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85 Studi sull’integrazione europea, VII (2012), pp. 85-103 Luca Paladini * L’Unione europea all’Assemblea generale dell’ONU: un vecchio osservatore con nuovi poteri? Sommario: 1. La risoluzione 65/276 dell’Assemblea generale dell’ONU. – 2. Le prerogative accorda- te all’Unione europea: un “superosservatore”? – 3. Possibili sviluppi in materia di osservatori presso l’Assemblea generale. – 4. La risoluzione e la rappresentanza esterna dell’Unione europea. – 5. La rappresentanza dell’Unione europea alla 66 a sessione dell’Assemblea generale. – 6. Lo status ottenuto dal punto di vista dell’Unione europea: quasi un enhanced observer. – 7. La par- tecipazione dell’Unione europea ai lavori del Consiglio di sicurezza. – 8. Considerazioni finali. 1. Con la risoluzione 65/276 del 3 maggio 2011, l’Assemblea generale dell’ONU ha deliberato, con 180 voti a favore e 2 astenuti (Siria e Zimbabwe), le modalità di partecipazione dell’Unione europea ai propri lavori, a quelli dei suoi comitati e gruppi di lavoro, ai consessi internazionali tenuti sotto gli auspici della stessa Assemblea e alle conferenze dell’ONU 1 . Le prerogative accordate consentono all’osservatore, già ammesso all’AG ai sensi della risoluzione 3208 (XXIX) dell’11 ottobre 1974 2 , di partecipare ai lavori intervenendo al dibattito generale, avvalendosi del diritto di replica sulle posizioni assunte, facendo circolare propri documenti ed esercitando, a certe condizioni, il diritto di presentazione orale di proposte ed emendamenti. La riso- luzione esclude l’esercizio di prerogative connesse allo status di membro, quindi l’UE non dispone del diritto di voto, né della possibilità di co-esercitare l’inizia- tiva per l’adozione di atti e di proporre candidature 3 . L’adozione della risoluzione è stata accompagnata dalle preoccupazioni di alcuni Stati membri dell’ONU, che hanno posto l’accento su due questioni. La * Professore a contratto di Organizzazioni internazionali nell’Università IULM di Roma. L’au- tore ringrazia la dott.ssa Francesca De Crescenzo (Esperto presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), per i preziosi commenti sulla bozza di questo lavoro. Resta inteso che ogni mancanza è da imputare all’autore. 1 D’ora in poi, in luogo di Unione europea, Comunità europea, Comunità economica europea, Nazioni Unite, Assemblea generale e Consiglio di sicurezza si utilizzeranno gli acronimi UE (o Unione), CE, CEE, ONU (o Organizzazione), AG (o Assemblea) e CdS. 2 Cfr. infra, par. 4. 3 Si veda l’allegato alla risoluzione, in particolare i paragrafi 1, lett. d), e 3.

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Studi sull’integrazione europea, VII (2012), pp. 85-103

Luca Paladini*

L’Unione europea all’Assemblea generale dell’ONU: un vecchio osservatore con nuovi poteri?

Sommario: 1. La risoluzione 65/276 dell’Assemblea generale dell’ONU. – 2. Le prerogative accorda-te all’Unione europea: un “superosservatore”? – 3. Possibili sviluppi in materia di osservatori presso l’Assemblea generale. – 4. La risoluzione e la rappresentanza esterna dell’Unione europea. – 5. La rappresentanza dell’Unione europea alla 66a sessione dell’Assemblea generale. – 6. Lo status ottenuto dal punto di vista dell’Unione europea: quasi un enhanced observer. – 7. La par-tecipazione dell’Unione europea ai lavori del Consiglio di sicurezza. – 8. Considerazioni finali.

1. Con la risoluzione 65/276 del 3 maggio 2011, l’Assemblea generale dell’ONU ha deliberato, con 180 voti a favore e 2 astenuti (Siria e Zimbabwe), le modalità di partecipazione dell’Unione europea ai propri lavori, a quelli dei suoi comitati e gruppi di lavoro, ai consessi internazionali tenuti sotto gli auspici della stessa Assemblea e alle conferenze dell’ONU1.

Le prerogative accordate consentono all’osservatore, già ammesso all’AG ai sensi della risoluzione 3208 (XXIX) dell’11 ottobre 19742, di partecipare ai lavori intervenendo al dibattito generale, avvalendosi del diritto di replica sulle posizioni assunte, facendo circolare propri documenti ed esercitando, a certe condizioni, il diritto di presentazione orale di proposte ed emendamenti. La riso-luzione esclude l’esercizio di prerogative connesse allo status di membro, quindi l’UE non dispone del diritto di voto, né della possibilità di co-esercitare l’inizia-tiva per l’adozione di atti e di proporre candidature3.

L’adozione della risoluzione è stata accompagnata dalle preoccupazioni di alcuni Stati membri dell’ONU, che hanno posto l’accento su due questioni. La

* Professore a contratto di Organizzazioni internazionali nell’Università IULM di Roma. L’au-tore ringrazia la dott.ssa Francesca De Crescenzo (Esperto presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), per i preziosi commenti sulla bozza di questo lavoro. Resta inteso che ogni mancanza è da imputare all’autore.1 D’ora in poi, in luogo di Unione europea, Comunità europea, Comunità economica europea, Nazioni Unite, Assemblea generale e Consiglio di sicurezza si utilizzeranno gli acronimi UE (o Unione), CE, CEE, ONU (o Organizzazione), AG (o Assemblea) e CdS.2 Cfr. infra, par. 4.3 Si veda l’allegato alla risoluzione, in particolare i paragrafi 1, lett. d), e 3.

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prima, di carattere generale, riguarda la specialità del pacchetto di prerogative accordate, che non troverebbe riscontro nella prassi relativa alle altre organizza-zioni internazionali che partecipano ai lavori dell’AG e che, pertanto, parrebbe ricondursi alla creazione di una nuova categoria di osservatori. La seconda, mossa dagli Stati di modeste dimensioni, esprime i loro timori circa una possibile dimi-nuzione di ruolo in seno all’Assemblea; come ha affermato il rappresentante di Nauru, si intravedono “‘serious risks’ that the resolution would change the nature of the United Nations to the detriment of small States that did not enjoy the poli-tical and economic influence of large developed countries”4.

L’UE ha espresso invece una certa soddisfazione per l’atteso riconoscimento come “attore globale” presso l’ONU5. Che ciò fosse atteso dipende anche dalla cir-costanza che la risoluzione 65/276 trae origine dalla revisione di una precedente proposta, più generosa rispetto alle prerogative da accordare all’Unione, sulla quale l’AG, nella seduta del 14 settembre 2010, non era riuscita a trovare un accordo6.

2. Effettivamente, la specialità di alcune delle prerogative accordate all’UE non trova riscontro nella prassi tradizionale degli osservatori ammessi all’AG.

Va preliminarmente rammentato che la materia non ha ricevuto una regola-mentazione di rango statutario, tacendo in proposito la Carta dell’ONU, né vi hanno provveduto le Rules of procedure dell’Assemblea. Singole indicazioni sugli osservatori possono rinvenirsi in risoluzioni dell’AG, come nel caso della proce-dura di concessione dello status o dell’ammissione ratione materiae7, quindi la questione è stata regolamentata in via di prassi8. Inoltre, poiché l’Assemblea ha determinato il contenuto di tale status caso per caso9, la figura dell’osservatore non si può nemmeno ritenere tipizzata10. Ciò nonostante, con riguardo alle organizza-

4 Cfr. 65th General Assembly, Plenary, 88th Meeting, A/65/PV.88, 3 maggio 2011.5 Cfr. i comunicati del Presidente del Consiglio europeo (Statement by Herman Van Rompuy, Brussels, 3 maggio 2011, PCE 103/11), dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza (Statement by the High Representative, Brussels, 3 maggio 2011, A 175/11) e della delegazione UE presso l’ONU (Press release, EU voice at the UN General Assembly, 4 maggio 2011), www.eu-un.europa.eu.6 Sulla proposta naufragata e sul successivo negoziato di compromesso, cfr. le brevi note di G. Grevi, From Lisbon to New York: The EU at the UN General Assembly, FRIDE Policy Brief, n. 81, June 2011, p. 1 ss. (reperibile online).7 Per entrambi gli aspetti, cfr. Observer status in the General Assembly for the Interparliamen-tary Union – Procedures for obtaining observer status with the United Nations for intergo-vernmental organizations – Question whether the Secretary-General may intervene in the process, in United Nations Juridical Yearbook, 2000, II, p. 363.8 Cfr. R. G. Sybesma-Knol, The Status of Observers in the United Nations, Leiden, 1981, p. 24 ss.; S. Marchisio, L’ONU, Bologna, 2000, p. 114 ss.; infine, A. Lang, Le risoluzioni del Con-siglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Unione europea, Milano, 2002, p. 34 ss.9 Ciò è avvenuto modulando in modo più o meno ampio le prerogative da accordare. Cfr. F. Morgenstein, Legal Problems of International Organizations, Cambridge, 1986, p. 76 ss., e C. Zanghì, Diritto delle organizzazioni internazionali, Torino, 2007, II ed., p. 141 ss.10 Cfr. R. G. Sybesma-Knol, op. cit., p. 330 ss. Sulla mancanza di uno statuto uniforme degli osservatori nelle organizzazioni internazionali, si veda J.-C. Gautron, L’Union européenne et le

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zioni internazionali, la prassi evidenzia l’esistenza di un catalogo di prerogative tendenzialmente standardizzato11: è di norma accordata la partecipazione ratione materiae ai lavori assembleari, dei comitati, degli organi sussidiari e delle confe-renze internazionali e sono concessi il diritto di intervento, di replica e di circola-zione di documentazione per mezzo del Segretariato dell’ONU. È sempre escluso il diritto di voto, quello di iniziativa sugli atti12 o sugli emendamenti e la possibilità di sollevare mozioni d’ordine o di procedura.

Ebbene, la risoluzione in esame accorda alcune prerogative in deroga alla prassi relativa agli osservatori tradizionali, la cui rilevanza, che non si pone in discussione, va considerata anche alla luce della natura dell’Unione, delle sue competenze e del ruolo già ricoperto dalla Comunità (economica) europea nell’AG in base alla risoluzione 3208 del 1974 ed alla prassi applicativa.

In primo luogo, con riguardo alla partecipazione ai dibattiti, va osservato che la mancanza di riferimenti, nella risoluzione 65/276, ai relevant works dell’Assemblea parrebbe indicare che l’UE possa intervenire in assenza di un proprio interesse spe-cifico ai temi trattati in seduta. Trattasi senz’altro di una deroga alla partecipazione ratione materiae, la cui ampiezza va però apprezzata tenendo conto dell’ampia sovrapposizione tematica tra le attribuzioni dell’UE nelle relazioni esterne e le que-stioni che di norma vengono trattate dall’AG13. Ad esempio, materie quali il mante-nimento della pace, la promozione e tutela dei diritti dell’uomo, l’ambiente e la cooperazione allo sviluppo, che coprono una buona parte dei temi trattati dall’organo assembleare dell’ONU, sono di competenza (in buona parte) concorrente dell’U-nione. Inoltre, nel caso in cui l’AG tratti della conservazione e gestione delle risorse biologiche marine, la materia, ai sensi dell’art. 3 TFUE, è di competenza esclusiva dell’UE. Si potrebbe quindi affermare che i casi di deroga alla regola dell’intervento ratione materiae ai lavori dell’AG, per quanto significativi, siano ridotti.

Analogamente, la portata innovativa della possibilità accordata all’UE di effettuare gli interventi tra i major groups va considerata alla luce della prassi precedentemente affermatasi. In base a tale prerogativa, l’Unione interviene ai dibattiti prima dei componenti dell’AG e degli altri osservatori e ciò in quanto i political groups operanti nell’ONU14 possono prendere la parola per primi

concept d’organization internationale, in D. Dormoy (dir.), L’Union européenne et les organisa-tions internationales, Bruxelles, 1997, p. 47 s.11 Cfr. Guidelines for implementation of General Assembly resolutions granting observer sta-tus on a regular basis to certain intergovernmental organizations, the Palestine Liberation Orga-nization and the national liberation movements in Africa, in United Nations Juridical Yearbook, 1975, II, p. 164 ss.12 Tale possibilità è esclusa anche quando l’osservatore è uno Stato. Cfr. Question whether a State participating as an observer on a committee of limited membership can become a co-spon-sor of a proposal before the committee, in United Nations Juridical Yearbook, 1983, II, p. 169.13 Ai sensi dell’art. 10 della Carta ONU, l’Assemblea può discutere di ogni questione o argo-mento che rientri tra i fini della stessa Carta, ovvero qualsiasi materia.14 Questi i political groups operanti presso l’ONU: G77 e Cina (132 Stati), Paesi non allineati (117 Stati), Conferenza islamica (56 Stati), Lega degli Stati arabi (21 Stati), Unione africana (53 Stati), Unione europea (27 Stati) e JUSCANZ (15 Stati).

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nell’ambito dei lavori assembleari. Ciò configura una deroga all’ordine di inter-vento ai lavori, secondo cui gli osservatori prendono la parola dopo i membri dell’AG15, ma va anche considerato che finora l’UE ha potuto ugualmente esprimere la propria posizione tra i major groups attraverso la Presidenza seme-strale, che ne esprimeva la posizione all’inizio del dibattito16. Pertanto, sebbene costituisca uno sviluppo rilevante, tale prerogativa rappresenta in sostanza la formalizzazione di una prassi già esistente, i cui effetti, sul piano pratico, atten-gono soprattutto all’imputazione diretta all’Unione degli interventi effettuati a suo nome.

Quanto, infine, alla possibilità di presentare proposte o emendamenti – forse la più rilevante delle nuove prerogative – se da una parte essa non trova riscontro nella prassi delle organizzazioni internazionali che partecipano ai lavori dell’AG, dall’altra appare “calibratamente depotenziata”, ovvero sottoposta a condizioni di esercizio che ne limitano l’innovatività e l’effettività. Infatti, le proposte o gli emendamenti possono essere presentati dall’UE previo accordo dei suoi Stati membri, in forma verbale e senza alcuna garanzia di trattazione in seduta, in quanto la loro discussione e messa in votazione dipendono dalla circostanza che uno Stato dell’UE, nell’esercizio delle prerogative di membro dell’ONU, ne faccia richiesta. Non sembra quindi di trovarsi di fronte ad un diritto di iniziativa sugli atti, quanto piuttosto ad una sorta di pre-iniziativa verbale, la cui efficacia dipende dalla volontà dei titolari del vero e proprio diritto di iniziativa.

Per quanto innovative e suscettibili di ulteriori sviluppi, le prerogative di cui si è dato conto non sembrano configurare dei poteri straordinari, né avallano l’ipotesi della creazione di un “superosservatore”. Esse sembrano piuttosto l’espressione concreta di quella che è stata definita “participation in substantive issues”17, il cui fine è di consentire all’UE di partecipare ai lavori assembleari in modo più attivo di quanto sia di norma concesso ad un osservatore tradizionale.

Che l’Assemblea non abbia inteso creare un superosservatore è peraltro testi-moniato dalla circostanza che alcune delle prerogative aggiuntive costituiscono il risultato di un ridimensionamento in peius di quanto previsto dalla proposta approdata in seduta18. Questa era più permissiva e consentiva all’UE di solle-vare mozioni d’ordine (prerogativa poi eliminata), di presentare proposte e emendamenti senza limitazione di forma e di esercitare il diritto di replica senza limiti di intervento per ogni questione trattata. Effettivamente, tale proposta, se approvata, avrebbe potuto avallare l’ipotesi della concessione di uno status par-ticolare, non foss’altro perché avrebbe conferito all’UE delle prerogative analo-

15 Cfr. Practice of the General Assembly and its main committees regarding statements by observers, in United Nations Juridical Yearbook, 1982, II, p. 160.16 Tale circostanza, riportata dagli addetti ai lavori, è confermata anche da M. Arpio Santa-cruz, L’Union européenne et l’action des Nations Unies dans le domaine des droits de l’homme, in D. Dormoy (dir.), op. cit., p. 286.17 Così R. G. Sybesma-Knol, op. cit., p. 38 ss.18 Proposta di risoluzione A/65/L.64/rev.1 del 21 aprile 2011; del tutto simile è la proposta di risoluzione A/65/L.67, naufragata nella seduta del 14 settembre 2010.

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ghe a quelle che la risoluzione dell’AG 52/250 del 13 luglio 1998 aveva con-cesso alla Palestina quale osservatore, sulla cui eccezionalità la dottrina si è espressa in modo pressoché unanime19.

3. Che la risoluzione 65/276 non intendesse fare dell’UE un osservatore pri-vilegiato è altresì confermato dalla possibilità che le stesse prerogative potranno essere estese in futuro ad altre organizzazioni internazionali.

L’atto dell’Assemblea precisa infatti che la membership resta riservata agli Stati e che, sulla scorta delle prerogative assegnate all’Unione, l’AG potrà stabi-lire analoghe modalità di partecipazione per altre organizzazioni regionali che già possiedano lo status di osservatore e i cui rappresentanti possano esprimersi per conto dell’ente e dei suoi Stati membri. Può già dirsi che, in prima istanza, tale sembrerebbe la prospettiva della Comunità caraibica, dell’Unione africana e della Lega araba, sul cui ampliamento delle prerogative è atteso il supporto dell’UE, come affermato in seduta dai rappresentanti di Bahamas, Nigeria e Sudan20. La risoluzione parrebbe quindi aver gettato le basi per l’avvio di una nuova prassi in seno all’AG, nell’ambito della quale definire delle modalità di partecipazione che affranchino le organizzazioni internazionali osservatrici dal mero “sitting and listening”21 per consegnarle ad un ruolo maggiormente attivo.

Tale partecipazione qualificata ai lavori assembleari potrà certamente risul-tare funzionale al rafforzamento del multilateralismo e della cooperazione tra l’ONU e gli enti regionali, aspetti che il preambolo della risoluzione richiama espressamente e sui quali si registra una convergenza di contenuti proprio con riguardo all’ordinamento giuridico dell’UE. Ci si riferisce, in particolare, all’o-biettivo del sostegno al multilateralismo efficace quale linea dell’azione esterna dell’Unione, affermato sin dalla comunicazione della Commissione del 10 set-tembre 200322 e costituzionalizzato dal Trattato di Lisbona, sia nel TUE che nel TFUE, in termini di rispetto del diritto internazionale e di promozione e sostegno alla cooperazione internazionale23.

19 Tra i molti, cfr. S. Marchisio, op. cit., p. 115 (che riferisce di una “condizione particolare”), e C. Zanghì, op. cit., p. 144 (il quale parla di “posizione eccezionale” della Palestina).20 Press release, 65th General Assembly Plenary, 88th Meeting (AM), GA/11079/Rev. 1.21 Cfr. R. G. Sybesma-Knol, op. cit., p. 36.22 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, del 10 settembre 2003, Unione europea e Nazioni unite: la scelta del multilateralismo, COM(2003)526 def.23 Il rispetto del diritto internazionale e dei principi della Carta ONU è al contempo un fonda-mento (art. 21, par. 1, TUE) ed un obiettivo dell’azione esterna dell’UE (art. 3, par. 5, e art. 21, par. 2, TUE; preambolo TFUE). La conformità ai principi di diritto internazionale è ribadita con ri-guardo alle azioni di aiuto umanitario (art. 214, co. 2, TFUE) e alla politica di sicurezza e difesa comune (art. 42, par. 1, TUE; Protocollo n. 10 e Dichiarazione n. 13, allegati al Trattato di Lisbo-na), con la specifica che l’UE e i suoi Stati membri sono vincolati alla responsabilità primaria del CdS in tema di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (Dichiarazione n. 13) e che lo stesso possa “chiedere l’assistenza dell’Unione per attuare d’urgenza missioni avviate ai sensi dei capi VI e VII” (Protocollo n. 10). Quanto alla cooperazione internazionale, l’UE “pro-muove soluzioni multilaterali ai problemi comuni, in particolare nell’ambito delle Nazioni Unite” e agisce per la facilitazione dello sviluppo sostenibile dei Paesi in via di sviluppo e per l’integra-

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Più in generale, una partecipazione maggiormente attiva delle organizza-zioni internazionali appare foriera di benefici a breve e medio termine sia per gli osservatori in questione, sia per l’ONU. Infatti, da una parte i primi potranno esprimere il “punto di vista regionale” rispetto alle questioni trattate e contribu-ire concretamente alla formulazione delle decisioni e dei programmi dell’AG attraverso il sostegno politico, l’apporto tecnico e l’offerta di risorse (finanzia-rie, tecniche, civili, militari, ecc.), che nel caso di emergenze o situazioni di crisi possono risultare fondamentali24. Ciò potrà accrescere la loro visibilità e forse anche la loro credibilità agli occhi della comunità internazionale. D’altra parte, detta partecipazione risulterà funzionale all’interesse dell’ONU a che le proprie politiche e decisioni “adhered to and popularized and penetrate into many communities as possible, on the State as well as on the regional level, and on the level of special interest groups”, aspetto sul quale la dottrina aveva già posto l’accento con riguardo agli osservatori tradizionali25. Tale elemento risulta ancor più rilevante se si rammenta che l’attuazione e il rispetto di molte decisioni assunte in ambito ONU potranno essere garantiti dagli stessi osserva-tori, in base alla cooperazione tra organizzazioni internazionali su cui la risolu-zione in esame ha posto l’accento.

4. Di fatto, la risoluzione 65/276 costituisce il primo aggiornamento della risoluzione 3208 del 1974, con la quale, come si è detto, era stato concesso lo status di osservatore alla CEE.

Nessun aggiornamento era stato apprestato con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht e la nascita dell’UE26, né in occasione delle successive revisioni dei Trattati. Vero è che anche con la nascita dell’UE, e sostanzialmente fino al Trattato di Lisbona, il quadro della rappresentanza esterna era rimasto pressoché immutato:

zione di tutti i Paesi nell’economia mondiale, per il miglioramento dello sviluppo sostenibile e di un sistema internazionale basato su una cooperazione multilaterale rafforzata e di buon governo mondiale (art. 21, par. 2, TUE). Nello stesso senso depongono le norme riguardanti la cooperazio-ne tra l’Unione e altre organizzazioni internazionali (art. 21 TUE; art. 220, co. 1, TFUE). In ma-teria di cooperazione allo sviluppo è stabilito che l’UE e gli Stati membri rispettino gli impegni e tengano conto degli obiettivi riconosciuti anche dall’ONU (articoli 208, co. 2, 211 e 212, co. 3, TFUE), mentre le azioni di aiuto umanitario debbono essere “coordinate e coerenti con quelle svolte da organizzazioni e organismi internazionali, specie nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite” (art. 214, co. 7, TFUE).24 Naturalmente, tali apporti dipendono dalle competenze attribuite alle organizzazioni interna-zionali dai rispettivi atti costitutivi e dalla prassi (sul punto, cfr. D. Sarooshi, International Orga-nizations and Their Exercise of Sovereign Powers, Oxford, 2005), dalle risorse disponibili e dalle modalità cooperative messe in campo con l’ONU, il più delle volte riconducibili a consultazioni regolari con gli organismi sussidiari, con il Segretariato, coi dipartimenti dell’Organizzazione, con le agenzie specializzate e con le strutture preposte ai numerosi programmi e fondi.25 Cfr. R. G. Sybesma-Knol, op. cit., p. 321.26 Nemmeno per il cambio di denominazione del primo pilastro in “Comunità europea”, che dal punto di vista dell’UE non rivestiva un’importanza solo formale. Come ricorda A. Lang, op. cit., p. 34, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht la CE aveva comunque informato il Se-gretario generale ONU che essa era divenuta parte dell’Unione.

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la CE era rappresentata dalla Commissione e dalla Presidenza semestrale del Consiglio, mentre la PESC era affidata a quest’ultima27.

Con la risoluzione in esame, invece, preso atto del nuovo quadro istituzio-nale introdotto dal Trattato di Lisbona, è assicurata al Presidente del Consiglio europeo, all’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR), alla Commissione e alla delegazione dell’UE la possibilità di prendere posto nell’area riservata agli osservatori al fine di rappresentare l’Unione.

Rispetto a questa compagine, è presumibile che dalla questione trattata dall’AG dipenderà la scelta del soggetto istituzionale che potrà intervenire, tenuto conto delle disposizioni contenute nel TUE e nel TFUE che disciplinano le politiche dell’UE e delle norme sulla rappresentanza. Ad esempio, le questioni relative alle missioni di pace ex art. 43 TUE non potranno che riguardare (e per-tanto determinare l’intervento de) l’AR ai sensi degli articoli 27 e 42 TUE.

Non è però scontato che il ricorso al criterio della competenza ratione mate-riae risulti sempre dirimente; infatti, laddove sullo stesso ambito d’azione dell’UE la rappresentanza sia attribuita a più figure istituzionali, in assenza di specifici criteri sugli ambiti di azione i rischi di sovrapposizione sono possibili.

È il caso, ad esempio, della PESC28; mentre l’art. 15 TUE assegna al Presidente del Consiglio europeo la rappresentanza esterna in tale ambito “al suo livello e in tale veste” e fatte salve le competenze dell’AR, quest’ultimo ai sensi dell’art. 27 TUE “rappresenta l’Unione per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune” e ne esprime la posizione nelle organizzazioni e conferenze internazionali. In dottrina si è affermato che l’inciso “al suo livello e in tale veste” definisce gli ambiti di intervento del Presidente, quindi, considera-tone il ruolo politico e di primus inter pares nel Consiglio europeo29, si potrebbe affermare che egli rappresenta l’Unione nei consessi più rilevanti e nelle riunioni a più alto livello – ad esempio quelli formati da capi di Stato e di governo – men-tre all’AR, che riveste un ruolo maggiormente direttivo ed esecutivo in ambito PESC30, spetterebbe di rappresentarla in tutti gli altri casi31.

Qualche dubbio potrebbe sorgere anche per le materie disciplinate dal TFUE. L’art. 17, par. 1, TUE afferma che la Commissione assicura la rappresentanza esterna dell’UE con l’eccezione della PESC, per cui il Presidente o il Commissario interessato ratione materiae possono attendere a tale compito laddove venga in rilievo una politica regolata dal TFUE, come nel caso della cooperazione interna-zionale o degli aiuti umanitari. Ciò detto, l’art. 18, par. 4, TUE dispone che l’AR

27 Così l’art. 18, par. 1, TUE previgente.28 Cfr. L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, Milano, 2010, IV ed., p. 72.29 Cfr. U. Draetta, Elementi di diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale, Milano, 2009, V ed., p. 107 ss.30 Cfr. gli articoli 22, 30 e 42 TUE (sul potere di iniziativa in ambito PESC), 16 e 18 TUE (sul chair del Consiglio Affari esteri), 24, 26 e 27 TUE (sull’attuazione della PESC) e 42 TUE (per l’attuazione della Politica di sicurezza e difesa comune).31 In proposito, cfr. R. Baratta, Le principali novità del Trattato di Lisbona, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2008, pp. 47 e 49.

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sia uno dei Vicepresidenti della Commissione, che vigili sulla coerenza dell’azione esterna32 e che sia “incaricato delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione”. Inoltre, ai sensi dell’art. 220 TFUE, l’AR garantisce l’at-tuazione di “ogni utile forma di cooperazione con gli organi delle Nazioni Unite e degli istituti specializzati” dell’Organizzazione. Ci si potrebbe quindi doman-dare se tali disposizioni assegnino all’AR un potere di rappresentanza in ambito TFUE. Ebbene, si può ritenere che la risposta sia solo in parte affermativa; infatti, fermo restando che l’art. 17, par. 1, TUE assegna formalmente detto potere alla Commissione, non si può escludere che, presi i dovuti accordi col Presidente ed i commissari competenti, il Vicepresidente di diritto possa rappresentare l’Unione anche quando la questione trattata riguardi una materia disciplinata dal TFUE. Resta però inteso che, in tali casi, l’AR agirebbe nella sua veste di componente del collegio, quindi l’esercizio della rappresentanza dell’UE discenderebbe in ogni caso dall’art. 17, par. 1, TUE, e non dalle altre disposizioni citate.

La risoluzione 65/276 consente anche alla delegazione dell’UE presso l’ONU di prendere posto nell’area destinata agli osservatori, atteso che, ai sensi dell’art. 221, co. 1, TFUE, le delegazioni assicurano la rappresentanza dell’Unione nei Paesi terzi e presso le organizzazioni internazionali. In proposito, va rammentato che con l’approvazione della decisione del Consiglio 2010/427/UE33, il network delle delegazioni è confluito nel Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE); l’allegato, che reca l’elenco delle strutture amministrative afferenti, indica espres-samente gli uffici di collegamento (con l’ONU) di New York e Ginevra. Il SEAE, come già le delegazioni, è posto sotto l’autorità dell’AR34 e tale rapporto di dipen-denza lascia intendere che non si dovrebbero verificare problemi di sovrapposi-zione tra l’attività della delegazione UE presso l’ONU e quella delle altre figure istituzionali titolari della funzione di rappresentanza, compresa la Commissione. Ne dà conferma l’art. 5 della decisione 2010/427/UE, secondo cui il capodele-gazione riceve istruzioni dall’AR e dalla Commissione, conformemente (sic) all’art. 221, co. 2, TFUE, che afferma la preminenza dell’AR sulle delegazioni. Quanto detto suggerisce inoltre che l’attività delle delegazioni copre gli ambiti TUE e TFUE, quindi, in definitiva, la delegazione UE all’ONU potrà rappresen-tare l’Unione per tutte le questioni riguardanti la sua azione esterna35, ricevendo

32 Si rammenta che, ai sensi dell’art. 21, par. 3, TUE, l’AR assume anche un ruolo ex ante nel conseguimento della coerenza dell’azione esterna dell’Unione.33 Decisione 2010/427/UE del Consiglio, del 26 luglio 2010, che fissa l’organizzazione e il funzionamento del servizio europeo per l’azione esterna, GUUE L 201, 3 agosto 2010, p. 30 ss. In dottrina, cfr. M. Guinea Llorente, El Servicio europeo de acción exterior: génesis de una diplo-macia europea, in Revista de Derecho Comunitario Europeo, 2010, p. 761 ss., e B. Van Vooren, A Legal-institutional Perspective on the European External Action Service, in Common Market Law Review, 2011, p. 475 ss.34 Cfr. l’art. 27, par. 3, TUE e, con riguardo alle delegazioni, l’art. 221, co. 2, TFUE.35 Sull’azione esterna dell’UE, cfr. P. Craig, The Lisbon Treaty: Law, Politics, and Treaty Re-form, Oxford, 2010, p. 388 ss., e P. Eeckhout, External Relations of the European Union. Legal and Constitutional Foundations, Oxford, 2011, pp. 11-69 e 439 ss.

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ed attuando le direttive che le verranno impartite dall’AR/Vicepresidente della Commissione36.

La numerosità dei soggetti dotati di poteri di rappresentanza e i problemi di sovrapposizione che potrebbero verificarsi renderanno necessario apprestare un coordinamento preventivo rispetto alla partecipazione dell’UE ai lavori dell’AG. Tale necessità si impone soprattutto perché la Presidenza semestrale non attende più a tale compito. Come noto, fino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona i lavori presso l’AG sono stati diretti ed organizzati esclusivamente dalla Presidenza semestrale, la quale, prima dell’inizio di ogni sessione, provvedeva a far circolare presso il Consiglio dei ministri UE e nei working groups collegati il documento ricognitivo degli argomenti di prossima discussione, per la sua valutazione, revisione ed approvazione. Il documento approdava poi, per un supplemento di negoziazione, sul tavolo della delegazione di New York, attorno al quale sedevano il Segretariato del Consiglio, la Commissione e i rappresen-tanti degli Stati membri. Il risultato di questo coordinamento in progress37 era costituito dalla posizione dell’UE rispetto ai lavori dell’Assemblea38. Gli inter-venti erano poi pronunciati in seduta dalla Presidenza e dalla Commissione, a volte in stretta successione tra loro39. Si trattava di un lavoro di organizzazione

36 Per B. Van Vooren, op. cit., p. 492, “[t]he diplomatic service is certainly part of a ‘command structure’ which runs vertically via the High Representative, then through to the Council and up to the European Council, with a strand of accountability connecting it to Parliament”.37 Il fondamento di questo coordinamento riposava sugli articoli 19 TUE e 180 TCE, che stabi-livano la necessità di coordinare l’azione degli Stati membri e di questi con la CE nelle organizza-zioni internazionali e in occasione di conferenze internazionali, oltre che sul principio di leale cooperazione ex art. 10 TCE.38 Su tali aspetti, cfr. E. Paasivirta, D. Porter, EU Coordination at the UN General Assembly and ECOSOC: A View from Brussels, a View from New York, in J. Wouters, F. Hoffmeitser, T. Ruys (eds.), The United Nations and the European Union: An Ever Stronger Partnership, The Hague, 2006, in particolare p. 38 ss. Più di recente, M. B. Rasch, The European Union at the United Nations. The Functioning and Coherence of EU External Representation in a State-centric Environment, Leiden, 2008, p. 35 ss., e K. V. Laatikainen, A. Degrand-Guillaud, Two Logics, One Treaty: The Lisbon Treaty and EU Foreign Policy in Brussels and at the UN, in Studia Diplo-matica, 2010, n. 1, p. 4 ss.39 Ne danno conto F. Hoffmeister, P. J. Kuijper, The Status of the European Union at the United Nations: Institutional Ambiguities and Political Realities, in J. Wouters, F. Hoffmeitser, T. Ruys (eds.), op. cit., p. 9: “Let us begin with a little anecdote: it is the last week of October 2005. Imagine you are the legal advisor to Brazil in the 6th Committee of the UN General Assem-bly and you take part in the discussion concerning the annual report of the International Law Commission (ILC) on the subject ‘responsibility of international organizations’, which is in the process of being codified. The following scene plays out before your eyes and ears: ‘Mr Chairman, I have the honour to speak on behalf of the EU and the acceding countries Bulgaria and Romania’. The person welcomes the progress made by the ILC, and then he announces a change behind the name plate. He states: ‘With your consent, I would like the remainder of the Statement to be deli-vered by the representative of the European Commission, (…). He will express the view of the European Community on those points which are directly relevant to the Community’. You see someone descending from the row of observers above the British delegation’s place. He takes the place of the UK delegate and continues to speak. You suddenly realize there’s a change in the ac-cent and it is probably no longer an Englishman speaking, but you concentrate on the substance

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complesso, “a heavy burden of significant responsibility and extreme workload on its [della Presidenza] shoulders”40, che il Trattato di Lisbona ha consegnato all’Unione, ed in particolare ai soggetti istituzionali abilitati a rappresentarla.

Si può ritenere che tale attività complessa debba comprendere la definizione a priori del contenuto degli interventi ed il soggetto che dovrà pronunciarli, così da garantire che l’operato del Presidente del Consiglio europeo, dell’AR, della Commissione e della delegazione dell’UE in ambito ONU si traduca in un’a-zione coesa e coerente e sia garantita l’unità della rappresentanza internazionale dell’Unione41. Inoltre, atteso che la gestione della partecipazione dell’Unione ai lavori dell’AG potrà in prima battuta risultare difficoltosa, soprattutto per la delegazione UE, non è escluso che detto coordinamento comprenda un avvicen-damento graduale con le Presidenze semestrali, continuando a coinvolgerle – in una sorta di l’union fait la force! – sul piano operativo. Ciò potrà porre una seconda questione organizzativa: se le Presidenze, pur prive di poteri di rappre-sentanza, potranno ancora giocare un ruolo presso l’ONU, sarà necessario che il loro contributo sia reso nel rispetto delle norme sulla rappresentanza esterna. A riguardo, una timida conferma giunge dal recente General arrangement EU Statements in multilateral organisations, adottato il 22 ottobre 2011 dal Consiglio dell’Unione42. Il documento, il cui scopo è di definire delle modalità condivise, tra l’UE e gli Stati membri, di stesura e pronuncia delle dichiarazioni dell’Unione negli enti multilaterali43, rammenta che “[t]he EU Treaties provide for close and sincere cooperation between the Member States and the Union” e afferma che gli EU actors (come l’intesa definisce il Presidente del Consiglio europeo, l’AR, la Commissione e le delegazioni) e gli Stati membri “coordinate their action in international organisations to the fullest extent possible as set out in the Treaties”.

Tale coordinamento preventivo potrà quindi trovare nella leale cooperazione un efficace principio regolatore. Infatti, con riguardo ai rapporti tra EU actors,

and you provisionally conclude for yourself that the speaker must be European. Later on, you look at the distributed printout of the statement, which is entitled: ‘Responsibility on international or-ganizations – Statement on behalf of the European Union and the European community’, indica-ting the names of the UK and Commission Legal Adviser who spoke”.40 Così M. B. Rasch, op. cit., p. 35.41 Sulla coerenza dell’azione esterna, cfr. U. Villani, Istituzioni di Diritto dell’Unione euro-pea, Bari, 2010, II ed., p. 133 s., M. Cremona, Coherence in European Union Foreign Relations Law, in P. Koutrakos (ed.), European Foreign Policy, Cheltenham, 2011, p. 55 ss., e, della stessa A., Coherence Through Law: What Difference Will the Treaty of Lisbon Make?, in Hamburg Re-view of Social Sciences, 2008, p. 11 ss. In giurisprudenza, anche con riguardo all’unità della rap-presentanza internazionale, cfr. inter alia il parere della Corte di giustizia del 19 marzo 1993, causa C-2/91, Convenzione n. 170 dell’Organizzazione internazionale del lavoro in materia di sicurezza durante l’impiego delle sostanze chimiche sul lavoro, Raccolta, p. I-1083, punto 36.42 Cfr. Doc. 15901/11, Brussels, 24 ottobre 2011.43 L’intesa afferma la necessità di definire preliminarmente il contenuto dei discorsi pronuncia-ti a nome dell’Unione, che deve poggiare su di una posizione dell’UE adottata in base alle dispo-sizioni dei Trattati (cfr. articoli 25 e 29 TUE), e indica la possibilità che gli Stati membri decidano di farsi rappresentare, negli enti multilaterali, da un EU actor o dalla Presidenza semestrale.

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si può sostenere che il principio espresso dall’art. 13, par. 2, TUE, che afferma la leale cooperazione tra le istituzioni, possa comprendere sia il coordinamento tra la Commissione e gli altri soggetti abilitati a rappresentare l’Unione, sia i rapporti tra il Presidente del Consiglio europeo, l’AR ed il SEAE. Considerato che non tutti gli EU actors possiedono il rango sancito dall’art. 13 TUE, il prin-cipio in questione riceverebbe quindi un’applicazione estensiva, che coinvolge-rebbe figure istituzionali che, pur dotate di poteri di rappresentanza, non sono delle istituzioni. Tale estensione appare uno sviluppo possibile, se si rammenta che il principio di leale cooperazione, che ha avuto origine nel contesto degli accordi misti, è stato poi ampliato in via pretoria proprio al dialogo interistitu-zionale44. Quanto al coordinamento con le Presidenze, si può affermare che esso possa fondarsi sul principio di leale cooperazione ex art. 4, par. 3, TUE, secondo cui l’UE e i suoi membri si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati e questi ultimi facilitano la prima nell’assolvi-mento delle proprie incombenze, oltre che sul (del tutto simile) principio di lealtà e solidarietà alla PESC espresso dall’art. 24, par. 3, TUE. In questo caso, è chiaro che la leale cooperazione comporta anche il rispetto delle norme dei Trattati sulla rappresentanza esterna dell’UE e può comprendere la messa in campo di modalità operative condivise con gli Stati membri, col fine primario di garantire un’adeguata partecipazione dell’Unione ai lavori dell’AG.

5. I lavori della 66a sessione dell’AG, che hanno preso avvio lo scorso 13 settembre, hanno costituito una occasione utile per esercitare le prerogative con-cesse dalla risoluzione 65/276 e per verificare l’effettività delle norme sulla rappresentanza esterna dell’Unione.

Va in primo luogo osservato che gli EU actors hanno partecipato diret-tamente ai lavori dell’AG e dei consessi collegati. Nei giorni di apertura della sessione, il Presidente del Consiglio europeo, l’AR, il Presidente della Commissione ed alcuni commissari hanno preso parte a diversi incontri, par-lando a nome dell’UE o esprimendone la posizione45. Ciò è avvenuto secondo

44 Sentenza della Corte di giustizia del 30 marzo 1995, causa C-65/93, Parlamento c. Consi-glio, Raccolta, p. I-660, punto 23. In dottrina, cfr. M. Cremona, Defending the Community Inte-rest: The Duties of Cooperation and Compliance, in M. Cremona, B. De Witte (eds.), EU Fo-reign Relations Law. Constitutional Fundamentals, Oxford, 2008, p. 157 s.45 In sintesi, l’AR ha partecipato a vari meetings, tra cui quelli sul terrorismo, sulla Libia, sulla Somalia, sul Medio oriente, con ciò confermando che la sua funzione di rappresentanza in ambito PESC si esprime laddove il livello dell’incontro non richieda l’intervento del Presidente del Con-siglio europeo. Quanto alla Commissione, il Presidente ha preso parte ad una serie di eventi di alto livello, tra cui il Leaders’ Dialogue on Climate Change finalizzato alla preparazione della confe-renza di Durban sul clima del novembre 2011, l’High-Level Event sulla sicurezza nucleare e l’Hi-gh-Level Event sulla Libia, nel quale ha esposto il contributo della Commissione nella ricostruzio-ne post-bellica del Paese. Alcuni commissari hanno preso parte ad incontri specifici. Il Commissario allo sviluppo ha preso parte all’High-Level Group of Sustainable Energy e ad ana-loghi consessi aperti su temi quali la crescita sostenibile, la desertificazione, lo sviluppo e l’eradi-cazione della povertà. Il Commissario alla salute e alla politica dei consumatori ha partecipato all’High level meeting on the prevention and control of non-communicable diseases e a colloqui

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il criterio della ripartizione delle competenze ratione materiae ed in relazione alle norme sulla rappresentanza, con la sola eccezione del Presidente del Consiglio europeo, i cui interventi – pronunciati in consessi di livello adeguato, come previsto dall’art. 15 TUE – sono stati caratterizzati da una certa varietà di contenuti, non sempre riconducibili alla PESC. Ci si riferisce, ad esempio, al discorso pronunciato in Assemblea il 22 settembre 2011, nel quale esso si è soffermato su temi quali i cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile, o all’intervento nell’High Level Meeting sulla Libia del 20 settembre, durante il quale ha illustrato le diverse modalità di intervento dell’UE a favore della ricostruzione del Paese. Questa prassi sembra indicare che la partecipazione degli EU actors sia stata definita preliminarmente e che, quindi, le forme di coordinamento prima auspicate siano state realizzate nella prima fase della 66a sessione. Ne darebbe conferma soprattutto la varietà dei temi toccati dai discorsi del Presidente Van Rompuy; in mancanza di accordi preventivi, infatti, tali interventi, in parte riconducibili a materie regolate dal TFUE, sarebbero potuti apparire come pronunciati ultra vires.

Oltre a tale coordinamento, si deve dare conto di una forma di divisione del lavoro che ha trovato espressione concreta una volta che il Presidente del Consiglio europeo, l’AR e la Commissione hanno lasciato New York. Infatti, nel prosieguo della 66a sessione, l’attività di rappresentanza dell’Unione è stata svolta dalla delegazione UE e dalle Presidenze semestrali. Ebbene, mentre le attività seguite dalla delegazione46 trovano corrispondenza nel quadro norma-tivo sulla rappresentanza esterna e nella risoluzione 65/276, può destare qualche dubbio la circostanza che le Presidenze abbiano svolto attività di rappresentanza

bilaterali col Direttore dell’OMS ed alcuni ministri della salute di Stati partecipanti alla 66a ses-sione dell’AG. Il Commissario alla cooperazione internazionale, all’aiuto umanitario e alla rispo-sta alle crisi è intervenuto all’UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) e all’UN World Food Programme, dando conto dell’azione dell’Unione nel Corno d’Africa, e ha partecipato ad una serie di meetings bilaterali e multilaterali, anche a margine della 66a sessione. Infine, il Commissario per il cambiamento climatico ha preso parte ad alcuni high-level meetings sulla preparazione della Conferenza di Durban e ad un incontro sulla sostenibilità globale. Cfr. il sito www.europa-eu-un.org. 46 La delegazione ha seguito buona parte dei lavori sulle proposte di risoluzione sui diritti del bambino, sulla sicurezza del personale umanitario e sull’eliminazione di ogni forma di intolleran-za e discriminazione basata sulla religione. Nei committees, ha partecipato, tra l’altro, alla discus-sione delle risoluzioni sui diritti dei popoli indigeni, sulla protezione dei diritti umani, sull’indi-pendenza dei Paesi coloniali e dei loro popoli, sugli effetti delle radiazioni atomiche, oltre che all’audizione sui lavori dell’agenzia ONU sui rifugiati palestinesi, al question-time sul rapporto dell’Alto Commissariato per i rifugiati, al dibattito sul rapporto del Comitato speciale incaricato di indagare sulla violazione dei diritti dei palestinesi da parte di Israele e, infine, alla consultazio-ne informale sui diritti umani. In Assemblea, ha poi partecipato alla discussione dei reports della Corte penale internazionale, del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, dell’IAEA e del Segretario generale su vari argomenti, oltre che al dibattito sulla situazione in Afghanistan e Pale-stina, sul diritto del mare (con riguardo alla pesca) e ai round tables sulle questioni finanziarie e monetarie legate alla crisi economica in corso. Cfr. l’United Nations Journal, periodico destinato alle delegazioni operanti presso l’ONU, www.un.org.

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dell’Unione. Per fare alcuni esempi, la Presidenza semestrale polacca (fino a dicembre 2011) ha seguito i lavori informali sulle bozze di risoluzione sulle mine antiuomo o sulla situazione sociale della famiglia, ha pronunciato alcuni discorsi in materia di promozione e protezione dei diritti umani e, in Assemblea, ha tenuto degli interventi sulla necessità di far cessare l’embargo imposto dagli USA contro Cuba e sull’agenda del disarmo e della sicurezza internazionale; inoltre, la Presidenza semestrale danese (da gennaio 2012) ha parlato a nome dell’Unione in sede di definizione dell’agenda dei lavori 2012 della Disarmament Commission.

Poiché si tratta di attività di rappresentanza circoscritte a questioni specifiche, si può ritenere che siano state concordate a monte con gli EU actors, in particolare la delegazione UE, col fine di garantire il buon esito della partecipazione dell’U-nione alla 66a sessione. Ne darebbero conferma alcune circostanze. Innanzitutto, la Presidenza semestrale polacca ha svolto alcune attività in modo concorrente alla delegazione UE, come nel caso dei lavori relativi alle proposte di risoluzione sui diritti del bambino. È presumibile che in assenza di un coordinamento preventivo tali attività parallele non si sarebbero potute svolgere senza incorrere in frizioni di carattere istituzionale. In secondo luogo, non si ha notizia di proteste sulle attività delle Presidenze da parte delle istituzioni o di figure quali l’AR, le quali avrebbero, nel caso, potuto lamentare il mancato rispetto del quadro normativo sulla rappre-sentanza dell’UE. Infine, come prima indicato, non è da escludere che tali attività siano espressione di un supporto operativo della Presidenza alla delegazione UE nell’ambito del nuovo ed impegnativo compito di gestione in loco della partecipa-zione dell’Unione ai lavori assembleari.

Tale suddivisione del lavoro appare significativa sotto diversi punti di vista. In primo luogo, essa testimonia la volontà degli Stati membri di dare applicazione alle norme dei Trattati che regolano la rappresentanza; non è un dato scontato, in quanto, come prospettato in dottrina, non era escluso il rischio di una “certa pro-pensione della Presidenza di turno del Consiglio ad esercitare ancora un ruolo sulla scena internazionale”47, che si sarebbe potuta concretizzare in attività di rappresentanza dell’UE intraprese unilateralmente. In tal senso, detta volontà è da salutare con favore, in quanto in linea con il principio di leale cooperazione ex art. 4, par. 3, TUE e con l’obbligo di solidarietà espresso dall’art. 24, par. 3, TUE prima considerati. Inoltre, essa è risultata funzionale alla partecipazione dell’UE alla 66a sessione e al rispetto delle priorità individuate dal Consiglio affari esteri

47 Cfr. A. Santini, Le nuove figure di vertice dell’Unione europea: potenzialità e limiti, in Il Di-ritto dell’Unione Europea, 2010, p. 909 ss.; C. Tomuschat, Calling Europe by Phone. Guest Edito-rial, in Common Market Law Review, 2010, p. 6, il quale rilevava che “it should not be overlooked that the Council Presidency will not be totally displaced in the management of external representa-tion. In the General Assembly of the United Nations, in particular, the non-European Member States of the world organization will still witness different institutions speaking on behalf of the European Union, in particular in the field of trade and development policies”; infine, U. Villani, Gli sviluppi del Trattato di Lisbona in materia di politica estera e di sicurezza comune, in Studi sull’integrazione europea, 2011, p. 13, per il quale “quando la presidenza spetti ad un Paese ‘forte’, la voce più auto-revole dell’Unione può risultare quella del capo del governo di tale Paese”.

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del 20 giugno 201148. Infine, in una prospettiva più ampia, essa ha giovato all’ac-crescimento della credibilità dell’Unione sul piano internazionale. La questione non è certamente nuova; come era già stato affermato in dottrina con riguardo agli osservatori tradizionali, “the credibility of observers from international organiza-tions is challenged from two sides: from inside, where its Member States, jealous of their sovereign rights, are unwilling to accord any right of representation to their organization as such (…), but also from outside, where their status is con-stantly challenged (…) as not being in accordance with the character of the UN as an organization of States”49. Rispetto a tale osservazione, ancora attuale, c’è da augurarsi che la prima prassi applicativa della risoluzione 65/276 trovi un seguito nelle future sessioni dell’AG e che il concorso operativo delle Presidenze seme-strali sia sempre ispirato alla leale cooperazione e al rispetto del quadro norma-tivo sulla rappresentanza dell’UE.

6. Lo status di osservatore presso l’AG, come riformulato dalla risoluzione 65/276, si aggiunge alle modalità attraverso le quali l’UE partecipa, a diverso titolo, ad altre organizzazioni internazionali.

Come noto, l’Unione è membro di alcune organizzazioni internazionali – ad esempio, la FAO dal 1991 e l’OMC dal 1994 – e partecipa (o ha partecipato) a pieno titolo ad alcune commissioni e conferenze ONU, come la Commissione del Codex Alimentarius (cui aderisce dal 2003) o il World Food Summit del 2002. L’UE è parte dell’UNCLOS e partecipa alle sue conferenze annuali ed è anche parte di organizzazioni regionali sulla pesca e di accordi in materia di ambiente e cambiamento climatico, trasporti, energia, cambiamento e sviluppo economico50.

L’Unione è osservatore presso molti enti internazionali, commissioni e conferenze, anche del sistema ONU51. Le prerogative ad essa accordate variano a seconda della organizzazione o sede concedente, sicché lo status di osservatore dell’UE non trova univocamente espressione in un pacchetto stan-dard di prerogative, ma tende, al contrario, ad assumere un diverso “peso pon-derale”. In alcune organizzazioni essa è o era un observateur traditionnel, con-dizione che conferisce prerogative basilari di partecipazione, anche di natura protocollare, che si possono ricondurre al già citato “sitting and listening”. Ad esempio, l’osservatore tradizionale ha diritto di intervento, ma è limitato ai meetings formali, deve essere esercitato in coda agli interventi dei componenti a pieno titolo ed ha una durata contingentata. Così è stato per la CEE presso

48 Cfr. doc. 11824/1/11 REV 1 Presse 181.49 Così R. G. Sybesma-Knol, op. cit., p. 80.50 Una panoramica aggiornata è in K. E. Jørgensen, R. A. Wessel, The Position of the Euro-pean Union in (Other) International Organizations: Confronting Legal and Political Approaches, in P. Koutrakos (ed.), op. cit., p. 261 ss.51 Sullo status dell’Unione presso organi e conferenze ONU, cfr. F. Hoffmeister, P. J. Kuijper, op. cit., p. 9 ss. e p. 401 ss. Con riguardo ad altre organizzazioni e conferenze internazionali, cfr. F. Hoffmeister, Outsider or Frontrunner? Recent Developments under International and Euro-pean Law on the Status of the European Union in International Organizations and Treaty Bodies, in Common Market Law Review, 2007, p. 41 ss.

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l’Unione europea occidentale o per l’UE presso l’AG nella vigenza della risoluzione 3208 del 1974. In altre organizzazioni, invece, l’Unione partecipa ai lavori come enhanced observer (o plein participant), cioè avvalendosi di maggiori e più incisive prerogative rispetto a quelle accordate agli osserva-tori tradizionali. È il caso, ad esempio, del diritto di intervento in qualsiasi momento, del pieno diritto di proposta o emendamento o della possibilità di rivestire la funzione di rapporteur. Tale è la posizione dell’UE nell’OSCE, nel Consiglio d’Europa o presso alcuni organi o istituti specializzati dell’ONU, come l’ECOSOC, l’IAEA o l’OMS. L’ampiezza delle prerogative aggiuntive dipende comunque dalla organizzazione concedente, quindi non è detto che l’Unione goda delle stesse possibilità di azione in tutti gli enti internazionali in cui è presente come enhanced observer.

In tale spettro di status, si può affermare che le prerogative concesse dalla riso-luzione 65/276 allontanino l’UE dalla condizione di observateur traditionnel per avvicinarla a quella di enhanced observer, senza però raggiungerla pienamente. L’Unione avrebbe ottenuto tale status speciale qualora fosse stata adottata la pro-posta di risoluzione approdata in seduta, che, come si è visto, prevedeva prerogative più ampie di quelle ottenute. Per l’UE la condizione di enhanced observer resta comunque un traguardo desiderabile e raggiungibile nel tempo, come è già acca-duto presso le organizzazioni internazionali la cui attività coincideva ratione mate-riae con le competenze esclusive o concorrenti (soprattutto) della CE, ad esempio il Consiglio d’Europa52. Ciò detto, è chiaro che sviluppi di tale natura dipendono dalla volontà delle organizzazioni concedenti di estendere l’alveo delle prerogative dei loro osservatori, più che dagli intendimenti espressi da questi ultimi.

7. La risoluzione 65/276 non incide sulla possibilità dell’UE di partecipare ai lavori del CdS, sebbene l’allegato che elenca le prerogative accordate all’os-servatore si intitoli Participation of the European Union in the work of the United Nations.

Va in primis rammentato che non è prevista la partecipazione di osservatori al CdS. L’art. 32 della Carta dell’ONU prevede che Stati non membri dell’or-gano o dell’Organizzazione che siano parti in una controversia all’esame del Consiglio possono essere invitati a partecipare alle sue riunioni, ma la norma non sembra riguardare le organizzazioni internazionali53, come anche confer-mato dalla prassi54. Se l’art. 32 non può costituire il fondamento della parteci-pazione delle organizzazioni internazionali ai lavori del CdS, l’art. 39 delle Provisional Rules of Procedures of the Security Council può invece attendere

52 Cfr. E. Baroncini, Il treaty-making power della Commissione europea, Napoli, 2008, p. 32.53 Lo stesso deve dirsi per l’art. 31 della Carta ONU, che ha per destinatari gli Stati membri dell’Organizzazione che non siano anche membri del CdS.54 L’art. 32 ha quindi per destinatarie le entità statali, come affermato da A. Lang, op. cit., p. 34 ss. Sull’applicazione della norma ai governi insurrezionali o formatisi su porzioni di territorio controllate da Stati membri dell’ONU, cfr. B. Conforti, C. Focarelli, Le Nazioni Unite, Pado-va, 2010, VIII ed., p. 103 s.

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a tale funzione, in quanto consente al Consiglio di invitare ai propri lavori “persons, whom it considers competent for the purpose, to supply it with infor-mations or to give other assistance in examining matters within its compe-tence”, che possono anche essere funzionari di un ente internazionale o sog-getti che possono esprimerne la posizione55.

Alla luce delle norme sulla rappresentanza dell’UE e considerata la prassi ad oggi intervenuta, sembra che la partecipazione ex art. 39 delle Provisional Rules ai lavori del CdS riguardi soprattutto l’AR e la delegazione UE presso l’ONU.

Quanto al primo, l’art. 34, par. 2, TUE stabilisce che gli Stati UE che sono membri permanenti e non permanenti del CdS chiedano che sia l’AR ad essere invitato a presentare la posizione dell’Unione, qualora stabilita, su un tema posto all’attenzione del Consiglio. La norma indica quindi a priori la figura istituzio-nale cui garantire la partecipazione a nome dell’UE, di fatto individuando la persona che può essere considerata “competent for the purpose” ai fini del citato art. 39. Sebbene l’art. 34 TUE riguardi le posizioni PESC, non è comunque escluso che l’AR/Vicepresidente della Commissione possa riferire al CdS anche su aspetti delle relazioni esterne disciplinati dal TFUE, qualora concorrano a determinare la posizione dell’UE. Inoltre, la stessa norma sembra escludere, almeno in linea di principio, che la posizione dell’UE in ambito PESC possa essere espressa dal Presidente del Consiglio europeo nell’esercizio del potere di rappresentanza ex art. 15 TUE. Rispetto a tali questioni, la prassi offre alcune conferme; tra il 2010 ed il 2011 Mrs. Ashton ha talora avuto modo di partecipare ai lavori del CdS56, riferendo della posizione dell’UE in materia di cooperazione tra ONU e organizzazioni regionali nel mantenimento della pace (ma toccando anche temi riconducibili a politiche regolate dal TFUE), mentre non si registrano interventi del Presidente Van Rompuy.

Venendo alla delegazione UE, da tempo il capodelegazione partecipa con regolarità ai lavori del CdS sulla base dell’art. 39 delle Provisional Rules. Per riferire della prassi del 2011, gli interventi hanno riguardato singole aree geogra-fiche – ad esempio, la Bosnia-Erzegovina, la Somalia, il Medio Oriente e Haiti – o temi trasversali, come il mantenimento della pace o il cambiamento climatico. L’ampiezza tematica degli interventi non sorprende se si rammenta che le delega-zioni si occupano di tutti gli ambiti dell’azione esterna dell’Unione, compresa la PESC, sulla base delle norme dei Trattati e in ragione del già considerato rapporto di subordinazione del SEAE all’AR/Vicepresidente della Commissione.

Ciò detto, è chiaro che il ruolo chiave in seno al Consiglio resta affidato agli Stati dell’UE che vi siedono quali membri permanenti o non permanenti57. Per essi l’art. 34, par. 2, TUE (come il previgente art. 19 TUE)58 prevede l’obbligo di con-

55 Cfr. R. G. Sybesma-Knol, op. cit., p. 32 s.56 Trattasi di due interventi, uno tenuto il 4 maggio 2010 (UN Security Council, 6306th meeting, doc. S/PV.6306) e l’altro l’8 febbraio 2011 (UN Security Council, 6477th meeting, doc. S/PV.6477).57 Si rammenta che Germania e Portogallo saranno membri non permanenti fino al 31 dicem-bre 2012. 58 Sulla prassi attuativa dell’art. 19 TUE ed in particolare sui c.d. “art. 19 meetings” quale stru-

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certarsi, di tenere pienamente informati gli altri Stati UE e l’AR e di difendere le posizioni e l’interesse dell’Unione59. La disposizione è tesa a garantire che gli Stati UE presenti in CdS sostengano la PESC, rinnovando così, con specifico riguardo all’ONU, il contenuto dell’obbligo di solidarietà ex art. 24, par. 3, TUE.

Tali obblighi non sono però sufficienti ad affermare il primato della PESC sulle politiche nazionali degli Stati UE che siedono nel CdS. Infatti, l’art. 34 TUE è al suo interno controbilanciato in senso “nazionalistico”, laddove precisa che sono fatte salve le responsabilità che incombono, in forza della Carta ONU, sugli Stati UE che sono anche membri del CdS. Inoltre, concorrono a mitigare gli obblighi fissati dall’art. 34 TUE anche le Dichiarazioni n. 13 e n. 14 allegate al Trattato di Lisbona, nelle quali si afferma che le norme PESC lasciano impre-giudicate le competenze degli Stati UE nella formulazione e conduzione della loro politica estera e la loro rappresentanza nazionale nei Paesi terzi e nelle organizzazioni internazionali, compresa l’appartenenza al CdS60. Tali afferma-zioni confermano le già note preoccupazioni degli Stati UE di perdere le proprie prerogative in politica estera e i benefici derivanti dall’appartenenza al Consiglio. Inoltre, la Dichiarazione n. 13 precisa che “l’Unione europea e i suoi Stati mem-bri resteranno vincolati dalle disposizioni della Carta dell’ONU e, in particolare, dalla responsabilità primaria del Consiglio di sicurezza e dei suoi membri per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali”. L’affermazione, apparentemente tautologica in quanto riproduttiva dell’art. 24 della Carta ONU, potrebbe essere anche letta come indicazione della preminenza delle responsabi-lità connesse allo status di membro del CdS rispetto agli obblighi di informa-zione, concertazione e lealtà previsti dall’art. 34 TUE61. Nel complesso, si potrebbe desumere che, al momento, gli Stati non intendano attribuire all’UE un ruolo formalmente e sostanzialmente più significativo in seno al CdS, in quanto tale sviluppo non potrebbe che avvenire a detrimento delle posizioni nazionali. È quindi presumibile che la partecipazione dell’Unione, rispettivamente all’AG e al CdS, possa presentare delle evidenti divergenze di forma e di contenuto.

La questione della partecipazione dell’Unione ai lavori del Consiglio non si esaurisce comunque nell’art. 39 delle Provisional Rules o nelle disposizioni del TUE indirizzate agli Stati UE che vi partecipano come membri, ma investe anche l’ampio dibattito sulla riforma dell’ONU e dei suoi organi62. Dibattito

mento di informazione e consultazione, cfr. J. Verbeke, EU Coordination on UN Security Council Matters, in J. Wouters, F. Hoffmeitser, T. Ruys (eds.), op. cit., p. 49 ss., e M. B. Rasch, op. cit., in particolare p. 78 ss.59 L’art. 34 TUE pone ulteriori obblighi a carico degli Stati UE: è infatti previsto che essi, gra-zie all’AR, coordinino la propria azione nelle organizzazioni e nelle conferenze internazionali e che difendano le posizioni dell’Unione. Nel caso in cui ad alcune organizzazioni e conferenze internazionali non partecipino tutti gli Stati UE, quelli che vi partecipano ne difenderanno le po-sizioni e terranno informati gli altri Stati e l’AR su ogni questione di interesse comune.60 Così la Dichiarazione n. 14.61 Cfr. U. Villani, Gli sviluppi del Trattato di Lisbona, cit., p. 16 s.62 Sul contributo dell’UE, cfr. M. Knudsen, The EU, the UN and Effective Multilateralism, in Studia Diplomatica, 2008, n. 4, p. 145 ss.; F. Francioni, The Role of the EU in Promoting Reform

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che, invero, attualmente sembra alquanto sopito e dal quale non sembra emer-gere la reale volontà di valorizzare la presenza dell’Unione nel sistema ONU. Alcuni Stati UE hanno avanzato l’ipotesi di una membership dell’UE nel CdS, probabilmente sottovalutando le questioni giuridiche connesse63, ma non si è intravisto un ampio consenso a favore di tale ipotesi, mentre è stata ben visibile la volontà degli attuali membri permanenti di mantenere il loro seggio.

8. Come confermato dagli addetti ai lavori, lo status acquisito ai sensi della risoluzione 65/276 rappresenta un “unquestionable success for EU diplomacy”, da apprezzare anzitutto in termini politici. L’Unione potrà infatti beneficiare di una visibilità proporzionale al peso politico ed economico già ricoperto in ambito ONU ed affermarsi ulteriormente come attore globale nella definizione delle questioni che impegnano la comunità internazionale.

Naturalmente, la risoluzione non manca di effetti di natura giuridica. L’atto assume infatti rilevanza per l’effetto legittimante prodotto a favore dell’Unione, il quale comporta un riconoscimento formale dello status ottenuto64 e, di fatto, rende le prerogative concesse dall’AG una condizione di partenza per eventuali sviluppi futuri, soprattutto in termini di avvicinamento alla condizione di enhanced obser-ver. Resta inteso che lo stesso dovrà dirsi anche per le altre organizzazioni inter-nazionali osservatrici alle quali l’AG deciderà di accordare lo stesso status.

Dal punto di vista del diritto dell’Unione, va senz’altro salutata con favore l’effettiva partecipazione degli EU actors ai lavori dell’Assemblea, in quanto, come rilevato, è indicativa della volontà di dare attuazione al vigente quadro nor-mativo sulla rappresentanza esterna. Tra questi, l’AR sembra aver assunto un ruolo centrale, potendo esprimere la posizione dell’Unione in materia di PESC nell’AG (fatto salvo l’ambito di intervento del Presidente del Consiglio europeo) e nel CdS, e non potendosi escludere che, come Vicepresidente della Commissione, inter-venga sulle politiche regolate dal TFUE nelle stesse sedi. In sintesi, l’AR potrà agire sull’intero spettro dell’azione esterna dell’UE. Inoltre, come autorità sotto la quale opera il SEAE, l’AR avrà il controllo della partecipazione dell’Unione ai lavori dell’ONU anche quando la rappresentanza sarà assicurata dalla delegazione UE di New York, caso che, come si è visto, non è poi così infrequente.

of the UN in the Field of Human Rights and Environmental Protection, in M. Ortega (ed.), The European Union and the United Nations Partners in Effective Multilateralism, UE ISS Cahier de Chaillot, n. 78, 2005, p. 31 ss., e, nella stessa raccolta di contributi, M. Ortega, UN Reform: As necessary as It Is Difficult, p. 93 ss., reperibile online.63 Sul seggio europeo nel CdS, cfr. N. Ronzitti, Il seggio europeo alle Nazioni Unite, in Rivi-sta di diritto internazionale, 2008, p. 79 ss., ed I. Ingravallo, Un seggio permanente per l’Unio-ne europea nel Consiglio di sicurezza dell’ONU?, in Sud in Europa, 2011, www.sudineuropa.net.64 Cfr. N. Sybesma-Knol, The Continuing Relevance of the Participation of Observers in the Work of the United Nations, in K. Wellens (ed.), International Law: Theory and Practice – Es-says in Honour of Eric Suy, The Hague, 1998, p. 372, e, dello stesso A., Non-State Actors in Inter-national Organizations: An Attempt at Classification, in T. C. van Boven, C. Flinterman, F. Grünfeld, R. Hut (eds.), The Legitimacy of the United Nations: Towards an Enhanced Legal Status of Non-State Actors, Utrecht, 1997, p. 23.

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Ebbene, tale ruolo chiave, che assumerà rilevanza soprattutto ai fini della partecipazione dell’UE ai lavori dell’Organizzazione, col tempo potrebbe rive-larsi foriero di interessanti sviluppi anche per la difficile posizione dell’AR nel quadro istituzionale dell’Unione, posizione da molti considerata fonte di incer-tezze ed ambiguità in quanto posta al crocevia tra TUE e TFUE65, ma che una parte della dottrina, alla luce delle competenze attribuitegli dal Trattato di Lisbona, ha invece qualificato come potenziale “enviable and unique position”66.

AbstractThe European Union at the United Nations General Assembly:

New Powers for an Old Observer?

Resolution 65/276 of May 3, 2011 adopted by the UN General Assembly grants to the European Union some new prerogatives in its capacity as an observer. The EU can intervene in debates, can submit proposals and amendments (with some limits), and has the right of reply and to circulate documents in the Assembly sessions and works, in its committees and working groups, in international meetings and conferences convened under its auspices, and in the UN conferences. The resolution poses some issues that this article aims to consider. Certainly the accorded status represents a development in the observers current practice, but it does not constitute a privilege only for the EU. UNGA can decide to extend that status to all regional organizations admitted as observers and whose representatives can speak on their behalf, thus Resolution 65/276 constitutes a step towards a new practice, aiming to encourage international organizations to partici-pate more actively. In that regard, it is worth mentioning that the Resolution allows the EU to get close to the “enhanced observer status”, which it already possesses in other international organizations. A special focus is dedicated to the external representation legal framework introduced by the Lisbon Treaty; the variety of “EU actors” – i.e., the President of the European Council, the High Representative for Foreign Affairs (HR), the Commission and EU delegations – and the need to organize their actions suggest the opportunity to arrange a preliminary and internal coordination, which should include the relationship with the rotating Presidency. In that regard, the 66th UNGA session already offers some confirmation. Finally, after some consideration about the EU participation in the Security Council (that Resolution 65/276 does not take into account), the article ends with some final observations. In particular, a key-role of the HR in the EU external representation emerges, which can also contribute to strengthen his/her problematic position within the Union institutional framework.

65 Ad esempio, per P. Eeckhout, op. cit., p. 494, l’AR dispone di “a tremendous range of po-wers and responsibilities”, tanto che “[t]here can be serious doubts as to whether one person could ever accomplish all of those tasks”.66 Cfr. C. Tomuschat, op. cit., p. 6.