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A11 110/3 Pubblicazioni della Società di Filosofia del Linguaggio 03

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  • A11110/3

    Pubblicazioni della Societdi Filosofia del Linguaggio

    03

  • tradurre e comprenderepluralit dei linguaggi

    e delle culture

    atti del XII congresso nazionalepiano di sorrento, 2930 settembre 1 ottobre 2005

    a cura di Rocco Pititto e Simona Venezia

    Hanno collaborato a questo volume:Mirella Agorni, Lorenzo Altieri, Simona Anselmi, Emanuele Banfi,

    Derek Boothman, Giuseppe Cantillo, Carlo Cecchetto, Maria Cristina Consiglio,Filomena Diodato, Giovanna Di Rosario, Nevia Dolcini, Umberto Eco,

    Francesca Ervas, Stefano Federici, Maurizio Ferraris, Carlo Filotico,Lorenzo Fossati, Aldo Frigerio, Armando Fumagalli, Francesco Galofaro,Elisabetta Gola, Eva Hajicov, Anna Jampol'skaja, Domenico Jervolino,

    Margherita Ippolito, Francesco La Mantia, Franco Lo Piparo, Franois Marty,Gabriele Miceli, Lucia Morra, Nicoletta Pancheri, Maria Cristina Petillo,

    Eva Picardi, Daniela Pucci, Roberto Pujia, Gilles Quentel, Savina Raynaud,Nilda Ruimy, Marco Santambrogio, Miroslava Sldkov, Valentina Sommella,

    Sara Trovato, John C. Wade e Sandro Zucchi

    ^

  • Copyright MMVIARACNE editrice S.r.l.

    [email protected]

    via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

    (06) 93781065

    ISBN 8854807338

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

    con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

    Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dellEditore.

    I edizione: settembre 2006

  • Sommario

    Introduzione

    di Savina Raynaud XI

    Prefazione

    di Rocco Pitittto, Simona Venezia XIII

    Saluto di Luigi Iaccarino

    (Sindaco di Piano di Sorrento) XIX

    Saluto di Dino Di Palma

    (Presidente dellAmministrazione Provinciale di Napoli) XXI

    Saluto di Giuseppe Cantillo

    (Presidente del Polo delle Scienze Umane

    e Sociali dellUniversit di Napoli Federico II) XXIII

    1. Determinatezza, indeterminatezza

    o impossibilit della traduzione?

    Traduzione. Un problema di pragmatica

    di Umberto Eco 1

    Traduzione e pensieri

    di Marco Santambrogio 11

    Nonostante Babele.

    La traduzione tra relativismo e negoziazione

    di Lorenzo Altieri 35

    Are there Any Universal Languages?

    di Carlo Filotico 51

  • Campi semantici e traduzione,

    la determinazione del contenuto

    di Filomena Diodato 65

    La traduzione dei nomi propri

    e la teoria metalinguistica del loro significato

    di Aldo Frigerio 81

    Miseria y esplendor de la traduccin:

    lutopia del tradurre secondo Ortega y Gasset

    di Daniela Pucci 95

    2. Loggetto della traduzione

    Lingue, testi, culture

    Parole (e concetti) occidentali

    in ambiente sino-giapponese tra i secc. XIX e XX:

    strategie e soluzioni traduttologiche

    di Emanuele Banfi 117

    Tradurre dal sumerico: parole (e concetti) orientali

    e il loro difficile viaggio traduttologico

    dall'alba del secondo millennio a.c.

    al mondo occidentale moderno

    di Domenico Silvestri 141

    Il problema dellunit di traduzione

    di Roberto Pujia, Francesca Ervas 157

    Quando tradurre deformare:

    a proposito di Antoine Culioli

    di Francesco La Mantia 171

    Tradurre la lontananza culturale. Il Giappone

    di Sara Trovato 187

    La Weltweisheit da Wolff a Bolzano

    di Lorenzo Fossati 201

  • Tradurre critica letteraria

    di Anna Jampolskaja 219

    3. Le risorse del tradurre

    Competenze cognitive, grammatiche e dizionari

    Categorical Representation of Knowledge:

    Neuropsychological Evidence from Brain Damage

    di Gabriele Miceli 233

    Natural Language Comprehension and Translation

    di Eva Haji ov 253

    Lanalisi contrastiva:

    un primo passo per una buona traduzione

    di Miroslava Sldkov 269

    La traduzione e le sue forme:

    modelli di ricerca a confronto

    di Mirella Agorni 279

    Traduzione automatica e processi di comprensione: il lessico

    di Nilda Ruimy, Elisabetta Gola 291

    StrutturaSignificato. Il processo di traduzione

    di John C. Wade, Stefano Federici 307

    4. Latto del tradurre: etica e pragmatica

    La traduction, modle de vrit

    dans la communication humaine

    di Franois Marty 333

    Lingue, traduzione e liberazione umana

    di Domenico Jervolino 341

  • Condizioni di verit, sottospecificazione

    e discorso nelle lingue dei segni

    di Carlo Cecchetto, Sandro Zucchi 353

    Traducibilit e traduzione interparadigmatica

    alla luce della teorizzazione di Antonio Gramsci

    di Derek Boothman 387

    La finalit etica del tradurre:

    eticit e letteralit nella traductologie di Antoine Berman

    di Valentina Sommella 401

    5. Forme della traduzione

    Interpretazioni, formalizzazioni,

    adattamenti intersemiotici

    Badola e Gavagai

    di Maurizio Ferraris 417

    Significato letterale, traduzione e interpretazione

    di Eva Picardi 433

    La rielaborazione delle strategie cognitive

    nelladattamento da letteratura a cinema

    di Armando Fumagalli 455

    Dal reperto al referto:

    traduzione intersemiotica nella diagnostica per immagini

    di Francesco Galofaro 471

    Logopoeia, Melopoeia and Phanopoeia

    in the Translation of Poetry

    di Gilles Quentel 491

  • Sezione Poster:

    Implicare e tradurre

    di Nevia Dolcini 503

    Tractatus logico-philosophicus:

    la traduzione come calcolo

    di Lucia Morra 511

    La traduzione nella scrittura postcoloniale

    di Simona Anselmi 517

    Abitare il Terzo Spazio:

    per una ridefinizione della traduzione

    di Nicoletta Pancheri 525

    Traduzione intersemiotica: alcuni cenni teorici

    di Maria Cristina Petillo 531

    Traduttori traditori: dalla traduzione alla ri-scrittura

    di Giovanna Di Rosario 537

    La pratica del remake: una forma di traduzione?

    di Maria Cristina Consiglio 545

    Onomastica letteraria e procedure traduttive

    in Harry Potter e la pietra filosofale

    di Margherita Ippolito 553

  • XI

    Introduzione

    Basterebbe raccogliere in uno sguardo le proprie letture di studio, nel nostro caso quelle filosofiche in particolare, per ravvisare il debito con-tratto da ciascuno, nel tempo, nei confronti dei traduttori: invisibili, ano-nimi per lo pi, ma decisivi per la costruzione di un sapere, per lesercizio di un pensiero che solo raramente ci vedr tornare agli originali, dei clas-sici almeno, spinti dallesigenza di confrontarci con le fonti, di scrutare un passo oscuro o almeno opaco, di soppesare un termine, eventualmente di gustare la formulazione nativa di una tesi. Decisiva, dunque, lopera dei traduttori per il costituirsi di una tradizione, quella filosofica non esclu-sa; determinante il loro lavoro anche per la qualit di tale traditio. Tra-duzione, fin qui, come nomen rei actae, come prodotto finito.

    Basta daltra parte addentrarsi personalmente in un lavoro di tradu-zione, anche breve, per sondare lentit, lo spessore, la stratificazione, gli intrecci di un testo e del suo senso profondo, come spesso si sen-te dire; per essere sollecitati a capire fino in fondo, o almeno quanto pi a fondo possibile, una pagina prima di trasporla, a comprendere per far comprendere; per essere portati a riconoscere le complesse re-gole di riscrittura esigite da una sua corretta formalizzazione, o alme-no dal tentativo di esplicitare le possibili ambiguit di lettura. Unoccasione formidabile per tuffarsi nella realt viva delle lingue e del linguaggio, per essere felicemente provocati a non riposare su scissioni troppo nette tra pensiero e parola, enunciato e proposizione, senso e riferimento, dato linguistico e operazioni inferenziali; a inter-rogare le metafore del rivestimento, del corredo che riveste un corpo (Frege) o del corpo vivente animato dalla psiche (Aristotele), indi-viduate nel tempo per dire il rapporto fra lexis e logos, fra lingue par-late e pensiero. Traduzione, quindi, anche come nomen actionis, come processo, non propriamente di tutto riposo. Tanto che lo studio delle stesse afasie pu gettar luce sulla complessa organizzazione anatomo-funzionale delle abilit linguistico-cognitive attivate ogni volta che si vuole che la parola giusta trovi ritrovi espressione.

    Eppure, pi che in altri casi, non mancata inizialmente qualche perplessit sulla pertinenza di un tema come quello del tradurre quale oggetto dei lavori congressuali di una societ filosofica, di filosofi del linguaggio. A chi tuttora dubitasse, il lavoro svolto e qui quasi inte-gralmente documentato, dovrebbe offrirsi nella sua ampiezza a una valutazione spregiudicata.

  • Introduzione XII

    Non dispiacerebbe poi, a chi scrive, che questo volume desse occa-sione di qualche ripensamento, e possibilmente di qualche efficace ri-soluzione operativa, anche ad altri addetti ai lavori filosofici. Risco-prire lincidenza del linguaggio tout court nellesercizio del pensiero speculativo e nella coltivazione della sua memoria storica, persuadersi dellimpegno ermeneutico richiesto dalla lettura, impegno qui a pi ri-prese riconosciuto e variamente indagato, potrebbe infatti muovere a qualche riconsiderazione dei curricula dei nostri corsi di laurea: per lo pi inclini a sganciare studi linguistici (di lingue classiche e moderne, teorici e applicati) da studi logico-filosofici, e viceversa.

    Quanto alla Societ di Filosofia del Linguaggio, il lavoro continua in direzioni entrambe saldamente connesse agli orizzonti qui delineati: a Viterbo, il XIII Congresso Nazionale indetto per il settembre 2006 de-dicato a Il filo del discorso. Intrecci testuali, articolazioni linguistiche, composizioni logiche: lunit dellopera , del resto, un confine preciso per ogni traduttore, in particolare per un traduttore source oriented. Per il 2007 ci attende un compito qui pi accennato che affrontato: la plura-lit dei linguaggi e delle culture, conseguentemente la comunicazione multi-, possibilmente interculturale. Tema palesemente attuale, urgente anzi, senzaltro target-oriented, impegnativo e capace di convocare an-che la comunit filosofica al crocevia gi raggiunto da translation e cul-tural studies, per tracciare itinerari che portino a destinazioni non inde-gne degli uomini e, se possibile, magnifiche.

    Senza trascurare gli orizzonti futuri, gradito a chi scrive, anche a nome dei soci tutti, ringraziare per i risultati qui conseguiti in partico-lare i relatori invitati, i colleghi e le istituzioni ospitanti, e la comunit di Piano di Sorrento, testimone cordiale di quellantica capacit della gente di mare di promuovere incontri e scambi fra mondi lontani e di-versi. A tutti laugurio di una fruttuosa lettura.

    Savina Raynaud

    (Presidente della Societ

    di Filosofia del Linguaggio nel biennio 2004-2006)

  • XIII

    Prefazione

    Nel seguente volume vengono raccolte le relazioni e le comunica-zioni discusse durante il XII Congresso Nazionale della Societ di Fi-losofia del Linguaggio (www.scienzecognitive.unime.it/filling), orga-nizzato nei giorni 29-30 settembre e 1 ottobre 2005 a Piano di Sor-rento (Na), nel suggestivo contesto della storica Villa Fondi, in colla-borazione con il Dipartimento di Filosofia Antonio Aliotta dellUniversit degli Studi di Napoli Federico II, e intitolato Tra-durre e comprendere. Pluralit dei linguaggi e delle culture. Per la prima volta viene presentata al lettore anche una sezione Poster, forma sperimentale di comunicazione congressuale, che associa allelemento discorsivo, proprio dei tradizionali incontri tra studiosi, anche lelemento visivo per una condivisione sintetica e dinamica dei contenuti. Cogliamo loccasione per ringraziare tutti i relatori, i co-municatori, gli autori dei poster, i moderatori e i partecipanti, che han-no contribuito a rendere il simposio dello scorso anno unoccasione di fecondo confronto e di concreta osmosi di idee e di proposte. Non stato possibile rendere conto della ricchezza di tutti gli interventi e di tutte le discussioni succedutisi allinterno delle varie sezioni dopo cia-scun contributo; ci nonostante questo volume si propone senzaltro come un importante e articolato punto di riferimento per tutti gli stu-diosi che intendano approfondire le tematiche relative alla traduzione, sia riguardo a prospettive e autori divenuti ormai classici, che alle ten-denze pi recenti della ricerca, che alle nuove frontiere nelle applica-zioni e negli strumenti di lavoro.

    Lo scopo principale del convegno stato dunque quello di restituire

    la stratificata complessit del fenomeno e dellesercizio della traduzione. Gli interventi presenti in questa raccolta indicano quanto tale proble-matica non possa essere affrontata in maniera esaustiva, se si prescin-de dalla vincolante connessione che sussiste tra la teoria e la pratica della traduzione. La difficolt di ricondurre la teoria e la pratica della traduzione a ununica definizione dipende proprio dal molteplice sta-tuto che le caratterizza. Volutamente questo volume non propone ununica, acclarata idea di traduzione, ma si confronta con tale diffi-colt. Ci comporta che il tema della traduzione non possa essere con-siderato come unattivit di specialisti prescindendo dal fatto che esso rappresenta anche loccasione per discutere di alcune delle tematiche

  • Prefazione XIV

    pi rilevanti della filosofia del linguaggio, n possa essere considerato un principio teorico prescindendo dal fatto che esso rappresenta anche una continua applicazione di determinate abilit e specifiche compe-tenze. Al fine di misurare le possibilit e i limiti di entrambe queste prospettive, il fulcro attorno a cui ruota la questione della traduzione risulta essere, cos come emerge da molti dei testi qui presentati, la questione della comprensione.

    Tra-ducre: si soliti dare maggiore importanza allelemento reg-

    gente della parola, ovvero quello verbale del ducre, del condurre, del portare da una parte allaltra; nel caso paradigmatico della traduzione, del portare le espressioni di una lingua nelle espressioni di unaltra lingua. Ma lelemento pi importante potrebbe essere proprio il trans, inteso come luogo di confine, come una zona di transizione e di scam-bi, che non sempre pu essere delimitata con certezza. Lambito pi proprio della traduzione appartiene a questa regione di passaggio. La traduzione infatti pura ipertestualit: il testo tradotto reca sempre con s le tracce delloriginale, dal quale non pu essere mai disgiunto, poich esso non apparterr mai completamente al nostro proprio da cui proveniamo. Per questo tradurre implica sempre un confronto, una messa in discussione delle proprie conoscenze e dei propri punti di vi-sta. Tuttavia, come i contributi di questo volume ampiamente dimo-strano, la traduzione non per sua natura soltanto ipertestuale, ma anche interdisciplinare: da un lato perch la necessit della traduzione non riguarda un unico settore specialistico, come ad esempio, il cano-nico ambito letterario, ma rappresenta fine e mezzo imprescindibili per numerosi campi del sapere. Dallaltro perch gli strumenti stessi della traduzione, sia dal punto di vista speculativo che applicativo, pa-lesano la pi varia provenienza, dalla filologia alla pragmatica, dalla linguistica allinformatica, dalle neuroscienze alletica. Alla luce di tutto questo linterdisciplinarit della teoria e della pratica della tra-duzione non attesta, come potrebbe apparire a unosservazione super-ficiale, una sostanziale inutilit dellapproccio filosofico, ma una sua intrinseca, ineludibile necessit nellessere lelemento connettore e coordinatore di prospettive e metodologie differenti che altrimenti ri-marrebbero inconciliabili.

    Come per gli Atti dellXI Congresso, anche in questo caso la ripar-

    tizione asimmetrica per sezioni che ripropone quella ideata per la scansione delle varie sedute del convegno non deve essere conside-

  • Prefazione XV

    rata come una suddivisione prefissata, rigida, ma come unindicazione di riferimenti comuni a pi parti e a pi tematiche, destinati a richia-marsi continuamente gli uni agli altri. Nella prima sezione, Determi-natezza, indeterminatezza o impossibilit della traduzione?, gli autori si confrontano con uno degli aspetti fondamentali della traduzione, ovvero la sua irriducibile problematicit, con il fatto che non potr mai esistere una traduzione perfetta e che in ultima analisi i limiti della traduzione sono in realt anche le sue stesse possibilit. Nel suo con-tributo Umberto Eco approfondisce la tensione tra determinatezza e indeterminatezza della traduzione attraverso la disamina di esempi ap-partenenti a un ambito di sapere paradigmatico, quello della pratica della traduzione interlinguistica delle opere narrative. Viene in questo modo dimostrato come regole e princip consentano di rimanere fedeli al riferimento del testo e al testo solo se non vengono applicati in ma-niera acritica e inflessibile, ma se vengono continuamente contestua-lizzati e negoziati (il concetto di negoziazione elaborato da Eco viene affrontato anche nel contributo di Altieri). Nel testo di Santam-brogio tale tensione viene esaminata nella complessit del rapporto tra traduzione ed enunciazione, tra ci che viene detto e ci che viene pensato nellatto del tradurre come base di ogni processo comunicati-vo, fondato sullipotesi che due enunciazioni esprimono lo stesso pen-siero se e solo se esse sono la traduzione luna dellaltra. Limiti e possibilit della traduzione vengono esaminati anche in riferimento al-la teoria del linguaggio universale di Tarski (Filotico), alla teoria metalinguistica dei nomi propri (Frigerio), a quella dei campi semanti-ci (Diodato) e alla questione dellutopia del tradurre cos come vie-ne progettata nellopera di Ortega y Gasset (Pucci).

    La seconda sezione, Loggetto della traduzione. Lingue, testi, cul-ture, si articola in indagini di traduttologia interculturale, in cui la pra-tica traduttiva viene messa alla prova sia in riferimento ad adattamenti e trasformazioni di parole e concetti occidentali nellambito della cul-tura sino-giapponese del XIX e XX secolo (Banfi), sia in riferimento allindividuazione di metodologie e ricostruzioni teoriche in particola-re di alcuni versi appartenenti alla tradizione sumerica (Silvestri), sia in riferimento ad osservazioni sulla cultura giapponese contemporanea (Trovato). Sulloggetto della traduzione vertono anche le analisi de-dicate alla teoria del testo in riferimento alla questione dellunit di traduzione (Pujia ed Ervas), allapplicazione di concetti appartenenti alla matematica e alla geometria (La Mantia), a un esempio di storia comparata dei concetti (Fossati), e alla scienza della traduzione asso-

  • Prefazione XVI

    ciata alla critica letteraria (Jampolskaja). Dei testi destinati a questa sezione non pervenuto quello di Laspia intitolato Alle origini della terminologia filosofica: logos nel frammento 1 di Eraclito.

    Nella terza sezione, Le risorse del tradurre. Competenze cognitive, grammatiche e dizionari, linterdisciplinarit della teoria e della pratica della traduzione e il confronto con lambito delle scienze sono al centro delle analisi di pi autori. Miceli imposta il suo lavoro nel campo del cognitivismo, analizzando aspetti neuropsicologici del rapporto tra men-te e conoscenza (in caso di danni del cervello). Tema principale del con-tributo di Hajiov quello del confronto tra traduzione e linguistica in una prospettiva semantico-pragmatica, mentre nel testo di Sldkov vengono presentati esempi di esperienza traduttiva in riferimento alla pratica della linguistica contrastiva. La pluralit degli approcci alle me-todologie della pratica traduttiva, soprattutto dagli anni Sessanta in poi, invece la questione essenziale esaminata nel testo di Agorni. Vengono inoltre approfondite le possibilit delle risorse informatiche per sondare nuove frontiere del processo traduttivo (Ruimy e Gola), e viene indaga-to il processo della traduzione nel caso specifico del passaggio dallinglese allitaliano (Wade e Federici).

    La quarta sezione, Latto del tradurre: etica e pragmatica, affronta la questione della traduzione attraverso le ricerche di alcune delle pro-spettive pi rilevanti della filosofia del linguaggio del Novecento, qua-li letica e la pragmatica. Emerge un indubbio interesse nei confronti delle tematiche etiche nella teoria della traduzione nel testo di Marty, nel quale la questione viene esaminata soprattutto scandagliando il complesso rapporto tra verit e alterit, in quello di Jervolino, che, ap-plicando tematiche ricoeuriane, come quella del dono, del ricono-scimento e dellospitalit linguistica, evidenzia la rilevanza di un approfondimento del rapporto tra traduzione e interpretazione nel con-testo di unermeneutica orientata alla fenomenologia, e in quello di Sommella, che invece si sofferma su aspetti della traduttologia di Berman. Espliciti riferimenti allinterdipendenza di traduzione e con-testo socio-politico sono presenti nel contributo di Boothman, che si interroga sulla teorizzazione che sulla questione della traduzione presente nellopera di Gramsci. In Cecchetto e Zucchi la prospettiva si sposta sul piano della pragmatica: la pratica comunicativa viene in-fatti contestualizzata in unanalisi del ruolo del contesto nellambito di una costruzione di uso propria della lingua dei segni, ovvero i predica-ti con classificatore.

  • Prefazione XVII

    Nella quinta sezione, Forme della traduzione. Interpretazioni, for-malizzazioni, adattamenti intersemiotici, la pratica della traduzione viene messa in discussione in alcune discipline in cui essa partico-larmente decisiva, come, ad esempio, in rapporto alla connessione di interpretazione e comprensione, nellermeneutica, considerata nella molteplicit mai ovvia delle sue accezioni e prospettive (Ferraris), ma anche nella medicina, nellambito della realizzazione, sempre vincola-ta a una traduzione, dei referti clinici (Galofaro), nella letteratura (in un confronto con il cinema applicato ai processi cognitivi dei fruitori delle opere sia letterarie che cinematografiche nel testo di Fumagalli), e nella poesia (in considerazione delle analisi sul processo di traduzio-ne secondo alcuni princip elaborati nellopera di Ezra Pound, cos come avviene nellintervento di Quentel). Il complesso rapporto tra significato letterale, traduzione e interpretazione invece al centro del contributo di Picardi, che si sviluppa a partire da unanalisi di alcuni aspetti della traduzione inglese del Vangelo di Giuda.

    Per eccessivi impegni dellautore non stato possibile presentare lintervento che durante il convegno ha proposto Franco Lo Piparo, Dire una cosa diversa dicendo quasi la stessa cosa. Esempi paradig-matici, che da solo componeva una sesta sezione intitolata Tradurre e comprendere i testi filosofici.

    Anche nella sezione Poster la questione della traduzione viene affrontata sotto molteplici prospettive. Vi si configura linteresse per la traduzione intersemiotica (Petillo), quello per la traduzione intralin-guistica (Dolcini, e per entrambe Di Rosario) secondo la celebre de-finizione di Jakobson , quello per grandi classici come Wittgenstein (Morra); ugualmente in rilievo vengono posti i contributi che gli studi sulla problematica della traduzione devono alle analisi sulle realt po-stcoloniali (Anselmi e Pancheri), la teoria dellonomastica nellambito della traduzione letteraria (Ippolito), e di nuovo il confronto con il ci-nema (Consiglio).

    Un ultimo riferimento obbligatorio da rivolgere al prossimo ap-

    puntamento che vedr come protagonisti i fondatori, i soci e i simpa-tizzanti della Societ di Filosofia del Linguaggio, che si svolger a Vi-terbo, in collaborazione con lUniversit della Tuscia, e che riprende alcuni dei temi dellXI Congresso, Significare e comprendere. La se-mantica del linguaggio verbale. Il convegno infatti verter su Il filo del discorso. Intrecci testuali, articolazioni linguistiche, composizioni logiche, e sicuramente anche in questo caso, come per il convegno di

  • Prefazione XVIII

    Piano di Sorrento, le problematiche pi rilevanti della filosofia del linguaggio rappresenteranno unoccasione di incontro e di confronto interdisciplinare per studiosi e appassionati*. Napoli, luglio 2006

    Rocco Pititto, Simona Venezia

    * Si ringrazia per il sostegno al convegno del 2005 la Facolt di Lettere e Filosofia (in particolare il Preside, Prof. Eugenio Mazzarella) e il Polo delle Scienze Umane e So-ciali dellUniversit degli Studi di Napoli Federico II, il Dipartimento di Filosofia dellUniversit di Napoli LOrientale (in particolare i Proff. Stefano Gensini, Clara Montella e Gordon Poole), la Provincia di Napoli, la Citt di Piano di Sorrento e la Nissan Italia. Si ringraziano inoltre per la fattiva collaborazione Elio Angrilli, Marco Castagna, Sara De Carlo, Aldo Meccariello e Carlo Pepe.

  • XIX

    Saluto di Luigi Iaccarino (Sindaco di Piano di Sorrento)

    Sono onorato e lieto di dare il benvenuto, nel nome dellintera po-

    polazione di Piano di Sorrento, a voi tutti, qui convenuti per partecipa-re ai lavori del XII Convegno Annuale della Societ di Filosofia del Linguaggio. Vi accolgo in questa villa che, col suo parco, costituisce il vanto del nostro comune. La sua costruzione risale al 1840, ad opera di Don Giovanni Andrea De Sangro, principe di Fondi. Fu interamente distrutta nel terremoto del 23 novembre 1980: il sisma che impose un pesante tributo di vite umane anche al nostro paese. Dopo il catacli-sma il Comune di Piano di Sorrento, acquis la propriet del suolo su cui insisteva lantica struttura e dellintero parco; a sua cura la villa fu ricostruita nel pieno rispetto dello stile originario.

    Potete quindi capire quanto questo edificio sia caro alla nostra gen-te. Al di l della sua bellezza, della veduta incantevole che si offre ai suoi visitatori, esso costituisce lemblema delloperosit, della tenacia, dello spirito di rinascita che hanno sempre animato la popolazione di questo comune: credetemi, non retorica. Proprio perch amiamo tan-to questo complesso monumentale e lo abbiamo strappato alla rovina e alla decadenza, abbiamo deciso di consacrarlo alla cultura: vale a dire a ci che .pi sostiene gli uomini nella loro lotta contro le avversit.

    Abbiamo ubicato, anzitutto, nelle sale del piano superiore di questa costruzione, il Museo Archeologico Territoriale della Penisola Sorren-tina. Esso, inaugurato il 17 Luglio 1999, stato allestito a cura della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, dintesa con il Co-mune di Piano di Sorrento ed stato intitolato al grande archeologo Georges Vallet, che tanto si adoperato per sviluppare e approfondire la conoscenza dei diversi insediamenti umani susseguitisi nelle nostre contrade, dalla preistoria all et romana.

    In tal modo La Villa Fondi diventata, per cos dire, lo scrigno della nostra memoria collettiva. Dalle fondamenta dellantica struttu-ra, nel contempo, sono state ricavate queste sale destinate ad ospitare convegni, congressi, simposi. Ma altre iniziative, come dibattiti, con-certi, mostre, hanno coinvolto anche il parco, ricco di variegate pre-senze arboree e floreali, alcune delle quali rare e preziose.

    Tra gli eventi culturali pi importanti e prestigiosi potremo anno-verare, da oggi, il XII convegno della Societ Italiana di Filosofia del Linguaggio.

  • Saluti XX

    Ripeto: la vostra presenza motivo di grande piacere e consenti-temelo anche di orgoglio per tutti i Carottesi: (si chiamano cos gli abitanti di Piano di Sorrento).

    Siete cultori di una disciplina a dir poco affascinante che da decen-ni , ormai, al centro del dibattito filosofico in Italia e nel mondo e che trarr ulteriori benefici dalle vostre riflessioni e dalle vostre analisi: Sono fiero di sapere che esse si svilupperanno qui, nel paese in cui so-no nato e che sono stato chiamato ad amministrare; qui, nelle sale del-la nostra villa e magari durante le pause nei sentieri, non interrotti, del parco.

    Prima di congedarmi da voi, permettetemi unultima precisazione. In un certo senso, Villa Fondi ha avuto gi a che fare con la Filosofia del linguaggio. Quando ancora duravano i lavori di ricostruzione delledificio, il 1 Maggio 1997, il parco fu visitato da uno dei grandi nomi della filosofia del nostro tempo: in particolare, da uno dei grandi maestri della vostra disciplina. Sto parlando di Paul Ricoeur, che fu qui condotto dal prof. Domenico Jervolino, durante una visita alla no-stra cittadina.

    Il parco piacque tanto allinsigne cultore dellermeneutica, che egli volle tornarci il 16 Maggio 1999. In quelloccasione ebbe modo di ammirare anche la villa riedificata.

    Colgo pertanto loccasione per rendere omaggio alla memoria di questo grande studioso, purtroppo recentemente scomparso, e per evo-carne e la luminosa figura, al cospetto della quale, come in presenza di un amato nume tutelare, vi rivolgo con tutto il cuore gli auguri di pro-ficuo e buon lavoro!

  • XXI

    Saluto di Dino Di Palma (Presidente dellAmministrazione

    Provinciale di Napoli)

    Signore e Signori,

    a nome dellAmministrazione Provinciale di Napoli, di cui mi onoro di essere Presidente, e mio personale, sono lieto di darvi il benvenuto. LEnte locale non poteva ignorare limportanza dei temi che verranno dibattuti da voi in questi giorni. Sono temi di grande rilevanza, entrati di prepotenza nel dibattito politico di questi anni, e presenti alla nostra at-tenzione di amministratori locali, con i quali ci dobbiamo misurare per dare le risposte pi idonee alle domande che ci vengono poste dai citta-dini. Per questo, non abbiamo esitato a dare il nostro patrocinio e il no-stro contributo, per esprimere la nostra vicinanza e il nostro comune in-teresse e rendere pi confortevole questo vostro soggiorno.

    Il tema, oggetto di questo vostro convegno, pone in evidenza il rapporto di simmetria esistente tra traduzione e comprensione, quasi ad assumere la traduzione come la condizione della comprensione e la comprensione come il risultato della stessa traduzione. Il tema, cos come posto, non estraneo allazione del politico, chiamato anchegli a favorire la comprensione tra gli individui mediante la tra-duzione in azioni legislative e amministrative di atti, di comportamenti e di mete ideali dellagire, che assicurino rapporti di fiducia e di soli-dariet tra le istituzioni e gli individui e tra gli stessi individui. Sotto questo aspetto, il politico sente il bisogno di confrontarsi con i filosofi per ricevere stimoli e sollecitazioni per dare alla sua azione una mag-giore incisivit. Niente pi negativo e pi deleterio della solitudine del politico, che rifiuta il confronto e si limita a gestire il potere, senza fare riferimento al dibattito in atto e perdendo il contatto con la realt.

    Traduzione e comprensione hanno, perci, una valenza politica, ol-tre che culturale, perch disegnano i confini del vivere bene nella citt e fondano la convivenza di una comunit. La societ multirazzia-le, che costituisce oggi il nostro orizzonte pi immediato, pone con urgenza alle comunit locali il tema della comprensione tra le diverse etnie presenti sul territorio. Obiettivo, quello della comprensione, dif-ficile da raggiungere, ma indifferibile, per le possibili conseguenze, che possono derivare alla collettivit, da una mancata soluzione dellintegrazione attorno ai valori fondanti la convivenza di una na-

  • Saluti XXII

    zione. La non comprensione tra gli individui, appartenenti ad etnie di-verse, porta alla nascita di forme di razzismo e dintolleranza, compor-tamenti che creano emarginazione ed esclusione, facile terreno di cul-tura dei tanti fondamentalismi distruttivi, che rimettono in discussione e annullano le conquiste pi alte dellumanesimo occidentale.

    Il lontano, che arriva da noi, cessa di essere uno straniero per di-ventare uno di noi, anche se portatore di altri valori e di altre visioni del mondo. Lospite non il nemico da respingere e da allontanare; una persona da accogliere e da custodire. La radice dellospitalit nel linguaggio e nella sua traduzione, perch lospitalit , prima di tutto, ospitalit linguistica. Questa lezione di Derrida la stessa lezione che anima le nostre scelte nel governo della citt e la vostra riflessione un incoraggiamento ad andare oltre, alla ricerca della migliore tradu-zione possibile.

    Buon lavoro

  • XXIII

    Saluto di Giuseppe Cantillo (Presidente del Polo delle Scienze Umane e Sociali dellUniversit degli Studi di Napoli Federico II)

    Signore e Signori, Colleghe e Colleghi,

    sono lieto e onorato di portare, anche a nome del Rettore, ai parte-

    cipanti al XII Convegno annuale della Societ di Filosofia del Lin-guaggio il saluto e il benvenuto dellAteneo federiciano e in particola-re del Polo delle Scienze Umane e Sociali, nel cui ambito si situa la Facolt di Lettere e Filosofia, di cui fanno parte i docenti che hanno contribuito alla organizzazione del Convegno, i colleghi Domenico Jervolino e Rocco Pititto, che da anni, raccogliendo leredit di Raffa-ele Pucci, prematuramente scomparso, hanno retto con grande compe-tenza e impegno gli insegnamenti di filosofia del linguaggio. Un setto-re disciplinare al quale sono personalmente particolarmente legato anche con un po di nostalgia per non averlo direttamente praticato perch ho iniziato i miei studi e le mie ricerche proprio con lanalisi del linguaggio etico, con una tesi di laurea dedicata a Charles Leslie Stevenson. E poi perch allintreccio profondo tra teoria del linguag-gio ed ermeneutica sono stato sempre daccapo condotto dagli autori a cui ho dedicato tanto spazio della mia ricerca, Droysen e Troeltsch.

    In apertura di questo Convegno, dedicato al tradurre e al compren-dere, vorrei solo per qualche minuto richiamare lattenzione proprio sulla peculiare riflessione teorica sulla traduzione che si esercitata tra fine Settecento e prima met dellOttocento nellambito della cul-tura tedesca tra Romanticismo e Idealismo, con uno spostamento pro-gressivo dallinteresse filologico a quello ermeneutico. Basti pensare agli scritti di Wilhelm von Humboldt e di Schleiermacher.

    Un interesse particolare, anche per la loro esemplarit e attualit, hanno le osservazioni teoriche generali, contenute nella Introduzione alla traduzione dellAgamennone di Eschilo di Humboldt (1816)1. Specialmente perch mettono in rilievo la difficolt, quasi la impossi-bilit, del tradurre, e insieme per la doverosit del tradurre come im-portante strumento di elevazione culturale.

    Commentando la bellezza della figura di Cassandra, che Agamen-none porta prigioniera sul carro dopo la distruzione di Troia, esponen-

    1 In Negaard (1993), pp. 125-141.

  • Saluti

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    dola dinanzi alla porta della reggia ove entrambi troveranno la morte, Humboldt afferma: Qui anche lingua e stile concordano, non cos de-licatamente fusi, duttili ed avvicinantisi al colloquio come in Sofocle, ma semplici, forti, grandiosi, arcaici, persino spezzati talvolta, oscuri e quasi sovrabbondanti. Una tale poesia intraducibile per una sua pe-culiare natura e in un senso diverso da quanto si possa dire dogni o-pera di grande originalit. Analisi ed esperienza confermano quanto si gi detto pi volte e cio che, astraendo dalle espressioni designanti semplicemente oggetti fisici, nessuna parola di una lingua comple-tamente uguale a una di unaltra lingua. E pi avanti: Come potreb-be mai una parola, il cui significato non dato direttamente dai sensi, essere completamente uguale alla parola di unaltra lingua? Deve ne-cessariamente presentare differenze2.

    Difficolt, quindi, nel tradurre. Ma non per questo bisogna rinun-ciarvi. Neppure alla traduzione della poesia: Anzi la traduzione, in special modo dei poeti, uno dei compiti pi necessari per una lettera-tura, sia per fornire a coloro che non conoscono la lingua forme dellarte e dellumanit che altrimenti gli resterebbero estranee e che sono sempre di cospicuo vantaggio per ogni nazione, sia per aumenta-re ci soprattutto limportanza e la capacit espressiva della pro-pria lingua3.

    Lo scopo della traduzione fare acquisire alla cultura di una na-zione ci che essa non possiede o possiede in modo diverso, cio e-sprime in modo diverso: allora, nella traduzione, si deve esigere anzi-tutto semplice fedelt: Tale fedelt devessere indirizzata al vero ca-rattere delloriginale che non devessere tradito per delle accidentali-t4. Non si deve pretendere di ricalcare tutte le sfumature e le partico-larit che finirebbero per far perdere di vista lessenziale, il vero carat-tere delloriginale, che quello che importa. Non si deve pretendere di assimilare completamente laltra lingua alla nostra. Ma bisogna far sentire lestraneo, il differente. Del resto, gi nella propria lingua, a meno che non si tratti di scienze e di dati empirici, nessuno scrittore scrive come un altro: non si deve perci voler tradurre come se lo scrittore di unaltra lingua scrivesse nella nostra lingua5.

    2 Ivi, p. 135 . 3 Ivi, pp. 135-136. 4 Ivi, p. 137. 5 Cfr. ivi, pp. 137-138.

  • Saluti

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    Non si deve aggiungere al testo un colore sviante e un tono diverso; una traduzione non pu e non deve essere un commento. Non si deve neppure rendere troppo chiaro ci che nel testo, nella lingua originale, di per s poco chiaro o addirittura oscuro: se loriginale solo accenna e non esprime a chiare lettere, se si permette metafore la cui relazione dif-ficile da cogliere, se tralascia passaggi logici, il traduttore sbaglierebbe a immettere, di sua volont ed arbitrariamente, una chiarezza che altera il carattere del testo6. Quando si traduce un testo, specie se antico, bisogna procedere con grande rigore filologico, e non si deve mai cedere al preva-lere del senso estetico, a cui proprio il traduttore pu credersi chiamato, se non si vogliono imporre al testo idee peregrine7.

    Nellambito della sua teoria generale dellermeneutica si situano le osservazioni di Schleiermacher sulla traduzione, nate dalla sua espe-rienza di traduttore delle opere di Platone, osservazioni che, assieme a quelle di Humboldt, sono allorigine della riflessione ermeneutica sul-la traduzione del Novecento da Gadamer a Ricoeur. Nella memoria da lui letta nel 1813 Sui diversi metodi del tradurre8, Schleiermacher indica due livelli dellattivit del tradurre. Uno che ha a che fare con la vita quotidiana o con campi ben determinati della vita sociale e politi-ca rapporti economici, giuridici, politici, diplomatici, ecc. in cui si esercita lattivit dellinterprete di professione; laltro che ha a che fa-re con le forme della vita spirituale quali la scienza, la filosofia, la re-ligione, le arti e che lambito vero e proprio dellattivit del tradutto-re: il traduttore egli scrive viene accrescendo il proprio distacco dallinterprete, fino a raggiungere il proprio dominio particolare, costi-tuito da quei prodotti spirituali dellarte e della scienza nei quali, da una parte, la libera facolt combinatoria propria dellautore, e, dallaltra, lo spirito della lingua con il sistema di idee, in essa inscritto, e la sfumatura degli stati danimo sono tutto e loggetto non pi as-solutamente in grado di dominare, ma piuttosto viene dominato dal pensiero e dal sentimento; spesso anzi, solo attraverso e insieme al discorso che esso diviene ed esiste9.

    Ma c di pi. C da ricordare che la comprensione di un discorso non puramente quantitativo o legato alle sensazioni empiriche, e in par-ticolare ogni discorso culturale superiore, devessere compreso da due

    6 Ivi, pp. 138-139. 7 Ivi, pp. 139-140. 8 Schleiermacher (1985), riprodotta in Negaard (1993), pp. 143-179. 9 Ivi, p. 146.

  • Saluti

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    punti di vista: dal punto di vista del contesto, cio dello spirito della lingua, che si riflette nellanima di chi parla, e dal punto di vista del soggetto che parla, il quale con la sua energia creativa plasma in modo individuale la lingua stessa e contribuisce a modificarla. Quindi gi allinterno della propria lingua la comprensione di questi discorsi, di questi scritti, che appartengono alle forme della vita spirituale superio-re, difficile e complicata. Perci il compito del traduttore estrema-mente difficile ed esige una conoscenza approfondita della storia della cultura e dello sviluppo spirituale del mondo linguistico da cui deve tradurre e una conoscenza approfondita, una frequentazione lunga e co-stante dellautore che deve tradurre. Ma anche quando il traduttore sia riuscito a raggiungere il pi elevato livello di conoscenza, come pu trasmettere le sue conoscenze ai suoi lettori; come pu portare i suoi lettori a contatto con lautore e la lingua e la cultura a cui appartiene?

    Scartati la parafrasi e il rifacimento, ci sono per Schleiermacher so-lo due vie che il traduttore pu seguire (e come vedremo, in fondo ce n una sola): O il traduttore lascia il pi possibile in pace lo scrittore e gli muove incontro il lettore, o lascia il pi possibile in pace il lettore e gli muove incontro lo scrittore10.

    Nel primo metodo il traduttore con il suo lavoro mette in contatto il lettore con lo scrittore, surrogando la comprensione della lingua origi-nale che al lettore manca. Questa traduzione rispetta sia lidentit dellopera sia la possibilit di chi conosce poco o non conosce affatto la lingua straniera di ricevere unimpressione dellopera nella propria lingua familiare. Laltro metodo quello che dovrebbe portare lautore non a livello del traduttore, ma a livello del lettore: cio la traduzione dovrebbe far parlare direttamente lautore nella lingua del lettore, immaginare cio come lautore avrebbe scritto lopera nella lingua del lettore: per esempio come Tacito avrebbe scritto le sue ope-re storiche in tedesco anzich in latino. Questo metodo appare a Schleiermacher praticamente impossibile: implicherebbe un bilingui-smo generalizzato, mentre si sa che solo rare persone posseggono una tale capacit. Per lo pi oltre che a un paese, luomo deve appartene-re decisamente anche alluna o allaltra lingua, altrimenti cade in un penoso stato di oscillazione11.

    In definitiva, per Schleiermacher valido solo il primo metodo di traduzione, che non pretende una traduzione perfetta, perch mantiene

    10 Ivi, p. 153. 11 Ivi, p. 170

  • Saluti

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    la consapevolezza della distanza e della differenza tra scrittore di una lingua e lettore di unaltra, rispetto a cui la traduzione un essenziale luogo di incontro e di comunicazione. E la traduzione per assolvere il proprio compito deve seguire i criteri dellermeneutica , cio tenere conto del contesto della lingua e della storia, in cui si inserisce lopera, e della individualit del soggetto, che lha prodotta innovando a parti-re da quel contesto.

    Nella traduzione si realizza quindi, per dirla con le parole di Ga-damer, una sorta di fusione dorizzonti, come in ogni atto ermeneutica: Ogni traduzione scrive Gadamer in Verit e metodo [] sem-pre una interpretazione [.]. Il caso della traduzione mette in luce e-splicita il linguaggio come medium della comprensione12. Nel tradur-re gi sempre allopera latto dellinterpretare: mettere in rilievo un aspetto del testo originale pu comportare il sacrificio di altri aspetti, la chiarificazione del senso comporta una modificazione inevitabile ri-spetto all originale, di cui il traduttore/interprete deve assumersi la re-sponsabilit della scelta.

    Altrettanto Paul Ricoeur negli scritti sulla traduzione Sfida e feli-cit della traduzione e Il paradigma della traduzione13 mette in luce le difficolt della traduzione, che non riguardano soltanto la traduzio-ne da una lingua allaltra, ma si fondano su una difficolt di comuni-cazione e comprensione interna alla lingua propria e interna alla stessa soggettivit, per cui il comprendere sempre un tradurre. Il punto di partenza la constatazione che sempre possibile dire la stessa cosa in altro modo14 e perci si deve rinunciare allideale della traduzione perfetta, che potrebbe significare far violenza allaltro da s, e conce-pire invece la traduzione come una forma di ospitalit linguistica, unapertura etica allaltro e al differente.

    Alle domande, alle esigenze di chiarimento poste dalla tradizione ermeneutica corrisponderanno certamente con le loro relazioni gli au-torevolissimi studiosi che svolgeranno le relazioni nelle dense giornate di questo Convegno; a me non resta che ringraziarvi per lattenzione e augurarvi buon lavoro e insieme un piacevole soggiorno nella nostra splendida costiera.

    12 Gadamer (1983), p. 442. 13 Raccolti in Ricoeur (2001) . 14 Ivi, cit., p. 69.

  • Saluti

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    Bibliografia

    Gadamer H.-G. (1983) Verit e metodo, a cura di G. Vattimo, Bom-piani, Milano

    Humboldt W. (1816) Introduzione alla traduzione dellAgamennone di Eschilo, in Nergaard (1993)

    Schleiermacher F. (1985) Sui diversi metodi del tradurre, in G. Mo-retto (a cura di), Etica ed ermeneutica, Bibliopolis, Napoli; ripro-dotta in Nergaard (1993)

    Nergaard S. (a cura di) (1993), La teoria della traduzione nella storia, trad. it. di G. B. Bocciol, Strumenti Bompiani, Milano

    Ricoeur P. (2001) La traduzione, a cura di D. Jervolino, Morcelliana, Brescia

  • 1. Determinatezza, indeterminatezza o impossibilit della traduzione?

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    Umberto Eco

    Traduzione. Un problema di pragmatica

    Per chiarire i limiti del mio intervento devo esplicitare il titolo che dovrebbe avere: Pragmatica del rispetto del riferimento nella tradu-zione interlinguistica di opere narrative. Questo spiega subito perch non mi occuper di temi assai cari ai filosofi di area analitica, come la traduzione radicale e la possibilit teorica della traduzione. In proposi-to il mio atteggiamento assai pragmatico, nel senso extratecnico del termine, e mi comporto di solito come il saggio che, per confutare Ze-none, si era messo a camminare.

    Cristiani, ebrei e musulmani fondano tutte o parte delle loro cre-denze religiose sulla Bibbia, e meno del 99% di essi lha mai letta in ebraico. Il resto la conosce in traduzione nelle lingue pi diverse. Cer-tamente gli esegeti si affannano a discutere perch gli Elohim dellinizio siano al plurale e se siano veramente traducibili con Dio, ma certamente milioni e milioni di persone sono daccordo sul fatto che questa entit, singolare o plurale che sia, ha creato il mondo attra-verso un atto di parola (cos come sono daccordo sul fatto che quel dio proibisce di uccidere, che Ges stato crocefisso e Barabba no). In qualche modo misterioso e sgangherato, anche se la sinonimia per-fetta non esiste, quella pratica che si chiama traduzione funziona.

    Parimenti mi occuper solo di scorcio di un problema caro ai se-miotici, e cio la teoria e lanalisi non delle traduzioni interlinguistiche che si fanno nelle case editrici (quando per esempio si traduce un libro dallinglese allitaliano), ma delle cosiddette traduzioni intersemiotiche ovvero trasmutazioni (come a esempio la trasformazione di un roman-zo in film). Nel fare queste analisi molti semiotici hanno ceduto alla tentazione di identificare traduzione con interpretazione e di conse-guenza a considerare non troppo diversi sia i casi di traduzione da lin-gua a lingua che le varie forme di cosiddetta di trasmutazione.

    Lequivoco nato dallinterpretazione letterale di una metafora di Peirce. In accordo con la sua massima pragmatica, per Peirce il si-gnificato di una espressione viene chiarito interpretandola attraverso unaltra espressione tale che tutto ci che segue dalla prima asser-zione ne segua egualmente, e viceversa. Per rendere pi chiaro quello che intende dire, Peirce (CP 4.127) affermava che il significa-to [meaning] dato dalla traduzione di un segno in un altro sistema

  • Umberto Eco

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    di segni. Peirce in quel contesto stava spiegando come il significato di una espressione della fisica come immediate neighborhood (usato nella definizione della velocit di una particella) potesse essere in-terpretata attraverso un diagramma ovvero un grafo. Egli voleva dire che per capire tali processi era utile richiamarsi al processo di tradu-zione (ideale) di una frase da lingua a lingua, in cui si presume o si esige che dallespressione della lingua di arrivo seguano tutte le con-seguenze illative che seguono dallespressione nella lingua dorigine.

    I criteri per valutare le trasmutazioni sono radicalmente diversi da quelli con cui si valuta una traduzione da lingua a lingua. In Moby Dick Melville non ci dice mai quale delle due gambe Achab abbia perduto (e forse voleva rimanere intenzionalmente ambiguo), mentre nella versio-ne cinematografica Huston stato costretto a prendere una decisione e sottrae a Gregory Peck la gamba sinistra. Non diremo che per questo il film tradisca il libro, anzi fa del suo meglio per riferirsi a un personag-gio mutilato e a permettere allo spettatore di trarre da questo infortunio tute le conseguenze illative che Melville voleva traessero i suoi lettori. Ma se io consegnassi a un editore una traduzione di Moby Dick in cui si dice esplicitamente che ad Achab mancava la gamba sinistra, leditore avrebbe il diritto di rifiutare il mio lavoro, perch avrei violato un prin-cipio giuridico in base al quale in una traduzione bisogna rispettare il detto altrui ovvero traduzione discorso indiretto mascherato da di-scorso diretto. La formula metalinguistica implicita a inizio di ogni te-sto tradotto dovrebbe essere: lAutore Tale ha detto nella sua lingua quello che segue. Naturalmente interessante problema giurispruden-ziale stabilire che cosa si intenda per rispetto del detto altrui nel mo-mento in cui si passa da una lingua allaltra, ma giuridicamente pro-vabile che Melville non ha mai detto quale gamba mancasse ad Achab.

    In ogni caso, a questo riguardo, nelle case editrici non si procede secondo il diritto romano, ma secondo una sorta di Common Law, e ci si affida a un uso diventato normativo. Se linferenza fosse, come , una sorta di interpretazione, e ogni interpretazione fosse una traduzio-ne, allora lenunciato Ho dovuto faticare a lungo per convincere i miei genitori a lasciarmi andare a letto dopo le 11 sarebbe una buona traduzione del primo enunciato della Recherche proustiana (Lon-gtemps je me suis couch de bonne heure). Ma certamente un editore rifiuterebbe una traduzione della Recherche che iniziasse in tal modo.

    Un secondo e fondamentale criterio implicito nella valutazione del-le traduzioni editoriali sembra essere il rispetto del riferimento. Sareb-

  • Traduzione. Un problema di pragmatica

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    be traduzione erronea quella che facesse iniziare i Promessi Sposi su un ramo del lago di Garda.

    Si potrebbe obiettare che non tutti i testi che un editore traduce at-tuano necessariamente atti di riferimento. Se prendiamo linizio dellEtica di Spinoza (Per causa sui intelligo id cujus essentia involvit existentiam) trovo una definizione e, apparentemente, non un atto di riferimento. Ma in fondo Spinoza ci sta dicendo che, se per avventura si desse un mondo possibile in cui esiste qualcuno o qualcosa che causa di se stesso, esso andrebbe definito come id cujus essentia in-volvit existentiam. Comunque, anche ammesso che testi come la tavo-la dei logaritmi non costituiscano atti di riferimento, la maggior parte degli altri testi si riferisce a qualcosa, e massimamente i testi narrativi.

    In un testo narrativo si presenta il fenomeno pi simile allideale della designazione rigida che mai si possa concepire, nel senso che Madame Bovary senza ombra di dubbio quella che appare nel se-condo capitolo del romanzo omonimo, e sposa il dottor Charles nel terzo. Dopo di che, per quanti controfattuali possiamo immaginare (cosa sarebbe accaduto se madame Bovary non si fosse avvelenata?), madame Bovary sar sempre quella data persona. Pertanto sarebbe violazione del principio giuridico della traduzione eseguire una tradu-zione da Flaubert dove si dica che Madame Bovary era la moglie del farmacista Homais.

    Tuttavia, se sono condannabili violazioni del riferimento nel corso della traduzione simultanea in un congresso sulle malattie del ricam-bio, vi sono casi in cui, traducendo un testo narrativo (e si noti che an-che la Divina Commedia e A Silvia raccontano pur sempre una storia), lecito attuare alcune calcolate violazioni del riferimento.

    Nel mio libro Dire quasi la stessa cosa ho insistito sul principio che ladeguatezza di una traduzione materia di negoziazione e nego-ziare vuole dire lavorare sulla superficie letterale di un testo salvando-ne il senso profondo.

    Capisco che la nozione di senso profondo possa apparire abbastan-za mistica e indefinibile, ma voglio subito tradurla in termini di teoria testuale. Parto da una definizione canonica dei formalisti russi e ricor-do che in un testo occorre anzitutto individuare la differenza tra fabula e intreccio. La fabula dellOdissea dice che Ulisse abbandona Troia in fiamme e si perde coi suoi compagni nel mare, incontra strane popola-zioni, discende agli inferi, sfugge alle Sirene, cade prigioniero di Ca-lipso, poi riprende il mare, naufraga tra i Feaci, racconta ad Alcinoo la sua storia, quindi salpa verso Itaca dove sconfigge i Proci. Ma

  • Umberto Eco

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    lintreccio dell'Odissea ben diverso. Essa inizia in medias res, quan-do Ulisse sfugge da Calipso, naufraga tra i Feaci e solo a quel punto (canto ottavo, dove inizia un lungo flash back) racconta la sua storia. Al canto tredicesimo il testo ci riporta al tempo del canto ottavo, e U-lisse salpa verso Itaca.

    Ora, uno dei principi giuridici sottintesi della traduzione editoriale che la traduzione dovrebbe rispettare sia la fabula che lintreccio. Una trasmutazione cinematografica potrebbe mutare lintreccio, ini-ziando nel momento in cui Ulisse lascia Troia in fiamme, ma una tra-duzione dellOdissea dal greco allitaliano deve rispettare la struttura omerica a flash back.

    Un testo per non ha solo fabula e intreccio: ha anche quello che chiameremo discorso, ovvero la sua superficie lineare linguistica che comporta anche caratteristiche stilistiche. Consideriamo per esempio un limerick di Edward Lear:

    There was an Old Man of Peru who watched his wife making a stew; But once by mistake In a stove she did bake That unfortunate man of Peru. A parte le difficolt di mutare lintreccio di questo testo, non ne

    considereremmo traduzione adeguata una parafrasi che rispetti peral-tro la fabula, come: cera una volta un vecchio abitante probabilmen-te a Lima che guardava sua moglie mentre preparava lo stufato; ma un giorno per errore la moglie ha messo in cottura quello sfortunato ve-gliardo nato nel paese del Machu Pichu.

    Tenteremmo piuttosto una versione che in qualche modo ricuperi il metro e la rima del testo, come:

    Cera una volta un Vecchio del Per a cui sua moglie faceva il rag; ma per errore, quella, se lo fece un d in padella, quellinfelice Vecchio del Per. Si noter che per salvare lo stile questa traduzione muta la fabula:

    uno stufato non un rag e una stufa o fornello non sono una padella. Inoltre si perde laspetto un poco voyeuristico della storia perch il vecchio non si diletta (forse con reazioni erotiche) a guardare la mo-glie che cucina. E tuttavia un editore sceglierebbe sempre questa tra-

  • Traduzione. Un problema di pragmatica

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    duzione contro la parafrasi precedente. Segno che talora si pu nego-ziare la perdita di alcuni aspetti della fabula ai fini di salvare alcuni aspetti stilistici.

    Si considerino I promessi sposi. Ammesso che una traduzione deb-ba rispettarne la fabula, e che la vicenda non dovrebbe svolgersi sul lago di Garda, a una buona traduzione delle prime due pagine potreb-be essere perdonata la svista per cui il ramo del lago di Como anzich volgere a mezzogiorno volgesse a occidente (oserei dire che il tradut-tore avrebbe il diritto di operare questo piccolo cambiamento se inter-venissero nella sua lingua esigenze di ritmo tanto le idee di un letto-re americano o ungherese sul Lago di Como saranno tanto vaghe quanto le nostre sul Walden Pond o sul lago Balaton). Ma il traduttore dovrebbe porre attenzione (come purtroppo non avviene in certe tra-duzioni del romanzo) che tutti i periodi delle prime due pagine duras-sero almeno una dozzina di righe, perch il senso profondo del roman-zo non consiste solo nella sequenza dei fatti che racconta, ma anche nella lentezza della scansione descrittiva (eventi e ambienti sono visti con lo sguardo lento e indulgente della Provvidenza, vera protagonista della storia).

    Se si deve avanzare una ipotesi sul senso profondo di un testo, allo-ra prima di tradurre occorre interpretare, con tutte le alee che qualsiasi atto interpretativo comporta. Negoziare perdite e guadagni vuole dire decidere quale sia il senso profondo che si vuole salvare anche a sca-pito del senso letterale.

    Nel mio libro citavo il caso delle istruzioni che avevo dato ai tradut-

    tori del mio romanzo Lisola del giorno prima, circa un passo dove il protagonista descrive i coralli delloceano Pacifico. Un particolare stili-stico che mi aveva posto notevoli problemi lessicali che, dovendo nominare diverse sfumature dello stesso colore, egli non poteva ripetere pi volte termini come rosso o carminio, o color geranio, ma dove-va variare attraverso luso di sinonimi. E questo anche per lesigenza re-torica di creare delle ipotiposi, ovvero per dare al lettore limpressione visiva di una immensa quantit di colori diversi, attraverso luso di una grande quantit di parole, e dunque di suoni diversi.

    Non era detto che loperazione potesse riuscire facilmente in qualsiasi lingua, perch l dove litaliano ha, poniamo, dieci sinonimi per le varie tonalit di rosso, unaltra lingua pu averne soltanto otto. Pertanto ho in-vitato i traduttori, quando non avessero avuto abbastanza sinonimi per lo stesso colore, a cambiare liberamente di tinta. Non era importante che un

  • Umberto Eco

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    dato corallo fosse rosso o giallo (nei mari del Pacifico si possono trovare coralli di tutti i colori), ma che lo stesso termine non occorresse due volte nello stesso contesto, e che il lettore (come il personaggio) fosse coinvol-to nellesperienza di una straordinaria variet cromatica (suggerita da una variet lessicale). Solo cos la traduzione poteva ricreare limpressione che il testo originale voleva produrre sul lettore.

    Se in un romanzo un personaggio sciocco fa un gioco di parole in-sulso intraducibile, una volta deciso che il senso profondo del testo mostrare quanto il personaggio sia insulso, allora si pu cambiare gio-co di parole pur di renderne evidente linsulsaggine. Vediamo la tra-duzione italiana di Alice nei paesi dei numeri di Feff Noon (Frassinelli 1999), di Maria Teresa Marengo.

    Recita dunque un dialogo del romanzo: Oh, mi sento cos ostracizzato!. Ti senti ridotto a unostrica? chiese Alice. Per niente! grid Ramshackle, Sono i serpenti ad aver cacciato la testa nel-la sabbia, non io!. Chiarito che in quel romanzo i serpenti erano gi stati menzionati,

    e mettevano la testa nella sabbia, perch il personaggio, per negare di essere unostrica, lascia capire che le ostriche cacciano la testa nella sabbia? Ora, per errata che una traduzione sia, possibile riconoscere il testo che essa pretende tradurre; perch leggendo un testo il lettore cerca di immaginarsi un mondo, e non solo nel mondo in cui viviamo, ma presumibilmente anche in quello di quella storia, le ostriche non nascondono la testa nella sabbia.

    Anche senza controllare sulloriginale inglese, viene subito in men-te che un animale che caccia la testa nella sabbia lo struzzo, e che in inglese struzzo si dice ostrich. Evidentemente il testo originale, con la parola ostracism, evocava degli struzzi e non delle ostriche, da cui la ragionevolezza della risposta, e cio io non sono uno struzzo e quindi non metto la testa nella sabbia.

    O la traduttrice ha commesso una svista e ha tradotto ostrich con ostrica, oppure, visto che in italiano non vi sono rapporti paronomasti-ci tra ostracismo e struzzo, ha cercato di mantenere il gioco di parole sostituendo lostrica allo struzzo; ma in entrambi i casi non si resa conto che la sua soluzione non quadrava col resto del dialogo.

    Per mantenere il gioco di parole e rendere per sensata la risposta dellinterlocutore, io avrei reso cos questo scambio dialogico:

  • Traduzione. Un problema di pragmatica

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    Oh, ma il vostro ostruzionismo!. Ti senti ridotto a uno struzzo? chiese Alice. Per niente! grid Ramshackle, Sono i serpenti ad aver cacciato la testa nel-la sabbia, non io!. Nei tre esempi che ho proposto vengono violati i riferimenti del te-

    sto originale: nel limerick di Lear il vecchio muore in padella anzich nel forno, nel mio romanzo il testo originale diceva che un tale aveva visto un corallo rosso e la traduzione dice che aveva visto un corallo giallo, e nella storia di Alice loriginale diceva che un certo personag-gio si riteneva vittima di un ostracismo mentre nella traduzione si ri-tiene vittima di ostruzionismo.

    Eppure queste tre violazioni del riferimento a livello della superfi-cie linguistica servono proprio a rendere evidente ci che lautore vo-leva che il lettore intendesse o quale effetto stilistico volesse fargli percepire.

    Ecco invece un caso in cui la violazione del riferimento, che sem-brava peccato veniale in una trasmutazione cinematografica di Moby Dick, deforma il senso profondo del testo trasmutato. Nella versione filmica che Luchino Visconti ha tratto da La Morte a Venezia, A-schenbach un musicista nevrotico ed estenuato e non (come nel ro-manzo) un critico appassionato di arte greca, di solida estrazione bor-ghese. Questa violazione del riferimento cambia il senso della vicenda perch Mann raccontava la tragedia di un esteta winkelmanniano che, platonicamente innamorato della bellezza dei corpi della scultura gre-ca, entrava in crisi di fronte alla scoperta della propria omosessualit (comprendendo che il suo sogno ideale era in realt pulsione carnale). Con un musicista decadente, che tra laltro dirige Mahler, la storia di-venta unaltra. Eppure, se per rendere visivamente evidenti le tenta-zioni estetistiche di Aschenbach, Visconti avesse trovato pi comodo farlo diventare un direttore di un museo di arte classica, mostrandoce-lo mentre passeggia estasiato tra le sue statue, avrebbe egualmente violato il riferimento, ma noi avremmo considerato la sua trasposizio-ne pi rispondente allo spirito profondo del romanzo.

    Quando leggiamo una storia, e proprio ai fini sia di una memoria a

    breve che a lungo termine (senza le quali non riusciremmo a vivere lesperienza della lettura in modo continuativo, o a ricordare dopo che cosa abbiamo letto senza ripeterlo a memoria verbatim), noi conti-nuamente riassumiamo le proposizioni che appaiono nella superficie lineare del testo in macroproposizioni di primo grado, e queste in ma-

  • Umberto Eco

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    croproposizioni di grado superiore, e cos via in termini di generalit sempre maggiore. Per tornare ai Promessi sposi, alcune pagine del primo capitolo possono essere riassunte dalla macroproposizione sul-le rive del lago di Como don Abbondio, curato pavido, incontra due bravacci che gli impongono di non celebrare un matrimonio. Dopo una serie di capitoli siamo in grado di elaborare la macroproposizione Renzo e Lucia, fidanzati buoni e casti, non possono sposarsi perch un signorotto arrogante concupisce Lucia e la fa rapire. Alla fine del romanzo potremmo ricordarlo (come accade a molti) solo attraverso la macroproposizione due fidanzati non possono sposarsi per le mene di un signorotto arrogante e dei suoi amici, ma alla fine la provvidenza punisce (o illumina) i malvagi e premia i buoni. Anche se qualche maligno potrebbe dire che questa macroproposizione ricorda un poco la battuta di Woody Allen ho letto Guerra e pace col metodo del quick reading. Parla della Russia, essa dopotutto coglie abbastanza bene il senso profondo del romanzo come epopea della Provvidenza se questa linterpretazione che se ne pu dare, e abbiamo detto che ogni interpretazione comporta sempre unalea.

    Se le macroproposizioni sono cos incassate (o incassabili), a quale livello il traduttore autorizzato a cambiare una storia superficiale per preservarne una profonda? Credo che ogni testo consenta risposte di-verse, ed sulla base di tali decisioni interpretative che si gioca la par-tita della fedelt. Il senso comune suggerisce che nellIsola del gior-no prima i traduttori potevano cambiare Roberto vede un corallo rosso in Roberto vede un corallo giallo proprio per salvare la macroproposizione Roberto estasiato dalla immensa variet di colori dei coralli dei mari del Sud, ma certamente non avrebbero potuto far nulla che impedisse di riconoscere la iper-macropropozione finale, Roberto fa naufragio su un vascello deserto di fronte a unisola che si trova al di l del 180 meridiano.

    Quindi si pu cambiare il riferimento di una singola frase per pre-servare il senso della macroproposizione che immediatamente la rias-sume, e non il senso delle macroproposizioni a pi alto livello. Ma che dire di tante macroproposizioni di livello intermedio? Non c regola, e la soluzione va negoziata caso per caso. Sulla base dellefficacia di questa negoziazione si pronuncia il giudizio su una traduzione.

    Vorrei ora fare un esempio che dice quanto talora sia grave violare

    il riferimento anche per quanto concerne microproposizioni di primo livello, perch proprio l che si installa il senso profondo della storia

  • Traduzione. Un problema di pragmatica

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    o almeno uno dei sensi che, senza essere n surface n deep, sono tuttavia shallow.

    Tutti sappiamo che ne Il conte di Montecristo Edmond Dants in-contra nel castello dIf labate Faria, che prima di morire gli trasmette il suo vasto sapere e gli rivela lesistenza di un favoloso tesoro. legitti-mo tradurre dal francese abb Faria con abate Faria? In termini lessi-cografici no. In italiano un abate il superiore di un monastero, mentre un sacerdote secolare volgarmente un prete, se appellato con deferen-za un Reverendo, e confidenzialmente un Don. Invece in francese un abb pu essere sia il superiore di un monastero che un membro del cle-ro secolare. Per indicare un prete noi diciamo don Rossi mentre i fran-cesi dicono labb Dupont (e dicono Dom solo a un benedettino).

    Potremmo tradurre Il conte di Montecristo parlando di don Fa-ria? Credo che lappellativo risulterebbe ridicolo e ridurrebbe il pre-stigio del vecchio e venerabile sacerdote. Perch? Perch per calco dal francese tute le traduzioni ottocentesche del romanzo parlavano di a-bate Faria, perch come abate il personaggio entrato nellimmaginario collettivo, persino come protagonista di rifacimenti burleschi (si vedano I quattro moschettieri di Nizza e Morbelli e le fi-gurine Perugina, e la breve apparizione dellabate ne I due orfanelli con Tot). Perch i personaggi di romanzo, quando sono fortunati, so-pravvivono anche al di fuori del testo che li aveva messi in scena (co-me don Chisciotte, Cappuccetto Rosso, Gargantua e don Abbondio, tanto che diventano esempi di antonomasia vossianica). Pertanto labate Faria ormai anche per un lettore italiano labate Faria, e tale deve restare. E questo ci dice quanto nella negoziazione traduttoria si debba tenere conto non solo del testo e del co-testo, ma talora anche della storia delle traduzioni precedenti.

    Ora, se esaminiamo la traduzione del Montecristo (di Emilio Fran-ceschini) pubblicata dalla BUR nel 1998, si vede che l labate Faria viene chiamato soltanto Faria. Quando nel capitolo XIV lispettore vi-sita il castello viene informato che esiste un detenuto pazzo e lo si de-signa come abb Faria. La traduzione dice semplicemente Faria. Quando nel capitolo XVI Faria si presenta a Dants e dice Je suis labb Faria, la traduzione dice Io sono Faria. Quando Dants gli chiede Ntes-vous pas le prtre quon croit malade? la traduzio-ne recita: Non siete voi malato?.

    Come elemento di curiosit dir che nelledizione 2003 del Monte-cristo negli Oscar Mondadori, lo stesso traduttore restituisce allabate ogni sua dignit ecclesiastica, e il testo italiano (che peraltro in vari punti

  • Umberto Eco

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    viola il principio giuridico tagliando vari passaggi giudicati forse noiosi o scarsamente comprensibili al lettore italiano) parla di nuovo di abate.

    Per quali ragioni questo traduttore, nella prima versione, abbia lai-cizzato il povero abate, mi ignoto. Per pregiudizio anticlericale? Mi pare una spiegazione ridicola. Forse aveva avvertito la difficolt di rendere abb con don, e aveva deciso di scavalcare questo ostacolo imbarazzante.

    cos importante che Faria sia un abate e non un laico? A parte che la dignit sacerdotale rende Faria venerabile per Dants, e ne sot-tolinea la funzione paterna (la lezione di Faria trasforma lingenuo marinaio Dants nel sofisticatissimo conte che diventer), era fonda-mentale per Dumas mettere in scena la figura dellabate cospiratore, probabilmente massone, tipica dellepoca (ancora oggi nelle nostre campagne i vecchi dicono che i preti erano tutti massoni e battevano la fisica, per dire che si davano a sedute spiritiche). Un Faria ridotto allo stato laicale meno rappresentativo delle vicende ottocentesche e forse, senza il ricordo dellabate Faria, Dants non avrebbe dato inizio alla propria vendetta sotto le spoglie di un abate Busoni.

    E dunque essenziale (se non per cogliere il senso finale del Mon-tecristo, vorrei dire la sua immoralissima morale, almeno per capirne alcuni dei meccanismi importanti) che Faria sia abate, e la prima tra-duzione, violando un riferimento apparentemente superficiale, tradiva il senso del testo.

    Il concetto di negoziazione centrale nelle mie riflessioni sulla tra-

    duzione, ma qui vorrei ricordare che non vi sono arrivato solo rifletten-do sulla traduzione. Si potrebbero rileggere i miei scritti semiotici, al-meno dalla critica al concetto medievale di definizione in Semiotica e fi-losofia del linguaggio del 1984, sino al mio Kant e lornitorinco del 1997, per vedere come per me un principio di negoziazione operi quan-do cerchiamo di dare forma al mondo attraverso definizioni e tassono-mie, quando cerchiamo di interpretare metafore, quando intendiamo ri-solvere i problemi della cosiddetta imperscrutabilit del riferimento.

    Ma su questo non voglio e non posso intrattenervi oggi. Volevo soltanto suggerire ai posteri (se sarete cos gentili da far circolare il messaggio) di riconoscere una certa qual coerenza teorica nel mio per-corso intellettuale.

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    Marco Santambrogio

    Traduzione e pensieri

    Non fare unaffermazione particolarmente impegnativa dire che il compito di un buon traduttore quello di trovare, per ciascun enuncia-to del testo da tradurre, un altro enunciato che esprima lo stesso pen-siero del primo. Anzi, finch non si dice che cosa sia un pensiero e-spresso da un enunciato, quellaffermazione non solo non impegna-tiva, ma in pratica non dice quasi niente. Quando per si cerca di pre-cisare che cosa sia un pensiero e per farlo si ricorre, come abituale nella filosofia del linguaggio contemporanea, alla nozione di proposi-zione o a qualcuna delle molte nozioni di proposizione attualmente disponibili nella letteratura quellaffermazione risulta falsa. Prima di cercare di dire qualcosa di pi impegnativo sui rapporti tra la tradu-zione e i pensieri, cercher di chiarire questo punto che, senza essere proprio nuovo, spesso ignorato.

    Per semplificare le cose, invece di considerare due lingue diverse e

    una traduzione dalluna allaltra, mi limiter a ununica lingua. Conti-nua ad avere perfettamente senso parlare di traduzione anche in questo caso: non c impropriet nel dire che un enunciato (o una enuncia-zione1) di una lingua traduzione di un enunciato (o di una enuncia-zione) della stessa lingua. Come ha osservato Quine, la traduzione comincia a casa propria.

    Le enunciazioni in particolare le enunciazioni assertive hanno

    sempre luogo in un contesto. Sono fatte da un parlante che si rivolge a uno o pi ascoltatori, in un certo luogo e in un certo istante di tempo, in una certa situazione, e cos via. Le enunciazioni possono essere classificate in molti modi diversi, la maggior parte dei quali sono completamente privi di interesse da un punto di vista generale, cio dal punto di vista di una teoria generale del significato, della traduzio-ne e cos via. invece utile classificarle ad esempio sulla base dei modi di metterle per iscritto, come potrebbe fare uno stenografo. Lo stenografo fa uso di un certo numero di convenzioni che gli consento-

    1 Uso i termini enunciato ed enunciazione nel senso rispettivamente di senten-

    ce e utterance. Limportanza della distinzione risulter evidente in seguito.

  • Marco Santambrogio 12

    no di ignorare, in quanto irrilevanti, una quantit di caratteristiche del-le enunciazioni la pronuncia, lenfasi, le pause eccetera. Il risultato una segmentazione in enunciati e in singole parole, secondo regole che sono indubbiamente difficili da specificare. Supponiamo che ci siano date in qualche modo le trascrizioni di tutte le unit minime di enunciazioni che sono suscettibili di una valutazione per quanto ri-guarda la verit o la falsit. Relativamente a un insieme di regole di trascrizione, abbiamo allora una partizione di tutte le enunciazioni in classi di equivalenza, che possiamo chiamare enunciati. Due enun-ciazioni appartengono allo stesso enunciato se una stessa trascrizione pu rappresentarle entrambe. Ad esempio, se Anna e Biba, due tenni-ste impegnate una contro laltra in una stessa partita, affermano en-trambe Io vincer, le loro rispettive enunciazioni appartengono allo stesso enunciato.

    Ripartire le enunciazioni in enunciati, modulare la relazione di

    ammettere la stessa trascrizione, utile a molti scopi. Proprio perch le loro enunciazioni sono abbastanza simili da appartenere allo stesso enunciato, Anna e Biba probabilmente condividono un certo numero di atteggiamenti psicologici. Naturalmente le loro enunciazioni diffe-riscono anche sotto molti altri aspetti. Ad esempio, tuttal pi una sola di esse pu risultare vera.

    Esistono molte altre somiglianze interessanti tra enunciazioni. Ad

    esempio, se Anna dice, indicando un pesce, Questa una spigola e Biba, indicando lo stesso pesce, dice Questo un branzino, le loro enunciazioni sono simili da un certo punto di vista, anche se non ap-partengono allo stesso enunciato. Ad esempio, esse hanno necessaria-mente lo stesso valore di verit. Ma tra loro si assomigliano di pi di quanto si assomiglino 2+2 = 4 e Ogni numero ha ununica scomposi-zione in numeri primi, le quali pure sono necessariamente equivalenti. Tanto per dirne una, i parlanti competenti dellitaliano generalmente2 sanno che le due enunciazioni di Anna e Biba sono necessariamente equivalenti, mentre non sanno che lo sono le due enunciazioni mate-matiche. Abbiamo qui un altro criterio di ripartizione in classi di equi-valenza della classe di tutte le enunciazioni.

    2 Sapere che branzini e spigole sono gli stessi pesci non una condizione necessa-

    ria per essere parlanti pienamente competenti dellitaliano. O almeno non sembra che lo sia.

  • Traduzione e pensieri 13

    In che cosa consiste la somiglianza tra unenunciazione di

    (a) Giorgio Napolitano sta (ora) per essere eletto presi-dente

    pronunciata da Cecilia il 10 maggio 2006, e unenunciazione di

    (b) Giorgio Napolitano stava (allora) per essere eletto pre-

    sidente

    pronunciata oggi dalla stessa Cecilia, in un contesto che rende chiaro che allora si riferisce al 10 maggio 2006? Queste due enunciazioni sono abbastanza simili perch si possa dire che Cecilia ha espresso lo stesso pensiero il 10 maggio 2006 e oggi e anche perch da (c) e (d) insieme si possa concludere validamente (e):

    (c) Il 10 maggio 2006 Cecilia pensava che Giorgio Napo-

    litano stesse per essere eletto presidente (d) Oggi Cecilia pensa che il 10 maggio 2006 Giorgio

    Napolitano stesse per essere eletto presidente (e) Cecilia ha avuto lo stesso pensiero il 10 maggio 2006

    e oggi Si tratta di stabilire in che cosa consista la somiglianza tra (a) e (b)

    e se tale somiglianza possa essere rappresentata nei termini di una classe di equivalenza a cui entrambe appartengono. incontrovertibile che (a) e (b) stiano tra loro nella stessa relazione in cui stanno tra loro

    (f) Oggi una bella giornata

    pronunciata un certo giorno, e

    (g) Ieri era una bella giornata

    pronunciata il giorno successivo. Anche a proposito di questultima cop-pia di enunciazioni, Frege dice che esse esprimono lo stesso pensiero.

    Se si vuol dire oggi la stessa cosa espressa ieri usando la parola og-

    gi, bisogna sostituire questa parola con ieri. Anche se il pensiero lo stesso, la sua espressione verbale deve essere diversa, in modo da rista-bilire il senso, che risentirebbe altrimenti della differenza tra i momenti

  • Marco Santambrogio 14

    dellenunciazione. La stessa cosa vale per parole come qui e l. In tutti questi casi la semplice espressione verbale, quale registrata per iscritto, non costituisce unespressione completa del pensiero il quale, per essere appreso correttamente, richiede che si conoscano certe condi-zioni che accompagnano lenunciazione, le quali sono usate come mez-zi per lespressione del pensiero. Intervengono qui anche le indicazioni col dito, i gesti delle mani, gli sguardi. Le stesse enunciazioni che con-tengono la parola io esprimono pensieri diversi in bocca a persone di-verse, alcuni dei quali possono essere veri e altri falsi3.

    Ma possiamo dire di sapere come Frege pensava di sapere in

    che cosa consiste un pensiero? Molti filosofi oggi pensano di s: dico-no che due enunciazioni esprimono lo stesso pensiero se hanno lo stesso valore cognitivo e cio se e solo se nessun parlante che sia competente della lingua in cui sono espresse le due enunciazioni e che sappia in quali contesti esse siano state pronunciate, potrebbe mai cre-dere che solo una di esse, ma non laltra, sia vera. Pu darsi che questa sia una condizione sufficiente, ma di sicuro non sembra essere una condizione necessaria. In primo luogo, discutibile che tutti i parlanti competenti credano che Questo un branzino e Questa una spi-gola abbiano lo stesso valore di verit, anche se di fatto esse dovreb-bero avere lo stesso valore cognitivo ed esprimere lo stesso pensiero: branzino e spigola sono perfettamente sinonimi. In secondo luogo, tuttaltro che ovvio che un parlante competente debba sapere che han-no lo stesso valore di verit due enunciazioni di Paderewski ha talen-to musicale, anche se sicuro che esse esprimono lo stesso pensiero in italiano, preso come lingua pubblica4.

    Inoltre, proprio vero che qualunque parlante competente che sappia

    in quali contesti sono state pronunciate (f) e (g) deve anche sapere che esse sono o entrambe vere o entrambe false? Sembra proprio di no. Sup-poniamo che Delia sia lautrice di entrambe le enunciazioni. Delia ricor-da perfettamente di averle fatte e ricorda anche in quali circostanze ha fatto luna e laltra: in entrambe le occasioni stava lavorando come ma-schera in un cinema dal mattino alla sera, senza poter dare uno sguardo al cielo. Inoltre capita ogni tanto a Delia di perdere la nozione del tempo: pur ricordando perfettamente un certo evento passato, non riesce a collo-

    3 Frege (1997). 4 Lesempio di Paderewski dovuto a Kripke (1988).

  • Traduzione e pensieri 15

    carlo esattamente rispetto al presente. Non sa quanti giorni o settimane siano trascorse. Questo non ci autorizza a dire che la competenza lingui-stica di Delia risulti menomata. Dunque Delia, che capisce perfettamente (f) e (g) e sa in quali contesti sono state emesse, pu non sapere che esse o sono entrambe vere o sono entrambe false. Eppure (f) e (g) hanno lo stesso valore cognitivo ed esprimono lo stesso pensiero.

    Non basta. C unaltra considerazione che a me sembra rilevante a

    questo punto. Immaginiamo che Emma abbia pensato, sette anni fa, il 10 maggio 1999, Giorgio Napolitano sta per essere eletto presiden-te. (Questo avveniva prima che si formasse una larga maggioranza a favore di Carlo Azeglio Ciampi). E poi, di nuovo, Emma ha pensato Giorgio Napolitano sta per essere eletto presidente il 10 maggio 2006. Esiste indubbiamente un senso in cui si pu dire che Emma ha pensato la stessa cosa, o ha avuto lo stesso pensiero, a distanza di sette anni. Ha pensato infatti che lelezione di Napolitano fosse imminente relativamente allistante di tempo in cui essa stessa si trovava. vero che essa si trovava in due istanti di tempo diversi ed anche vero che di fatto era falso che Napolitano stesse per essere eletto la prima volta che lei lo ha pensato e che era invece vero la seconda, come sappiamo. Questo non impedisce che si possa dire con verit che Emma ha avuto due volte lo stesso pensiero. Si confronti il caso di Emma con questaltro: Federica ha affermato il 10 maggio 1999, ed era sincera, Si dovrebbe fare qualcosa per salvare la foresta amazzonica e oggi afferma e pensa la stessa cosa. Domanda: che cosa afferma e pensa oggi Federica? Esistono due risposte, entrambe corrette:

    (h) Che si sarebbe dovuto fare qualcosa nel 1999 per salvare la foresta amazzonica (i) Che si dovrebbe fare qualcosa (oggi) per salvare la foresta amazzonica In entrambi casi sarebbe corretto dire che Federica non ha cambia-

    to idea in questi sette anni: ha fatto due volte la stessa affermazione e ha avuto due volte lo stesso pensiero. Si confrontino i casi di Emma e di Federica con quello del folle Heimson che pensa di essere Hume e afferma Io sono Hume5. Anche Hume pensa di essere Hume e dice

    5 Il caso di Heimson stato a lungo discusso nella letteratura, tra gli altri da John

    Perry, da David Lewis, da Robert Stalnaker.

  • Marco Santambrogio 16

    Io sono Hume. Indubbiamente esiste un senso in cui Heimson e Hume dicono e pensano due cose diverse, tanto vero che solo uno tra loro due dice e pensa una cosa vera. Sono diverse le persone di cui pensano quello che pensano: Heimson lo pensa di Heimson, Hume lo pensa di Hume. Tuttavia esiste anche un senso in cui i due pensano la stessa cosa. Questo senso, in cui Heimson e Hume pensano la stessa cosa, si dice de se6. Heimson e Hume pensano entrambi di se stessi di essere Hume. I casi di Emma e di Federica sono del tutto analoghi: in entrambe le occasioni in cui hanno pensato la stessa cosa, esse hanno avuto un pensiero de se, e cio hanno attribuito a se stesse una stessa cosa. Emma ha attribuito a se stessa per due volte la propriet di tro-varsi in un istante di tempo in cui era imminente lelezione di Giorgio Napolitano; Federica ha attribuito a se stessa per due volte la propriet di trovarsi in un istante di tempo in cui era doveroso fare qualcosa per salvare la foresta amazzonica.

    Ma se siamo daccordo che Heimson e Hume hanno lo stesso pen-

    siero, e cos pure Emma nel 1999 e Emma nel 2006 (e lo stesso per Federica), allora di certo la condizione che si pensava fosse necessaria e sufficiente perch due enunciazioni avessero lo stesso contenuto co-gnitivo ed esprimessero lo stesso pensiero non n necessaria n suf-ficiente. Un parlante competente pu essere a conoscenza delle affer-mazioni di Heimson e di Hume (rispettivamente di Emma e di Federi-ca) e sapere da chi e in quali contesti sono state emesse e tuttavia non credere che entrambe siano vere e pu avere anche ragione.

    Siamo dunque ancora alla ricerca di una condizione necessaria e

    sufficiente per dire quando due enunciazioni esprimono lo stesso pen-siero. Se si ammette come a me sembra che si debba fare che Heimson e Hume hanno lo stesso pensiero, e cos pure Emma nel

    6 Lewis afferma a chiare lettere che Heimson e Hume pensano la stessa cosa, in un senso di la stessa cosa: indubbiamente vero in un certo senso che Heimson non crede quello che credeva Hume. Ma sarebbe bene che ci fosse anche un senso importante e centrale in cui Heimson e Hume credono la stessa cosa. Tanto per cominciare, il predica-to crede di essere Hume si applica a entrambi allo stesso modo: Heimson crede di es-sere Hume e Hume crede di essere Hume. Non dite che sto equivocando e che quello che vero solo che Heimson crede che lui (Heimson) Hume mentre Hume crede che lui (Hume) Hume. Tutti credono che Hume sia Hume, ma non vero che ciascuno creda che lui lui stesso sia Hume. C un vero e proprio predicato univoco, che com-pare ad esempio in Non tutti credono di essere Hume ed questo il predicato che si applica allo stesso modo a Heimson e a Hume, in Lewis (1979), p. 142.

  • Traduzione e pensieri 17

    1999 e Emma nel 2006, e Federica nel 1999 e Federica nel 2006, allo-ra di sicuro non pu essere condizione n necessaria n sufficiente perch due enunciazioni esprimano lo stesso pensiero che esista ununica proposizione che espressa da entrambe. Non importa qui come si debba intendere la nozione di proposizione. Di questa nozione esistono nella letteratura moltissime versioni diverse: ci sono i sensi degli enunciati di Frege, gli insiemi di mondi possibili, le proposizioni strutturate, quelle russelliane, quelle diagonali, quelle russelliane an-notate e molte altre. Esiste un largo consenso oggi tra i filosofi che nessuna di queste riesce a rappresentare il pensiero che Heimson e Hume, ad esempio, hanno in comune. Del resto, abbastanza ovvio che, se Heimson e Hume pensano la stessa cosa e tuttavia quello che pensa Heimson falso e quello che pensa Hume vero, allora il loro pensiero non pu essere rappresentato da una proposizione, se si prende una proposizione come qualcosa che assegna a ciascuna cir-costanza o mondo possibile (di cui Heimson e Hume fanno entrambi parte) un unico valore di verit.

    Per trovare un suggerimento su unaltra possibile caratterizzazione

    delle somiglianze rispettivamente tra (a) e (b), tra (f) e (g) e tra (h) e (i), possiamo rivolgerci ancora a Frege e pi precisamente alla sua os-servazione nella citazione riportata qui sopra, per cui le circostanze che accompagnano una enunciazione sono usate come mezzi per e-sprimere il pensiero. Quando due parlanti si avvalgono di mezzi di-versi per esprimere i propri pensieri (che pu essere lo stesso pensiero per entrambi) ci di cui essi hanno bisogno per comunicare una tra-duzione. Il caso prototipico di traduzione ovviamente quello che si ha tra due lingue diverse, ma evidentemente lidea espressa da Frege nel passo citato che anche le enunciazioni di parlanti di una stessa lingua che sono collocati in punti diversi del tempo e dello spazio hanno bisogno di una traduzione. Perch due enunciazioni esprimano uno stesso pensiero esse devono essere luna traduzione dellaltra. Dellaffermazione inversa non ragionevole dubitare: due enuncia-zioni qualsiasi, di cui si possa dire che una traduzione dellaltra, e-sprimono lo stesso pensiero. Che altro scopo potrebbe avere una tra-duzione, se non cercasse di esprimere in due modi diversi lo stesso pensiero? Se mettiamo insieme le due cose, abbiamo che condizione necessaria e sufficiente perch due enunciazioni esprimano lo stesso pensiero che luna sia traduzione dellaltra, cio che stiano nella re-lazione di traduzione. Si osservi che stiamo parlando qui di traduzione

  • Marco Santambrogio 18

    di enunciazioni, cio di occorrenze di enunciati pronunciati in un con-testo e non di tipi di enunciati. evidente che una nozione percorribile di traduzione non pu essere limitata solo ai testi scritti, dove si pu immaginare, almeno in prima approssimazione, che la maggior parte degli enunciati siano usati in un unico contesto relativamente stabile: dobbiamo saper tradurre anche le c