosse qui, che cosa le direbbe?Le esprìmerei con grande affetto sentimenti di solidarietà, di partecipazione eanche di comprensione per la durezza che ha avuto nei nostri confronti.Umanamente, la capisco.Ho fatto la stessa domanda a Zaccagnini. Mi ha dato una risposta diversa, mi hadetto: "Le direi: signora, se ho sbagliato mi perdoni".Siccome, sinceramente, non penso di avere sbagliato, allora non ho di che farmiperdonare. Posso dire: mi dispiace di non avere avuto nessuna possibilità disalvare Aldo...La capisco, presidente. Veniamo a un altro momento cruciale di questi anniattraversati dal terrorismo. Una miscela che va formandosi via via, e che, inqualche modo, a partire da un certo momento, porta i segni della P2. Dove nasce,e con quali responsabilità si dispiega il ruolo della P2 all'interno di questofenomeno?Si è parlato molto della P2. Io credo che di fatto la sua sia stata "* tecnicadi una loggia massonica: nel senso che ha i suoi adepti, i <lua hanno una certamutua solidarietà. Probabilmente, poi, aveva anche a

frg finalità, forse anche di lucro. Alcuni potevano fare degli affari con questotipo di adesioni o di collegamenti! Certo, devo dire che l'unica cosa che hopotuto verificare di persona è che Celli non era uno qualunque. j(d esempio,quando fu rimesso in sella Perón, a Buenos Aires, quel giorno Celli era al postod'onore e credo rappresentasse - a quello che si è visto dopo, allora non capivoperché - un certo tipo di massoneria internazionale. Che cosa poi sia capitatotra logge massoniche - se abbiano cercato di buttarne a mare una per lasciarefuori altre, oppure se la P2 fosse veramente una loggia atipica - io non sodirlo, non ho una grande esperienza. Certo, molte persone si sono trovatedentro. Quando, per esempio, un alto ufficiale dei carabinieri diventapropagandista di una loggia, un po' per quieto vivere e un po', forse, per lasperanza di far carriera, è chiaro che nei gradi minori si crea una certaadesione. Tuttora non è chiaro. Che poi, come si è detto, la P2 fosse al centrodel potere, beh, direi che è una grossa esagerazione, perché moltissima genteche non ha avuto mai niente a che fare con la P2, né con altre logge massoniche,ha contato e conta in Italia. .Presidente, non posso pensare che non abbia letto le risultanze dei lavori dellaCommissione parlamentare sulla Loggia P2.Certo che le ho lette.... in quei documenti si ipotizza una grave interferenza, un grave inquinamentoda parte della P2 in moltissimi organismi e attività dello Stato.In parte questo è vero, da parte di uomini della P2. Però noi, anche su questifatti, avremmo bisogno di avere una certezza maggiore. Ipotiz-tare è un conto...Non voglio fare una difesa di nessuno, però sono mal-io attento a nondemonizzare; perché mi è sembrato che qualche volta, prendendo delle piste e nonseguendole tutte, ci si privasse forse dei mezzi Per arrivare alla verità, e poisi rimanesse. . . beh, come è capitato a Ca-, che è stata una cosa in un certosenso deludente. .Se lei avesse qui, al posto mio, Tina Anselmi, crede che Questo dialogo sulruolo della P2 si svolgerebbe con la stessa Pacatezza?

360 Sergio ZavoliCredo di sì, perché qui né Tino. Anselmi né io abbiamo da fare difese d'ufficio,o di parte, di nessuno! Solo che dobbiamo stare attenti a dire soltanto cose dicui si abbiano veramente le prove, altrimenti si creano soltanto degli statid'animo. Certamente, quando si vede un numero eccessivo di persone cheaderiscono a una determinata organizzazione, questo preoccupa. In questi giorni,per esempio, si è avuta la preoccupazione opposta, e cioè nei confronti di unatteggiamento del Consiglio superiore della magistratura secondo il quale unmagistrato non può appartenere a una loggia massonica. C'è stata una reazione innome dei principi. Qui, poi, bisognerebbe mettersi d'accordo su che cosa èlecito, che cosa è prudente, e che cosa è illecito.

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Riesce a credere veramente che alti ufficiali dei carabinieri possano essereandati a Castiglion Fibocchi, da Celli, semplicemente per ottenere un abitodella Lebole con lo sconto, così come figura agli atti?Un abito con lo sconto no, non credo! Probabilmente pensavano di ottenerequalche tipo di considerazione da parte di qualche loro superiore, mediata dauomini della Loggia.Del terrorismo si sa quasi tutto, dello stragismo quasi niente. Perché, secondolei?Forse è più difficile arrivare alle origini di questo fenomeno, anche perchéquello che ha aiutato parecchio le indagini è stata la dissociazione di alcuni,il pentimento di altri, e quindi il fatto che delle maglie si siano allentate.Che cosa pensa di quelli che hanno aiutato parecchio a deviare le indagini?Hanno una enorme responsabilità, qualunque fosse il motivo per cui lo hannofatto.Non di rado i Servizi, sebbene istituzionalmente segreti, hanno ecceduto; e nonsolo in segretezza. Lei, quando sono venute le prove degli inquinamenti, fu ilprimo a prendere p‘' sizione e a ristrutturarli. Chi coprivano, presidenteAndreotti-E chi li copriva?

361La notte della RepubblicaVede, l'ideale sarebbe stato di avere un unico Servizio, e il governo avevapreparato un disegno di legge in quel senso. Sarebbe molte più semplice ancheperché tra spionaggio industriale, spionaggio militare e spionaggio di altranatura, i confini sono molto aperti. Invece si creò uno stato d'animo, moltoabilmente, da parte sia del servizio militare, sia di quello civile. Andarono inParlamento, presentarono delle memorie, dissero: attenzione, si crea unpotentato terrìbile! E allora si crearono due servizi, più un comitato dicoordinamento, che è un terzo servizio. In più, poi, ci sono quelli dellaGuardia di finanza e quelli che rimangono ancora della polizia. E` un tema,credo, che va ripreso.Il terrorismo, quello storico, è finito. E` finito del tutto, secondo lei?Non lo so! Su questo dobbiamo stare molto attenti perché ci sono cose chepossono rinascere, ci possono essere alcuni collegamenti internazionali equindi, prima di dire che un fenomeno è del tutto finito, credo che debbapassare del tempo...Lo Stato ha vinto, la democrazia ha vinto, ma quali sono le ferite, quelle cherimangono?Intanto, rimane il fatto che ci sono persone allo sbando, persone che sonoall'estero, famiglie che sono state distrutte. A parte le vittime, che vengonoprima di tutto. C'è poi un'inquietudine che forse va analizzata meglio. Iostesso ricevo qualche volta delle lettere da Parigi che fanno meditare, che nonpossono essere prese alla leggera. Una cosa che mi ha colpito sempre, però,proprio parlando della tragedia di Moro, è la scarso, attenzione che anche ipentiti hanno nei confronti degli uomini della "M scorta. Ne parlano come sefosse stato necessario distruggere un cristallo per...ò òòè vero, ed è colpa di molti, anche nostra...ò ò ò e questo mi ha dato sempre un senso di grande tristezza! Perché diIreste famiglie io ne seguo due, un po', ma anche le altre meritano della^^siderazione...Torquato Secci, che presiede l'Associazione dei familiari Ue vittime per lastrage di Bologna, ha chiesto, senza riceve-e una risposta in positivo, chevengano cancellati tutti gli . Qual è la sua opinione in proposito?

362Sergio ZavoliMa io di omissis credo di averne visti ben pochi, in vita mia. Se p/j omissisriguardano cose strettamente militari, come per esempio o/,' schieramenti ditruppe, sono necessari; quanto al resto penso che, p^ chiarire questo tipo diproblemi, la soppressione degli omissis sìa utile Credo che non ci sia alcunacontroindicazione.E perché allora non vengono cancellati?

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Non so a quali si riferisca...A quelli che hanno consentito di credere che molte verità siano statenascoste...Io pensò, però, che sia anche una leggenda. Perché qualche volta, all'iniziospecialmente - mi ricordo ai tempi dell'inchiesta sul Sifar, e quando sonotornato alla Difesa nel 1974 - ho visto alcune indicazioni di omissis chefacevano veramente ridere! Per esempio: "il reggimento che stava a..." e persapere dove bastava prendere, magari, l'elenco telefonico. .. Alcuni omissis,ripeto, sono certamente necessari. Il presidente del Consiglio li ha dovutimettere, però non credo che siano tali da impedire che si arrivi alla verità:sarebbe un assurdo assoluto. Perché non ci sarebbe omissis che tenga sepotessimo sul serio sapere qualche cosa di più sulle stragi! E non andare così atentoni, oppure fare degli esperimenti che poi vanno a vuoto.Presidente, non dico che lei abbia un atteggiamento assolutorio, ma è certamentemolto dubbioso su talune questioni. Vorrei farle un'altra domanda: che cosapensa del garantismo? Lei è garantista? E se sì, in che senso? Con qualcheincertezza, con qualche riluttanza o contraddizione, oppure no?// garantismo si può riassumere dicendo: "E` meglio un delinquente fuori che uninnocente dentro". E` un principio, direi umano, abbastanza giusto. Peròdobbiamo stare attenti, perché c'è anche da garantire, secondo me, la società.Non solo la persona...In realtà un corpo di norme garantiste appartiene a un sistema che fa capodirettamente allo Stato di diritto.La garanzia ci deve essere, non e 'è dubbio. Ma, per esempio, abbiO' mo unanorma sacrosanta, la quale dice che la carcerazione preventi"0 non può durarepiù di tanti anni. Però, poi, abbiamo dato un 'in'

La notte della Repubblica 363lozione alla carcerazione preventiva, a mio avviso, troppo estesa: perché se unoè condannato all'ergastolo - ci sono casi di condannati all'ergastolo, di reiconfessi - e poi si continua a fare gli appelli, ricorsi in Cassazione, e questidopo otto anni se ne escono, beh, allora qui mi pare che ci sia un eccesso digarantismo. Io sono molto garantista, perché ritengo che ciò faccia parte di uncostume, ma è una questione dì grande delicatezza.Le ho fatto quella domanda per introdurre quest'altra: la fine del terrorismodeve essere sancita dalle pene erogate negli anni dell'emergenza o si devonotrovare soluzioni fondate su una riflessione più generale, umana, sociale,politica?Ritengo che si debba guardare alla sensibilità delle famiglie delle vittime evedere quello che giova alla società. Non so se già oggi, con un provvedimentogenerale, potremmo prendere un orientamento molto preciso. Credo che laquestione vada ancora approfondita cercando di capire un pò ' meglio tante cose,compresa anche la psicologia dei terroristi...C'è tuttavia una cultura che sta facendosi strada - e non è quella delperdonismo, dell'assoluzione a tutti i costi, del colpo di spugna, dell'amnistia- che va cercando soluzioni compatibili eticamente, moralmente, politicamentecon i valori che sono stati violati dai terroristi in generale. Crede che questacultura dovrà farsi strada? Crede che si possa parlare, per esempio, di indulto?La mia convinzione è che occorra non prendere atteggiamenti negativi,pregiudiziali, ma nemmeno dire: sì, la situazione è talmente chiara attorno anoi che possiamo rimettere impunemente in circolazione quanti hanno compiuto, emolti di questi li hanno compiuti, atti di gravita eccezionale. ..Non sono per le interpretazioni, come dire?, lombrosiane. Cioè non credo al genecattivo, di chi sbaglia per natura. E so bene che il terrorismo ha agito in modotragico, devastante, ^enso piuttosto che questo fenomeno nasca tra noi, in mezzoa n‘M e persine, in qualche modo, da noi. La classe politica, Sebbene sia unageneralizzazione ingenerosa verso tante perso-

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ne che fanno seriamente politica nel nostro Paese... ecco, dove può averesbagliato? Nel sottovalutare, nel non prendere provvedimenti, nel lasciare

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troppe ragioni di scontento che, usate successivamente, potevano colpirel'opinione pubblica e aggregare consensi?Molte volte siamo portati a dire che non è l'uomo a sbagliare, ma che è lasocietà ad alimentare questi errori. Allora, senza dubbio, può darsi che setutto avesse funzionato e funzionasse più limpidamente, se ci fosse stata e cifosse una trasparenza maggiore... ma con i "se" non si fa la storia di nulla...Certo, dobbiamo riuscire a individuare e a vincere tutto ciò che è contrarioagli interessi della comunità.Gli esami, magari a ottobre, li ha sempre superati, presidente...Li ho superati perché, in verità, non avevo niente da farmi perdonare.Un'ultima domanda: c'è una mitologia, non so quanto benevola o malevola, che ladescrive come il potere per eccellenza. Lei, d'altronde, su questa parola si èesercitato con battute diventate celebri. In una democrazia come la nostra, cheha al suo attivo tante cose, può dirmi perché c'è tanto spazio, su molti fronti,per un potere che passa per le persone piuttosto che per le istituzioni? E` perquesto che le istituzioni sono talvolta più logore delle persone?Un segreto per rimanere vivi politicamente è non fare, almeno voluta-mente,azioni cattive o addirittura calunniose, come qualche volta qualcuno fa. Ne traeun immediato successo; però, poi, la gente lo capisce e lo manda in pensione...A proposito del rimanere vivi, in quali circostanze il potere può logorare anchechi ce l'ha?Se la tragedia dei giorni di Moro dovesse ripetersi, o fosse durata ptu a lungo,credo che forse ci sarebbe stato il crollo fisico di qualcuno ut noi, anche secon un temperamento piuttosto forte. Ma sarebbe comunqv* stato un crollo dellepersone, non quello delle istituzioni.

XIVLA METEORA VIOLENTA DI PRIMA LINEA UNA RAFFICA DI ARRESTI, ABBANDONI EPENTIMENTI;POI LA RESAII terrorismo ha avuto volti, sigle, strategie differenti. Dopo le Brigate rosseabbiamo visto formarsi i Nuclei armati proletari, cioè i Nap, che hanno tentatodi coinvolgere il mondo delle carceri e allargare il fronte della lotta armatareclutando manovalanza spuria purché disponibile, fino a comprendervi idelinquenti comuni. Dopo i Nap scende in campo un'altra formazione, Prima linea.E` seconda alle Brigate rosse solo per il numero di persone che colpirà. Ha uninizio spontaneista, sostenuto da un culto esasperato e nichilista dell'azione,senza un progetto politico che non sia, intanto, l'attacco allo Stato. Unavicenda difficile da comprendere e da spiegare, persine da parte di coloro chel'hanno vissuta. In un comunicato gli uomini di Prima linea scrivono:Per noi l'alternativa è chiara: è tra l'organizzare, l'armare un processo diliberazione di massa dalle enormi capacità di cooperazione sociale che la classeha espresso, e la distruzione della forza, della rabbia, dell'antagonismoproletario. Su questa base non c'è spazio di compromesso con nessun altropotere, con nessuna pratica opportunista. La guerra di classe, se distrugge ilnemico, trasforma radicalmente il proletariato.Prima linea nasce, di fatto, nel dicembre del 1976 quando rivendica a Milano iprimi due attentati: all'Associazione industriali di Monza e al "Corriere dellaSera". Nell'aprile del 1977 Una delle riunioni cosiddette di fondazione si tienein una cano-‘ica di Scandicci, presso Firenze, dove si incontrano un centinaiodi ex militanti di Lotta continua e altri provenienti dal di Senza tregua. Lascelta del nome, Prima linea, ha origine: all'inizio degli anni Settanta iservizi d'ordine

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dei movimenti della sinistra extraparlamentare si schieravano in testa ai corteioccupando, appunto, la prima linea. Qualcosa, dunque, di simbolico nel piùconcreto e forse più duro dei gruppi.Della nuova organizzazione fanno parte Marco Donat Cat-tin, comandante e capomilitare, Roberto Rosso, Roberto Sandalo, Fabrizio Giai, Susanna Ronconi; e poiMaurice Bignami, Barbara Azzaroni, Matteo Caggegi, Sergio Segio, Enrico Galimozzi, Giulia Luisa Borelli, Maurizio Costa, Enrico Baglioni, Bruno Laronga,Claudia Zan e Mario Ferrandi. Più del Vietnam, il modello idealizzato da Primalinea sembra Cuba. La guerra di lunga durata, i santuari, gli assalti, laguerriglia diffusa, il quartiere liberato, i processi come atto di liturgiaproletaria, ma anche la rappresaglia, le vendette, i ferimenti, gli omicidi:sono tutti capitoli di un terrorismo che i militanti di Prima linea chiamanoguerra civile, una guerra che nessuno -tranne loro - ha dichiarato; mainevitabile, dicono, per cancellare l'ingiustizia, trasformare la società,imporre la dittatura del proletariato. L'organizzazione, che trova un suo spazionella nebulosa della sinistra extraparlamentare, aspira al consenso collettivo.Alla scelta della clandestinità quasi maniacale delle Br preferisce l'azione nelsociale; più che la fabbrica, l'obiettivo è il quartiere. I militanti impugnanola pistola o tirano le bombe; ma fuori dall'orario d'ufficio, che moltiseguitano a frequentare, conducendo così una doppia esistenza, fino al momentodell'arresto. Sono studenti, impiegati, veri o sedicenti intellettuali; molti iborghesi, pochissimi gli operai.I militanti di Prima linea, nella fase iniziale, conducono unavita all'apparenza normale, non usano documenti falsi, nonhanno covi, si riuniscono nelle loro case, dove conservano armie munizioni. Segreta è soltanto la struttura militare che si articola in un comando nazionale e in più gruppi di fuoco mo1 ‘agili e per certi aspetti autonomi. .II maggior numero di azioni si ha fra il '77 e l'80. In que".anni, Prima linea compie rapine per autofinanziarsi, attenta^incendiari e, in una serie impressionante di agguati, colp1magistrati, poliziotti, dirigenti di azienda a Milano, Torino,renze, Napoli.

"Qui è Prima linea. Abbiamo giustiziato Alessandrini." Sono le 8,40 del 29gennaio 1979, un lunedì, quando una voce maschile telefona questo messaggio allaredazione milanese del quotidiano "la Repubblica". Venti minuti prima, a unsemaforo di viale Umbria, il sostituto procuratore Emilio Alessandrini era statoucciso al volante della sua auto. Aveva appena accompagnato suo figlio a scuola.EMILIO ALESSANDRINI aveva 37 anni. Sposato, con un figlio di otto anni. Inmagistratura dal 1967, un anno dopo era sostituto procuratore a Milano. Di ideeprogressiste, sostenitore della riforma del sistema giudiziario, aveva condottol'istruttoria su piazza Fontana, individuando la pista nera che portava agliestremisti neofascisti e alle complicità dei servizi segreti deviati. Dopol'inchiesta su piazza Fontana gliene toccherà un'altra, ugualmente difficile:quella sul Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.Giovanni Tamburino, magistrato:Dobbiamo riconoscere che il terrorismo ha una sua logica, una sua strategia; hauna sua lucidità, ha un suo disegno. Dobbiamo entrare in questo ordine di idee,in questo concetto di disegno strategico, e portarci per così dire a un livelloequivalente sul piano logico e conoscitivo. E, probabilmente, a questo livellodi conoscenza ci si è avvicinati. Si stava verificando l'esistenza di questacentrale o di questo cervello unitario, unico, in alcune indagini che sonoavanzate fino a un certo punto, quando si sono prodotte delle reazioni gravi,anomale: spostamenti di competenza, conflitti, opposizione di segreti. E`possibile che anche Alessandrini avesse dei dati in questo senso.Prima linea, nella sua rivendicazione, preciserà di avere ucciso il giudice nonin quanto simbolo dello Stato, come era allora nella strategia e nel linguaggiodelle Br, ma per l'impegno che poneva nel rendere più moderna e quindi piùfunzionale la struttura giudiziaria.Guida il commando di Prima linea Marco Donat Cattin, il cui nome di battagliaera "Alberto".

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"Vivevamo per essere contro chiunque non la pensasse come noi", scrisse nelmarzo dell'86 l'ultimo dei quattro figli di Car-0 Donat Cattin, leader di primopiano della Democrazia cri-st>ana, più volte ministro, non di rado protagonistadi significale vicende politiche.

368 Sergio ZavoliMARCO DONAT CATTIN si rivela presto un ragazzo generoso, ma hv quieto. A sedicianni può dirsi a suo modo adulto. In giovanissima età è già padre. Entrato inpolitica, milita in Lotta continua, poi jn Senza tregua, quindi in Prima linea,di cui nel 1977 diventa uno dei capi. Oltre all'azione in cui viene ucciso ilmagistrato Emilio Alessandrini, è presente a quelle che conducono alla morte delvigile urbano Bartolomeo Mana e del barista Cannine Civitate. Nel settembre del1979, abbandona Prima linea e, in circostanze che alimenteranno polemiche, cuinon resterà estraneo lo stesso ambito governativo, ripara in Francia. Quiaffronta un lucido e complesso riesame delle proprie scelte, al culmine delquale lancia un appello per quella che chiama "ritirata strategica".Nel dicembre dell'80, a Parigi, è tratto in arresto. Condannato a undici anni dicarcere ne sconta sette. La pena gli viene ridotta perché ha scelto dicollaborare con la giustizia.La sera del 19 giugno 1988 viene travolto da un'auto mentre presso Verona, persoccorrere un ferito, tenta di fermare le macchine in corsa. Muore compiendo ungesto di solidarietà umana.Prima linea si sta disgregando, e tuttavia continua a colpire. Il 21 settembre,a Torino, la nuova vittima è l'ingegner Carlo Ghiglieno, responsabile dellapianificazione alla Fiat. L'11 dicembre, uomini di Prima linea entranonell'Istituto di amministrazione aziendale Valletta, sempre a Torino, radunanoin un'aula professori e studenti, leggono un proclama, poi gambizzano cinqueinsegnanti e cinque studenti scelti a caso.Nell'80 le ultime azioni: vengono uccisi il giudice Guido Galli, il dirigentedell'Icmesa Paolo Paoletti, l'autonomo William Vaccher, accusato di essere uncollaboratore della polizia. L'uccisione di Vaccher, come vedremo di qui a poco,provocherà un soprassalto di coscienza tra alcuni degli stessi terroristi.Il 2 maggio, a Roma, uomini di Prima linea sparano all'architetto Sergio Lenci,progettista della nuova ala del carcere di Rebibbia, ma Lenci sopravvive. Ancoraoggi ha una pallottola conficcata nel cranio.Corrado Stajano scrive:Sono terroristi part-time, che seguitano ad andare a scuola o al la" voro ecercano di vivere la vita normale, quotidiana, mimetizzati tra migliaia diragazzi uguali, con i medesimi comportamenti e lo stess modo di vestire, diparlare.

369La notte della RepubblicaMa dopo l'assassinio di Alessandrini, Prima linea entra tutta in clandestinità,rinunciando al progetto di avere una militanza allo scoperto, cioè presentenella società, accanto a quella segreta. E viene sconfitta perché, come diceGiorgio Bocca, il gruppo non ha una strategia; ha degli ideologi, fra cuiprimeggia Roberto Rosso, ai quali i militanti delegano il compito, diciamo, diteorizzare.La fine di Prima linea segna l'insuccesso del tentativo di inserire nella lottaarmata un disegno movimentista e spontaneista: l'organizzazione si dissolve inuna raffica di arresti, di abbandoni, di pentimenti, lasciandosi alle spallequesto bilancio: 101 attentati, 18 morti, 23 feriti.Che cosa ha spinto questo gruppo di giovani a fare una scelta tanto confusaquanto disperata, che cosa li ha aggregati intorno a un progetto senz'altraprospettiva che quella di seminare a ventaglio ogni genere di violenza,nell'ipotesi che lo Stato, per ciò stesso, si frantumasse fino alla resa? Qualisono le loro storie personali? Come le hanno confuse, umanamente, con la loroscelta politica? Ecco una serie di testimonianze su un aspetto diverso delterrorismo.Interviste a Enrico Baglioni, Maurizio Costa, Mario Fer-randi, Roberto Rosso,Silveria Russo, Sergio Segio, Claudia Zan

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Sergio Segio, lei è stato uno dei capi militari di Prima linea. Accusato di 12omicidi premeditati, ha ricevuto tre condanne all'ergastolo. Da tre anni si èdissociato dalla lotta armata. Che cosa aveva spinto lei e gli altri suoicompagni a creare, nel 1977, Prima linea?E` una risposta non molto semplice perché i fattori sono complessi. Cre-"‘ cheda una parte ci siano analisi e giudizi politici sulla realtà, sullacontingenza; dall'altra, sicuramente, richiami ideologici a una tradizionecomunista e rivoluzionaria. Inoltre, ritengo, anche fattori esistenziali, co-"*la convinzione che la lotta armata potesse avere un significato e un ef-, ‘ &liberazione, di possibile costruzione di un passaggio per una sode' te migliore.

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Che cosa volevate fare, o pensavate di poter fare, che le Brì. gate rosse giànon facessero?Credo, in effetti, che sia obiettivamente difficile cogliere dall'esterno perchi non ha vissuto e non è stato protagonista della lotta armata, qualipotessero e volessero essere le differenze. Ritengo che la storia di Prima lì.nea e la storia delle Brigate rosse, seppure, appunto, luttuosamente similiavessero come radice contenuti, propositi, corpi teorici e analisi differenti Sevogliamo, Prima linea aveva di peculiare rispetto alle Brigate rosse un rapportodi confronto con quello che allora definivamo il movimento, cioè l'area socialein cui agivamo. Le Brigate rosse, almeno a mio giudizio hanno sempre avuto neiriguardi di questa area sociale un proposito di arruolamento, quindi unadinamica molto più militare, molto più simile a una logica di guerra.Si può dire che il vostro primo obiettivo fosse quello di con-trapporvi, se nonproprio di fare concorrenza, alle Br, nel senso di acquisire un'immagine diconsapevolezza, di efficienza, e perché no di durezza, che vi promuovesse alivello brigatista?A mio parere, sicuramente no. Credo che una lettura appunto in terminiconcorrenziali, tristemente concorrenziali tra Prima linea e Brigate rosse, sia,tutto sommato, epidermica; nel senso che i fattori, come lei diceva, di durezza,di irrigidimento, di questa apparente e forse obiettiva escalation all'omicidiovanno rapportati, io credo, a condizioni più generali, cioè a un contestopolitico specìfico che si è venuto a creare in par-ticolar modo dopo l'omicidiodell'on. Moro. Quindi la progressiva perdita, che ha riguardato sia noi che leBrigate rosse, di quelle che erano le ragioni sociali, le ragioni originariedella scelta delle armi, ed anche la perdita del collegamento diretto,dialettico, con settori minoritari quanto " voglia, magari infimi, comunque consettori e parti della realtà sociale.Un aspetto che vi distingueva dalle Br riguardava le regole della clandestinità.Queste regole, rigorosamente applicate dai brigatisti, erano vissute da Primalinea, se non sbaglio, in ma* niera meno rigida, perché?Per la volontà di mantenere un cordone ombelicale con il movimento t con glistrati sociali di riferimento, con le situazioni concrete nel terntort e nellefabbriche dove avevamo un rapporto dialettico, di intervento p011 tuo.

E` vero che in Prima linea, almeno agli inizi, si viveva una trasgressionepressoché stravagante, un po' elitaria, da angeli ribelli? Ferrandi.Beh, erano forse gli ultimi sussulti di un versante, come dire, utopico, moltodiverso dalla tetraggine degli anni successivi.Lei ha vissuto la lotta armata senza essere un militante regolare. Aveva vogliadi contare, voglia di vivere? Forse qualche ferita, qualche moto di rivalsa,qualche disperazione? Come coabitavano il pacifismo femminista, gli studenti

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estremisti, gli csteti della rivoluzione, coloro che invece vi partecipavano colmassimo di persuasione? Chi eravate, veramente?Difficile dirlo: un magma che attraversava un pò ' tutti gli strati sociali e lecondizioni professionali e anche, probabilmente, le età. L'intesa che ci legava,non mai compiutamente espressa, neppure a livello ideologico, era peròistintivamente molto forte; tant'è che, per certi versi, ancora perdura, seppureinforme attenuate. Ma c'è una costante tensione a ricercare, nello sguardo deglialtri che hanno vissuto questa esperienza, cos 'è che ci rodeva dentro. Alcunifatti, alcune circostanze, alcuni volti, alcune grida che uno percepisce attornoa sé, non riesce a conciliarli con una vita ordinaria. E` come se locondannassero a reagire in maniera forte senza trovare, appunto, una formacompiuta per incanalare quella tensione. Prevale questo aspetto: esprimiamo lanostra sensibilità esasperata con qualunque mezzo. Da qui la mia convinzione chedi per sé l'uso della lotta armata era uno strumento che consentiva di lanciaredei messaggi forti. Vale a dire che, non avendo la capacità o la possibilità dimandare questi messaggi con le parole, li si mandavano con questi gesti.E perché vi mancavano le parole?Culturalmente, mi sono sempre sentito condizionato da questo. Ho sempre fattofatica ad accettare degli aspetti di me stesso che non potevo lficanalare inquesti strumenti di interpretazione, fino a che tutto ciò è esplosodall'interno. C'è un processo di schizofrenia in cui la propria Urnanità ealcune visioni del mondo non possono che andare in cortocir-cuito.

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Queste però sono le parole dell'ideologia. Le parole in assoluto nonappartengono a nessun potere né ad alcuna visione del mondo, la parola è libera.Come mai non avevate le parole, ripeto, per dire di no? E per dire di no viservivano le armi? Pjc_ cole parole correnti, le parole di cui vive la gente,che tutti, gjj operai, i contadini, gli impiegati, gli intellettuali, iprofessionisti, i borghesi e i proletari possono capire?Non sono convinto che di per sé le parole siano comprensibili. Le parole sonocomprensibili nella misura in cui sono scambiabili e sono inserite in unaconcezione dell'uomo che in qualche maniera è condivisa. Credo ci siano deipercorsi che finiscono contro un muro. Perché alcuni sentimenti, alcune tensioniche uno ha, sono in un certo senso vietati perfino a dirsi. Se l'idea che ilprogresso, oppure il benessere materiale o il successo nel lavoro, o unedificante quadro familiare, rendono la mia vita, ai miei occhi, non degna diessere vissuta e la sento come intollerabile - oppure socialmente non esiste unospazio per negarla, o per trovare un 'alternativa -beh, io progressivamenteimpazzisco, perché sento crescere dentro di me questa diversità e non riesco atrovare uno sbocco, una possibilità dì comunicazione, per questo cancro che midivora piano piano.Questa mancanza di parole, mi perdoni se rimarco quella che è diventata ormaiuna metafora, cioè l'incomunicabilità, non può essere proprio all'origine delmuro tra le vostre idee e la disponibilità della gente a capirvi?Le persone comunicano un disagio fra loro che le rende molto più simili diquanto le scelte, anche esasperate, possono determinare. Vale a dire: moltoraramente, per non dire mai, mi sono sentito un corpo estraneo all'ambiente incui vivevo. Sono uscito dal carcere, sono rientrato a casa, ho trovato i mieivicini come li avevo lasciati, ho trovato i mìei compagni di scuola di un tempomeno stupiti di me di quanto mi era accaduto. E come se la mia insofferenzafosse intimamente conosciuta dalla gente e rapprt' sentasse un angolo oscuro chetutti comprendono e intuiscono, ma che nessuno dice. Questo crinale

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dell'inespresso credo sia qualcosa su cui sono fermo; e non riesco a immaginareuna mia vita futura che non venga a ca~ pò di questo problema.Costa, quanti eravate, grosso modo?

Quanti eravamo? Militanti di Prima linea, alcune decine. Collegati a questaesperienza a livelli di conoscenze, di implicarne, diverse centinaia. jn piazza,a Milano, Prima linea e comitati comunisti rivoluzionari nel loro momento dimassimo fulgore portavano 1800 persone per partecipare alle manifestazioni dimassa.Un vertice e un gruppo di fuoco, chiamiamolo così, di alcune decine o alcunecentinaia di persone, non si costituiscono come una forza un po' elitaria,utopistica, rispetto alla rivoluzione?Certo, certo. Questa voleva essere, e questa è stata l'orìgine non solo delprecisarsi dei caratteri terroristici dell'organizzazione, ma anchedell'impazzimento finale, dell'impazzimento omicida.Nel bollettino di questo impazzimento, Prima linea è seconda solo alle Br. Checosa guidava la vostra logica delle uccisioni? La punizione di qualcuno,l'affermazione del vostro ruolo, la conquista di spazi di potere all'internodelle fabbriche, o che altro?Le azioni di Prima linea volevano essere degli interventi esemplari. Come direrecidere un nodo perché i meccanismi che Prima linea ipotizzava, nella suaassurda folgorazione ideologica, i meccanismi nascosti, venissero disvelati ecostituissero occasione per l'organizzazione alternativa già a partiredall'interno della società,Mi spieghi per cortesia la differenza tra un nodo reciso, per usare il suolessico, e un mero delitto./ nodi erano recisi solamente all'interno della nostra testa. Non ho mai dettoche questa ipotesi fosse efficace o positiva. Allora, però, lo pensavo.Silveria Russo. Nel 1976 lei ha 26 anni, comincia la sua storia d'amore conBruno Laronga, uno dei fondatori di Prima li-"ea. Passa così dal femminismopacifista alla lotta armata. E` lngenuo pensare che l'abbia fatto anche peramore?Credo che la mia vicenda personale dentro un 'organizzazione armata n‘n partatanto da una storia d'amore, quanto da una storia che è precede alla nascita diPrima linea: quella di un gruppo di amici. Ho mili-

374Sergio Zavolitato in Lotta contìnua dal 1969 al 74, sono uscita da Lotta continuo. in. siemea quella che si chiamava la corrente, un gruppo di compagni operai e non solo,che staccandosi da Lotta continua portava avanti un discorso di lotta armata.Sono entrata in Prima linea quando è stata fondata. In quel periodo hoconosciuto quello che poi è diventato mio marito La mia storia personale e lamia storia politica si sono svolte parallelamente, dal 1976 per tutti gli annisuccessivi.A Torino lei si è trovata di fronte alla drammatica possibilità di uccidere.Come si è posta il dilemma e attraverso quale ragionamento l'ha sciolto?E` molto difficile descrivere come si è affrontato il problema dell'uccidere.Riflettendoci oggi, sembra una cosa lontanissima e comunque impossibile a farsi.In quella fase invece il problema non sussisteva. Era nella logica delle cose lapossibilità di dover affrontare anche l'omicidio, perciò veniva vissuto, e cosìl'ho vissuto anch'io, come una normale attività operativa. Mi rendo conto chesembra pazzesco dirlo, ma in realtà questo è come sono state vissute le cose. Iltutto, naturalmente, mediato dall'ideologia; nel senso che per ideologia, peruna scelta di violenza a priori, sì arriva anche a uccidere come si potrebbefare una qualunque altra cosa. Non riesco ancora oggi a rendermi conto che io,una persona come tanti altri, con una vita normale, una studentessauniversitaria, che lavorava ecc., sia potuta arrivare a questo punto. La miaprima azione l'ho compiuta nel 1977, ed è stata un'irruzione all'Associazioneindustriali di Torino...... delle piccole aziende...Delle piccole aziende, sì. E, niente... decidere di impugnare un'arma era unacosa normale, c'era quasi la voglia di arrivare a compiere delle azioni armate.

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Di provarsi...Sì, era quasi una forma di protagonismo all'interno del gruppo. Ricor-do chementre salivo le scale per andare a compiere questa azione ho avuto un attimo diincertezza e anche di paura. Tutte le volte che si compiva un 'azione e 'erasempre la paura. La paura è ìnsita nelle cose che fai, c‘ una serie disensazioni che noi chiamavamo "sensazioni preoperaW'

La notte della Repubblica 375proprio sensazioni a livello fisico, che vengono superate perché nel momento incui si deve fare questa cosa, uno si trova lì e la fa.Chi la addestrò all'uso delle armi? Mio marito.Dove?Ci si addestrava in grotte di montagna, sia qui in Lombardia che in Piemonte.Mio marito aveva imparato l'uso delle armi facendo il militare, era caporaleistruttore, e ha addestrato molti di noi. La prima volta che mi capitò disparare direttamente fu per l'omicidio Lorusso che era un adente di custodiadelle carceri di Torino. Quella fu la mia prima azione diretta su un uomo. Ma,sul momento, non mi sono resa conto di quello che è successo, non mi sono resaconto che stava morendo una persona. Ci ho pensato dopo, con gli anni. Il primomomento di riflessione è stato dopo via Miglio, un fatto che ci ha colpitidirettamente, che ci ha posto di fronte al problema della morte in terminireali.Ci vuole raccontare quell'episodio?UnAvvenne dopo la morte di Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi, a 7o-rino. Decidemmodi attirare una Pantera della polizia in un agguato all'interno di un bar,facendo una telefonata. Avevamo predisposto tutto perché dentro il bar sisparasse su questi poliziotti nel momento in cui entravano. Era un 'azione divendetta per la morte dei nostri compagni. Io e Laronga eravamo fuori, come sidiceva allora, in copertura. Avremmo dovuto intervenire se non tutti ipoliziotti fossero entrati e si fossero accorti di cosa stava succedendo.Siccome chi era nel bar cominciò a sparare un attimo prima che questi fosserotutti dentro, dovemmo intervenire anche noi all'esterno, e ci fu questasparatoria in mezzo alla strada. Il ricordo che ho ancora adesso, nettissimo, èdi una quantità impressionante di col-fi1 che andavano e venivano, un mare difuoco, e della sensazione netta che Potevo morire, che la morte era lì, perchémi sentivo i colpi fischiare accanto. A un certo punto ho visto una persona checadeva. . .passante. . .> e ho pensato che fosse uno dei poliziotti colpiti.

376 Sergio ZavoliQuei passante, mi scusi, era un ragazzo di 13 anni.Sì, un ragazzo di 13 anni che tornava da scuola e che abitava lì. Si è trovatoin mezzo, gli è stato gridato di farsi di lato, ma purtroppo è andata così...Lei ha organizzato un commando femminile proprio per eseguire, e rivendicare,azioni armate condotte da sole donne. Questa connotazione aveva un significatoparticolare? Quante eravate, pronte a sparare?Eravamo in quattro.Il gruppo di cui lei faceva parte ha attentato alla vita di una vigilatricedelle carceri Nuove. Perché decideste di colpirla? Solo perché stava dall'altraparte?Colpire questa vigilatrice faceva parte del discorso che stavamo portando avantiin quel momento, a Torino. Riguardava azioni sul problema del carcere. Inrealtà, quando faccio la scelta della lotta armata ho già superato la fase deldibattito femminista e insieme ad altre ho già fatto una scelta di militanzaarmata, tentando di portare all'interno dì questa anche un discorso diprotagonismo delle donne.Mobilitando un commando di sole donne, ed eseguendo azioni terroristiche,pensavate in qualche modo di creare im-medesimazione e persine orgoglio nelmovimento femminista?// dilemma era sempre quello, tra una scelta non violenta e una scelta violenta.All'interno del movimento femminista la scelta che poi è prevalsa è stata quella

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di una scelta non violenta. In quel momento, invece, noi pensavamo di poter fareuna scelta di militanza armata e di imporre, anche a un movimento come quellofemminista, una scelta di violenza come forma di protagonismo delle donne.Lei ha organizzato l'omicidio del dottor Paolo Paoletti, dirigente dell'Icmesa,la fabbrica di Seveso famosa per la nube d" diossina. Fu un'azione decisa, usoparole vostre, nel quadr della "campagna per la sanità" condotta da Prima linea;"e* aveva concentrato la sua attenzione su due possibili obietti^ ò

377La notte della Repubblicapaoletti, appunto, e il dottor Radice, responsabile tecnico della fabbrica.Perché l'uno fu, per così dire, preferito all'altro?Per i soliti banalissimi problemi che erano all'ordine del giorno in quei casi:di avere trovato l'uno e non aver trovato l'altro nelle ricognizioni iniziali-Purtroppo, si moriva anche per questo."Nello stesso tempo, oltre alla mia militanza, la mia vita era quella di unanormale donna di casa: preparare il pranzo, curare le mie cose, vivere con ilmio uomo, avere i miei momenti di gioia e di amore." Può spiegare come si puòessere, insieme, una terrorista e una donna comune?E` possibile dentro quella schizofrenia di cui si parlava prima. Ovvero quandoil lavoro, chiamiamolo pure così, del terrorista viene visto, appunto, come un'attività qualunque. Dopodiché la propria vita personale scorre sui binari disempre: è la vita personale di una persona normale, esattamente come la facevoprima. Se mi fossi sposata, avessi avuto una famiglia e un lavoro, senza fare laterrorista, la mia vita in casa con mio marito sarebbe stata la stessa.Roberto Rosso. Lei, negli anni Settanta, abbandona gli studi di matematica,lascia una scuola prestigiosa come la Normale di Pisa per la militanza politicain Lotta continua e poi, nel 1976, se ne va da Lotta continua per diventarel'ideologo di Prima linea. Quale tipo di elaborazione sta dietro quella scelta?Io credo di avere ricercato nella mia militanza politica, sin dall'inizio, "nqualcosa che aveva a che fare con le origini del mio modo di vivere, cioè undesiderio profondo di capire. L 'abbandono degli studi per me è stato un fattoanche morale; nel senso che mi vergognavo, le sembrerà stra-n‘, di studiare.Proprio a livello emotivo sentivo come prima necessità Quella di dividere congli altri la possibilità di capire.era molto amato, forse il più amato dai suoi compagni. Rlcorda di esserlo stato?di sì, e forse è il ricordo più bello che mi resta, anche se poi, fi-0 quel tipodi legame e di storia, mi sono sentito addosso l'aspetto ne-lv‘ di una personache veniva vista come un qualcuno che trascinava

378 Sergio Zavolialtri; e che quindi, forse, entrava troppo nella vita degli altri. Il dolore cheho provato è stato una sorta di contrappasso rispetto al rapporto posi. tivo diprima."Noi eravamo i salvatori e intendevamo portare valori validi in nome dei qualigiudicare. Non ci accorgevamo che invece vi-vevamo in un mondo chiuso,irrazionale, isolato." Vuole spie-garci che cos'era "la comunità dellarivoluzione assoluta", sono parole sue, in cui lei viveva con i suoi compagni?Credo che ci si sentisse investiti di un ruolo che derivava dalla nostra storiae lì bisognerebbe indagare, come dire, la psicologia individuale, la storia diognuno di noi. Però non eravamo dei single, eravamo un gruppo di persone eprobabilmente in ogni città d'Italia, al di là dell'appartenenza adorganizzazioni, e 'erano gruppi o più gruppi uniti da una storia, da unaesistenza comune. Un'esistenza nella quale la realizzazione delle proprietensioni quotidiane passava per uno scontro. Questa era, se vogliamo, un'esistenza assoluta, e a mano a mano che diventava sempre più difficile unire lanostra militanza politica con la vita intera di settori di operai, di abitantidi quartieri, sempre più, credo, tendevamo a riassumere in noi stessi questotipo di valori.Non le pare che questa "esistenza assoluta", che si traduce in una "rivoluzioneassoluta", implicasse una sorta di chiusura così totalizzante da precludere

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anche qualche possibilità di comunicazione con l'esterno; e che per ciò stessopossiate essere rimasti isolati in qualche modo dalla realtà?A un certo punto, quando inizia la lotta armata, cominciamo a vederci e vivereattraverso l'immagine che di noi viene data. Non diventa quindi centrale l'esitodelle assemblee in quelle dieci fabbriche in cui contiamo, in quei quartieridove viviamo, o dentro una manifestazione, ma diventa centrale la nostraimmagine nella cronaca, nei media. E sempre di più ragioniamo di noi stessi inrelazione a ciò che di noi si dice.Venite espunti dalla realtà, se non proprio espulsi, e diventate voi stessi larealtà?~Sì, diciamo che la nostra realtà cerchiamo di arricchirla sempre piu contenutiumani, ma vissuti tra noi. E questa è una contraddizione sima.

379La notte della RepubblicaLei ha detto poco fa: "Per capire bisognerebbe indagare nelle psicologie diciascuno di noi". Mi provo a indagare nella sua. Alla Scuola Normale di Pisa,dove era uno studente molto brillante, lei si è misurato con il problema dellarazionalità, seppure solo teorica. Come ha conciliato questo ordine, anchefiloso-fico, con la logica e non di rado addirittura con la praticadell'annientamento fisico?Quando sono arrivato alla politica... non poteva essere la razionalità pura, néuna scienza. A quel punto, non credevo nell'esistenza di una razionalità pura. Imiti sulla politica come scienza assoluta non mi appartenevano; e viceversa miapparteneva un altro mito, cioè la possibilità che nella lotta si liberassel'intelligenza, la capacità di capire delle persone. E poi questa vergognadell'attività intellettuale come attività separata...... e quindi anche uccidere si conciliava, a quel punto, con la razionalità?Se dovessimo scavare forse l'uccidere si conciliava con la crisi dellarazionalità. Non vorrei atteggiarmi, dico queste cose cercando di comunicarequelli che potevano essere dei nessi tra i miei sentimenti e il modo diragionare. Se ammettevo che una minoranza potesse uccidere, che in quel-l'uccidere ci fossero delle ragioni di speranza, è perché ritenevo, come dire,che non ci fosse una speranza attuale, vera, che ciò che accadeva in quelmomento, in quegli anni, non realizzasse le speranze di milioni di uomini percome le avevo viste crescere.Lei ha detto che si batteva per realizzare le speranze di una maggioranza etuttavia faceva, non poteva non esserne consapevole, una rivoluzione senzapopolo. Non c'è contraddizione in questo?Sì, credo che ci sia una contraddizione. Questa mancanza di una volontà divincere è un altro modo di definire questa rivoluzione senza popolo. Io stessoho cercato di spiegare come, anche nei momenti più tragici, ci sentissimo invita perché potevamo reclutare. Sono stato arrestato nel dicembre dell'80. Sinoal giorno in cui sono stato arrestato, io e per quello che ne so anche icompagni che hanno proseguito quel tipo di attività, abbiamo continuato areclutare persone secondo dinamiche diverse da quelle

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degli anni precedenti, cioè meno legate a uno scontro sociale evidente, Q dellefrazioni politiche dentro a dei movimenti di lotta, ma più interessate a, come

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dire, linee di comunicazione interne, quasi interpersonali. Credo che anche percapire il fenomeno di quanto oggi resta della lotta armata, bisognerebbeindagare a fondo su come, nella società di oggi, si riproducono queste tensioni.Lei l'ha chiamata lotta armata. Ha difficoltà a chiamarla terrorismo?No, in realtà, politicamente, non ho alcuna difficoltà a chiamarla terrorismo.Ai tempi di Lotta continua - nel 1972 se non ricordo male - ho fatto undibattito sulla violenza, e di terrorismo si trattava. Quando facevo la lottaarmata, ovvero il terrorismo, avevo dei problemi perché la mia ambizione eraesattamente quella di andare oltre la mia azione specifica.Maurizio Costa. Come venivano scelti gli obiettivi umani da colpire?In realtà le scelte non venivano fatte sugli obiettivi umani, ma sui contesti.Noi, cioè, avevamo già cancellato degli uomini prima di ucciderli.Può descrivermi una di quelle riunioni, sia pure sommariamente, nella suaimpostazione ideologica e poi nella sua prassi?Sì. Posso descrivere una riunione tipo del comando milanese di Prima linea dicui ho fatto parte durante l'inverno '79-80. Era un'ampia discussione, senzacapo né coda in realtà, sui contesti entro cui ci si andava a muovere. Senzacapo né coda perché il problema che ponevamo a noi stessi era del tuttoinsolubile, ormai sovrastati come eravamo da questa ideologizzazione dellapratica terroristica, compreso l'omicidio.Si davano dunque delle morti che erano il frutto di una discussione "senza caponé coda"?Nelle premesse la discussione era effettivamente senza né capo né coda-Poi,c'era la secca conclusione, senza discutere a lungo degli obiettivi. Era come unfaticoso processo di elaborazione all'interno di un calcolato*1 che continuassea rimasticare gli stessi numeri; fino a quando ne

uno stampato che però poteva avere avuto origine anche da un 'altra discussione.Allora, di fronte all'evidente inutilità di quelle morti, qual era la vostraanalisi? Che cosa sarebbe dovuto accadere perché si compisse quello chechiamavate il salto di qualità?Niente. Noi stavamo consumando noi stessi e stavamo consumando la vita di altrepersone. In realtà non poteva accadere nulla perché si compisse quel salto diqualità. Ritengo che siamo stati definitivamente sconfitti a metà del 1977, aMilano, prima del convegno di Bologna. Sconfitti nel senso che la storia dìquesto Paese era andata avanti e aveva distrutto le nostre tesi e le nostreipotesi.Al processo lei dichiarò di essere entrato in Prima linea perché approvaval'uccisione del giudice Emilie Alessandrini. E` vero? Che cosa sapeva di lui?Cosa sapevo di lui? Nulla. Noi non sapevamo nulla delle persone; credo anzi chefosse un meccanismo dì autodifesa non conoscere le persone.Enrico Baglioni. Come si pone, giudicandosi oggi, nei confronti della lottaarmata: un militante, un fiancheggiatore, o solo un simpatizzante?lo sono stato un militante della lotta armata. Ho capito, credo in tempo, primadi scelte irreversibili, l'impossibilità di costruire con quello strumentoqualche cosa di utile, e l'ho abbandonata alla fine del 1979. Ma non hoabbandonato i miei amici, i miei compagni, nel senso che ho continuato aseguirli. A volte, magari vedendoli. Se alcuni amici in clandestinità avevanobisogno di qualche cosa, li vedevo ancora pur non essendo più nella banda. Ioarrivo da un mondo come quello delle Adi, insie-rn* con molti altri di originecattolica che hanno dato vita a Lotta contila, un gruppo extraparlamentare nelquale la venatura cattolica si riscontra fino alla fine, dove non si parte daiprogrammi precostituiti dai congressi, ma si dice: "C'è il problema della casa aMilano, questo è il n‘stro tema centrale per i prossimi mesi". Per parecchiotempo è assente il 'Volo dello Stato concepito come antagonista, se non nelmomento culmine Wle grandi repressioni nel dicembre del 1969, quando lo Statocomincia Q"apparire, a me giovane di vent'anni, come il nemico; le lotte nonvan-

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no avanti da sole, spontanee, di volta in volta: e 'è il padrone di casa,l'imprenditore o l'Associazione industriali, ma c'è una macchina organizzata cheha anche un suo potere militare e che, di volta in volta, può decidere o nondecidere.Rispetto alle forme concrete e cruente che l'ideologia ha poi assunto, qualisono oggi le responsabilità che sente di doversi attribuire, e quali, se èpossibile, le discolpe?Responsabilità per tutto quello che la lotta armata ha fatto e, quindi, unaresponsabilità politica generale su tutto quanto è avvenuto. E` unaresponsabilità morale quella di aver permesso che il valore della vita venissesoppiantato dall'ideologia.Lei ha detto di non essersi mai considerato un prigioniero politico. Che tipo didissociazione è stata dunque la sua, quale segno e quale valore vuole avere?E` difficile che io dia giudizi sugli altri e tanto meno su di me. Quando hoscelto di aspettare che i carabinieri arrivassero un giorno o l'altro a casamia, sapevo che avrei affrontato un periodo di carcere abbastanza duro, conincomprensione da parte dei detenuti e anche un pò ' di paura fisica rispetto apossibili reazioni da parte dei miei compagni. In fondo, disertavosilenziosamente.Vogliamo andare al momento in cui si realizzava concretamente la sua diserzionesilenziosa? Parlo del momento in cui, come lei ha ricordato, i carabinierivennero a prenderla. Come andarono esattamente le cose?Una mattina, alle sette, arrivarono sette carabinieri. C'era un ordine dicattura per me, abitavo ancora con mia madre. " Ciao mamma, sono arrivati, loaspettavi anche tu, ne avevamo parlato, non ti preoccupar*-Ci vediamo presto.Verrà Paolo a trovarmi la prima volta. Questi sono ' nomi degli avvocati danominare. " Ci siamo abbracciati e sono andato via.Con che cosa, in definitiva, deve fare i conti un uomo che ha attraversato lesue esperienze?

Con i principi costitutivi della persona umana, che non esiste se non ci sonogli altri. Non sento il peso di avere dato la morte a un 'altra persona, macredo che questo non possa essere per me un alibi; penso però che conti, per unuomo, il dover riflettere sull'aver dato direttamente o indirettamente la morte.Il non aver dato direttamente la morte non è un fatto così assolutamente diversodall'avere in qualche modo accettato che altri la dessero, e persine favorito ilprogetto di chi voleva darla.... il problema è che il rodersi dentro di una persona deriva poi dalla totalitàdei suoi gesti. Io, alla fine, non sono un cattivo maestro, non sono unplagiatore, e da questo punto di vista credo che ogni uomo che l'ha data, hafatto una libera scelta. Però, sta alla coscienza dei singoli, e non credo chesu questo si possa rispondere e nemmeno che sia un bello spettacolo vedere lecontrizioni pubbliche...Quella privata c'è stata?Quella privata sicuramente, ma magari questa domanda la toglierei.Perché, mi perdoni?Credo che dei sentimenti privati forse è possibile poter parlare, ma ogni voltaho come paura per le reazioni dei parenti delle vittime, paura di violentarliancora entrando oggi in questo tipo di riflessione e presentando in pubblicopersone come me.Silveria Russo. Lei ha detto di sentire su di sé un'enorme responsabilità perl'omicidio del giudice milanese Guido Galli. Perché?Perché la mia responsabilità di proporre, di organizzare il fatto, fudeterminante; anche se non sento le stesse responsabilità di chi materialmente 'ha colpito. Inoltre, passando gli anni e quindi avendo modo di conoscere chi eral'uomo Guido Galli - allora noi non ci ponevamo assolutamente il problemadell'uomo che viveva dietro quel simbolo - mi sono resa conto che era un uomo

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buono, dedito al suo lavoro, una persona assolutamente n‘nnale, un uomo anche distudi. Noi, in quel momento, di lui vedevamo

384Sergio Zavoliquello che successivamente si chiamerà "teorema Galli": cioè un uomo dì cultura,un buon giurista, che con le sue elaborazioni, in sostanza, rende possibile unatrasformazione del processo penale, grazie alla quale è stata possibile quellache normalmente è stata chiamata ('"emergenza".Il giudice Galli, che era anche docente di criminologia, teneva seminali in cuisosteneva essere un errore il ricorso a una legislazione d'emergenza. Era,insomma, un convinto garantista. Non fu ucciso perché indagava, come del restoAlessandrini, su Prima linea?Certamente ci fu anche questo. Tuttavia, quanto al suo essere garantista,notoriamente Prima linea colpiva magistrati che avevano queste caratteristiche,cioè che erano assertori di una riforma del diritto e della magistratura chepoteva sfociare anche in una riforma del processo, di quel diritto che poigenerò le leggi dell'emergenza. Non è necessariamente un qualche cosa direazionario. E` una riforma sul piano del diritto che poteva avere anche icaratteri della trasformazione adeguata ai tempi, pur nel rispetto dellegaranzie. Dentro questo discorso, noi pensavamo che questo ruolo fosse ricopertoprincipalmente da giudici garantisti e riformisti. E abbiamo colpito due personeche avevano esattamente questi caratteri di innovazione. Di conseguenza, fra iruoli che ritenevamo fondativi di una trasformazione dello Stato c'era in primoluogo il ruolo della magistratura perché ci sembrava, nel caos generale del dopoMoro, l'unico settore che non solo teneva, ma riusciva a mettere a punto ancheun 'intelligenza, cioè una capacità di comprensione dei movimenti, delle lorofrange armate. Era capace quindi di dotare lo Stato di conoscenza e di strumentiatti a fronteggiare l'ondata terroristica. E pensavamo che questo tipo diintelligenza l'avessero principalmente i giudici collocati a sinistra, che siponevano dunque in una logica riformista, di trasformazione della magistratura,del suo ruolo nello Stato, di trasformazione del diritto e quindi anche delleregole del diritto.Usciamo per un attimo da questa grande drammaturgia e mi consenta di inserire inun discorso così grave una cosa del tutto marginale. Quando lei viene arrestataa Milano, nell'80, sl preoccupa della sistemazione di Filiberto, del suo cane.Ecco, se un cane è così vivo e presente nella sua vita, non c'è come un cortocircuito nella scala dei suoi valori?

La notte della Repubblica 385Certamente sì. Infatti - riferisco un episodio che avvenne in questura,permisero che il cane potesse stare con me nel momento dell'interrogatorio. Ildottar Calazzi, nel vedere il tipo di rapporto che avevo con questo cane cheesiste ancora, ed è a casa dei miei genitori, un rapporto forte, mi disseappunto: "Io non riesco a capire come è possibile che di lei mi dicano cosetremende eppure la vedo come una persona normale, anzi addirittura una personache ha dei sentimenti". Ecco, io sul momento resi esplicito questo cortocircuitoperché gli risposi: "Vabbe', io ho tanto amore per questo animale e ho tantoodio per le persone come lei". Allora tutto era mediato dall'ideologia e quindidal vedere le persone come simboli. Per me quel magistrato o un 'altra personache si decideva di sopprìmere era un simbolo, non era una persona.... e in quanto tale poteva valere meno di un cane. Si.Ciò che più l'ha spinta ad uscire dalla lotta armata è stato il desiderio, l'hadetto lei, di riprendersi la vita. Che significato da oggi a quelle parole? Sel'è tutta ripresa, o manca qualcosa?Evidentemente nella mia difficile situazione giudiziaria non è così semplice.Per poterla riprendere completamente, ritornare completamente a vivere, dovròfinire di scontare la mia pena che è ancora molto, molto lunga. Intanto, diciamoche dei passaggi ci sono stati. Da una condizione carceraria completamente dichiusura, grazie alla legge Gozzini ho potuto fruire di permessi premiali equindi ho potuto avere un figlio e questo per m è l'elemento che più mi da ilsenso della vita. E` proprio, fino infondo, una scelta di vita contro tutto

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quello che ho potuto compiere prima. Ed è anche un punto di ripartenza, diricostruzione della mia vita.Claudia Zan. La sua storia di terrorista ha aspetti molto singolari, tanto chela si può considerare un caso limite. Vent'annii. Adl carcere per una vicenda che, in fondo, le era estranea. Vuole Accentare?$ò Mi arrestarono nell'80 e il mio fu uno dei primi arresti a Torino,gl'onda delle accuse di Roberto Sandalo. Arrivarono in casa mia alle** di notte, sembrava un 'operazione di guerra; si precipitarono dentro

386 Sergio Tavolicon giubbotti antiproiettile e mitra spianati, e ci tirarono giù dal letto dovenoi dormivamo profondamente.Noi chi?Io, mio marito e una compagna che in quel tempo ospitavo nella mia casa.Quante armi nascondeva in casa?Adesso non ricordo con precisione, comunque c'era una borsa con, credo, due otre pistole, il calcio di un fucile. Comunque non era l'arsenale. ..Armi da guerra o no?No, armi da guerra no. Infatti questa fu, mi sembra, un 'attenuante che miconcessero poi in appello.Lei, come ha appena detto, è stata arrestata su indicazione di Roberto Sandalo,uno dei pentiti di Prima linea. Sandalo aveva ucciso, eppure ha pagato un prezzominore di quello pagato da lei che non ha mai impugnato un'arma. Ha mai pensatoa questa incongruenza?Sì, moltissime volte.E che cosa ne ha dedotto?// senso dell'assurdo, il senso della formalità delle cose che è sempre moltolontano dalla realtà della vita.Sergio Segio. Il 3 gennaio dell'82, lei fa saltare un muro esterno del carceredi Rovigo dove è reclusa Susanna Ronconi, la sua compagna. Dopo una sparatoriaSusanna Ronconi evade con altre tre detenute di Prima linea. Un passante, AngeloFur-lan, pensionato, muore di infarto. In seguito lei ha definito questo assaltoun atto d'amore. Le sembra una definizione adeguata ancora oggi?

La notte della Repubblica 387Penso a quell'avvenimento con due sentimenti contrapposti, uno di grandefelicità, l'altro di grande tristezza. Lo spirito che mi ha animato nel farequell'operazione - che era sostanzialmente, totalmente, uno spirito di amore -ha sortito un esito nefasto, sia pure accidentale. Credo che questo fatto siasimbolicamente rappresentativo della mia esperienza e delle tensioni non solomie, ma di molti di coloro che hanno fatto la lotta armata in Italia. C'è questointreccio, questa tremenda contraddizione tra spirito di vita e spirito dimorte, tra ricerca di felicità e una pratica che invece produceva solo dolore.Poi sia lei sia Susanna Ronconi venite arrestati e, una volta in carcere,decidete di sposarvi. Dopo solo due mesi la cerimonia nel carcere di Firenze.Perché in un clima di così straordinaria precarietà si prende una decisione delgenere?Per la necessità di trovare motivi di fiducia, di ottimismo e di speranza anchein una situazione apparentemente o addirittura platealmente priva di vied'uscita.Volendo sintetizzare la sua vicenda in poche parole, questo incontro tra morte evita che significato assume?Io credo di poter parlare di un amore che attraverso alcune lenti, quelladell'ideologia e quella di una lettura sbagliata della realtà, si è trasformatoin morte e in dolore.Un intellettuale - disse Che Guevara contraddicendosi non poco, e comunquefacendo il verso a una vecchia idea - non fa la rivoluzione, l'immagina, almassimo la fa fare. E` per questo che lei, Rosso, vuole chiudere dalla parte,per così dire, dei comperinosiPenso di sì. Penso, accettando questo tipo di linguaggio, che avrei volutochiudere dalla parte dei campesinos e, come qualcuno ha detto, ricominciare

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dagli ultimi, senza umiltà ma con quel tipo di violenza che ha caratterizzato lamia azione politica.A proposito di questa violenza, lei è fra quelli che decisero di DecidereWilliam Vaccher e scrisse il volantino che rivendicava u delitto. Vaccher erasolo sospettato di delazione. Nel volanti-

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no lei parla di solidarietà. Era solidarietà giudicare e poi uccidere uncompagno senza avere prove della sua colpa?(Lungo silenzio)... credo sia estremamente difficile..(Altro lungo silenzio)Posso aiutarla?... Non doveva essere più difficile allora rispetto ad oggi,vero?... sì, credo che questa osservazione sciolga la mia tensione di oggi. Ilproblema è che la carica di allora mi impedì di provare la tensione di oggi,perché allora io rappresentavo non tanto e non solo la mia organizzazione,quanto un'area che sentivo solidale con il tipo di destino dì cui parlavo. Cioè,voglio dire... con quel desiderio di essere portatore di valori assoluti.Faccio questa domanda a una persona che per tutto il tempo dell'intervista harivendicato l'uso della ragione. La ragione è per tutti qualcosa di più di ciòche pensiamo di avere, ma per qualcuno da cui dipenda la vita di altri deveessere tutto, persine più dell'amore. Lo pensava Martin Luther King. Lei è uncattolico, o almeno lo è stato, e può esserne quindi particolarmente colpito. Alei allora queste parole non servirono, se ne rammarica?Sì, penso di dovermene rammaricare perche', interpretando queste parole, l'amoredivenne una sorta di sentimento disperato nei confronti del mondo.

XVLA MURAGLIA E` INCRINATA: IL PRIMO PENTITOD'URSO, L'OSTAGGIO SALVATO DAL "FRONTEDELLA TRATTATIVA"Consumata la tragedia di Aldo Moro, le Brigate rosse investono il Paese con unaserie di attentati. E` una vera e propria raffica: sono colpiti rappresentantidei sindacati, delle forze dell'ordine, magistrati, intellettuali, giornalisti.Nel febbraio del 1980 Patrizio Peci, capo della colonna brigatista torinese,viene arrestato. E` un momento cruciale nella lotta contro le Br, le quali sirifanno vive il 12 dicembre dello stesso anno con il sequestro del magistratoGiovanni D'Urso. Il Paese rivivrà le angosce e i dubbi conosciuti durante laprigionia di Moro. Fortunatamente l'esito di questa vicenda sarà diverso.Genova, 24 gennaio 1979. Guido Rossa, 45 anni, operaio dell'Italsider, militantedel Pci, delegato della Cgil, esce di casa all'alba, come ogni giorno, perrecarsi al lavoro. E` appena salito in macchina quando cinque colpi di pistola,sparati a bruciapelo da un commando brigatista, lo uccidono. La città accogliela notizia incredula. Nelle fabbriche l'impressione è enorme. Sempre alloscoperto nelle dure battaglie sindacali di quegli anni, Guido Rossa diventa unbersaglio dell'attacco ai "miseri revisionisti berlingueriani", come si leggenella rivendicazione delle Br.Perché Rossa? Il movente del delitto è subito chiaro a quanti sanno ciò che èsuccesso fra lui e un altro operaio dell'Italsider, Cesare, nome di battaglia diFrancesco Berardi, quadro irregolare delle Br. Rossa lo ha sorpreso mentredistribuiva volantini ln fabbrica e lo ha denunciato, confermando poi l'accusada-yanti ai giudici. Berardi si impiccherà in carcere.Le Br hanno voluto vendicarsi. "Rossa era una spia" dirà

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Riccardo Dura, capo del gruppo di fuoco terrorista "e le sp|e vanno uccise. "Sembra che si fosse stabilito di ferire Rossa alle gambe e che sia stato Dura adecidere di dargli la morte.I funerali del sindacalista sono imponenti. Una voce anonima, Impaurita chiamaun'emittente privata, Telecittà. Chi par. la crede di avere riconosciuto unodegli assalitori, ma non ha il coraggio di farsi avanti, di presentarsi allapolizia.Dalla registrazione originale:Ho assistito a un attentato, un attentato delle Brigate rosse, e dopointerrogatori e foto segnaletiche mi sembra di avere riconosciuto uno di questiattentatori... Non ero solo per la strada, anzi c'era un sacco di altre persone.Io, per esempio, fui uno dei primi ad avvicinarmi e a controllare che avesserochiamato l'autoambulanza e poi andai a lavarmi le mani. Ero tutto sporco disangue... Tranquillamente, con un giornale sotto al braccio, sono andato acasa... perché io non ho visto tutta l'azione, vidi tre persone e basta... C'eradella gente che invece dalla posizione in cui era ha visto tutto quanto, però èstata zitta.La scelta delle Brigate rosse di colpire un rappresentante sindacale segna lafrattura definitiva con la fabbrica. Quel delitto risulterà cruciale nellastoria della consapevolezza operaia e del progressivo, irreversibile isolamentodelle Br. Dicono i compagni di Guido Rossa:Forse Guido lo abbiamo lasciato solo non tanto Tisicamente, quanto moralmente.E` il dubbio maggiore che abbiamo al nostro interno. Però a nostra scusante, ascusante di tutto il movimento operaio, potremo dire questo, che noi eravamoconvinti di una cosa, di una corazza che proteggeva la classe operaia: l'essereclasse operaia. Noi pensavamo che non sarebbero scesi così in basso da colpireveramente né 1 o-peraio, né il delegato sindacale, quello che per noi èl'essenza della democrazia.Un fatto è certo, che il movimento operaio non potrà mai delegare a un gruppo ilsuo destino e non legittimerà mai un ruolo guida con la violenza armata.Si entra, intanto, in un tunnel di uccisioni, ferimenti e ag guati che potrebbesfociare, è il timore di molti, in una sorta strisciante, endemica guerracivile. Dal giugno del 1978, su DI dopo la morte di Moro, al dicembre dell'81,trascorrono * mesi ossessionanti. E` il momento più buio di quegli anni-

statistiche segnalano una concentrazione e una continuità di attacchi maiconosciute, né prima né dopo, nell'intera Europa.Il numero delle formazioni armate attive in Italia, che è passato da 2 nel 1969a 91 nel 1977, sarà di 269 nel 1979: la punta più alta. Nel 1978 il numero degliattentati è triplicato rispetto all'anno precedente. L'anno dopo registrerà lacifra record di 659. Non bastano a rassicurare il Paese, le cui vicendepolitiche sono largamente condizionate dalla pressione terroristica, gli arrestiordinati il 7 aprile dal giudice Pietro Calogero, che sgominano il vertice diAutonomia operaia.Un mese più tardi, il 3 maggio, le Brigate rosse attaccano a Roma la sede delComitato regionale della De di piazza Nico-sia. E` una azione di guerriglia inpiena regola. Nel conflitto a fuoco vengono uccisi l'agente Piero Ollanu e ilbrigadiere Antonio Mea. Un altro agente, Vincenzo Ammirata, resta ferito.Il partito armato si rifa vivo il 13 luglio, quando nelle aule di giustizia diRoma e Milano hanno inizio i primi grandi processi per direttissima. AntonioVarisco, colonnello dei carabinieri, assai noto negli ambienti giudiziari romaniperché comandante del Nucleo traduzioni del tribunale, viene ucciso a Ponte Mat-teotti mentre si reca al Palazzo di giustizia. Due giorni dopo si sarebbecongedato dall'Arma. Capo del gruppo di fuoco è Antonio Savasta.Dall'interrogatorio in Corte d'assise, a Roma:

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Savasta: Per operazioni del genere, c'è sempre una simulazione. Così è stato perl'uccisione del colonnello Varisco.Santiapichi: Come è avvenuta per il colonnello Varisco questa simulazione?Savasta: Ecco, si riproduceva la stessa situazione come se ci fosse 1 attentato,sullo stesso luogo, nello stesso percorso, e alla stessa ora.Santiapichi: Si prendeva però un'altra macchina, no?Savasta: Sì, sono state prese altre macchine.Santiapichi: Si prendeva un'altra macchina e su questa macchina si Metteva unapersona alla quale si dava il compito di fare...Savasta: ... no, con il colonnello Varisco stesso, la macchina era Duella delcolonnello Varisco; una nostra auto si affiancava più di una v‘lta a quella delcolonnello per provare la possibilità, appunto, di agganciarsi, e poi diaffiancarla e di superarla.Santiapichi: Questo, quando è avvenuto?

392Sergio ZavoliSavasta: E` avvenuto nei due mesi di preparazione.Uno stillicidio di delitti apre il 1980. Gennaio, 3 agenti uccisi a Milano:Rocco Santoro, Antonio Cestari e Michele Tatuili. A Genova, un colonnello deicarabinieri, Emanuele Tuttobene cade insieme con il suo autista, Antonio Casu. AMestre, è la. volta di Silvio Gori, un dirigente del Petrolchimico di PortoMarghera.Il 12 febbraio, a Roma, all'Università La Sapienza, viene ucciso VittorioBachelet, professore di diritto amministrativo, vicepresidente del Consigliosuperiore della magistratura. A sparargli davanti all'aula di Scienze politicheintitolata ad Aldo Moro, suo amico e collega, sono un giovane e una ragazza.Bachelet, per nove anni presidente dell'Azione cattolica, era considerato unodei più fini giuristi italiani. Massimo Severo Giannini, che lo aveva avuto comeallievo, scrive: "Ogni suo contributo si segnalava per il rigore del metodo, perl'accuratezza dell'informazione, per la capacità di organizzare in modosistematico l'inventiva giuridica".Pochi giorni prima dell'agguato, sebbene consapevole che il suo nome figuravanelle liste degli obiettivi da colpire, a proposito della legislazioned'emergenza Bachelet aveva detto:Bisogna pure che le soffriamo tutte insieme quelle leggi, intensamente, come unanecessaria diminuzione della nostra persona e della nostra umanità. Ma se eranoassolutamente indispensabili, e andavano urgentemente approvate, non per questodobbiamo ignorarne l'ec-cezionalità. Solo l'impegno morale, solo un riscattomorale può salvarci e io ho fiducia, tanta fiducia nella forza umana, civile delnostro popolo.Ai solenni funerali di Stato sono presenti le più alte autorità del Paese. Lamessa nella chiesa di San Roberto Bellarmino e officiata dal cardinale vicarioUgo Poletti. Durante il rito accade qualcosa che si fa ricordare: il figlio diBachelet, Giovanni, al momento della preghiera dei fedeli pronuncia questeparole:Preghiamo per i nostri governanti, per i giudici, i poliziotti, i carabinieri,gli agenti di custodia e per quanti oggi, nelle diverse respon" sabilità - nellasocietà, nel Parlamento, nelle strade - continuano 1‘ prima fila la battagliadella democrazia con coraggio e amore. Vog'ia

La notte della Repubblica 393jflo pregare oggi anche per quelli che hanno colpito il mio papa perché, senzanulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci siasempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta dellamorte degli altri. Preghiamo.Parole che suscitano ammirazione, ma anche sconcerto. Con la loro tensione,morale e civile, segnano però l'inizio di un nuovo modo di intendere la gravequestione del rapporto fra vittime e colpevoli.Nel frattempo, il quadro politico ha subito significativi mutamenti. Sulla scenacampeggia ora una realtà lungamente annunciata: il progetto di Aldo Moro si èdissolto. La formula della solidarietà nazionale, la cui natura consociativadettata dall'emergenza era insieme la sua forza e la sua debolezza, non ha

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retto. La De ha rifiutato la proposta del Pci di inserire nel governo alcuniesponenti della sinistra indipendente. I comunisti annunciano una durissimaopposizione. Andreotti, il 20 marzo 1979, vara il suo quinto governo, ma diecigiorni dopo rinuncia. Battuto sul nascere, il gabinetto era composto dademocristiani, socialdemocratici e repubblicani. Scioglimento delle Camere: sivota il 3 giugno. I risultati segnano una leggera flessione della De e un calodel Pci, fautori dell'ultimo corso politico. Seguono vari tentativi di formareil governo. La crisi si trascina fino ad agosto, tra veti incrociati e riservesu come affrontare la legislatura. Si arriva così alla designazione di FrancescoCossiga, ministro dell'Interno durante i 55 giorni di Moro. Fanno partedell'esecutivo democristiani, liberali e socialdemocratici, con l'appoggioesterno dei repubblicani e l'astensione dei socialisti.Ai primi di aprile dell'80, risoltasi una crisi di 30 giorni, Cossiga vara ilsuo secondo governo, stavolta con l'ingresso dei socialisti. Passa un semestre el'accordo è di nuovo rotto. Dopo un mese si arriva alla designazione di ArnaldoForlani, il quale resterà in carica fino al maggio dell'81, quando la scoperta aCa-stiglion Fibocchi dell'archivio di Licio Gelli farà esplodere lo scandalodella Loggia segreta P2.Sono mesi inquieti. Partiti e sindacati vivono una stagione Difficile. Nelprendere atto di una grave crisi delle vendite sul i internazionale, la Fiatannuncia la decisione di mettere

394Sergio Zavoliin cassa integrazione 24.000 operai e di licenziarne 14.000. \ sindacatirispondono con uno sciopero ad oltranza, bloccando di fatto le fabbriche. Glioperai capiscono che è in corso una battaglia cruciale nella storia delsindacalismo italiano. E il pcj la cui base soprattutto operaia non aveva maidel tutto accettato la politica del compromesso storico, persegue ora unrecupero di identità. Berlinguer, di fronte ai cancelli della Fiat Mira-fiorioccupata, il 26 settembre 1980 dice: "Se gli operai occuperanno glistabilimenti, il Pci li sosterrà pienamente perché" aggiunge il segretariocomunista "possano durare un'ora di più rispetto all'intransigenza della Fiat".Ma la Fiat compie una mossa a sorpresa che scompiglia l'unità dei lavoratori efa vacillare i picchetti: sospende i licenziamenti e riduce a tre mesi la cassaintegrazione al 90 per cento del salario. Dopo 34 giorni di sciopero, il 14ottobre Torino è teatro di una clamorosa protesta: 40.000 fra dirigenti, capi-squadra, impiegati, definiti "colletti bianchi", rivendicano il diritto ditornare al lavoro. E una manifestazione imponente, che produce una fortespaccatura tra le maestranze della Fiat. Il giorno dopo viene firmato l'accordo.Da quel momento la grande azienda torinese fissa un modello di relazioniindustriali che segnerà il futuro decennio.Domenica 23 novembre 1980, alle ore 19,34 e 50 secondi, la terra trema a Napolie più violentemente in Irpinia e in Basilicata: migliaia i morti e i feriti. Insette province non si contano i senzatetto. Vengono alla luce antiche, colpevoliimprevidenze. Tardano i soccorsi. Monta la polemica sui giornali e inParlamento. Il presidente Sandro Pertini si reca tra i senzatetto. La suapresenza fra i terremotati viene letta anche come una sorta di monito. Alritorno a Roma, in un messaggio televisivo, il capo dello Stato usa paroleangosciate per i lutti e le devastazioni, e durissime per le improvvisazionidella macchina dei soccorsi.Un'ondata di pur giuste censure offre però pretesti per solle vare contro laclasse politica una qualunquistica protesta. ^ chi parla di una spregiudicatastrumentalizzazione da parte de la P2. In coincidenza con il terremoto,Berlinguer annuncia

La notte della Repubblica 395Salerno la nuova politica del Pci. Il discorso produce qualche sbandamento ancheal vertice del suo partito. Certo, la prospettiva dell'incontro con le forzecattoliche, socialiste e laiche resta sullo sfondo, ma è di fatto l'addiodefinitivo alla linea della solidarietà nazionale in vista di un nuovo progetto:l'alternativa democratica.

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19 febbraio 1980. Gli uomini del generale Carlo Alberto dalla. Chiesa arrestanoin gran segreto, a Torino, Patrizio Peci. E` il capo della colonna torinesedelle Br. Con lui c'è un altro terrorista: Rocco Micaletto. A distanza di tempoPeci dirà:... poi c'è stato il mio arresto. Da qui posso iniziare il discorso della miascelta di dissociazione. Quando mi hanno arrestato c'erano cose che già sipercepivano, almeno per quel che riguarda me, da cinque o sei mesi.Indubbiamente l'arresto è un aiuto a rendersi conto della realtà. In quelmomento il mio era un discorso di resa, e un riconoscimento degli sbagli,dell'impotenza politica. Però non andava al di là di questo. I primi tempi,voglio essere sincero, il problema non era tanto quello che, d'accordo, ho fattodei morti, ho sbagliato... c'era il problema di fare arrestare dei compagni cheavevano lottato con me, e lo sentivo particolarmente perché uno lavora tre anniin una organizzazione a livello clandestino, e due anni a livello regolare, efinisce per arrivare a questa decisione drammatica di mandare in galera i propricompagni. Questo è il nocciolo: non lasciarli fuori significava impedire altriomicidi. Sembra una cosa semplicissima, però, a livello umano, questo discorsorichiede di immedesimarsi nella logica del clandestino ricercato da anni,braccato da tutti. Eppure, lasciando fuori queste persone, ci sarebbero statialtri omicidi, altri morti. Ecco, questo è stato il mio problema fondamentale,inizialmente. Poi la galera, i miei due anni e quattro mesi di carcerazione mihanno fatto riscoprire i valori che avevo appiattito all'interno della lottaarmata. Ho riscoperto cosa significava la morte. Per noi, di fatto, non avevavalore. Vedevamo la morte come un atto di giustizia; era questo, Punto e basta.E se anche a livello umano poteva crearci qualche problema, non veniva allaluce, non lo percepivamo più. Io ho sostenuto P'u di una volta che il nostro, aun certo punto, era diventato un mestiere...Diranno più tardi alcuni giudici: "Prima delle sue rivelazioniDavamo all'anno zero nella conoscenza delle organizzazioniandestine". Gli interrogatori di Peci si trasformano per i suoi

396 Sergio Zavoliex compagni in una travolgente valanga di accuse. Memoria di ferro, preciso finoalla pedanteria, egli fornisce agli investigatori un'imponente quantità dinotizie che condurranno alla scoperta di decine di covi e all'arresto di un grannumero di militanti e fiancheggiatori.Le Brigate rosse, un anno dopo, rapiranno per rappresaglia il fratello Roberto,artigiano a San Benedetto del Tronto, con la moglie in attesa di un figlio.Verrà condannato a morte dopo una sorta di processo che i brigatisti hannofilmato: ecco, tratta da quel documento, la contestazione dell'accusa e lasentenza:Voce: L'unico rapporto della rivoluzione con i traditori è l'annientamento. Cosapensi di questo concetto?Peci: II concetto potrebbe anche essere giusto, penso che bisogna analizzare laparola traditore...Voce: Che intendi?Peci: Che non mi sento un traditore.Voce: In base al processo proletario a cui sei stato sottoposto, in base aglielementi emersi durante questo interrogatorio, in base all'analisi di questielementi, le Brigate rosse concludono il processo a Roberto Peci condannandolo amorte per tradimento.Il gruppo brigatista guidato dall'ex criminologo Giovanni Senzani, pergiustificare l'uccisione del fratello Roberto, sostiene che Patrizio era statoarrestato due volte. Il generale dalla Chiesa dopo la prima cattura lo avrebberimesso in circolazione perché raccogliesse informazioni al fine di smantellarela struttura operativa delle Br. Questa tesi è stata sempre fermamente respintasia dal pentito sia dagli inquirenti.Il 28 marzo 1980, a Genova, i carabinieri fanno irruzione in un appartamento aln. 12 di via Fracchia. Dall'interno tre uomini e una donna aprono il fuoco. Icarabinieri rispondono. Nella sparatoria tutti i brigatisti restano uccisi. Ilblitz di via Fracchia suscita una quantità di sospetti e polemiche sulcomportamento delle forze dell'ordine. In loro difesa interviene il generaledalla Chiesa:

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C'è stato un conflitto tra carabinieri, che operavano nei confronti di un covodove si riteneva esistessero dei clandestini, e clandestin che hanno reagito.Voglio precisare che il primo a cadere a terra 'u

La notte della Repubblica 397un nostro maresciallo, il maresciallo Benà, che non venne colpito a un pignolo,o a una gamba, ma in un occhio, e l'occhio è nella testa! possiamo dire solo chela fortuna lo ha aiutato. Quindi, la reazione dei carabinieri intervenuti fu nonsolo legittima, di difesa, ma propor-zjonata all'offesa ricevuta.A Milano, tre giorni dopo i fatti di via Fracchia, le Brigate rosse irrompono inuna sezione della De e feriscono per rappresaglia quattro persone. Racconta unodei feriti, Antonino Iosa, presidente del circolo culturale cattolico "CarloPerini":La sera del 1 ‘ aprile mi sono recato nella sezione della Democrazia cristianain via Mottarone 5 per ascoltare una conferenza tenuta dall'amico on. NadirTedeschi. Eravamo una quarantina di iscritti ad ascoltare questa relazionequando, verso le dieci meno un quarto, sono penetrati all'interno della sezionequattro terroristi incappucciati, guidati da una donna, i quali ci hannointimato di alzare le mani; uno di loro si è incaricato di fare unaperquisizione per sottrarci tutti i documenti che avevamo nelle tasche, compresele chiavi della macchina e dell'abitazione. Poi, ci hanno intimorito mostrandole armi e dicendo: ecco, vedete, quando il popolo è armato di queste, per voi èfinita. E ci accusavano, anche: è per colpa vostra che sono stati uccisi inostri quattro compagni in via Fracchia. Eravamo veramente spaventati. Alla finei terroristi, dopo averci tenuto un quarto d'ora sotto sequestro, insultandoci,hanno scelto quattro dei presenti: l'on. Nadir Tedeschi, che era il relatoredella serata, il segretario di sezione Eros Robbiani, il sottoscritto in quantoresponsabile del circolo culturale "Carlo Perini", che vive ed opera da quasitrent'anni nella città di Milano, e l'amico Emilio De Buono, e ci hannogambizzato sparando a distanza di un metro. Io ho preso tre colpi alla gambadestra che mi hanno causato la lesione dell'arteria tibiale, e un colpo allagamba sinistra che è stato veramente micidiale perché non solo mi ha causato lospappolamento del nervo sciatico, ma ha anche leso l'arteria popli-tea.Dall'amputazione delle gambe sono stato salvato miracolosamente quando, quattrogiorni dopo, fui operato all'ospedale di Brescia.Milano, 28 maggio 1980. Una giornata fredda, di pioggia. Walter Tobagi, inviatospeciale del "Corriere della Sera" e prendente dell'Associazione lombarda deigiornalisti, viene ucciso a Pochi passi da casa, mentre sta andando inredazione. Cade riverso sull'asfalto, fra strada e marciapiedi. Il delitto èrivendicato dalla Brigata 28 Marzo, di cui fanno parte Marco Barbo-ne> 22 anni,Paolo Morandini, Mario Marano, Daniele Laus,

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Manfredi De Stefano, Francesco Giordano, tutti, più o meno coetanei di Barbone.Lo chiameranno il gruppo dei "ragazzini", gli ultimi "fieli del terrore".Plagiati dal mito rivoluzionario, uccidono, si dice per meritarsi l'ammissionealle Brigate rosse. Le motivazioni dell'agguato sono contenute in un volantinoche fa discutere ancora oggi. Si tratta di un testo in alcune parti farneticantema in altre assai lucido e puntuale nel descrivere la situazione della stampaitaliana; vista, pare a molti, con la precisione di un addetto ai lavori. Lasera prima di essere ucciso, Tobagi aveva parlato al Circolo della Stampa diMilano. Nella conclusione del discorso c'era come un presagio della sua fine:E` vero che c'è un imbarbarimento della società italiana che tocca tutti, masappiamo, purtroppo, come nasce questo imbarbarimento, e possiamo dunque

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meravigliarci ogni volta che scopriamo degli effetti prodotti da questasituazione? Tutte le volte ripetiamo gli stessi appelli, poi le cose vannoavanti come prima, stando a vedere a chi toccherà la prossima volta.La tesi proposta dalla pubblica accusa, e accolta nelle successive sentenze, nonindividuerà mandanti occulti del delitto, ma sulla vicenda rimarrannoinquietanti zone d'ombra. Ricorda Carlo Tognoli, allora sindaco di Milano:Vidi Tobagi per l'ultima volta pochi giorni prima che fosse assassinato, quandovenne nella sede comunale a farmi un'intervista. Parlammo di elezioniamministrative, e alla fine ci fu anche uno scambio di valutazioni. Commentaialcuni suoi articoli sul terrorismo e gli dissi che secondo me la matrice,quella vera, della violenza terroristica era pur sempre marxista-leninista,stalinista e non cattolica, come alcuni sostenevano; e su questo, Tobagi che erasocialista, ma anche cattolico, mi diede perfettamente ragione. Commentando isuoi articoli l'avevo in un certo senso messo in guardia. Tra questi articoli cen'era uno intitolato "Non sono samurai invincibili", nel quale incominciava aindividuare alcuni punti deboli dell'organizzazione terroristica. Tobagiriconobbe che questo poteva essere pericoloso. Quel giorno notai che aveva untono particolare, quasi dimesso, come se fosse preoccupato.Gli uccisori di Tobagi finiranno davanti a una Corte d'assise. Barbone verràcondannato a otto anni e sei mesi di reclusiO' ne, ma contestualmente allalettura della sentenza, passata 1‘

",giudicato, gli sarà concessa la libertà provvisoria. E una conclusione da piùparti definita scandalosa; ma è il premio, si obietta con qualche comprensibileimbarazzo, per avere collaborato. Appena in carcere, infatti, Barbone si eradichiarato pentito, rivelando i nomi di decine di militanti delle formazioni diguerriglia e aprendo ampi squarci nella questione oscura dei rapporti traAutonomia operaia organizzata, i suoi capi e maestri e le organizzazioniclandestine. Ugo Intini, deputato socialista:Nell'ultimo anno della sua vita Tobagi fu al centro di una campagna di odioperché aveva capovolto la maggioranza della Federazione della stampa,cancellandone l'egemonia comunista a Milano. Lo ricordo quando a 18 anni venneall'" Avanti! " per chiedere di fare il giornalista.10 allora ero capocronista e cominciò così la nostra collaborazione. Luiera a cavallo tra la seconda e la terza liceo, venne a lavorare durante levacanze estive. Quando lo uccisero, il ricordo, l'affetto, fecero sì chel'" Avanti! " scatenasse quella che chiamammo una campagna di giustizia e di verità e che fu motivo, naturalmente, di polemiche. Una campagna di giustizia perché a noi sembrava che due anni di carcere perl'assassinio di un uomo fossero francamente una pena irrisoria e perciòscandalosa. Una campagna di verità perché ci convincemmo che nelprocesso non era emersa la verità intera per due motivi: primo, perché11 volantino di rivendicazione dell'assassinio a noi sembrava scritto nonda ragazzi, ma da gente che conosceva a fondo il mondo del giornalismo milanese; secondo, perché si scoprì non ad opera della magistratura, ma ad opera dell'" Avanti! ", che un infiltrato tra i terroristi, sei mesiprima dell'assassinio, aveva inviato una memoria ai carabinieri nellaquale spiegava esattamente dove sarebbe avvenuto l'attentato e qualisarebbero stati i responsabili: gli stessi, egli diceva nella memoria, cheavevano tentato il sequestro circa un anno prima, e cioè Barbone e lasua fidanzata. E` incredibile come ciò sia venuto fuori per l'iniziativa diun quotidiano, è incredibile come di ciò non si sia tenuto conto, comenon se ne sia parlato nel processo. Paradossalmente, il quotidiano socialista è stato incriminato per avere scritto queste cose, per avere condotto questa campagna che a noi sembrava, ripeto, di giustizia e di verità; e parlamentari socialisti, tra i quali io stesso, furono processati perun reato d'opinione: un caso, credo, assolutamente unico.Una voce anonima si rivolge al centralinista del giornale rodano "IIMessaggero". Sono le 22 del 12 dicembre 1980.Qui Brigate rosse. Abbiamo prelevato il magistrato Giovanni D'Ur-s‘- Chiudereimmediatamente il carcere dell'Asinara. Segue comunica-

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400Sergio ZavoliGiovanni D'Urso ha 47 anni, è sposato, ha due figlie, dirige l'ufficio III dellaDirezione generale degli istituti di prevenzione e pena, una struttura che iterroristi sorvegliano con attenzione perché da qui partono gli ordini ditrasferimento con la destinazione dei detenuti.Il sequestro avviene senza spargimento di sangue in una viuzza del quartiereAurelio, mentre il magistrato sta per rientrare a casa.L'operazione D'Urso si inserisce nella nuova campagna brigatista decisa dalladirezione strategica durante una serie di riunioni estive a Tor San Lorenzo.Nuovi obiettivi del potere statale da abbattere: le carceri speciali, acominciare dall'Asi-nara, un penitenziario fatiscente e tuttavia classificato"di massima sicurezza". D'Urso, si dice, è sotto processo proletario. Ibrigatisti lo definiscono "il massimo responsabile di tutto quanto concerne iltrattamento di tutti i proletari detenuti sia nelle carceri normali sia neicarceri speciali. "Si forma subito un fronte della fermezza e un altro della trattativa. Riecheggianel Paese la tragica esperienza di Moro e la polemica, allargandosi ai partiti,ripropone dubbi e contrapposizioni che dai giornali rimbalzano sull'opinionepubblica. "Non bisogna trattare, ma trattarli con durezza" scrive Leo Valianisul "Corriere della Sera". Si susseguono i vertici a Palazzo Chigi. ArnaldoForlani, presidente del Consiglio, è per una soluzione che non implichi unaggravio dell'emergenza, mentre i magistrati, che si attestano su un frontepressoché compatto, chiedono misure eccezionali.La moglie del giudice lancia questo accorato messaggio:Io, Franca D'Urso, insieme con le mie figlie Lorena e Giada, desidero rinnovarel'appello agli uomini delle Brigate rosse affinchè mi‘ marito venga rilasciatoal più presto e incolume. Intendo inoltre impegnare qualunque mezzo in miopossesso perché alla fine prevalga l'umana comprensione. Desidero, infine,notizie sullo stato di salute assai cagionevole di mio marito. Abbiate pietà ditutti noi.Il giorno di Natale, a due settimane dal sequestro, quando si è al quarto,minaccioso comunicato brigatista, il segretario del Psi, Craxi, fa distribuirealla stampa un comunicato della dire-

La notte della Repubblica 401zione del suo partito in cui si afferma che la chiusura dell'Asi-nara puòapparire una concessione ai brigatisti, ma in realtà, sono parole testuali,"essa coincide con un adempimento assolutamente giustificato e da più partirichiesto". Viene così offerta ai rapitori del giudice la possibilità di evitareun barbaro crimine.Ventiquattro ore dopo il ministro di Grazia e Giustizia annuncia lo sgomberodell'Asinara. Sul governo si abbattono critiche e polemiche. Si leva l'accusa,specialmente dei comunisti, di avere ceduto al ricatto terrorista.Enrico Berlinguer:Dal repentino e ostentato sgombero della sezione di massima sicurezzadell'Asinara ai colloqui e alle riunioni tollerate e autorizzate nelle carceridi Trani, di Palmi, di Milano, fino al mutismo sulla questionedell'atteggiamento della stampa: uno scempio della legalità unito allaabdicazione inaudita del governo, al dovere di precisare, seguire, un chiaroindirizzo politico.Flaminio Piccoli:Occorre dire qui che per noi la fermezza si è sempre accompagnata, e siaccompagnerà sempre, alla ricerca dei modi e delle vie per garantire la vita dichi è in pericolo; e questo non come un tema secondario rispetto allasalvaguardia del bene comune e delle istituzioni de-mocratiche, ma come un temaumano e politico centrale della nostra coscienza politica.D'improvviso il caso si complica. Il 28 dicembre scoppia una violenta rivoltanel carcere di Trani. Un gruppo di detenuti sequestra 19 agenti di custodia.Chiede la chiusura delle supercarceri e la pubblicazione sui giornali dei loroproclami. Il governo risponde con fermezza. Uomini dei Gis, gruppi di interventospeciale dei carabinieri, piombano nel carcere dagli elicotteri. Il blitz va asegno. In due ore gli ostaggi sono liberati. Ma le Br rispondono immediatamente

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all'azione delle "teste di cuoio". Alle 19 del 31 dicembre dell'80, due uomini,fingendosi fattorini, uccidono il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi c"esta tornando a casa con la moglie, dopo la messa. Galvali-81" responsabile inseconda dei servizi di sicurezza nelle carceri, era pressoché sconosciuto. Al difuori del suo ambiente pochi

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sapevano che avesse incarichi speciali. Si ha l'impressione che le Br abbianoinformazioni riservate, di prima mano, e ciò fa aumentare preoccupazioni epaure. Quattro giorni dopo l'ucci, sione di Galvaligi, il 4 gennaio dell'81, leBr annunciano:D'Urso è condannato a morte, ma la sentenza è sospesa.La sua sorte è nelle mani dei comitati di lotta delle carceri dì Palmi e diTrani. Quanto accade è frutto di una leadership nuova, quella di GiovanniSenzani, che ha ormai preso il controllo dell'organizzazione.GIOVANNI SENZANI, laureato in lettere a Bologna, criminologo, esperto inproblemi carcerari, è la mente dell'ultima strategia brigatista. A lui sidovranno ricondurre altre clamorose imprese delle Br: il sequestro e l'omicidiodi Roberto Peci, compiuto per rappresaglia contro il fratello Patrizio, e ilsequestro e la liberazione dell'assessore regionale della Campania, CiroCirillo, con lo strascico degli inquinamenti camorristi, del coinvolgimento diuomini dei Servizi segreti, di funzionari delle carceri, e di ventilateinframet-tenze della De.Con una mossa a sorpresa Senzani coinvolge i mass media. La vita di D'Urso saràsalva se verrà pubblicato un proclama sottoscritto dai detenuti del carcerespeciale di Trani.Scatta il black-out del fronte del rifiuto. Gianni Letta, direttore del "Tempo",è il primo a dire di no. Giuliano Zincone, direttore de "II lavoro", decide peril sì. Rappresentano il punto di maggiore divaricazione del dilemma.Sulla stessa linea di Gianni Letta prendono posizione varie testate, fra cuiquelle radiotelevisive, sia pure con atteggiamenti più articolati, e iquotidiani del gruppo Rizzoli, ad eccezione de "II lavoro" di Genova, come si èdetto.IlaIl "Corriere della Sera", diretto da Franco Di Bella, pubblica un brevecomunicato nello spazio riservato agli articoli di f‘n do: il quotidiano hadeciso di opporre il "silenzio stampa" su richieste dei terroristi.Sul fronte opposto sono schierati, con "II Lavoro", "II saggerò", l'"Avanti!","La Nazione" e "il manifesto", che dichiarano, per motivi e con toni diversi,contro il stampa.

Giovanni Spadolini:Io, come giornalista, non ho mai dimenticato la professione, ed ero contro ilblack-out; bisogna però dire che un minimo di coordinamento si imponeva equindi, pur contrario alla misura radicale del silenzio... auspicai una forma dicollaborazione fra l'amministrazione della giustizia e la stampa; ma sempre inuno spirito di volontariato e di spontaneità, mai subendo imposizioni.Il 10 gennaio il ricatto si fa stringente. Quarantotto ore di tempo, dice ilcomunicato n. 9 delle Br, per pubblicare il documento dei detenuti di Trani e diPalmi, o D'Urso verrà ucciso.La procura della Repubblica di Roma risponde con 65 ordini di cattura controaltrettanti detenuti in quelle stesse carceri. L'accusa è di concorso nelsequestro. Se dunque D'Urso venisse ucciso, l'imputazione si trasformerebbe inconcorso in sequestro e omicidio premeditato. I radicali percorrono molte strade

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per tenere aperta la trattativa. L'azione di Marco Pannella è a tutto campo.Dopo avere formulato varie ipotesi, fermi nella richiesta di verifìcare ognipossibilità, pur nell'ambito delle leggi, i radicali decidono di utilizzare lospazio di una "Tribuna politica flash" della Rai offrendolo alla famigliaD'Urso. La sera, sugli schermi della Tv, appare la giovane figlia del giudicesequestrato.Sono Lorena D'Urso. Stavo venendo con mia madre, ma purtroppo si è sentita malee allora parlo io. Il Partito radicale ci ha concesso questi quattro minuti perparlare a mio padre, Giovanni D'Urso, e a voi perché sappiate e ci aiutiate.Avete per anni, direttori di giornali o giornalisti, scritto giornali interisulle Brigate rosse, e adesso tutto ad un tratto non volete nemmeno stampare duecolonnine di giornale. Ma volete davvero che mio padre sia ucciso? Perché? Comeè possibile per un pezzo di carta? Siete ancora in tempo per lasciare le Brigaterosse senza alibi e senza ragioni umanamente concepibili, senza infarcii scuse.Non assassinate né gli uni né gli altri un uomo innocente. Scegliete la vita,liberate mio padre. Lo vogliono le donne e gli uomini italiani. Italiani, donne,uomini, aiutatemi, aiutateci. Come Scia-scia, come Eleonora Moro, come StellaTobagi, come Andrea Casale-gno hanno già fatto. Salvate un innocente. Liberatemio padre. Adesso vi leggo un pezzo del comunicato di Palmi: "E come leammissioni rese dal boia D'Urso alle Brigate rosse dimostrano eccellentemente,^g'i si è reso responsabile direttamente delle truci politichecontrorivoluzionarie che l'esecutivo ha voluto mettere in atto... ".

404Sergio ZavoliQuell'inusitata e drammatica "Tribuna politica flash" avrà come appendice questeparole:Abbiamo trasmesso una "Tribuna politica flash" del Partito radicale. Taletrasmissione è stata diffusa a richiesta del partito interessato che, in base alregolamento, vi può far partecipare chi vuole. La Rai, pertanto, è estraneaall'iniziativa.Il retroscena della vicenda viene così descritto da Gianfranco Spadaccia:Nel momento più difficile, più delicato della lotta per salvare la vita delgiudice D'Urso, noi offrimmo alla famiglia uno spazio di "Tribuna politica";fummo poi accusati di aver costretto la figlia del giudice D'Urso, LorenaD'Urso, a leggere quel comunicato delle Brigate rosse in televisione. In realtàera accaduto esattamente il contrario. Pan-nella aveva preparato il testo di unappello alle Brigate rosse ed era decisamente contrario alla lettura delcomunicato. Si impose, invece, la famiglia, si impose Lorena D'Urso, e del restocredo che emerga abbastanza bene dal filmato: la ragazza comincia con unappello, ma poi legge il comunicato che la famiglia intendeva fosse letto. Fummopresentati, invece, come coloro che l'avevano costretta da "la Repubblica" e da"l'Unità". Poi ci sono state cause per diffamazione. Devo dire che oggi, rivistaquesta registrazione televisiva, penso che Lorena abbia avuto ragione; chequesta immagine agghiacciante di una ragazza costretta a definire "boia" suopadre abbia avuto una influenza determinante nella guerra psicologica che dasoli, per molte settimane, abbiamo condotto per la salvezza del giudice D'Urso.Le Brigate rosse erano divise fra quelli che stavano in carcere e quelli chestavano fuori e questa guerra psicologica, questo giudizio, questa valutazionedell'opinione pubblica furono, credo, determinanti...Un comitato per la salvezza di D'Urso, di cui fanno parte Eleonora Moro, StellaTobagi e Andrea Casalegno, insieme con altri parenti di vittime del terrorismo,preme sulla stampa; ma la posizione di molti quotidiani è netta: sipubblicheranno i comunicati soltanto dopo la liberazione del giudice.Il 15 gennaio, all'alba, D'Urso viene ritrovato in catene, ma in discretecondizioni, all'interno di una piccola automobile. Come per Moro, i brigatistihanno sfidato ogni controllo: la macchina viene rinvenuta a poche centinaia dimetri dal mini" stero di Grazia e Giustizia, in via Portico d'Ottavia. Mastavolta l'ostaggio è vivo.

La notte della Repubblica 405Interviste ad Alfredo Bonavita, Enrico Fenzi, Alberto Fran-ceschini, PatrizioPeci, Roberto Rosso

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E` vero che alcune piccole azioni furono fatte all'inizio per ve-rifìcare ciòche provocavano? Franceschini.In un certo senso sì, c'era un aspetto sperimentale: quello di capire lareazione dei mass media. Perché per noi i giornali sono stati importanti comepunto di riferimento.Mi sta forse dicendo che, poniamo, lei stesso va a compiere un'azione perleggere all'indomani i giornali e vedere quali reazioni ha provocato?Sì, non era un aspetto puramente individuale; riguardava l'utilizzo dei massmedia in generale, e lo avevamo chiaro sin dall'inizio.Da questo punto di vista qual è stato il ruolo oggettivo dei mass media inrapporto all'escalation del terrorismo?Credo che di per sé l'azione terroristica sia una notizia già confezionata.1Quando correvate a vedere i telegiornali dopo le vostre azioni, o la mattina vimettevate in ascolto della radio, o leggevate i quotidiani, non contavate anchesul fatto che in un Paese democratico la stampa non è reticente, ma al contrariova a cercare i fatti, li indaga, non si censura?Certo, questo era il punto fondamentale per noi; sapevamo che in un Paesedemocratico i mass media devono dare l'informazione... però sape-v<*mo anche chel'avrebbero data in un certo modo: cioè, se non c'era la c"nsura, c'era peròquella che noi chiamavano la manipolazione. Sapeva-m‘ che l'uso che i mass mediaavrebbero fatto delle nostre cose sarebbe sta-to certamente diverso da quelloche noi avevamo preventivato...òòò l'uso che i mass media avrebbero fatto delle cose o l'uso c e altri poteriavrebbero fatto dei mass media in rapporto a cose?

406 Sergio ZavoliSì, probabilmente è più corretto dire come ha detto lei adesso: l'uso che altripoteri ne avrebbero fatto, tramite i mass media.La minaccia di black-out, che in qualche misura si realizzò come fu interpretatada voi? Fu qualcosa che vi danneggiò?// black-out sarebbe stato il massimo dei danni per noi. Il terrorismo in unPaese a capitalismo avanzato, può avere una sua dimensione di massa, diciamocosì, in termini di pura rappresentazione, solo attraverso i mass media. Misuriil tuo rapporto con le masse secondo lo spazio che tu occupi sui mass media.Quindi, da questo punto di vista, la provocazione di McLuhan che diceva di"staccare la spina" era tutt'altro che sbagliata; ma in uno Stato democratico èimpraticabile. Nel nostro discorso sul Sim, semplificando, pensavamo che tra ungiornalista e un tutore dell'ordine la differenza era minima, cioè tutti e dueeseguivano, secondo noi, degli ordini, operando in settori diversi.Eppure - non voglio fare il difensore d'ufficio di una corporazione che fral'altro è la mia - il giornalismo si comportò responsabilmente, in quei giorni,moderò con misura qualunque tipo di enfatizzazione che potesse giovarvi. Ve neaccorgeste?Sì, furono momenti di grosso dibattito, di grossa crisi, crisi anche di identitàdei giornalisti; tanto è vero che, mi sembra, molti smisero di scrivere sulterrorismo.I giornalisti hanno pagato un prezzo molto duro; non si sono limitati a fare lacronaca delle vostre gesta, hanno perduto addirittura la vita.Certo, Casalegno, per esempio. Certo...... e i gambizzati... Montanelli... Rossi... ed altri!... poi Tobagi...... sì, Tobagi che fu ammazzato, assassinato.

407La notte della RepubblicaBonavita, quale ruolo hanno avuto i mass media in tutta la vostra storia?Un ruolo fondamentale. Hanno creato un po' il mito dei Robin Hood, dei braviragazzi; fondamentalmente meritato, fra virgolette, perche' allora non sisparava. Poi hanno amplificato le imprese, che sono diventate gesta, quandoerano banalissime azioni armate. Mi viene in mente via Fani: parlavano tedesco,non parlavano tedesco, le armi sofisticate, l'addestramento. Queste cose quipesano, influiscono sull'opinione della gente; mentre, lo sappiamo bene - basta

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documentarsi sui verbali del processo - in via Fani di tedeschi non ce n 'erano,e 'erano quattro individui, operai, studenti, ex, gente come me...Che cosa immaginavate che fosse, come pensavate che si muovesse, a chi credevateche si ispirasse la macchina dell'informazione nel nostro Paese? Fenzi.Per quanto riguarda la lotta armata, il terrorismo, immaginavamo che ci fosse uncontrollo ferreo, cioè direttive superiori del governo, o del ministerodell'Interno, delle direzioni di polizia o dei carabinieri. Ma questocorrisponde al fatto che allora si pensava al nemico in termini di estremasemplificazione e compattezza e totalizzazione. Era un universo in cui tutto sitiene, tutto corrisponde. Tutti i conti tornavano sempre. Poi ho visto che non èaffatto così.Se i giornali e la televisione avessero deciso il black-out sui comunicati cherivendicavano i diversi delitti, come avrebbe reagito l'organizzazione?Eravamo molto presuntuosi, e quindi pensavamo che non fosse possibile. C'era inquesto senso una contraddizione, vedevamo tutto organizzato e tutto diretto etelediretto; nello stesso tempo, però, credevamo che tacere su quello cheavveniva non fosse possibile perché ci consideravamo troppo importanti, e che lenostre azioni fossero troppo clamorose per pensare a una forma efficace eradicale di black-out.La stampa, la televisione, la radio, dal vostro punto di vista, hanno commessodegli errori?No, non credo. Naturalmente si giudicavano come cose retoriche, dovu-te,diciamo: il solito linguaggio deploratoria o i telegrammi di condoglian-Ze o gliaggettivi come "aberrante", "feroce", "assurdo" o "folle" ecc.

408Sergio ZavoliE curioso come lei consideri retorico l'aggettivo "aberrante", che lei stesso hausato per giudicare quei fatti...Certo, è vero, ma io credo di essere cambiato e che dietro quella retorica, cifosse qualcosa di molto più grande e più serio di quello che noi allora,volevamo vedere. Per noi la vita umana non contava nulla, e tutto quello che sirichiamava ad essa con gli aggettivi ci suonava retorico. Era il disprezzo perla vita umana che ci faceva vedere tanta retorica.Il fatto di avere tanto parlato di voi è servito ai vostri obiettivi?No, non è servito; o, probabilmente, in alcune fasi finali, è servito a rovinarealcuni giovani che attratti dal mito delle Brigate rosse hanno fatto di tuttoper entrarci. D'altra parte, entrandoci, hanno anche indebolito le stesseBrigate rosse; quindi, alla fin fine, è un conto molto difficile da fare. Quelloche è risultato è che siamo stati rifiutati da questa società. E di questasocietà fanno parte i giornali, la radio, la televisione. Il bilancio è questorifiuto.Come giudica il tremendo episodio dell'esecuzione di Roberto Peci che Senzani,si dice, fece filmare o filmò lui stesso?Questo è uno dei capitoli più tragici, se si possono fare delle distinzioni.Penso che abbia costituito veramente un punto di svolta. Ne abbiamo discusso incarcere, durante l'ora d'aria, quando è uscito un giornale che diceva: "E` statafilmata l'esecuzione". Dopo aver discusso a lungo abbiamo deciso che non eravero, che era una provocazione per infamare le Brigate rosse. Ricordo che nonavevamo detto nulla contro l'uccisione, mentre l'avere fotografato l'esecuzioneha fatto scattare un rifiuto che l'esecuzione stessa non aveva fatto scattare.Questa è la pura verità, ed è una cosa strana, che merita forse qualcheriflessione in più. Si diceva, in carcere, che il traditore, l'infame, deve inogni caso venire ucciso; quindi e e-ra, diciamo così, una copertura preventiva aquesto tipo di morte. E invece il filmato introduce un elemento di disumanità,di spettacolarizzazione, di crudeltà mentale che ha suscitato repulsione. Inquesto caso le immagini ci hanno messo davanti agli occhi la verità. Sono staterivelatici ai questa ambizione, questa megalomania: uccidere per lanciare unmessaggio, fotografare perché una cosa è vera solo se esiste nei mass media, se

La notte della Repubblica 409viene filmata per eternizzare un momento di giustizia proletaria, così comefurono filmate, che so, le fucilazioni in Spagna durante la guerra civi-le. O

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per dire: noi siamo come quelli della Resistenza che fucilavano i traditori, elo vogliamo testimoniare. Ecco, la sproporzione tra le ambizioni, lamegalomania, la presunzione, la crudeltà di tutto ciò, e l'effettiva realtà diquesto ragazzo, è diventata esplosila guardando quelle foto: è stato veramenteun momento drammatico, tenibile.In psicologia si dice che l'orrore esorcizza l'orrore; in questo caso è accadutoil contrario...Sì, senz'altro.Lei sa, Peci, da chi nacque l'idea di sequestrare suo fratello Roberto?Secondo me nacque all'interno del carcere e da lì venne suggerita fuori. E ladecisione di ucciderlo?Anche qui ebbe una grande importanza il settore carcerario, che in quel tempofaceva riferimento al partito della guerriglia.Suo fratello Roberto venne tenuto prigioniero 54 giorni, prima di essere ucciso.Come li visse, lei? Che cosa veniva a sapere di giorno in giorno?Leggevo quello che scriveva lui, leggevo quello che dicevano le Brigate rosse...C'è qualcosa che rimpiange di non aver fatto in quei 54 giorni? Pensa cheesistesse una possibilità di salvarlo?Io ci penso spesso, ci penso tantissimo. Si era creata una situazioneincredibile in cui, secondo me, la possibilità era praticamente inesistente. P&quello che riguarda me e la mia famiglia abbiamo cercato di fare tut-to- Ma leBrigate rosse dovevano avere fatto delle ipotesi su come sfruttare 0 lorovantaggio, per esempio, la circostanza del mio "doppio arresto" da Parte delgenerale dalla Chiesa, se fosse stata vera. A quel punto doveva ^mettersi ilgenerale dalla Chiesa, doveva dimettersi il giudice Caselli: Perchérilasciandomi, pur essendo ricercato, avrebbero commesso un reato.

410 Se rgio ZavoliA quel punto mio fratello non sarebbe stato più niente per loro e avrebberoraggiunto l'obiettivo politico. Questo era praticamente impossibile, dato che lastoria del "doppio arresto" era falsa. Quindi è rimasta una squalli, da vendettatrasversale e basta.Quando e da chi e come seppe la notizia della morte, dell'uccisione di suofratello?Lo seppi da un carabiniere. Al mattino.Come reagì?Come si può reagire in una situazione del genere...Malgrado tutto, Peci, si sente aperto al perdono o no?Assolutamente.Assolutamente no?Assolutamente no. Per una cosa del genere non sono disposto a perdonare nessuno.Che cosa, di quella esecuzione, giudica più disumano, più inaccettabile?Tutto, nell'insieme. Nel modo in cui è stata ideata, eseguita, non c'è niente diumano.Prima che si ritorcesse contro di lei, probabilmente aveva condiviso la regoladella vendetta nei confronti del delatore. Ci ha mai pensato?E che cosa e 'entrava mio fratello? Io non me la sono mai presa con nessuno,cioè me la sono presa con delle persone che ritenevo... ma ff& con dei parenti.Io ho evitato delle azioni, quando c'ero io, perché c'erano dei bambini oaltri... non me la sono mai presa con nessun parente. ò òRosso, quale ruolo ebbero i mass media nella costruzion della vostra identità?

La notte della Repubblica 411Ebbero un ruolo fondamentale. La nostra identità era tutta giocata sulsignificato e sugli echi delle nostre azioni. Perché sin dall'inizio furonoconsiderate azioni politiche e noi vivevamo con soddisfazione questo paradosso:di vederci formalmente, letteralmente negata questa legittimità politica, salvopoi essere trattati al cento per cento come soggetti politici nel momento in cuisi parlava di noi.E se avessimo staccato la spina?Credo che sarebbe stato lo stesso, perché i media che staccano la spina poidebbono parlare di sé che staccano la spina. Credo che non cambi nulla; cioè,bisognerebbe che i media non esistessero.

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Un giorno, il 4 gennaio del 1981, si pose drammaticamente il problema di comerispondere a un nuovo ricatto brigatista. Le Br chiedevano che, in cambio dellavita di D'Urso, fosse pubblicato un comunicato a firma dei detenuti del carcerespeciale di Trani. Mai la categoria si lacerò tanto come di fronte a queldilemma. Gianni Letta, parlando alla radio, si pronunciò per primo a favore delblack-out. Zincone, invece, si schierò sul versante opposto.Interviste a Gianni Letta e Giuliano ZinconeLetta, il 5 gennaio dell'81 "II Tempo" annuncia ai suoi lettori che non sipiegherà al ricatto. Con quali parole?Queste: "II Tempo" non si presta a questo ricatto e perciò, coerente-mente aquanto già annunciato, si limiterà anche questa volta a dare soltantoinformazioni essenziali sull'angosciosa vicenda, rinunciando volontariamente apubblicare i proclami, le motivazioni, i giudizi e le minacce del comunicato n.8. Noi avevamo pubblicato un 'intervista a McLuhan, " quale invitò a "staccarela spina" se si voleva avere ragione del terrorì-srno. Fu una espressione sullaquale molti di noi discussero a lungo, ma WcLuhan voleva dire che solo togliendoai terroristi la cassa di risonanza ‘fferta loro spontaneamente dai giornali,dalla radio e dalla televisione, si Poteva forse spegnere il loro messaggio diviolenza e di morte. Noi aveva-7/20 aperto su quella intervista un lungodibattito, al quale parteciparono

412 Sergio Zavoligiornalisti, sociologi, uomini politici, personaggi della vita pubblica italianadi tutte le ideologie, di tutte le formazioni, di tutte le culture. Ed eravamoarrivati alla conclusione che forse McLuhan aveva ragione. Quando ci trovammo difronte all'appello dei rapitori di D'Urso, direttamente rivolto ai nostrigiornali, sentimmo la responsabilità di dare attuazione concreta, pratica,seriamente, responsabilmente, a ciò che avevamo dibattuto in sede teorica. Ecosì ci comportammo.Con quali parole ti rivolgesti agli ascoltatori del Gr2 la mattina del 5?Leggendo ciò che avevo scritto per il giornale dell 'indomani e rivolgendocontemporaneamente un appello alle altre testate, agli altri giornali italiani,affinchè questa decisione non rimanesse isolata.Chi aderì?I primi ad aderire furono lo stesso Gr2 dai cui microfoni rivolgevo l'appello,poi il Tgl, poi il "Corriere della Sera", l'intero gruppo Rizzali, con la solaeccezione del giornale diretto da Giuliano Zincane, "II Lavoro". Poi l'agenzia"Aga", "II Paese", "L'Avvenire" e, il giorno successivo, "l'Unità" e altri.Sinceramente, Letta, dopo tanto tempo, nessuno scrupolo, nessun ripensamento?Eppure era in gioco la vita di un uomo, no?E` stata, come potrai immaginare, la pagina più drammatica della mia vita. L'hovissuta con angoscia, con tormento, e quando dico "drammatica" lo dico senzanessuna retorica. Però ritenevo che fosse una scelta doverosa, avevo fattoappello alla responsabilità mia e dei miei colleghi, con assoluta coscienza, inassoluta consapevolezza; e forse, oggi, tornerei a farlo con maggior convinzionedi allora.Furono tempi in cui i giornalisti si confrontarono con molte cose, con sestessi, con la propria coscienza, con la gente, con le redazioni. Come reagironoi tuoi redattori? Come reagì la gente che incontrasti, la tua stessa famiglia?Prima di pubblicare ciò che avevo scrìtto riunii i miei redattori e dissi cheassumevo in piena coscienza questa decisione, ma che ovviamente non

La notte della Repubblica 413volevo coinvolgere chi non si sentisse di condividerla. Lasciavo, come eradoveroso e ovvio, piena libertà di dissenso a chiunque. Nessun giornalista de"II Tempo" si dissociò e fui confortato da tutta la redazione. Firmai col mionome, ma esprimendo un punto di vista che non era mio personale, ma del giornale"II Tempo". Alla stessa maniera ebbi il conforto, il consenso, il sostegno,l'aiuto, la forza per andare avanti, da mia moglie e dai miei figli, cheovviamente ho coinvolto. Una notte, nel mio studio a piazza Colonna, arrivaronola moglie e lefiglie del giudice D'Urso. Puoi immaginare ciò che ho passato, ciòche ho dovuto vincere in me stesso, su me stesso, per trovare la forza diconvincere quella moglie, quelle figlie, che la mia decisione era giusta e

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doverosa; e che forse era l'unica per salvare la vita al giudice D'Urso. Ifatti, dopo, mi hanno dato fortunatamente ragione. Ma mi chiedevo, in quelleore, e mi sono chiesto per tanti giorni: "Se poi le cose andranno male... ?".Come si congedarono, quella notte, i familiari di D'Urso?Tra le lacrime, loro e mie. Ma da parte loro con una carica, che io comprendevoe rispettavo, di risentimento. Io con una grandissima sofferenza, quasi conrimorso, ma con la ferma determinazione di rimanere sulla mia posizione. Leconvinzioni si rovesciarono la mattina in cui il giudice D'Urso fu liberato, ela sorte volle che fosse proprio un fotoreporter del "Tempo", Rina Barìllarì, ascoprire dietro via delle Botteghe Oscure la macchina in cui era prigioniero,legato e imbavagliato, il giudice D'Urso. Io fui chiamato alle cinque delmattino a casa, e potemmo dare con una edizione straordinaria la notizia dellaliberazione di D'Urso, che fu anche la mia liberazione.Posso aggiungere una cosa soltanto. Hai detto che in quella occasione lacategoria dei giornalisti si lacerò. Io dico che invece, in quella occasione, lacategoria dei giornalisti dette prova di grandissima responsabilità; perché, purnella divisione, pur nel rispetto reciproco di posizioni diverse, chi favorevolee chi contrario alla pubblicazione, avevamo preso l'abitudine, sera dopo sera,di consultarci tra tutti i direttori per scambiarci le opinioni, confrontarci edecidere insieme, ognuno in piena libertà di tenere la Propria linea. Fu allorache cambiò qualcosa nella stampa italiana nei confronti del terrorismo.Una prova di quella lacerazione, una storia specularmente ‘Pposta, è quella diGiuliano Zincone. Come decidesti di non aPplicare il black-out e con qualimotivazioni?

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La decisione fu dettata naturalmente dalla pena che si provava per oue. sto uomoin pericolo di vita; ma era coerente rispetto alla mia convinzi0ng secondo laquale i giornalisti devono pubblicare tutto. Non ho avuto affatto la sensazionedi aver ceduto a un ricatto, ho pensato di fare semplìce. mente il mio mestiere.Anzi, ho trovato una contraddizione molto strana nella stampa di quel periodo.Ho visto che, in generale, si privilegiava quello che faceva più comodo aiterroristi: l'efferatezza delle loro imprese la cosiddetta potenza geometricadei loro assalti, e invece si metteva tra parentesi il lato più vulnerabiledella loro attività e cioè i documenti. /,a mia posizione era questa: dare menospazio, e quindi valorizzare di meno, la violenza militare dei terroristi chepurtroppo faceva proseliti, e invece dibattere e discutere i loro documenti chesecondo il mio punto di vista, e credo secondo il punto di vista di tutti,ormai, erano proprio il lato più fragile della loro organizzazione.Zincone, torniamo a quel 5 gennaio. E` vero che la proprietà minacciò lachiusura del tuo giornale?Io appresi la notizia dalla Tv, e naturalmente la cosa era preoccupantesoprattutto per la redazione; nel senso che mi ero assunto le mieresponsabilità, ma evidentemente non potevo mettere a rischio il posto di lavorodi duecento persone per una scelta fatta da me in totale autonomia. La miadecisione era ferma, ma consideravo necessario che tutto il giornale siesprimesse su un argomento tanto importante.E vero che ricevesti un telegramma dalla tua azienda in cui si diceva, grossomodo: "Puoi andartene subito, il giornale verrà firmato dal direttore dellaDivisione quotidiani"?Sì, certo. Ricevetti questo telegramma, proprio dal direttore della Divisionequotidiani, nel momento in cui, già dimissionario, avevo preso w decisione dipubblicare il documento. Tutto, allora, si accelerò enormemente e assunse unadimensione un pò ' drammatica...

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Per tre anni e mezzo, tornato al "Corriere", riceverai lo stipendio senza maiscrivere...Vorrei precisare un pò ' la mia posizione. Io non ho mai avuto ostiMa neiconfronti di quelli che hanno abbracciato il partito della fermezza,riconosciuto la loro buona fede e la riconosco tuttora. Quelli che aveva

una posizione secondo me professionalmente giusta, dato che pubblicare lenotizie è il mestiere del giornalista, e poi anche umanitaria, dal momento chesi trattava di contribuire a salvare una vita umana, venivano invece consideratifiancheggiatori dei brigatisti.Letta e Zincone, quel giorno foste nettamente divisi. Dopo tanto tempo, staserasiete nella condizione di dire ciascuno che cosa pensa della tesi dell'altro.Zincone Io l'ho già detto: rispetto la tesi degli altri, l'ho sempre rispettata.Avrei voluto, in quel tempo, che anche gli altri rispettassero la mia, il chenon è avvenuto.Letta Da parte mia, per la verità, ci fu non solo pieno rispetto, ma pienacomprensione nei confronti tuoi e di tutti gli altri direttori; ce ne sonoaltri, anche di giornali autorevoli e grandi, che non aderirono a questo invito.Io ho avuto sempre, ripeto, dialogo quotidiano con loro, discussione, confronto.Sono rimasto della mia idea, penso che fosse quella giusta.Emilio Rossi - che, come si è detto, era allora direttore del Tgl, e vennegambizzato dalle Br all'imbocco di via Teulada -rappresenta la voce del mediatelevisivo."L'azione terroristica è una notizia confezionata per i mass media. Primasparavamo, poi correvamo a sentire la radio o a vedere il telegiornale o aleggere i quotidiani": sono parole di Alberto Franceschini, uno dei capi storicidelle Brigate Rosse. I mass media, dunque, diventavano fatalmente megafoni, equindi compiici involontari, dell'azione della propaganda armata. Qual era ildovere del giornalista rispetto all'opinione pubblica, alle istituzioni, alloStato? Rossi.L'informazione è certamente un valore, un grande valore. Ma non credo un valoreillimitato, il valore dei valori. Non darei al black-out, Quindi, un significatoassoluto; così come non enfatizzerei il contrario. Credo che la nostra dovesseessere un 'informazione selettiva, consapevole del fatto che era in giocol'etica della responsabilità. Voglio dire che non dovevamo farci megafoni, eperciò compiici, della violenza terroristica. Qualcuno sostiene che enfatizzareil disagio sociale, diciamo pure la pau-

416 Sergio Zavolira della gente, faceva il gioco del terrorismo: è vero, ma anche qui si p0.Irebbe sostenere il contrario. In ogni caso va aggiunto che c'erano i pTe.supposti perché il Paese potesse subire effetti dall'esito incerto, tali famettere in causa valori fondamentali come le garanzie democratiche, a cominciaredalla convivenza civile. Questa, sì, è una paura che ho avuto! Ed è, credo,quella stessa paura che ha determinato nel Paese un complessivo raccogliersi deicittadini attorno alle sue istituzioni, con la determinazione di difenderle.

XVISULLA SCACCHIERA "IL NERO MUOVE":L'EVERSIONE NEOFASCISTACHI COPRE I VARI SCENARI DEL TERRORE?STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA

2 agosto 1980. Un turista svizzero torna dalle ferie. Il treno su cui viaggia,YAdria Express, ha lasciato Rimini da circa un'ora e sta entrando nella stazionedi Bologna. Durante la sosta il turista filmerà un altro ricordo della vacanza.L'orologio segna le 10,25, l'obiettivo fissa una scena di devastazione.Una bomba di eccezionale potenza è esplosa nella sala d'aspetto di secondaclasse: 85 i morti, 200 i feriti. Due vagoni del treno in sosta sotto lapensilina sono stati anch'essi investiti dallo scoppio. E` l'attentato piùsanguinoso avvenuto in Italia. La scelta di un giorno di punta del trafficoestivo, e dello snodo ferroviario più importante dell'intera rete nazionale,dice che si voleva esattamente quanto è accaduto: un eccidio senza precedenti.

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La città colpita è il capoluogo emiliano, la cosiddetta "capitale rossa",amministrata da una giunta di sinistra che, non solo in Italia, ha una sua famadi esemplarità. Due giorni prima, a Bologna, il giudice istruttore avevadepositato la sentenza di rinvio a giudizio dei neofascisti toscani accusatidella strage del treno Italìcus. Anche questa circostanza, che pure potrebbeessere casuale, induce ad avviare le indagini nell'area del terrorismo nero.Alla fine di agosto, sulla base di un rapporto della Digos, ma anche ditestimonianze e dichiarazioni di detenuti, partono 1 primi ordini di catturacontro alcuni neofascisti appartenenti 31 Nar, a Terza posizione, al Movimentorivoluzionario popolare. Tra gli ordini di cattura, quelli per Sergio Calore,Fran-cesca Mambro e, successivamente, per Massimiliano Fachini e GiuseppeValerio Fioravanti.

418 Sergio ZavoliAi giudici che conducono l'inchiesta giungono anche notizie e segnalazioni inbase alle quali i sospetti dovrebbero essere indirizzati oltre confine.L'ipotesi che scaturisce da quelle indicazioni è di un complotto internazionalein cui sarebbero implicati terroristi stranieri e neofascisti italiani latitantiall'estero con collegamenti in Italia. Ma tutto questo risulterà essere unmontaggio fatto a tavolino con vecchie informazioni e notizie completamenteinventate. Ai giudici di Bologna apparirà come un'operazione di inquinamento edepistaggio progettata ed eseguita dagli uomini di un settore deviato del Sismiallora diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2. Il generalePietro Musumeci, capo della Divisione controllo e sicurezza, anch'egliappartenente alla Loggia P2, e il suo vice e collaboratore, colonnello GiuseppeBelmonte, saranno condannati per avere prefabbricato la falsa prova di uncomplotto internazionale.Il 13 gennaio 1981, in una vettura di seconda classe del treno espresso 514Tarante-Milano, viene scoperta una valigia che contiene otto lattine piene diesplosivo, un mitra Mab, un fucile automatico da caccia, due biglietti aereiMilano-Monaco e Milano-Parigi. Il rinvenimento è stato possibile grazie a unasegnalazione dei Servizi segreti. L'operazione, chiamata "Terrore sui treni",era in realtà un falso del gruppo deviato del Sismi, il quale voleva accreditarela tesi secondo cui gli attentati erano opera di centrali eversive straniere,come poteva dedursi da una fonte, naturalmente, segreta.La Corte d'assise di Roma accerterà che "la fonte non esisteva e le informazionierano false, costruite nell'ufficio di Musumeci e Belmonte, con la connivenza diSantovito".Nella sentenza della Corte si legge:La ricostruzione dei fatti, basata su prove documentali e testimoniali, e sulledichiarazioni degli stessi imputati, fa emergere una macchinazione sconvolgenteche ha obiettivamente depistato le inda' gini sulla strage di Bologna. Sgomentache forze dell'apparato statale, sia pure deviate, abbiano potuto così agire,non solo in violazione della legge, ma con disprezzo della memoria di tantevittime inno*

La notte della Repubblica 419centi, del dolore delle loro famiglie e con il tradimento delle aspettative ditutti i cittadini, a che giustizia si facesse.Intervista a Torquato SecciTorquato Secci, presidente dell'Associazione familiari delle vittime dellastrage di Bologna: lei pensa che lo Stato si sia fatto carico compiutamente diuna così grande, dolorosa tragedia individuale e collettiva?No. Posso dire, per esempio, che mentre si è provveduto per i morti e per ifamiliari delle vittime, non è stato preso ancora in considerazione ilrisarcimento dovuto a coloro i quali sono rimasti feriti, e feriti in manieramolto grave.In quali forme e per quali ragioni, concrete e ideali, la lunga indeterminatezzadelle indagini e degli iter giudiziari ha ulteriormente pesato sul dolore dipersone come lei?In maniera decisiva perché era una tensione continua, che non trovava nessunaragionevole giustificazione. Noi eravamo già convinti dei depi-staggi che siverificavano, e non accettavamo l'indifferenza con la quale questi depistaggi

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proseguivano portando i tempi a lunghezze eccessive. Resta comunque un problemagravissimo, quello dell'approvazione della nostra proposta di legge diiniziativa popolare per l'abolizione del segreto di Stato nei delitti di stragee terrorismo. Nel 1984, pensando che il segreto di Stato avrebbe potuto renderedifficile la ricerca della verità, preparammo questa proposta di legge. Ma daallora - e sono passati sei anni - non è mai uscita dal cassetto dentro cui,guarda caso, è rimasta ben chiusa.Lei è testimone di storie che dicono quanto quella strage abbia lasciato deisegni profondi nei destini delle persone sopravvissute. Perché non racconta lasua storia?Mio figlio era di passaggio a Bologna. Si era laureato al Dams. Era Mato moltobravo, il professore lo teneva in grande considerazione. Stava guardandosiintorno per iniziare una propria attività, e quel mattino do-Veva andare aBalzano. Il treno sul quale viaggiava arrivò in ritardo, veniva da Viareggio.Dovette aspettare un altro treno che partiva dopo le

420Sergio Tavoli10,25, quello della strage. Ma non è morto subito, è morto il 7 agosto dopo unapenosissima trafila nella quale, tra cure e il resto, gli avevano tagliato lagamba destra. Era bruciato completamente, era bruciato anche un polmone. La suaagonia è stata terribile. Fu una di quelle vittime che venne visitatadall'onorevole Pertini, al settimo piano dell'Ospedale Maggiore.Lei di dov'è, signor Secci? Sono di Temi.E quel giorno dov'era? Ero a Terni.Quando arrivò a Bologna?La mattina successiva, perché non sapevamo dove rivolgerci. Senon-ché, nelviaggio per Bologna, ritelefonai a casa. Mia moglie aveva saputo che era statoportato all'Ospedale Maggiore, e quindi l'avrei trovato lì. Sono sceso allastazione di Bologna e la prima cosa che mi ha commosso, in quella città, è statoil fatto che mi si affiancò un autista e mi disse: "Lei è un familiare? Dovedeve andare? Venga con me, ci penso io". Lo guardai come per dire: "Ma questoche c'entra, che vuole?"; e invece no, gli dissi: "Io ho mio figlio che è graveall'Ospedale Maggiore", e lui mi portò. Durante il viaggio mi disse: " Guardi,in tutti questi giorni che si trattiene qui stia tranquillo, prenda il taxiperché il Co mune ha pensato a tutto quanto". Difatti fu così.Fu facile o difficile trovare il suo figliolo?No, no, fu facilissimo; fu facilissimo perché era stato individuatoperfettamente. Io, arrivando, salii direttamente al decimo piano. Lì e'era ilcentro di recupero. Suonai e venne ad aprirmi un dottore. Quindi mi preparò,perché in effetti mio figlio era un rudere, un rudere! Dopo un pò ' arrivai alui, e lo vidi tutto intubato, senza la gamba, bruciato, con momenti diincoscienza e momenti di coscienza. Nei momenti di coscien~ za gli facevocoraggio e lui faceva un verso con la bocca, come era uso fare, quasi volessedirmi: "Per carità, non ci sperare neanche!". E ti così è stato.

La notte della Repubblica 421Anche su un altro tragico evento di quell'estate pesano, rut-t'altro chedissipati, gravissimi sospetti. Un DC-9 dell'Itavia, partito da Bologna ediretto a Palermo con 81 persone a bordo, si era inabissato nel mare di Usticala sera del 27 giugno 1980. Abbattuto da un missile o da una bomba esplosaall'interno dell'aereo?Davanti alla Commissione stragi del Parlamento, alti ufficiali e uomini deiServizi segreti spesso non ricordano o si contraddicono. Dopo dieci anni,insomma, non c'è traccia di verità da consegnare, anzitutto, ai familiari diquei morti. E` un altro mistero della Repubblica.Nell'istruttoria che è alla base del processo di primo grado sulla strage diBologna, si fa riferimento a presunti ruoli di Lido Celli nelle operazioni didepistaggio messe in atto, con qualche apparente assonanza, per tutte e due letragedie. Nel processo d'appello Celli è stato ampiamente scagionato da questiaddebiti. A prescindere dal contesto giudiziario, la figura di Licio Celli è trale più singolari e inquietanti del dopoguerra.

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LIGIO CELLI nasce a Pistola nel 1919. A diciotto anni partecipa come volontarioalla guerra di Spagna. Nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, lavora allaFederazione fascista di Cattare nel Montenegro. Dopo l'8 settembre torna aPistoia, dove intrattiene rapporti, di natura controversa, con il comandotedesco e con alcuni esponenti locali di formazioni partigiane, con indirizzipolitici divergenti, monarchici e anarchici. Nel 1948 diviene segretario deldeputato democristiano Romolo Diecidue, con il quale colla-borerà a lungo.Quindi entra alla Permaflex, dove fa rapidamente carriera fino a diventaredirettore dello stabilimento di Prosinone. Nel novembre 1963 si iscrive allaMassoneria, e alla fine del 1971 viene nominato segretario organizzativo dellaLoggia Propaganda 2, di cui in breve tempo riesce a incrementare notevolmentegli iscritti.Nel dicembre 1974, la Loggia Propaganda 2 è sciolta, ma nel 1976, superandol'opposizione del Gran maestro Lino Salvini e dei maestri venerabili delle altrelogge, Celli ottiene la costituzione di una nuova formazione indicata comeLoggia P2, interamente nelle sue mani e a sua esclusiva discrezione, comeaccerterà poi " comitato dei Saggi. Personalità di grande interesse tra i nuovi

422 Sergio Zavoliiscritti è il generale Giovanni Allavena, ex capo del Sifar, il Servi-ziosegreto militare protagonista di gravi episodi di deviazione a sfondo golpistanegli anni Sessanta. Nella sentenza della Corte d'assise per la strage allastazione di Bologna si afferma che la capacità di intervento del venerabile nonavrebbe potuto espandersi in maniera così ampia senza avere acquisito - èscritto testualmente - quel formidabile strumento di controllo, quellaformidabile leva di ricatto, costituiti dai fascicoli del Sifar.I fascicoli raccoglievano notizie riservate su dirigenti politici, sindacalisti,finanzieri, industriali, giornalisti, sacerdoti, ed altre categorie di cittadinipiù o meno importanti. Si afferma che parte dei fascicoli fosse custodita daCelli in Uruguay, dove nel maggio 1981 sarebbe stata sequestrata dal serviziosegreto di quel Paese. Soltanto sedici di quei fascicoli sono stati recuperati erisultano agli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, che hachiuso i suoi lavori nel 1984. E` sicuramente documentato, si legge nellarelazione di maggioranza della stessa Commissione, un coinvolgimentosignificativo di uomini della loggia nel golpe Borghese.Gli anni che vanno dal 1976 all'81 segnano un periodo cruciale nella storiadella P2; viene redatto il cosiddetto "piano di rinascita democratica" cheindica le linee portanti di un articolato programma d'intervento in moltidelicati settori della vita pubblica italiana: vertici politici e amministratividello Stato, apparati militari, magistratura, informazione ecc., secondo unafilosofia di segno autoritario.E` il 17 marzo 1981. Nella villa di Licio Celli, a Castiglion Fibocchi, irrompela Guardia di Finanza. Agisce per ordine della magistratura milanese che staindagando su Michele Sin-dona, il finanziere siciliano la cui vertiginosacarriera è stata bruscamente interrotta prima dal crack della propria bancaprivata, poi dalla scoperta non solo del suo coinvolgimento nel crollo del BancoAmbrosiano, ma anche degli stretti rapporti finanziari che lo legavano allamafia. Fuggito negli Stati Uniti per sottrarsi all'arresto, è protagonista di unfinto sequestro di persona che gli consente di rientrare, per breve tempo, inSicilia. Ricondotto a New York viene poi estradato in Italia. Benché sottoposto,in carcere, a ferreo controllo, sarà ucciso con una tazzina di caffè avvelenato.L'inchiesta spinge i giudici sulle tracce di Celli. Obiettivo dellaperquisizione a Castigli‘n

La notte della Repubblica 423Fibocchi è, appunto, la ricerca di un collegamento tra il capo della P2, Sindonae Calvi. Viene fuori, invece, dell'altro.La Finanza scopre una lista di 962 nomi: è l'elenco, sembra parziale, degliiscritti alla loggia. Contiene uno spaccato dell'Italia dei Palazzi. Vi figuranomagistrati, uomini politici, imprenditori, esponenti del mondo bancario,giornalisti e ben 195 ufficiali delle tre Armi e dei Servizi segreti, tra iquali dodici generali e otto colonnelli dei carabinieri, otto ammiragli,ventidue generali dell'Esercito, cinque della Guardia di Finanza, quattro

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dell'Aeronautica. Molti di essi collocati in posti chiave: il capo del Serviziosegreto (Sisde), il segretario generale del Comitato esecutivo per i Servizi,tre ex vicecomandanti dell'Arma dei carabinieri, il comandante generale dellaGuardia di Finanza e il suo predecessore.E` uno scandalo che scuote il Paese. Il governo interviene. Il presidente delConsiglio, a quell'epoca Arnaldo Forlani, ordina la pubblicazione della lista enomina un comitato di tre saggi (Vezio Crisafulli, Lionello Levi Sandri e AldoSandulli) perché fornisca elementi conoscitivi e critici sulle attività dellaP2. La diffusione dell'elenco provoca un terremoto: è un succedersi di protested'innocenza, pentimenti, dimissioni, esoneri. Si scopre anche qualche elementodi infondatezza, come la presenza nell'elenco di alcuni personaggi risultati maiiscritti.La vicenda, nel suo insieme, è così inquietante da spingere il Parlamento anominare una Commissione di inchiesta, presieduta da Tina Anselmi, i cuirisultati testimonieranno della natura segreta, e per certi aspetti eversiva,della P2. Premesso che le liste sequestrate a Castiglion Fibocchi "sono daconsiderarsi autentiche e attendibili", la Commissione perviene a un giudiziomolto severo sulle finalità e i metodi della loggia; anche se talune conclusioniverranno ridimensionate o contraddette dalle risultanze processuali, seppure nontutte definitive. Come diranno i tre saggi nella loro relazione, la P2 è unaloggia "assolutamente anomala": lo è per la natura delle sue iniziative, moltedelle quali intrecciate con i cosiddetti "misteri d'Italia", e perl'incontestabile presenza, al suo interno, di uomini collocati nel cuore stessodelle istituzioni repubblicane e

424 Sergio Zavolipresenti nelle vicende più oscure della nostra storia recente: da piazza Fontanaal caso Moro.L'inseguirsi delle voci si fa incalzante. A cominciare da quello sul numerodegli iscritti che, secondo molti, è più alto di quanto risulti dall'elenco. Lostesso Celli parlerà, in una intervista a "L'Espresso", di 2400 persone. Comedire che la lista pubblicata è solo la punta dell'iceberg. La ridda delleipotesi è a questo punto incontrollabile: si ipotizza anche l'esistenza di uncomitato esecutivo massonico a Montecarlo, nel quale sarebbero confluiti isuperstiti della P2. Nessuno riuscirà ad accertarlo con sicurezza.Certo è che Celli, un uomo complesso che per molti versi continua a essere unmistero, non perde tempo. Intanto, scompare. Passeranno mesi prima che se neritrovino le tracce: è in Svizzera dove, il 13 settembre 1982, su mandato delleautorità italiane, viene arrestato. Si scoprirà che nelle banche ginevrine avevabeni per 100 milioni di dollari. I magistrati, che continuano a indagare sulcrack dell'Ambrosiano e sui rapporti tra Celli e Roberto Calvi - altro fuggiasco"eccellente" scoperto, a Londra, impiccato sotto il Blackfriars Bridge -congeleranno in blocco quel denaro.Nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1983, dieci giorni prima che le autoritàelvetiche concedano l'estradizione, Celli evade dal carcere di Champ Dollon.Vivrà la latitanza, verosimilmente, in America del Sud.Il 21 settembre 1987 ricompare in Svizzera e, dichiarandosi malato di cuore, sicostituisce alle autorità ginevrine. Processato per essersi introdottoabusivamente in territorio elvetico, esce dal carcere il 17 febbraio 1988 ed ècondotto in Italia in stato di arresto.Dall'estradizione la Svizzera esclude i reati connessi al terrorismo e allestragi, poiché li considera reati politici. L'11 aprile dello stesso anno Celliottiene la libertà provvisoria per motivi di salute.Nel dicembre del 1987 la Corte d'assise di Firenze lo aveva condannato a ottoanni di reclusione per i finanziamenti accordati ad esponenti della destraeversiva toscana, imputati per

La notte della Repubblica 425aver attentato ai treni sulla linea Firenze-Bologna. Ma in appello, alla finedell'89, questa accusa cadrà per ragioni procedurali dal momento che glisvizzeri avevano escluso dall'estradizione questo genere di reati. La Cassazione- prima sezione penale, presidente Carnevale - ha annullato quella sentenza,affermando che Celli avrebbe dovuto essere assolto con formula piena. Il 9

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ottobre 1991 la Corte d'assise di appello di Firenze, in applicazione di quelprincipio di diritto, lo assolve con formula ampia. Nel luglio del 1988, aBologna, la Corte d'assise lo aveva condannato a dieci anni di reclusione percalunnia aggravata da finalità eversive. Nel processo d'appello è assolto. Il Pmha presentato ricorso in Cassazione.Si riassume così una vicenda giudiziaria che lascia sullo sfondo una realtàinquietante, la P2. Tra le persone che figurano nelle sue liste c'è infatti ilvertice dei Servizi segreti: il generale Giulio Grassini, direttore del Sisde,il servizio segreto civile, il generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi,il servizio segreto militare, il generale Musumeci, capo dell'ufficio controlloe sicurezza del Sismi, il prefetto Walter Pelosi, segretario del Cesis, ilComitato esecutivo per i servizi d'informazione e sicurezza.Lo scandalo che ne consegue investe tutto l'apparato. Nei mesi successivi idirigenti vengono sostituiti, le strutture interne riordinate. Intanto siprecisano le responsabilità dei settori deviati.Giovanni Spadolini, a quel tempo presidente del Consiglio:Io vidi l'ombra della P2 stendersi su vari settori dell'amministrazione, ma lacosa che più mi preoccupò, come patriota, fu l'ombra che si distendeva sulleforze armate. Allora decisi in pochi giorni il più vasto mutamento di verticimilitari che la storia italiana avesse avuto dopo Caporetto. Il 21 luglio, adistanza di non più di dieci giorni dalla fiducia accordatami dalle due Camere,mutai tutti quei settori delle forze armate su cui si era stesa l'ombra dellaP2: i Servi-z' segreti, in particolare, che erano stati purtroppo controllatidalla "2. Questo movimento di vertici militari, con l'arrivo a Roma dei generalicomandanti delle grandi guarnigioni del Nord, estranei alla '‘tta politicaesasperata che caratterizzava la capitale, fu di grande vantaggio per le forzearmate e per le forze dell'ordine. Il ruolo per esempio dei carabinieri, cheerano stati inquinati in qualche momen-

426 Sergio Zavolito dalla P2, diventò essenziale in tutta la fase successiva della battagliacontro il terrorismo.Bologna risponde alla strage con una grande manifestazione popolare. RenatoZangheri, allora sindaco della città, così dice, fra l'altro, rivolgendosi aSandro Pertini venuto a Bologna per i funerali delle vittime:No, signor presidente, il dolore non può farci tacere. Troppe incertezze ecolpevoli deviazioni hanno subito le indagini da piazza Fontana ad oggi. Troppeinterferenze e coperture sono state consentite. Ora, la sincerità del dolore edella condanna, si misurano sui fatti ed esclusivamente su di essi.Il presidente della Repubblica segue l'orazione tenendo una mano sul bordo delpalchetto da cui il sindaco parla: un gesto che non sfugge a nessuno. CosìZangheri ricorda:Quel giorno la piazza era piena, ribollente di sdegno, di protesta, di dolore ePertini compì il suo dovere con grande nobiltà. Ricordo che mi si avvicinòmostrando solidarietà, consenso. Poi, dopo il mio discorso, ho sentito dellecritiche secondo cui non si doveva fare una grande manifestazione per unfunerale, non si doveva fare un discorso di denuncia e di lotta; ma io resto delparere che si dovesse fare, perché penso che uno degli obiettivi principali chei mandanti di quella strage si erano prefissi era dimostrare che la democrazianon reagiva, che si poteva mettere in ginocchio la gente, che si potevaricacciarla nelle case. Si preparava un collasso della democrazia o almeno delmodo di vita democratico che è dell'Italia: fatto di lotte e anche dimanifestazioni di piazza, di presenza delle donne e degli uomini. La gente non èrimasta in casa, è venuta, ha protestato, ha dimostrato di essere in piedi, dipoter rispondere, di voler rispondere a questo attacco. La Repubblica, quelgiorno, non è stata sconfitta.Ecco, nella sua eloquente essenzialità, l'iter giudiziario della tragedia:BOLOGNA, 9 MARZO 1987, primo processo. Imputati di strage-Massimiliano Fachini,Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Sergio Picciafuoco, Roberto Rinani, PaoloSignorelli.Imputati di banda armata: Gilberto Cavallini, Massimiliano ra chini, ValerioFioravanti, Egidio Giuliani, Marcelle lannilli, Frane sca Mambro, GiovanniMelioli, Sergio Picciafuoco, Roberto Ra*1 ' Roberto Rinani, Paolo Signorelli.

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La notte della Repubblica 427Imputati di associazione sovversiva: Marco Ballan, Giuseppe Bei-monte, Fabio DeFelice, Stefano Delle Ghiaie, Massimiliano Fachini, Lido Celli, Maurizio Giorgi,Pietro Musumeci, Francesco Pazienza, paolo Signorelli, Adriano Tilgher.Imputati di calunnia aggravata al fine di assicurare l'impunità agli autoridella strage: Giuseppe Belmonte, Licio Celli, Pietro Musumeci, FrancescoPazienza.il LUGLIO 1988, la sentenza. Ergastolo per il delitto di strage: MassimilianoFachini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Sergio Picciafuoco. Assolti:Paolo Signorelli, Roberto Rinani.Condannati per banda armata: Gilberto Cavallini, Massimiliano Fachini, ValerioFioravanti, Egidio Giuliani, Francesca Mambro, Sergio Picciafuoco, RobertoRinani, Paolo Signorelli.Assolti per banda armata: Marcelle lannilli, Giovanni Melioli, Roberto Raho.Assolti per associazione sovversiva: Marco Ballan, Giuseppe Bei-monte, Fabio DeFelice, Stefano Delle Ghiaie, Massimiliano Fachini, Licio Celli, MaurizioGiorgi, Pietro Musumeci, Francesco Pazienza, Paolo Signorelli, Adriano Tilgher.Condannati per calunnia aggravata al fine di coprire gli autori della strage:Giuseppe Belmonte, Licio Gelli, Pietro Musumeci, Francesco Pazienza.25 OTTOBRE 1989. Inizia il secondo processo.18 LUGLIO 1990, la sentenza. Assolti dall'imputazione di strage: MassimilianoFachini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Sergio Picciafuoco. Confermadella condanna per banda armata: Gilberto Cavallini, Valerio Fioravanti,Francesca Mambro, Egidio Giuliani. Condannati per calunnia aggravata (con penaridotta da 10 a 3 anni) e nuovamente assolti per associazione sovversiva:Giuseppe Belmonte e Pietro Musumeci. Assolti tutti gli altri.Pende ricorso in Cassazione del pubblico ministero e delle parti civili.Una vicenda particolare è quella che vede coinvolto il criminologo AldoSemerari, consulente del tribunale di Roma, e il professor Paolo Signorelli,insegnante di liceo. Entrambi vengono arrestati il 28 agosto 1980, nell'ambitodell'istruttoria sulla strage, grazie a un tempestivo rapporto della polizia.Semerari resterà in carcere alcuni mesi, poi verrà rilasciato e uscirà di fattodall'inchiesta. Un anno e mezzo dopo, il 1‘ aprile dell'82, troveranno il suocadavere, decapitato, alla periferia di Ottaviano, paese del boss camorristaRaffaele Cutolo. Le circostanze del delitto - che avviene mentre riesplode lapò-

428 Sergio Zavoli\emica sul caso Cirillo, nel quale Cutolo ha giocato un ruolo non secondario -non verranno mai chiarite. Signorelli sarà invece raggiunto in carcere dasuccessivi mandati di cattura legati ad altre vicende di eversione nera. Persottolineare la sua innocenza, e reclamarne la scarcerazione, la destra italianadarà vita a una grande campagna di stampa. La Corte di Cassazione annulleràtutte le accuse a suo carico.I nomi di alcuni degli imputati principali del processo sulla strage di Bolognaricorrono di continuo nelle cronache del terrorismo nero, nelle inchiestegiudiziarie, nelle sentenze. I primi sono quelli di Giuseppe Valerio Fioravantie di Francesca Mambro.GIUSEPPE VALERIO FIORAVANTI, detto Giusva, nasce a Rovereto il 28 marzo 1958. Lafamiglia è medio borghese, il padre è annunciatore alla Rai. Valerio, a quattroanni, è già un bambino singolare, di intelligenza vivace, dai trattiaccattivanti. A quell'età è protagonista di alcuni caroselli. A dieci anni èl'interprete di una fortunata serie televisiva dal titolo La famiglia Benvenuti.Studente delle scuole superiori, simpatizza per i neofascisti e a metà deglianni Settanta fa la sua parte nelle squadre di picchiatori che si azzuffanodavanti alle scuole romane. Nel 1978, a vent'anni, parte per il serviziomilitare: è destinato a Tauriano di Spilimbergo, in provincia di Pordenone. Unasera, mentre è in servizio di guardia al deposito di munizioni, sottrae duecassette di bombe a mano tipo SRCM. Nel giugno del 1979, Fioravanti è condannatodal tribunale militare di Padova a 8 mesi per abbandono del posto di guardia. Daquesto momento si avvia a diventare uno dei membri più in vista dei gruppi difuoco dell'eversione di destra. Quando viene catturato, nel febbraio 1981, grava

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su di lui l'accusa di otto omicidi. Valerio Fioravanti sta scontando seicondanne all'ergastolo.FRANCESCA MAMBRO, romana, trent'anni, di cui nove già trascorsi in carcere. E`figlia di un sottufficiale di polizia. Entrata in clandestinità nei Nar, l'hannochiamata la "pasionaria nera" per il ruolo di primo piano assunto, nonostante lasua giovane età, nella destra eversiva. Arrestata dopo un conflitto a fuoco conle forze dell'ordine, nel quale era rimasta ferita, ha subito la condannaall'er' gastolo per l'omicidio del giudice Mario Amato, dell'agente Evangelista,del capitano della Digos, Straullo, per altre cinque uccisioni e, in primogrado, per la strage alla stazione di Bologna. *-" quest'ultimo crimine si èsempre dichiarata innocente, ma

La notte della Repubblica 429te le altre gravi responsabilità, che le sono costate, complessivamente, 8ergastoli: non tutti, va precisato, per avere compiuto materialmente l'omicidio,ma per concorso morale. E` stata condannata anche per alcune rapine a manoarmata. E` moglie di Valerio Fioravanti.Fioravanti e la Mambro sono tra i protagonisti della fase più violentadell'eversione di destra, quella cosiddetta dello spontaneismo armato. E` unasorta di dichiarazione di guerra indiscriminata al sistema borghese, conossessivi inni all'impegno e alla lotta, al sacrificio e alla morte. Criticheferoci vengono rivolte ai capi storici della destra neofascista, non soltantoal-l'Msi, definito "pantofolaio e venduto al sistema", ma anche ai gruppi diOrdine nuovo e Avanguardia nazionale, cui si rimprovera di avere appoggiato unastrategia golpista destinata a rafforzare quello stesso sistema che proclamavanodi combattere.Dal crollo delle idealità espresse dalla destra estremista si salva, come valoredi fondo, il combattimento fine a se stesso, che presuppone una miticaesaltazione del guerriero, la testimonianza da rendere per il valore in essaracchiuso, il rito delle armi da conquistare sul campo. Di qui, forse, gliassalti agli agenti di polizia per sottrarre loro mitra e pistole.Il gruppo più noto è quello dei Nar, responsabile fra il 1978 e l'82 di ventitréuccisioni. Tra i primi a cadere sotto il loro fuoco è il giudice Mario Amato.MARIO AMATO, romano, 42 anni, sposato, con un figlio, viene ucciso il 23 giugno1980. I terroristi gli sparano in viale Ionio, mentre è in attesa dell'autobusche deve portarlo al Palazzo di giustizia. Amato è titolare di tutte leinchieste sull'eversione nera a Roma e nel Lazio. La sua morte, questo è ilgiudizio subito emerso, deve bloccare l'indagine giudiziaria sul terrorismo didestra.Ettore Gallo, allora componente del Consiglio superiore della magistratura:Egli aveva appreso che era stata decisa la sua soppressione ed era º}à in fasedi esecuzione... Egli diceva: "La destra eversiva ha rela-z'oni in ogni ambientee perciò è estremamente pericolosa": parlava Quindi di una vicenda che potevaanche essere esplosiva e dare una svolta alle indagini contro il terrorismo.Certo che, comunque, non

430Sergio Zavoliriuscì ad avere quell'aiuto che aveva più volte invocato, dicendo che nonpotevano esserci istruttorie che egli fosse in grado di condurre da solo.Evidentemente ne aveva già intuito, e capito, l'estrema in> portanza.La moglie del giudice, Giuliana, deponendo in Corte d'assise:So che mio marito quella mattina aveva chiesto la macchina, dicendo che dovevalasciare la sua dal meccanico. Di conseguenza, varie persone potevano sapere chequel mattino sarebbe uscito a piedi. Le richieste da lui fatte non venivanoraccolte dai suoi superiori. Come per esempio quel giorno che dovette andare inufficio con l'autobus, per la prima volta, credo, in tutto l'anno, perché lamacchina non gli era stata data... Una sera andò a una assemblea di tutti isostituti e chiese al procuratore De Matteo se poteva alleggerirlo, oppureaffiancargli qualcuno perché non intendeva andare avanti da solo, in quanto lacosa diventava sempre più grande...Presidente della Corte: Quale fu la risposta di De Matteo?

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Giuliana Amato: La risposta di De Matteo fu: "C'è qualcuno che si offrevolontario?". Alcuni dissero che loro ci tenevano alla vita e quindi...Perché Mario Amato venne scelto come obiettivo? Gilberto Cavallini, terzo delgruppo di fuoco di Fioravanti e della Mambro, interrogato nel corso del processoper l'uccisione del giudice, afferma:E` evidente che l'azione (...) doveva chiaramente essere quantificata in unpersonaggio che, come minimo, perseguitava questo ambiente.Presidente della Corte: Quindi l'uccisione è anche in relazione alle indaginiche il giudice Amato stava compiendo in quel momento?Cavallini: Non alle indagini, ma alla funzione che svolgeva nei confrontidell'ambiente... non a indagini precise. La smetta di accreditare questa tesifantasiosa.Valerio Fioravanti conferma:L'obiettivo è stato scelto e identificato nel giudice Amato per una serie dimotivi concomitanti, il primo dei quali, il più importante' era sicuramentequello che ha indicato Cavallini, cioè la necessita da parte nostra di dare unsegno evidente, plateale quasi, della rottura che poteva crearsi tra noi equella serie di apparati dello Stato a cul> come minimo, eravamo stati simpaticifino a quel momento.

La notte della Repubblica 431L'esecutore materiale dell'assassinio del giudice Mario Amato è GilbertoCavallini; compiici, per concorso morale, France-sca Mambro e ValerioFioravanti. Quest'ultimo è già una figura centrale dello spontaneismo armato. Ilsuo nome emerge dalle indagini sui delitti del terrorismo nero, e il ruolo chesi attribuisce all'estremista trova parecchi riscontri oggettivi. Per altridelitti, invece, resta soltanto sullo sfondo. E` il caso del misteriosoassassinio di Mino Pecorelli, che alcuni pentiti gli hanno attribuito.CARMINE PECORELLI, detto Mino, nasce a Sessano, in provincia di Campobasso, il14 giugno 1928. E` figlio del farmacista del paese. A sedici anni si unisce aipolacchi del generale Anders che nel 1944 risalgono l'Italia con l'8a Armata.Laureato in legge, dal 1967 è redattore del settimanale "Mondo d'Oggi". Poidirettore dell'agenzia Osservatorio Politico, trasformata in seguito nellarivista "OP", che vive sul filo di uno scandalismo non di rado ricattatorio.Pubblica notizie riservate, raccolte soprattutto negli ambienti inquinati deiServizi segreti. Iscritto alla P2, i suoi rapporti con la loggia si guasterannoe se ne allontanerà un paio d'anni prima di morire. Viene ucciso la sera del 20marzo 1979 da un sicario che lo attende, in strada, sotto la redazione dellarivista "OP".L'uccisione di Amato e di Pecorelli non sembra esaurire gli obiettivi del gruppodi Valerio Fioravanti. Una nuova notizia farà scalpore: il giudice GiovanniFalcone, impegnato in prima linea nella lotta contro la mafia, spicca un mandatodi cattura contro il giovane terrorista nero per l'omicidio di PiersantiMattarella, per il quale pende ancora il giudizio di primo grado.PIERSANTI MATTARELLA, 44 anni, democristiano, presidente dimissionario dellaRegione Sicilia, viene ucciso la mattina del 6 gennaio 1980. Il killer gli sparain auto, sotto gli occhi dei familiari, in via della Libertà, davanti a casa.Piersanti Mattarella non aveva esitato a denunciare le collusioni tra mafia epubblici poteri e tentato altresì di modificare la legislazione regionale sugliappalti pubblici.Leonardo Sciascia si pone subito delle domande sulla natura del delitto:L'assassinio davanti ai familiari non rientra nelle regole; o meglio, nelsentire della mafia. Poi ci sono altre cose: la giovinezza del killer, Perchéstando alle testimonianze pare fosse giovanissimo. Questo mi

432Sergio Zavolisembra che deponga a favore della tesi che si tratti di gente che viene dafuori, pur avendo qui delle basi informative.Questi delitti gettano una luce molto diversa sull'immagine che il gruppo deiNar avrebbe voluto dare di sé. Rivelano infatti torbidi rapporti con lacriminalità comune, la mafia, la P2. Sullo sfondo, i servizi deviati.

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I legami con bande criminali sono una conseguenza quasi inevitabile perun'organizzazione che ha bisogno di basi, di documenti, di ricettatori, indefinitiva di prestazioni che si ottengono soltanto dai professionisti delcrimine; i quali non sono, come si vedrà, figure di secondo piano.L'alleanza dei terroristi neri con il gruppo della Magliana è esemplare. Verràscoperta dopo la rapina del novembre 1979 alla filiale romana della ChaseManhattan Bank, compiuta da un gruppo dei Nar di cui facevano parte, tra glialtri, Valerio Fioravanti e Alessandro Alibrandi, figlio del giudice AntonioAlibrandi. La collusione con la "mala" romana fu evidente quando parte delbottino venne ritrovata in possesso di Franco Giuseppucci, detto "er negro":boss, appunto, della banda della Magliana. Giuseppucci, si saprà poi, riciclavail denaro rapinato dai terroristi neri e procurava loro armi e munizioni. Non ètutto. Un altro componente della banda, Danilo Abbruciati, implicato neltraffico della droga, verrà ucciso a Milano, da una guardia giurata, nel corsodi una sparatoria. Il bandito stava aprendo il fuoco contro Roberto Rosone, dapoco successore di Calvi al vertice dell'Ambrosiano. Chi aveva armato la mano diAbbruciati?C'è poi una vicenda non del tutto chiarita: quella della rapina a un depositodella Brink Securmark, avvenuta a Roma, ed eseguita da un gruppo di banditiguidato da Antonio Chicchia-relli, quel personaggio della malavita romana che,come già si è detto, aveva realizzato il falso documento brigatista riferito alLago della Duchessa.Carlo Corsetti, capitano dei carabinieri, racconta:II 24 marzo 1984 quattro pericolosi criminali assaltarono la sede romana dellaBrink Securmark, asportando 35 miliardi di lire, di cu" 25 in contanti. Aseguito delle nostre indagini, risultò essere capo o1

La notte della Repubblica 433quella banda Toni Chicchiarelli, noto falsario romano, ucciso in circostanzemisteriose sei mesi dopo, a Montesacro. Chicchiarelli diventò importante per lenostre indagini perché risultò essere il telefonista anonimo che inviò ilredattore de "II Messaggero" in piazza Gioac-chino Belli, a Roma, doveall'interno di un cestino portarifiuti venne trovata una busta contenentedocumenti di rivendicazione. Tra questi c'erano tre schede in originale riferitea Pecorelli, Ingrao e Gai-lucci, le cui fotocopie erano state rinvenute in unborsello, all'interno di un taxi, il 14 aprile 1979, pochi giorni dopol'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.A chiudere il cerchio di tali contatti, l'accertato collegamento fra estremistineri e la banda milanese di Renato Vallanza-sca; si trattava di un progetto diazione comune messo a punto nel corso di una riunione, a Roma, agli inizi del1977. Proprio in un covo della banda, in via dei Foraggi, venne catturatonell'aprile del 1977 Pier Luigi Concutelli, appartenente a Ordine nuovo.Questa congerie di rapporti è in plateale contraddizione con la pretesa delmovimento di dare vita a una lotta politica fondata su uno spontaneismomisticheggiante, libero da compromessi e condizionamenti. Si tratta di una tramaeversiva complessa, ideologicamente spuria, il cui sviluppo ha in serbo altrepagine.Sono le 19,08 del 23 dicembre 1984. Mentre il treno 904, partito da Napoli ediretto a Milano, si trova all'interno della grande galleria dell'Appennino,subito dopo la stazione di Vernio, esplode una bomba collocata in una carrozzadi seconda classe, la nona dalla testa del convoglio. Perdono la vita 15persone, un'altra morirà in ospedale dopo qualche tempo. I feriti sono 267.Per questa strage i giudici di Firenze condanneranno all'ergastolo GiuseppeCalò, detto Pippo, il boss mafioso noto come cassiere delle cosche palermitane;Giuseppe Missi, boss della camorra napoletana; Alfonso Galeota, Guido Cercola eGiulio ^rozzi, camorristi. Dal processo sarà stralciata la posizione di AlassimoAbbatangelo, deputato del Movimento sociale italia-n‘- II Parlamento concedel'autorizzazione a procedere, ma non all'arresto.

434 Sergio ZavoliIn appello, il 16 marzo del 1990, viene confermata la condanna all'ergastolo perPippo Calò e Guido Cercola. Missi Galeota e Pirozzi vengono assolti per nonavere commesso il

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fatto.Nei primi mesi del 1991 la Corte d'assise di Firenze condanna Abbatangeloall'ergastolo. Si attende, ora, il processo d'appello. Nello stesso periodo, laCorte di cassazione, prima sezione penale, annulla la condanna nei confronti diCalò e Cercola e rinvia ad altra sezione della Corte d'assise d'appello. Rigettainoltre il ricorso del pubblico ministero per l'assoluzione di Missi, Galeota ePirozzi.Pierluigi Vigna, procuratore aggiunto della Repubblica a Firenze, prefigura ildelinearsi di un ben più vasto scenario:Gli eversori, e coloro che sono in contatto con gli eversori, non dispongonopiù, o non dispongono più come prima, di forti collegamenti all'interno delleistituzioni. Questi vincoli si sono allentati e allora la strage assume ilsignificato di una contrapposizione, di un antistato rispetto allo Stato. Ed èsignificativo, mi sembra, in questa prospettiva, che per l'episodio della stragedel 23 dicembre 1984 la Corte di assise di Firenze abbia ravvisato una coesionedi gruppi tipici, appunto, dell'antistato.Nella sentenza, emessa dalla Corte d'assise di Firenze il 25 febbraio dell'89,era scritto:Deve concludersi che con la strage dell'antivigilia di Natale del 1984, la mafiaha inteso assolvere a molteplici finalità, alcune ricon-ducibili all'esigenza,realizzata attraverso la diffusione indiscriminata del terrore, di indebolire ilsistema democratico del nostro Stato, distoglierne con false emergenze l'impegnocivile, politico e giudiziario, e determinare dunque quella situazione diincertezza e di disorientamento nei pubblici poteri, e di sfiducia in questi daparte dei cittadini, che sono i presupposti indispensabili per la crescita e ilconsolidamento del potere mafioso.Da quel 2 agosto dell'80 è passato oltre un decennio. Di anno in anno si sonorinnovati esecrazioni e impegni. La sera de concerto commemorativo della stragedi Bologna, qualcuno disse: "Un Paese che rinuncia alla speranza di averegiustizi ha già rinunciato non solo alle proprie leggi, ma alla sua stofl

La notte della Repubblica 435stessa. Ecco perché severamente, ma soprattutto ostinatamente, aspettiamo".Interviste a Francesca Mambro e Valerio FioravantiLei, signora, assieme a pochi altri, si è vista comminare il più alto numero diergastoli della storia del terrorismo...... sì, è vero. Ma ho preso i miei ergastoli per aver portato a teminel'uccisione di esponenti delle forze dell'ordine. Non ho fatto saltare i padridi famiglia che andavano a pagare delle bollette, oppure gente che si recava invacanza al mare, né donne e bambini.Ma pensa che quelle persone si esaurissero nella loro divisa e che dietro non vifosse la famiglia, il figlio da portare a scuola, la vacanza, le tasse dapagare?No, no. Difatti, anche rispetto a queste storie, si sente senza alcuna ombra didubbio un senso di colpa perché si tratta di persone; anche se poi si superaquesto senso di colpa pensando che, in fondo, si sta dalla parte di chi ha...meno torto. Più del senso di colpa, quello che mi ha colpito è stato il dubbioche passa in quel secondo prima di decidere della vita di un altro. Ecco, queldubbio, per me, è stata la parte più ango-sciante, la parte più difficile dasuperare. Questo penso sia peggio che uccidere.Quel dubbio può anche voler dire decidere di non fare, oltre che di fare...Sì. In quel momento, un secondo prima di decidere di andare tutti insieme, dipartire, sapendo di predisporsi a qualcosa per cui hai dei sensi di colpa -perche' la morte di una persona non può lasciare indifferenti, assolutamente,sennò saremmo delle bestie - in quel secondo ti passa davanti un'intera vita.Provi il dubbio e l'angoscia profonda che chi vai a colpire potrebbe essere menopeggiore di quanto si sia detto, si sia pensato. E questo, a volte, può esseremotivo di ripensamento...ò ..la vita che invece di volta in volta avevate davanti, quella da colpire, inquale conto veniva tenuta?

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II dubbio è forte, in un primo momento: però proprio perché sei inserito in undiscorso razionale, perché stai usando la logica, pensi che puoi avere menotorto degli altri e quindi puoi superare quel momento.Quando conobbe Valerio Fioravanti lei faceva parte del Fuan romano, se nonsbaglio, l'associazione universitaria mis-sina. Che cosa l'aveva spinta adaderirvi?Mah, a destra si arriva per spirito di contraddizione, perché non credo che cipossa essere una ideologia, neanche a sinistra probabilmente, che ti porta a unascelta di impegno totale come poi è stata la nostra; per simpatia, perchéc'erano delle persone con cui ci si trovava bene, si andava d'accordo; masoprattutto, per quanto riguarda me, per spirito di contraddizione. Io non avreisopportato che qualcuno mi dicesse: "Stai zitta perché non la pensi come me".Difatti non l'ho sopportato, mi sono comportata di conseguenza e ho risposto: ionon sto zitta.Dalle Br sono arrivati molti segnali e anche molti impegni sulla fine dellalotta armata. Fioravanti, qual è il suo atteggiamento nei confronti dellaviolenza in cui lei si è riconosciuto?Posso parlare soltanto a nome mio e, al limite, di un numero estremamenteridotto di persone. Io non facevo parte di una grande organizzazione, non ho maifatto grandi proposte di rivoluzione, non abbiamo mai pensato di prendere ilpotere; per cui i nostri ripensamenti o le nostre dichiarazioni hanno sempre unadimensione molto diversa da quella delle Brigate rosse. Determinate cose leavevamo capite con molto anticipo. Noi non ci aspettavamo di prendere il potere,né ci aspettavamo che qualcuno ci seguisse. Sapevamo esattamente come sarebbeandata a finire. E` stata, più che altro, una scelta esistenziale.E` lecito secondo lei, lo giudichi in questo momento, fare una scelta così gravedi violenza in nome di un'esigenza soltanto esistenziale?Non so se è lecito, so che è successo; perciò immagino che sia nella naturadelle cose. Io, quando l'ho fatta, avevo 17-18 anni, sentivo delle fortipressioni emotive su di me, vedevo degli amici in ospedale, qualcuno l'hoaccompagnato al cimitero, e queste erano le cose che influivano su dì me. Noncredo che abbia molto senso parlare di liceità, a questo pun-

La notte della Repubblica 437to. Si moriva per molto poco, si moriva per il tipo di giornale che uno aveva intasca, per il tipo di vestito che uno portava; insomma, le morti a cui hoassistito erano particolarmente sciocche e forse per questo nasceva in noi ilrancore. Ho sempre considerato ipocrita difendersi dicendo: "Ho cominciatoperché ho visto degli altri che stavano male". Questo può essere vero nel miocaso. Ma da un punto di vista strettamente autobiografico, posso dire: i primicolpi di pistola sono stati quelli sparati contro di me. Io, poi, ho deciso direstituirli ma, ripeto, questa per me non è una difesa, non è giusto difendersicon questo argomento.... non rientra nella grande regola morale fare distinzioni di questo tipo.... c'era una guerra e ci siamo entrati dentro consapevolmente.Tuttavia c'erano persone che in un colpo solo facevano centinaia di vittime.Se lei si riferisce alla gente che fa saltare stazioni o banche, chiamiamolepersone, ma penso che siano qualcosa di molto vicino alla... all'abiezione.Ma dietro gli esplosivi chi c'era?Non l'abbiamo mai saputo. Io ebbi l'impressione di intuirlo in determinati annie mi sto accorgendo proprio in questi ultimi mesi di essere stato molto scioccoquando ho pensato di intuirlo perché ho dato troppo retta alle campagne distampa. Diciamo che, paradossalmente, sono stato troppo antifascista, mi eroconvinto anch'io, per un certo periodo, che dietro le bombe dovevano essercicerti fascisti, non quelli che conoscevo io, non quelli a cui volevo bene io, maun altro tipo di fascisti da cui noi sentiamo il bisogno di differenziarci.Forse, buona parte della nostra violenza nasce proprio dall'esigenza didimostrare che i fascisti non erano tutti come quelli che mettevano le bombe.Avete mai avvertito intorno a voi, se non proprio collaborazione, qualchecopertura? Signora Mambro.Senta, io sono stata ferita dai poliziotti, Valerio è stato ferito daicarabinieri, i nostri amici sono morti per mano delle forze dell'ordine. SeWalcuno ci voleva coprire, come minimo doveva salvarci la vita, penso.

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438Sergio ZavoliE strumentalizzare?Se qualcuno avesse provato a strumentalizzare lo spontaneismo io, non credo chegli sarebbe stato facile perché eravamo una banda tosto paranoica, non cifidavamo di nessuno; per noi potevano essere tutte spie e tutte guardie! Perché?Perché eravamo cresciuti con l'idea, ami con la paranoia, che a destra cifossero infiltrazioni e addirittura agenti provocatori. Siamo caduti in pienonella trappola di credere che l'antifascismo fosse più che motivato dal momentoche certi personaggi prestavano il fianco alle più svariate interpretazioni peril loro modo di far polìtica o di intendere la politica.Voi stessi, con le vostre azioni, con le vostre idee, non prestavate qualchebuon pretesto all'antifascismo?No, anzi! Tra l'altro, proprio perché eravamo stanchi di sentir dire che ifascisti erano in combutta con i poliziotti, che erano il braccio armato delpotere, abbiamo fatto tutto l'opposto: abbiamo risposto a modo nostro a quelleteorie, che erano solo teorie tra l'altro. E ci siamo cascati in pieno.Ecco, la paranoia: non metteva in crisi, in qualche modo, il rapporto con larealtà e quindi con la gente? L'estraneità, se non anche l'ostilità, dellastragrande parte del Paese nei vostri confronti, è stato mai argomento dellevostre conversazioni?Come le dicevo, non ci siamo mai preoccupati di conquistare il potere; nonabbiamo mai pensato di fare un cambio del Palazzo. Quello che ci interessavaerano i rapporti, quelli che vivevamo ogni giorno: io mi sono dedicataparticolarmente a questo.E date queste premesse, per così dire, di ordine teorico veniamo alla più gravedelle imputazioni che le sono state rivolte: la strage di Bologna. Il suo alibiper la giornata del 2 agosto 1980, come quello di Valerio Fioravanti, è sorrettoda Gil-berto Cavallini, vostro camerata dei Nar, il quale afferma che eravate acasa, a Treviso. La mattina del 2 agosto sareste andati a Padova e ne sarestetornati senza avere incontrato qua'' cuno che potesse ricordarsi di voi. Secondoil teste Massim0 Sparti, due giorni dopo la strage, gli avreste chiesto duepatefl"

La notte della Repubblica 439ti false dicendogli: "Visto che botto a Bologna?". Perché, in ogni caso, nonavete pensato a crearvi un'esplicita linea di difesa attestandovi subito sulladissociazione rispetto a quel tremendo attentato?Credo che questa sia una delle prove logiche a nostro favore. Non ci siamo maipreoccupati dell'accusa per la strage di Bologna che, tra l'altro, a me arrivòquasi subito; dopo un mese furono spiccati i mandati di cattura con i qualivenne investita tutta la destra, soprattutto quella romana. Non ci siamo maipreoccupati perché per noi Bologna era anni luce lontana. Nessuno poteva credereche eravamo gli autori di un fatto così assurdo, così lontano dalla nostraottica, dal nostro modo di vivere. Noi abbiamo fatto tutto alla luce del giorno,vivevamo ogni giorno per la strada, rischiando ogni giorno di morire in unconflitto a fuoco. La nostra è stata una storia molto chiara, molto lineare. Equesta è, secondo me, la prova logica a nostro favore: che non ci siamo messid'accordo, non abbiamo mai pensato di crearci un alibi per quel giorno, perchéper noi quel giorno era un giorno come tutti gli altri. Le giornate, per noi, sidifferenziavano quando dovevamo pensare a una rapina di autofinanziamento, peresempio. Venendo a Sparti, penso che la "Notte della Repubblica" sia un titoloappropriato. Qui a Bologna il buio è totale. Il testimone chiave dell'accusacontro di noi è proprio Massimo Sparti, che è stato in manicomio criminale e haavuto la seminfermità di mente.Lei, in sostanza, dice: "II nostro percorso politico bastava a dimostrare chenon c'entravamo". Non le sembra una riflessione ingenua da parte di chi siponeva e si pone dall'altra parte dello Stato?Ma noi eravamo ingenui! Basta pensare che eravamo convinti di poter cambiarealmeno le cose che ci circondavano, e non solo noi, ma anche gli altri, soltantocon qualche pistolettata. Bisogna essere degli ottimisti e degli ingenui.Signora, una ingenuità che lascia lungo la strada otto omicidi...

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Eh, noi in quegli anni... prima siamo stati in conflitto con la sinistraextraparlamentare e poi siamo scesi in conflitto con lo Stato, con le forzedell'ordine che lo rappresentavano, con chi in piazza si scontrava

440Sergio Zavolicon noi. Comunque, si è trattato sempre di obiettivi mirati e non indiscriminaticome la strage di Bologna che vorrebbero addossarci.Quando è esplosa la bomba alla stazione di Bologna, lei Fioravanti, se nonsbaglio aveva 22 anni. Secondo l'ordinanza della Corte d'assise che l'hacondannata all'ergastolo, fu uno degli esecutori materiali della strage.D'accordo, lei ha sempre negato ogni responsabilità per quel massacro e l'hafatto anche adesso, ma mi dica qualcosa di più: crede davvero che senza la suastoria, cioè la storia che ha implicato tutta una serie di condanneall'ergastolo, sarebbe arrivato in quell'aula e avrebbe ascoltato quellasentenza?Io credo che questo nasca da alcune cause concomitanti. Penso che il mioproblema principale, paradossalmente, sia l'infanzia televisiva; essa si prestamolto a costruire un personaggio. Il secondo problema è un qualcosa che hacostituito negli anni il nostro maggior pregio, ma anche il nostro maggiordifetto: il fatto che io e il mio gruppo siamo stati sempre completamenteslegati da qualsiasi logica e da qualsiasi gruppo più ampio. Questo fa sì chenon abbiamo avuto protezioni di alcun tipo e che la nostra storia è in un certosenso facilmente manipolarle. Non avendo un capo storico, non avendo deimaestri, non avendo dei libri precisi a cui fare riferimento, esprimendoci soloin base a una cultura nostra, personale, chiunque può venire a dire, come hannofatto a Bologna: sì, è vero, voi avete fatto per cinque-sei anni la lotta armatain una certa direzione, ma era solo una copertura perché voi, in realtà,pensavate esattamente il contrario! Chiunque può alzarsi e dire che noi abbiamofatto qualsiasi cosa e noi non abbiamo altro da rispondere se non che la nostrastoria, in realtà, testimonia il contrario. Quello che abbiamo fatto lo abbiamosempre fatto a faccia scoperta, in contatto con le diverse realtà. E` giustodire che eravamo terroristi, ma è molto ingiusto dire che eravamo terroristimisteriosi. Non eravamo affatto misteriosi: siamo stati arrestati, tra una cosae l'altra, in circa 300. Soprattutto a Roma le nostre attività non eranoevidentemente così segrete, non erano così Carbonare o piduistiche...Richiamando l'infanzia televisiva, mi ha riportato ai suoi rapporti con suofratello Cristiano. Cristiano è stato il primo ricredersi, a ripudiare ilterrorismo di destra. I giornali hann

La notte della Repubblica 441scritto che in aula, una volta, durante un processo, lei gli urlò che l'avrebbeammazzato. Come sono, adesso, i rapporti con suo fratello?Non ho mai urlato contro mio fratello, e soprattutto non gli ho mai detto chel'avrei ammazzato. Tutt'al più devo avergli detto: fatti bene i tuoi conti! Main un senso molto fraterno, perché Cristiano sbaglia nel momento in cui sipresta troppo al gioco dei "bolognesi" o di gente del genere... Ma questo è unproblema suo, io non ho più di questi problemi. I miei rapporti con Cristianosono per fortuna inesistenti. Nel corso degli anni è passato anche il rancore.Mi sono convinto che, comunque vadano le cose tra di noi, la ragione ce l'hosicuramente io e dai risultati vedo che sto meglio di lui. Io ho conservatoamicizie, affetti, la stima di chi mi conosce bene, sto passando attraversoquesto difficile perìodo con una certa serenità, cosa che lui non ha. Direidunque che il destino ha già scelto chi dei due uscirà non dico vittorioso,perché nessuno di noi vincerà, ma uscirà meglio da questa questione. Mi èpassato anche quel desiderio forte che avevo, nei primi tempi, di una rivalsa sudi lui: per la delusione che m'ha dato, più che per il male, perché il fatto cheti accusino in un processo ha una importanza relativa. Se non lo avesse fattolui lo avrebbe fatto qualcun altro, i pentiti erano in arrivo.Io ho un certo rispetto ideologico per il pentimento. Per il tipo di cultura dacui provengo, per una certa forma di nichilismo, l'uomo che riesce a rompere colsuo passato, a passare sui vincoli, a rifarsi una vita partendo da zero, puòessere degno di rispetto; anzi va addirittura ammirato perché a volte dobbiamo

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intendere certi vincoli affettivi come una forma di debolezza. Perciò, da unpunto di vista astratto, non posso prendermela con il pentito. Il pentitopotrebbe essere una persona estremamente forte e conoscendo le persone inquestione, conoscendo il mercato che fanno delle loro dichiarazioni, e icompromessi a basso livello, dico che sono persone disposte a vendere la libertàa qualsiasi prezzo. Da un punto di vista intellettuale li potrei capire, da unpunto di vista pratico, conoscendoli e conoscendo le loro questioni processuali,non li capisco e non v*do alcuno spazio per condividere la loro scelta.In questi anni di carcere, Fioravanti, che saranno certamente stati diriflessione, e forse anche di qualche ripensamento, ei è rimasto sempre fermo suun punto: non collaborare con

442 Sergio Za volila giustizia per la ricerca della verità intera. Non crede che si possa restarenelle proprie idee partecipando al tempo stesso alla ricerca della verità, anchese scomoda, anche se molto scomoda?Io ho sempre sostenuto che su alcune cose era opportuno collaborare nellafattispecie sulle stragi. L'ho sostenuto apertamente, oralmente, per iscrìtto,in più sedi, tanto è vero che e 'è stato un perìodo in cui eravamo tutti moltonervosi perché questo sembrava un invito alla delazione. Ho sempre cercato dimantenere molto netto il confine tra quelli che sono reati particolarmenteinfami, come la strage, che in nessun modo, secondo me, andava coperta, ed altrireati su cui è giusto non collaborare perché non è giusto che altri prendanoanni di carcere per responsabilità nostre. E` una posizione molto difficile,molto faticosa da mantenere e portare avanti perché, come lei intuisce, in unsupercarcere queste sottigliezze non sempre vengono apprezzate.Al di là di questo scetticismo, lei crede che un giorno - e, se sì, a qualicondizioni - potrà accettare la proposta di rivelare tutto quello che sa?Non ce n'è bisogno: tutto quello che so l'hanno già detto i pentiti, un pò 'camuffandolo, un pò ' sbagliando su alcuni particolari, un pò ' esagerandonealtri. Io non sono depositario di grandi segreti, e sotto questo aspetto la miacoscienza è un po' più tranquilla. Dover prendere posizione, perciò, non misembra urgente. Posso anche dire che la scelta avrebbe valore soltanto morale.Non sarebbe rilevante storicamente.A proposito di coscienza, è una parola sua, lei si è assunto la responsabilitàdi alcuni delitti. Quali sono? E quali rivendica ancora oggi e in quali non siriconosce? O non fa diffe' renza?E` difficile riconoscersi in "qualcosa", lo dico fra mrgolette, dopo dieci annidi distanza. Ce ne sono, ho detto, alcuni che mi danno molto fati' dio e altriche hanno minar peso sulla mia coscienza perché ricordo i sen~ timenti diallora. Ricordo che buona parte delle cose che mi sono state ascritte eranoconflitti in mezzo alla strada. In noi c'era molta rabbi&> molta delusione,c'era molta speranza, c'erano tanti sentimenti...

La notte della Repubblica 443Che impressione può farle oggi, nel ripensare a quello che è successo, rendersiconto che la morte di un uomo, per esempio del giudice Amato, può essere statoil frutto di un moto di rabbia?Penso che sia così da qualche millennio, sulla terra. Il giudice Amato magarinon è l'esempio migliore perché fu una delle azioni forse un po' più ponderate,un pò ' più meditate da un punto di vista strettamente teorico, e morale direi,anche morale. Io credo che mai un uomo debba pagare con la morte per le sueidee. Con la morte si finisce per pagare quando c'è uno scontro, quando c'èconfusione, quando c'è caos, non certo per le idee. Non è giusto ammazzare ungiudice perché non la pensa come te. Forse diventa più comprensibile ammazzarlose ti senti perseguitato da quel giudice.Crede di potermi dire, oggi, come fu ucciso quel giorno il giudice Amato?Fu aspettato sotto casa diverse volte. Una volta, mi pare, uscì con la figlia enon si ritenne opportuno agire, per quella strana forma di pudore che a voltenon si crede che gli assassini abbiano. Addirittura ucciderlo con accanto lafiglia, che a quell'epoca aveva dieci anni, sembrò eccessivo anche a noi.Un'altra volta ci furono altri inconvenienti, finché un giorno riuscirono aprenderlo. Non fu un 'azione particolarmente difficile. Avevamo preso le nostre

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misure perché lui di solito andava in ufficio in automobile, quel giorno inveceandò addirittura alla fermata dell'autobus, per cui fu ancora più semplice diquello che ci si immaginasse.Perché, all'improvviso, si è definito un assassino? Io? Perché lo sono.Dalla parte del terrorismo rosso c'era una grande produzione di documenti, dallavostra invece no. Questo significa che non sentivate di dover giustificare ivostri assassinii?Ma non siamo partiti con l'idea di doverci giustificare e abbiamo risposto comepotevamo e come sapevamo fare: colpendo quella che era la pane rappresentativadello Stato. Nel momento in cui sparavamo addos-

444 Sergio Zavoliso a dei poliziotti, a dei carabinieri, a dei magistrati, è chiaro che noicon lo Stato non avevamo nulla a che fare.I gruppi terroristici ai quali lei aderiva, come del resto altri di estremasinistra, giustificavano l'uccisione di agenti di poli-zia, di magistrati, difunzionari dello Stato, in quanto simboli del sistema, senza tenere conto chedietro quei simboli, lo abbiamo già detto, e se si vuole dietro le funzioni,c'erano degli uomini. Lei ha mai avuto ripensamenti a questo riguardo? Ritiene,voglio dire, di potere giustificare l'uccisione di una persona innocente, soloperché inserita nelle strutture dello Stato?Come le dicevo, esiste e penso che continuerà sempre ad esìstere un senso dicolpa; perché uccidere un'altra persona, un tuo simile, non è certo qualcosa chepuò appagarti, anzi tutt 'altro, ti crea dei problemi, ti pone dei dubbi. Peròpensi che, infondo, hai meno torto di altri. Il senso di colpa, comunque, resta.La solitudine in cui oggi siete, in cui oggi lei è, se paragonata a ciò che ècostata non solo a voi, a lei, ma soprattutto alle vostre vittime, non è essastessa, al di là di ogni altra cosa, il segno della vostra sconfitta?Non ce ne siamo mai preoccupati, perché siamo una generazione di sconfitti,sempre dalla parte dei perdenti; mai ci siamo messi dalla parte dei vincenti emai ci siamo preoccupati di esserlo. Tanto meno ora.In più occasioni lei ha ammesso l'esistenza di aspre lotte all'interno stessodelle formazioni armate di estrema destra. In alcuni casi venne perfinodecretata l'eliminazione fisica degli avversar!.Certo.Da che cosa nascevano quei dissidi? Perché venivano pronunciate sentenze cosìgravi?Isteria, probabilmente, paranoia. Abbiamo creduto a troppe legge*1"1 sul nostroambiente. Anche noi pensavamo di essere, diciamo, infiltratt da un momentoall'altro, anche noi pensavamo di essere circondati da

La notte della Repubblica 445P"gente che da un momento all'altro poteva rivelarsi un informatore dei Servizisegreti, un ex non so che cosa! Perciò ogni volta che qualcosa sfuggiva alnostro controllo, che non capivamo perfettamente, soprattutto ogni volta chec'era una persona, diciamo, che aveva qualche anno più di noi e che non erastata in galera, cominciavamo subito a dubitare e dicevamo: "Ma perché questonon è mai stato in carcere? Questo ha delle protezioni, perché viene a parlarecon noi? Perché vuole indura a fare determinate cose?". In pochi casi si èarrivati all'uccisione, ma in molti sì è arrivati a minacce molto pesanti, arotture di rapporti con gente che oggi, invece, sappiamo non essere stataaffatto così pericolosa, o così in malafede come noi credevamo.Restiamo alle uccisioni, magari precedute da qualche minaccia. Vorrei ricordarleche anche Ciccio Mangiameli, esponente palermitano di Terza posizione e amico diPier Luigi Concutelli, quest'ultimo giudicato come assassino del giudiceOccorsio, fu, per così dire, giustiziato da suo fratello, il quale avrebbe

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ricevuto proprio da lei l'ordine non so se di sopprimerlo, ma certamente dipunirlo. Perché Mangiameli venne eliminato, in sostanza?Mangiameli non fu ucciso da Cristiano. Mangiameli fu da noi sequestrato perchéio intendevo fargli delle domande abbastanza precise; al di là del desiderio dipunire una persona con cui avevamo avuto diversi litigi, per vari motivi, inquesto clima di paranoia volevo capire cosa c'era sotto. Non riuscivo a capireche, in fin dei conti, Mangiameli era semplicemente un uomo normale impelagatosiin una avventura troppo grande. Adesso lo so, Mangiameli è morto soltanto perdegli eccessi nostri: pretendevamo troppo da una persona che più di tanto nonpoteva dare.Lei ha detto che prima dell'omicidio Amato, gli organi di Polizia avrebberotenuto un atteggiamento tollerante nei vostri confronti. Che cosa voleva dire?Che avevate delle protezioni 0 che eravate semplicemente sottovalutati?Eravamo sottovalutati, e di questo ci siamo meravigliati per molto po senzariuscire a capire bene perché. L'abbiamo capito in seguito. "& molto tempo cisiamo chiesti perché riuscissimo sempre a sfuggire alte indagini; alloracominciammo a sospettare che ci fosse qualcuno che

446 Sergio Za volinon voleva prenderci perché si aspettava da noi determinati comportameli, ti.Era iperdietrologia, e siccome non capivamo, il sospetto che qualcuno stessecostruendo qualcosa alle nostre spalle ci portò a rompere qualsiasì legame, finoa esordire crudamente con l'omicidio del giudice Amato e dì alcuni poliziotti.Così, se qualcuno faceva dei piani sul nostro operato gli sarebbero saltatisicuramente. Questa era l'ipotesi di quel tempo. Ora ci rendiamo conto cheprenderci non era poi così facile, perché le forze dell'ordine erano abituate aragionare sulla lunghezza d'onda delle Brigate rosse: tutta gente con dieci annipiù di noi, e con una organizzazione completamente diversa. Prendiamo ciò cheavveniva vicino alle nostre abitazioni: eravamo sicuri che ci avrebbero scopertiperché dicevamo "nel quartiere ci siamo noi"; ma non venivano mai da noi,andavano sempre da quelli più anziani, da gente con cinque, sei, sette, diecianni più di noi, e arrestavano loro; erano loro che, innocenti, si facevanomagari mesi di carcere. A noi non pensavano proprio. Questa differenza di diecianni che ci separava dalle Brigate rosse ha portato le forze dell'ordine a nonprenderci in seria considerazione, a non capire che eravamo noi a fare quelloche facevamo.Veniamo al delitto Mattarella. Lei ha negato qualsiasi ruolo nell'uccisione delpresidente della Regione Sicilia. Eppure si vuole che esistano consistentiindizi di una sua partecipazione all'omicidio. Si è fatta anche l'ipotesi chelei sia stato incaricato di uccidere Mattarella e che, in cambio, la mafial'abbia aiutata a fare evadere Pier Luigi Concutelli, all'epoca detenuto nelcarcere dell'Ucciardone. Tutto questo si evince dal mandato di cattura deigiudici di Palermo e, in qualche modo, anche dal rapporto dell'Alto commissarioSica.So solo che il mandato di cattura è arrivato tre giorni prima che iniziasse ilprocesso d'appello a Bologna, per un reato di cui avevo la comunicazionegiudiziaria già dall'84, cioè un reato aperto da cinque anni. Io ho ipotizzato,e l'ho detto anche apertamente, che probabilmente sono stato una vittima degliscontri di potere giù a Palermo, dove serviva un caso clamoroso per mettere unpò ' di pace tra le fazioni.Lei ha sposato in carcere Francesca Mambro, anch'essa condannata all'ergastolo,in primo grado, per la strage di Bologna. Da quali affinità è stato piùattratto? C'è un progetto che tuttora vi leghi rispetto al vostro futuro?

447La notte della RepubblicaSicuramente. Siamo quasi cresciuti insieme, siamo stati insieme molto tempoquando eravamo fuori, abbiamo fatto determinate scelte insieme. Io sto conFrancesca, ci sto da molti anni e ci sto bene, non so se questo abbia unsignificato particolare. Sicuramente è la cosa più importante, a cui sono piùattaccato, di questi anni di carcere, quella che più mi fa compagnia nei perìodipiù difficili.

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Due persone pervase, si direbbe, da una continua inquietudine, anche se nonvinte, e tanto meno devastate, dal senso di colpa. Riuscite a trovare gli spazidella tenerezza? Ecco, di quale futuro parlate, e con quali speranze?Non lo so. Forse è un mondo parallelo, tutto nostro, tutto a parte. Se i nostrisentimenti resistono a dieci anni di carcere, e di carcere duro, vuoi dire chesono sentimenti positivi. E questo è molto importante.Lei fu in Tv un bambino prodigio. Non so se ero un prodigio, comunque...Era certamente un bambino. La sua vita, in seguito, è stata in qualche modosegnata da quegli anni di ribalte, di riflettori, di primi piani?Sì, perché mi metteva molto a disagio. E` un discorso più psicologico chepolitico, ovviamente. Diciamo che è stata una forzatura di mio padre, convintoche avessi un carattere come il suo e che avrei apprezzato la celebrità. Inveceio ero assai timido, il fatto di essere riconosciuto per strada mi metteva moltoin imbarazzo, e tutta la gente che avevo intorno, i miei coetanei, si dividevanoin due grandi categorie: quelli che mi adulavano scioccamente e quelli che,invece, quando giocavamo a pallone, mi davano tripla razione di calci.Istintivamente ho sempre provato più simpatia per quelli che mi prendevano acalci; e in tutti gli anni successivi mi sono legato sempre a gente un po'ribelle. Sì, quell'attività televisiva mi ha segnato moltissimo.Signora Mambro, la parola "rimorso" come suona alle sue orecchie?// rimorso è qualcosa che non da adito alla speranza, qualcosa che ri-rno.ne connoi, dentro di noi, perché nel momento in cui baratti i tuoi sentimenti con lalibertà, con l'uscita dal carcere, non sei in grado di di-Te cosa sia ilrimorso.

448Sergio ZavoliLei ha sposato Valerio Fioravanti. Potete vedervi e stare insieme soltantoqualche ora nelle gabbie dei tribunali, durante i processi. Questo matrimoniosignifica che lei crede, o almeno spera, in un futuro diverso per lei e per suomarito?Io credo che il futuro sia nella nostra storia, ovviamente; però non mipreoccupo più di tanto. Il futuro non ha mai contato più del nostro rapporto nelpresente. Oggi ci amiamo, anche se può sembrare oltraggioso parlare di amore inquesto momento, sicuramente controverso; però non credo che rispetto al futuroci poniamo grossi problemi. Siamo qui, ci amiamo lo stesso, nonostante tutto.Non credo che ci si possa preoccupare del futuro.Qual era il suo ruolo all'interno del gruppo?Io provengo, purtroppo, da un ambiente, quello di destra, piuttosto maschilista,dove le donne non hanno molto spazio: quando ce l'hanno è perché se lo sonoconquistato veramente con i denti. Quando conobbi Valerio, fu una di quellepoche persone che mi hanno dato il massimo della fiducia e il massimo delladisponibilità, cosa che non avveniva nel resto dell'ambiente. Mi sono trovatacon delle persone che avevano dei grossi problemi, perché la vita di unlatitante non è facile, ogni giorno può essere l'ultimo. Rendere meno drammaticauna giornata affrontando le cose in modo distensivo credo che valesse più ditutto il resto.Si è mai sorpresa a pensare ai figli delle persone che avete ucciso?Sì. Quando nelle aule dei tribunali arrivavano le mamme, le sorelle degli amiciche non ho più, ho pensato a chi non ha più un figlio p& causa nostra.Lei, Fioravanti, ha mai avuto la sensazione di vivere, per così dire, "come dacopione"? Era previsto il finale di quel copione o no?Sì, lo sapevamo tutti; anzi, quelli di noi che sono sopravvissuti sono contentidi essere sopravvissuti. Eravamo tutti convinti che saremmo morti.

La notte della Repubblica 449Qual è, per così dire, il marchio del suo passato che non è cancellabile?Non so, io non ho quest 'ansia di cancellare. Neanche i morti?Non come marchio. In fin dei conti li ho fatti. Perché devo fare finta che nonli ho fatti o che li devo cancellare? Se come marchio si intende la "A" damettere sulla scollatura, è giusto. Io ho fatto quello che ho fatto, non lo devonascondere, insomma non voglio uscire di galera e far finta di essere un altro,chiunque...

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Non parlavo di un marchio che si vede, che si attacca alla giacca, parlavo di unaltro marchio.// marchio mio personale, dentro, in profondità? Anche lì sarebbe sciocco volercancellare qualcosa. Se c'è qualcosa che abbiamo fatto, e che ci è costatomolto, in fin dei conti è proprio l'esperienza più importante. Io penso che ditutto quello che è successo, al limite anche il dolore, anche il ripensamento,anche il dubbio che tuttora a volte ti martella, perché non sai mai bene quelloche è successo o che non è successo, se era follia, se era solo rabbia, se c'eradell'altro, proprio perché è costato molto, ed è costato molto ad altri, nonvoglio affatto cancellarlo.Ecco, soltanto poco fa, quasi sul punto di congedarci, comunque verso la finedella nostra intervista, le sono uscite di bocca tre parole inedite nella nostraconversazione: dolore, ripensamento e dubbio. Non le è uscita la parola rimorso.// rimorso è rimasto famoso in una frase di mia moglie, molto male interpretata,quando sostenevamo che in realtà la nostra generazione non Conosce il verosignificato della parola rimorso. In effetti non e 'è lo spa-ZH> per i rimorsi.Il rimorso è qualcosa dì molto personale, di molto intimo; e invece, purtroppo,le nostre parole sono sempre pubbliche. Non Cfedo perciò che in un 'aula ditribunale o davanti a una telecamera ci sia '‘ spazio per il vero rimorso. Ilrimorso è un 'altra cosa: molto silenzio-Sa> molto privata, molto intima. Perquel che riguarda le altre parole, e le confermo, il dolore c'è in tutte lemisure, il dubbio c'è sempre stato: c era all'inizio e c'è anche adesso.

450 Sergio ZavoliE a proposito di quella parola indicibile perché risuonerebbe in un certo modoin un'aula di tribunale... ecco, in un altro tribunale, lei ha capito quale, lapronuncerebbe?Dipende dal pubblico. Se è un pubblico che vuole sangue a tutti ì costi, pensoche avrei un atteggiamento negativo, ed è un pubblico che mi capita spesso. Seinvece avessi un pubblico che ha interesse a capire, non avrei nessunissimoproblema...... c'è un equivoco... quel tribunale di cui parlo io non ha pubblico, ha soloun giudice.Questa è un 'intimità con Dio che io non ho e che... no, non le posso risponderein termini definitivi.

XVIIIL TERRORISMO SCONFITTO FINE DI UNA RIVOLUZIONE SENZA POPOLOSono gli anni Ottanta. Le Br continuano a colpire. Le forze dell'ordine,riorganizzate, hanno alle spalle molte vittime, ma anche molte esperienze.Cominciano così a infliggere colpi durissimi ai quali, sulle prime, i terroristisembreranno in grado di reagire; in realtà inizia il loro declino e cresce illoro, inesorabile, isolamento. Enrico Fenzi, genovese, professore universitario,cognato di Giovanni Senzani, è tra i primi a rendersene conto nel corso di unariunione tenuta dai brigatisti a Tor San Lorenzo, sul litorale laziale. Ormaiciascun nucleo agisce in proprio, per così dire, cercando di egemonizza-ciò cheancora esiste del movimento brigatista. Li accomuna soltanto la decisione dicombattere il pentitismo con ogni lezzo. Così Fenzi ricorda quel momento:Io credo che la Walter Alasia, dopo che Peci aveva parlato e le Srigate rosseerano quasi completamente distrutte, giudicasse insuf-iciente, e lo diceva achiare lettere, la direzione di Moretti e dell'esecutivo. Faceva propri gliargomenti del nucleo storico interno che iveva già chiesto le dimissioni ditutto il gruppo dirigente delle Bri-fate rosse. Sosteneva di essere l'unicacolonna che aveva un rappor-o con la classe operaia e con una base certamentenon di massa, na quantomeno radicata nella realtà produttiva del Paese e delleabbriche. Era contraria ai reclutamenti romani e alla inconsistenza, liciamo,del resto dell'organizzazione, e si proponeva come l'unica "lonna in grado diprendere la direzione delle Brigate rosse. In so-tanza, quelli della WalterAlasia sono venuti lì, hanno detto a Mo-etti e all'esecutivo: "Fatevi da parte,che le Brigate rosse siamo ioi". Erano venuti alla riunione con il progetto diassumere la dire-ione in blocco, di costituire il nuovo gruppo dirigente delleBrigate osse.

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452 Sergio ZavoliMilano, 4 aprile 1981. Mario Moretti, l'uomo da qualche anno a capo delleBrigate rosse, viene arrestato nei pressi della stazione Centrale forse inseguito alla soffiata di un informatore della polizia. Si trovava nel capoluogolombardo con Enrico Fenzi, probabilmente per riorganizzare la colonna WalterAla-sia. Moretti, rifiutando di rispondere alle domande dei giudici, si dichiaraprigioniero politico.Le Br, private del loro uomo guida, capace di mediare fra le diverse anime e ledivergenti linee operative presenti al loro interno, subiscono un grave colpo.E` allora che cercano di darsi una nuova linea strategica. I principi sonoenunciati in un opuscolo scritto in carcere dai componenti del nucleo storicodell'organizzazione, quello di Curcio e di Franceschini. Si intitolerà L'alberodel peccato: una sorta di testo sacro delle Br fino alla nascita, negli ultimimesi dell'81, del partito della guerriglia. Nuova strategia, nuovi alleati. LeBrigate rosse, guidate adesso da Senzani, si rivolgono al cosiddettoproletariato extralegale, cioè ai reietti, agli emarginati del mondo del lavoroe degli studi; un mondo dove non mancano infiltrazioni consistenti didelinquenza comune.Nel frattempo lo scenario economico italiano si trasforma con rapidità. Tra il1980 e il 1988, ad esempio, la quota di prodotto esportato aumenta del 37 percento. Crescono il prestigio e il fatturato del cosiddetto mode in Italy. Tuttoil Paese avverte il bisogno di un ripensamento complessivo, di una culturacapace di conciliare domande individuali e collettive, insemina di unadefinitiva maturazione. Una sorta di metafora di quest'ansia di rinnovamento,pace sociale, bisogno di nuovi entusiasmi, sarà la conquista della Coppa delMondo, a Madrid, nell'estate del 1982. Rasserenante è l'immagine festosa deigiocatori stretti attorno a un raggiante Sandro Pertini. Il presidente dellaRepubblica, che già incarna un'idea di trasparenza e di saldezza democratica, siguadagna un altro motivo di simpatia. Le piazze delle città italiane, dopo unastagione di timori e prudenze, si riempiono di gente in festa. "L'Italia è nelpallone" titola ironicamente un giornale; ma c'è in giro una voglia di vivere edi dimenticare. L'occasione è propizia. Riappare, un po'

La notte della Repubblica 453tutto, specie fra i ragazzi, la bandiera nazionale: uno spettacolo anch'essoinconsueto.La politica italiana vive una svolta storica: la Democrazia cristiana cede perla prima volta la presidenza del Consiglio a un laico, Giovanni Spadolini,segretario del Partito repubblicano, che ricorda così l'esperienza di queigiorni:La novità fu questa: il presidente laico e il governo, in qualche modo, "diemergenza senza solidarietà" come io lo chiamai. Cioè non si ripeteva lo schemadell'unità nazionale: i comunisti restavano all'opposizione e non ci fu untentativo di coinvolgimento. Ci fu invece un tentativo di realizzare una formadi patto sociale limitato, per esempio superare la scala mobile, tentativo nelquale non ebbi l'appoggio delle forze sindacali. Nonostante mi muovessi congrande obiettività, le tre centrali dovettero veder maturare le condizionipolitiche diverse che, due anni dopo, consentirono a Craxi, secondo presidentelaico nella storia della Repubblica, di chiudere la famosa vertenza sul costodel lavoro. Per il resto fu un governo di fermo occidentalismo, di fermoatlantismo, in un momento in cui l'equilibrio mondiale era scosso, direiaddirittura sconvolto, a vantaggio dell'Unione Sovietica dell'ultima erabrezneviana. Quindi si trattava di far fronte agli impegni per gli apprestamentimissilistici concepiti in chiave difensiva, e il governo li onorò scegliendosubito la base di Comiso. In sostanza: governo di patto sociale, di emergenza,di lotta al terrorismo e alla P2, e di difesa della moralità. Tuttecaratteristiche che io posi alla base del governo. Quel che mi assicurò consensiabbastanza vasti fu la battaglia contro la corruzione, in tutte le sue forme.La tensione raggiunge un punto altissimo in tutto il Paese quando il 13 maggiodell'81 un terrorista turco, Ali Agca, esplode tre colpi di pistola contro papaGiovanni Paolo II, in mezzo alla folla di piazza San Pietro.Il pontefice resta ferito da due proiettili. Le indagini porranno in evidenzauna serie di interrogativi inquietanti: l'ordine di uccidere il papa è venuto

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dall'Est? Agca, già condannato a morte in patria per terrorismo, ha agito dasolo o è lo strumento di un complesso disegno criminale ordito da governi eservizi segreti stranieri?Il killer promette rivelazioni sensazionali, ma la sua testimonianza davanti aigiudici, incredibilmente visionaria e allucina-

454Sergio Zavolita, non dissiperà i dubbi che pesano ancora sui retroscena dell'attentato.Le Br, in quello stesso periodo, organizzano e mettono a segno quattro azioni dirara efficienza organizzativa: i sequestri di Ciro Cirillo, assessore regionalein Campania, di Giuseppe Taliercio, direttore del Petrolchimico di PortoMarghera, di Renzo Sandrucci, dirigente dell'Alfa Romeo di Arese, e di RobertoPeci, fratello di Patrizio, primo grande pentito brigatista. Sono atti diintimidazione e ricatto con cui il terrorismo rosso sembra voler provare a sestesso, prima ancora che al Paese, di essere in pieno vigore. In realtà, imilitanti effettivi delle Br sono ormai solo poche decine, fiancheggiati daqualche centinaio di irregolari. Il vertice dell'organizzazione si spacca, lesigle cambiano e persine il marchio originale, Brigate rosse, è oggetto dicontesa tra più pretendenti.Il primo obiettivo dell'offensiva brigatista è Ciro Cirillo. La sera del 27aprile 1981, i terroristi lo rapiscono a Torre del Greco, dopo avere ucciso ilsuo autista e il brigadiere di pubblica sicurezza addetto alla sua scorta.Pressoché sconosciuto al di fuori della Campania, Cirillo è una delle figurecentrali della vita politica della regione da quando, dopo il terremoto del1980, era divenuto vicepresidente del Comitato tecnico per la ricostruzioneassumendo così il controllo degli ingenti fondi stanziati dal governo.Il sequestro di Ciro Cirillo testimonia che le Br di Senzani vedono nelMezzogiorno il serbatoio in cui reclutare le frange più sbandate delsottoproletariato. Le richieste in cambio della vita di Cirillo sonoclamorosamente demagogiche: requisizione degli alloggi sfitti nella cinturaurbana di Napoli per destinarli ai senzatetto, e conseguente chiusura delvillaggio di roulotte creato alla mostra d'Oltremare; istituzione diun'indennità di disoccupazione per i terremotati; pubblicazione, infine, deicomunicati della colonna napoletana e dei verbali del "processo" al qualel'assessore viene sottoposto dai suoi carcerieri.Alcune di queste richieste sono accolte. Il 27 maggio, un mese dopo ilrapimento, comincia la requisizione degli alloggi liberi. Il 2 giugno iterremotati ricevono l'assegno di disoccupa-

La notte della Repubblica 455zione e Zamberletti, responsabile della Protezione civile, annuncia la chiusuradel villaggio di roulotte. Il 28 luglio, dopo 88 giorni di prigionia, Cirilloviene liberato.Più tardi si saprà che le Br hanno ottenuto, come riscatto, un miliardo e 450milioni. Sulla provenienza di quel denaro restano, ancora oggi, degliinterrogativi. "Lo hanno raccolto gli amici", spiegherà il rapito.Il sequestro Cirillo rappresenta un caso del tutto particolare R nella storiadel terrorismo italiano; fin dai primissimi giorni, infatti, prende il via unacomplessa serie di trattative collaterali, più o meno clandestine, checoinvolgeranno di volta in volta personaggi politici democristiani, emissari deiServizi segreti, funzionari del ministero di Grazia e Giustizia, commissari dipolizia e persine pregiudicati - detenuti come Raffaele Cutolo, capo storicodella criminalità organizzata, o latitanti come un altro camorrista, VincenzoCasillo - ciascuno a suo modo impegnato a collaborare in questa oscura e ineditatrattativa. Rimarrà memorabile, nella storia dei Servizi segreti, l'assolutaplatealità dei loro interventi, se è vero, come sembra vero, che i lororiservatissimi incontri con Cutolo erano risaputi persine dalle guardiecarcerarie. Del resto che Cutolo si fosse offerto per mediare con le Br era notoa molti.Catturati i brigatisti direttamente responsabili del sequestro, prende il via unprocedimento-stralcio, nato dall'inchiesta sulle modalità della trattativa esulla provenienza del riscatto versato. Si tenta di scoprire quale fosse la sua

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destinazione finale. Il timore diffuso, di cui si fa portavoce il senatorerepubblicano Libero Gualtieri, allora presidente del Comitato parlamentare dicontrollo sui Servizi di informazione e sicurezza, è che di quella somma ilgruppo terroristico si sarebbe servito per incrementare l'aggressione alloStato.Nella fase istruttoria di quel processo, il giudice Carlo Alemi delinea unoscenario inquietante: parla di intrecci, di complicità inconfessabili, di giocodelle parti tra malavita e certi settori della politica. Il Tribunale di Napoli,il 25 ottobre 1989, assolverà tutti gli imputati con varie formule procedurali,tranne Raffaele Cutolo che verrà condannato per tentata estorsione.

456 Sergio ZavoliMa le motivazioni della sentenza lasciano aperti molti dubbi. Vi si legge tral'altro:Questo procedimento è stato caratterizzato dalla scomparsa di numerosi elementidocumentali che, indipendentemente dai motivi accidentali o volontari, hannocomunque privato i giudici di atti dai quali sarebbe stato possibile trarreelementi di valutazione. Era doveroso, da parte dei rappresentanti delleistituzioni, un atteggiamento processuale di totale lealtà e collaborazione. Siè evidenziato, invece, un risultato probatorio dai contenuti oscuri e a volteindecifrabili. Si è assistito all'assurdo che un medesimo fatto non è mai statoriferito dai testimoni oculari in termini di identità, trovandosi il tribunaledi fronte a due versioni provenienti entrambe da fonti qualificate, rispettoalle quali, nella impossibilità di privilegiare l'una o l'altra, è statogiuridicamente precluso l'accertamento del fatto storico.Il 20 maggio, mentre Cirillo è ancora nelle mani delle Br, la colonna venetarapisce Giuseppe Taliercio. Fin dal primo comunicato è evidente che iterroristi, in questo caso, non intendono affatto seguire la linea dellatrattativa. Il volantino di rivendicazione, firmato dalla colonna Anna MariaLudman, usa un linguaggio duro, chiuso a qualsiasi possibilità di dialogo. Sipuò leggere tra le righe che il direttore del Petrolchimico ha poche speranze diuscirne vivo.Il 6 luglio il cadavere dell'ingegnere è infatti rinvenuto, crivellato di colpi,nel bagagliaio di un'auto, vicino a Mestre. Il sanguinoso epilogo della vicendanon sconvolge soltanto l'opinione pubblica. Le Br si dividono, al loro internosi aprono contrasti laceranti. La colonna romana 28 Marzo proclama il propriodissenso e definisce il sequestro Taliercio una fuga in avanti che hadisorientato le masse.Il 3 giugno era stato preso in ostaggio, a Milano, un altro dirigenteindustriale: Renzo Sandrucci, dell'Alfa Romeo. L'azione è rivendicata, questavolta, dalla colonna Walter Alasia. Le contestazioni che i brigatisti muovono alprigioniero riguardano soprattutto la ristrutturazione dei reparti dell'aziendae il ricorso alla cassa integrazione. I dirigenti dell'Alfa Romeo accolgono unadelle richieste, revocando la cassa integrazione pef 500 operai. Il 23 luglioSandrucci verrà rimesso in libertà. Ma il quadro si era complicato ulteriormentecon il rapimen-

La notte della Repubblica 457to dell'operaio elettrotecnico Roberto Peci, fratello di Patrizio, avvenuto il20 luglio a San Benedetto del Tronto. Le indagini consentiranno di stabilire chela sua sorte era già segnata e quella azione doveva suonare come una minacciadiretta ai brigatisti che, rivedendo le proprie scelte, cominciavano a collabo-rare con la giustizia. Ciò non toglie che Senzani giochi nuovamente la carta deimass media. Il 24 luglio, due lettere di Roberto Peci - accompagnate da unvolantino delle Br, con l'annuncio della sua condanna a morte - vengonorecapitate al segretario socialista Craxi e al presidente della Rai. Ancora unavolta un ricatto: la vita di Peci contro la messa in onda, in Tv,dell'interrogatorio del prigioniero. La Rai dice no.

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L'esecuzione di Peci, filmata da Giovanni Senzani con una telecamera, raggiungeforme così disumane da creare ripulse anche all'interno dell'organizzazione. Leimmagini del paradossale e sinistro "processo" rimarranno tra le piùagghiaccianti di quegli anni.Il martellante susseguirsi di questi episodi, e la loro risonanza nell'opinionepubblica, danno l'impressione che le Brigate rosse siano nuovamente unite e chela loro offensiva possa continuare a lungo. In realtà, le Br si sonoirrimediabilmente frantumate.La mattina dell'8 febbraio del 1982, nel supercarcere di Palmi, tre brigatistetentano di uccidere, e feriscono gravemente, una loro compagna, ImmacolataGargiulo, 25 anni, di Salerno, pentita. Il 27 luglio dello stesso anno, nelsupercarcere di Tra-ni, viene ucciso a coltellate il brigatista Ennio Di Rocco,accusato dai suoi compagni di avere contribuito alla cattura di GiovanniSenzani. Nel supercarcere di Vogherà una vigilatrice riesce ad impedirel'assassinio di Maria Giovanna Massa, compagna di Patrizio Peci. In dicembre,nel supercarcere di Cuneo, Giorgio Soldati, della colonna Walter Alasia, vienestrangolato da detenuti brigatisti dopo avere subito un processo sommario. Eun'ondata omicida che investe l'intera galassia dell'eversione. Anche i nericompiono nelle carceri i loro "regolamenti" con i pentiti o supposti tali.Ermanno Buzzi, principale imputato per la strage di Brescia, viene uccisonell'aprile del 1981 den-

458 Sergio Zavolìtro il carcere di Novara. Responsabili dell'omicidio sono Pier Luigi Concutellie Mario Tuti. Il 10 agosto 1982, un'altra vitti-ma: è Carmine Palladino.L'assassinio viene attribuito ancora a Concutelli. Denominatore comune di questeuccisioni è il sospetto di tradimento.Il 1981 volge alla fine e dai tronconi delle Br si rifa vivo quello capeggiatoda Antonio Savasta. Il 17 dicembre rapisce, a Verona, il generale americanoJames Lee Dozier, vicecomandante delle forze terrestri alleate per il SudEuropa.Al di là della clamorosa eco suscitata in Italia e in America, l'operazione nonavrà alcuna utilità per i terroristi. D'altronde, Savasta e i suoi quattrocompagni non conoscono l'inglese; il generale americano sa poche parole dellanostra lingua: nessun interrogatorio è, quindi, possibile. Il carattereesclusivamente propagandistico dell'azione appare evidente.Del resto, molte cose sono cambiate. L'area di contiguità alle Br si è ormairidotta e i terroristi non sono più in grado di selezionare con cura i proprifiancheggiatori. Le strutture antiterrorismo della polizia di Stato e deicarabinieri, al contrario, sono ormai organismi ben rodati. La risposta alsequestro Dozier è tempestiva ed efficace.Umberto Improta, che ha diretto l'operazione:Nel corso delle indagini avevamo individuato uno dei responsabili dellastruttura logistica brigatista. Questo giovane, dichiaratosi in un primo momentoprigioniero politico, di fronte alle contestazioni che gli venivano mosse ha poipreferito collaborare, e ci ha portato alla individuazione, in Padova, del covo-prigione dove era detenuto il generale. Qui sì è dovuta aprire una seconda faseinvestigativa per accertare se effettivamente il generale era ancora tenuto inquel covo perché, contestualmente, abbiamo appurato che la direzione strategicaaveva sede a Milano e quindi i responsabili veri, i capi dell'organizzazione,come Balzerani o Lo Bianco, in quel momento o nelle more delle nostre indagini,potevano aver trasferito altrove il prigioniero. Abbiamo fatto rapidamente idovuti accertamenti e con una organizzazione molto capillare, definitameravigliosa dal giudice di Verona, un capolavoro delle forze dell'ordine, alle11 del mattino del giorno 28 gennaio liberammo con un blitz e senza spargimentodi sangue " generale. Sequestrammo numerosissimo materiale ideologico utile allealtre indagini e moltissime armi. La cosa più importante fu che m

La notte della Repubblica 459questa operazione vennero catturati i maggiori artefici del sequestro, compresoil capo di quella colonna, Savasta; il quale, in seguito, con il suo pentimento,ha consentito il successo di numerosissime operazioni di polizia sull'intero

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territorio nazionale e la cattura di moltissimi responsabili delle Brigaterosse.Il successo dell'operazione, che ha un'eco trionfale soprattutto in Americadove, nella circostanza, l'immagine dell'Italia viene generosamente enfatizzata,è anche il segno che lo Stato è ormai in grado di intervenire con risolutaefficienza. La soddisfazione stessa degli italiani per l'esito così spettacolaredella vicenda testimonia di un clima finalmente ottimistico. La notte, sidirebbe, è passata. Il più felice di tutti, va da sé, è il generale Dozier:A tutti gli amici italiani, dal profondo del cuore, dico grazie. Grazie a nomedella mia famiglia per le vostre preghiere. Grazie per il conforto dato a miamoglie e ai miei figli durante queste giornate difficili. Grazie perl'eccellente lavoro delle forze italiane dell'ordine che ''ò--ino lavorato alungo con dedizione per la mia liberazione. Grazie.Quanto rimane delle Br tenta comunque di reagire. Il 4 giu-10 dell'83, uncommando di brigatisti ferisce a una gamba illocente universitario Gino Giugni, socialista, consulente auto-ivole dei sindacati e del ministero del Lavoro. Giugni ricostruisce l'agguato:Avvenne dopo che era terminata la lezione all'università. Evidente-lentequalcuno mi seguì fino all'ingresso della sede della rivista di li erodirettore, vicino a piazza Fiume, in una strada piuttosto deserta, a quell'ora.Erano le 7 e mezzo circa. Sentii alcuni rumori che lì per lì non distinsi perchénon sono pratico in materia, e poi mi resi conto, quando ne avvertii i segni sume stesso, che erano rumori di spari. Rimasi talmente meravigliato e sorpresoche mi rivolsi agli aggressori chiedendo loro che cosa volessero.Si è voluto colpire Gino Giugni per il suo ruolo nelle trattative sulla scalamobile, concluse con l'accordo del 28 gennaio. Mancano pochi giorni alla datastabilita per le elezioni dal cui esito prenderà avvio una novità significativaper la vita politica italiana: il governo Craxi, il primo guidato da unsocialista. Durerà dall'83 all'87, un primato nella storia della Repubblica.

460 Sergio ZavoliSaranno quattro anni segnati da una netta ripresa dell'economia del Paese, ormaiai primi posti del mondo industrializzato e da un energico approccio allesituazioni di crisi. Due appaiono significative: lo scontro con il Pci e la Cgii sulla scala mobile e la prova di forza con l'amministrazione americana diReagan sulla delicata vicenda di Sigonella.Intanto, il fenomeno dei pentiti spiana la strada a quello dei dissociati. Adaccelerarlo è l'approvazione, il 29 maggio 1982, della legge n. 304 ("Misure perla difesa dell'ordine costituzionale") che prevede forti sconti di pena a chi,entro il 30 settembre, fornirà contributi utili alla lotta contro l'eversione.E` un colpo decisivo al terrorismo. In alcuni casi non mancheranno polemiche perla clemenza usata contro rei confessi di delitti, ma oggettivamente ilpentitismo sarà una chiave di volta della vittoria dello Stato. Esso spingeràaltri terroristi detenuti a distinguersi: rinunceranno pubblicamente alla lottaarmata, rinnegheranno la violenza come strumento politico, ammetteranno errori econfesseranno delitti, ma rifiutandosi di denunciare i compagni. E` lacosiddetta dissociazione, ufficialmente dichiarata da Valerio Morucci il 19gennaio 1985 - nell'aula bunker del Foro Italico, dove è in corso il processod'appello per il caso Moro - con un documento di addio alla lotta armata firmatoda 170 detenuti Br.A partire dal 1983 si sviluppa nelle carceri un dibattito che riguardasoprattutto gli strumenti legislativi grazie ai quali risolvere il futurogiudiziario di centinaia di giovani condannati per fatti eversivi.A Vogherà, Latina, San Vittore, Alessandria, forniscono decine di documenti eproposte. A Rebibbia, stimolata dal direttore generale per gli Istituti diprevenzione e pena, Nicolo Amato, prende corpo quella che verrà chiamata l'"areaomogenea", la quale raggnippa detenuti, di destra e di sinistra, decisi achiudere con il passato e a prendere le distanze dagli ultimi irriducibili.Privi di una strategia di qualche respiro, messi alle corde, quasi condannati adovere agire per dimostrare di esistere, residui gruppi terroristici tentano lacarta dell'internazionale dell'e-

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versione: qualche oscuro contatto con i baschi dell'Età, con i I francesi diAction Directe, con gli irlandesi dell'Ira non produ-I ce, però, risultati dirilievo. Unica pista praticabile sembra quella che porta verso il variegatouniverso del terrorismo mediorientale, sempre alla ricerca di appoggi e bersagliin Occidente.Il 15 febbraio 1984 viene ucciso, a Roma, il diplomatico americano Leamon Hunt,responsabile logistico della forza multinazionale di pace nel Sinai. Ma è unastrada senza sbocchi, presa da un gruppo di sbandati che ha sempre meno a chefare con le Br, la loro origine e la loro storia.Uccisioni, ferimenti, rapine, intimidazioni segneranno il periodo che va dall'85all'88; costellato, insieme, dal diffondersi del pentitismo, dagli arresti,dalla scoperta continua di basi. Anche l'ultimo capo brigatista è finito incarcere: Giovanni Senzani, criminologo, stratega del sequestro Cirillo, registadel delitto Peci, è stato sorpreso dalla polizia in un covo, a Roma, l'8 gennaio1982. L'organizzazione, per quel che riguarda i suoi legami col passato, apparedefinitivamente decapitata, anche se qualcuno si ostina a riconoscere in questicolpi di coda il vecchio marchio delle Br. Ma l'unità dell'organizzazione èsoltanto un ricordo. Gli osservatori più attenti notano che le Brigate rossesono ormai divise in due gruppi distinti, privi di contatti tra loro, cheperseguono obiettivi diversi. Il primo è quello cosiddetto "movimentista", cheadotterà la sigla Ucc (Unione dei comunisti combattenti); il secondo,"militarista", si farà chiamare Pcc, Partito comunista combattente. Ladifferenza, alla gente, apparirà esigua. Gli uni e gli altri, infatti,continueranno a sparare. E una cadenza più lenta, rispetto al passato, maegualmente micidiale. Il 27 marzo 1985, all'Università di Roma, viene colpito amorte Ezio Tarantelli, docente di economia politica e presidente dell'Istitutodi studi economici della Cisl. Il 10 febbraio 1986 è ucciso Lando Conti, exsindaco di Firenze. Un anno dopo, il 20 marzo dell'87, due terroristi, MaurizioLocusta e Francesco Maietta, sparano al generale dell'Aeronautica LicioGiorgieri, uccidendolo. Ancora un anno, e il 16 aprile 1988 cade sotto il fuocoil senatore democristiano Roberto Ruffilli, consigliere per i problemiistituzionali del presidente

462 Sergio Zavolidel Consiglio e segretario della De, Ciriaco De Mita. Il parla-mentare vieneucciso, con un rituale orrendo, nella sua casa di Forlì.A questi delitti segue un gran numero di arresti. Nell'arco di pochi mesifiniscono in carcere decine di terroristi. Molti di essi si dichiarerannopentiti. Alcuni collaboreranno con la giustizia strumentalmente, cioè per goderedei benefici del "ravvedimento". I protagonisti di questo epilogo sono,d'altronde, ciò che resta di una sconfitta. Non a caso, il 23 aprile dell'88,Renato Curcio ne recita, in un'intervista, l'epitaffio:Mi sembra strumentale confondere il conflitto sociale degli anni Settanta, dicui le Br sono state una componente, con l'azione pertur-batrice di pochi uominiarmati. (...) Da un anno e mezzo continuiamo a dire che il ciclo delle lottesociali degli anni Settanta è senza dubbio esaurito, che il salto di complessitàsociale rende improbabile il rilancio dell'esperienza brigatista nelle nuovecondizioni. Il terrorismo delle nuove Br non può godere a nessun livello dellanostra complicità.Il sigillo sulla fine viene posto il 23 ottobre 1988, quando un gruppo di"irriducibili" - tra i quali uno dei fondatori delle Br, Prospero Gallinari,sospettato di avere materialmente ucciso Aldo Moro - in un documento di seicartelle e mezzo scritto nel carcere di Rebibbia dichiara che " oggi le Brigaterosse coincidono di fatto con i prigionieri politici delle Brigate rosse". E` lasconfessione di quanti, all'esterno, intendano colpire servendosi della sigla"Br". I firmatari del documento, dice ancora il testo, "hanno deciso diassumersi la responsabilità di fare queste rivelazioni anche per stroncare sulnascere qualsiasi strumentalizzazione o provocazione possa essere imbastita

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sulla nostra storia o sigla. Nel paese delle mille trame non è cautela campatain aria". A questo punto, la dichiarazione più significativa ed esplicita: "Lalotta armata contro lo Stato è finita". In conseguenza di ciò, dicono ibrigatisti, "occorre portare la propria esperienza storica sul terreno dellalotta politica", e dunque "va riaperto un confronto con le forze sociali". Ildocumento si conclude affermando che "la prima battaglia da fare è quella perun'amnistia politica generale". Il testo, non privo di una sua severità, recaotto firme, poste tutte in rigoroso ordine alfabetico per sottolinearel'inesistenza di qualsiasi tipo di gerarchla. Esse

463La notte della Repubblicasono: Pasquale Abatangelo (ex Nap), Paolo Cassetta (Br-Ucc), Prospero Gallinari(Br), Francesco Lo Bianco (Br), Maurizio Locusta (Br-Pcc), Remo Fancelli (Br),Francesco Piccioni (Br-Ucc) e Bruno Seghetti (Br).Dal primo attentato terroristico sono passati quasi due decenni. E la fine diuna lunga tormentata, sanguinosa stagione. Ai primi di gennaio del 1989 lamagistratura emette centinaia di ordini di cattura: una dozzina di basilogistiche sono state scoperte in tutta Italia. Nelle mani di polizia ecarabinieri finisce una documentazione imponente: dall'archivio di Senzani aquello di Prima linea. Per le forze dell'ordine è un momento atteso da settemilagiorni. Esse avevano rappresentato il bersaglio principale dell'aggressioneterrorista: "colpire gli uomini in divisa, braccio armato dellacontrorivoluzione", così si leggeva nei testi brigatisti.Un ragazzo che oggi è in terza media, quando le Br rapirono Moro e ne ucciserola scorta aveva zero anni. Ai tempi di piazza Fontana i suoi futuri genitoriforse non si conoscevano. Questa nostra inchiesta è in un certo senso dedicata alui, nato nell'ora più atroce del terrorismo e cresciuto senza poterne capiregli sviluppi e la progressiva decadenza. Oggi, quel ragazzo ha davanti una vitain qualche modo tracciata anche da come il Paese, senza di lui, ma anche perlui, è uscito da quel tunnel. Dove non ha combattuto delle ombre. Al contrario,si è visto duramente provocare da un fenomeno nato non a caso, né al di fuori dinoi; esso, infatti, è stato un'espressione tragica e solitària di una societàche attraversava la fase più tumultuosa, e non di rado contraddittoria, dellasua crescita. Quello scontro è costato troppo perché non si debba anche sapere,quanto più è possibile, come gli uomini che ingaggiarono una rivoluzione senzapopolo si sono congedati da quella cieca illusione.Interviste ad Alfredo Bonavita, Alberto Franceschini, Enrico Fenzi e PatrizioPeciPatrizio Peci, lei è il pentito per eccellenza, ha svelato per primo molti,fondamentali segreti delle Br. I suoi ex compagni la bollano con l'appellativodi infame, altri la giudicano un op-

464Sergio Tavoliportunista a caccia di sconti giudiziari; qualcuno, quando lei si pentì, si èlimitato a dire che era un uomo di poca fede. Lei come si definirebbe?Innanzitutto una persona che ha sbagliato, che poi si è accorta di averesbagliato e ha fatto di tutto per recuperare almeno quello che era possibilerecuperare. Appena mi hanno arrestato, ho pensato che la cosa più sensata chepotessi fare in quel momento era evitare altri morti, quindi ho dovuto in quelcaso fare arrestare dei miei compagni. Questa scelta mi è costata cara. Hopassato più di una settimana a riflettere. Tengo a precisare che questa scelta,a differenza di quello che può sembrare, è andata per gradì. Voglio dire checominciai ad avere dei dubbi prima di essere arrestato, quando ero ancora nelleBr. Erano dubbi che ogni militante nelle Brigate rosse, secondo me, aveva; e chenormalmente si superavano col dibattito, certe volte reprimendoli. Ma in quelperiodo, due, tre mesi prima di essere arrestato, erano più marcati,probabilmente anche per le mazzate che avevamo preso in termini di repressione.Avevano arrestato quasi tutti, a Torino e anche altrove. Poi c'era un moto dicrisi all'interno dell'organizzazione e questa sfiducia, questi dubbi,incominciavano a venir fuori.

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Si potevano avere dubbi di questa natura e allo stesso tempo continuare auccidere?Sì, perché era un dibattito continuo, era una vita frenetica. Io in pratica nonpossedevo niente, tutto quello che avevo era l'organizzazione: sia dal punto divista degli affetti, sia dal punto di vista della casa in cui abitavo. Oramaiera diventato più che un mestiere, quindi anche il fatto di dovermi rifare unavita non era così semplice, a cominciare dalle difficoltà ad andar via. Ma nonper il fatto che loro mi dicevano: "Guarda che se vai via ti ammazziamo", questono, perché pian piano ti avrebbero dato il permesso di andartene. Però erototalmente legato a quel meccanismo, in qualunque modo. Ogni cosa che avevofatto, l'avevo fatta più o meno bene grazie alla struttura, all'esperienzadell'organizzazione; uscendone, qualsiasi difficoltà diventava quasiinsormontabile: procurarsi una carta d'identità, dei soldi, cercarsi unlavoro...Lei ha compiuto 7 omicidi, 17 ferimenti, decine di altri reati. Un curriculumnon da poco...

La notte della Repubblica 465Questi 7 omicidi li ho decisi in una riunione nella direzione di colonna. Adalcuni ho partecipato personalmente, senza mai sparare. Però non vuoi direniente che non abbia sparato. Cioè non e 'è differenza..Che cosa significava per un brigatista entrare in una crisi personale?Era la cosa più grave che potesse succedere. A quel punto uno rimetteva indiscussione le scelte di una vita. C'è chi fa una vita normale e c'è chi fa unascommessa mettendo a repentaglio la propria vita. Uno che diventa brigatista,normalmente, sul piatto mette tutto se stesso. Quindi se uno, dopo sette anniche uccide, che ferisce, si accorge che quello che sta facendo non è una cosagiusta, è un trauma immenso, e non c'è più niente da fare. Non è così faciledire a un certo punto: ho sbagliato, chiudiamo baracca e burattini e via. Sitratta di dire: ho sbagliato tutto nella vita, ho ammazzato per niente...Io le ho fatto quella domanda per sapere anche altro, se cioè vi fosse o notolleranza per un militante che entrava in crisi.Mah, tolleranza... a Torino è successo questo: un ingegnere che come scelta divita era entrato in fabbrica a fare l'operaio, molto bravo dal punto di vistapolitico e poi passato addirittura a clandestino, ha avuto una crisi di rigetto.E tornato a casa, ha ripreso la vita di tutti i giorni, ma continuava afrequentare l'organizzazione. Poi ha avuto un'ulteriore crisi e si è staccatocompletamente dall'organizzazione; ma dopo sei mesi è nuovamente rientratofacendo quello che poteva. Ecco, in questo caso il giudizio doveva essere perforza abbastanza drastico.Perdura come un alone di mistero intorno al suo arresto avvenuto il 19 marzo1980. Si è anche detto che lei è stato preso due volte, nel senso che dopo ilprimo arresto le avrebbero chiesto di rientrare come infiltrato nelle Br. Comeandarono veramente le cose?Bisogna che uno si metta un pò ' nei panni, in questo caso non miei, rna deicarabinieri. Vediamo: un carabiniere arresta Patrizio Peci, che è incriminato ericercato per il sequestro di Aldo Moro. Poi gli dice: che te ne pare, ti pentì?Vuoi fare l'infiltrato all'interno delle Brigate rosse? Io SU rispondo sì, e mene vado. Penso di avere detto tutto.

466Sergio favoliII generale Carlo Alberto dalla Chiesa in quel periodo comandava il nucleoantiterrorismo. Fu lui a convincerla a pentirsi? Ricorda con quali paroleaffrontò il discorso?Cominciò col cercare di farmi capire che l'arresto mio non era casuale e chemolti altri spezzoni dell'organizzazione erano in mano ai carabinieri; cosa nonvera, naturalmente. Cercava di farmi capire che l'organizzazione era debole

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nonostante tutto, molto debole. Poi mi faceva il discorso della gente, anche suquello batteva molto: che la gente non era d'accordo con noi, e perché non erad'accordo con noi.E lei ricorda quale fu la sua reazione, ricorda per esempio le sue prime parole?Appena entrai mi domandò: " Cosa vuoi da bere?". Io bevvi acqua minerale, eanche lui. Per prima cosa abbiamo bevuto una bottiglia d'acqua minerale. Sicercava un pò ' di rompere il ghiaccio perché era una cosa un pò 'fuori dalnormale...Quale fu l'argomento più forte del generale?Mah, secondo me l'argomento più forte era il fatto che lui non mi dava l'ideache volesse imbrogliarmi, tutto qui. Cioè non mi proponeva di farmi uscire, nonmi proponeva evasioni, non mi proponeva soldi. Cercava di spiegarmi che stavosbagliando, che avevo fatto degli errori. Non mi proponeva la libertà con isoliti mezzucci da quattro soldi.Quando parlaste di immunità?Mai. E poi non era tanto quello il problema. Che cosa mi promise il generale?Prima di tutto l'incolumità all'interno del carcere, e che una volta fuori miavrebbe dato una mano a trovare lavoro.Lei definì il generale come il capo dell'esercito nemico. C'è un po' d'enfasi,ma si può capire. Lei, d'altronde, non era gerarchicamente da meno sul suofronte. Sentì mai di parlargli, per così dire, alla pari?No, non ho mai parlato alla pari. Io ho cercato di instaurare un rapporto,cercando di capire se era una persona corretta e aveva la forza ut portareavanti un minimo di progetto, quello della legge sui pentiti. Dopo

La notte della Repubblica 467un pò ' mi disse: " Guarda, io ci credo alla legge sui pentiti, e mi farò caricorispetto ai politici di portarla avanti". Questa è un 'altra promessa che mi hafatto.Un magistrato ha detto che, prima delle sue confessioni al generale dallaChiesa, la lotta al terrorismo era all'anno zero. E vero?Si.Dalla Chiesa era considerato il grande nemico delle Br. Pensaste mai,concretamente, di compiere un attentato contro di lui?Sì, sì, una volta sfuggì per un pelo. E` stato prima del 1977. Il generale dallaChiesa andava sempre al Lyons Club, una cosa del genere; fu individuato e e 'eraproprio uno che doveva aspettarlo. Lui andava sempre in divisa e a un certopunto i compagni che lo stavano attendendo vedono arrivare questo signore indivisa e gli vanno addosso: sono a mezzo metro di distanza, con le pistole inmano, ma sì accorgono che era un altro militare e... niente, fanno marciaindietro. Però, a quel punto, l'attentato era fallito. Questa storia l'horaccontata al generale e lui si è messo a ridere: "Sì, quella volta ci andai, maero in borghese" mi disse.Dopo il suo pentimento, c'è stato un momento in cui ha avu-Ito una particolarepaura di essere ucciso?Una volta, forse, e 'era una possibilità, ma molto vaga, che potessero tarrivarea me in qualche maniera. C'era una serie di filtri, messi per capire searrivavano. Non sono arrivati neanche ai filtri, a quanto sembra.E quale genere di vita ha accettato di fare per sfuggire a pos-Isibili vendette? E` stato più difficile difendersi in carcere o le costa piùoggi?Mah, sono due situazioni diverse. In carcere è una cosa più semplice, è ienadifficile sbagliare, si è dentro, c'è un minimo di protezione. Fuori, Vnvece, lamiglior protezione è quella di fare una vita normale. Si entra ^ra la gente inmodo da sembrare una persona normale; è solo quello il Problema, non è unproblema militare.

468 Sergio Zavoli.. .da " sembrare" o da essere una persona normale? ...daessere. Certo.Che cosa le costa vivere una libertà così condizionata dalla situazione in cuieffettivamente vive?

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Non è solo spine, io riesco a viverla, riesco a togliermi anche dellesoddisfazioni, che dico soddisfazioni, cose normali! Il fatto di riuscire alavorare, di riuscire a crearmi delle amicizie, di essere inserito nella vitanormale è già tanto.Perché ha chiesto che non fosse riconoscibile il suo viso durante questaintervista?E` una questione di incolumità, più che altro...Lei ha scritto: "Per quel che avevo fatto c'era la galera a vita, o almenotrent'anni. Sarei uscito, ammesso che fossi uscito, a 57 anni, vecchio. La vitaperduta". E` così, Peci?E` così... Come dicevo prima, la vita è fatta un po' di rose e di spine... ècontinua tensione... ogni volta e 'è una novità.Per esempio?Mah... basta, che ne so, una testimonianza, l'interrogatorio di un giudice, unqualcosa che non va, qualcosa di sospetto, tutta una serie di piccolezze, che neso...Un'intervista come oggi? Sì, un'intervista come oggi.Le costa fatica rispondere a queste domande? Tanto. Infatti questa è l'ultimaintervista che faccio."I pentiti che dicono di avere avuto problemi politici, morali, religiosi,etici, psicologici, raccontano balle. Chi ha sparato n-no alla settimana primanon può dire: "Mi dispiace, mi dispia"

La notte della Repubblica 469ce tanto, ora mi pento perché ho la crisi di coscienza"." Ecco, quando scrivequeste cose, non smentisce anche se stesso?No. Io ho sempre detto che una crisi di coscienza così immediata è impossìbile.E` una cosa che va avanti pian piano, uno si smussa man mano; questo, contestavocon quella frase. Nient 'altro."Denunciare i tuoi compagni ti provoca anche più problemi dei rimorsi per levittime che hai fatto. Si tratta di mandare in galera forse per sempre, e ormaisai quanto è brutta la galera, i compagni con i quali fino a ieri hai mangiato,scherzato, creduto, combattuto e giocato a biliardino." Non crede che questobrano del suo libro, Io, l'infame, andrebbe aggiornato? Che cosa aggiungerebbeoggi?Uno viene arrestato, comincia ad avere dei problemi, poi si accorge di averesbagliato rispetto a certe cose, ma gli rimane l'odio rispetto a certe persone ein sostanza si sente ancora un mezzo brigatista. Allora il pensare di bloccaregli altri, per non far commettere altri omicidi, è il primo passo. Poi, man manosi conoscono delle persone e l'odio comincia a mancare. Sono tutta una serie dipassaggi, uno dietro l'altro, però non vanno fatti tutti in una sola volta.Questo volevo dire.E quell'altra metà di lei, quel mezzo brigatista, quando finisce?E` finito da un pezzo, credo."Accetterò di collaborare con la magistratura nella prospettiva di chiarirestoricamente i fatti più eclatanti di cui sono a conoscenza. Il nostro impegnodeve andare, da oggi, nel senso di chiudere con questa pratica e di dissuaderechi sta per impugnare le armi. Da parte mia ho fatto la mia scelta, in pienopossesso delle mie facoltà e nella libertà di esprimermi come meglio credo.Saluti comunisti. " E il suo addio alle Br. Lei, Bona-vita, fu il primo acompiere il gran passo senza promesse di sconti o di premi. Che cosa determinòun ripudio così netto? Vuole ricordare il momento in cui prese la decisione discrivere?

470 Sergio ZavolìQuesto appello l'avevo già scrìtto quando mi ero deciso a dissociarmi. Hochiesto di essere allontanato dai miei compagni perché dissociarsi, restandoinsieme agli altri, significava stupidamente rimetterci la pelle. Io ho chiestoal ministero di Grazia e Giustizia, attraverso il direttore del carcere dove mitrovavo, di essere trasferito per discutere, con la gente con cui mi interessavadiscutere, la scelta che stavo compiendo. La scelta era, appunto,l'impossibilità di una battaglia politica dentro le Br; non c'erano spazi, eral'epoca in cui si ammazzava per un nonnulla. Io non me la sentivo più, anche per

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un fatto molto specifico: in quei giorni ero uno dei dirigenti della brigata diPalmi e mi era stato dato incarico dì fare cose che io non avevo assolutamenteintenzione di fare.Per esempio?Preparare un 'evasione, che presupponeva, a parer mio, parecchi morti. Dovevaessere un assalto al carcere con elicotteri dal tetto, ci buttavano armi incortile, io ero uno di quelli che dovevano evadere, cinque o sei, gli altriquaranta restavano con le armi a disposizione per lo scontro con i carabinieri.Dietro a questo c'era una motivazione: un po' di noi, fuori, rimettono in sestole cose. Su questa motivazione non ero più d'accordo e ho detto basta. La gocciache fa traboccare il vaso, per me, è stata questa.Entrando nelle Br, lei sapeva che non avrebbe più potuto uscirne, dissociandosi,senza rischi per la sua vita?Non è vero che non si poteva uscire, tanta gente ne è uscita e non ha rischiatola pelle....ho aggiunto "dissociandosi"......sì, dissociandosi ...però se io mi dissocio e sto zitto, se accetto tuttoquello che me ne viene, se non do fastidi politicamente alle Br, non c'è nessunproblema. Voglio dire, uno se ne può andare.Anche al suo livello?Sì. Fondamentalmente sì. Il problema però è che se tu hai un tot di esperienza,di conoscenze, ecc., se sono vent'anni che fai politica, dieci nelle Br e seiportato a fare delle cose che immancabilmente contrastano

La notte della Repubblica 471con quello che stanno facendo le Br, beh... allora, immancabilmente, subisci unacondanna a morte, non ci sono santi su questo.Lei esclude di poter essere un obiettivo per le nuove Br?No, non me la sento di escluderlo; ma non solo per me. La gente come me, comeFenzi, come Franceschini anche, è gente che diventa un obiettivo storico, nelsenso che il primo imbecille che fra dieci anni decide che lui deve esibirsisulla piazza, tirarsi addosso le telecamere, ammazza uno di noi e si ricollegaalla storia delle Br. E in questo senso è un po' come il fulmine che ti arrivain testa mentre sei in montagna; cioè non c'è molto da fare, se non cercare dicapire il perche'e ilpercome.C'era qualcuno che poteva avere interesse a che le Br continuassero ad esistere?Se lo è mai chiesto? E che cosa si è risposto?E` difficile dare una risposta. Io come individuo ho sicuramente meno(capacità di quante invece non ne abbia una commissione d'inchiesta o unorganismo ad hoc. Se questi organismi spesso non vengono a capo di tante trame,di tanti intrecci occulti, per me risulta anche più difficile. -> Quello chetendo a fare non è difendere un'immagine di purezza delle Br, ; perché non me nefrega niente, detto fuori dai denti; però mi interessa la i: verità sulle Br,per quella che ho vissuto e per quella che conosco.Qual è stata l'iniziativa più efficace dello Stato?Secondo me, l'interscambio di informazioni fra i magistrati e la crea-'I zionedi personale specializzato contro di noi. Agli inizi era ridicolo, a f me davanola caccia secondo il reato che commettevo; quando si è ribaltata questa logica,e si comincia a cercare le persone, e si studia l'ambiente in cui vivono, e sicerca di interpretare anche il senso politico, quello che fanno, quello chehanno in mente, a quel punto, lo Stato diventa un nemico serio.Secondo lei, Franceschini, il terrorismo avrebbe potuto avere un'altra storia oera nelle premesse che fallisse?Io credo che il fallimento del terrorismo come fenomeno di rivoluzione socialeera certamente già nelle premesse.

472Sergio ZavoliE allora gli ultimi soprassalti del terrorismo appartengono alla sua stessalogica o rappresentano qualcosa che gli è ormai estraneo?C'è una frase che è stata ripetuta più volte in questi ultimi anni, e cherischia di essere molto banale di fronte, per esempio, all'omicidio del senatore

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Ruffilli: che il terrorismo è stato politicamente sconfitto. Io credo invece cheil terrorismo sia stato socialmente sconfìtto, e questo è un fatto difondamentale importanza. Però, proprio perché è stato socialmente sconfitto, puòessere politicamente utilizzato con maggior libertà di prima.Come giudica i colpi di coda del terrorismo rispetto al problema dellacosiddetta pacificazione? Lo scredita, lo annulla, lo rinvia? A vantaggio di chie di che cosa e a svantaggio di chi e di che cosa?Certamente l'ultimo omicidio perpetrato da quelle che si chiamano, che sidefiniscono Brigate rosse, è un colpo micidiale, ma spero non definitivo, a ogniipotesi di soluzione politica. Non so se chi ha commesso quell'atto avesse anchequesto obiettivo; forse non era questo l'obiettivo della sua azione, ma dalpunto di vista nostro, di chi sta in galera, è stato certamente un colpomicidiale che rischia di annullare anni e anni di discorsi, di ripensamenti, dielaborazioni individuali e collettive. Ed è un fatto molto grave per quel che ciriguarda.Lei, poco fa, mi ha detto "di quelle che si definiscono Brigate rosse",insinuando che l'omicidio Ruffilli possa essere addebi-tabile ad altri che alleBrigate rosse. Ma c'è un dato: la stessa arma usata per quattro attentati fino aquello di Fori! non è il segno di una sorta di staffetta che prolunga e confermala stessa strategia e il medesimo fallimento?Non voglio dire che questo omicidio non è stato fatto dalle Brigate rosse;voglio dire che ormai l'etichetta, credo proprio che questa sia la definizionepiù esatta, che l'etichetta Brigate rosse sia proprio una specie di marchiocompletamente privo del senso storico e sociale di quella che era statal'esperienza da noi chiamata Brigate rosse. Del resto, gli stessi autori delvolantino sull'omicidio di Ruffilli lo dicono chiaramente; cioè compiono unarottura netta con la storia delle Brigate rosse. Continuano a de-

La notte della Repubblica 473nominarsi Brigate rosse, ma certamente non hanno più nulla in comune conl'esperienza storica chiamata Brigate rosse.Fenzi, tentiamo di fare un bilancio. Dalle dichiarazioni di alcuni brigatistipentiti, o dissociati, che abbiamo ascoltato, emerge in modo quasi straziante lascoperta che la loro rivoluzione era fallita prima ancora di cominciare, mancavadi una premessa forte, non aveva presupposti per risultare efficace. SeE dunque era priva dall'inizio di prospettive, e i militanti ne erano in largaparte consapevoli, la loro non poteva essere che unai lotta senz'anima, tutt'al più disperata. Nonostante ciò è costata un prezzoaltissimo, come lei ben sa, come noi ben sappiamo. Lei è tra coloro chepensarono la rivoluzione, un ideologo, come si dice, sebbene respinga questadefinizione. Ha anche pensato, col tempo, che aveva spinto dei ragazzi ainoltrarsi nella lotta senza un vero retroterra alle spalle? Oppure quella lottaera l'unica possibile, con la prospettiva cioè di essere perdente?Io dico questo: non voglio assolutamente invocare nessun alibi per quello che èavvenuto. Però quando si dice: "Non aveva nessuna motivazione", lo si può direoggi. Non credo fosse così facile dirlo allora. C'erano le bombe sui treni, itentativi di colpi di Stato, e 'era una instabilità politica diffusa, c'eranotensione e processi di ristrutturazione nelle fabbriche, c'era un'aria che ogginon si respira e io so, dicendo questo, di dire qualche cosa che viene capitonon solo da chi ha fatto certe scelte, ma anche, oso dire, da parte di quellache si definisce la borghesia illuminata. Io credo che ci fossero molte persone,in molti posti, in quegli anni Settanta, le quali, e su questo andrebbe fattauna riflessione, non erano così sicure di quel che sarebbe successo, di qualisarebbero stati gli sbocchi della fase che si stava attraversando.Lei ha attraversato, o sfiorato, questa violenza mantenendo un rapporto ricco egeloso con i suoi figli. E` venuto a Roma per questa intervista accompagnatodalla sua ultima bambina, di 7 anni se non sbaglio. Ha mai pensato ai figli,dico a caso, di Ba-chelet, di Casalegno, di Tobagi, di Moro, di Leonardi?Sì, certo. Ci ho pensato, e per questi pensieri devo molto a mia moglie e anchealla mamma dei miei primi tre figli, alla mia ex moglie... Non si ha il dirittodi uccidere un papa, non si ha il diritto di privare i figli del

474 Sergio Zavoli

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loro padre. E` un discorso, sì, su cui mi hanno portato a riflettere le vicendestesse della mia vita e le persone che ho avuto intorno..."La politica" disse un grande educatore cattolico, don Mila-ni "è uscirneinsieme. " Insieme con chi, secondo lei?Beh, insieme con tutti gli altri. Vede, materialmente di qui usciremo insieme,io e lei, dottar Zavoli. Ed è già molto. Sono venuto qui con mia figlia, holasciato la famiglia da cui tornerò stasera, conosco molte persone, spero diconoscerne di più. Insieme... insieme agli altri. Non saprei dire altro, di piùdi questo...Ecco, nel congedarci, mi tolga una curiosità: perché dice "di qui a un po'uscirò con lei, ed è già molto". Perché è già molto?Perché quando, anni fa, ho fatto la scelta della dissociazione, con tutto quelloche ha comportato, immaginavo un futuro molto più nero, molto più difficile.Invece ho trovato amici, ho incontrato persone che mi sono state vicine, horitrovato la famiglia, ho trovato altre cose che mi hanno arricchito e mi hannofatto capire meglio anche tanta parte del mio passato; quindi penso che erosincero quando ho detto che mi ero pentito. Oggi, certamente, lo sono molto,molto di più di allora...

XVIIIEPILOGO: DOPO L'EMERGENZA CIO` CHE TOCCA ALLO STATO. E A NOI?Il terrorismo, che ha agito in questo Paese per circa vent'anni, era nato inun'Italia appena uscita dalla sua ricostruzione. Si è poi dissello in un'altraItalia, e in un altro mondo. Le mitologie di cui si era nutrito sono scomparsecome ombre; e la storia ha sconvolto i modelli che lo avevano ispirato. Haprevalso la democrazia, in nome di tutti. La stessa classe operaia, e con essaquell'Italia della precarietà e dell'emarginazione che, secondo i terroristi,avrebbe dovuto essere risvegliata dalla loro violenza, si è dimostrataindisponibile a chiudersi nel sonno della ragione. I valori autentici dellaconvivenza civile, dell'etica individuale, della solidarietà, si sono impostinonostante le imperfezioni, e non di rado le ingiustizie che hanno accompagnatola crescita del Paese. Merito della gente comune: che non si è fatta spaventare,che non ha esorcizzato la realtà chiedendo la legge del taglione, che non hagioito nemmeno per le norme dell'emergenza. I settemila giorni lungo cui si èdistesa la notte della Repubblica non hanno conosciuto solo deliri rivoluzionario grandi prove di forza morale e civile; hanno visto anche intrighi, collusioni,misteri annidati nei Palazzi. E soprattutto hanno avuto un costo smisurato: invite e lutti, beni e distruzioni.E` venuto il momento delle cifre. Un bilancio che non potrà mai essere a misuradelle vite distrutte, delle ferite ancora aperte; ma occorre farlo, perchéquanto si è detto possa tradursi, alla fine, anche in qualcosa di assolutamenteincontestabile come la fredda oggettività dei numeri. Queste cifre, è vero,hanno un aspetto paradossale. Non si può chiedere, del resto, che da addendicosì diversi scaturisca un totale rispettoso di tutti e di tutto. Le cifredicono molto e molto poco. Il loro linguaggio ri-

476 Sergio Zavolischia di frantumare una realtà che va sì distinta in tanti eventi diversi, maper ricomporsi in un significato globale e in un giudizio complessivo.li VITTIME 7969: 19; 7970: 7; 7977: 2; 7972: 5; 1973: 40; 7974: 26-7975: 10;7976: 10; 7977: 13; 7975: 35; 7979: 24; 7950: 125; 7957-26; 7952: 23; 1983: 9;1984: 20; 1985: 24; 1986: 1; 7957: 4; 1988: 6; 7959: 0. Nell'insieme: 429.I FERITI Globalmente circa 2000.LE STRAGI 12 dicembre 1969, Milano, piazza Fontana: 16 morti, 88 feriti.22 luglio 1970, Gioia Tauro, Freccia del Sud: 6 morti, 50 feriti.31 maggio 1972, Peteano: 3 morti, un ferito.17 maggio 1973, Milano, Questura centrale: 4 morti, 46 feriti. 15 dicembre 1973,Roma, aeroporto di Fiumicino: 32 morti, 15 feriti.28 maggio 1974, Brescia, piazza della Loggia: 8 morti, 94 feriti. 4 agosto 1974,San Benedetto Val di Sambro, Italicus: 12 morti,105 feriti.2 agosto 1980, Bologna, stazione Centrale: 85 morti, 177 feriti.23 dicembre 1984, Galleria del Vernio, rapido 904: 16 morti, 131

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feriti.27 dicembre 1985, Roma, aeroporto di Fiumicino: 17 morti, 75 feriti.Complessivamente: 199 morti, 782 feriti.LE UCCISIONI RIVENDICATE86 vittime 188433222222211Organizzazioni rosse: Brigate rosse Prima lineaMovimento armato sardo NapNuclei armati di contropotere territoriale Formazioni combattenti comunisteAutonomia operaia organizzata Guerriglia comunista Compagni organizzati per ilcomunismo Movimento proletario di resistenza offensiva Barbagia rossa Volanterossa Ronde proletarieBrigate d'azione per il comunismo Unità comuniste combattenti

La notte della Repubblica 4771 1 1 1 1 1 1 1 128 4 2 2Nuclei armati squadre proletarieLotta armata per il comunismoSquadre proletarie armatePotere proletario armatoColpBrigate operaie per il comunismoNuclei armati comunistiOrganizzazione proletaria combattenteNuclei armati territorialiOrganizzazioni nere: NarOrdine nuovo Ordine nero Gruppo armato Sergio RamelliLE VITTIME: CHI ERANOQuesti numeri, che comprendono i caduti in attentati e stragi, andrebberointerpretati, resi vivi. Ciascuno ha dietro una tragedia mai del tutto pubblica,né completamente privata. In ogni caso cela dolori e traumi che dalle personesingole si allargano all'intera comunità.77 27560 56 22 19 18 12 12 10 10 11877555544Agenti di PSCarabinieriAgenti di custodiaStudentiStranieriCasalinghe

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OperaiImpiegatiInsegnantiCommerciantiMagistratiDirigenti industrialiMediatori d'affariPastoriFerrovieriPensionatiDocenti universitariUomini politiciAgricoltoriLiberi professionistiGuardie giurateDomestiche

478 Sergio Zavoli4 4 4 3 2 2 2 2 2 15429MediciBancariDisoccupatiAutistiTipografiGiornalistiCapi repartoAmbulantiRappresentantiAltriComplessivamente:TERRORISTI MORTIROSSI21 2 7 2 941NERI2 23 2 312In conflitto a fuoco con le forze dell'ordineSuicidiUccisi in carcere dai propri compagniNel corso di rapinePer incidente, mentre preparavano attentatiComplessivamente :GLI OBIETTIVI DEGLI ATTENTATIUn altro bilancio: quale, e quanto profondo danno è stato fatto alla comunità,colpita sì nel bene supremo della vita, ma anche nelle sue strutture, nelle suecose?6.0922.1751.7521.693639585213148116102753299314.615

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Persone e beni privatiEsercizi commercialiSedi di partitiEdifici pubbliciScuole e universitàUffici di PS e caserme CCSedi culturaliTreni e stazioniSedi di movimenti politiciSedi sindacaliQuotidiani e periodiciCarceriAltri obiettiviComplessivamente :

La notte della Repubblica 479I COSTI DEL TERRORISMODuecentomila miliardi, l'equivalente di30 miliardi e 400 milioni al giorno, 1 miliardo e 200 milioni l'ora.13.000 miliardi I miliardi 1 miliardiBlindatura edifici pubblici, acquisto mezzi blindatiper le forze dell'ordineCostruzione e mantenimento carceri di massima820sicurezzaAcquisto da parte di privati di auto blindate, armi,1.0805215032 miliardi40 350 30giubbotti antiproiettilemiliardi miliardi all'annomiliardi miliardi miliardimiliardi miliardiRisarcimenti alle vittime del terrorismo e ai loro familiariAssicurazioni private contro il terrorismo Mantenimento dei detenuti terroristiFotocopie di atti giudiziari, verbali di interrogatori, rapporti di polizia,ecc. Somme rapinate dai terroristi Acquisto di armi da parte di privatip " _1_* . ' - ' m. .E`.i - ... ui* fui i.v, vji fjiivauSpese dei partiti politici in manifestazioni e propagandacontro il terrorismo 50Ristrutturazione e blindatura edifici privati 22.000Che cosa ha fatto lo Stato per le vittime del terrorismo? Per i familiari degliuccisi? Per coloro che portano ancora i segni delle ferite subite?La condizione nella quale si trovano migliaia di vittime e di familiari esigerispetto e giustizia. E` facile, ma inutile, tenersi alle questioni diprincipio, alle declamazioni, agli empiti sentimentali, quando alla prima delleprivazioni, quella della persona perduta, si accompagna una sequela di problemiconcreti che incidono sulla vita di ogni giorno e che coinvolgono la sua stessaqualità sociale e civile: da un posto di lavoro alle esigenze quotidiane,all'educazione dei figli.L'"Associazione vittime del terrorismo e dell'eversione contro l'ordinamentodello Stato" solo il 20 ottobre del 1990, con la legge n. 302, vedrà piùattentamente riconosciuti i diritti a lungo reclamati: è l'aumento da 100 a 150milioni della "speciale elargizione" che lo Stato assegna, una tantum, aifamiliari delle vittime. Questa provvidenza viene estesa anche ai feritiproporzionalmente alla percentuale di invalidità riscontrata, in

480 Sergio Zavoliragione di 1 milione e mezzo per ogni punto percentuale. Un bell'esempio diragioneria, sia pure dello Stato!

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Ma il problema non può certamente esaurirsi in una riparazione economica. C'èun'altra giustizia da onorare, ed è quella cui i familiari delle vittime sonopiù sensibili. Le testimonianze che seguono si fanno carico - severamente, masenza spirito vendicativo - di questa fondamentale esigenza.Luigi Passero, presidente dell'Unione familiari delle vittime per stragi:Dobbiamo constatare, amaramente, con tristezza, con rabbia, che i processi perle stragi di piazza Fontana, di Brescia e défì'Italicus si sono conclusi senzacolpevoli. Vorrei ricordare che nel corso degli interrogatori dei ministri e deigenerali, le varie omissioni, omertà, i "non ricordo" sulle coperture dei variagenti del Sid e il segreto di Stato, hanno ostacolato la ricerca della verità.Torquato Secci, presidente dell'Associazione familiari delle vittime dellastrage di Bologna:La nostra associazione, del 1‘ giugno 1981, ha il solo scopo di otteneregiustizia e verità, come è detto nell'articolo 3 del suo statuto. Ora, daqualche parte ci è stata avanzata la richiesta del perdono. Noi collegialmente esingolarmente abbiamo esaminato tale problema e abbiamo ritenuto giusto deciderein questo modo: ciascuno degli associati è libero di scegliere secondo lapropria coscienza; per quanto riguarda l'Associazione, noi riteniamo che siagiusto e doveroso rispettare le leggi in vigore.Maurizio Puddu, presidente dell'Associazione vittime del terrorismo, feritodalle Br:Noi vediamo che qualche volta basterebbe un poco di solidarietà morale: peresempio, quando un familiare delle vittime si rivolge a organi dello Statosembra quasi dare fastidio. Non ci si rende conto che questa famiglia ha subitoun trauma che sarà permanente. Non si può mettere sullo stesso livello ilproblema dei brigatisti e il problema delle vittime; le vittime non hannoscelto, sono i brigatisti che hanno fatto una scelta. Sta a chi deve dare ungiudizio, e che ha compiti di responsabilità, saper trovare i modi di quella chesi definisce riconciliazione. Come si può chiedere a una vittima diriconciliarsi, quando manca il senso del rispetto, della solidarietà concretaverso le vittime.

La notte della Repubblica 481Luigi Passero:Vorrei ribadire il nostro impegno civile ricordando la nostra proposta di leggedi iniziativa popolare di abolire il segreto di Stato per i delitti di strage eterrorismo. Questa proposta di legge deve essere definitivamente approvata. Solodopo, si potrà avere una certa riconciliazione e serenità da parte deifamiliari.Ed ecco altri pareri: li abbiamo chiesti ad alcune figure rappresentative dellasocietà, delle istituzioni, della cultura. Indro Montanelli, direttore de "ilGiornale";Anzitutto dall'emergenza mi sembra che siamo usciti; e quindi la legislazionefatta in occasione dell'emergenza evidentemente non vale più. Quanto poiall'atteggiamento da tenere nei confronti di coloro che si sono macchiati diterrorismo, non voglio portarmi ad esempio, ma dirò quello che ho fatto io. Ioho perdonato a coloro che mi regalarono quattro pallottole. Ma perché hoperdonato? Perché avevano fatto dieci anni di galera e si apprestavano a farnealtrettanti. Io spero che poi non li abbiano fatti. Avevano pagato. L'uomo cheha pagato ha saldato il debito con la società, e la società ha il dovere direcuperarlo.Paolo Barile, costituzionalista.Io, per la verità, sono contrario ai perdoni, alle amnistie, ai condoni; sonodell'opinione che andrebbero eliminati dalla nostra Costituzione. Fui contrarioa suo tempo all'amnistia di Togliatti e alla stessa fine ingloriosadell'"epurazione". Tutto ciò soprattutto per rispetto alle vittime e ai parentidelle vittime, ai quali ogni perdono di questo genere suona, sostanzialmente,come uno schiaffo.Eugenio Scalfari, direttore de "la Repubblica":II problema di come uscire dagli "anni di piombo", da questa "notte dellaRepubblica", ci è stato posto e ce lo siamo posto tante volte, specialmenterispetto alle ipotesi di amnistia o di altre soluzioni analoghe. Credo cheoccorra partire da un punto essenziale: se in Italia c'è stata in quegli anni

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una guerra civile oppure una serie numerosa, sanguinosa, orrenda, di delitticomuni. Personalmente ho sempre ritenuto che non ci sia stata una guerra civile:ne sono mancati, per fortuna, i presupposti.Luigi Bobbio, sociologo:In questi ultimi dieci anni i terroristi degli anni Settanta hanno fatto, incarcere, una amplissima riflessione autocritica; e si trovano oggi moltodistanti dalle posizioni che avevano allora. Credo anche che,

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tutto sommato, questi gruppi terroristici siano l'unico gruppo politico deglianni Settanta che ha fatto una vera autocritica su quel passato. Naturalmente,questo dipende in larga misura dalle atrocità delle azioni che avevano commessoe dal fatto che si trovavano in prigione; ma il fatto, secondo me, rimaneegualmente significativo e importante. Credo perciò che sia assolutamentenecessario trovare oggi una soluzione politica che permetta di restituire questepersone, con modalità che andranno discusse, alla vita civile.Gabriele De Rosa, storico:Perdono? Perdono di che cosa? Pentimento di che cosa? Sì, può darsi che ci siadel pentimento, ma non posso al tempo stesso dimenticare quello che iprotagonisti di questa tragedia hanno sempre detto, e cioè che la lororesponsabilità era collettiva anche quando uccidevano. Certo, il nostro Paese èimpastato nella storia della pietà, sia quella laica sia quella cattolico-cristiana: siamo tutti disposti alla pietà, siamo tutti disponibili, siamo tuttipiegati a seguire le tracce di una sapienza antica, tollerante. Ma è giusto? E`sempre giusto, questo?Gaetano Scardocchia, allora direttore de "La Stampa":Credo sia ipotizzabile un provvedimento legislativo che consenta ai giudici ditemperare certe asprezze e certi eccessi di pena degli anni dell'emergenzapurché - questo è molto importante - si proceda sempre caso per caso, individuoper individuo. Per le sentenze irreversibili c'è l'istituto della grazia; quelloche invece non mi appare proponibile è un provvedimento generalizzato eindifferenziato, come per esempio l'indulto, che ridurrebbe o eliminerebbe lapena per l'intera categoria dei terroristi. Ciò equivarrebbe a una sorta disanatoria politica, a una specie di trattato di pace tra vincitori e vinti e, inquanto tale, finirebbe, lo si voglia o no, per nobilitare il terrori-smo.Lucio Colletti, filosofo:No, non penso assolutamente che l'ultima parola sul terrorismo possa esseresoltanto quella giudiziaria, e ancor meno quella espressa dalla legislazionedell'emergenza. Il Paese fu precipitato nel terrorismo per responsabilitàcollettive: in primo luogo, certamente, della classe politica e, in secondoluogo, anche del mondo intellettuale. Bisognerà quindi trovare la forza di fareun esame di coscienza collettivo. Un punto deve essere salvaguardato ad ognicosto: la memoria delle vittime del terrorismo e il prezzo di dolore pagato daifamiliari-

Luigi Bobbio:Una seria riflessione da parte, diciamo così, delle forze di centro sul modo incui hanno affrontato le lotte sociali degli anni Settanta non è ancora venuta,mi sembra; credo che sia il vero nodo da risolvere.Nicola Tranfaglia, storico:Non da oggi sono persuaso che di fronte a un fenomeno sociale e politico, e noncriminale, quale è stato il terrorismo - anche se ha poi commesso azionicriminali - sia necessaria una riflessione prima di tutto della nostra classedirigente, e poi di tutti gli italiani, per uscire dalla notte della Repubblica.Io credo che ci voglia effettivamente uno strumento legislativo che sancisca -

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tenendo conto di molte riflessioni, come quelle fornite da questa trasmissione,ma anche di altri contributi - una presa di coscienza di ciò che è avvenuto; epossa quindi rispondere a questa esigenza di conciliazione, di pacificazione,che tutti noi sentiamo.Ugo Stille, direttore del "Corriere della Sera":Adesso che l'emergenza è chiusa, è necessario anzitutto procedere a una presa dicoscienza, la più ampia e la più onesta possibile, ricostruendo il fenomeno intutti i suoi aspetti. In tale processo, un ruolo centrale, ovviamente, devonoavere le testimonianze di coloro che hanno partecipato alle azioni del partitoarmato; ma mi sembra auspicabile, cosa che non si è sinora sempre verificata,che il processo di autocritica si estenda anche a quegli ambienti intellettualidi sinistra che, nella fase iniziale del terrorismo, si sono rifugiati talvoltain una posizione ambigua.Indro Montanelli:In Italia la libertà c'è. Quindi le bombe non si giustificano. Le bombe sigiustificano nei regimi di polizia, nei regimi totalitari. Nei regimi di libertàle bombe non si giustificano mai: chi spinge alle bombe è un delinquente che vamesso in galera, e bisogna tenercelo.Paolo Barile:A questo punto noi possiamo dire: l'emergenza è finita, le pene per effettodelle leggi dell'emergenza sono state aumentate notevolmente, per cui lecondanne passate in giudicato sono assai più pesanti di quanto non sarebberostate se non fossero esistite le aggravanti per effetto dell'emergenza. Allora,a questo punto, come alcuni suggeriscono, si potrebbe pensare alla revisione diqueste condanne con la sop-

i

484Sergio Zavolipressione per legge, a posteriori, di alcune di queste aggravanti. In tal modo,forse, con sufficiente rispetto delle vittime, si potrà dire che l'emergenza èfinita. Le condanne restano, però vengono modificate sopprimendo queisupplementi che erano stati inflitti per effetto, appunto, delle leggisull'emergenza.Eugenio Scalfari:II Paese è già uscito da questa notte. Sembra una storia molto lontana da noi. Aquesto punto, una soluzione legislativa può anche essere assunta senza pericoli;ma non soggetta, non condizionata a nessun tipo di riconoscimento dell'altraparte. Perché l'altra parte non c'è stata e non c'è.Gaetano Scardocchia:A me pare che se anche la ferita non sanguina più, però fa ancora male. Lo sannoi parenti dei morti ammazzati, i feriti, gli invalidi, tutti coloro che ancorasoffrono e le cui sofferenze non vengono né illuminate né redente dalle lucidella ribalta televisiva e giornalistica.Lucio Colletti:Probabilmente, la soluzione migliore sarebbe quella di esaminare caso per caso,perché ci sono molti terroristi - penso ad esempio a Curcio - che sono tuttorain carcere senza che abbiano mai commesso reati di sangue; e sappiamo d'altraparte che molti rei di molti assassi-nii hanno goduto, invece, delle riduzionidi pena connesse alla legge sui pentiti.Nicola Tranfaglia:Parlando del terrorismo e della fine del terrorismo, Galante Garro-ne scrissesulla "Stampa" che di tutto quello che è successo siamo responsabili più o menotutti, in questa Repubblica. Io credo che occorra partire da questaconsapevolezza.Ugo Stille:Usciremo dalla crisi quando vi sarà totale accordo sul rifiuto della violenza inuna società libera e democratica, sull'abbandono di posizioni manichee chedemonizzano l'avversario, e perdono quindi il rispetto per la dignità della vitaumana.Gabriele De Rosa:

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E` possibile una revisione, un ripensamento su ciò che è stato? Possiamo, insostanza, limitarci ad accettare puramente e semplicemente, come conclusionedella tragedia, la sentenza dei giudici? O abbiamo

La notte della Repubblica 485bisogno anche di un intervento politico? Che il tutto venga ripensato, Iappunto, politicamente da parte dello Stato? Certamente sarebbe au-\ gurabile. Aquesto punto occorre uno Stato che sia pieno di forza civi-ì le e morale, chenon sia arrendevole, che non sia uno Stato che nonha capito fino in fondo i termini di questa tragedia che ci coinvolgeun po' tutti.E adesso alcune voci quasi strappate alla loro abituale discrezione: sono dialcuni parenti delle vittime, e di alcuni feriti dai terroristi. Ad esse si deveuno speciale diritto di parola.Ileana Leonardi, vedova del maresciallo Oreste Leonardi, capo-scorta di Moro:Perdonare o non perdonare? A parte il fatto che a noi nessuno ha mai chiestoperdono, penso che questo problema se lo debba porre lo Stato, ma non prima diavere pensato a noi che siamo rimasti. Noi abbiamo addirittura la sensazione chelo Stato stia dando una priorità a queste persone, non preoccupandosi di quelliche sono i nostri problemi.Padre Adolfo Bachelet, fratello di Vittorio Bachelet:II perdono non implica necessariamente il pentimento. Quando sulla croce Gesùdisse: "Perdona loro perché non sanno quello che fanno", pregò anche per quelliche continuavano a essere la causa della sua morte, che lo stavanocrocifiggendo, e per i loro mandanti. Il perdono è un dono, è qualcosa digratuito, anzi "perdono" vuoi dire un dono più grande, più perfetto.Andrea Casalegno, figlio di Carlo Casalegno:Ho molta difficoltà a concepire il perdono - che mi sembra un fatto privato,individuale o religioso - dal punto di vista delle leggi dello Stato. Anziritengo una stortura molto grave, e non solo terminologi-ca, il fatto che siusino abitualmente termini come "perdono" o come "pentimento", che riguardanosoltanto la sfera dei sentimenti individuali, in un ambito del tutto improprio omolto fuorviante come è quello, per esempio, della collaborazione con lagiustizia o, appunto, delle conseguenze che discendono da atti criminosi.Eugenio Occorsio, figlio di Vittorio Occorsio:Insieme con la difficoltà di capire, ho la difficoltà di perdonare. Io invidio,magari, alcune manifestazioni di perdono, di grande abbraccio coi terroristi checi sono state in questi anni. Però, francamente,

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non posso fare a meno di pensare che la memoria di mio padre, e di tante altrevittime, risulta in qualche misura offesa da questi eccessi di perdonismo, di"vogliamoci bene", di "è tutto finito".Carol Beebe Tarameli!, vedova di Ezio Tarantelli:Adesso possiamo sperare che questa enorme tragedia collettiva sia finita, chenon ci saranno più morti. E possiamo cominciare a pensare con più tranquillitàal dopo. Io non credo che sia equo non pensare ai terroristi; le loro pene sonostate aggravate dalle leggi dell'emergenza e penso sia giusto che si cerchi diriequilibrarle. C'è scritto nelle aule di giustizia: "La legge è uguale pertutti", e giustizia deve essere fatta. Però non è giusto pensare a loro senzapensare anche alle vittime.Antonino Iosa, presidente del Circolo culturale cattolico "Carlo Perini", feritodalle Br:

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Anzitutto bisogna dare il perdono a chi lo vuole, cioè non si può dare ilperdono a chi non lo richiede o a chi non ammette di avere, diciamo così,sbagliato. Quindi, per me, è importante che la società civile, la societàdemocratica, faccia un grosso sforzo di recupero di questi giovani cheattraverso un cammino intcriore - dal pentitismo alla dissociazione, o alrifiuto del terrorismo o al riconoscimento della sua sconfitta politica - hannofatto questo percorso di riconversione e quindi di acccttazione, al limite,anche delle regole democratiche.Ileana Leonardi:Mi domando: è possibile cancellare tutto quello che è successo in quegli anni?Famiglie distrutte, orfani, madri che sono rimaste senza figli? Tutto questo nonlo può pagare niente, sono dolori indicibili che ti porti dietro per tutta lavita. L'ergastolo non si da soltanto in tribunale, si da anche in altre maniere.Padre Adolfo Bachelet:Uno di loro mi ha detto: "Dopo avere per tanti anni coltivato l'odio e laviolenza, ho scoperto che l'amore è il motore dell'uomo. Ho riscoperto l'amore eora mi do da fare, con la parola e con l'esempio, perché altri miei compagnicosiddetti irriducibili facciano la stessa scoperta e lo stesso cambiamento dimentalità".Andrea Casalegno:Non ritengo giusto che lo Stato ti interpelli, e quindi si nasconda dietro isentimenti dei privati, quando deve prendere delle decisioni di interessepubblico. Questo è gravissimo, perché significa rinunciare

a due principi fondamentali della nostra convivenza civile e del nostro ordinegiuridico: quello che nessuno può giudicare "in causa propria", e che lavendetta non è un fatto privato, ma è sostituita, quando esiste, da una autoritàpubblica che rende giustizia.Eugenio Occorsio:La viltà, l'efferatezza, la crudeltà dei delitti è stata tale da rendere |.incomprensibile il terrorismo e molto difficile perdonare.Giancarlo Niccolai, dirigente della Breda, ferito da Prima linea:So benissimo che questa scelta del perdono, perché io ho avuto modo diincontrare anche chi mi ha colpito, non è stata condivisa, e comprendo lefamiglie che hanno perduto un loro congiunto. Ma io l'ho fatto, e tornerei aripeterlo questo gesto: per un segno di speranza, che è stato poi arricchitoanche dalla mia fede. Non mi sono costituito parte civile perché avevo ed homolta fiducia nella giustizia.Ileana Leonardi:Lo Stato, prima di preoccuparsi di questa gente, non dovrebbe pensare un pocoanche a noi? Noi stiamo qua, siamo vivi, abbiamo problemi enormi da risolvere.Perché chiedere l'elemosina, perché dovere andare a bussare a porte che ci hannoanche aperte? Mi sembrerebbe più giusto che fosse lo Stato a preoccuparsi dinoi, e poi, eventualmente, si occupasse dei terroristi che, d'altra parte, citroviamo accanto nei tribunali e rischiamo di trovarceli accanto anche per lastrada. Tutto questo mi sembra estremamente ingiusto. Noi, quante volte dobbiamopagare?Padre Adolfo Bachelet:Devo dire che sono stati loro i primi a introdurre il dialogo. Mi hanno scritto,nel settembre dell'83, una lettera firmata da diciotto ex terroristi di uncarcere del Nord invitandomi ad andarli a trovare. Essi dicevano, riferendosiappunto all'episodio del perdono proclamato da mio nipote, che si sono sentitiveramente sconfitti, in modo irrimediabile e fermo, quando si sono sentitiperdonare.Carol Beebe Tarantelli:A me torna in mente, spesso, la visione di una donna che ho visto in televisioneai funerali del marito, poliziotto, ucciso in un agguato. Lei era incinta, e misono chiesta che ne è successo di quel bambino. Lui dovrà crescere senza padre,ma la madre ha avuto la tranquillità

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economica e potrà dargli un futuro sereno almeno da quel punto di vista? Pensoanche alle persone che sono state azzoppate, che portano ancora nella loro carnei segni degli spari dei terroristi. Dobbiamo pensare anche a loro. La comunità,se vuole uscire insieme, in un modo creativo e giusto, dagli anni neri delterrorismo, deve pensare anche alle vittime; ai terroristi sì, ma anche allevittime, e prendersi in carico queste giovani vite che sono state toccate nelmodo più intimo da questa tragedia.E ora un cambio di scena, per così dire, traumatico. Si tratta di passare, d'untratto, dall'altra parte. Le persone che sono state la fonte di un dolore da cuidopotutto non sono del tutto escluse, quale bilancio ne traggono? Riascoltiamonele voci, in queste risposte riprodotte, qui, integralmente.Interviste a Enrico Baglioni, Paola Besuschio, Franco Boni-soli, Giulia Sorelli,Maurizio Costa, Enrico Fenzi, Mario Ferrandi, Alberto Franceschini, EnricoGalmozzi, Mario Moretti, Roberto Rosso, Silveria Russo, Sergio Segio, Pier-luigiZuffadaFerrandi, quando e come scattò la molla del pentimento? Furono decisionisingole, oppure fu una decisione di gruppo?Dal punto di vista del rapporto con la lotta armata, avevamo già chiuso anniprima; tanto che fra di noi avevamo addirittura pensato di fare uscire un numerodi "Senza tregua", il giornale che rappresentava un po' tutta l'area, con unaparola d'ordine che doveva essere "capire la sconfitta", cioè la necessità diriconoscere la sconfitta e trattare la resa. Adesso questo può apparire un po'arrogante: "la trattativa"! Però, corrispondeva al sentimento che avevamo di noistessi in quegli anni: cioè questa parabola era diventata insostenibile,occorreva prendere atto che la partita era chiusa e c'era, semmai, da tentare disalvare il salvabile in termini di vite umane.A questo proposito, lei ritiene un dovere morale e civile, o una sorta diriparazione dettata dal senso di colpa, o una scelta ideologica o politica, ladenuncia dei terroristi da parte di chi è stato a sua volta terrorista?

La notte della Repubblica 489Beh, dipende dalle circostanze. Però, credo che fermare la mano di chi spara sìaveramente il minimo che uno può fare, soprattutto nel momento in cui chiede unapossibilità di reinserimento sociale. Cioè, non riesco a immaginare me stesso adire: voglio tornarmene a casa, però non vi voglio dire chi è che domani visparerà nella schiena. Mi sembrerebbe umanamente troppo vile, insomma.Signora Borelli, nel novembre dell'86, nel carcere di Bergamo, lei incontròl'architetto Lenci per tramite e con la presenza di padre Adolfo Bachelet.Perché Bachelet?Bachelet è il fratello del magistrato Bachelet ucciso dalle Brigate rosse e havissuto quindi direttamente l'esperienza, la tragedia familiare, del perdono. Hainiziato a visitare alcune carceri, a conoscere alcuni di noi, ed è venuto anchea Bergamo. Naturalmente per me è stato un piacere incontrarlo, capire la suasofferenza e cercare dì adeguarmi al tipo di problemi che sollevava con la suatestimonianza personale.Quale fu la sua prima impressione nel rivedere Lenci? Quali sentimentipercorsero quel colloquio?Mah, non so se sia un fatto molto razionalizzabile, molto raccontabile. Inqualche modo ci si sente più vicini, perché è un episodio che ha coinvoltodirettamente entrambi, ci ha in qualche maniera avvicinati. Da parte mia michiedevo se era possibile, se aveva senso, cercare di ricomporre una fratturacosì... Poi, la cosa che mi ha colpito maggiormente è stata l'aspetto umano,quel tipo di contatto... Alla fine mi ha stretto la mano e mi ha augurato diuscire presto dal carcere, di ritrovare me stessa, di ritrovare una strada dilibertà.Come vi lasciaste?Ci lasciammo con un impegno da parte mia a chiarire alcune cose, e con un invitoda parte sua a utilizzare il tempo della detenzione per una riflessione sia dicarattere personale, sia di carattere politico, sulle nostre vicende.E quali riflessioni suscitò in lei quell'incontro?Fu effettivamente una spinta ulteriore a ripensare a una serie di questioni. Lodico perché viene molto spesso la tentazione di rimuovere quando non si hannodegli interlocutori, e quindi uno spazio, per ripensarci.

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490 Sergio ZavoliNon perché non ci debbano essere dei complessi di colpa, penso infatti che siainevitabile averli. Però, naturalmente, bisognerebbe anche avere uno spazio incui riuscire a superare questo tipo di problemi.Qual è, per concludere, il punto di maggiore dignità della vostra dissociazione?Io penso che la nostra dissociazione sia stata dignitosa, e molte volte mistupisco come questo non venga compreso, per esempio, da tante persone disinistra per le quali la coerenza con le proprie posizioni di sempre sembraessere una cosa sacrale. Ecco, in generale, ma anche, in particolare, per lanostra esperienza, mi sembra inevitabile un processo di riflessione critica.Sarebbe rozzo, forse poco intelligente, difendere tutto o voler liberarsi datutto, rinnegare tutto... Per me la dignità sta nell'avere compiuto questo passocon estrema lealtà intellettuale.E lei, Galmozzi?Credo che un elemento di dignità sia il non avere fatto mercato. A volte civiene imputato di aver richiesto sconti, mentre, in realtà, noi non li abbiamomai chiesti. Noi ci siamo battuti perché nella cultura giuridica di questoPaese, e quindi nelle sue leggi, venisse introdotto un principio di grandeciviltà che esiste in altri ordinamenti: quello della reversibilità della pena.Moretti, che posto assegna nei suoi bilanci alle vittime del terrorismo e, secrede, alle sue?Solo un aspetto umano più coinvolgente. Lo scontro, che è stato sia politico chesociale, di idee, di prospettive, è stato di tante cose, ha coinvolto iprotagonisti fino all'ultima fibra del proprio essere. E` una stagione da questopunto di vista straordinaria, quella che abbiamo vissuto.Straordinaria nel senso di irripetibile, voglio credere...... irripetibile perché le condizioni che l'hanno prodotta si sono profondamentemodificate. Oggi quella complessa esperienza che è stata chiamata Brigate rossesi è esaurita con le condizioni che la sorreggevano; si t esauritacompletamente, sono perentorio fino alla brutalità. Su questo concordano icompagni, anche i più responsabili, che sono stati dirìgenti dei-

La notte della Repubblica 491la nostra organizzazione. Poi, ognuno può avere le sue idee, il suo modo diinterpretare e di vedere...Moretti, a un certo momento il discorso ha, per così dire, deragliato. Stavamoparlando delle vittime...E` vero, stavamo parlando delle vittime. Io... ci sono tanti piani su cui questoproblema può essere affrontato. Quello che rifiuto, e che per me è irritante, espero lo sia per tutti, è la speculazione politica sul dolore delle vittime.Credo che occorra una grande comprensione, una grande forza e dignitànell'affrontare un problema che non ha soluzione. Come si fa a lenire il doloredi una madre? Non è possibile. Lo dico senza arroganza, senza... E` unariflessione che ha toccato anche me personalmente. Quasi tutti i protagonisti,in un modo o nell'altro, sono stati personalmente coinvolti. Credo, invece, cheil modo di dare anche ai caduti, ai morti, la loro dignità è aprire lapossibilità di una riflessione sul perché ciò è successo. Questo sì. C'è unaforza, nella comprensione delle ragioni, per cui si sopportano dolori anchemolto forti.Ha fatto l'atto di comprensione e di dignità; perché non anche di rimorso?... il rimorso viene dal fatto di non essere riusciti, almeno per quello che miriguarda, a comprendere ciò che probabilmente non era comprensibile, e cheavrebbe potuto evitare molte cose.Maurizio Costa. L'avere violato tante regole come può consentire che essevengano rispettate quando la partita è perduta, come nel suo caso?Noi effettivamente eravamo gli aggressori, e proprio partendo da questo punto dipartenza, io credo, dobbiamo andare a vedere i passi successivi, cioè come, inmisura consistente, le regole di democrazia siano state mantenute in questoPaese, e come il fenomeno del terrorismo sia stato spinto alla marginalità, finoal punto di corrodersi all'interno.Il carcere che cosa le ha insegnato e le ha tolto, oltre alla libertà?

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// carcere mi ha insegnato a fare a meno delle ideologie nelle relazioni fra gliuomini.

492 Sergio ZavoliE la democrazia, che applica nei suoi confronti le regole del gioco, che cosa leha insegnato, dal momento che ha garantito il diritto indipendentemente da chi eda come è stata minacciata?Mi ha insegnato la sua enorme qualità, rispetto al nulla verso cui noi stavamoandando.Fenzi, lei a volte ha parlato di valore pedagogico del perdono, riferendosi alperdono, per esempio, praticato dalla Chiesa, che è valido per tutti, religiosio no, riscontrando invece una certa timidezza da parte della societànell'affrontare questa prospettiva.Credo che lo Stato italiano sia andato, su questa strada, molto più avanti diquello che si pensi. C'è molta più gente fuori di galera di quanto si immagini;sono stati concessi molti più benefici di quanto si creda. Mi assumo laresponsabilità piena di una affermazione persine provocatoria: ho l'impressioneche su un certo piano, a volte, i politici siano in qualche maniera ostaggidell'opinione pubblica; di una opinione pubblica che viene anche orientata insenso contrario. Credo che ci sia un gioco complesso e che non sempre l'opinionepubblica sia più avanti dei politici. Secondo me, su questo campo, in certesituazioni, il potere politico si è dimostrato più lungimirante e ha fatto piùcose di quanto, mediamente, la cosiddetta opinione pubblica si immagina. Faccioun esempio: mentre ero in carcere c'è stato un referendum sull'ergastolo, ilpopolo italiano ha confermato l'ergastolo. Ma è stata fatta una leggecivilissima, la legge carceraria Gozzini; è uno dei più grandi risultati,secondo me, di questi anni, una vera riforma, forse una delle poche diavanguardia, fatta senza il clamore e le pressioni dell'opinione pubblica, inmaniera quasi appartata, seria. Ha funzionato, funziona; e, ripeto, c'è moltapiù gente per le strade di quanto si possa pensare.Tentiamo di fare un bilancio. Dalle dichiarazioni di alcuni brigatisti pentiti,o dissociati, che abbiamo ascoltato, emerge in modo quasi straziante la scopertache la loro rivoluzione era fallita prima ancora di cominciare, mancava di unapremessa forte, non aveva presupposti per risultare efficace. Se dunque erapriva dall'inizio di prospettive, e i militanti ne erano in lar-

la none della Repubblica 493ga parte consapevoli, la loro non poteva essere che una lotta senz'anima,tutt'al più disperata. Nonostante ciò è costata un prezzo altissimo, come leiben sa, come noi ben sappiamo. Lei è tra coloro che pensarono la rivoluzione, unideologo, come si dice, sebbene lei respinga questa definizione. Ha anchepensato, col tempo, che aveva spinto dei ragazzi a inoltrarsi nella lotta senzaun vero retroterra alle spalle? Oppure quella lotta era l'unica possibile, conla prospettiva cioè di essere perdente?E` sempre difficile giudicare ali'indietro dal punto di arrivo, anche se poiquesto è l'unico giudizio valido. Io dico questo: non voglio assolutamenteinvocare nessun alibi per quello che è avvenuto. Però quando si dice: "Non avevanessuna motivazione", lo si può dire oggi. Non credo fosse così facile dirloallora. C'erano le bombe sui treni, i tentativi di colpi di Stato, e 'era unainstabilità politica diffusa, e 'erano tensioni e processi di ristrutturazionenelle fabbriche, c'era un'aria che oggi non si respira e io so, dicendo questo,di dire qualche cosa che viene capito non solo da chi ha fatto certe scelte, maanche, oso dire, da parte di quella che si definisce la borghesia illuminata. Iocredo che ci fossero molte persone, in molti posti, in quegli anni Settanta, lequali, e su questo andrebbe fatta una riflessione, non erano così sicure di quelche sarebbe successo, di quali sarebbero stati gli sbocchi della fase che sistava attraversando.Con che cosa, in definitiva, deve fare i conti un uomo che ha attraversato lesue esperienze? Baglioni.Con i principi costitutivi della persona umana, che non esiste se non ci sonogli altri. Non ho la colpa di avere dato la morte a un 'altra persona, ma credo

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che questo non possa essere per me un alibi; penso però che conti, per un uomo,il dover riflettere su.ll'aver dato direttamente o indirettamente la morte.Zuffada, si è ipotizzata, nel corso di questi incontri, una soluzione che possaandare al di là di una verità pur fondamentale, cioè quella dell'aulagiudiziaria, alla ricerca di una pacificazione sociale che peraltro trovariscontri in molte volontà anche politiche. E tuttavia questo approdo non puòessere qualcosa di meramente edificante, astratto e consolatorio. Si va, se siva a questo appuntamento, ripercorrendo una strada che è fatta di

494 Sergio Zavolilutti, è fatta di dolori, che ha lasciato dei segni forti e forse non facilmentedimenticabili. Un percorso del genere credo che non si possa fare armatisoltanto di uno spirito rivendicativo, ma anche persuasi che occorra andareall'appuntamento per consentire, per condividere, persino per confessare. Lei èd'accordo?Sono d'accordo. Sono d'accordo proprio con la più ampia disponibilità nostra nelrivedere nei confronti di tutti coloro con cui abbiamo parlato -noi abbiamoparlato con tutti - rivedere esattamente quali erano errori, carenze,pressappochismi, codici che non potevano non portare a quel tipo di soluzione.Che uso fa di questo ipotetico, augurabile appuntamento, con quale animo viandrebbe?Vi andrei con l'animo di uno che ha fatto un'esperienza di tanti anni dimilitanza in un 'organizzazione rivoluzionaria, che fa politica, che è natodentro la politica, perché allora la politica significava cambiamento di tuttala vita. Eppure la vita è molto più ricca degli schemi politici. Oggi posso direche allora ci siamo chiusi all'interno della politica rivoluzionaria; e mi rendoconto che ali 'interno di questo schema non è possibile operare unatrasformazione della società. Ci vuole altro. E quest 'altro non dipende dallemie parole, ma da uno sforzo, da un desiderio che vive nella società, o inquanti vogliono cambiare la loro situazione.In che modo si chiude un'esperienza come la sua? Con un giudizio politico, conun esame di coscienza, o con tutti e due? Bonisoli.Mah, la cosa più importante per me, la prima che sento, è quella di un esame dicoscienza che attraversa tante cose: i percorsi miei, delle persone con cui hoavuto relazioni, con cui mi sono scontrato, e tutti quelli che oggi soffrono acausa di questa storia, con tutte le lacerazioni che vi sono state. Questa è lacosa più grave e penso mi rimarrà come momento di riflessione, sempre. Ne sonocerto. Per quanto riguarda il giudizio politico, questo sta nella realtà, nelmio percorso attuale, nelle cose che sto facendo con altri, e teso soprattutto afar sì che non si verifichino quelle condizioni di incomunicabilità che sonostate alla base di questa grande tragedia-

La notte della Repubblica 495Incomunicabilità: è per questo che ha accettato questa intervista?Anche per questo.Moretti, qual è oggi il suo bilancio? Può indicare un giorno, un'ora, unasituazione, uno stato d'animo per dire quando, dove e perché sentì che labattaglia delle Br era perduta?Non riesco a ragionare in termini di "vincitori e vinti", ma nei termini di unoscontro che ha prodotto una trasformazione. Posso rilevare, per quel che miriguarda, che gran parte delle nostre aspettative non hanno avuto successo. Chesi sia esaurito un movimento, e insieme ad esso si siano esaurite anche leBrigate rosse, non è avvenuto in un giorno, ma nell'arco di anni. E alla finedegli anni Ottanta, nonostante tutti i nostri sforzi, i nostri tentativi, èrisultato chiaro. Quei tentativi producevano soltanto divisioni, spaccature, nonproducevano più risposte praticabili a livello di movimenti che a loro volta sistavano trasformando in una società che si era trasformata. Questa esperienza siè esaurita. Noi ne abbiamo preso atto, questo sì. Io ne ho preso atto. Non me ne

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sono reso conto in un momento; ma a un certo punto, insieme ad altri compagni,responsabilmente, abbiamo detto a tutti: questa esperienza, cari compagni, perquanto riguarda la nostra possibilità di valutazione, è esaurita ed èirripetibile. Lo diciamo ai compagni e lo diciamo anche a tutti gli altri. Mache modo potrebbe mai essere quello di superare, oltrepassare un periodo storicocome quello che abbiamo attraversato semplicemente rinnegandolo? Non può dareniente di positivo e di/atti non ha dato niente di positivo, in questo senso.Credo anche molto umiliante l'abiura, il rinnegamelo, sia per chi lo chiede siaper chi consente a farlo.Non può darsi, Moretti, che altre persone che, come lei, non avrebbero maivoluto uccidere nessuno, si siano poi trovate a dover giudicare questa tragediadell'aver ucciso non soltanto dal punto di vista dell'esperienza storica e chein cuor loro abbiano sentito di dover pagare il conto con la società, e forseanche con qualcun altro, a cominciare da se stessi?Sì, credo di sì! Ritengo però che quel modo lì sia sbagliato. Rispetto allaquestione della società che ci troviamo davanti, che ci viene consegnata, checonsegniamo a quelli che verranno dopo di noi, non è una società

496Sergio Zavolifelice, priva di contraddizioni. Quindi non si può rimuovere questo perìodostorico, quindici anni della storia d'Italia, con la dissociazione di alcunidalle loro responsabilità tramutate in colpe, e l'assoluzione per tutti glialtri che, invece, avrebbero rappresentato la giustezza di ogni cosa.Come giudica i tentativi della politica di trovare uno strumento giuridico checonsenta, nell'ambito delle leggi dello Stato, l'uscita dagli effettidell'emergenza?Molto positivamente, in linea generale, perché si incomincia ad avvertirel'inadeguatezza della strumentazione anche legislativa per chiudere un dibattitodi questo genere. Ormai molti avvertono che la società italiana ha attraversatoun periodo che è comunque alle nostre spalle, che si è concluso, e che richiededelle scelte di carattere politico perché sìa effettivamente superabile,oltrepassabile; con la necessità, quindi, di arrivare a una soluzione politicaper i prigionieri che ancora rimangono - ma anche per quelle mille figuregiuridiche, dai latitanti ai liberi per metà o incarcerati per metà, o per lependenze giuridiche che potrebbero comunque venir fuori - perché quindici annidi lotta armata creano un 'infinità di episodi che hanno il loro riscontro nelcodice penale. Sarebbe estremamente ingiusto se questa storia, una volta che siè conclusa nella società, nella realtà della storia che si è conclusapoliticamente, trovasse poi interminabili appendici nelle aule giudiziarie.Occorre quindi individuare degli strumenti legislativi idonei per far sì che,con una scelta politica adeguata, si superi questa situazione.Mentre voi chiedete questo sopravanzo di equità allo Stato, che cosa risarciràil dolore, le privazioni, le perdite di chi è rimasto vittima del terrorismo?Ma io non credo che ci sia qualcosa che possa controbilanciare il dolore, quandoquesto è autentico.Che significato ha, Segio, il fatto che la dissociazione sia avvenuta solo esempre - e per tutti, se non sbaglio - dopo l'arresto?Credo veramente che sia una lettura riduttiva quella che considera o chesospetta la dissociazione come fenomeno di utilitarismo, di convenienza. Credoche ci siano due valenze, due dimensioni: una, quanto ciò che è av-

La notte della Repubblica 497venuto ha significato per ognuno di noi, in carcere, in termini di riflessione,di ricostruzione di una identità dopo una sconfitta così radicale; e poi e 'è un'altra valenza, che a mio parere è molto misconosciuta, molto poco comunicata,che ha avuto pochi interlocutori: quella della dissociazione come movimento dicritica culturale, di analisi, di pensiero, dì riferimento ideologico su quanto,per dieci anni, ci ha fatto ritenere legittimo usare le armi e uccidere dellepersone.E adesso che lei vede le cose con una maggiore libertà, quella che nasceall'interno della consapevolezza, ma io direi della coscienza, che senso ha perlei tutta questa tragedia? Che cosa può insegnare un'esperienza come la sua?

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Io, molto sinceramente, sono preoccupato da un 'ansia di rimozione che in parteriguarda me stesso, ma temo stia diventando una tendenza sociale e politica. Nonvorrei si pensasse che il problema della violenza politica, il problema deimorti, il problema degli anni Settanta, è chiuso e risolto col fatto che unpugno di sepolti vìvi in carcere sta simbolicamente a dimostrare la vittoriadello Stato. Credo che, invece, sia molto più lungimirante, e più inibitivorispetto a un'ipotetica rìproduzione del fenomeno, un processo di riflessione apiù voci, di confronto e di rinnovamento culturale, e di valori, che prenda lemosse da questa vicenda.Signora Besuschio, se la gente non capisce, e difatti non capisce, perché sidebbano perdonare tanti delitti delle Br, come pensate di poter entrare inqualche modo nella coscienza della gente senza un ripensamento globale dellavostra esperienza, senza essere disposti ad ammettere i vostri errori?Gli errori possono rientrare nella ricostruzione storica; perché se si vuoleaffrontare veramente la valenza di quegli anni, allora l'elenco sarebbelunghissimo. Gli errori, errori enormi, sono stati fatti da più parti. Adesso ionon voglio ributtare la palla: però, in coscienza, è veramente possibile parlaredegli errori delle Brigate rosse quando le stragi di Stato sono ancoraimpunite;1Dopo tanti anni ci sono anche i parenti delle vostre vittime, signoraBesuschio...

498Sergio Zavoli... certo, e le vittime ci sono state da una parte e dall'altra. Proprio perrispetto alle vittime, alle persone care, bisogna riuscire a dare unacollocazione storica a quegli anni; e non cancellarli seppellendoli sotto annidi carcere e basta.Le vostre vittime, per il solo fatto di essere tali, e così profondamente e cosìingiustamente e così premeditatamente, non testimoniano a sfavore di una pretesadignità storica del terrorismo? Franceschini.Sì, visto adesso, dal fallimento, dal tragico fallimento della nostraesperienza, certamente sì. Da un punto di vista nostro, e da un punto di vista,diciamo, per usare questa parola, politico, sono vittime inutili: e questo è ildramma.L'uccisione di persone ignare, indifese e innocenti, quanto corrispondevaall'unica possibilità di lottare? Fenzi.Sembrava fosse l'unico modo per agire davvero. Ecco, questo è stato il grandecrimine, il grande errore anche di superbia. In una interpretazio-ne tuttamaterialistica e meccanicistica, e meccanica, della realtà, l'unica cosa checonta sono i rapporti di forza. Chi è convinto che l'unica cosa che conta sono irapporti di forza, nella fabbrica, nella società, nelle strade, nel palazzo, nelgoverno, tra gli Stati, chi è convinto che l'unica cosa che conta è la forza,non è solo uno che si prepara ad usare la forza, ma considera l'uso dellaviolenza come la forma più alta di intelligenza politica. Questo abbinamentomicidiale tra l'intelligenza presunta e la violenza è certamente uno dei nodiforti che spiegano le scelte delle Brigate rosse. Cioè, esserne convinti: noivediamo più a fondo dì altri; gli altri si fermano alla carne, non scendono alloscheletro. Noi capiamo che tutto è violenza, che i rapporti sociali sono tuttauna finzione, che la carne nasconde uno scheletro di violenza, è solo laviolenza che esiste, è solo esercitando la violenza che si manifesta un poterereale; e dunque noi, per essere forti, dobbiamo esercitare la violenza. Perchésiamo intelligenti e quindi abbiamo capito che non esiste altro che la violenza,e solo la violenza ci fa esistere in quanto soggetti politici e sociali forti.Da questo continuo cortocircuito che si riproduceva, è stata alimentata lanostra azione.

I

La notte della Repubblica 499Rosso, cos'è per un intellettuale pentirsi?Credo possa essere la cosa più facile, e insieme la più difficile. Più facileperché pentirsi, in fondo, significa affermare la riserva iniziale che ogni

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persona che riflette ha nei confronti delle proprie decisioni: il mantenere unacapacità di dubbio. La cosa più difficile, perché a un certo punto il rifletteresui propri limiti, sul proprio dubbio, si trasforma necessariamente indecisione, e la decisione è sempre qualcosa di totalmente altro rispetto allariflessione.Come esce un intellettuale da queste prove? Più o meno segnato di altri, più omeno sconfitto, più o meno in obbligo con qualcuno?Credo di poter rispondere solo all'ultima delle domande: veramente più inobbligo, e più umilmente in obbligo, credo, se è l'unico modo in cui sentirsi inobbligo con qualcuno.Cos'è il carcere?// carcere è tutto e la negazione di tutto. Quando lei mi domanda cos'è ilcarcere, in questo momento mi viene di rispondere come se mi si domandasse: checos 'è la vita. E` paradossale, perché il carcere è la negazione della vita;però, sino ad oggi, ha assorbito tutta la mia vita e l'ha segnata sin nelle sueparticelle più infime. Il carcere è un mistero ed è lo sconvolgimento della vitadi un uomo fino dalle sue radici.Che cosa le mancherà di più?Io spero che non mi manchi - è ciò di cui ho più paura - il senso della miaesistenza, il senso dell'esistenza delle cose. Forse è astratto, ma per me è unsentimento molto immediato.Le mancherà il perdono di qualcuno?Vede, io il perdono degli altri, forse, non oso neanche concepirlo. E se cifosse, sarebbe la cosa più gratuita che mi potrebbe accadere. Più, come dire,più originata dai sentimenti che dalla volontà di una persona, e meno spiegabiledalla storia, da meccanismi sociali, da cause esteme. In questo senso ètotalmente gratuita, perché vuoi dire che nasce dal mistero di un 'altrapersona.

500 Sergio ZavoliSignora Russo, lei in varie forme ha preso parte ad alcuni omicidi; cinque senon sbaglio. A qualcuno come concorso morale. Che valore ha, per lei, il perdonodi chi ha patito e patisce per causa sua?Ha un valore enorme. Perché essendo un gesto del tutto gratuito e unilaterale,ha il valore di un gesto veramente cristiano; e come tale, evidentemente, vamassimamente apprezzato. Voglio dire, però, che rispetto profondamente anche chinon ha un atteggiamento di perdono, perché penso che il dolore delle famigliedelle vittime vada comunque rispettato. E quindi il perdono non può esseresollecitato, né estorto. Credo che sia innanzitutto un problema di coscienzaindividuale, un problema privato; penso che qualunque sia l'atteggiamento dellefamiglie esso vada in ogni caso rispettato.Nel carcere di Bergamo lei sposa Bruno Laronga, col rito civile se non sbaglio.Perché il matrimonio? Faceva parte del progetto di uscire dal tunnel o no?Mah, con Laronga avevo già un rapporto - pur non essendo sposati -come di unacoppia sposata. Quindi, quando nell'82 decidemmo di sposarci, sostanzialmentedecidemmo di regolarizzare una situazione di fatto.Non a caso, dopo due anni la cerimonia si ripetè nel carcere di Milano, questavolta secondo il rito religioso, con dispensa del cardinale Martini. Inquell'occasione è avvenuto l'atto simbolico della consegna delle armiall'arcivescovo di Milano. Da che cosa nasceva quel gesto? Come maturò? Qualesignificato gli davate? Solo simbolico, o qualcosa di più?L '84, a Milano, per me è stato importante: ho conosciuto alcune figure che sonostate determinanti nel farmi maturare un riaccostamento alla Chiesa, allareligione, figure di operatori interni, di religiosi. E` stato con loro che homaturato la scelta di regolarizzare il mìo matrimonio anche di fronte... difronte a Dio. Diciamo che questo episodio del mio matrimonio sta all'interno diquello che era il processo dell'84, a Milano, in cui noi, come gruppo,consegnammo le armi nelle mani del cardinale Martini, perché riconoscevamo allaChiesa un ruolo di mediazione al di sopra delle

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parti. Non era un discorso di non riconoscimento dello Stato, ma di voleraffidare nelle mani di qualcuno, che fosse in grado di portarlo, un messaggio dipace.Diamo ora la parola al Cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano. E`nella società una presenza della Chiesa tra le più attente e autorevoli. Comeconsidera questo episodio? E una metafora conclusiva?Questo episodio va visto in un contesto di dialoghi, di ascolto, di incontri,che sì erano succeduti per mesi e anni con alcune persone detenute. Da talecontesto era emerso il desiderio di accedere a una nuova percezione di ciò che èl'umanità. Qualcuno mi diceva che l'ideologia era talmente soffocante cheavevano perso il senso dell'esistenza di altre persone umane. Quindi eranecessario ristabilire il senso di umanità, del rapporto, dell'esistenzadell'altro, e via via si faceva strada il bisogno di una riconciliazioneautentica, fondata non soltanto sul rifiuto del male che si era fatto, ma ancheintesa a ricostruire un tessuto vero di rapporti umani e sociali. Perché alcunidegli ideali che si erano perseguiti non degenerassero in ideologie, soprattuttoin violenza. Mi pare quindi che questo episodio sia parte di un cammino faticosoper il recupero del proprio senso di umanità, e di che cosa significhi essereparte di un contesto sociale.Ma il cammino di recupero e di riconciliazione non può svolgersi solo fra lemura di un carcere. Ha bisogno di un contatto con la società che siaricostitutivo delle cose che sono state rotte, delle offese che sono statefatte. Certo, alcune delle offese sono irreparabili. Però ho visto, in tante diqueste persone, il desiderio di risarcire in qualche modo la società; non diavere degli sconti, delle forme di condono, ma la possibilità di ripagare conservizi sociali autentici, faticosi, qui o nel Terzo mondo, la comunità cheavevano offeso. Un tentativo, quindi, di ricostituire quei legami che essiavevano rotto, in qualche modo in maniera irreparabile, ma che, tuttavia,dovevano essere riportati nell'insieme dì un corpo sociale sano. C'è perciò, mipare, un cammino autentico di riconciliazione, forse non sempre illuminato dallafede - io, naturalmente, mi muovevo illuminato dalla fede - però c'era almeno undesiderio di sincerità e di verità. E questo mi pare il senso di ciò che si èavverato attraverso diversi anni di colloqui e di confronto.

502 Sergio ZavoliE adesso vent'anni di terrorismo sono consegnati alla riflessione di unacomunità e alla storia della nazione. Un Paese che ha una democrazia cosìradicata da avergli consentito di vincere una prova tanto difficile, non puòsottrarsi all'obbligo di risolvere le questioni rimaste aperte. Sono molte, e suvari terreni: da quello privato e umano a quello della società e della politica.Solo così, come si diceva all'inizio di questo lungo viaggio, sarà possibileuscire dalla notte della Repubblica in nome non soltanto della cronaca, ma anchedella Storia. Tutti, in ogni caso, non potremo eludere domande che ci auguriamoabbiano assunto qualche forma più precisa anche attraverso questa inchiesta.

NOTA DELL'AUTOREQuesto libro è la trasposizione del ciclo televisivo La notte della Repubblica,realizzato da RAIDUE, attraverso la struttura diretta da Leonardo Valente. Ilprogramma, diciotto puntate pari a cinquanta ore di trasmissione, è andato inonda dal 12 dicembre 1989 all'I 1 aprile 1990.La trascrizione delle interviste e delle dichiarazioni ha rispettato l'originaletelevisivo; soltanto nei casi in cui esso risultava particolarmente complesso, eperciò di difficile lettura, si è provveduto a semplificarne la forma. Il testodell'inchiesta è stato arricchito da materiali di aggiornamento edocumentazione. Sono stati inoltre introdotti quegli elementi di raccordo, e diracconto, richiesti dal dovere trasporre in volume un linguaggio orale e perimmagini.Non sono riportati i dibattiti, che nella versione televisiva concludevano levarie puntate; si è infatti preferito consegnare al lettore la parte piùdocumentaria del programma, privilegiando la versione espositiva rispetto aquella interpretativa. I giudizi non saranno perciò tratti da altri che dallettore, direttamente.

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Il libro, essendo frutto del lavoro in primis televisivo, è opera dell'equipe dicollaboratori i cui nomi appaiono nei titoli di testa e di coda dellatrasmissione, che qui di seguito riportiamo. A loro va, con un pubblico,doveroso riconoscimento, il mio più sentito grazie personale.LA NOTTE DELLA REPUBBLICA di Sergio Zavolicon la collaborazione di: Piero Di Pasquale e Paolo Graldie di: Daniele Carminati, Mariella Croccila, Teo De Luigi, Mino Guerrini,Paolo Pozzesia cura di: Nelly PuliceMusiche: Gianni Marchetti Direttore della fotografia: Sandro ForconiScenografia: Gaetano Castelli Impaginazione grafica: Mario Sasso Coordinamento:Armando Pizzo

504Sergio ZavoliDirettore di produzione: Anselmo Travaglini Regia: Grazia MichelacciIn redazione: Bruno Barbicinti, Piero Damosso, Sergio De Santis, Cesare DeSimone, Antonietta Garzia Faggin, Pierà Roland!, Alessandra Rissotto, Nan-niSaba, Roberto ScardovaConsulenze di: Sabino Acquaviva, Livio Barnabò, Fabio Cavalera, Remigio Cavedon,Marcelle D'Angelo, Giuseppe De Lutiis, Franco Ferraresi, Gianni Flamini,Ferdinando Imposimato, Pio Marconi, Silvana Mazzocchi, Gianni Morini, ItaloOrmanni, Gloria Pescarolo, Chiara ValentiniUfficio Stampa: Raffaella Leoni, con testi ad hoc di Franco GiustolisiHanno collaborato al montaggio e alle riprese: Paolo Ardovino, Giuseppe Bagdi-ghian, Franco LazzarettiRicerche di: Rosina Balestrazzi, Carlo Monti, Alberto Orsi, Mario Refrigeri,Romano TorsaniPost-produzione effettuata presso la RVR-Romana Video RiversamentiUn grazie particolare a Paolo Graldi, che ha condiviso con me la strutturazionedel lavoro e i passaggi salienti delle riprese televisive.Sono altresì grato ad Annalisa Carena e a Milena Mariotti per l'editing delvolume; e a Nelly Pulice che ha curato il lavoro di trasposizione.Le fotografie inserite nel volume, tratte dai "fotogrammi" televisivi, sono diGianluca Paladini e Daniele Carminati.Da questi programmi sono stati presi passi significativi: :Scenario - Tanti saluti dal '68, di A. Barbato Scenario - Un anno di 55giorni,di A. Barbato e C. Augias Scenario - Obiettivo Moro: assassinio di un uomo diStato, di A. Barbato Parco Lambro, la musica ribelle, di F. Bortolini e R.Cacciaguerra Video Sera - Alice nel paese delle radio libere, di F. Barilli e F.Bortolini 28 Maggio ore 10: Brescia, di G. Bernagozzi e P.L. Buganè Lineadiretta, di E. Biagi II caso, di E. BiagiLa lunga campagna d'Italia, di A. Caldana 7977: l'assedio, di D. Campana Lagrande utopia, di N. Caracciolo Dentro l'America: i giovani, di F. Colombo Primopiano - Tobagi'tre anni'dopo, di F. Damato In nome del semplicemente umano, diU. D'Ascia TG2 Dossier - Dopo i giorni dell'ira, di U. D'Ascia Incontri - Un'ora con Marcuse, di G. Pavera TG1 - Via Fani, di P. Frajese

La notte della Repubblica 505II filo del lavoro - Invece del carcere, di I. GaetaLa violenza e la pietà, di B. GiordaniAZ - Un fatto come e perché: la violenza, a cura di L. LocatelliAZ - Un fatto come e perché: rapporto nero, a cura di L. LocatelliSequestri - La spirale della paura, di R. Malenotti e E. CapoleoniI testimoni di Via Fani, di G. MarrazzoTG2 Dossier, di E. MastrostefanoSpeciale TG1 - Dopo il terrorismo, di E. MentanaSpeciale TG1 - Morire in Via Fani, di E. MentanaPrimo Piano - La mafia - Dalla Chiesa, di S. Munafò e I. PalermoPrimo Piano - Una città, una fabbrica, il terrorismo, di S. Munafò e I. PalermoPrimo Piano - L'epoca di Moro, di S. Munafò e I. PalermoPrimo Piano - II caso D'Urso, di S. Munafò e W. AzzellaStasera G7 - Dentro le Br, di V. Panchetti

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La spinta dell'autunno, di G. PecoriniDieci minuti prima, di H. PoltzerPretori d'assalto, di E. SannaCome mai, di G. SodanoLa forza della democrazia, di C. Stajano, M. Fini e F. CampigottoSpeciale TG1 - Padova perché, di B. VespaAusterity, di B. Vespa e F. ZeffirelliTV 7 - II golpe Borghese, di S. ZavoliTV 7 - Ieri all'università, di S. ZavoliTV 7 - Quella sera, di S. ZavoliTV 7 - Quelli che perdono, di S. ZavoliTV 7 - I giardini di Avola, di S. ZavoliTV 7-11 sindaco di Battipaglia, di S. ZavoliTV 7 - La fine dell'autunno, di S. ZavoliSpazio Sette - II caso Moro, di E. ZefferiSpeciali TG - Guerra in Vietnam: l'esodo degli americani, di E. ZefferiPer Firenze, di F. ZeffirelliHanno fornito materiali:Archivio Cineteca RAI, ANSA storica, AGI, ADN Kronos, Arma dei Carabinieri,Polizia di Stato, Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, ConsiglioSuperiore della Magistratura, Ministero degli Interni, Ministero di Grazia eGiustizia, Confederazione Cgil-Cisl-Uil, Istituto Carlo Cattaneodell'Associazione di cultura e politica // Mulino, Fondazione Feltrinelli,Fondazione Basso, Partito radicale, Alitalia, Fiat, Società Autostrade, Centrosperimentale di cinematografia, Canale 5, GBR, Telecine Ltd, PapiroCinematografica, Faust Film Monaco, Radio "Onda Rossa" di Roma, "Radio Alice" diBologna, NTV di Bologna, "Punto Radio TV" di Bologna, Collettivo MovimentoStudentesco 1977 di Bologna, Teleroma 56, "Centro di cinematografia militante"di Milano, ENIDATA, Istituto LUCE.

506Sergio ZavolìUn grazie anche all'Archivio storico del Movimento Operaio per la serie deidocumenti fornitici, tra cui:Ipotesi sulla morte di Pinelli - Giuseppe Pinelli - Ordine pubblico - Milano:scontri in Via Larga - II movimento studentesco al servizio delle masse popolari- Roma: scontri di Valle Giulia - Processo Valpreda - A Paolo Rossi, nostrocompagno - Perché Viareg-gio? - Guido Rossa - Filmando in città - Funerali diFeltrinelli - La casa è un diritto, non un privilegio - Battipaglia - Universitàdi Roma - Contratto - II popolo calabrese ha rialzato la testa - Viva il 1 ‘Maggio proletario - A braccia incrociate - Lotte alla Rhodiatoce di Paliamo - IIprezzo del miracolo - Servizio cinema - Bianco e nero.Uno speciale ringraziamento va al Ministro Guardasigilli del tempo, senatoreGiuliano Vassalli; al Direttore generale per Istituti di prevenzione e pena,dottor Nicolo Amato; ai magistrati, ai direttori di Case circondariali, agliavvocati che, ciascuno nel proprio ambito, hanno reso possibile, o agevolato, larealizzazione delle interviste ai detenuti.Va ricordata l'utilizzazione di sequenze tratte da film e telefilm di:Michelangelo Antonioni, Marco Bellocchio, Liliana Cavani, Damiano Damiani,Vittorio De Sica, Federico Fellini, Giuseppe Ferrara, Stuart Hagmann, LuigiPerelli, Paolo Pietrangeli, Francesco Rosi, Ettore Scola, Franco Zeffirelli, edella canzone La sera dei miracoli concessa da Lucio Dalla per la sigla dichiusura.Un pensiero riconoscente ad Alberto La Volpe e ai colleghi del TG2 che, casounico nella storia della nostra TV, hanno rinunciato alla messa in onda delTelegiornale di seconda serata per non spezzare l'unità del programma.Sento infine di dovere ricordare, esprimendo gratitudine, tutte le persone checon l'autorevolezza dei loro interventi hanno arricchito il corpo delletestimonianze:Gennaro Acquaviva, Sabino Acquaviva, Adelaide Aglietta, Giuliano Amato, NicoloAmato, Salvo Andò, Giulio Andreotti, Aldo Aniasi, Tina Anselmi, Odoardo Ascari,padre Adolfo Bachelet, Pio Baldelli, padre Ernesto Balduc-ci, GaspareBarbiellini Amidei, Paolo Barile, Piero Bassetti, Adriano Bauso-la, Carol Beebe

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Tarantelli, Giorgio Benvenuto, Adolfo Beria di Argentine, Antonio Bernardi, OddoBiasini, Alfredo Biondi, Marco Boato, Luigi Bob-bio, Norberto Bobbio, GuidoBodrato, Margherita Boniver, Manfredi Bosco, Pietro Calogero, Guido Calvi, MarioCapanna, Pieralberto Capotosti, Umberto Cappuzzo, Guido Carli, Andrea Casalegno,Antonio Casanova, Gian-carlo Caselli, Pierferdinando Casini, Franco Castrezzati,Fulvio Cerofolini, Adriano Cerquetti, Mario Cervi, Gerardo Chiaromonte, BartoloCiccardim, Michele Coirò, Lucio Colletti, Fernanda Contri, Carlo Corsetti, LuigiCo-vatta, Vincenzo Curia, Umberto Federico D'Amato, Fabio Dean, Massimo DeCarolis, Ottaviano Del Turco, Giovanni De Matteo, Gabriele De Rosa, Carlo DonatCattin, Vittorio Emiliani, Pietro Passino, Giovanni Ferrara, Franco Ferraresi,Franco Ferrarotti, Nino Ferrerò, Publio Fiori, Roberto

La notte della Repubblica 507Formigoni, Franco Franchi, Sergio Gadolla, Severino Galante, Giorgio Galli,Giovanni Galloni, Sergio Garavini, Giuseppe Gargani, Adolfo Gatti, Gino Giugni,Giuseppe Glisenti, Mario Gozzini, Libero Gualtieri, Bianca Guidetti Serra,Ferdinando Imposimato, Umberto Improta, Luciano Infelisi, Ugo In-tini, AntoninoIosa, Luciano Lama, Antonio Landolfi, Ignazio Larussa, Sergio Lenci, IleanaLeonardi, Giovanni Leone, Giuseppe Leoni, Gianni Letta, Nicolo Lipari, GiulioMaceratini, Miriam Mafai, Oscar Mammì, Giacomo Mancini, Tommaso Mancini, AntonioMarini, Roberto Martinelli, Card. Carlo Maria Martini, Libero Mazza, FrancescoMeloni, Gianfranco Miglio, Rosario Minna, Indro Montanelli, Giampiero Mughini,Aldo Natoli, Gian-Carlo Nicolai, Diego Novelli, Eugenio Occorsio, PierluigiOnorato, Piero Ottone, Antonio Padellare, Marco Pannella, Valentino Parlato,Luigi Passero, Alfredo Pazzaglia, Ugo Pecchioli, Claudio Petruccioli, FrancoPiro, Giorgio Pisano, Guido Pollice, Luigi Preti, Maurizio Puddu, Pino Rauti,Umberto Rocca, Stefano Rodotà, Alberto Ronchey, Rossana Rossanda, Renzo Rossel-lini, Emilio Rossi, Mariano Rumor, Franco Russo, Giulio Salierno, SeverinoSantiapichi, Ivo Sassi, Eugenio Scalfari, Oscar Luigi Scalfaro, Gaetano Scar-docchia, Dante Schietroma, Pietro Scoppola, Torquato Secci, Mario Segni,Francesco Servello, Claudio Signorile, Edgardo Sogno, Mario Sossi, GianfrancoSpadaccia, Giovanni Spadolini, Egidio Sterpa, Ugo Stille, Angelo Ta-gliari,Giovanni Tamburino, Giuseppe Tamburrano, Marco Taradash, Massimo Teodori, CarloTognoli, Arciv. Ersilio Tonini, Aldo Tortorella, Nicola Tranfaglia, BrunoTrentin, Giuseppe Tricoli, Antonello Trombadori, Save-rio Tutine, RaffaeleValenzise, Angelo Ventura, Emilio Vesce, Pierluigi Vigna, Lucio Villari, RobertoVilletti, Guido Viola, Luciano Violante, Claudio Vitalone, Ambrogio Viviani,Benigno Zaccagnini, Livio Zanetti, Renato Zangheri, Valerio Zanone, GiulianoZincone, Guglielmo Zucconi.

BIBLIOGRAFIA// lavoro di ricerca e verifica, analisi e confronto, per realizzare La nottedella Repubblica ha richiesto un approccio interdisciplinare alle fonti chedocumentano l'origine, la struttura, gli svolgimenti, i flussi e le connessionidella complessa fenomenologia del terrorismo italiano. Sono stati consultatioltre tremila (per l'esattezza 3068) documenti: libri, atti e sentenze dellamagistratura, atti e inchieste del Parlamento e del governo, articoli daquotidiani e periodici, monografie e tesi di laurea, materiali ideologici deiterroristi (risoluzioni, volantini, opuscoli, autobiografie e memorie),testimonianze orali e registrate.Non potendo, ovviamente, riportare per intero la bibliografia utilizzata, cilimitiamo a indicare le opere alle quali abbiamo attinto in più larga misura.AA.VV., Formare l'Armata Rossa, Bertani, Verona 1972.AA.VV., Fascismo e neofascismo, Editori Riuniti, Roma 1974.AA.VV., Seminario sull'estremismo, Edizioni Pci, Roma 1975. (Atti del seminariotenutosi all'Istituto di studi comunisti delle Frattocchie nel 1975.)AA.VV., Eversione, democrazia e rinnovamento dello Stato, Teli, Milano 1977.(Atti dell'incontro su "Criminalità e violenza, sicurezza dei cittadini, difesadelle istituzioni repubblicane, rinnovamento della società e dello Stato",promosso dal Comitato permanente antifascista per la difesa dell'ordinerepubblicano tenuto a Milano nel 1977.)AA.VV., I non garantiti: il movimento del '77 nelle università, Savelli, Roma1977.

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Abatangelo, Pasquale, 463Abbatangelo, Massimo, 433, 434Abbruciati, Danilo, 432Adorno, TheodorW., 10Agca, Ali, 453Aglietta, Adelaide, 202, 240, 276Agnelli, Giovanni, 36Alasia, Walter, 208, 230, 231Alberto, nome di battaglia di MarcoDonai Cattin, 367Aldo, militante di Avanguardia Operaia, 207Alemi, Carlo, 455 Alessandrini, Emilio, 166, 254, 367-369, 381, 384 Alibrandi, Alessandro, 432 Alibrandi, Antonio, 432 Allavena,Giovanni, 422 Allende, Salvador, 138 Almirante, Giorgio, 55, 137, 183, 185,276,310Aloisi, Giuseppe, 277 Alunni, Corrado, 76, 103, 105-123,210, 226-228, 248, 260,331, 334-340 Amati, Antonio, 54 Amato, Francesco, 247Amato, Giuliana, 430 Amato, Mario, 68, 166, 428-431, 443,445, 446Amato, Nicolo, 203, 460 Amerio, Ettore, 76, 87, 88, 96, 105,168Ammirata, Vincenzo, 391 Anderlini, Luigi, 310 Anders, Wladyslaw, 431 Andrea,agente infiltrato, 54 Andreotti, Giulio, 15, 82, 272, 273,

275, 281-286, 297, 301, 302, 313,321, 333, 334, 345,346,352-364,393 Andreuzzi Fabrizio, 164 Aniasi, Aldo, 84Annarumma, Antonio, 37 Ansaldi, pentito, 67 Anselmi, Tina, 150, 163, 301,304,359, 360, 423 Arafat, Yasser, 29 Arcai, Giovanni, 134 Ardolino, Salvatore, 171Azzaroni, Barbara, 366, 375 Azzolini, Lauro, 210, 231, 277, 278,345Bachelet, padre Adolfo, 485-487, 489Bachelet, Giovanni, 392Bachelet, Vittorio, 166, 218, 240, 241,344, 392, 473, 485, 489 Baglioni, Enrico, 366, 369, 381-388,488, 493-502 Bakunin, Michail, 62 Baldelli, Pio, 307 Balducci, padre Ernesto, 32Ballan, Marco, 427Balzerani, Barbara, 231, 283, 351, 458 Barbaro, Guido, 240, 349 Barbone, Marco,248, 261, 397-399 Barile, Paolo, 481,483 Barillari, Rino, 413 Basile, Aldo, 185Bassetti, Piero, 50 Bassi, Pietro, 200 Battaglini, Mario, 206 Bazzega, Sergio,231 Bellavita, Antonio, 277

524

Sergio Zavoli

Chirico, Antonio, 195Cicuttini, Carlo, 135, 188Cirillo, Ciro, 223, 323, 402, 428, 454-456, 461Citro, Cannine, 33 Civitate, Cannine, 368 Ciò, Albeno, 305 Cochetti, Amelia, 210Coco, Francesco, 157-162, 165, 172-174, 176

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Codreanu, Comelio, 184 Cohn-Bendit, Daniel, 28, 72 Colletti, Lucio, 482, 484Colombo, Giovanni, cardinale, 206 Concutelli, Pier Luigi, 162, 164, 165,180, 433, 445, 446, 458 Conti, Lando, 461 Corderò, Carlo di Vonzo, 350 Corsetti,Carlo, 432 Cossiga, Francesco, 273, 275, 280,284, 297, 305, 316, 393 Costa, Maurizio, 207, 366, 369, 372-388, 488, 491-502 Costa, Piero, 113Craxi, Benino, 87, 213, 274, 275, 296, 300, 306, 308, 310, 312, 342, 400, 453,457, 459 Crisafulli, Vezio, 423 Croce, Fulvio, 239-241, 349 Cromwell, Oliver, 5Cudillo, Ernesto, 65 Cuoco, Vincenzo, 206 Curcio, Renato, 31, 74, 75, 86, 87,89, 96, 103, 106, 121, 155, 159, 199-201, 209-211, 216, 221, 224, 225, 227,262, 306, 331, 334, 337, 452, 462, 484Curia, Vincenzo, 80 Custrà, Antonino, 239 Cutolo, Raffaele, 223, 427, 428, 455dalla Chiesa, Carlo Albeno, 44, 100, 182, 200, 209, 214, 345, 356, 395, 396,409, 466, 467D'Amato, Umberto Federico, 182D'Ambrosio, Gerardo, 34, 52, 58, 84Dannano, Bruna, 304Danesi, Alfredo, 164De Amici, Marco, 180Bellow, Saul, 7Belmonte, Giuseppe, 418, 427Beltrame, Bruno, 277Beltrametti, Edgardo, 181Benà, Rinaldo, 397Benvenuto, Giorgio, 80, 296Berardi, Francesco, 389Berio, Duccio, 74BerJinguer, Enrico, 78, 138, 211, 245,274, 275, 296, 394, 401 Bernardi, Antonio, 76 Berruti, Livio, 15 Beni, Luciano,129 Bertolazzi, Pietro, 167, 169, 175, 200 Bertoli, Gianfranco, 137, 180Besuschio, Paola, 76, 103, 106-123, 210, 306-308, 322, 331, 333-340,356, 357, 488, 497-502 Besutti, esponente di Ordine Nuovo, 149 Bianchid'Espinosa, Luigi, 52 Biasini, Oddo, 275, 309 Bignami, Maurice, 366 Birindelli,Gino, 23, 130 Boato, Marco, 31, 158, 200 Bobbio, Luigi, 31, 40, 74, 481, 483Bobbio, Norberto, 188, 243 Bocca, Giorgio, 244, 245, 369 Bodrato, Guido, 274,275, 300, 343 Bompressi, Ovidio, 85 Bonavita, Alfredo, 76, 86, 88-97, 227,278,331-340,405,407,463,469-474 Boneschi, Luca, 50 Bonifacio, Francesco, 310Boninsegna, Roberto, 124 Bonisoli, Franco, 10, 103, 112-123, 210, 231,277, 283, 285-294, 345, 351,488,494-502 Sorelli, Giulia Luisa, 366, 488-502Borghese, principe Junio Valerio, 24, 124, 128-133, 139, 142-144, 148,151, 152 Borghi, Mario, falsa identità di MarioMoretti, 304, 305Braghetti, Anna Laura, 100, 282, 316 Brambilla, Michele, 11 Brandirai;, Aldo, 73Bruno, Vittorio, 241 Buonoconto, Alberto, 315, 322, 323,333, 357 Buzzi, Ermanno, 180, 457

Cacciali, Massimo, 31Caggegi, Matteo, 366, 375Cagol, Margherita "Mara", 31, 75, 86, 89, 94, 106, 121, 122, 155, 166, 200, 201,208-210, 306Calabresi, Luigi, 50-53, 61, 62, 84, 85, 137Calazzi, dottore, 385Calò, Giuseppe "Pippo", 433, 434Calogero, Pietro, 55-57, 246, 252, 391Calore, Sergio, 67,417Calvi, Guido, 54Calvi, Roberto, 367, 423, 424, 432Calvino, Italo, 189Calvosa, Fedele, 166Campigotto, Franco, 47Capanna, Mario, 31, 37-46, 74Capra, Gemma, 51Carnevale, Corrado, 425

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Carney, atleta, 15Camiti, Pierre, 127, 296Casalegno, Andrea, 403, 404, 485, 486 Casalegno, Carlo, 218, 242, 243, 406,473, 485Casati Stampa, marchesa Anna, 210 Caselli, Giancarlo, 96, 201, 231, 409 Casillo,Vincenzo, 455 Casimirri, Alessio, 351 Casirati, Carlo, 260, 261 Cassetta, Paolo,463 Casson, Felice, 144, 188 Castellano, Carlo, 219 Castellano, Luciano, 247Castellina, Luciana, 284 Castrezzati, Franco, 177-179 Castro, Fidel, 72 Casu,Antonio, 392 Cavallini, Gilberto, 426, 427, 430,431,438Cavina, Umberto, 343 Cazzaniga, Gian Mario, 31 Ceccanti, Soriano, 31 Cederna,Camilla, 84 Ceravolo, Giovanni, 186 Cercola, Guido, 433, 434 Cervone, Vittorio,280 Cesare, nome di battaglia di FrancescoBerardi, 389 Cestari, Antonio, 392 Chicchiarelli, Antonio, 303, 432, 433

La notte della Repubblica 525De Buono, Emilio, 397De Carolis, Massimo, 132, 230, 307De Felice, Fabio, 427De Felice, Renzo, 6-8De Francesco, Emanuele, 279De Gasperi, Alcide, 15, 17, 295Degli Occhi, Adamo, 132, 134Dejana, Antioco, 159Delle Ghiaie, Stefano, 23, 24, 60, 64-70, 140, 142, 162, 165, 427 De Lorenzo, Giovanni, 20-22, 162,163De Martino, Francesco, 33, 213, 277, 281,296De Matteo, Giovanni, 275, 278, 430De Mita, Ciriaco, 297, 462De Rosa, Gabriele, 482, 484De Stefano, Manfredi, 398De Vita, Maurizio, 157, 161Di Bella, Franco, 282, 402Diecidue, Romolo, 421Di Gennaro, Giuseppe, 168, 204, 205Di Noto, Luciano, 166Di Rocco, Ennio, 457Di Vagno, Giuseppe, 275Di Vittorio, Giuseppe, 15Donat Cattin, Carlo, 367Donat Cattin, Marco, 366-368Dozier, James Lee, 316, 458, 459Dubcek, Alexander, 42Dura, Riccardo, 390D'Urso, Franca, 400D'Urso, Giada, 400D'Urso, Giovanni, 323, 389, 399, 400,402-404, 411-413 D'Urso, Lorena, 400, 403, 404 Dutschke, Rudy, 28, 72Einaudi, Luigi, 15 Esposti, Giancarlo, 180-182 Evangelista, Francesco, 428Evola, Julius, 183, 184Facchinetti, Loris, 24Fachini, Massimiliano, 60, 144, 162,417, 426, 427 Falco, Leonardo, 186 Falcone, Giovanni, 431

526Sergio ZavoliFanfani, Amintore, 18, 19, 155, 172,212, 282, 297, 321 Faranda, Adriana, 231, 277, 283, 304,

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312,314,347 Fanello, Antonio, 273 Passino, Piero, 77 Favale, Antonio, 277Feltrinelli, Giangiacomo, 25, 71, 72,80-83, 87, 88, 89, 119, 154, 199,261Fendwich, Edward, 143 Fenzi, Enrico, 213-226, 303, 331, 336-340, 405, 407-411, 451, 452, 463,471,473,474,488,492-502 Ferrandi, Mario, 331, 335-340, 366,369, 371-388, 488-502 Ferrari Bravo, Luciano, 247 Ferrari, Fernando, 180Ferrari, Maurizio, 89 Ferrerò, Nino, 242 Ferri, Cesare, 180 Filipponi Ronconi,Pio, 182 Fini, Marco, 47Fioravanti, Cristiano, 440, 441, 445 Fioravanti, Giuseppe Valerio "Giu-sva", 11, 417, 426-432, 435-450 Fiore, Raffaele, 351 Fiori, Publio, 244 Fioroni,Carlo, 261 Floris, Alessandro, 81, 154, 171 Forlani, Arnaldo, 297, 393, 400, 423Fortuna, Loris, 155 Frajese, Paolo, 270 t Franceschini, Alberto, 74, 76, 99,103-123, 155, 159, 166-176, 199, 200,211, 216, 217, 221, 227, 262, 321,331-340, 351, 353, 405-411, 415,452, 463, 471-474, 488, 498-502 Franci, Luciano, 187 Francisci, Claudio, 164Franco, Francesco "Ciccio", 127 Franco, Francisco, 25, 66, 67 Freda, Franco, 24,34, 35, 55, 57, 60,65, 68, 140, 142 Fumagalli, Carlo, 24, 132-134 Furlan, Angelo, 386Gadda, Carlo Emilio, 12 Gadolla, Sergio, 80, 81, 154, 171

Galante, Severino 235 Galeota, Alfonso, 433, 434 Galli, Guido, 166, 368, 383,384 Gallinari, Prospero, 76, 88, 159, 203,211,277,316,351,462,463 Gallo, Ettore, 429 Galloni, Giovanni, 79 Gallucci,Achille, 247, 433 Galmozzi, Enrico, 366, 488, 490-502 Galvaligi, Enrico, 203,401, 402 Gargiulo, Antonio, 204 Gargiulo, Immacolata, 457 Garibaldi, Giuseppe,243 Garrone, Galante, 484 Garzone, Antonio, 242 Celli, Licio, 67, 129, 163, 188,359,360, 393, 421, 422, 424, 425, 427 Gentile, Aldo, 68 Ghiglieno, Carlo, 368Giacumbi, Nicola, 166 Giai, Fabrizio, 366 Giannettini, Guido, 55, 56, 58, 60,65.69, 139-142Giannini, Massimo Severo, 392 ,Giap, Vo Nguyen, 29 iGinsborg, Paul, 4 Giordano, Francesco, 398 Giorgi, Maurizio, 427 Giorgieri,Licio, 461 Giovanni Paolo II, papa Karol Wojty-la, 346, 453 Giovanni XXIII, papa Angelo Roncal-li, 19Giraluce, Graziano, 102 Giretto, Silvano 199 200 Giugn'Giuliani, Arnaldo 11 12Giuliani, Egidio, 426, 427 ,Giuseppucci, Franco, 432 i;Cori, Silvio, 392 Graldi, Paolo, 5, 12 Granisci, Antonio, 78, 227 Grassini,Giulio, 425 k Oraziani, Clemente, 24, 149, 165, 184 Graziosi, Alfonsina, 206Graziosi, Franco, 206, 207 Grisolia, Lucio, 156 Gronchi, Giovanni, 17 Gualtieri,Libero, 455 Guerzoni, Corrado, 282, 303

Guevara, Ernesto "Che", 29, 72, 97,103, 387 Gui, Luigi, 212 Guiso, Giannino, 297Habbasn, George, 72 Hait, Basii Liddell, 3 Henke, Eugenio, 23, 58, 131 Herzen,Alessandro, 243 Himmler, Heinrich, 55 Hitler, Adolf, 4, 55 Ho Chi Minh, 29 Hunt,Leamon, 461lannilli, Marcelle, 426, 427 Imposimato, Ferdinando, 96, 164,248,316Improta, Umberto, 296, 458 Infelisi, Luciano, 275 Ingrao, Pietro, 184, 433Intini, Ugo, 87, 399 Iosa, Antonino, 397, 486Jannuzzi, Lino, 22Jordan, nome di battaglia di Carlo Fumagalli, 133 Jozzino, Raffaele, 270Kennedy, John Fitzgerald, 4, 19 King, Martin Luther, 388 Kissinger, Henry, 282Krusce *' '-;ta Sergeevic, 19

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Labate, Bruno, 86, 88Labruna, Antonio, 58, 65, 67-69, 139-153 Lama, Luciano, 236, 249-257, 275,296 La Malfa, Ugo, 156, 273, 275, 276,301,346 Lanaro, Silvio, 8 Landolfi, Antonio, 312 Laronga, Bruno, 366, 373, 375,500 Latini, Sergio, 180 Laus, Daniele, 397

La notte della Repubblica 527Lazagna, Giambattista, 99, 199, 200Lenci, Sergio, 203, 368, 489Lenin, Vladimir Il'ic Ul'janov 95,103, 110, 118,252 Leonardi, Ileana, 279, 485-487 Leonardi, Oreste, 270, 278,279, 282,473, 485 Leone, Giovanni, 32, 34, 82, 160, 161,182, 185, 212, 310, 312, 346, 356 Leoni, Giuseppe, 77 Letta, Gianni, 402, 411-416 Levati, Enrico, 199, 200 Levi Sandri, Lionello, 423 Levi, Virgilio, 300Ligas, Natalia, 349 Liggio, Luciano, 144 Lo Bianco, Francesco, 458, 463 Locusta,Maurizio, 461, 463 Lo Grano, Savino, 52 Loi, Vittorio, 136, 137 Lojacono,Alvaro, 351 Lombardi, Antonio, 85 Lombardini, Andrea, 235, 260 Lo Muscio,Antonio, 207 Lorenzon, Guido, 56, 57 Lo Russo, Agostino, 236 Lo Russo,Francesco, 236-238 Lo Russo, Giovanni, 237 Lorusso, Giuseppe, 375Macaluso, Emanuele, 79 Macchi, monsignor Pasquale, 273, 357 Macchiarmi, Idalgo,82, 108, 156 Maggioni, Vincenzo, falsa identità diGiangiacomo Feltrinelli, 82 Magnaghi, Alberto, 247 Magri, Lucio, 73, 249, 276Maier, Sepp, 124 Maietta, Francesco, 461 Malagoli, Silvio, 81 Malatesta, Errico,62 Maletti, Gian Adelio, 65, 69, 141, 142,145, 146 Mambro, Francesca, 11, 417, 426-431,435-450Mana, Bartolomeo, 368 Manconi, Luigi, 8 Mangiameli, Ciccio, 445 Mantakas, Mikis,207

528 Sergio lavaliMantovani, Nadia, 210, 345Manzari, Giuseppe, 310Mao Tse-tung, 29, 73, 103Marano, Mario, 397Maraschi, Massimo, 209Marchetti, Victor, 23Marcuse, Herbert, 29Marianetti, Agostino, 296Mariano, Luigi, 164Marino, Antonio, 136, 137Marino, Leonardo, 85Maritano, Felice, 200Marrazzo, Giuseppe, 271Martini, cardinale Carlo Maria, 500,501Marx, Karl Heinrich, 43, 72, 115, 252 Masi, Giorgiana, 239 Massa, MariaGiovanna, 457 Massagrande, Elio, 149, 165 Mattarella, Piersanti, 344, 431, 446Matici, Enrico, 15 Mattei, Stefano, 207 Mattei, Virgilio, 207 Mazza, Libero, 49,50, 74, 84 Mazzi, don Enzo, 42 Mazzini, Giuseppe, 243 Mazzola, Giuseppe, 102McLuhan, Marshall, 406, 411, 412 Mea, Antonio, 391Melioli, Giovanni, 426, 427Mentasti, Piero, 126Merlino, Mario, 23, 54, 59, 60, 65, 66, 69Merola, Domenico, 305, 306Merzagora, Cesare, 20Mesina, Graziano, 72Micaletto, Rocco, 277, 395Miceli, Vito, 58, 131, 151Milani, don Lorenzo, 474Mincuzzi, Michele, dirigente Alfa Romeo, 86Mincuzzi, Michele, monsignore, 281

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Minervinì, Girolamo, 166Mingarelli, Dino, 195Minna, Rosario, 184Missi, Giuseppe, 433, 434Moccia, Giuseppe, 204Montanelli, Indro, 49, 79, 145, 241, 406,481,483Morandini, Paolo, 261,397

Moreno Gianfranco 282 Moretti, dottore, 237 Moretti Lorenza, 9 Moretti, MarcelleMassimo, 210 Moretti, Mario, 11, 74, 76, 91, 103, 114-123, 155, 199, 200, 209,210, 223-228, 231, 277, 292, 304, 311, 314, 317-332, 337, 338, 351, 356,357,451,452,488,490-502 Moro, Aldo, 10, 12, 18-20, 32, 42, 76, 78, 87, 93, 100,110, 157, 203, 205, 211-213, 228, 248, 269-274, 277, 279-289, 291-309, 311-317, 319-333, 335-347, 350, 351, 354-358, 361, 364, 370, 384, 389, 390, 392,393, 400, 404, 424, 460, 463, 465, 473, 485Moro, Annamaria, 281, 314 Moro, Eleonora, 278, 297, 299, 301, 304, 305, 309,311, 314, 318, 354, 357, 358, 403, 404 Moro, Giovanni, 281, 314 Morucci,Valerio, 231, 269, 304, 312,314,347,351,460 Mughini, Giampiero, 37-46, 84 Murelli, Maurizio, 136, 137Mussolini, Benito, 6, 125 Musumeci, Pietro, 418, 425, 427Napoleone I, Bonaparte, 147Natoli, Aldo, 73, 249-257Natta, Alessandro, 275 *Negri, Toni, 31, 74, 119, 221-22$, 234, 235, 238, 246-248, 254, 25$-268Nenni, Pietro, 18, 19, 21, 33Niccolai, Giancarlo, 487Nicolai, falsa identità di Mario Moretti, 315Noce, Alfonso, 137Novelli, Diego, 88Occorsio, Eugenio, 163, 485, 487 Occorsio, Vittorio, 54, 68, 162-165,445, 485 Ognibene, Roberto, 76, 86, 93, 94,156,200,211 Oliami, Piero, 391

Opocher, Guido, 34, 35 Orlandini, Remo, 143, 144 Ortolani, Amedeo, 164 Osvaldo,nome di battaglia di Giangia-como Feltrinelli, 83Pace, Lanfranco, 312Padovani, Vittorio, 231Pajetta, Giancarlo, 275Palladino, Carmine, 458Palma, Riccardo, 166, 203Palminteri, Cesare, 57Palombarini, Giovanni, 246Fancelli, Remo, 463Pancino, Gianfranco, 260Panciroli, Romeo, monsignore, 309Panizzari, Giorgio, 204Pannella, Giacinto "Marco", 239, 246, 267, 403, 404Pansa, Giampaolo, 77, 80Panzieri, Raniero, 234Paolella, Alfredo, 203Paoletti, Paolo, 368, 376, 377Paolillo, Ugo, 50Paolo VI, papa Giovanni Battista Montini, 53, 54, 273, 302, 317, 329,333, 346, 357 Papa, Angiolino, 180 Papa, Raffaele, 180 Parisi, Vincenzo, 189Parlato, Giuseppe, 282 Parlato, Valentino, 87 Farri, Ferruccio, 126 Pascalino,Pietro, 351 Pasini-Gatti, Enrico, 261 Pasolini, Pier Paolo, 30 Passero, Luigi,480, 481 Pasternak, Boris, 72 Pastore, Giulio, 15 Pazienza, Francesco, 427Pecchioli, Ugo, 311Peci, Patrizio, 89, 103, 110-123, 241, 242, 389, 395, 396, 402, 405, 409-411,451, 454, 457, 463-474 Peci, Roberto, 396, 402, 408, 409,454, 457, 461 Pecorelli, Carmine "Mino", 134, 431,433 Pelli, Fabrizio, 89, 94

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529La notte della RepubblicaPelosi, Walter, 425Peron, Juan Domingo, 359Pettini, Sandro, 212, 284, 346, 394, 420, 426, 452Picciafuoco, Sergio, 426, 427Piccioni, Francesco, 463Piccoli, Flaminio, 297, 310, 401Pietrostefani, Giorgio, 85Pifano, Daniele, 235Pinelli, Claudia, 63Pinelli, Giuseppe, 50-52, 54, 62, 63,84Pinelli, Licia, 51, 52 Pinelli, Silvia, 63 Pinochet, Augusto, 138 Pintor, Luigi,73, 249 Piperno, Franco, 31, 74, 234, 248,254, 312Pirozzi, Giulio, 433, 434 Pisetta, Marco, 85, 86, 93, 94, 277 Poi Fot, 221Poletti, monsignor Ugo, 392 Pollice, Guido, 308 Pomarici, Fernando, 85 Pozzan,Marco, 34, 57, 139-141 Preti, Luigi, 309Primo de Rivera, José Antonio, 184 Prodi, Romano, 305 Prosperi, Ottorino, 210Puddu, Maurizio, 243, 480 Pugliese, Giuseppe, 165Radice, dottore, 377 Raho, Roberto, 426, 427 Ramelli, Sergio, 42, 138, 207 Rana,Nicola, 281, 282 Ranke, Leopold von, 5 Rauti, Pino, 24, 55 Reagan, Ronald, 460Reale, Oronzo, 19, 205, 296 Ricci, Domenico, 270, 279 Ricciardi, Teresa, 33Rimbaud, Jean-Arthur, 255 Rinani, Roberto, 426, 427 Rivera, Gianni, 124Robbiani, Eros, 397 Rocca, Arturo, 186 Rocca, Umberto, 209 Rocco, Emanuele, 211

530

Sergio Zavoli

La notte della Repubblica

531

Rognoni, Virginio, 316Rolandi, Cornelio, 54Romita, Pier Luigi, 275, 276Ronconi, Susanna, 366, 386, 387Rosati, Elio, 303Rosi, Paolo, 15Rosone, Roberto, 432Rossa, Guido, 107, 219, 220, 254,389, 390Rossanda, Rossana, 73, 78, 79, 249 Rossellini, Renzo, 280 Rossi, Emilio, 241,406, 415 Rossi, Mario, 80, 81, 154, 156, 157,171Rossi, Paolo, 25 Rosso, Roberto, 9, 10, 366, 369, 377-388, 405, 410, 411, 488, 499-502 Rostagno, Mauro, 31, 74 Ruffilli, Roberto, 122,344, 461, 472 Rumor, Mariano, 33, 34, 49, 137,169,212 Russo, Silveria, 369, 373-388, 488,500-502Saccucci, Sandro, 129, 130Salazar, Antonio de Oliveira, 25, 66Salerno, Franca, 206, 207Salvini, Lino, 421Sandalo, Roberto, 366, 385, 386Sandrucci, Renzo, 454, 456Sandulli, Aldo, 423Santi, Ferdinando, 15

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Santiapichi, Severino, 241, 242, 247,278, 279, 301, 305, 306, 309, 331,347-350, 391Santillo, Emilio, 182, 280 Santoro, Rocco, 392 Santovito, Giuseppe, 418, 425Saponara, Giuseppe, 159 Saragat, Giuseppe, 15, 18, 22, 32, 34 Saronio, Carlo,247, 260, 261 Sartre, Jean Paul, 237 Savasta, Antonio, 277, 312, 316, 391,392, 458, 459Scalfari, Eugenio, 22, 481, 484 Scalzone, Oreste, 31, 40, 74, 234, 247Scardocchia, Gaetano, 482, 484 Sceiba, Mario, 17 Schlesinger, Arthur jr., 4

Sciascia, Leonardo, 307, 403, 431 Secci, Torquato, 361, 419, 420, 480 Seghetti,Bruno, 351, 463 Segio, Sergio, 366, 369-388, 488, 496-502Segni, Antonio, 20, 22, 32 Semerari, Aldo, 427 Semeria, Giorgio, 76, 85,98, 200,208,210,227 Senzani, Giovanni, 90, 223-225, 396,402, 408, 451, 452, 454, 457, 461,463Sgro, Francesco, 185 Shirer, William, 4 Sibilla, Giuseppe, 33 Sica, Domenico,446 Signorelli, Paolo, 162, 165, 426-428 Signorile, Claudio, 312 Sigona, Angelo,33 Sindona, Michele, 422, 423 Sofia, Pietro, 204 Sofri, Adriano, 31, 74, 85, 230Sogno, Edgardo, 126 Soldati, Giorgio, 457 Sossi, Mario, 76, 82, 88, 92, 93, 96,116, 154-161, 166-176, 200, 204,262, 286, 297, 338 Spadaccia, Gianfranco, 308, 404 Spadolini, Giovanni, 403,425, 453 Sparti, Massimo, 438, 439 Spiazzi, Amos, 133, 139, 145, 147-153Stajano, Corrado, 47-49, 368 Stalin, losif Vissarionovic Dzugasvilj,78Steccanella, Alberto, 56 Stefanov, Alessandro, 180 Stille, Ugo, 483, 484 Stiz,Giancarlo, 55 Storti, Bruno, 37 Straullo, Francesco, 428Tagliari, Renato, 134 Taliercio, Giuseppe, 454, 456 Tambroni, Fernando, 17, 18Tamburino, Giovanni, 133, 367 Tanassi, Mario, 212 Tarantelli, Carol Beebe, 486,487 Tarantelli, Ezio, 461, 486 Tartaglione, Girolamo, 166, 203, 307

Tatuili, Michele, 392Taviani, Paolo Emilio, 157, 160, 169,172, 182Tedeschi, Nadir, 397 Terracini, Umberto, 307 Tilgher, Adriano, 162, 427 Tito,Josip Broz, 152 Tobagi, Stella, 403, 404 Tobagi, Walter, 218, 261, 345, 397-399, 406, 473 Togliatti, Palmiro, 20, 22, 78, 79, 252,481Tognoli, Carlo, 398 Torres, Camilo, 72, 98 Torri, Rachele, 54 Tortora, Enzo, 43Tranfaglia, Nicola, 8, 483, 484 Trapani, Enfiarmela, 165 Traversi, Valerio, 202Tremelloni, Roberto, 22 Trentin, Bruno, 22, 36, 128 Tritio, Francesco, 281, 315Tucidide, 3 Tuli, Mario, 180, 186, 187, 203,458 Tuttobene, Emanuele, 392Vaccher, William, 9, 10, 368, 387Valente, Leonardo, 5Valiani, Leo, 400Vallanzasca, Renato, 165, 227, 433Vallarino Gancia, Vittorio, 208Valletta, Vittorio, 15Valpreda, Pietro, 54, 56, 59-64, 82Valpreda, Tupa Libero Emiliano, 63Varalli, Claudio, 139, 208Varisco, Antonio, 391Vassalli, Giuliano, 203, 306, 310

Ventura, Angelo, 235, 254, 257 Ventura, Giovanni, 34, 35, 55-57, 60,68, 140, 142 Ventura, maggiore, 145 Vesce, Emilio, 31, 247, 249, 251-257 Vespa,Bruno, 273 Viale, Guido, 31, 74 Vianale, Maria Pia, 206, 207 Viel, Augusto, 80,81 Viezzer, Antonio, 146 Vigna, Pierluigi, 96, 434 Vinciguerra, Vincenzo, 135,136, 144,

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145, 188, 190-198 Viola, Guido, 83, 86 Virno, Paolo, 247 Vitalone, Claudio, 130Viviani, Ambrogio, 136Waldheim, Kurt, 309, 310Zaccagnini, Benigno, 212, 275, 281, 287, 297-299, 303, 311, 313, 331, 340-344,358Zamberletti, Giuseppe, 455Zan, Claudia, 366, 369, 385-388Zanda-Loy, Efisio, 169Zanella, Marco, falsa identità di Marco Pozzan, 141Zangheri, Renato, 237, 426Zanone, Valerio, 276, 308Zdanov, Andrej Aleksandrovic, 78Zevi, Tullia, 8Zibecchi, Giovanni, 139, 208Zicchitella, Martino, 204Zincone, Giuliano, 402, 411-416Zuffada, Pierluigi, 103, 117-123, 488, 493-502

"La notte dilla Repubblica" di Sergio ZonaliNatila Eri /Arnaldo Mondadorì Editore S.p.A., Mito"Questo volume i stato impressonel mese di marzo dell'anno 1992presso lo Stabilimento Nuova Stampa di Mondadori - Clts (TN)Stampato in Italia - Printed in Italy

S.Zawli Lfl NOTTE DELLfl REPUBBL ICft 3a Ed. fuori co li AI*7382