rilevanza clinica del test genetico nella cardiomiopatia ipertrofica · 2018-11-29 · rilevanza...

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Rilevanza clinica del test genetico nella cardiomiopatia ipertrofica Francesca Girolami 1 , Sara Bardi 1 , Laura Berti 1 , Franco Cecchi 2 , Eleonora Servettini 2 , Benedetta Tomberli 2 , Francesca Torricelli 1 , Iacopo Olivotto 2 1 SOD Diagnostica Genetica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze; 2 Centro di Riferimento per le Cardiomiopatie. Pervenuto il 15 luglio 2011. Riassunto. Sono trascorsi più di 20 anni dalla scoperta del primo gene sarcomerico associato all’insorgenza della Car- diomiopatia Ipertrofica (CMI). Durante tale periodo lo svi- lupparsi di moderne tecnologie per il sequenziamento del genoma umano, unitamente alla crescita delle conoscenze sulla genetica, hanno reso disponibile un test genetico spe- cifico per la CMI effettuabile a scopo diagnostico e diffuso in molti paesi. Nel frattempo per l’intensificarsi dello scam- bio reciproco di conoscenze tra cardiologi e genetisti, è emersa la necessità di discutere sulla vera utilità clinica del test genetico. La prescrizione del test ha incontrato spesso difficoltà da parte del cardiologo perché ritenuto di scarsa utilità nella pratica clinica anche a fronte del costo elevato. In realtà tale resistenza è in contrasto con una serie di evi- denze che supportano la necessità del test genetico nella gestione del paziente con CMI. Tali ragioni sono passate in rassegna nel presente lavoro e spaziano dall’importanza dell’identificazione dei genotipi complessi perché progno- stici di un decorso più sfavorevole della malattia, alla possi- bilità di effettuare diagnosi nei casi dubbi mediante l’iden- tificazione della mutazione, fino a porre diagnosi differen- ziale con le forme non sarcomeriche. In ultimo, ma non per importanza, vale la pena sottolineare che il test genetico permette di stabilire la natura ereditaria della malattia, ren- dendo possibile la diagnosi talvolta presintomatica nei fa- miliari del probando. Parole chiave. Cardiomiopatia ipertrofica, consulenza ge- netica, mutazioni sarcomeriche, test genetico. Clinical relevance of genetic testing in hypertrophic cardiomy- opathy. Summary. More than two decades have elapsed since the discovery that sarcomere gene defects cause familial hy- pertrophic cardiomyopathy (HCM). Since then, genetic test- ing in HCM has developed and expanded, and is now wide- ly available as a potential clinical service in the Western countries. In the meantime, however, the cross-talk between geneticists and clinicians has developed slowly, and still re- mains unstandardized, with modalities of interaction and degree of mutual comprehension that vary wildly in various settings. In addition, clinicians often question the clinical utility of genetic testing in HCM patients and their families. The apparent lack of practical benefit, in the face of consid- erable costs, has long hindered large-scale diffusion of ge- netic testing, particularly in developing countries, and still accounts for understandable (but not always justifiable) re- sistance on the part of the physicians. However, such resist- ance is in contrast with considerable evidence supporting a role for molecular diagnosis in tailoring management for HCM patients. We here review several sound clinical reasons in favour of systematic genetic testing in HCM, ranging from identification of complex genotypes, heralding severe dis- ease expression and outcome, to the added benefit of mul- tidisciplinary genetic teamwork, enhancing awareness to- wards inheritable diseases in the cardiology community. We hope to show that to underestimate the clinical potential of genetic testing in HCM, and to defer its implementation un- til more advanced knowledge becomes available, is to lose an important opportunity for present improvement in care. Key words. Genetic counselling, genetic test, hypertrophic cardiomyopathy, sarcomeric mutation. durre tale ipertrofia (figura 1). Nel 1869 Liouville e Hallopeau descrissero per la prima volta quadri di ipertrofia asimmetrica del setto interventricola- re, ma solo negli anni ’50 la CMI venne descritta come entità clinica a sé stante, denominata “ostru- zione funzionale del ventricolo sinistro” e “ipertro- fia settale asimmetrica” grazie alle osservazioni pubblicate dal patologo Teare. Nel 1957, in segui- to ad esami autoptici effettuati su nove pazienti (di cui otto morti di morte improvvisa), Teare indivi- duò una spiccata ipertrofia del muscolo cardiaco, e Introduzione La Cardiomiopatia Ipertrofica (CMI) è la più frequente malattia genetica del muscolo cardiaco, con una prevalenza di 1:500 nella popolazione ge- nerale, pari a oltre 100.000 pazienti stimati in Ita- lia. La patologia è caratterizzata da espressione morfologica e decorso clinico eterogenei 1 , e si iden- tifica per la presenza di ipertrofia ventricolare si- nistra, generalmente asimmetrica, in assenza di malattie cardiache o sistemiche in grado di pro- Rassegna Recenti Prog Med 2011; 102: …-… 1

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Page 1: Rilevanza clinica del test genetico nella cardiomiopatia ipertrofica · 2018-11-29 · Rilevanza clinica del test genetico nella cardiomiopatia ipertrofica Francesca Girolami1, Sara

Rilevanza clinica del test genetico nella cardiomiopatia ipertrofica

Francesca Girolami1, Sara Bardi1, Laura Berti1, Franco Cecchi2, Eleonora Servettini2, Benedetta Tomberli2,Francesca Torricelli1, Iacopo Olivotto2

1SOD Diagnostica Genetica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze; 2Centro di Riferimento per le Cardiomiopatie.Pervenuto il 15 luglio 2011.

Riassunto. Sono trascorsi più di 20 anni dalla scoperta delprimo gene sarcomerico associato all’insorgenza della Car-diomiopatia Ipertrofica (CMI). Durante tale periodo lo svi-lupparsi di moderne tecnologie per il sequenziamento delgenoma umano, unitamente alla crescita delle conoscenzesulla genetica, hanno reso disponibile un test genetico spe-cifico per la CMI effettuabile a scopo diagnostico e diffusoin molti paesi. Nel frattempo per l’intensificarsi dello scam-bio reciproco di conoscenze tra cardiologi e genetisti, èemersa la necessità di discutere sulla vera utilità clinica deltest genetico. La prescrizione del test ha incontrato spessodifficoltà da parte del cardiologo perché ritenuto di scarsautilità nella pratica clinica anche a fronte del costo elevato.In realtà tale resistenza è in contrasto con una serie di evi-denze che supportano la necessità del test genetico nellagestione del paziente con CMI. Tali ragioni sono passate inrassegna nel presente lavoro e spaziano dall’importanzadell’identificazione dei genotipi complessi perché progno-stici di un decorso più sfavorevole della malattia, alla possi-bilità di effettuare diagnosi nei casi dubbi mediante l’iden-tificazione della mutazione, fino a porre diagnosi differen-ziale con le forme non sarcomeriche. In ultimo, ma non perimportanza, vale la pena sottolineare che il test geneticopermette di stabilire la natura ereditaria della malattia, ren-dendo possibile la diagnosi talvolta presintomatica nei fa-miliari del probando.

Parole chiave. Cardiomiopatia ipertrofica, consulenza ge-netica, mutazioni sarcomeriche, test genetico.

Clinical relevance of genetic testing in hypertrophic cardiomy-opathy.

Summary.More than two decades have elapsed since thediscovery that sarcomere gene defects cause familial hy-pertrophic cardiomyopathy (HCM). Since then, genetic test-ing in HCM has developed and expanded, and is now wide-ly available as a potential clinical service in the Westerncountries. In the meantime, however, the cross-talk betweengeneticists and clinicians has developed slowly, and still re-mains unstandardized, with modalities of interaction anddegree of mutual comprehension that vary wildly in varioussettings. In addition, clinicians often question the clinicalutility of genetic testing in HCM patients and their families.The apparent lack of practical benefit, in the face of consid-erable costs, has long hindered large-scale diffusion of ge-netic testing, particularly in developing countries, and stillaccounts for understandable (but not always justifiable) re-sistance on the part of the physicians. However, such resist-ance is in contrast with considerable evidence supporting arole for molecular diagnosis in tailoring management forHCM patients. We here review several sound clinical reasonsin favour of systematic genetic testing in HCM, ranging fromidentification of complex genotypes, heralding severe dis-ease expression and outcome, to the added benefit of mul-tidisciplinary genetic teamwork, enhancing awareness to-wards inheritable diseases in the cardiology community. Wehope to show that to underestimate the clinical potential ofgenetic testing in HCM, and to defer its implementation un-til more advanced knowledge becomes available, is to losean important opportunity for present improvement in care.

Key words.Genetic counselling, genetic test, hypertrophiccardiomyopathy, sarcomeric mutation.

durre tale ipertrofia (figura 1). Nel 1869 Liouvillee Hallopeau descrissero per la prima volta quadridi ipertrofia asimmetrica del setto interventricola-re, ma solo negli anni ’50 la CMI venne descrittacome entità clinica a sé stante, denominata “ostru-zione funzionale del ventricolo sinistro” e “ipertro-fia settale asimmetrica” grazie alle osservazionipubblicate dal patologo Teare. Nel 1957, in segui-to ad esami autoptici effettuati su nove pazienti (dicui otto morti di morte improvvisa), Teare indivi-duò una spiccata ipertrofia del muscolo cardiaco, e

Introduzione

La Cardiomiopatia Ipertrofica (CMI) è la piùfrequente malattia genetica del muscolo cardiaco,con una prevalenza di 1:500 nella popolazione ge-nerale, pari a oltre 100.000 pazienti stimati in Ita-lia. La patologia è caratterizzata da espressionemorfologica e decorso clinico eterogenei1, e si iden-tifica per la presenza di ipertrofia ventricolare si-nistra, generalmente asimmetrica, in assenza dimalattie cardiache o sistemiche in grado di pro-

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ne intuì la natura familiare2. Poco dopo, nel 1959,venne effettuata per la prima volta una diagnosidi CMI in vivo, presso il Clinical Center of Natio-nal Institutes of Health, negli USA3. Negli anni’70, l’introduzione della metodica ecocardiograficae i suoi continui progressi hanno consentito di ca-ratterizzare con precisione il grado e la sede del-l’ipertrofia, di visualizzare in tempo reale il con-tatto sistolico del lembo anteriore della mitrale(SAM) con il setto interventricolare, e di misurarei gradienti sistolici intraventricolari e i flussi in-tracavitari4-7. L’ecocardiografia ha inoltre permes-so di osservare l’evoluzione nel tempo dei pazienticon CMI, portando alla luce i diversi profili evolu-tivi della malattia8,9, e di eseguire screening fami-liari su ampia scala. Recenti contributi nella dia-gnosi di CMI sono stati portati dall’introduzionedella RMN cardiaca che permette una migliore de-finizione anatomica rispetto all’ecocardiografia, masoprattutto la valutazione della presenza ed esten-sione della fibrosi intramiocardica10.

Le manifestazioni morfofunzionali e clinichedella malattia sono molto eterogenee. I pazienticon CMI possono rimanere asintomatici per tuttala vita; nella maggioranza dei casi, tuttavia, sonopresenti sintomi che possono comparire a qualsia-si età e che comprendono la dispnea, l’astenia, ildolore toracico tipico o atipico per angina pectoris,le palpitazioni e la sincope. Il quadro sintomatolo-gico è in genere di entità lieve o moderata, e risul-ta compatibile con uno stile di vita normale: nei

bambini e negli adolescentila malattia viene spesso ri-conosciuta solo nel corso distudi di screening familiari.In circa un terzo dei pazien-ti, tuttavia, la CMI progre-disce verso lo scompensocronico, che può divenire re-frattario, fino ad una faseipocinetico-dilatativa defini-ta “end-stage”. Sfortunata-mente, predire il corso clini-co e l’esito della malattianei singoli pazienti con CMIsi è rivelato molto difficile.Le prime grandi casistichedi pazienti con CMI, raccol-te presso i Centri di riferi-mento internazionali neglianni ’70, presentavano laCMI come una condizionead alto rischio, soprattuttonei giovani, con una morta-lità annuale riportata del 3-6%11,12. Studi più recenti, inpopolazioni con minor gradodi selezione, hanno mostra-to che la CMI presenta inrealtà un decorso relativa-mente stabile, una prognosicomplessivamente benignaed una mortalità globale as-

sai minore di quanto precedentemente riportato(intorno all’1% all’anno)1,13,14. La complicanza piùtemibile della CMI, la morte improvvisa aritmica,si osserva in una minoranza di pazienti; purtroppo,l’identificazione dei soggetti a rischio resta moltodifficile, in assenza di marker specifici per la pre-venzione primaria.

La CMI come malattia del sarcomero

La scoperta delle basi genetiche della CMI èscaturita da un’estesa collaborazione tra clinici, ge-netisti, ricercatori e famiglie di pazienti. La natu-ra familiare della malattia era nota fin dagli anni’50; tuttavia l’identificazione della prima mutazio-ne genetica associata a CMI, nel gene codificantela catena pesante della β-miosina (MYH7), risaleal 1987, in seguito a studi di linkage su famiglieestremamente ampie15. Oggi la CMI è universal-mente conosciuta come una malattia autosomicadominante del sarcomero, causata da varianti inalmeno 13 geni codificanti proteine dell’apparatocontrattile del cardiomiocita. (figura 2 e tabella 1).Tra i geni sarcomerici, 8 sono quelli comunementeanalizzati a scopo diagnostico: il gene della protei-na C legante la miosina, la cui sigla internaziona-le è MYBPC3; il gene della catena pesante della β-miosina, o MYH7; il gene della catena essenzialeleggera 1 della miosina, o MYL3; il gene della ca-tena regolatrice leggera 2 della miosina, o MYL2;

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Figura 1. Paziente di 32 anni affetta da Cardiomiopatia Ipertrofica con ipertrofia di grado marcatoprevalente a livello medio-apicale. Immagini di risonanza magnetica nucleare ottenute con se-quenze cine in telediastole (A,B,C) ed in telesistole (D,E,F). A,D: Le immagini in 4 camere mostranol’importante ispessimento del setto interventricolare e della parete anteriore medio-apicale, e di-latazione biatriale. B,E Sezione coronale asse corto a livello medio-ventricolare: è evidente l’oblite-razione sistolica di cavità a questo livello. C,D Immagini ottenute rispettivamente in 4 camere ed as-se corto, dopo somministrazione di mezzo di contrasto: sono evidenti le aree di impregnazione tar-diva del setto interventricolare (frecce), espressione di fibrosi intramiocardica. AD atrio destro; ASatrio sinistro; SIV setto interventricolare; VD ventricolo destro; VS ventricolo sinistro

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il gene della troponina T cardiaca, o TNNT2; il ge-ne della troponina I, o TNNI3; il gene dell’�-actina,o ACTC; ed il gene dell’�-tropomiosina, o TPM1.Una mutazione in questi geni viene identificata incirca i due terzi dei pazienti sottoposti a screeninggenetico. I difetti di MYH7 e MYBPC3 sono i piùfrequenti, caratterizzando circa il 50% delle dia-gnosi genetiche; gli altri 6 geni coprono una per-

centuale che va da un 3% ad un 15% del totale a se-conda dei centri16. Inoltre, dal 3% al 6% dei sog-getti con CMI presenta un genotipo complesso, ca-ratterizzato cioè da più mutazioni coesistenti, sianello stesso gene (eterozigote composto) che in ge-ni diversi (eterozigote doppio); nell’1% dei pazien-ti sono addirittura descritte triple mutazioni17.

Al contrario di altre malattie genetiche quali laFibrosi Cistica o l’Emofilia, in cui le mutazioni ge-netiche sono ricorrenti, la CMI è caratterizzata daestrema variabilità nelle mutazioni riscontrate.Nei geni sarcomerici sono state infatti descritte ol-tre 1000 varianti diverse, la maggior parte dellequali identificate in una sola famiglia e perciò de-finite “private” Eccezionalmente sono descrittemutazioni con “effetto founder” e perciò tipiche diuna precisa area geografica18,19. Le varianti iden-tificate, soprattutto nel gene MYH7, sono di tipomissense, ossia caratterizzate dalla sostituzione diuna singola base di DNA che dà luogo a sua voltaalla sostituzione di un singolo aminoacido nellastruttura proteica. Nel gene MYBPC3, invece, cir-ca la metà delle varianti sono di tipo frameshift,dette anche mutazioni da scivolamento. Queste so-no causate dall’aggiunta (inserzione) o l’elimina-

F. Girolami et al.: Rilevanza clinica del test genetico nella cardiomiopatia ipertrofica 3

Figura 2. Il Sarcomero Cardiaco. (Immagine modificata da Wat-kins, 2003).

Tabella 1. Geni coinvolti nella Cardiomiopatia Ipertrofica.

Gene Simbolo Locus Prevalenza (%)

Proteine sarcomeriche

Catena pesante della β-miosina MYH7 14q11.2-q12 25-30

Proteina C legante la miosina MYBPC3 11p11.2 25-30

Troponina T TNNT2 1q32 5

Troponina I TNNI3 19p13.4 ~5

α-tropomiosina TPM1 15q22.1 <5

Catena leggera della Miosina

Essenziale MYL3 3p21.2-p21.3 <1

Regolatrice MYL2 12q23-q24.3 <1

Catena pesante dell’α-miosina MYH6 14q11.2-q12 rara

Troponina C TNNC 15q14 rara

Actina ACTC 3p21 rara

Altre proteine

Proteina LIM CSRP3 10q22.2-q23.3 <2

α-actina 2 ACTN2 1q42-q43 rara

Titina TTN 2q13-33 rara

Fosfolambano PLN 6q22.1 rara

Caveolina-3 CAV3 3p25 rara

Teletonina TCAP 17q12-q21.1 rara

Giuntofilina JPH2 20q12 rara

LIM binding domain 3 (ZASP) LBD3 10q22.2-q23.3 rara

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zione (delezione) di uno o pochi nucleotidi che, nelcaso i nucleotidi modificati siano in numero nonmultiplo di tre, alterano tutta la struttura dellaproteina a valle (in inglese: frame). Molto frequen-temente tale meccanismo porta ad un arresto del-la sintesi proteica e conseguentemente alla produ-zione di una proteina tronca. Per le forme di CMIassociate a mutazioni frameshift di MYBPC3, èstato ipotizzato un meccanismo patogenetico diaploinsufficienza, per cui l’allele non mutato (wild-type) non riesce a compensare la carenza di pro-teina determinata da quello mutato. Per le muta-zioni missense la maggior parte dei modelli tran-sgenici indica che la CMI deriva da effetti di do-minanza negativa (cioè da un effetto “tossico” del-la proteina mutata), più che da aploinsufficienza1.Ad oggi, tuttavia, la patogenesi della CMI a parti-re dalla mutazione sarcomerica resta largamenteignota, e verosimilmente sono coinvolti più mecca-nismi, come suggerito dalla marcata eterogeneitàdi espressione interindividuale della malattia20.

Nell’ambito delle casistiche cliniche con CMI, èstata inoltre accertata in tempi recenti la presen-za delle cosiddette “fenocopie”, cioè di patologie conespressione morfologica molto simile o indistin-guibile dalla CMI sarcomerica, ma causate da mec-canismi molecolari molto diversi e associate a si-gnificative differenze sul piano prognostico e tera-peutico. Sono state ad esempio identificate cardio-miopatie a fenotipo ipertrofico associate a muta-zioni nei geni del metabolismo energetico e dellaproduzione di ATP. Rientrano in questo gruppo lecardiomiopatie secondarie a deficit della catena re-spiratoria mitocondriale (CMM), le cardiomiopatieda alterazioni del metabolismo lipidico e un grup-po geneticamente eterogeneo rappresentato dallecardiomiopatie da accumulo. Tra queste ultime tro-viamo due malattia X-linked quali la sindrome diAnderson Fabry (da difetto del gene per l’alfa-ga-lattosidasi A), in cui le manifestazioni cardiologi-che si associano spesso a un quadro clinico com-plesso con interessamento multiorgano, e la ma-lattia di Danon (da difetto del gene LAMP2)21,22 ca-ratterizzata da aumento estremo della massa car-diaca in età pediatrica. Infine, una cardiomiopatiadi incerta classificazione è quella secondaria a mu-tazioni nella subunità catalitica �2 della proteinachinasi AMP-attivata (PRKAG2), in cui il fenotipoipertrofico si associa a frequente e precoce com-parsa di pre-eccitazione ventricolare23.

Ipotesi patogenetiche

L’incorporazione di proteine mutate nel sarco-mero porta alla compromissione del normale fun-zionamento delle proteine wild-type e questo è sta-to dimostrato essere la principale causa di svilup-po dell’ipertrofia nella CMI24. Inizialmente si pen-sava che la mutazioni dei geni che codificano pro-teine mutate portasse nel sarcomero una depres-sione della funzione contrattile, con conseguentedeplezione energetica del cardiomiocita determi-

nando così un’ipertrofia compensatoria25. Tuttaviastudi successivi hanno dimostrato che mutazioni acarico della miosina possono addirittura portare adun incremento dell’attività contrattile e ad un au-mento della sensibilità al Ca2+ delle proteine re-golatorie dei filamenti sottili26,27. Per questo, alcu-ni autori hanno ipotizzato che la CMI rappresentinon tanti il risultato di un deficit contrattile, quan-to della deplezione energetica del cardiomiocita, acausa di un inefficiente impiego dei depositi dienergia cellulare a causa della anomalia del sarco-mero. Ashrafian nel 2003 ha dimostrato che la pre-senza di proteine mutate nel sarcomero portavanoad un incremento della richiesta energetica causa-ta da un inefficiente utilizzo dell’ATP. Questa alte-razione comporta una ridotta capacità del cardio-miocita di mantenere i livelli energetici nel com-partimento responsabile della contrazione, e com-promette importanti funzioni omeostatiche come ilre-uptake del calcio intracellulare. Il conseguente,prolungato transiente di calcio, stimola i processitrascrizionali, attraverso l’attivazione di messag-geri cellulari (protein chinasi Calcio-calmodulina-dipendente; via delle MAP-chinasi; fattori di tra-scrizione): l’insieme di tutti questi segnali porte-rebbe allo sviluppo dell’ipertrofia, come meccani-smo di compenso.

Nuove ipotesi sullo sviluppo della CMI riguar-dano la possibilità che le mutazioni sarcomericheinterferiscano con lo sviluppo embriologico del cuo-re, in particolare con i meccanismi di migrazione edifferenziazione delle cellule pluripotenti che deri-vano dal pro-epicardio. Durante le fasi iniziali del-lo sviluppo embrionale, cellule pro-epicardiche mi-grano a costituire l’epicardio, e da qui migrano dif-fusamente all’interno del miocardio e si differen-ziano in varie linee cellulari, che danno luogo ai fi-broblasti interstiziali, alla muscolatura liscia va-scolare, alle cellule avventizie, alle valvole atrio-ventricolari. Le mutazioni del sarcomero, e l’alte-rata contrattilità del cuore primordiale all’epoca diquesta colonizzazione, potrebbero influenzarel’espressione genica delle cellule epicardiche, me-diante un meccanismo di meccano-trasduzione. In-fatti, al momento della migrazione di queste cellu-le dall’epicardio al miocardio, il cuore ha già ini-ziato a contrarsi e le mutazioni causa di CMI sonogià espresse28. Tale meccanismo potrebbe spiegarele molte espressioni fenotipiche della CMI che ri-guardano tessuti diversi dal miocardio, in cui lemutazioni non sono espresse: come ad esempio lealterazioni della valvola mitralica, il rimodella-mento del microcircolo e la fibrosi interstiziale.

Correlazioni genotipo-fenotipo

La CMI è caratterizzata da una grande etero-geneità genetica, fenotipica e clinica, con scarsacorrelazione tra i vari aspetti nel singolo individuo.Per tale motivo, una volta identificata la mutazio-ne causante CMI in un paziente, non è in generepossibile trarne informazioni prognostiche o im-

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plicazioni riguardo allo sviluppo di un fenotipo piùo meno marcato nei familiari. La stessa mutazionepuò determinare un ampio spettro di fenotipi per-fino nell’ambito della stessa famiglia, e suggeriscel’importanza di geni modificatori (varianti in cis oin trans, polimorfismi, varianti rare), fattori epi-genetici (grado di metilazione del DNA, di acetila-zione degli istoni, e modificazioni post trascrizio-nali), e fattori ambientali (età, attività sportiva, fu-mo, ecc.) nel determinare le manifestazioni morfo-logiche e cliniche della malattia. Sebbene labili,correlazioni genotipo-fenotipo sono state ricercateattivamente in passato, soprattutto nei primi annidopo la scoperta dei geni coinvolti nella CMI. Adesempio, in alcuni studi le mutazioni nel geneMYH7 venivano associate ad insorgenza precocedella malattia, elevata penetranza ed ipertrofia digrado marcato, mentre le mutazioni nel geneTNNT2 sembravano comportare una ipertrofia digrado modesto ma un alto rischio di morte im-provvisa, e mutazioni del gene MYBPC3 si corre-lavano ad insorgenza tardiva di malattia, pene-tranza incompleta e prognosi favorevole1. Inoltre,specifiche mutazioni, identificate nei geni MYH7 eTNNT2, fortunatamente rare, sono state correlatecon un alto rischio di morte improvvisa in giovaneetà e perciò definite “maligne”29. Tuttavia, tali as-sociazioni genotipo-fenotipo si basavano su piccolinumeri di pazienti, appartenenti a famiglie moltoampie, altamente selezionate per rischio aritmico.In realtà, studi successivi su grandi casistiche han-no spesso contraddetto tali assunti. Un esempioeclatante è quello delle mutazioni di TNNT2, chein alcuni centri venivano considerate di per sé unfattore di rischio maggiore per morte improvvisa,indipendentemente dal profilo clinico. L’esperienzadel nostro e di altri centri ha dimostrato che laCMI da TNNT2 può associarsi a profili estrema-mente diversi malattia che spaziano da forme lie-vi e asintomatiche fino a forme con ipertrofia mar-cata e sintomi invalidanti, con un rischio di morteimprovvisa non diverso dagli altri geni30.

Ruolo clinico del test genetico

Fino a poco tempo fa considerata un mero stru-mento di ricerca, la diagnostica genetica è oggi unmomento estremamente importante dell’inqua-dramento di pazienti con CMI e delle loro famiglie,e riveste un ruolo pratico che è ancora poco ap-prezzato dai cardiologici, anche per le limitate op-portunità di interazione con i genetisti in ambitocardiologico. Il contributo del test genetico si ri-flette su vari momenti dell’iter clinico dei pazienticon CMI.

CONFERMA DELLA DIAGNOSI NEI FENOTIPI DUBBI

Nell’ambito della CMI, sono frequenti i cosid-detti casi “grigi”, il grado di ipertrofia è talmentelieve da non consentire una diagnosi sicura, e i re-

stanti reperti strumentali (soprattutto l’ECG) sononella norma. Questa situazione è ricorrente adesempio nel caso degli atleti. In questi individui,l’identificazione di una mutazione in uno dei genisarcomerici consente di confermare diagnosi diCMI31. Tale possibilità ha consentito di svelare gliaspetti più lievi della malattia, e di caratterizzaremeglio lo spettro fenotipico, soprattutto in ambitodi screening familiare; tra le altre cose, questo fat-to ha permesso di validare le manifestazioni ancil-lari della malattia (dilatazione atriale sinistra,aspetti di non compattazione del VS, anomalie del-la mitrale) che vengono descritte frequentementecon le tecniche di imaging oggi disponibili.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Il test genetico può essere utile per distinguereuna CMI primitiva, cioè causata da mutazioni ingeni sarcomerici, dalle forme cosiddette pseudo-ipertrofiche (fenocopie). Particolarmente impor-tante è la possibilità di distinguere forme autoso-miche dominanti da forme X-linked e perciò la pos-sibilità di stabilire un preciso rischio di ricorrenzae di trasmissibilità familiare32.

IDENTIFICAZIONE DEI GENOTIPI COMPLESSIE RISCHIO DI PROGRESSIONE DI MALATTIA

La possibilità di identificare genotipi complessirappresenta un elemento prognostico importante.La presenza di due o più mutazioni in uno stessopaziente è solitamente associata ad insorgenzaprecoce della malattia, decorso sfavorevole e ri-schio aumentato di morte improvvisa o per scom-penso16. Questi dati sono importanti nell’identifi-cazione del paziente a rischio. In un recente lavo-ro del nostro gruppo17, si descrivono quattro fami-glie con CMI, in cui il soggetto indice presenta ungenotipo complesso con tre mutazioni in vari geni.Anche se la presenza di tre mutazioni si riscontriraramente (0,8%), essa rappresenta un rischio au-mentato di progressione verso la fase end-stage edi aritmie ventricolari, suggerendo un’associazio-ne tra genotipo complesso ed progressione di ma-lattia sfavorevole. Escludendo questi casi estremi,è comunque una regola generale il fatto che i grup-po di pazienti con test genetico positivo presenta-no un aumentato rischio di decorso sfavorevole del-la malattia, rispetto al gruppo dei pazienti negati-vi al test16.

RIVALUTAZIONE CRITICA DELLA DIAGNOSINEI PAZIENTI GENOTIPO-NEGATIVI

I pazienti negativi al test genetico rappresen-tano un gruppo composito, in cui la malattia è ve-rosimilmente causata da geni non ancora identifi-cati, oppure è ad eziologia non genetica1,16. Nellapratica clinica ciascun paziente con fenotipo CMI e

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ca è stata definita come “Processo di comunicazio-ne che concerne i problemi umani legati all’occor-renza o al rischio di ricorrenza di una patologia ge-netica in una famiglia”32. Durante la consulenzagenetica pre-test viene effettuata la raccolta delleinformazioni e dei quesiti posti dal consultando,viene costruito l’albero genealogico della famiglia,si effettua una prima valutazione del rischio di ri-correnza, si discute con l’interessato di ciò che èpossibile fare per poter meglio precisare l’entità delrischio, chiarendo il significato e i limiti del test ge-netico ed infine viene raccolto uno specifico con-senso informato.

La consulenza genetica ed il consenso informa-to sono parti integranti di un test genetico poichépermettono la discussione preliminare di tutte lepossibili implicazioni dei diversi risultati ottenutidal test, devono fornire gli strumenti per la com-prensione della malattia genetica e per questo im-plicano l’utilizzo di particolari procedure atte adaffrontare le problematiche psicologiche, etiche esociali insite nell’utilizzo dei test genetici32.

Segue una fase analitica durante la quale vieneeffettuata la ricerca di mutazioni nei geni implica-ti nella CMI mediante sequenziamento in auto-matico a partire da DNA estratto da un prelievo disangue periferico.

Nella fase post-analitica viene effettuata la ve-rifica dei risultati, la preparazione del referto e laconsulenza genetica post-test. La consegna del re-ferto al paziente viene effettuata dal cardiologo in-sieme al genetista, secondo un approccio multidi-sciplinare, e prevede in particolare la spiegazione

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test genetico è negativo deve essere rivalutato persottoporlo ulteriori esami. In particolare, è impor-tante escludere una CMI associata a malattie neu-romuscolari, o mutazione nei geni che possono pro-durre fenocopie. Soprattutto se il soggetto è un gio-vane, è fondamentale andare alla ricerca di mani-festazioni extra-cardiache quali dimorfismi faccia-li, deficit neurologico, coinvolgimento renale etc.Queste evidenze, che spesso sfuggono al cardiologo,invece possono essere estremamente utili perorientare la diagnosi nella giusta direzione. Unaconsulenza genetica clinica di II livello può per-mettere di distinguere le forme sindromiche asso-ciate a cardiomiopatia, come ad esempio le sindro-mi di Noonan e di Leopard, la malattia di Ander-son-Fabry, ecc.16,21,22,30. Perciò nei protocolli stan-dard per l’esecuzione del test genetico deve essereinclusa la consulenza pre test e post test eseguitain team multidisciplinare.

DIAGNOSI PRE-NATALE

In situazioni in cui la CMI familiare è associa-te da un’insorgenza in età giovane e con una for-ma particolarmente severa con più soggetti mortiimprovvisamente in giovane età, la diagnosi pre-natale potrebbe essere effettuata allo scopo di iden-tificare la presenza della mutazione nel feto33.

Tuttavia a causa delle incerte correlazioni ge-notipo-fenotipo, dovute alla variabile espressioneclinica, non si ha indicazione ad effettuare la dia-gnosi prenatale nel caso della CMI primitiva.

PROCEDURA SEGUITAPER EFFETTUARE IL TEST GENETICO

Il contatto del paziente(e del cardiologo) con la ge-netica va ben oltre il sem-plice test, e comporta unavero e proprio iter con di-verse tappe di significato di-verso (figura 3). La proce-dura seguita presso il Cen-tro di Firenze negli ultimi10 anni prevede una consu-lenza pre-test (fase pre-ana-litica), la fase analitica du-rante la quale viene esegui-to il test in laboratorio eduna consulenza post-test(fase post-analitica). Le pro-cedura è la stessa per pro-bandi e familiari.

Durante la fase pre-ana-litica, il cardiologo proponeal paziente di effettuareuna consulenza genetica dalgenetista. Per tale colloquiosi impiegano circa 30-45 mi-nuti. La consulenza geneti-

Paziente con Cardiomiopatia

Ipertro�ca (probando)

Consenso Informato DNA

Consulenza genetica pre-test Cardiologo-Genetista

Screening Molecolare

Consulenza genetica post-test Comunicazione del risultato

Cardiologo-Genetista-Psicologo

Mutazione presente Diagnosi Genetica

No Mutazione Continuare follow-up

clinico

Screening genetico dei familiari del probando

Figura 3. Procedura per la diagnosi genetica di Cardiomiopatia Ipertrofica (Modificata da TorricelliF. et al 2003).

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delle ricadute pratiche del test. Talvolta è presen-te anche uno psicologo. In particolare è in questafase che sia apre la possibilità di far accedere altest genetico i familiari del probando.

In generale il test genetico effettuato in un pa-ziente con CMI può dare tre risultati diversi:

1. Identificazione di una mutazione certamen-te patogenetica già descritta in letteratura; in que-sto caso la diagnosi genetica è certa, per cui il ge-notipo osservato è compatibile con la diagnosi cli-nica e viene sempre proposto il test ai familiari.

2. Non identificare nessuna mutazione nei ge-ni studiati a scopo diagnostico; in questo caso vie-ne precisato che l’eventuale causa genetica dellaCMI potrebbe trovarsi o in geni non analizzati (piùrari) oppure in geni al momento ancora non iden-tificati. Ovviamente non può essere esclusa la dia-gnosi clinica sulla base di un risultato negativo deltest.

3. Identificazione di una Variante non Classifi-cabile (UVs) ossia una alterazione precedente-mente non descritta per la quale è necessario defi-nire una probabilità di associazione con la malat-tia tramite ulteriori approfondimenti34.

Test presintomatico

In questa situazione il probando è clinicamentesano, con un ecocardiogramma ed un elettrocar-diogramma normali, appartenente ad una famigliache presenta casi di CMI. Il paziente richiede iltest genetico perchè vuole sapere se ha ereditato omeno la mutazione responsabile della malattianella sua famiglia. Il rischio teorico di presentarela mutazione è del 50% (probabilità a priori), nelcaso in cui il soggetto sia parente di primo gradodel paziente con CMI. Tuttavia la penetranza è in-completa (70% nell’adulto), incrementa con l’età edè legata al sesso, oltre che a fattori ambientali (abi-tudini di vita quali fumo, alcol, attività sportiva).La ragione per cui un soggetto richiede il test è fre-quentemente duplice: il rischio di essere “portato-re” della mutazione causa della malattia e di svi-luppare la malattia stessa, e il rischio di trasmet-tere la malattia alla discendenza.

Tuttavia non è noto nessun trattamento medi-co, in grado di prevenire o ritardare l’insorgenzadella malattia. Il solo trattamento efficace nel pre-venire la morte improvvisa è un defibrillatore im-piantabile, ma che viene proposto solo per i pa-zienti con CMI ad alto rischio di morte cardiaca im-provvisa1. Nei pazienti sani, portatori della muta-zione, può essere raccomandata la restrizione del-l’attività fisica, tuttavia l’effetto di tale provvedi-mento nel prevenire la morte improvvisa è pura-mente speculativo32.

Nel caso in cui il soggetto risulti positivo sarànecessario un follow-up medico, volto alla diagno-si precoce dell’espressione fenotipica della malattiae alla valutazione del rischio di morte improvvisa,se possibile. Inoltre per questo soggetto ci sarà ilrischio di trasmettere la mutazione alla prole. Se il

soggetto risulta negativo il paziente avrà un note-vole beneficio a livello psicologico, e con l’interru-zione dei controlli clinici periodici, si avrà un van-taggio anche per il sistema sanitario30,32.

Il test genetico nei minori a scopo presintomatico

L’applicazione del test genetico a scopo presin-tomatico nei bambini è un argomento controverso:alcuni studi hanno enfatizzato i potenziali benefi-ci, specialmente perché la morte improvvisa puòessere il primo sintomo della malattia; altri consi-derano il test presintomatico nei bambini più de-leterio che altro, per la mancanza di efficaci trat-tamenti per prevenire l’insorgenza della malattia ela morte improvvisa, e per i possibili effetti psico-logici negativi32. Attualmente molti gruppi hannoriserve nell’effettuare il test genetico presintoma-tico prima della maggiore età, riferendosi al decre-to del Garante della Privacy, dove si dice che: “Itrattamenti di dati connessi all’esecuzione di testgenetici presintomatici possono essere effettuatisui minori non affetti, ma a rischio per patologiegenetiche solo nel caso in cui esistano concrete pos-sibilità di terapie o di trattamenti preventivi primadel raggiungimento della maggiore età” (Autoriz-zazione generale del trattamento dei dati genetici,pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubbli-ca Italiana n.65 del 19 marzo 2007)30.

Conclusioni

Il test genetico rappresenta un punto di forzaper il clinico allo scopo di inquadrare correttamen-te i pazienti con CMI. Risulta fondamentale al finedi confermare la diagnosi nei fenotipi dubbi, rive-ste un ruolo importante nella diagnosi differenzia-le oltre ad essere utile nell’identificazione dei ge-notipi complessi. Inoltre, stabilendo la natura ere-ditaria della malattia, interessa anche i familiaridel probando, nei quali può essere utilizzato a sco-po presintomatico.

Lo svilupparsi di nuove tecnologie per l’analisidi molti geni contemporaneamente, quali le piat-taforme di Next-Generation Sequencing, unita-mente alla sempre più stretta collaborazione traclinici e genetisti, permetteranno di ampliare sem-pre più le conoscenze sulla genetica di questa ma-lattia.

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Indirizzo per la corrispondenza:Dott. Francesca GirolamiSOD Diagnostica GeneticaAzienda Ospedaliero-Universitaria CareggiLargo Brambilla, 350134 FirenzeE-mail: [email protected]