profili di personalità e fragilità dell'io

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Ciò che una persona “è” non sempre corrisponde a ciò che “manifesta”, ovvero non sempre le persone riescono a mettere a frutto i loro talenti, le loro potenzialità. Questo libro mostra quali limiti psicologici possono impedire a una persona di tirar fuori, in modo pieno e appagante, il proprio potenziale creativo. In esso vengono descritte le fragilità dell’Io che fanno da ostacolo alla completa e autentica espressione delle possibilità intellettive, relazionali e produttive di una persona, evidenziando quali paure, insicurezze, inibizioni si celano dietro a queste mancate realizzazioni, quali eventi personali storici hanno determinato tali fragilità e cosa fare per migliorare le proprie performance. Il testo, frutto di approfondimenti dell’autrice, si rivolge a un pubblico vario. Al lettore generico off re opportunità di autoanalisi e di individuazione di soluzioni, allo specialista la possibilità di criteri diagnostici di facile applicazione e rapida individuazione.

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Punti di Vista

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Sabrina D’Amanti

Profili di Personalità e Fragilità dell’Io

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Prima Edizione: 2015

ISBN 9788898037865© 2015 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare

Psiconline® Srl66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/ATel. 085 817699 - Fax 085 9432764Sito web: www.edizioni-psiconline.ite-mail: [email protected]

Psiconline - psicologia e psicologi in retesito web: www.psiconline.itemail: [email protected]

I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’in-serimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi.

Finito di stampare nel mese di novembre 2015 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psi-conline® Srl)

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A Lucia

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INDICE

Presentazione

Lo sviluppo della personalità e dell’autostima IntroduzioneAspetti costitutivi dell’autostimaLe sottoautostimeFattori di base dell’autostimaEsperienze precoci e autostimaLe esperienze fatte nel primo anno di vitaLa comparsa del linguaggioLe prime esperienze fuori casaL’autostima secondo l’approccio analitico transa-zionaleLe convinzioni di copione

Le autostime specifi che IntroduzioneL’essereIl fareLe esperienze successiveL’importanza dei riconoscimenti.Aspetti affettivi dello sviluppo: costanza d’oggetto e immagine di séStili di attaccamento e autostima

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Autostima sana e autostima patologicaL’autostima sanaL’autostima bassaL’autostima alta ma fragileEffetti dell’autostima inadeguata

L’autostima fragile I profi li dell’autostima fragileI timidiGli inibiti Gli insicuriGli arrabbiatiI sognatoriI delusiGli insoddisfatti e i frustratiI depressiI grandiosiI passivi Gli ansiosiI solitariGli scapoli (I tipo).Gli scapoli (II tipo)I dipendentiGli invidiosi I gelosiI competitiviGli scalatori di montagneI workaholic (Dipendenti dal lavoro)I sospettosiI vendicativiI permalosi

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PROFILI DI PERSONALITÀ E FRAGILITÀ DELL’IO

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I compiacentiI remissiviI seduttoriColoro che sempre rimandano o lasciano le opere incompiuteGli indecisi

Migliorare l’autostimaAutostima sana o positivaL’autoconsapevolezzaAutoconsapevolezza sull’essereAutoconsapevolezza sul fareAmpliare l’autoconsapevolezza per migliorare l’au-tostimaEsplorazione delle proprie attitudiniAccettazione dei propri limiti e difettiSviluppare un rapporto positivo con l’erroreVerifi ca di cause esterne e cause interne (locus of control)Dialogo interno e autostimaCambiare le convinzioni di copioneLe gratifi cazioni

Conclusione

Appendice Considerazioni sull’invidia

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PRESENTAZIONE

Questo libro prende spunto dalla proposta di una mia pazien-te che un giorno, in occasione dell’uscita del mio primo lavoro, mi disse: «Ne dovresti scrivere uno sull’autostima».

Quel giorno lei si lamentò della diffi coltà a ottenere ascolto dal fi glio, disse che lo vedeva poco autonomo nonostante ormai maggiorenne, poco determinato e poco attivo nella sua vita in genere.

Attribuì, il rifi uto del fi glio ad ascoltare i sui suggerimenti, alle grosse insicurezze che gli facevano preferire la rinuncia e la passività all’attivismo e al cambiamento verso cui lei lo sprona-va. Attribuì alla mancanza di fi ducia nelle sue possibilità l’aver abbandonato precocemente gli studi, la rinuncia a cercarsi un lavoro remunerativo, l’accontentarsi di lavorare per un guada-gno minimo con il padre, dal quale lei si era separata dieci anni prima. Descrisse il comportamento del fi glio come silenzioso, poco comunicativo, intollerante alla frustrazione, impacciato nelle relazioni. Mi disse infi ne che diffi cilmente il fi glio avrebbe accettato di iniziare una psicoterapia, ma che magari un libro sull’autostima lo avrebbe letto più facilmente.

Le osservazioni che lei fece molto probabilmente erano cor-rette, in effetti una fragile autostima può indurre alla passività, alla rinuncia, alla non progettualità, all’accontentarsi, all’ada-giarsi. Lo scopo di questo libro è mostrare i vari modi in cui si manifestano le fragilità dell’Io ed evidenziare quali accadimenti

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del percorso psicoevolutivo conducono ad essi.Le problematiche dell’autostima sono l’aspetto preponderan-

te di molti disagi psichici, basta pensare che in molte condizio-ni depressive o ansiogene l’autostima inadeguata è l’elemento attorno a cui si struttura l’intero disturbo. Disturbo depressivo e disturbo d’ansia in questi casi diventano la manifestazione fe-nomenica di una struttura difettosa dell’autostima, vale a dire la manifestazione sintomatologica (emotiva e comportamentale) di elementi strutturali interni relativi all’autostima (aspetti intrap-sichici).

La presenza così massiva di fragilità dell’autostima come causa primaria o elemento collaterale a molti disturbi psicolo-gici è la ragione per cui ho voluto affrontare l’argomento in un libro.

Questo libro oltre a mostrare le varie forme in cui può mani-festarsi un’autostima inadeguata mostrerà anche quale percorso conduce a un’autostima sana e quali cambiamenti realizzare per migliorarla quando è fragile o inadeguata.

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LO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ E DELL’AUTOSTIMA

IntroduzioneL’autostima è la valutazione che ciascuna persona fa di se

stessa e comprende sia il giudizio complessivo da essa formu-lato rispetto al proprio valore, sia il giudizio specifi co formula-to su ogni singolo settore autovalutativo. Chiamiamo la prima autostima globale ovvero l’apprezzamento generale che una persona riconosce a se stessa e la seconda, autostima specifi ca, cioè quanto apprezzamento essa riconosce ai singoli elementi che la riguardano, tra cui, carattere, abilità, capacità, posizione socio-economica, aspetto fi sico, ecc.

L’autostima globale non sempre corrisponde alla somma o alla media delle autostime specifi che, questo spiega perché alcu-ne persone, pur conseguendo successi in vari settori e pur avendo molte autostime specifi che buone, sono affl itte da un fondamen-tale e generale disprezzo per se stesse; altre invece, pur avendo molto autostime specifi che piuttosto mediocri, vanno abbastan-za fi ere di sé. Causa di ciò è il peso che ciascuna persona assegna ad ogni settore, così che quanto più importante è riconosciuto un dato ambito, tanto più la corrispondente autostima specifi ca in-fl uirà sull’autostima globale. Un brillante attore che attribuisca poco valore a questo lavoro e che ritenga di assai più prestigio

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un altro tipo di impiego, non solo trarrà poco benefi cio dai sui successi per la propria autostima globale, ma è assai probabile che persino si disprezzi per il lavoro che fa.

A volte la differenza fra autostima globale e autostima speci-fi ca emerge in modo sorprendente. Si pensi a quelle persone di cui per lungo tempo si è avuto l’impressione che avessero una complessiva buona stima di sé, che improvvisamente esprimono profonda insicurezza su un ambito o comportamento e a come questo sorprenda perché in contrasto con il loro abituale modo di affrontare le cose con fi ducia.

Allo stesso modo, soggetti che perlopiù esprimono timore e sfi ducia in se stessi, su ristretti ambiti, possono imprevedibil-mente tirar fuori sicurezza e determinazione. Questi fatti mostra-no come l’autostima globale possa differire da quelle specifi che e viceversa e così pure i comportamenti a cui esse conducono.

Aspetti costitutivi dell’autostimaPer farsi un’idea di cosa l’autostima sia, può essere d’aiu-

to fare riferimento al contributo sull’argomento dato da James nella famosa opera Principi di psicologia (1890). In quell’opera egli defi nì l’autostima come il rapporto fra il Sé percepito e il Sé ideale, ovvero come il risultato ottenuto da tale confronto. Indi-cò il Sé percepito come corrispondente alla percezione che una persona ha di se stessa e al valore che essa attribuisce alle singo-le caratteristiche che la riguarda e il Sé ideale come corrispon-dente all’immagine del tipo di persona che essa vorrebbe essere.

Secondo questo autore, la persona il cui Sé percepito non rag-giunge il livello del Sé ideale, sperimenta inevitabilmente una bassa autostima. Quindi egli indicò nel divario, tra come una persona vede se stessa e come vorrebbe essere, un buon indica-tore del livello di soddisfazione di se stessi.

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Le teorie più recenti indicano l’autostima come il prodotto del confronto tra informazioni oggettive e soggettive provenien-ti da tre tipi di sé:

1. Il Sé reale, ovvero l’immagine di sé proveniente dalla va-lutazione oggettiva delle proprie caratteristiche e compe-tenze.

2. Il Sé percepito, ovvero l’immagine di sé proveniente dal modo in cui le proprie caratteristiche e competenze ven-gono percepite. La percezione di proprie caratteristiche e competenze può corrispondere a come esse sono ve-ramente nella realtà oppure esprimere una sovrastima o sottostima di esse. Quando la percezione è adeguata, Sé reale e Sé percepito coincidono, quando invece aspetti di sé vengono percepiti in modo distorto, cioè in modo non corrispondenti alla realtà, il Sé reale presenta alcune la-cune rispetto a quegli aspetti e il Sé percepito vicarierà su tali carenze con i propri errori valutativi alterando l’im-magine che la persona ha di se stessa.

3. Il Sé ideale, ovvero l’immagine fantasticata di sé, quella che racchiude le caratteristiche che la persona crede che dovrebbe avere per risultare gradita a se stessa e agli altri. In essa sono contenuti quegli elementi a cui attribuisce valore la società, la cultura a cui si appartiene, i mass me-dia, la pubblicità, l’età e simili e ne è un derivato.

A volte in psicoterapia si interviene su uno o l’altro di questi ambiti o, andando per gradi, su più di uno di essi.

1. Si interviene sul Sé reale quando il paziente si blocca rispetto all’uso del proprio potenziale, pur aspirando al conseguimento di determinati obiettivi. In questi casi l’intento è incoraggiarlo all’uso del proprio potenziale al

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fi ne di conseguire gli obiettivi desiderati.2. Si interviene sul Sé percepito quando il paziente tende a

svalutare aspetti di sé nella realtà migliori di come egli li vede. In questo caso l’intento è condurlo a un giudizio obiettivo di proprie caratteristiche, competenze e poten-zialità, basato sull’esame di realtà che contrasta le sue ra-dicate convinzioni negative e i suoi severi giudizi.

3. Si interviene sul Sé ideale quando il paziente esprime il desiderio di raggiungere obiettivi per lui eccessivi. In questi casi l’intervento ha l’intento di aiutarlo a ridimen-sionare tali pretese, poiché irrealistico pensare di raggiun-gerle.

Le sottoautostime

Come esaminato nel paragrafo precedente l’autostima non è da intendere come un aspetto monolitico della persona, ma come una caratteristica multifattoriale della personalità. Come già vi-sto, appare più corretto pensare l’autostima come il prodotto di varie sottoautostime o autostime specifi che piuttosto che come un concetto univoco.

L’autostima globale o autostima complessiva è il frutto dell’unione delle varie autostime specifi che.

Le autostime specifi che o sottoautostime che compongono l’autostima globale si riferiscono ai molteplici aspetti che carat-terizzano una persona e appartengono ai seguenti ambiti:

• Carattere: si riferisce ai vari aspetti del carattere e al valo-re ad essi attribuito.

• Attitudini: si riferisce al riconoscimento delle proprie po-tenzialità.

• Conoscenze: si riferisce a ciò che si ritiene di sapere in senso teorico.

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• Competenze: si riferisce al saper fare, cioè a cosa e a come si sa fare.

• Relazioni: si riferisce alle abilità in ambito relazionale e al grado di successo che, tramite queste, si consegue.

• Posizione economico-sociale: si riferisce sia alla ricchez-za posseduta, che al ceto sociale a cui si appartiene.

• Aspetto fi sico: si riferisce sia all’aspetto esteriore, che alla prestanza fi sica.

Nella costruzione dell’autostima, ciascun ambito, come os-servato nel paragrafo precedente, verrà infl uenzato da dati og-gettivi (Sé reale), da percezioni soggettive (Sé percepito) e da aspirazioni immaginifi che (Sé ideale).

Un altro fattore che infl uenza l’autostima, condizionandola in senso positivo o negativo, è il contesto esterno.

I contesti da cui l’autostima può essere condizionata sono i seguenti:

• Contesto Sociale: questo contesto si riferisce alle relazio-ni sociali nelle quali una persona può trovarsi coinvolta in modo transitorio o prolungato e a come queste esperienze vengono vissute.

• Contesto Scolastico o Lavorativo: gli aspetti dell’autosti-ma che possono essere condizionati da questi due conte-sti, sono quelli riguardanti abilità, conoscenze, competen-ze e relazioni.

• Contesto Familiare: si riferisce a come vengono vissute le relazioni familiari e agli effetti che esse hanno sull’au-tostima.

Può accadere che una persona, in base al contesto nel quale si trova, abbia differente percezione di proprie abilità e caratteristi-

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che, se non ha un’immagine interna stabile di se stessa. In questi casi mostrerà per esempio maggiore insicurezza nei contesti a lei meno familiari o che avverte come ostili e poco accoglien-ti e si sentirà più fi duciosa nelle proprie possibilità e ottimista rispetto alle possibilità di successo, in contesti che sente come accoglienti e meno ostili.

Fattori di base dell’autostima Esistono tre fattori di base, al tempo stesso costitutivi e orga-

nizzativi, dell’autostima di una persona:• il temperamento (DNA);• le infl uenze ambientali;• il libero arbitrio (le interpretazioni liberamente date ai fat-

ti dal bambino).

Le loro peculiari caratteristiche e il loro interagire e reciproco infl uenzarsi nell’arco di tempo che va dalla nascita all’età adulta, determineranno il tipo di autostima che una persona svilupperà.

L’autostima quindi non è una componente genetica ricevuta per via ereditaria, ma il frutto di un processo interattivo lungo, che inizia fi n dai primi istanti di vita, che coinvolge la relazione con l’ambiente e che, tassello dopo tassello, conduce alla forma defi nitiva che di essa è possibile osservare nell’adulto.

La stima che una persona ha di sé è il risultato delle acquisi-zioni maturate sul proprio conto nel corso delle esperienze avve-nute durante la crescita (fattore ambientale), con il contributo di due fattori appartenenti al soggetto: il temperamento e il libero arbitrio.

Il temperamento è da intendere come la carica psicoenergeti-ca di cui si è dotati alla nascita. In base a tale forza o energia una persona sarà più o meno predisposta verso dinamismo, vitalità,

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creatività, calma, irruenza, ma il modo in cui essa userà tale ca-rica, cioè se a fi ni produttivi o improduttivi o se la esprimerà o reprimerà, dipenderà dal tipo di esperienze ambientali che farà e da come le interpreterà.

Il terzo elemento che infl uenza in modo consistente l’auto-stima è la facoltà che ciascun bambino ha di interpretare i fatti che gli accadono e che lo vedono coinvolto. Ciò vuol dire che la medesima esperienza potrà avere su di lui un effetto negativo e persino bloccante o, al contrario, nessun effetto inibente a secon-da del signifi cato che ad essa attribuirà.

Non sempre il bambino è in grado di interpretare in modo adeguato quel che osserva, a volte, a causa di questa sua diffi col-tà, ne esaspera il senso aggravandolo, altre volte invece, grazie alla libertà di scelta di cui è comunque dotato, riesce a rifi utare, non facendoli propri, messaggi negativi provenienti dagli adulti che, se egli accettasse, sarebbero limitanti. Sebbene un bambino non subisca passivamente la realtà che lo circonda e possieda grandi opportunità di salvarsi rispetto a molti messaggi negativi che riceve, per molti altri, alcuni perché fraintesi altri perché ef-fettivamente per lui dannosi, questo non accade e fi niscono per condizionarne negativamente l’autostima.

Esperienze precoci e autostima

Il bambino comincia a costruire la stima di sé già dal pri-mo saluto che riceve venendo al mondo. Si pensi per esempio quanto questo possa essere diverso a seconda che egli trovi ad accoglierlo una mamma sorridente che, non curante del dolore appena provato, affabile lo riceve tra le braccia, oppure l’inquie-to distacco di una mamma che ha deciso di non tenerlo, che im-mobile lo vede passare sotto gli occhi, essere preso da una nurse e proseguire il suo viaggio verso l’affi damento o l’adozione. Nel

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primo caso il saluto è caloroso, nel secondo è freddo e rifi utante. Fra questi due estremi vi sono infi nite varianti: la mamma

ancora inesperta che non sa come salutarlo; la mamma già al se-condo fi glio che avrebbe preferito che questo non fosse arrivato; la mamma da anni in crisi nel rapporto con papà, che può offrir-gli solo la tristezza che ha nel cuore; la mamma orfana o fi glia adottiva, che non ha dentro l’immagine di come lei fu salutata la prima volta; la mamma depressa; la mamma tossicodipendente; la mamma psicotica e così via.

Il primo saluto ricevuto lo informa sul posto in cui è arrivato e sulle persone che ha trovato ad aspettarlo. A seconda dei casi, il posto potrà risultargli accogliente e confortevole, freddo e sco-modo; le braccia e le voci di chi lo circonda calde e armoniose, rigide e stridule. Il suo apparato percettivo è ancora troppo rudi-mentale e quindi gli consente di cogliere solo grezze sensazioni, ma adatte a donargli conforto o ad allarmarlo.

Il secondo incontro con la mamma avviene dopo qualche ora, quando l’infermiera lo riporta dalla nursery (sala con le culle dove vengono tenuti i neonati), per essere allattato. Questo è il momento del suo primo saluto con il seno.

La natura umana che è in lui lo ha predisposto a trovare il capezzolo dal quale ciucciare, quindi non occorre che lo si aiuti a fare ciò, basta appoggiarlo al seno e da solo egli esplorerà e troverà la strada per raggiungerlo. Se la madre ha la pazienza di aspettare e gli concede il tempo che gli serve, senza preoccu-parsene, egli arriverà alla meta. A volte però il bambino prende più tempo del previsto, questo perché appena nati la sensazione di fame è assente e ogni bimbo la prova con tempi propri. Così che, messo davanti al capezzolo può accadere che non mostri alcun interesse a ciucciare. Se la madre accetterà con serenità il

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suo rifi uto, l’equilibrio del bambino non verrà turbato. Tale agi-re rappresenterà per lui il riconoscimento del diritto a sentire il proprio corpo e ad agire in risposta a ciò che esso gli comunica.

Ma se la madre interpreterà come inappropriato il rifi uto del seno da parte del fi glio, si metterà in allarme, perderà la sua se-renità e con il suo comportamento fi nirà col turbare anche l’e-quilibrio del piccolo. Preoccupata di un bisogno di nutrimento che è solo una sua supposizione, visto che il bambino sta mani-festando intenzioni opposte, tenterà di forzarlo all’allattamento. Costretto, il bambino si adatterà e malvolentieri proverà a ciuc-ciare, ma essendo ancora assente il bisogno di nutrimento pre-sto smetterà, cosa che preoccuperà ulteriormente la madre. Da questo momento in poi i tentativi di lei si potranno susseguire con affanno e con un crescente turbamento proprio e del piccolo.

Il loro dialogo è praticamente iniziato male. La madre gli dice: «Su dai, mangia», ma non ascolta la risposta: «Non ho an-cora fame».

Nei casi più fortunati la mancata sintonia tra il bisogno di nu-trimento del piccolo e la condotta di allattamento della madre si risolve in poco tempo. La madre si sintonizzerà sul bisogno del bambino e risponderà ad esso solo quando è necessario. A vol-te però tale mancata sintonia permane, questo soprattutto se la madre è così preoccupata di non essere all’altezza del ruolo, da fi nire col trovarsi troppo concentrata sul compito, che vuole far bene, ma non sul piccolo che è il destinatario del compito stesso.

I ripetuti rifi uti del seno da parte di lui porteranno a un cer-to punto ai primi commenti: «È pigro», «Ciuccia, ma si stanca subito e smette», «Se non lo stimolassi, non mangerebbe mai». In realtà il bambino non cerca mai la poppata perché, ricevendo il latte sempre prima di quando ne avrebbe bisogno, fi nisce con

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l’attutire la sensazione di fame che non viene mai veramente percepita. Il fatto di essere nutrito quando non ne ha voglia, lo disorienta rispetto alla percezione di questo bisogno, tanto che col tempo fi nisce col percepirlo male, in maniera confusa e di-storta.

Il ripetersi di queste esperienze, quali sensazioni genererà nel bambino? E da tali sensazioni quali proto-pensieri1 proverranno?

Egli proverà disagio, stordimento, si sentirà frastornato e in-dotto a far qualcosa controvoglia. Il ripetersi di queste esperien-ze e il conseguente disagio che esse producono potranno indurlo a proto-pensieri negativi su di sé e/o su chi lo accudisce. Nel primo caso interpreterà l’agire di chi di lui si prende cura come dovuto al fatto che in lui c’è qualcosa che non va. Riterrà di non andar bene così com’è e che per tale ragione lo si forza a fare delle cose che egli invece non farebbe. Questi proto-pensieri po-tranno fare da premessa a successive convinzioni del tipo “Non vado bene”, “Sono inadeguato”, “Sono sbagliato”. Nel secondo caso potrà ritenere inadeguato, non se stesso, ma chi di lui si prende cura, visto il disagio che da tali cure riceve. In un terzo caso infi ne potrà pensare che egli non è adeguato, ma che nep-pure chi lo accudisce lo è.

Ovviamente i proto-pensieri del bambino non sono così niti-di come qua vengono riportati, essi sono piuttosto da intendere come pensieri vagamente delineati, molto più vicini alle sensa-zioni corporee che non al linguaggio e la cui manifestazione può essere colta da espressioni facciali di fastidio, insofferenza, da coliche, insonnie, pianti.

1 I proto-pensieri sono pensieri rudimentali, frutto delle sensazioni esperite che appartengono alla fase precedente allo sviluppo del pensiero vero e proprio, che si sviluppa solo dopo la comparsa del linguaggio (Bion, 1967).

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Questo primo approccio con la vita avvierà il bambino ver-so quel processo che lo porterà a farsi l’idea di chi egli sia, di come gli altri lo considerano, di come gli altri siano e di come è il posto nel quale è arrivato. Naturalmente, da questo momento in poi farà molte altre esperienze e da esse trarrà sempre più in-formazioni su chi egli sia e su come gli altri lo vedono. Queste esperienze, combinate al corredo genetico ereditato, lo porteran-no a costruire la sua personalità e la sua autostima.

Mentre il comportamento descritto sopra è tipico di una ma-dre ansiosa che teme di non riuscire a rispondere in maniera adeguata ai bisogni del fi glio e che, troppo concentrata su cosa tocchi a lei fare, perde di vista ciò di cui il bambino ha bisogno, è simmetrico a questo il comportamento della madre che serena-mente riceve il proprio bambino per il secondo saluto.

In questo caso sul suo viso c’è un’espressione rilassata, così come sono rilassate la sua voce e le braccia su cui lo tiene. Egli sentirà le braccia di lei come morbide e confortevoli, ricono-scerà la sua voce2 e inizierà a familiarizzare con il suo profumo. Quando lei lo accosterà al seno, se ne sentirà il bisogno, così come madre natura lo ha predisposto a fare, si muoverà in cerca del capezzolo e quando lo troverà inizierà a ciucciare.

Tutti gli stimoli percepiti produrranno in lui sensazioni piace-voli e positive: il corpo caldo di mamma, la sua voce, il suo pro-fumo, il colostro (primo latte). Egli si sentirà in sintonia con lei e lei lo sarà con lui. Questo riscontro positivo avrà un buon effetto sulla sua psiche e sulla struttura nascente della sua autostima.

Un altro tipo di esperienza è quella che il bambino può fare con una madre distaccata. In questo caso la madre non mostra

2 È stato dimostrato che già dopo poche ore dalla nascita i bambini piccoli sono in grado di distinguere la voce della mamma rispetto a quella di altre donne.

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né particolari ansie, né particolare trasporto affettivo. La sua responsività ai bisogno del piccolo può variare, fi no a risultare adeguata come risposta al bisogno fi sico, ma fredda sul piano affettivo. Quanto meno ella è disponibile sia a soddisfare il bi-sogno fi sico che quello affettivo, tanto più egli soffrirà. La sen-sazione che da tale contatto ricaverà sarà di disinteresse o in-differenza nei suoi confronti e i proto-pensieri che farà saranno corrispondenti a questa sensazione.

Il tipo di rapporto avviato con il seno, nel tempo andrà a con-solidarsi e con esso anche tutte le considerazioni che il bambino da esso trarrà sul proprio conto e sul conto della mamma.

Le esperienze fatte nel primo anno di vitaOltre al cibo, il bambino molto piccolo ha solo due altre ne-

cessità: quella di dormire e quella di essere cambiato quando si sporca.

Nei primi mesi di vita egli trascorre la gran parte del tempo dormendo, così che non avrà molti contatti con chi lo circonda. Una delle funzioni del sonno è favorire la maturazione del cer-vello, il cui sviluppo prosegue per oltre due anni dopo la nascita. Nel sonno si producono ormoni fondamentali per la sua crescita e si consolidano informazioni ricevute durante lo stato di veglia.

Perché egli possa dormire serenamente e rimanere addor-mentato occorre che chi lo circonda non disturbi tale stato. Non sempre però la madre, o chi di lui si prende cura, accetta questo distacco.

Se chi lo accudisce, per il piacere di tenerlo in braccio o per diffi coltà a separarsi da lui nelle ore di sonno, lo abitua a stare in braccio, egli dormirà poco e male. Abituato in questo modo, quando si proverà a metterlo nella culla per farlo dormire, av-vertendo come diversa la posizione in cui si trova, si sveglierà

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e con il proprio pianto chiederà di tornare nella posizione in cui stava prima.

Un altro modo per disturbare il sonno del bambino può es-sere avvicinarsi a lui continuamente e toccarlo per verifi care se sta dormendo. Anche in questo caso la ragione di tale agire può essere la diffi coltà a separarsi da lui nel tempo in cui dorme o l’estrema ansia che egli possa svegliarsi o star male mentre è addormentato. Questo comportamento, come quello del caso precedente, altera il ritmo sonnoveglia del piccolo e lo porta ad avvertire le cure che riceve come non adeguate, con conseguenti considerazioni negative su di sé e/o su chi di lui si prende cura.

Se invece la madre, o chi lo accudisce, accetterà che egli si separi da lei per dormire, senza interferire con tale necessità, né disturbarlo mentre dorme, egli sentirà che il suo bisogno è stato accettato ed anche lui come persona.

Il sonno è un momento di separazione che è importante che il bambino avverta come accettato e autorizzato dalla madre, af-fi nché se ne possa separare serenamente.

Un altro momento nel quale egli verifi ca il modo in cui vie-ne accudito, è durante il cambio del pannolino. In questo caso noterà se lo si fa con solerzia, cura, dedizione oppure con indif-ferenza, freddezza, insofferenza, in ritardo, facendolo soffrire e quindi piangere. Poiché tali cure gli mostreranno quanto amore, dedizione e disponibilità si ha per lui, egli le interpreterà come segno di quanto importate sia per chi lo circonda.

Man mano che le sue capacità percettive miglioreranno, il bambino riuscirà a distinguere meglio le persone che gli sono vicine e cosa accade intorno a lui. Nel corso del primo anno di vita egli avrà occasione di fare molte esperienze, di verifi care il modo in cui gli altri si rapportano a lui e di farsi molte idee su tali realtà.

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La comparsa del linguaggioLa prima forma di linguaggio del bambino è il pianto. Intorno ai due mesi oltre al pianto compare un altro tipo di

suono: i vocalizzi, riproduzioni del suono delle vocali. A sei mesi compare la lallazione che consiste nella riprodu-

zione di suoni simili a sillabe.La frequenza e la vivacità con cui tali comportamenti si ma-

nifestano dipende direttamente dal benessere del bambino, a sua volta correlato alla qualità delle relazioni che vive. Da tali com-portamenti possiamo quindi in parte inferire come sta proceden-do la costruzione della sua autostima. Un bambino che sta bene con se stesso, con gli altri e con la realtà che lo circonda, sarà vivace, attivo, propositivo e questo è indizio di costruzione di una stima positiva di sé.

Intorno al primo anno di vita pronuncia le prime parole e ver-so i diciotto mesi comincia ad esprimersi con olofrasi3.

Man mano che cresce la produzione linguistica si va via via complessifi cando e arricchendo della presenza di verbi, avverbi e aggettivi. In tale processo la comprensione è sempre superio-re alla produzione, cioè il bambino molto piccolo è in grado di comprendere molte più parole e frasi di quelle che è in grado di riprodurre.

Con la comparsa del linguaggio, dai proto-pensieri si passa ai pensieri veri e propri. Gli aggettivi che chi lo circonda userà su di lui gli daranno un’idea di come le persone lo vedono. Gli altri gli fanno da specchio e lui tenderà a vedere se stesso nel modo in cui loro lo vedono e a giudicarsi come loro lo giudicano. In altre parole ciò che chi lo circonda pensa di lui, cioè l’immagine

3 Si chiama olofrase la frase composta da una sola parola, ma con la quale un bambino esprime il concetto di una frase intera.

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che di lui gli rimanda, diventa pian piano l’immagine che egli stesso si fa di sé.

Man mano che il suo linguaggio si sviluppa, le persone sem-pre più gli si rivolgono facendo uso della parola. La parola diven-ta il mezzo per chiamarlo, coccolarlo, consolarlo, ammonirlo, ammansirlo, rimproverarlo, correggerlo, istruirlo, incoraggiarlo, stopparlo, educarlo. E per ognuno di questi messaggi egli otterrà due tipi di informazioni quella relativa al contenuto, cioè corri-spondente a ciò che gli si chiede o gli si dice, e quella di rela-zione, riferita cioè a come lo si vede, a cosa da lui ci si aspetta, a quanta stima di lui si ha.

In parte queste informazioni lo modelleranno e spesso fi nirà con l’accettarle anche quando non sono né calzanti, né veritiere. Un bambino infatti, diffi cilmente ha la possibilità di contesta-re le caratteriste che gli vengono attribuite, questo perché di se stesso non ha altra consapevolezza se non quella che gli provie-ne dalle defi nizioni che gli altri gli danno. Anche quando egli contesti e si arrabbi rispetto a una defi nizione o aggettivo rite-nuto non veritiero e infamante, nel suo animo rimane il segno di quanto ha sentito dire e se nel tempo, in modo implicito o esplicito, tali concetti gli vengono ribaditi, sarà per lui diffi cile respingerli internamente poiché la parola dell’adulto ha un peso assai superiore alla sua.

Riuscirà a contestare le osservazioni ricevute, senza che lo turbino e gli lascino segni, solo se queste sono in netto contrasto con quanto, fi no a quel momento, su di sé ha imparato e se ha maturato una buona considerazione di se stesso, così da ricono-scersi il diritto di respingere ciò che di ingiusto gli viene detto o fatto.

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Le prime esperienze fuori casaIl primo confronto che il bambino vive fuori casa avviene in-

torno ai sette, otto mesi, periodo in cui fa ingresso all’asilo nido, esperienza oggi sempre più frequente e più precoce. A quell’e-poca egli ha già varie idee rudimentali su di sé, sugli altri e su come la realtà sia. Entrando al nido porta con sé tali consapevo-lezze e non ha, e non può avere, aspettative differenti rispetto a ciò che già sa.

In questo contesto egli ricaverà nuove informazioni su come gli altri lo vedono e lo trattano, molte proverranno dalle intera-zioni con le maestre, altre da quelle con i coetanei.

Non dissimile è ciò che avverrà con l’ingresso alla scuola per l’infanzia. La differenza in questo caso è solo l’età. A quel pun-to, essendo un po’ più cresciuto, il suo linguaggio sarà più ricco e così pure gli schemi relazionali e di interazione.

In entrambi i casi, dal rapporto con le insegnanti ricaverà informazioni su come lo vedono, sulle capacità che gli ricono-scono, sulla simpatia che provano per lui e sull’affetto che gli danno. Dal rapporto con i coetanei ricaverà impressioni sulla simpatia che suscita in loro, sul piacere che loro hanno a stargli vicino o a giocare con lui, su quali sue caratteristiche e compor-tamenti apprezzano e quali no.

In altri termini le informazioni che in questi contesti ricaverà riguarderanno caratteristiche come intelligenza, attitudini, capa-cità, abilità, aspetti del carattere, aspetti fi sici. I giudizi, espliciti o impliciti, che su ciascuna caratteristica riceverà e il modo in cui ad essi reagirà, infl uiranno positivamente o negativamente sulla struttura dell’autostima che sta costruendo.

Egli potrà respingere o accettare il modo in cui gli altri lo trattano e le considerazioni che su di lui fanno, a seconda del grado di sicurezza maturato. Quanto maggiore sarà la sicurezza

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interna, tanto maggiore sarà la possibilità che contesti e respinga le considerazioni denigratorie, diffamanti, ingiuriose, ingiuste. Contemporaneamente, quanto più respingerà questo genere di considerazioni, tanto più gli altri capiranno che con lui non pos-sono permettersi di agire con modo irriguardoso o che le con-siderazioni fatte, e da lui respinte, non sono appropriate e con buona probabilità eviteranno di riproporle.

Come si può vedere, il modo in cui gli altri lo tratteranno in parte dipenderà da ciò che egli permetterà o non permetterà che facciano.

Se però le sue sicurezze interne sono basse, i tentativi per respingere i trattamenti irriguardosi saranno ineffi caci e sebbene esternamente potrà mostrare comportamenti volti a respingere ciò che di improprio gli si dice, internamente riterrà quanto a lui detto veritiero ed egli per primo, di sé, avrà quelle brutte consi-derazioni.

Anche le esperienze che farà alla scuola elementare apporte-ranno informazioni riguardanti gli stessi aspetti di sé sopra esa-minati e anche in questo caso le informazioni ricevute verranno fi ltrate in base a ciò che egli sa già di se stesso. Quindi, se doves-se ricevere considerazioni errate e ingiuste, ma in linea con ciò che di lui è sempre stato detto, non le contesterà.

Le informazioni ricevute da piccoli sono quelle più diffi cili da contestare e una volte assimilate come vere, infl uenzeranno quelle che si otterranno nelle età successive. Così che, le infor-mazioni in linea con ciò che si è capito di se stessi verranno in-camerate, spiacevoli o piacevoli che siano, quelle invece discor-danti con le informazioni di cui si dispone, verranno respinte anche se dovessero essere piacevoli e veritiere.

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L’autostima secondo l’approccio analitico-transazio-nale

In Analisi Transazionale4 vi è un noto concetto teorico che può essere di aiuto nel comprendere come l’autostima si svilup-pi e come condizioni il rapporto con se stessi, con gli altri e con la realtà circostante, è il concetto di Ok-ness o Essere Ok come lo chiamò il suo autore, Thomas Harris.

Secondo questa teorizzazione, alla nascita ciascun bambino si trova nella posizione esistenziale sana “Io sono Ok Tu sei Ok”, tradotto questo concetto signifi ca “Io vado bene e Tu (cioè chi di lui si prende cura) pure”.

A quell’epoca il bambino non ha ragioni per avere altra opi-nione su se stesso e su chi lo accudisce.

Da questo momento in poi però le cose possono cambiare. Se la qualità dell’accudimento è buona, il suo livello di benessere sarà mantenuto ed egli continuerà a ritenere “Ok” se stesso, chi di lui si prende cura e anche la realtà che lo circonda. Se invece la qualità dell’accudimento non è adeguata a garantire in lui uno stato di benessere, egli muterà il suo originario atteggiamento positivo in una delle seguenti tre alternative:

• Io sono Ok-Tu non sei Ok;• Io non sono Ok-Tu sei Ok;• Io non sono Ok-Tu non sei Ok. In altri termini, potrà decidere che il disagio che prova è do-

vuto all’inadeguatezza di chi lo accudisce e ritenere se stesso Ok, ma non chi di lui si prende cura. Potrà ritenere inadeguato se stesso e non chi lo accudisce o infi ne ritenere le pessime cure

4 L’Analisi Transazionale è un modello di psicoterapia nata negli Stati Uniti alla fi ne degli anni ’50 ad opera di Eric Berne, psichiatra e psicoanalista di origine canadese.

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ricevute come conseguenza della sua inadeguatezza e di quella del suo caregiver.

La posizione di base o esistenziale, dice Berne, è decisa in relazione alle esperienze fatte nell’arco di tempo che va da zero a cinque anni e una volta stabilita condizionerà il modo di rap-portarsi a se stessi e agli altri.

In un suo lavoro Ernst5 suggerisce di distinguere, la posizio-ne esistenziale da quella relazionale. Secondo questo autore, ciascuna persona all’interno della relazione potrà assumere uno qualsiasi dei quattro atteggiamenti a seconda delle circostanze interne ed esterne in cui si trova. Ne deriva che se per esempio la posizione esistenziale è “Io non sono Ok-Tu sei Ok”, in talune circostanze il soggetto potrà assumere persino l’atteggiamento relazione opposto e cioè “Io sono Ok-Tu non sei Ok” (posizio-ne relazionale). Dal punto di vista relazionale, afferma Ernst, nell’arco della giornata, ciascuna persona passa continuamente da una posizione all’altra. Quanto maggiore sarà il tempo pas-sato nella posizione relazionale “Io sono Ok-Tu sei Ok”, tanto maggiore sarà il grado di benessere di cui gode una persona, così come quanto minore sarà il tempo trascorso in tale posizione, tanto maggiore sarà il livello di patologia che la caratterizza.

Vi è benessere esistenziale e relazionale solo nella posizione esistenziale “Io sono Ok-Tu sei Ok”.

Le persone che hanno maturato la posizione esistenziale “Io sono Ok-Tu non sei Ok” sono persone che vivono spesso forti sentimenti di rabbia e collera; apparentemente si mostrano for-ti, ma in realtà sono timorose di fi nire nella posizione opposta. Spesso, per conservare una buona stima di se stesse, hanno biso-gno di criticare gli altri, di ridicolizzarli, di rilevare in loro difet-ti, di accusarli di quel che non va. Nei momenti in cui agiscono

5 Un altro autore di Analisi Transazionale.

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in questo modo, vivono l’immagine deturpata degli altri come conferma della loro pretesa superiorità rispetto alle persone che rendono vittime della loro condotta.

Le persone che hanno maturato la posizione esistenziale “Io non sono Ok-Tu sei Ok”, hanno una visione negativa di se stes-si, hanno un umore tendenzialmente depresso, tendono ad esse-re remissive, a farsi sempre troppi scrupoli, a provare senso di colpa, ad essere indecise, incerte, titubanti. Si sentono inferiori rispetto agli altri, si percepiscono come vittime degli altri e della realtà, hanno scarsa fi ducia nelle loro possibilità e la convinzio-ne di non essere apprezzate e amate.

Le persone che hanno maturato la posizione esistenziale “Io non sono Ok-Tu non sei Ok”, sono in assoluto quelle che stanno peggio e che hanno meno fi ducia in se stessi, negli altri e nella vita. Queste persone pensano che nulla di buono potrà loro acca-dere e spesso reagiscono con moti di collera rispetto a quel che gli accade e che li fa soffrire. Poiché hanno scarsa fi ducia nelle loro possibilità, mancano di progettualità e tendono a vivere alla giornata.

Infi ne, le persone che hanno maturato la posizione esistenzia-le “Io sono Ok-Tu sei Ok” solitamente hanno un atteggiamento privo di preconcetti nei confronti di se stesse, degli altri e della vita e questo permette loro di affrontare ogni cosa con atteggia-mento realistico e produttivo. Di fronte alle diffi coltà non entra-no in ansia ritenendo aprioristicamente che non saranno in grado di affrontarle, al contrario fanno ricorso a tutto ciò che può esse-re utile a superare l’impasse. Affrontano con entusiasmo le cose per le quali nutrono interesse, fi duciosi di poter riuscire poiché consapevoli dei loro mezzi. Rispettosi sia di loro stessi che degli altri, tendono ad assumersi solo quegli impegni sui quali hanno la certezza di poterli portare a compimento. Tendono a program-mare i loro impegni e non vivono improvvisando. Sono persone

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di successo perché usano con serenità e consapevolezza il loro potenziale. Nel rapporto con gli altri hanno un atteggiamento di rispetto e adeguato al tipo di relazione che li coinvolge. Non hanno pregiudizi rispetto a chi non conoscono e sono disponibili alla conoscenza, dalla quale ricavano quale atteggiamento usare, di volta in volta, con la persona che vanno conoscendo. La loro comunicazione è di tipo assertivo, cioè tendono ad affermare il loro punto di vista con disponibilità a rivederlo se i fatti dimo-strano che è errato, ma senza imporlo quando invece dimostrano che è corretto e gli altri lo contestano. Così come portano rispet-to agli altri si aspettano e pretendono che gli altri facciano lo stesso con loro. Non usano offendere gratuitamente, ma di fronte all’offesa sanno difendersi.

Le convinzioni di copioneIn Analisi Transazionale si chiamano convinzioni di copione

le opinioni che un bambino si fa su se stesso da piccolo in base al modo in cui viene trattato, accudito e all’affetto e ai giudizi che riceve dai grandi. Se queste esperienze sono negative, saranno negative anche le considerazioni che egli farà su di sé e quindi le conseguenti convinzioni di copione. La convinzione di copione è l’esplicitazione di ciò che è contenuto dentro al concetto più ge-nerale di “Essere Ok” o “Essere non-Ok”. In altri termini, dietro al concetto generale “Io sono Ok” vi sono tutte le considerazioni positive che il bambino fa su di sé, come per esempio “Sono un bravo bambino”, “Di solito capisco quello che mi spiegano”, ecc. Allo stesso modo, dietro al concetto generale “Io non sono Ok”, vi sono tutte le considerazioni negative che il bambino fa di se stesso, ne sono esempi giudizi del tipo “Nessuno mi vuole”, “Non piaccio”, “Non sono amabile” e simili.

Le convinzioni di copione sono distorsioni della realtà perché

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