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04 11 gennaio 24 gennaio 2010 Quindicinale di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore www.magzine.it magzine »» Un Paese di eretici, l’Italia di Goffredo Fofi »» ’ndrangheta Spa, il business di Rosarno »» Giovanni Maria Bellu, il fantasma di Portopalo »» Fotografare la guerra, Zizola punta l’obiettivo »» Prison Valley, dal carcere parte la rivoluzione web doc »» Un Paese di eretici, l’Italia di Goffredo Fofi »» ’ndrangheta Spa, il business di Rosarno »» Giovanni Maria Bellu, il fantasma di Portopalo »» Fotografare la guerra, Zizola punta l’obiettivo »» Prison Valley, dal carcere p a rte la rivoluzione web doc Senza f issa dimora Senza f issa dimora Le difficoltà economiche e l’evoluzione tecnologica hanno trasformato il giornalismo. Oggi sopravvive chi meglio riesce a interpretare il cambiamento. Ma è ancora possibile vivere di informazione? Le difficoltà economiche e l’evoluzione tecnologica hanno trasformato il giornalismo. Oggi sopravvive chi meglio riesce a interpretare il cambiamento. Ma è ancora possibile vivere di informazione?

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mag | zine - La free-press della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica

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0411gennaio

24gennaio2010

Quindicinale di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

www.magzine.it

magzine

»» Un Paese di eretici,l’Italia di Goffredo Fo f i

»» ’ndrangheta Spa,il business di R o s a rn o

»» Giovanni Maria Bellu, il fantasma di Po rt o p a l o

»» Fotografare la guerr a ,Z i zola punta l’obiettivo

»» Prison Va l l ey, dal carcerep a rte la ri voluzione web doc

»» Un Paese di eretici,l’Italia di Goffredo Fo f i

»» ’ndrangheta Spa,il business di R o s a rn o

»» Giovanni Maria Bellu, il fantasma di Po rt o p a l o

»» Fotografare la guerr a ,Z i zola punta l’obiettivo

»» Prison Va l l ey, dal carcerep a rte la ri voluzione web doc

Senza fi s s ad i m o ra

Senza fi s s ad i m o ra

Le difficoltà economiche e l’evoluzione tecnologicahanno trasformato il giornalismo. Oggi sopravvivechi meglio riesce a interpretare il cambiamento.Ma è ancora possibile vivere di informazione?

Le difficoltà economiche e l’evoluzione tecnologicahanno trasformato il giornalismo. Oggi sopravvivechi meglio riesce a interpretare il cambiamento.Ma è ancora possibile vivere di informazione?

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 20102

inchiesta

di Enrico Turcato

Il mercato dell’informazione è chiuso. I g i o rnali taglianoi costi e mandano in pensione i vecchi cro n i s t i . Il va l o redella pubblicità condiziona le assunzioni. I giovani pre c a rifanno informazione senza tutela.Sarà Internet la svo l t a ?

E R C H I S I A F F A C C I A S U L M E R C A T O del lavoro le

prospettive non sono incoraggianti e quelle

future fanno rabbrividire chiunque sogni di

fare il giornalista. «In questo momento - spie-

ga Roberto Natale, presidente della Fede-

razione nazionale della stampa italiana (Fnsi)

- il mercato è praticamente chiuso. Le previsioni future sono criti-

che. Servirebbe una pesante ristrutturazione dell’editoria italiana.

Soprattutto c’è la necessità di riformare l’accesso alla professione.

Non ha senso che in media ogni anno ci siano 1.400 nuovi

giornalisti iscritti all’albo dei professionisti e che meno di

300 provengano dalle scuole di giornalismo. Da dove arri-

vano tutti gli altri? È normale che sia in crescita il numero

dei precari».

A novembre 2009 risultano iscritti all’Ordine dei giornalisti

più di 83mila tra praticanti, pubblicisti e professionisti. Con 19.784

tesserati, la Lombardia è la regione che ne conta di più. Il Molise,

con 447, quella che ne ha di meno. Le posizioni aperte all’Istituto

nazionale di previdenza dei giornalisti (Inpgi) sono, invece, solo

26mila. Dall’indagine Una vita da giornalista precario, s v o l t a

dall’Ordine a fine 2008, emerge che solamente un terzo ha un con-

tratto a tempo indeterminato. I precari sono più di 5mila, mentre

quelli che lavorano e svolgono informazione senza essere minima-

mente disciplinati e tutelati sono 20mila.

«Giorno dopo giorno stanno diminuendo i contratti a tempo

indeterminato, sostituiti da quelli a termine - racconta L o r e n z o

Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine -. Gli edi-

tori stanno riducendo all’osso la presenza in redazione di giornalisti

assunti con contratti a tempo indeterminato e ricorrono in modo

massiccio ai contratti a termine». Gli editori tagliano per contenere

i costi, naturalmente. «Gli investimenti pubblicitari sulla stampa

sono precipitati - osserva Paolo Pozzi, responsabile comunicazio-

ne e stampa dell’Odg Lombardia -. Nel 2008 sono calati del 20%

rispetto al 2007. Nel 2009 di un ulteriore 18% . Èuno scenario pes-

simo. Solo per il secondo trimestre del 2010 è attesa una lenta ripre-

sa. Così, taglio dopo taglio, siamo arrivati a questo punto. In Italia

abbiamo almeno 20mila giornalisti precari».

A un anno dagli Stati generali del-

l’editoria, convocati a Roma nell’ottobre

del 2008, non si intravede ancora un’in-

versione di rotta. «Anche la firma del con-

tratto collettivo di aprile non ha cambiato

le cose - aggiunge Natale -. Se gli editori

non tornano a investire, per il bene del

giornalismo e non solo dei loro interessi,

la crisi non passerà». La crisi dell’infor-

mazione, in ogni caso, è un feno-

meno globale. Per Mario Cala-

b r e s i, direttore de La Stampa,

cresciuto all’Ifg di Milano, la crisi dell’editoria è devastan-

te anche oltre oceano.«Negli Stati Uniti, Washington Post

e New York Times, quotidiani di primo piano, stanno riducendo

il personale a ritmi impressionanti. Uscire dallo stallo è possibile,

ma occorre lavorare per integrare al massimo la versione carta-

cea del giornale con quella online. La formula è obbligata: il sito dà

le notizie, il giornale le approfondisce, la pubblicità investe su

entrambi. Èun intero sistema che va ricostruito».

In questo scenario, chi esce dalle scuole di giornalismo sem-

bra leggermente avvantaggiato. Quelle riconosciute dall’Or-

dine sono 14: tre a Milano, una a Roma, Urbino, Perugia,

Napoli, Sassari, Bologna, Salerno, Padova, Torino, Bari,

Teramo. «Nonostante la crisi dell’editoria, i dati dicono che il 20%

degli assunti annuali arriva dalle scuole di giornalismo - osserva

Pozzi -. Chi ha fatto una scuola inizialmente ha stipendio basso e

collaborazioni saltuarie, ma dispone anche degli strumenti, della

preparazione e della versatilità per essere competitivo nel mercato

del lavoro».

Beppe Lopezda 15 anni studia l’evoluzione del giornalismo

italiano. «In Italia è l’intero sistema dell’informazione che si sta tra-

sformando - spiega -. Il giornalismo è uno dei comparti lavorativi

più colpiti dal cambiamento tecnologico. Con l’introduzione mas-

siccia dell’informatica e dei sistemi di composizione, le redazioni si

ritrovano con il 50% delle persone in più di quelle che effettivamen-

P

Sc r ive reda pre c a r i o

te servirebbero per fare un giornale. Internet ha cambiato tutto. Per

esempio, R e p u b b l i c aha 400 giornalisti, ma ne basterebbero 200

per il quotidiano».

Nelle redazioni è cambiata soprattutto l’organizzazione

del lavoro. Lopez distingue tre fasi storiche. Nella prima

il giornalista faceva tutto, comprese le mansioni artigia-

nali. La seconda, quella attuale, è caratterizza-

ta da specializzazioni sempre più particolari. La redazio-

ne si è divisa in sezioni: c’è chi fa desk e chi scrive. La terza

fase è quella in cui in redazione si farà solo desk e “cucina”

dei pezzi, mentre a scrivere saranno solamente collaborato-

ri esterni. Quelli che oggi sono redattori, inviati, cronisti divente-

ranno collaboratori esterni. E ne risentiranno anche gli stipendi. Il

futuro è fatto di freelance che scrivono per più testate. Insomma,

una marea di precari.

«A precario - corregge Lopez -preferisco il termine f r e e l a n c e.

Comunque sia, i precari oggi sono tali perché

i giornali hanno costi eccessivi, hanno ecces-

sive presenze parassitarie al loro interno. In

realtà avrebbero bisogno di giovani per

aggiornarsi, ma non hanno soldi per assu-

merli. Gli editori dovrebbero svecchiare,

puntando sui nuovi giornalisti. In futuro

avremo molti precari, magari pagati meglio

che in passato, ma senza sicurezze e senza

contratti lunghi. Il mercato editoriale ora

permette solo questo. Se un giovane pensa di

fare il giornalista per avere un lavoro remu-

nerativo e un’occupazione stabile ha sbaglia-

to tutto. La mia generazione era così, oggi no.

Invece se si parla di passione, di interesse per

il giornalismo, il discorso è diverso. Questo

lavoro si fa solo a queste condizioni, altri-

menti è tempo perso».

Internet salverà i giornali o li affosserà definitivamente? « Non

credo aggraverà la loro crisi - conclude Lopez -, ma per quanto riguar-

da l’occupazione abbiamo davanti un periodo molto duro. Per la tele-

visione, invece, è un’altra storia. Anche se tutte le tv hanno troppi

assunti. Ultimamente vanno di moda le produzioni esterne. Sempre

più spesso affidate ai freelance».

Carlo Annese è stato a lungo inviato della Gazzetta dello

S p o r t prima di diventare, a febbraio del 2007, responsabi-

le della redazione Altri Mondi, una novità azzeccata per la

“rosea”. Tre pagine quotidiane dedicate a cronaca, politi-

ca, cultura e spettacolo, per allargare gli orizzonti infor-

mativi del giornale sportivo per eccellenza. Le soluzioni

per superare l’attuale congiuntura, secondo Annese, ci sono: «I

giovani giornalisti devono iniziare a investire su loro stessi - spie-

ga -. Le nuove tecnologie danno infinite possibilità, il blog può

essere lo strumento per farsi notare e imparare il mestiere. Ana-

lizzare, osservare e proporre idee trasforma il blogger in impren-

ditore di se stesso». Il modello è quello dell’Huffington Post, che

ha superato il Washington Post per numero di utenti unici: «Il

fenomeno del giornalismo partecipativo sta avendo successo, ed

è basato sulle notizie che provengono proprio dai blog - osserva

Annese -. Anche se privi di contratto fisso e garanzie, i blogger che

contribuiscono agli aggregatori di news hanno un guadagno

garantito. Ovviamente alla pratica di blogger va abbinato uno stu-

dio specifico per diventare giornalisti».

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 3

In futuro giornali e tivù vivranno di contributi esterni realizzati daifreelance. Saranno servizi pagatibene, ma i contratti sicuri finiranno

Per sap e rne di piùPrima Comunicazione p u bb l i c a

p e riodicamente i dati di diffusione dei

g i o rnali e degli investimenti pubb l i c i t a ri .

Il sito è w w w. p ri m a o n l i n e . i t ; Problemi

d e l l ’ i n f o r m a z i o n e (Il Mulino); B e p p e

L o p e z, G i o rnali e democrazia (Glocal

E d i t ri c e ) ;

O M I N I E D O N N E C H E non fanno

parte del mondo dei media, che

con il proprio lavoro fanno

della loro visione del mondo

una pratica quotidiana: sono

minoranze, ma a loro non importa di esserlo.

Sono queste le “minoranze etiche” che

Goffredo Fofi ha incontrato nella sua vita, e

che secondo lui «salvano questo Paese, perché

le vere rivoluzioni sociali e politiche nascono da

un’esigenza etica di amore per il prossimo».

Vivono coraggiosamente fuori dalla cultu-

ra dominante, eppure sono assolutamente

immerse nella vita collettiva. Non si indignano

solo aderendo a un astratto sistema di pensie-

ro, ma «legano la propria ricerca a una qualche

forma di intervento sociale», come scrive nel

racconto-intervista La vocazione minoritaria,

dove il direttore de Lo straniero ricorda le varie

realtà minoritarie del cattolicesimo sociale,

delle comunità valdesi, ma anche dei gruppi

laici.

Oggi c'è qualcuno che dice “non accet-

to” che agisce in modo auto diretto e se

c'è, quali sono queste minoranze?

L'Italia è un paese strano, dove la cultura

è nata nelle corti. Quei poteri ci hanno sempre

impedito di fare le riforme e per questo di ere-

tici ne abbiamo avuti tanti e continuiamo ad

averne. Questi eretici non sono figure di

punta, “personaggi”. Quando una personalità

viene fagocitata da un sistema di comunicazio-

ne totalmente sballato come il nostro, e diven-

ta “televisione”, “divo”, la sua carica di denun-

cia si spegne. La grande presenza di eretici non

è tanto sul piano culturale, quanto piuttosto sul

piano sociale. L’Italia è strapiena di gruppetti,

associazioni che mimano la democrazia ma

non la fanno: è soltanto un modo per scaricare

solitudine, tensioni, insoddisfazioni personali.

Quindi cosa bisogna fare?

Bisogna cercare quella minoranza di asso-

ciazioni, gruppi e iniziative che sono serie.

Conosco gruppi di preti, miei amici, che agisco-

no in modo straordinario, ma anche gruppi di

studio laici che operano in modo radicale, sen-

sibilizzando le opinioni. Minoranze di questo

tipo impediscono all’Italia di andare a fondo.

Oggi i giovani in Italia hanno ancora la

possibilità di sognare, di concretizzare

delle speranze?

Credo di sì, anche se oggi il sistema peda-

gogico imposto da famiglia e media li condizio-

na molto. Esistono, infatti, migliaia di gruppi

musicali di giovani auto organizzati che inventa-

no le loro canzoni, scrivono la loro musica incu-

ranti degli standard, attraversano la giovinezza

facendo cose che creano loro stessi. Sono giova-

ni vivi e disponibili, lavorano in gruppo, creano

legami. Iniziative che, invece, non si trovano nel

mondo del cinema, molto più individualista.

Una crisi può avere un risvolto positivo

anche a livello culturale?

Non lo so. Siamo afflitti da una maggio-

ranza enorme “eterodiretta” da tv e pubblicità,

dal mercato, dai politici, dalle banche, dalle

mafie. Poi c’è una minoranza vera, seria, che gli

antichi chiamavano “minoranza etica”, che

inserisce un elemento di contraddizione per

portare liberazione anche agli altri. In Italia

queste minoranze ci sono e sono anche molto

più diffuse di quanto si pensi. Non fanno politi-

ca, non hanno in mano i grandi strumenti,

eppure riescono a produrre cose straordinarie.

Poniamo che il berlusconismo finisca

domani. Da quali valori potremmo

ripartire? Che cosa ci aspetta?

Non lo so. Bisogna “tagliare le teste”, svuo-

tare i cervelli e ricominciare daccapo, discuten-

do. Il problema è soprattutto diseducare dal

male e dalla stupidità di cui ci hanno imbott i t o

in questi ultimi anni.

Quella minoranza eticache tiene a galla l’Italia

C o munità fuori dalla cultura dominante, m i n o ra n zec ri s t i a n e,“ e re t i c i ” e anticonform i s t i . È n e l l ’ i m p e g n odella parte impegnata del Paese che va cercata la nu ova visione del futuro. L’analisi di Goffredo Fo fi

U

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 20104

l’intervista

DI cHIARA aVESANI E vALERIO bASSAN

Per sap e rne di piùGoffredo Fofi è nato a Gubbio

nel 1937, è un saggista e critico teatrale

e cinematogra fi c o.Ha contri buito alla nascita

di riviste storiche come i Q u a d e rni Piacentini

e Linea d'ombra. È dire t t o re della rivista

Lo stra n i e r o,da lui fondata nel 1997,

e collabora con le riviste Pa n o ra m a,

I n t e rn a z i o n a l e e Film T V.

O N U N A F O T O G R A F I A

si può cambiare il

mondo? Forse no,

ma senza i fotore-

porter nessuno

conoscerebbe gli

squarci di vita che si nascondono

tra le pieghe della guerra. Con la

sua macchina fotografica,

Francesco Zizola ha racconta-

to le maggiori crisi ed i conflitti

degli ultimi vent’anni.

Qual è la foto a cui tiene di

p i ù ?

È difficile dirlo. Le fotografie

sono come dei figli, quindi dire

che una è la migliore significa

sminuire le altre. Ci sono però

delle foto che ho scattato in con-

testi di conflitto che mi hanno

aiutato più di altre a sottolineare

l’assurdità della guerra. Una di

queste ritrae il Soldato Thomas,

ed è stata fatta nel 2003 in una

Baghdad appena conquistata

dagli americani. Il nome del sol-

dato è scritto sulla divisa, e lui

guarda l’obiettivo ridendo, col

pollice in su, un gesto di gioia per

aver svolto bene la sua missione.

E qual è questa missione? Si

vede alle sue spalle, è un pezzo di

città che brucia. Ecco, questa

foto è il ritratto di una realtà cru-

dele e tristissima.

Cos’è una buona fotogra -

f i a ?

L’immagine è un metodo di

comunicazione efficace per

entrare nella mente delle perso-

ne, più immediato rispetto ad

altri, come quello della letteratu-

ra. Il linguaggio migliore è quello

della fotografia non artefatta,

che si rifà alla vita che scorre.

Una buona foto giornalistica

deve avere un doppio valore:

essere da un lato un documento,

dall’altro un simbolo capace di

farci riflettere sul presente e sul

f u t u r o .

Quali tecniche preferisce

u s a r e ?

Come molti fotoreporter

uso macchine leggere e discrete,

poco visibili, e cerco di fare in

modo che la mia presenza non

sia notata, o meglio, ignorata.

Questo per poter cogliere con più

spontaneità e discrezione

momenti di vita umana, quoti-

diana o straordinaria.

C’è un ricordo particolare

legato a una foto che le è

rimasto impresso?

Ricordo un episodio legato

a una fotografia che scelsi di non

scattare. Ero in Thailandia, in un

monastero buddista, dove veni-

vano raccolti dei malati termina-

li di Aids. Decisi che fotografare i

malati non avrebbe aggiunto

nulla alla storia che stavo rac-

contando e avrebbe offeso la

dignità di quelle persone che

vivevano i loro ultimi momenti

di vita. Giravo quindi con il

monaco che mi faceva da guida,

e avevo la macchina fotografica

in spalla, non pronta allo scatto.

Uno dei pazienti però disse alla

mia guida, che mi faceva anche

da interprete, di chiedermi di

fotografarlo perché voleva

lasciare un ricordo di sé e della

sua esistenza. Allora presi la

macchina per fare quello che mi

chiedeva, ma in quel momento

l’uomo morì.

Come mai ha scelto questo

mestiere?

Ho sempre avuto una forte

attrazione per il linguaggio delle

immagini e soprattutto per la

fotografia che rappresenta gli

esseri umani. Da bambino ebbi

modo di vedere una foto sul

genocidio degli ebrei che mi col-

pì: si vedevano moltissimi corpi

di prigionieri morti. In seguito

altre foto mi hanno spinto sulla

strada del fotoreportage di guer-

ra, come quella di Nick Ut della

Associated Press che rappresen-

ta una bambina nuda che scappa

da un villaggio vietnamita in

fiamme, ustionata dal napalm.

Quella immagine ha colpito le

coscienze di diverse generazioni

e mi ha reso consapevole dell’as-

surdità della guerra, rafforzando

la mia passione per il linguaggio

fotografico. Onestamente, non

credo sia mai successo che una

fotografia abbia cambiato il

mondo. Però credo che un’im-

magine fotografica possa far

riflettere e dare un contributo a

far riflettere sugli eventi che ci

c i r c o n d a n o .

Le immagini sonoun mezzo potenteper comunicarel’assurdità dellaguerra. E devonoessere insiemeun documento e un simbolo per far riflettere

D e n t ro una fo t ogra f i atutto l’orro re della guerra

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 5

Per sap e rne di piùFrancesco Zizola

è n ato a Roma nel 1962, h a

l av o rato per l’agenzia Magnum

e nel 2007 ha fondato con altri

colleghi l’agenzia Noor (luce)

con sede ad A m s t e rd a m .

Ha vinto numerosi i premi

i n t e rn a z i o n a l i : il "World Pre s s

Photo of the Year" nel 1996,

sette " World Press Photo"

di cat e go ria e quattro

"Pictures of the Year Awards".

cdi Floriana Liuni

fotogiornalismo

O NU N AM A N OC O L P I S C EI LT A V O L O.

Francesco Forgione p a r l a

della dimensione extragiudi-

ziaria ed extrapenale che la lot-

ta alla mafia deve assumere.

«Perché - dice - non tutto è

pena, e il contrasto alla cultura mafiosa deve pas-

sare per una rieducazione sociale».

Nel suo ultimo libro, Mafia Export, l’ex pre-

sidente della Commissione parlamentare anti-

mafia - 49 anni di cui venti spesi sul fronte della

lotta alle mafie - ha disegnato la prima mappatu-

ra globale della criminalità made in Italy, segna-

lando le presenze di clan ’ndranghetisti, camorri-

sti e mafiosi nelle capitali del pianeta.

Da esperto della mafia calabrese, ha le idee

chiare sulle violenze di Rosarno. «Ha fatto tutto la

’ndrangheta - spiega -, le motivazioni razziali tira-

te in ballo dai media non c’entrano niente. Perché

a Rosarno, il paese delle arance di carta e del clan

Bellocco, non c’è tanto da discutere di razzismo,

quanto della mafia che tiene sotto scacco un inte-

ro territorio».

«La ’ndrangheta ha sparato per creare una

rivolta funzionale all’allontanamento della comu-

nità nera, che non è più tollerata dalla popolazio-

ne; e la popolazione calabrese è l’humus sociale nel

quale la ’ndrangheta è egemone. Quei cittadini che

scendono in piazza per rivendicare l’immagine

pulita di Rosarno non sono mai scesi in piazza con-

tro i Bellocco. E nel corteo c’erano i figli e

i figliocci dei boss mafiosi. La dimostra-

zione che la regia della rivolta è della

’ndrangheta».

Adesso chi raccoglierà le arance?

Le arance non verranno raccolte e gli

imprenditori prenderanno i soldi dall’Unione

europea per l’integrazione del mancato raccolto.

Fra tre mesi avremo nuovi lavoratori: bianchi,

comunitari provenienti dalla Bulgaria o dalla

Romania, regolari ma ugualmente controllabili.

Il governo avrà segnato un punto a suo favore nel-

la lotta contro i clandestini e la ’ndrangheta avrà

salvaguardato la pax mafiosa.

Nessuno era al corrente di quello che acca-

deva a Rosarno?

Si sapeva da anni, come si sapeva che negli

ultimi mesi ci fosse un malessere nella comunità

nera. Le arance di carta di Rosarno esistono da

decenni, così come il controllo della ’ndrangheta

sui contributi europei all’agricoltura e alle impre-

se. Ciò che non esiste e non è mai esistito sono i

controlli della politica e della pubblica ammini-

strazione.

Gli arresti dell’ultima ora all’interno del

clan Bellocco sono una coincidenza?

C’era un’inchiesta già aperta, ma gli ultimi

fatti di Rosarno hanno certamente dato un impul-

so. Non dobbiamo dimenticarci che in questo ter-

ritorio lo Stato è quasi assente.

Lei scrive che la ’ndrangheta è la

mafia più potente. Come è riuscita a sur-

classare la camorra e Cosa

Nostra?

La ’ndrangheta non è mai

stata una mafia minore, ma è

sempre stata sottovalutata. Negli

anni in cui Cosa Nostra era impegnata nello stra-

gismo, la mafia calabrese ha saputo sfruttare le

opportunità economiche offerte dalla globalizza-

zione e, intuendo l’esplosione di un nuovo mer-

cato della droga legato al passaggio dall’eroina

alla cocaina, ne è diventa il broker a livello inter-

nazionale.

In che modo la tradizione di un gruppo

criminale diventa la sua forza?

È tutto frutto della globalizzazione. L’iden-

tità forte della ‘ndrangheta è data da una struttu-

ra legata alla famiglia di sangue, struttura che

non produce pentiti. Ma che offre, sul mercato

criminale mondiale, un’enorme disponibilità di

soldi e la credibilità di un’organizzazione che non

è un colabrodo di collaboratori di giustizia. Nien-

te a che vedere, dunque, con Cosa Nostra ocon la

Camorra.

Le arance della mafiahanno un gusto amaro

R o s a rno è un terri t o rio ostaggio della ’ndra n g h e t a .D i e t ro un episodio di ra z z i s m o, ci sono gli intere s s id i retti della più potente e ra m i ficata org a n i z z a z i o n ec riminale italiana. L’analisi di Francesco Fo rg i o n e

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 20106

criminalita’ organizzata

di Cristina lonigro

C

Per sap e rne di piùFrancesco Forgione,M a fia Export .

Come ’ndra n g h e t a ,Cosa Nostra e Camorra

hanno colonizzato il mondo (Baldini Castoldi

D a l a i ) ;Nicola Gratteri e Antonio Nicasio,Fra t e l l i

di sangue (Mondadori ) ;Davide Carlucci e

Giuseppe Caruso,A Milano comanda la

’ n d ra n g h e t a .

Rosarno, in Cala-

bria, è dal 1992 che

gli immigrati stagio-

nali, impegnati da

ottobre a febbraio nella raccolta

delle arance nella piana di Gioia

Tauro, subiscono violenze,

estorsioni e rapine. A raccontar-

lo è il libro curato da A n t o n e l l o

M a n g a n o, Gli africani salve -

ranno Rosarno. E, probabil -

mente, anche l’Italia. Il 12

dicembre 2008, dopo il feri-

mento di due lavoratori della

Costa d’Avorio, gli africani di

Rosarno protestarono già una

volta contro un sistema mafioso

che gioca sull’assuefazione della

cittadinanza per esercitare il

proprio dominio.

Come dimostra anche la

rivolta dei nigeriani di Castel

Volturno in Campania, sono

spesso gli immigrati a opporsi

allo strapotere della criminalità.

In Calabria la ’ndrangheta colpi-

sce gli extracomunitari perché

sono i più deboli. Forse per que-

sto gli unici movimenti antima-

fia di pi azza degli ultimi anni al

sud, sono stati organizzati pro-

prio da quegli immigrati africani

nel tentativo di dimostrare che

poi tanto deboli non sono.

«Dal nostro arrivo fino ad

oggi, nei viali, nelle piazze, a vol-

te nei luoghi di lavoro e nei ghet-

ti, 24 ore su 24 (anche durante il

riposo notturno), siamo vittime

di soprusi razzisti:

ragazzini mino-

renni che ci spu-

tano in faccia, bri-

gate clandestine in moto-

scooter». Lo scrissero gli

africani di Rosarno in una lette-

ra del 1999 al sindaco G i u s e p-

pe Lavorato, denunciando la

difficoltà anche solo di trovare

un posto dove dormire . «Per

paura la brava gente si rifiuta di

affittarci le case, e così bisogna

rifugiarsi in ghetti senza acqua,

elettricità e usando come letti

dei cartoni raccolti per strada».

Rosarno è un piccolo conte-

nitore di tutte le più scottanti

problematiche del nostro tem-

po. Il libro di Mangano ne ana-

lizza gli aspetti giuridici, storici,

geopolitici (le migrazioni dal-

l’Africa all’Europa) e socio-eco-

nomici (lavoratori inseriti in un

contesto mafioso).

Già nel 2008, all’interno del

rapporto sugli immigrati occu-

pati in agricoltura nelle regio-

ni meridionali, M e d i c i

senza frontieree v i d e n-

ziò che la condizione

degli stagionali resta

un nervo scoperto

ipocritamente nasco-

sto. Per Mangano, quanto suc-

cesso in Calabria può rappre-

sentare una svolta. «L’esempio

di quei ragazzi africani, che lavo-

rano per soli 25 euro al giorno,

può riuscire a risvegliare

coscienze sopite e il senso dello

Stato dimenticato. In una paro-

la, può essere contagioso».

Davvero gli africani salve-

ranno Rosarno, e probabil-

mente anche l’Italia?

Basta vedere quello che sta

succedendo oggi in questi posti:

sono tornate le città bianche,

cioè senza più neri. Le pagine di

cronaca sono riempite di arresti

e macchine incendiate. Il titolo

del libro non è provocatorio, ma

è semplicemente una constata-

zione confermata dagli ultimi

fatti: in queste zone del Sud gli

immigrati sono gli unici a ribel-

larsi allo sfruttamento e allo

schiavismo.

Attraverso quale meccani-

smo finiscono nelle mani

della criminalità?

Non finiscono nel giro della

criminalità solo perché stanno

cercando in tutti i modi di ribel-

larsi. Spesso gli immigrati arri-

vano a Rosarno dopo essere stati

licenziati nelle fabbriche del

Nord e aver perso il permesso di

soggiorno. Trovare impiego nel-

l’agricoltura al Sud è l’unica per

guadagnarsi da vivere.

Prima degli scontri di

Rosarno, come era il rap-

porto tra gli immigrati e la

cittadinanza?

Finché gli africani sono

rimasti zitti e silenziosi a lavorare

tutto è andato bene. Ma quando

si sono ribellati e hanno denun-

ciato la loro situazione di sfrutta-

mento il rapporto con la cittadi-

nanza si è incrinato. Ma questa è

una cosa che succede da a n n i .

Il lavo ro degli stag i o n a l is a l verà ancora Ro s a rn o

immigrazione

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 7

di Paolo Massa

Per sap e rne di piùSullo sfruttamento degli

i m m i grati nella raccolta di pro-

dotti agri c o l i , il fi l m P u m m a r ò,

1 9 9 0 , regia di Michele Placido;

il documentario di M a t t e o

G a r r o n e,Te rre di mezzo, d e l

1997 (Fa n d a n g o ) ; Gabriele Del

G r a n d e, Mamadou va a mori re

( I n finito Edizioni); V l a d i m i r o

P o l c h i, Blacks Out - Un giorn o

senza immigrati ( L a t e r z a

E d i t o re ) ;

a

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 20108

giornalismo

di Lorenzo Bagnoli

S I S T O N O N O T I Z I E

che hanno la

disgrazia di con-

fondersi, di

diluirsi nel tem-

po, di perdere in

qualche modo la propria forza.

Così a volte gli archivi dei giorna-

li non sono più i luoghi della

memoria ma i sepolcri delle tra-

gedie dimenticate».

Giovanni Maria Bellu,

oggi condirettore dell’U n i t à, nel

2001 indagò, come inviato di

R e p u b b l i c a, sul naufragio “fanta-

sma” di un barcone di migranti

avvenuto nel Natale 1996. Cinque

anni dopo, Bellu scoprì che a Por-

topalo, paese nella punta sud della

Sicilia, si conosceva il luogo dove

riposava il relitto e che i pescatori

recuperavano i cadaveri degli

annegati, per poi ributtarli in acqua

senza sporgere denuncia.

Fu uno di loro, S a l v o

L u p o, a contattare Bellu. Aveva

ritrovato nella rete da pesca il tes-

serino d’identità di A n p a l a g a n

G a n e s h u, un tamil che perse la

vita in quella tragedia di fine ’96,

e sentiva il dovere morale di rom-

pere il silenzio di Portopalo.

Giovanni Maria Bellu ha

raccontato questa storia di

migranti dimenticati, di omertà

paesane e di criminalità interna-

zionale prima in due articoli, poi

per esteso nel libro-reportage I

fantasmi di Portopalo.

In che modo si è articolata la

sua inchiesta?

Ci sono state due fasi. Nella

prima attraverso le dichiarazioni

di pescatori rimasti anonimi e di

autorità portopalesi, ho acquisi-

to la certezza che il naufragio del

Natale 1996 era ben noto a tutti.

Questo è stato il momento la

svolta, il vero scoop. Nella secon-

da parte, la più spettacolare,

abbiamo scoperto il relitto della

nave naufragata grazie all’aiuto

della cooperativa N a u t i l u s.

Perché sono passati cinque

anni dal naufragio all’inizio

dell’inchiesta?

Perché per rispolverare

quella storia fu necessario Salvo

Lupo. All’inizio del 2001 duran-

te una battuta di pesca, Lupo tro-

vò nelle reti il tesserino di Anpa-

lagan Ganeshu. Si rivolse all’uffi-

cio marittimo di Portopalo ma le

autorità lo snobbarono.

Pochi mesi dopo trovò sul

giornale La Sicilia,

accanto a un articolo

che parlava di sua figlia

Giusy, vincitrice del pre-

mio Miss teenager, un pezzo in

cui si raccontava della prima

udienza del processo per l’unico

imputato del “naufragio di Nata-

le 1996”. È allora che il pescatore

decise di contattare la stampa

tramite un suo amico. C o m e

reagì la comunità portopa-

lese alla pubblicazione dei

r e p o r t a g e ?

Le autorità locali

se la presero con Sal-

vo, la cui vita è cam-

biata radicalmente.

Su di lui circolavano

voci assurde, come

quella che fosse stato

pagato mezzo miliar-

do di lire per la sua

collaborazione con

R e p u b b l i c a. In più

c’era Don Calogero

P a l a c i n o, parroco

della chiesa di San

Gaetano da Raddusa,

che lo accusava di aver

infangato il buon

nome del paese. Anni

prima, come assesso-

re allo sport in quota

al centrosinistra, Lupo aveva

interrotto la pratica di girare gli

esigui fondi comunali a Don

Calogero. Erano i “Don

Camillo e Peppone di Porto-

palo”. Si pose anche il

problema della mia

presenza fisica in paese:

mi conoscevano tutti e

non sarei più riuscito a cavare

un ragno dal buco. Quindi la

mattina in cui uscì il primo arti-

colo, R e p u b b l i c a inviò da Roma

Attilio Bolzoni per capire le

reazioni del paese. Da cosa dipe-

se l’ostilità delle autorità nazio-

nali? La spiegazione è di tipo

politico: l’Italia era stata riman-

data di un anno per l’ingresso nel

trattato di Schengen a causa del-

le sue frontiere, ritenute un cola-

brodo. In questo clima le autori-

tà italiane avevano interesse che

questa notizia non trapelasse e

girarono la testa dall’altra parte.

È stato agevolato dall’ap-

partenere a una testata

importante come R e p u b b l i -

c a?

Nella prima parte dell’in-

chiesta no. Quando sono arrivato

a Portopalo per vedere se ciò che

mi aveva assicurato Lupo (cioè la

storia dei cadaveri ributtati in

mare dai pescatori) fosse vera, ho

detto genericamente che ero un

E

L’in ch i e s t ana u f ragat a

G i ovanni Maria Bellu ri p o rta a galla tutta la ve ri t àsulla tragedia di Po rt o p a l o.Quasi trecento migra n t is c o m p a rsi nella notte di Natale del 1996.Un re l i t t oripescato da un mare di omertà profondo dieci anni

giornalista, inviato per scrivere

un pezzo sulla storia e le meravi-

glie di Portopalo. Non c’è modo

migliore per non avere una noti-

zia scabrosa che mostrare espli-

citamente interesse. Se il tempo

era riuscito a far metabolizzare

quella vicenda al paese allora la

storia sarebbe emersa con natu-

ralezza. L’appoggio di R e p u b b l i -

c a, invece, fu fondamentale per il

ritrovamento del relitto: il gior-

nale aveva i mezzi per affrontare

quella spesa. Grazie alla disponi-

bilità della cooperativa N a u t i l u s

ottenemmo il noleggio di un

robot che scandaglia il fondo

marino e pattuimmo con loro un

costo di tre milioni al giorno per

tre giorni di noleggio. È raro però

che sia un giornalista a spingere

per il ritrovamento di un reperto.

Solitamente il lavoro si concentra

solo sui testimoni.

Il fatto di pubblicare nomi e

cognomi non le è costato

una querela?

Alcuni provarono a smenti-

re senza riuscirci, ma

non querelarono. Però

bisognava salvaguarda-

re Lupo. Fu questo uno

dei motivi che mi spinse

a cercare il relitto: una volta sco-

vato, nessuno avrebbe più potu-

to formulare illazioni contro Sal-

vo Lupo. Il ritrovamento, infatti,

ammutolì i suoi detrattori.

Quando l’opinione pubblica

comprese la reale portata

dello scoop?

Il botto anche a livello inter-

nazionale c’è stato quando ho

potuto mostrare le immagini del

relitto. Rovistando negli archivi

mi stupì molto che il naufragio

non era per niente fantasma:

c’erano i testimoni, si sapeva tut-

to. Solo che questa notizia aveva

avuto un percorso sfortunato nei

normali meccanismi dell’infor-

mazione. C’era stato un atteggia-

mento scettico delle autorità e

scarsa attenzione da parte dei

giornali. La notizia riprese vita

soltanto con le foto del relitto:

questo testimonia la forza sover-

chiante dell’immagine sulla paro-

la scritta.

Cosa può fare il giornalismo

investigativo più delle

inchieste giudiziarie?

L’inchiesta giornalistica cer-

tifica la validità del lavoro giudi-

ziario e può valicare i confini ter-

ritoriali, che invece sono impre-

scindibili per le procure naziona-

li. La magistratura, infatti, può

indagare all’estero solo nel caso

esistano accordi di collaborazio-

ne internazionale. I Paesi coin-

volti nella mia inchiesta sono fuo-

ri dagli accordi giudiziari italiani,

ma la pressione mediatica per-

mise ai magistrati italiani di otte-

nere dal ministro della giustizia

l’autorizzazione per occuparsi

del caso.

Che cosa dà in più la

realizzazione di un

libro rispetto a un

reportage sul quoti-

diano?

Con un libro si ha l’occasio-

ne di ricostruire delle dinami-

che, cosa che nel giornalismo

accade raramente per motivi di

tempo. Quando ho raccontato la

scena del naufragio, il momento

più complesso da ricostruire, ho

letto tutte le 107 deposizioni dei

superstiti raccolte dalla magi-

stratura greca. Attraverso la

combinazione delle testimo-

nianze dei sopravvissuti e dei

familiari delle vittime è emerso

quel quadro così movimentato.

Mi ha entusiasmato la scom-

messa narrativa di incrociare i

fatti veri con le testimonianze dei

protagonisti ed esserne il narra-

tore in prima persona. Per chi

come me è approdato al giorna-

lismo attraverso la passione per

la letteratura, la pratica quotidia-

na sta alla scrittura come la pro-

fessione di postino a un amante

delle passeggiate: ti pagano per

camminare, ma hai delle regole

e dei percorsi da rispettare.

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 9

La mia indagine è nata per caso:in paese tutti sapevano la verità,ma solo un pescatore ha avutoil coraggio di rompere il silenzio

Per sap e rne di piùGuido Coscino e

Giuliana La Franca, Il viaggio di

Adamo - Naufragi e accoglienza

a Po rt o p a l o ( D o c u m e n t a ri o,

G i n ev ra Bentivoglio Editori a ) ;

Sergio Taccone, D o s s i e r

Po rtopalo - Il naufragio del

N atale 1996 (Eos edizioni).

La web tv del vicinoè sempre la più ve rd e

liberta’ di stampa

ascono nei condomini,

parlano con la voce

della gente comune,

non dei professionisti,

e sono in continua crescita: sono

le web tv e ricordano, a chi le ha

conosciute, le radio libere degli

anni Settanta, che, senza soldi,

inondarono l’etere con la musica

e le storie che R a d i o R a inon pas-

sava. Oggi l’etere è ingombro e

vecchio, il campo di gioco è inter-

net e in Italia il fenomeno delle

“micro web tv” nell’ultimo anno è

dilagato. Sono televisioni di quar-

tiere, che si rivolgono alle quattro

vie entro cui vivono gli autori,

appassionati e non professionisti,

che parlano dei personaggi e del-

le cose che accadono intorno a

loro. I mezzi sono ovviamente

digitali: una videocamera amato-

riale, un computer per montag-

gio e postproduzione e meno di

100 euro per acquistare un domi-

nio internet, uno spazio da riem-

pire. L’autosostentamento è uno

status, sebbene ci siano alcune

eccezioni che riescono ad ottene-

re finanziamenti pubblici o ricavi

pubblicitari.

Giampaolo Colletti, idea-

tore di A l t r a t v, il progetto bolo-

gnese che monitora il fenomeno

dal 2004, parla di un incremento

esponenziale nell’ultimo anno:

«Le micro web tv italiane nel

2008 erano 42 - sottolinea -, oggi

sono 161». La diffusione territo-

riale, secondo lo studio di

A l t r a t v, risulta abbastanza capil-

lare. Calabria e Basilicata sono il

fanalino di coda, ma Sicilia,

Puglia, Campania e Lazio si piaz-

zano molto bene, insieme a Emi-

lia Romagna, Piemonte e Lom-

bardia. I contatti mensili vanno

dai mille ai 5mila».

Èinteressante notare come

la presenza di una micro web tv

sia in qualche modo correlata con

la libertà di stampa: «La moltipli-

cazione di questa offerta infor-

mativa dal basso - conferma Col-

letti - è direttamente proporzio-

nale alla libertà di stampa reale o

percepita all’interno di un deter-

minato territorio».

Le micro web tv fanno cro-

naca, ma anche politica: M e s s i -

na web tv, per esempio, ha docu-

mentato l’alluvione del primo

ottobre 2009. Le “tv dal basso”

seguono i consigli comunali,

monitorano lo stato del quartie-

re e denunciano le irregolarità

delle amministrazioni. Insom-

ma, la vocazione è totalmente

sociale. A Senigallia D i s c o

V o l a n t e, web tv creata e gestita

da un gruppo di disabili, va in

strada per denunciare le barriere

architettoniche. I videomaker

impegnati sul ristretto territorio

agiscono contando solo sulle

proprie idee e sui propri mezzi,

con una missione puramente di

d e n u n c i a .

ondomini buona-

sera e benvenuti

al nostro Tg, F i n e -

s t r A p e r t a. Dai

rubinetti degli

ultimi piani, l’acqua esce con

pochissima pressione. Per capi-

re di che guasto si tratti, siamo

qui nella saletta al seminterra-

to». Si apre così il telegiornale di

T e l e t o r r e 1 9, la prima tv condo-

miniale interamente realizzata e

finanziata da un gruppo di con-

domini bolognesi.

L’idea è di G a b r i e l e

G r a n d i che in via Casini 4, nel

quartiere San Donato, dà il via

nel 2001 a questo originale

esperimento di tv condominia-

le autoprodotta, senza scopi di

lucro e in cui è bandita la pubbli-

cità. La realizzazione tecnica è

semplice ed economica: basta

collegare un videoregistratore o

una telecamera a un modulato-

re di frequenza e trasportare il

segnale attraverso un cavo lun-

go 18 piani, fino all’antenna cen-

trale nell’attico del palazzo. In

questo modo il segnale di T e l e -

t o r r e 1 9 raggiunge tutti i 72

appartamenti della Torre. Così,

oltre ai Tg nazionali di R a i e

M e d i a s e t, la portinaia del pian

terreno o l’ingegnere al terzo

piano possono scegliere di vede-

r e F i n e s t r A p e r t a, il notiziario

fai-da-te che presenta news sul

condominio e sul quartiere, ma

anche approfondimenti cultu-

rali e ricreativi. Il tutto nell’arco

di un’ora e mezza.

Durante la settimana si

alternano poi 6 film scelti dai

condomini e gli approfondi-

menti di Spazio Aperto, con le

ricette della signora del decimo

piano o i servizi che allargano lo

sguardo ai problemi della città.

Le salette comuni del palazzo

sono adibite a studi di registra-

zione e i condomini più intra-

prendenti si improvvisano con-

duttori o cameraman, spesso

con risultati davvero eccellenti.

È nato così un percorso che

rompe la dipendenza passiva

dei telespettatori dal piccolo

schermo, che appiattisce la sen-

sibilità critica verso i contenuti

proposti, che si tratti di spetta-

colo, di informazione, o di pub-

blicità. «La TV ce la facciamo

noi. Scegliamo i film da vedere e

realizziamo i servizi di informa-

zione sulla vita del palazzo e del-

la zona, nella speranza di raffor-

zare il senso di appartenenza

alla comunità condominiale che

già da prima esisteva e che è sta-

ta condizione indispensabile

per dar vita al “gioco”».

Le microweb tv di quartierein espansione:nel 2009 sono q u a d r u p l i c a t e .Una crescita che potrebbeessere legata alla diminuzionedella libertà di stampa

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 201010

di Fabrizio Aurilia

n

Per sap e rne di piùw w w . a l t r a t v . t v, il sito che

dal 2004 monitora le micro web tv.

w w w . . p a e s e c h e v a i . t v, il sito che

riunisce tutte le web tv in un unico

spazio we b.

C o n d o m i n iin diretta,il notiziarioè in cantina

di Simona Peve re l l i

C

U N A M A N C I A T A

di chilometri

da Denver, in

Colorado, ci so-

no uomini che

lavorano a due dollari l’ora.

Un affare. Sono i detenuti

entrati nei bracci dei peniten-

ziari privati, industria che

negli Stati Uniti non conosce

crisi. Dietro a queste sbarre

ultramoderne, controllare i

prigionieri costa pochissimo,

come conferma il manager

delle carceri private dello Sta-

to della Virginia, Russell Boo-

ras: «Il segreto delle spese di

gestione irrisorie sta nell’ave-

re un numero minimo di

guardie per il numero massi-

mo di reclusi». Un panopticon

al servizio del business.

David Dufresnee P h i-

lippe Brault, videogiornalisti

francesi, hanno viaggiato nel

distretto delle prigioni del Colo-

rado: 13 case circondariali, tra

cui il Supermax, soprannomi-

nata l’Alcatraz delle rocce, dove

vivono 36mila detenuti. I due

ne hanno raccontato i mecca-

nismi di funzionamento nel

web documentary Prison Val -

l e y, in uscita ad aprile, prodot-

to da Upian, casa che ha finan-

ziato alcuni fra i più significati-

vi esperimenti multimediali,

come G a z a / S d e r o te T h a n a t o -

r a m a.

«Il nostro intento - spie-

ga Alexandre Brachet, fon-

datore e responsabile di

U p i a n - è quello di mostrare

cosa significa fare soldi sulle

spalle dei detenuti. Il docu-

mentario è presentato come

un road movie e i personaggi

che si incontrano nel corso del

viaggio offrono, progressiva-

mente, informazioni sul tema

generale».

Il format è stato scelto per

integrare cinema d’inchiesta e

interattività: «Il reportage è

fruibile online come fosse un

programma tv o un prodotto

cinematografico. Tuttavia, a

intervalli più o meno regolari,

la narrazione si interrompe,

permettendo ai vari utenti di

interagire fra loro e con i per-

sonaggi del video. Ad esem-

pio, sarà possibile scegliere

quali domande porre nel cor-

so delle interviste, oppure

selezionare gli ambienti in cui

m u o v e r s i » .

Il documentario offre

contenuti extra molto curati,

dalle statistiche comparate

fino a un portfolio di immagi-

ni in slide show. Alexander

Brachet non nasconde che in

Prison Valley questo aspetto

sia molto curato: «Cerchiamo

di offrire un prodotto che

sfrutti le potenzialità del web

2.0 facendo dialogare profes-

sionalità diverse. All’origine,

come ogni servizio di appro-

fondimento, ci sono gli autori,

giornalisti puri. Ma passo

dopo passo si affiancano figu-

re importanti come web

master, creativi provenienti

dal mondo dei videogame, ed

esperti tecnici, per la trasfor-

mazione del video in anima-

zione flash».

Il profilo del documenta-

rio multimediale che Alexan-

dre Brachet, insieme al grup-

po di U p i a n, sta tracciando è

in divenire: «In questo

momento siamo davvero

all’inizio: ogni progetto gene-

ra, in sostanza, un nuovo for-

mat. Per il futuro la chiave è

riuscire a coniugare l’innova-

tiva partecipazione degli uten-

ti con la cura e la forza delle

storie da narrare».

Ma sarà proprio l’ultimo

dei nati tra gli stili narrativi a

salvare le tasche e lo spirito di

un giornalismo in perpetua

crisi finanziaria e d’identità?

«Assolutamente no, almeno

per il momento. L’obiettivo,

intraprendendo un percorso

come il nostro, è quello di

coprire le spese. Certamente

l’indipendenza finanziaria è

una questione fondamentale,

soprattutto per chi produce

reportage integrati e comples-

si. Ma in questa fase di transi-

zione il nuovo mercato non è

ancora capace di reperire,

autonomamente, le risorse

essenziali».

«Per continuare a lavora-

re su questa strada - prevede il

responsabile di U p i a n - è

necessario il sostegno di fondi

pubblici. E, in prospettiva,

anche della cooperazione

internazionale fra case di pro-

d u z i o n e ».

era una volta la guida tv, carta

lievissima e colonne di canali

via etere fissati con l’inchiostro.

La nuova frontiera degli stru-

menti per orientarsi fra i programmi

oggi è on demand. K o b r e g u i d e . c o m,

sito web americano di radice california-

na, ordina per categorie le testate

migliori del videogiornalismo online. Il

materiale, dai profili culturali del N e w

York Times, ai documentari del N a t i o -

nal Geographic,fino ai reportage d’es-

sai del Bombay Flying Club, è cliccabile

e fruibile in tempo reale.

K o b r e g u i d e . c o m , insomma. riprende

tutti i servizi video, gli audio slideshows,

i web documentary e tutto ciò che la

multimedialità giornalistica immette in

rete. L’idea di un contenitore per il

videogiornalismo online l’ha avuta per

primo Ken Kobre, professore di foto-

giornalismo all’Università di San Fran-

cisco, ora caporedattore della guida.

Insieme alla redazione, Ken Kobre ha

pensato a una bussola capace di limitare

la dispersione del giornalismo telemati-

co nel mare magnum dell’informazione

online. Unica regola: sono ammessi

solo prodotti di livello superiore. Come

si legge nella presentazione, «le imma-

gini ferme o in movimento, l’audio, la

scrittura, l’editing e la narrazione devo-

no rispondere alla migliore qualità del-

l’industria giornalistica».

Le vite reclusedi Prison Valley

Poche guardie e detenuti sfru t t a t i : i vizi dellec a rc e ri private svelate da un web documentari o.In cui utenti e protagonisti possono intera g i re

multimedia

Ko b reg u i d e,solo tv di qualità

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 11

di Gregorio Romeo

di Gregorio Ro m e o

Per sap e rne di piùw w w. u p i a n . c o m

w w w. p ri s o nva l l ey. a rt e . t v / e n

Per sap e rne di piùU n ’ a l t ra guida alle web tv:

h t t p : / / w w i t v. c o m / p o rt a l . h t m.

A

c

B B I A M O V I S T O GA Z A

infinite volte nelle

inquadrature stan-

dard dei tg, ma non

l’abbiamo mai vista

davvero. È l’impressione che si ha

non appena si approda su d a g a -

z a . o r g. E si vive questo lembo di

terra “da dentro”.

È il 6 gennaio 2009, l’undice-

simo giorno dall’attacco israeliano

contro la striscia di Gaza. Nessun

testimone è ancora riuscito a

penetrare il blocco imposto alla

stampa internazionale. Poi,

improvvisamente, una falla. In

pochissimi riescono a passare: tra

loro c’è Stefano Savona, video-

reporter palermitano. Lui, una

delle pochissime telecamere euro-

pee all’interno della Striscia, è

l’unica italiana. Dal valico di

Rafah al cuore del conflitto, ha

seguito fino alla fine - il 18 genna-

io - quello che Hamas ha definito

“massacro di Gaza”: la morte di

1001 palestinesi e di dieci soldati

israeliani. Savona ha montato le

riprese sul posto, poi le ha carica-

te sul cellulare e le ha inviate come

m i n i d o c u m e n t a r i .

Contemporaneamente, in

Italia, con l’aiuto della casa di pro-

duzione P u l s e m e d i a, è nata una

vera e proprio web-tv, seguita da

utenti provenienti da 61 paesi e

con 10mila contatti a servizio.

Savona, testimone invisibile e

muto, ha fotografato giornate di

vero caos, smentendo le dichiara-

zioni ufficiali di un attacco mirato

a soli obiettivi militari. Ha realiz-

zato così 23 clip, organizzate in

capitoli per date e luoghi che, in

un secondo momento, sono

diventate 80 minuti di documen-

tario, poi acquistato dalla R a i.

Piombo fuso, dal nome in codice

dell’operazione israeliana, lo scor-

so anno ha ricevuto il premio della

sezione Cineasti del presente al

festival di Locarno.

«D a g a z a . o r g rimane uno

spazio aperto sul web - spiega

Fausto Rizzi, produttore di

P u l s e m e d i a -. Oggi stiamo cer-

cando le risorse per proseguirlo,

non solo con la consulenza di

Stefano, ma utilizzando anche

contributi di altri registi che nel

frattempo ci hanno contattato».

«Racconto le tragedie con-

temporanee superando cronaca,

tv e attualità», ha detto il reporter.

L’occhio di Savona, infatti, ha

deciso di incorniciare tutto quello

che rimaneva sul campo dopo le

breaking news sull’ultimo raid

missilistico israeliano in territorio

palestinese. Voleva andare ben

aldilà di quell’illustrazione spesso

pronta per essere banalizzata e

consumata. Savona non ha dato

giudizi, ma ha semplicemente

lasciato parlare i fatti. Basta guar-

dare un bambino palestinese del

clan Samouni che, seduto tra le

macerie che nascondono i cada-

veri dei suoi cari, seleziona proiet-

tili da una scatola di latta; o guar-

dare un ragazzo che accende un

fuoco nella stanza che fino a pochi

giorni prima era la sua sala da

pranzo, e aspetta che l’acqua

cominci a bollire per farsi un tè.

D aga z a . o rgL’ o p e razione “Piombo Fuso” è stata documentata da un giornalista palerm i t a n o. Le sue immagini sonostate rilanciate da una web tv seguita da 61 paesi.Un re p o rtage duro che ha vinto il Fe s t ival di Locarn o

Rivista quindicinale realizzatadal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore

d i r e t t o r eMatteo Scanni

c o o r d i n a t o r iLaura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia

r e d a z i o n eFabrizio Aurilia, GiudittaAvellina, Chiara Avesani,Lorenzo Bagnoli, ValerioBassan, Marco Billeci, RaffaeleBuscemi, Salvo Catalano,Francesco Cremonesi, GiuliaDedionigi, Tiziana De Giorgio,Viviana D’Introno, Fabio DiTodaro, Tatiana Donno, RobertoDupplicato, Fabio Forlano,Carlotta Garancini, IvicaGraziani, Andrea Legni, FlorianaLiuni, Cristina Lonigro,Pierfrancesco Loreto, AlessiaLucchese, Daniela Maggi, PaoloMassa, Daniele Monaco,Michela Nana, Ambra Notari,Tancredi Palmeri, Cinzia Petito,Simona Peverelli, GregorioRomeo, Alessia Scurati, LuigiSerenelli, Alessandro Socini,Andrea Torrente, EnricoTurcato, Roberto Usai, CesareZanotto, Vesna Zujovic

a m m i n i s t r a z i o n eUniversità Cattolica del Sacro Cuorelargo Gemelli, 120123 - Milanotel. 0272342802fax 0272342881m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m

progetto graficoMatteo Scanni

service providerw w w . u n i c a t t . i t

Autorizzazione del Tribunale

di Milano n. 81 del 20 febbraio

2 0 0 9

in rete

di Giulia Dedionigi

MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 201012

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