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Considerare come Descartes abbia rivissuto e utilizzato la personalità di Socrate e come in certo qual modo l’abbia associata ad un nuovo pubblico cui si indirizzava con i suoi scritti porta necessariamente a ripensare le forme e i modi in cui il pensa- tore greco alla fine del XVI e nei primi decenni del XVII secolo è stato ricordato nelle culture italiana e francese, nonché la figura dell’ honnête homme, contrapposto al mae- stro pedante 1 , dotto interprete di un sapere sistematico, destinato quasi esclusiva- mente alla Scuola. Abbiamo più volte ricordato come i periodi di formazione di Descartes siano stati molteplici 2 , sì che egli ha potuto mettere a confronto l’educazione ricevuta a La Flèche, profonda, viva, intensa e mai dimenticata, con la cultura della società che, lasciato il collegio, ebbe forse modo di scoprire a Parigi 3 , quindi con quella di stu- diosi diversamente orientati – pensiamo ovviamente ad Isaac Beeckman, nonché ad altri che avrà certo incontrato durante i suoi viaggi attraverso le contrade d’Europa – e, infine, degli scienziati parigini che operavano intorno a Mersenne tra il 1625 e il 1628 nella capitale della sua Francia. È soprattutto in quest’ultimo periodo che il filo- sofo è entrato in contatto con una cultura lontanissima da quella che aveva condivi- so a La Flèche ed anche estranea al sapere preminentemente scientifico che sino a Socrate e l’honnête homme nella cultura dell’autunno del Rinascimento francese e in René Descartes * * Nel corso di questo studio citeremo vari testi del XVI e XVII sec. sia in lingua italiana che in lin- gua francese: li trascriveremo seguendo fedelmente la scrittura dell’edizione da cui li traiamo. 1 Si vedano sotto nn. 9, 10, 11. 2 Si veda E. LOJACONO, Quale la cultura dominante a La Flèche negli anni della prima formazione di René Descartes?, in La Biografia intellettuale di René Descartes attraverso la «Correspondance», a c. di J. R. ARMOGATHE, G. BELGIOIOSO e C. VINTI, Napoli, Vivarium, 1999, pp. 671-695. 3 È noto che non abbiamo nessuna sicura notizia su quel che il giovane Descartes abbia fatto negli anni immediatamente seguenti alla fine dei suoi studi a La Flèche (1614), eccezion fatta per il corso di diritto seguito a Poitiers, dove nel 1616 ottenne il baccellierato in diritto canonico e civile. A Leonello Fallacara

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Considerare come Descartes abbia rivissuto e utilizzato la personalità di Socratee come in certo qual modo l’abbia associata ad un nuovo pubblico cui si indirizzavacon i suoi scritti porta necessariamente a ripensare le forme e i modi in cui il pensa-tore greco alla fine del XVI e nei primi decenni del XVII secolo è stato ricordato nelleculture italiana e francese, nonché la figura dell’honnête homme, contrapposto al mae-stro pedante 1, dotto interprete di un sapere sistematico, destinato quasi esclusiva-mente alla Scuola.

Abbiamo più volte ricordato come i periodi di formazione di Descartes sianostati molteplici 2, sì che egli ha potuto mettere a confronto l’educazione ricevuta a LaFlèche, profonda, viva, intensa e mai dimenticata, con la cultura della società che,lasciato il collegio, ebbe forse modo di scoprire a Parigi 3, quindi con quella di stu-diosi diversamente orientati – pensiamo ovviamente ad Isaac Beeckman, nonché adaltri che avrà certo incontrato durante i suoi viaggi attraverso le contrade d’Europa –e, infine, degli scienziati parigini che operavano intorno a Mersenne tra il 1625 e il1628 nella capitale della sua Francia. È soprattutto in quest’ultimo periodo che il filo-sofo è entrato in contatto con una cultura lontanissima da quella che aveva condivi-so a La Flèche ed anche estranea al sapere preminentemente scientifico che sino a

Socrate e l’honnête homme nellacultura dell’autunno del Rinascimento

francese e in René Descartes *

* Nel corso di questo studio citeremo vari testi del XVI e XVII sec. sia in lingua italiana che in lin-gua francese: li trascriveremo seguendo fedelmente la scrittura dell’edizione da cui li traiamo.

1 Si vedano sotto nn. 9, 10, 11. 2 Si veda E. LOJACONO, Quale la cultura dominante a La Flèche negli anni della prima formazione

di René Descartes?, in La Biografia intellettuale di René Descartes attraverso la «Correspondance», ac. di J. R. ARMOGATHE, G. BELGIOIOSO e C. VINTI, Napoli, Vivarium, 1999, pp. 671-695.

3 È noto che non abbiamo nessuna sicura notizia su quel che il giovane Descartes abbia fatto neglianni immediatamente seguenti alla fine dei suoi studi a La Flèche (1614), eccezion fatta per il corsodi diritto seguito a Poitiers, dove nel 1616 ottenne il baccellierato in diritto canonico e civile.

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quel momento aveva privilegiato, una cultura che potremmo dire dell’honnêtehomme: ad essa – ci pare – ha portato interesse, considerandola non tanto come seriedi temi da accogliere o rielaborare teoricamente, quanto espressione di una «nuova»sensibilità, più atta a rivivere il sapere che andava costruendo che non quella dei‘dotti’, con cui farà sempre il possibile per mantenere proficui rapporti, ma dallaquale era ben consapevole di essersi definitivamente distaccato.

Tale cultura ci è apparsa variamente articolata, sì che è forse meglio intenderlasenza cristallizzare questa o quella sua espressione, ma osservandola – se pur fugace-mente – nelle linee del suo costituirsi, registrandone sì punti di convergenza, maanche di divergenza.

Una Koiné culturale nella Respublica literaria

È noto come testimonianze del tempo di cui ci stiamo occupando 4, nonchéun’autorevole e vasta storiografia 5, riconoscano nelle opere dei letterati e dei filosofioperanti nella Francia della seconda metà del XVI secolo e nei primi decenni delXVII profonde e molteplici tracce di modelli culturali e di idee affermatisi nel nostropaese al culmine e al declinare dell’età rinascimentale.

Non disconosciamo certo questa presenza della nostra cultura nel fecondissimouniverso intellettuale del paese oltramontano e pertanto ci par ben probabile che glistessi temi che intendiamo qui riconsiderare acquistino maggior trasparenza, se licogliamo al momento di questa contaminatio e li seguiamo sino alla loro più precisae più salda configurazione; ciò tuttavia non significa che per qualsivoglia argomentoevocato non si delineino singolarità che portano a differenziare, almeno per alcuniaspetti, questi due universi culturali.

4 Abbiamo tenuto presente, tra l’altro, l’inizio del capitolo sul pedantismo di Montaigne (MICHEL

DE MONTAIGNE, Oeuvres complètes, Etude, Commentaire et notes par le Dr. A. ARMAINGAUD,Paris, L. Conard, 1924: Les Essais, Lib. I, Chap. XXV, Du Pédantisme), J. PELETIER DU MANS, chein Dialogue de l’ortografe et prononciacion françoese, départie en 2 livres, Poitiers, J. E. DeMarnef,1550 […], p. 31, scriveva: «J’è lù le Petrarque, le Bocace et l’Arioste si familiers, et aveccela, me suis aprochè si pres de ceus qui parloèt l’Italien: qu’il ne sauroèt être que je n’an usseapris quelque chose».

5 Ricordiamo alcuni dei contributi più significativi: P. TOLDO, Le courtisan dans la littératurefrançaise et ses rapports avec l’oeuvre de Castiglione, in «Archiv für das studium der neuren Sprachenund Literatur» CIV, 1900, pp. 75-121; 313-330, e CV, III, 60-85; P. VILLEY, Les sources italien-nes de la «Defense et illustration de la Langue française» de Joachim Du Bellay, Paris, Champion,1908; P. VILLEY, Les sources et l’évolution des «Essais» de Montaigne, 1933, (2°) Paris; M.MAGENDIE, La politesse mondaine et les théories de l’honnêteté en France au XVII siècle, Paris, Puf,1925, in particolare pp. 339 e sgg; E. BURY, Littérature et politesse, L’invention de l’honnête homme1580-1750, Paris, Puf, 1996, pp. 67 e sgg; M. RICHTER, Della Casa e la fortuna del Della Casain Francia, Roma, ed. di Storia e Letteratura, 1968.

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105Socrate e l’honnête homme nell’autunno del Rinascimento francese e in Descartes

La filiazione delle opere di J. Du Bellay e di Pelletier du Mans – per dare soloalcuni esempi – dalla Prosa della volgar lingua di Pietro Bembo6, e soprattutto dai dia-loghi di Sperone Speroni 7, non può essere dubbia, tuttavia il trionfo del volgare sullatino e la volontà di comunicare nella lingua nazionale non solo sentimenti, maanche concetti, sono sollecitati in terra di Francia da un orgoglio nazionale, da unaconsapevolezza della valenza politica ed istituzionale di una tale scelta, da una voca-zione utopica 8 pressoché sconosciuti nei trattatisti italiani che, soprattutto per quelche riguarda la lingua, si pongono come primi ispiratori di quell’ orientamento.

In rapporto al pedantismo è Montaigne stesso che nel delineare tale compor-tamento, tanto significativo per la determinazione della contrapposta nozione del-l’honnête homme, evoca fonti italiane:

Je me suis souvent despité, en mon enfance, de voir és comedies Italiennes tou-sjours un pedante (sic) pour badin, et le surnom de magister n’avoit guiere plushonorable signification parmy nous 9.

Certo, il pedante è «maschera» ben presente in tante commedie ed anche inracconti del Cinquecento 10, ridondante caricatura ad uso preminentemente spetta-

6 P. BEMBO, Prosa della volgar lingua, Venegia per G. Tacuino, 1525.7 SPERONE SPERONI, Dialogo delle lingue, a c. di G. DE ROBERTIS, Lanciano, Carabba, 1912; ci limi-

tiamo a citare la conclusione: «Se voglia vi verrà mai — è Bembo che si rivolge a Lazaro, rap-presentante della tradizione – di comporre o canzoni o novelle al modo vostro, cioè in lingua chesia diversa dalla Toscana et senza imitare il Petrarca o il Boccaccio, per aventura voi sarete buoncortegiano, ma poeta o oratore mai» (p. 84).

8 Ecco come riassume queste aspirazioni P. VILLEY in Les sources italiennes cit., p. 7: «C’est toujoursle même souci d’amour-propre national et la même attention à tirer parti des exemples que nousdonnent les Italiens. Il semblait même à quelques-uns que les destinées de la puissance politiquede la France et les destinées de sa langues étaient en quelque sorte liées ensemble. Dès 1509Claude de Seyssel voyait dans l’enrichissement de la langue un moyen pour le roi de fortifier l’u-nité de ses états. Un demi siècle plus tard GUILLAUME POSTEL (La republique des Turcs de […],Poitiers, E. De Marnef, 1560, 2°partie, pp. 5 e sgg.) avec son imagination de visionnaire voyaitdéjà le sceptre de l’univers entre les mains du roi très-chrétien».

9 MONTAIGNE, Les Essais, cit., lib. I, chap. XXV, Du Pédantisme, vol. II, p. 63. Anche in questa occa-sione è Montaigne che tesse la tela di fondo che ci consente di tracciare la storia della nozione checi interessa e di definirla grazie alla stessa traccia. Diremo subito però che Montaigne, pur richia-mandosi a questa tradizione della commedia (cfr. nota seguente), non vi si atterrà strettamentenel dipingere il ‘suo’ pedante.

10 Pensiamo ovviamente al Pedante di FRANCESCO BELO, al Candelaio di GIORDANO BRUNO (si veda-no in Commedie del Cinquecento, a c. di N. BORSELLINO, Milano, Feltrinelli (537 UE), 1967, vol.II: per Belo, ad esempio, atto III, scena II, per Bruno, I, V), al Marescalco di PIETRO ARETINO (siveda in Teatro di […], a c. G. PETROCCHI, Milano, Mondadori, 1971, V, XI e segg.). PerGiambattista Della Porta si veda Olimpia in G.B. DELLA PORTA, Teatro, a c. R. SIRRI, Napoli,Istituto Orientale, 1980, vol. II, pp. 53-140, II, IV. Si tengano infine presenti i saggi di M.L.

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colare, falso e vacuo erudito, sgradevole a vedersi e cacofonico ad udirsi, nostalgicodi un mondo in dissoluzione e di cui non ha neppure autentica conoscenza. Assaidiverso, invece, è quello rifiutato dallo stesso Montaigne, quindi da P. Charron, chene offre l’immagine più plastica 11, e persino da C. Sorel che, pur così aspro nei suoiattacchi al pedante 12, non raffigura un falso dotto, vuoto, incoerente, magniloquen-te, ma un professionista del sapere, che, nonostante il mutare del mondo, non inten-de abdicare alla tradizione che conosce assai bene, ma che non sa comunicare, comeappunto ancora una volta dice assai bene Montaigne:

[Ce mal viene] de leure mauvaise façon de se prendre aux sciences; et, qu’à lamode de quoy nous sommes instruicts, il n’est pas merveille si ny les escholiers nyles maistres n’en deviennent pas plus habiles, quoy qu’ils s’y facent plus [doctes] 13.

Analogie e differenze s’incontrano poi paradossalmente proprio tra le opere chein Italia ed in Francia hanno trattato della Corte e dei comportamenti di chi aspira-

ALTIERI BIAGI, Appunti sulla lingua della Commedia del cinquecento in «Accademia nazionale deiLincei, quaderno 138», Roma, 1971, pp. 253-300 e di A. STÄUBLE, «Parlar per lettera» Il pedan-te nella commedia del cinquecento e altri saggi sul teatro rinascimentale, Roma, Bulzoni, 1991.

11 P. CHARRON, Petit Traité de la sagesse; citiamo da La Sagesse, Paris, Fayard, 1986, che riporta afondo pagina i passi dell’ed. 1601 diversi da quella del 1604. Essa comprende il Petit Traité, cheè stato unito alle edizioni della Sagesse (pp. 851-852): «Parquoy pour les mieux cognoistre tousdeux je les veux confronter en toutes choses, les representer sur le Theatre, et faire joüer en cha-cun son personnage. Premierement, pour leurs humeurs, les inclinations, branles et mouvementsde leurs esprits, le Pedant estudie principalement à bien garnir et meubler sa memoire, pour enpouvoir compter et entretenir les autres: le Sage à former et regler son jugement et sa conscien-ce. Celuy-là est tousjours hors de soy, use et consomme ses propres facultez, et son vaillant inter-ne, pour cognoistre le dehors. Cestuy-cy au rebours se tient au dedans de soy, se sert et rapportetout le dehors à son dedans, non pour l’empescher et garder, et puis le produire comme celuy-là, mais pour s’en prevaloir en soy-mesme, reellement s’en rendre meilleur, plus habille, resolu,constant, courageux. Celuy-là n’apprend et ne scait rien que des livres, des preceptes, des mai-stres, et de ce qui est expressement dressé pour l’enseigner: Cestuy-cy de toutes choses qui sedisent, se font, se passent, grand mesnager qui fait son profit de tout, des niaiseries mesmes, cho-ses de neant, rien ne lui eschappe qu’il ne releve, il apprend de soy-mesme, de l’ignorant, de lafemme, du fol, du Pedant, et de celuy auquel il ne veut aucunement ressembler».

12 C. SOREL, Histoire comique de Francion (circa 1623-24) in Romanciers du XVII siècle par A. Adam,Paris, Gallimard (La Pléïade), 1958, pp. 60- 527. Con ‘pedante’ l’autore indica normalmente i‘professori’ che lo esaminano e lo ammettono in una determinata classe: «me laissa entre les mainsdes Pedants, qui ayant examiné mon petit sçavoir, me jugerent digne de la cinquiesme Classe, enco-re ne fust ce que par faveur» (p. 170), ma non ne nutre certo gran stima, ché, poco dopo, aggiun-ge (p. 171): «J’apris alors a mon grand regret que toutes les paroles qui expriment les malheurs quiarrivent aux escoliers se commencent par un P, avec une fatalité tres remarquable: car il y a Pedant,peine, peur, punition, prison, pauvreté, petite portion, poux, puces, et punaises, avec encore biend’autres, pour chercher lesquelles il faudroit avoir un Dictionnaire, et bien du loisir».

13 M. DE MONTAIGNE, Les Essais cit., lib. I, XXV, vol. II, pp. 71-72.

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107Socrate e l’honnête homme nell’autunno del Rinascimento francese e in Descartes

va a conquistarvi credito e considerazione: quasi unanime tra gli studiosi che lehanno considerate l’opinione che il gentilhomme français in Traités relativi alla vitacivile, come il Discours de la Cour de Claude de Chappuys (1543), il Philosophe deCourt de Philibert de Vienne Champenois (1547), Le Gentilhomme di NicolasPasquier (1611) o l’anonimo Gentilhomme français (1612), e l’Honneste homme(1630) di N. Faret, appaia come una sorta di ricostruzione del Cortegiano, i cui atteg-giamenti erano stati mirabilmente codificati da Baldassarre Castiglione e, se pur condiversa incisività, delineati nel celeberrimo Galateo di Giovanni Della Casa, nonchénella Civil Conversazione di Stefano Guazzo14, opere sulle quali non potremo qui sof-fermarci per non ampliare eccessivamente il nostro contributo 15.

Per il cortegiano e il gentilhomme non è condizione assoluta l’esser nati nobili (inproposito però N. Pasquier concede forse assai più del Castiglione)16, anche se, certo,è preferibile che lo siano: essi debbono comunque eccellere nel maneggiar con estre-

14 Il Cortegiano di B. CASTIGLIONE è apparso in Italia nel 1528 (Venezia, Aldo) e subito è stato tradot-to in francese da J. COLIN (Le courtisan nouvellement traduit de langue ytalique en françoys, Paris, J.Longis et V. Sertenas, 1537) e, poco dopo, da G. CHAPPUYS; il Galateo del DELLA CASA è stato pub-blicato nel 1558 (Galatheo overo de’ costumi, in Rime et Prose di […] Vinegia per N. Bevilacqua) e tra-dotto nel 1562 da JEAN DU PEYRAT (Paris, pour Jacques Kerver); La Civil Conversazione del GUAZZO

è stata pubblicata nel 1574 (Brescia, T. Bozzoli), quindi tradotta da G. CHAPPUYS nel 1579 (La Civilconversation, Lyon chez J. Beraud) e, nello stesso anno, da F. de BELLEFOREST (Paris, P. Cavellat). I trat-tati francesi che in diversa misura si richiamano ai testi italiani sono i seguenti: CLAUDE – Claude,non Gabriel – CHAPPUYS, Discours de la Court présenté au Roy par M. C. de Chappuys […], Paris,on le vend en la rue Neufve Nostre Dame à l’enseigne du Faulcheur par André Roffet, 1543 (B.N.F. Rés. Ye 1334); PHILIBERT DE VIENNE CHAMPENOIS, Le philosophe de Court, Lyon, J. de Tournes,1547; FRANÇOIS DU SOUHAIT, Le Parfaict gentil-homme, Paris, G. Robinot, 1600; N. PASQUIER, Legentilhomme, Paris, Jean Petis-Pas, 1611; Le gentilhomme français, Paris, Veuve Guillemot, 1612; N.FARET, L’Honneste homme ou l’art de Plaire à la Cour, Paris, Toussainct du Bray, 1630, edizionemoderna con introduzione e note di M. MAGENDIE, Paris, Puf, 1925: citeremo sempre da questa edi-zione, di cui esiste anche un reprint presso Slatkine, Genève, 1970.

15 Nel testo del Guazzo (lo citeremo nella recente ed. a c. di A. QUONDAM: STEFANO GUAZZO, Lacivil conversazione, Ferrara, Panini, 1993, 2 voll.) Socrate appare 7 volte e sembra introdurre unproblema etico vissuto con particolare intensità ed acutezza. Nel primo libro, infatti (ed. cit., p.103), il filosofo greco viene evocato in quanto sostenitore della necessaria omogeneità dell’essere edell’apparire: «Io propongo a chiunque vuol acquistare luogo di grazia nelle conversazioni chesopra ogni altra cosa […] si risolva di seguire il divino consiglio di Socrate […] procurar di essertale quale egli desidera di parere», tesi però che gli appare di ben difficile applicazione, ed è ciò cheprecisa nel passo immediatamente seguente, ove mostra di essere perfettamente cosciente che ilmondo per il quale scrive si dilettava «più di apparire che di essere» (lib. I, p.114). Naturalmentela chiave di volta dell’opera è la concezione della conversazione, che ricorderemo alla fine delnostro discorso; qui ci limitiamo a ricordare la funzione morale della conversazione (lib. II, p.81):«Io […] confermo – dice Annibale – che l’uomo non solo si spoglia della viltà e della presunzio-ne o gonfiezza, ma si veste della cognizione di se stesso per mezzo della civil conversazione» .

16 Scrive infatti N. PASQUIER, op. cit., p. 3: «Et comme ce Gentilhomme est excellent, aussi estadmirable celuy qui naist de soy-mesme, lequel par la hautesse de son courage et esprit s’est

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ma destrezza ogni sorta di armi 17, ma anche possedere una certa cultura, il che com-porta l’abbandono dell’orgoglio dell’ignoranza, di cui erano usi vantarsi i nobili del-l’età di mezzo e dell’età rinascimentale:

L’experience – scrive infatti Nicolas Pasquier – leurs apprendra que l’estude desbonnes lettres est le seul et souverain remede pour attacher a cloux de diamansune forme de bien vivre, pour dompter et adoucir sa nature[...]. Le Gentil-homme sans lettres est semblable a l’arbre sans fruicts.

Tali conoscenze però non debbono esaurirsi nell’ambito della parola, ma tra-dursi nell’azione non pour discourir, mais pour les mettre en oeuvre 18, ciò che, secondouna diversa concezione rispetto al Castiglione, lo porta a privilegiare il sapere scien-tifico e a consigliare la rinuncia dello studio del latino, del greco ed anche delle altrelingue, ché quella nazionale gli appare affatto sufficiente 19.

L’uno e l’altro debbono esser di gradevole aspetto, ma soprattutto partecipare deldono di una grazia di gesto e di parola che, soprattutto per Castiglione, è il segno chemeglio definisce il cortegiano, il punto di convergenza delle linee che lo configurano:

Avendo io [...] più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quel-li che dalle stelle l’hanno, trovo una regula universalissima, la qual mi pare valercirca questo in tutte le cose umane [...] è fuggir quanto più si po, e come unasperrimo e pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nova parola,usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò che sifa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi 20.

appuyé sur sa propre vertu»; nella pagina seguente accetta che sia «personne née de bas lieu, quipar ses vertueux et honorables deportemens s’est rendu Gentilhomme».

17 B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano […], a c. B. Maier, III ed., Torino, Utet, 1981: l. I, XLV, p.169. Di fronte all’obiezione del Bembo, che avrebbe voluto privilegiare le lettere sulle armi, il Contecosì risponde: «Anzi all’anima ed al corpo appartiene la operazion dell’arme […] non voglio, messerPietro, che voi di tal causa siate giudice, perché sareste troppo suspetto ad una delle parti; ed essen-do già stata questa disputazione lungamente agitata da omini sapientissimi, non è bisogno rinnovar-la; ma io la tengo per diffinita in favore dell’arme e voglio che ‘l nostro cortegiano, poich’ io posso adarbitrio mio formarlo, esso ancor così la estimi»; N. Pasquier all’inizio di Le Gentilhomme cit. scrive:«sa principalle profession doit estre au maniement des armes avec une honneste ialousie d’honneur».

18 N. PASQUIER, Le Gentilhomme, cit., pp.13 e 15.19 Ivi: Pasquier infatti (pp.16-17) raccomanda di abbandonare lo studio del latino e del greco «qui

l’esloigne autant de la cognoissance des sciences qu’il en doit estre proche quand il se retrouve enaage d’estre employé» ed aggiunge: «toutes les langues sont d’une mesme valeur (ciò si contrap-pone a quanto si legge nel Cortegiano: si veda I, p. 44).

20 B. CASTIGLIONE, Il Cortegiano, cit., I, XXVI, pp. 127-128 e 133. Su ‘sprezzatura’ si veda lo straor-dinario saggio di CRISTINA CAMPO: Con lievi mani, in Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987,pp. 97-111. Ecco come C. Campo definisce sprezzatura (pp. 98-100): «La parola sorella, elegan-za, non sembra riconoscere alla sprezzatura la sua qualità creativa, la sua fresca fiamma comuni-cante; piglio la confina nella deliberazione, disinvoltura la dissolve nel gesto. Noncuranza è più

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109Socrate e l’honnête homme nell’autunno del Rinascimento francese e in Descartes

Ricerca di apparente spontaneità, esito d’interiore disciplina, dominio di sé,maschera che cela faticosa educazione, nonchalance o negligence, come traduconosprezzatura Montaigne 21 e N. Faret che, a loro volta, unitamente ad Honoré d’Urfé,intravvedono nel gentilhomme chi sa mettere al bando ogni forma di affettazione:

Toutes les bonnes parties que nous avons alleguees – scrive infatti Faret –, sonttres considerables en un Gentil-homme; mais le comble de ces choses consiste enune certaine grace naturelle, qui en tous ses exercices, et jusques à ses moindresactions doit reluire comme un petit rayon de Divinité, qui se voit en tous ceuxqui sont nays pour plaire dans le monde [...]. Il y a une reigle generale qui sertsinon à l’acquerir, du moins à ne s’en esloigner jamais. C’est de fuir comme unprecipice mortel cette malheureuse et importune Affectation 22.

L’atteggiamento invece verso il Principe nell’uno e nell’altro caso è lungi dal-l’essere univoco: da una parte infatti il Castiglione, Philibert de Vienne, N. Faret –per non proporre che alcuni esempi – prescrivono al Cortegiano o al Gentilhomme diadeguarsi ai costumi della Corte23 e, soprattutto, di compiacere al Principe, visto reli-giosamente (quasi adorare il Principe, scrive il trattatista italiano), ma dall’altra sem-brano avvertire l’insussistenza di quest’etica conformista, meramente prescrittiva,quasi dimentica del soggetto, rivendicano la dignità degli studi che hanno compiu-to, quindi la positiva strumentalità del loro sapere:

Voglio adunque che ‘l cortegiano, oltre lo aver fatto ed ogni dì far conoscere adognuno sé esser di quel valore che già avemo detto, si volti con tutti i pensieri eforze dell’animo suo ad amare e quasi adorare il principe a chi serve sopra ognialtra cosa; e le voglie sue e costumi e modi tutti indrizzi a compiacerlo.

Il fin adunque del perfetto cortegiano [...] estimo io che sia il guadagnarsi permezzo delle condicioni attribuetegli da questi signori talmente la benivolenzia el’animo di quel principe a cui serve, che possa dirgli e sempre gli dica la verità

affine ma non riempie della sprezzatura che la forma cava, negativa e dunque solo momentanea.Sprezzatura è in realtà un intero atteggiamento morale che, come la parola, necessita di un con-testo […]. Sprezzatura è un ritmo morale, è la musica di una grazia interiore; è il tempo […] nelquale si manifesta la compiuta libertà di un destino, inflessibilmente misurata, tuttavia, su un’a-scesi coperta. Due versi la racchiudono, come un astuccio l’anello: «Con lieve cuore, con lievimani/ la vita prendere, la vita lasciare […]».

21 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. III, IX, vol. VI, p. 43: «Mon dessein est de representer en parlantune profonde nonchalance et des mouvements fortuites et impremeditez, comme naissans desoccasions presentes» o anche ibid, chap. X, p.157: «De vray, je l’ay veu à mesme, maintenant unegrande nonchalance et liberté d’actions et de visage au travers de bien grands affaires et espineux».

22 N. FARET, L’honneste homme, ed. 1925 cit., pp. 18 e 20. Si vedano osservazioni di E. Bury, Lalittérature, cit., pp. 48 e sgg.

23 Scrive infatti PHILIPPE DE VIENNE: «Un homme ne peult estre bon courtisan s’il ne sçait ce quiplait et est trouvé bon à la court» (cit. da P. TOLDO, Le courtisan, cit., p. 84).

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d’ogni cosa che ad esso convenga sapere, senza timor o periculo di despiacergli;e conoscendo la mente di quello inclinata a far cosa non conveniente, ardisca dicontradirgli, e con gentil modo valersi della grazia acquistata con le sue bone qua-lità per rimoverlo da ogni intenzione viciosa ed indurlo al camin della virtù 24.

L’equivocità ci pare evidente: prima un asservimento sino all’adorazione, quindi– per quanto gentile – un’azione educativa della persona stessa in cui il cortigianoaveva accettato di alienarsi. Analoga divergenza nel celebre testo di N. Faret, dove, adapertura del trattato, si presentano Principi e Corte come astri del cielo e l’honnestehomme (spesso si dice, e non ci par senza significato, il gentil-homme) come personag-gio che, sopra ogni altra cosa, ambisce a divenire piacevole ed accetto al Sovrano: LesPrinces et les Grands sont autour du Roy comme de beaux Astres, contemplati da celui quiveut se rendre agreable dans la cour 25. Ribadito, quindi, che la servitude y est tellementnecessaire qu’il semble que la liberté qu’on s’y reserve, soit une usurpation que l’on fait surl’authorité du Souverain, qui a pour son plus noble objet la gloire d’estendre son empire surles volontez [...] de ses sujets, se ne avverte la frustrazione (combien plus douce et plus tran-quille est la vie des Sages, qui ont premierement la paix avec eux mesmes), ma non sirinuncia alla cortigiania e, giustificandola sulla base di una visione politica che non cipare traspaia dal Cortegiano (le bien du Prince ne se separe point de celuy de l’Estat), siriscatta la condizione di ‘servitù’, attribuendo al cortigiano un compito educativo noncosì preciso come quello immaginato dal Castiglione, ma pur sempre improntato adun interesse politico, illuminato da una finalità etica:

[...] estant vray aussi que chaque chose tend à une fin, comme au comble de saperfection, quel plus digne object peut avoir le Sage Courtisan que la gloire debien servir son Prince, et d’aymer ses interests plus que les siens propres [...].Quiconque cherche du bien contre son devoir, merite de rencontrer un mal cer-tain ou un bien dangereux 26.

Nonostante anche nel nostro paese il disprezzo delle corti fosse da tempo assai dif-fuso ed espresso talvolta anche in termini di particolare crudezza – ne son prova gli scrit-ti di Enea Silvio Piccolomini27e di Tommaso Garzoni –28, a noi pare che le tesi denigra-

24 Il Cortegiano, cit., II, XVIII, pp. 220-221; IV, V, p. 457.25 N. FARET, L’honneste, cit., p. 7.26 Si veda ivi, pp. 34, 35, 36, 37.27 E. S. PICCOLOMINI, De Curialium miseriis epistola, a c. di W. P. Mustard, Baltimore, The Hopkins

Press, 1978 (si tratta di una lettera a J. Eich del 1444). Ne esiste anche una versione italiana dinon facile reperimento: Le miserie della vita di Corte di E.S. PICCOLOMINI (trad. di G. PAPARELLI),Lanciano, Carabba, 1943. Su questa breve opera si veda dello stesso traduttore Il De CurialiumMiseriis di Enea Piccolomini e il Misaulus di Ulrico Von Hutten in «Italica», XXIV, n. 2, 1947, pp.125-135. Si veda E. GARIN, Ritratto di Enea Silvio Piccolomini, in La Cultura del Rinascimentoitaliano, Firenze, Sansoni, 1961, pp. 38-59.

28 T. GARZONI, La Piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, Somascho, 1585 (citiamoda ed. Venetia, Baglioni, 1610), p. 229v: la Corte è rappresentata come «un Collegio d’huomini

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torie della corte che leggiamo nei trattatisti francesi, da Alain Chartier 29 a Eustache deRefuge a Nicole Faret 30, possano avvertirsi come pressoché autonome: ci è parso fattopredominante che esse siano inserite in tutt’altra prospettiva rispetto a quella che ilCastiglione aveva delineato nel suo testo che, per altri ben numerosi aspetti, era statoassunto come modello. Il letterato italiano sembra infatti trascendere il presente, scrivereper un universo fantastico, configuratosi nella sua mente allorché assai giovane era rima-sto profondamente impressionato dalle corti di Mantova ed Urbino: dalle costruzioni chele racchiudevano – traduzione concreta e stabile della visione armonica e matematica delreale –, dallo splendore degli interni, dalla grazia dei signori e dei cortigiani che le abita-vano, da un mondo – almeno inizialmente – più ‘visto’ forse che realmente ‘vissuto’, alquale ha amato attenersi nel tracciare l’immagine di un cortigiano che si determinasse inrapporto a quello spazio edenico di cui serbava struggente quanto immaginario ricordo31.

Chi aveva potuto prendere visione del testo prima che vedesse la luce era rima-sto esitante di fronte all’atmosfera rarefatta ed irreale in cui si vagheggiava che il corti-giano dovesse formarsi 32, tanto che il Castiglione avvertì l’esigenza di risponder loro:

depravati, una raunanza di volpi malitiose, un theatro di pessimi satelliti, una scuola di scorrettissi-mi costumi et un refugio di disonestissime ribalderie […] Quivi ogni qualità di virtù patisce i suoicarnefici e tiranni et in somma tutta la disgratia e tutto il male del mondo versa in Corte» (230r).

29 A. CHARTIER, Le Curial, texte français du XV siècle avec l’original latin publié d’apres les manuscritspar F. Heuckenkamp, Slatkine reprints, Genève, 1974 (ed. di Halle, 1899). Citiamo da A.CHARTIER, Les Oeuvres de Maistre Alain Chartier clerc, notaire et secretaire des Roys Charles VI et VII,à Paris, Pierre Le-Mur 1617, pp. 391-401: p. 399: «La Cour, affin que tu l’entendes, est unCouvent des gens qui soubs faintise du bien commun se assemblent pour eux entretromper. Car iln’y a gueres de gens qui n’y vendent, achettent ou eschangent aucunesfois leurs rentes ou leurs pro-pres vestemens. Car entre nous de la cour nous sommes marchans affaictez qui acheptons les autresgens et aucunesfois pour leur argent leur vendons nostre humanité precieuse». In questo passo cipare siano anche racchiusi una confessione personale, un tratto autobiografico, da cui si trae il disa-gio di questa coscienza della corte come luogo ove si smarrisce la nostra migliore umanità.

30 Su Eustache de Refuge e N. Faret si vedano sotto nn. 34 e 35.31 Così scrive CESARE VASOLI, La cultura delle Corti, Bologna, Cappelli, 1980, p. 72: «Il quadro traccia-

to ne Il libro del Cortegiano vuol essere la rappresentazione quanto si vuole idealizzata e nostalgica delmondo cortigiano urbinate degli anni del suo servizio alla corte del Montefeltro e dei della Rovere».

32 Lo notarono anche trattatisti contemporanei, quali T. GARZONI e PELEGRO DE’ GRIMALDI ROBIO.Quest’ultimo sembra aver composto i suoi Discorsi nei quali si ragiona di quanto far debbono iGentilhuomini ne’ servigi dei loro Signori per acquistarsi la grazia loro, Genova, Bellomo, 1543(citiamo dall’edizione veneziana à instantia di M. Pelegro de’ Grimaldi, 1544 – Roma, BibliotecaAlessandrina, A a 39), con l’intento di contrapporsi all’autore del Cortegiano ed in luogo delleeccelse trattazioni del Castiglione proporre «alcun sodo e vivo consiglio» a chi dovesse servirequalche Signore (p. 10r). Poco prima (pp. 6v-7) aveva assai significativamente scritto: «Da […]Messer Baldassar Castiglione, huomo che fu veramente, mentre che ei visse, ornatissimo di moltevertù, et hora morto resta anchora di chiara fama, non si può però raccor cosa, che ci possa esserdi molto aiuto. Perciocché egli ha voluto formare un cortegiano sì fatto, ch’ è impossibile ch’ altrine divenga mai tale». T. Garzoni sembra fargli eco allorché inizia il 62° Discorso della Piazza cit.,osservando: «Benche il Casteglioni habbia composto quel suo libro del Cortegiano in tanta eccel-

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Altri dicono che, essendo tanto difficile e quasi impossibile trovar un omo cosìperfetto come io voglio che sia il cortegiano, è stato superfluo il scriverlo, perchévana cosa è insegnar quello che imparar non si po. A questi rispondo che mi con-tentarò aver errato con Platone, Senofonte e Marco Tullio, lassando il disputaredel mondo intelligibile e delle idee; tra le quali, sì come, secondo quella opinio-ne, è l’idea della perfetta repubblica e del perfetto re e del perfetto oratore, così èancora quella del perfetto cortegiano 33.

Su tutt’altra linea i trattatisti francesi, che sin da Alain Chartier (XV sec.) ave-vano presentato la corte come luogo di reciproci inganni, della mera apparenza, dovedifficile sarebbe stato ottenere successo e riconoscimenti, volendo nel contempomantenere virtù e saggezza, sì che appariva folle chi, potendo condurre altra vita,avesse scelto quella del cortigiano, il che ci pare assai efficacemente riassunto in que-sto passo di Eustache de Refuge:

«L’homme de bien croira que c’est le bannir de la Court que de l’attacher a suy-vre toutes les inclinations des Princes, lesquelles le plus souvent se trouvent horsdes termes de raison et de prudhommie... A la verité celuy qui veut mener unevie du tout innocente et eloignee du train ordinaire de vivre des hommes,lesquels sont faultiers et subiects a leur passions, il fera beaucoup mieux de nepoint se jetter à la Court, qui est, s’il nous fault ainsy parler, une grande putainlaquelle corrompt aucunes foys les plus entiers et les plus chastes» 34.

Rappresentazione della Corte cui non sembra rinunciare N. Faret, nonostanteil ‘suo’ honneste homme non abbia altro fine che quello di ottenervi riconoscimento esuccesso:

L’Envie, l’Avarice, et l’Ambition qui la suivent par tout, regnent particulierementavec elle auprès des Roys, où elles attirent de tous costez un nombre infiny de cesesprits mercenaires, à qui le déreiglement d’une convoitise insatiable ne permetpas de se contenir dans une vie pleine de douceur et de tranquillité, pour les jet-ter dans les tumultes dont les grandes Cours, comme de grandes mers sont con-tinuellement agitées. C’est là que ces Furies sement la haine et la discorde parmyles plus proches, ourdissent des trahisons de toutes parts, et font germer dessemences de bassesse et et de lacheté dans les ames mesmes qui naturellement n’a-voient que des impressions de generosité 35.

lenza et perfettione, che, si come mai si trovarà l’oratore di M.Tullio ornato di quelle qualità, chein lui ricerca, così né più né meno si vederà quel perfetto Cortegiano, che egli dipinge».

33 B. CASTIGLIONE, Il Cortegiano, cit., lettera dedicatoria, III, pp. 78-79.34 EUSTACHE DE REFUGE, Le Traicté de la Court, I ed. 1616, II pars, p. 104 (B.N.F. Res. *E 3443);

questo l’incipit: «Entre toutes les sortes de conversations la plus meslee et ensemble la plus diffici-le et espineuse est celle de la Court». Analoghi giudizi si possono leggere nel (Le) Misaule ou hai-neux de Cour […], Paris, G. Linocier, 1585 (attribuito al traduttore del Castiglione, G. CHAPPUIS).

35 N. FARET, Honneste, cit., p. 8 (l’immagine della Corte come mare agitato è forse tratta dal Decurialium di Piccolomini, che insiste a lungo su di essa).

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Come si sarà notato, queste nostre prime considerazioni hanno costantementeinteso il testo del Faret come epilogo della trattatistica francese 36 ispirata in premi-nenza dall’opera del Castiglione: non siamo infatti riusciti ad intravvedervi segni diun rinnovamento particolarmente significativo, a ravvisarvi l’apertura di un univer-so chiuso ad uomini che non gli appartengono e tanto meno una nuova concezionedell’honnête homme 37. Faret, infatti, più di N. Pasquier, che lo precede di alcunidecenni, stima tres necessaire que celuy qui veut entrer dans ce grand commerce du mon-de soit nay gentil-homme et d’une maison qui ait quelque bonne marque 38, non avver-te, a differenza di Montaigne e della Marchesa di Rambouillet (1588-1665) 39, unorizzonte più ampio di quello della Corte, che pur disprezza: l’honneste homme chedelinea dev’essere essenzialmente uomo d’armi40 e la sua formazione culturale, nono-stante per certi tratti s’ispiri a Montaigne, appare assai ristretta e meramente stru-mentale ai risultati cui mira: La plus part des autres choses – precisa infatti l’autore –qui luy sont requises, ne sont estimées necessaires, qu’entant qu’elles servent d’ornement àcelle-cy, et qu’elles luy peuvent donner quelque lustre, pour la faire reluire avecque plus d’e-sclat 41. Netta e maliziosa appare poi la sua polemica contro gli esprit forts – quindianche contro P. Charron –, identificati senza alcuna riserva con gli atei più impe-nitenti, che negherebbero ciò che pare evidente persino agli uccelli. Faret evoca assaispesso la virtù, ma la sua etica da una parte è etica del riconoscimento, dell’ade-guazione ad un universo costituito nei suoi valori, e dall’altra essenzialmente fonda-

36 In ciò ci stacchiamo notevolmente dall’interpretazione di J. Mesnard, che assegna a Faret «unrôle d’inventeur»; si veda: J. MESNARD, «Honnête homme» et «honnête femme» dans la culture duXVII siècle, in Présences féminines (Actes de London), Paris-Seattle-Tübingen, PFSCL, «Biblio»17, 36, 1987, ripreso in La Culture du XVII siècle, Paris, Puf, 1992, pp. 142-159 (noi citiamoda «Biblio», p. 17).

37 A questo proposito ci allontaniamo dall’interpretazione che di tale testo dà E. Bury, ai cui studidobbiamo moltissimo. Si veda Littérature, cit., in particolare pp. 61-63.

38 È vero che subito dopo attenua ‘questa necessità’, ma è pur vero che, quasi correggendo una taleattenuazione, aggiunge: «Néantmoins faut avouër que ceux qui sont de bon lieu ont d’ordinaireles bonnes inclinations, que les autres n’ont que rarement […] Et la Noblesse, qui comme unebelle lumière esclaire toutes leurs actions, les excite à la vertu par ces exemples domestiques oules retire du vice par la crainte de l’infamie» (N. FARET, L’honneste, cit., pp. 9 e 10).

39 TALLEMANT DES RÉAUX, Historiettes, éd. établie et annotée par A. ADAM, Paris, Gallimard (LaPléiade), 1967-1970, 2 vol.: I, p. 444. La marchesa di Rambouillet interruppe M. d’Andilly«qui faisoit le professeur en amitié» e voleva insegnarle tale scienza, dicendogli: «Bien loing dene pas faire toutes choses au monde pour mes amys, si je sçavois qu’il y eust un fort honnestehomme aux Indes, sans le connoistre autrement, je tascherois de faire pour luy tout ce qui seraità son advantage». «Quoy! s’escria M. d’Andilly, vous en sçavez jusques là! Je n’ay plus rien à vousmonstrer».

40 N. FARET, Honneste, cit., p. 12: «Or, comme il n’y a point d’hommes qui ne choisissent une pro-fession pour s’employer, il me semble qu’il n’y en a point de plus honeste, ny de plus essentielleà un Gentil-homme que celle des armes».

41 Ibidem.

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ta sui misteri della fede, ché senza tali principi non sarebbe possibile probità alcunae senza probità non si riuscirebbe in alcun modo ad apparire agréables, neppure aimalvagi 42: un discorso ove non emerge mai una sentita esigenza di una dimensioneche non sia mera esteriorità e, assai significativamente, non si dà traccia né diretta néindiretta di Socrate, il filosofo cui proprio in quegli anni una vasta letteratura sirichiamava assai frequentementte, esaltandone la figura sommamente emblematicadi forma di vita e di un singolare atteggiamento di fronte alla speculazione 43.

L’honnête homme e Socrate

La vastissima dossografia socratica, che in varie forme è sempre stata motivo diriflessione e ispirazione della cultura occidentale, ha conosciuto forse il suo momentodi massima fecondità tra il Sancte Socrates ora pro nobis erasmiano 44 e il Socrates sanc-tus paederasta di Mattia Gesner (XVIII sec.) 45 che, nonostante il titolo, può situarsi al

42 Ivi, p. 32.43 In linea di massima in queste nostre osservazioni sul rapporto tra la cultura italiana e quella

francese sulla fine del XVI e l’inizio del XVII sec. ci accordiamo con quanto ha scritto R.Pintard in un suo articolo del 1936, L’influence de la pensée philosophique de la Renaissance ita-lienne sur la pensée française, in «Revue des Etudes italiennes», II, 1936, pp. 194-227: in parti-colare pp. 203-205.

44 Il celebre passo di Erasmo si trova nel Convivium religiosum, che fa parte dei Colloquia: si vedain DESIDERI ERASMI ROTERDAMI, Opera Omnia, a c. di L. E. HALKIN, F. BIERLAIRE, R. HOVEN,North-Holland Publishing Company, Amsterdam, 1972, I, III, p. 254. Sulla straordinariaimmagine di Socrate in Erasmo, si veda J. B. PINEAU, Erasme, sa penseée religieuse, Paris, 1923, p.50, n. 19; G. CALOGERO, Erasmo, Socrate e il nuovo testamento, Roma, Acc. Naz. dei Lincei, 1972;L. G. CHRISTIAN, The figure of Socrates in Erasmus’ Works, in «Sixteenth Century Journal», III, 2,1972, pp. 1-10; R. MARCEL, Saint Socrate patron de l’Humanisme, «Revue int. de philosophie»,V, 1951, pp. 135-143.

45 IO. MATTHI GESNERI Socrates sanctus paederasta. Corollarium de antiqua asinorum honestate,Traiecti ad Rhenum, ex officina J. Van Scoonhoven, 1761 (visto nell’ed. del 1769). Si tratta, mal-grado il titolo, di un processo affatto assolutorio. All’inizio si pone il quesito: «Unum crimen est,quod, varie iactatum, et plus semel non sine specie in scenam reductum saepe me solicitumhabuit. Fuerit ne impuro ac detestabili puerorum amori deditus? Hoc enim si verum sit, actumest profecto de virtute viri, indignus est, cujus cum honore nomen usurpetur». Enumerate peròle fonti che hanno diffuso questa malignità, l’autore conclude che Socrate non si sarebbe mac-chiato di colpa alcuna, ché in Grecia al suo tempo era possibile una ‘santa pederastia’: «Cum enimfuerit, quod adhuc probatum est, in Graecia paiderasteia quaedam honestissima, et sancta adeo,qua ad virtutem, bellicam praesertim, et quidquid pulchrum est, incitari homines crederentur,cum nomina ‘erontos’…et similia turpitudinem nondum haberent; cum illud paiderastein resesset adeo honesta, ut quem ad modum capital Romae erat servo, si militarat, ita Solonis legemultaretur quinquaginta plagis publice, qui servus amare liberum puerum auderet: haec ita secum haberent omnia, nemo jam debet mirari, adolescentulorum esse amorem professumSocratem, fecisse illum, quae ante dicta sunt, eaque scripsisse tanquam Socratis dicta Platonem,

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vertice delle glorificazioni del filosofo greco, iniziatesi in età umanistica con la brevebiografia (1440) di Giannozzo Manetti 46 e i vari richiami di Marsilio Ficino 47.

In questo vastissimo arco di tempo, sulla scia del grande Erasmo, appar certoche Socrate – anche se spesso sovrastato da Seneca 48 – ha conosciuto uno deimomenti di massima fortuna, non solo come simbolo di ogni umana virtù, maanche come modello quasi istituzionale di una concezione dell’uomo che, nella suaascesa al sapere, ha saputo mantenere i tratti della più quotidiana umanità, liberan-dosi in gran parte dall’eredità del cortigiano-gentiluomo italiano: pensiamo soprat-tutto all’opera di Montaigne, di Pierre Charron, di François La Mothe Le Vayer, diPierre Bardin e, in misura però assai meno rilevante di quanto spesso si pensi, a quel-la di Guez de Balzac, tutti autori che in diversa misura ci conducono a Descartes e,per quel che riguarda l’honneste homme, preparano l’immagine più ampia e più pre-cisa, ma assai diversa, che sarà quella del Chevalier de Méré 49.

Montaigne

Si ma santé me rid et la clarté d’un beaujour, me voylà honneste homme 50

Jean Starobinski, in un’intervista di alcuni anni or sono, forse leggermente ecce-dendo, diceva:

quae ex Phaedro commemoravimus». Di questo libretto esiste anche una trad. francese con testoa fronte: Socrate et l’Amour Grec. Dissertation de […], Paris, Liseux, 1877.

46 JANNOTIUS MANETTI Vita Socratis, prima edizione a c. di M. MONTUORI (a pp. 10-11 il curatoredà notizia di tutti i codici che ha collazionato), Firenze, Sansoni, 1974. Questa breve vita che,nonostante manoscritta, ha conosciuto larga diffusione, è stata composta nel 1440.

47 Oltre che in diversi luoghi della Teologia Platonica, Socrate è esaltato dal Ficino nella lettera all’in-signe teologo Paolus Ferobantis, che si legge in MARSILI FICINI, Opera […], Basileae, ex OfficinaHenricpetrina, 2 voll., 1576, I, p. 868, dove Socrate è presentato come se prefigurasse Cristo:«Nisi verteret, optime Paule, fore nonnullos, qui vel pravitate ingenii, vel parvitate iudicij, alioquam nos loquamur sensu captent, singula demostrarem, Socratem et si non figura qua Iobatque Ioannes Baptista, tamen adumbratione forte quadam Christum salutis authorem, quasi (utita loquar) praesignavisse […]».

48 Si veda J. EYMARD D’ANGERS, Recherches sur le stoicisme aux XVI et XVII siècles, ed. L. ANTOINE,New-York, G. Olms, 1976, che nei suoi notevolissimi studi sulla diffusione dello stoicismo inquesto torno di tempo ha rivolto quasi esclusivamente la sua attenzione a Seneca studiandone lapresenza in Guez de Balzac, F. Senault, F. La Mothe Le Vayer, N. Caussin e nello stesso Descartes,senza quasi mai ricordare Socrate.

49 Si veda, tra l’altro, ANTOINE GOMBAUD (CHEVALIER DE MÉRÉ) Oeuvres, Paris, F. Roches, 1930, 3voll.: III vol. Discours I e II, De la vraie Honnêteté et Suite de la vraie Honnêteté, pp.69- 84, non-ché Discours V et VI, Le Commerce du monde e Suite du Commerce du monde, pp. 139- 174.

50 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. II, XII, vol. IV, p. 24.

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[Montaigne] è forse il primo a cogliere la distinzione, centrale nei secoli succes-sivi, tra esistenza pubblica e privata. Tra l’uomo che si presenta agli altri, che viveper la gloria, e l’uomo senza particolare lustro che vive con se stesso 51.

Questa la ‘diversa’ dimensione nella quale s’iscrive una figura che tra la fine delXVI e l’inizio del XVII sec. emerge per tanti aspetti diversa da quella del gentil-homme, determinata da una certa immagine di Socrate, non perché, come talvolta siè detto, questo o quell’autore si identifichi con il filosofo greco e neppure perché lostesso filosofo sia visto come honneste homme, ma perché rappresenta un atteggia-mento verso l’esistente, una forma del vivere, in cui la filosofia può riscattarsi dalpedantismo e svolgersi più nella familiare conversazione che nella dotta lezione:

«Le plus fructueux et naturel exercice de nostre esprit – scrive infatti Montaigne,ricordandosi assai probabilmente di S. Guazzo 52 – c’est à mon gré la conference.J’en trouve l’usage plus doux que d’aucune autre action de notre vie; et c’est laraison pourquoy, si j’estois asture (à cette heure) forcé de choisir, je consentiroisplustost, ce crois-je, de perdre la veuë que l’ouir ou le parler» 53.

L’opera di Montaigne non è opera teorica, non rappresenta concetti, non defi-nisce l’honnête homme o l’honnêteté, come faranno poi N. Faret o il Chevalier deMéré, ma gli dà vita, lo considera un suo interlocutore familiare, personaggio cheforse già aveva intravvisto nel ‘suo’ mondo e ch’egli comunque stima possibile edauspicabile. Noi possiamo «vederlo» direttamente solo attraverso alcune annotazioni,ma, assai più spesso, indirettamente, come riflesso dell’immagine di Socrate – negliEssais compare 113 volte 54 –, che però dobbiamo saper ridurre a forme più adegua-te all’uomo comune 55 e alla lettura che l’io narrante fa di se stesso.

51 FRANCO MARCOALDI, Il balcone di Montaigne (intervista a J. STAROBINSKI), «La Repubblica», 15febb. 1992, p. 27.

52 È anche l’opinione del Doct. Armingaud: si veda nota introduttiva al cap. III, III libro, Essais,cit., vol. V, pp. 71-72, nota a nostro parere assai pregnante ed illuminante; egli infatti precisa:«Montaigne nous décrit donc ici un homme du monde un peu différent de «l’honnête homme»du XVII siècle; il n’en achèvera la peinture que dans le chapitre VIII (De l’art de conférer), maisil est le premier écrivain français qui ait traité la question. Enfin, il a esquissé, ici et dans d’autreschapitres, les traits d’un autre homme de société ou, si l’on veut, d’un homme d’une autre société,et qui n’est autre que lui-même: c’est un homme aux moeurs fraternelles et vraiment sociables,qui sait frayer, quand il le faut, avec les gens simples […]». Anche P. Villey (Les sources et l’évolu-tion cit., p. 457) attesta S. Guazzo come fonte dell’autore degli Essais.

53 Essais, cit., lib. III, VIII, vol. V, p. 305. Si vedano anche il cap. III (De trois commerces) dello stes-so libro.

54 Si veda R. E. LEAKE, D. B. LEAKE et A. E. LEAKE, Concordances des Essais de Montaigne, Genève,Droz, 1981, 2 voll. Si veda anche E. MARCU, Répertoire des idées de Montaigne, Genève, Droz, 1965.

55 MONTAIGNE, Les Essais, cit., lib. III, V, vol. V, p. 237: «Socrates estoit home (sic) et ne vouloit nyestre ni sembler autre chose».

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Socrate – o meglio – una certa immagine di Socrate, distinta dalle vaste specu-lazioni platoniche, acquista lo statuto di modello 56 per l’edificazione del nuovo uni-verso culturale quale s’intravvede al declinare dell’età rinascimentale da parte di chinon si riconosce più nel sapere degli scolastici né in quello delle erudite e metafisichespeculazioni di ispirazione neoplatonica (une philosophie ostentatrice et parlière) 57,senza peraltro identificarsi con i vari movimenti prettamente scientifici che venivanocostituendosi un po’ dovunque nel continente europeo 58.

Nella consapevolezza della radicale trasformazione dei valori – tout crolle autourde nous – 59 cui assisteva e che contribuiva a esacerbare, privo di fiducia nelle istitu-zioni e in particolare nella corte, il Périgourdin, rinunciando a modelli esteriori,tende a trovare in se stesso – J’ay mes loix et ma court pour juger de moy – 60 lo spazioancora non sufficientemente esplorato, ove esercitare la sua riflessione, scoprire un’e-sistenza equilibrata, conquistare une sagesse gaye et sociale 61:

Il est temps de nous desnouer de la societé puis que nous n’y pouvons rien appor-ter [...] Nos forces nous faillent; retirons les et resserrons en nous 62.

56 Così anche M. MAGENDIE: «Il (Montaigne) prend Socrate pour modèle» (La politesse, cit., p. 388)e T. Gregory. Si veda: T. GREGORY, Per una lettura di Montaigne (testo italiano della prefazione all’an-tologia degli Essais di MONTAIGNE, pubblicato nella «Biblioteca Universal del Circulo de lectores ac. MARIA DOLORES PICAZO e ALMUDENA MONTOJO a Barcellona nel 1997), nonché «Giornale criti-co della Filosofia italiana», vol. XVII, anno LXXVI (LXXVIII), maggio-agosto 1997, pp. 145-164:p. 149; alcune delle citazioni più significative ci sono state suggerite da questo saggio. Si vedanoanche le pagine che E. Faye consacra alla figura di Socrate in Montaigne: E. FAYE, Philosophie et per-fection de l’homme. De la renaissance à Descartes, Paris, Vrin, 1998: in particolare pp. 211-217.

57 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. I, XXXIX, vol. II, p. 338. In realtà qui Montaigne si riferisce speci-ficatamente a Plinio il giovane e, stranamente, a Cicerone, ma proprio in quanto la philosophieparlière è contrapposta alla sua «naisve philosophie», questa ci pare contrapporsi ad ogni saperepiù fondato sulla parola che sulla concreta esperienza interiore. Si veda anche ivi, lib. III, II, vol.V, p. 38: «Les autres forment l’homme; je le recite et en represente un particulier bien mal formé,et lequel, si j’avois à façonner de nouveau, je ferois vrayement bien autre qu’il n’est».

58 Ivi, lib. I, XXXIX, vol. II, p. 334: «Il y a des sciences steriles et épineuses, et la plus part forgéespour la presse (per il mondo): il les faut laisser à ceux qui sont au service du monde».

59 Ivi, lib. III, IX, vol. VI, p. 39: «Or tournons les yeux partout: tout crolle autour de nous; en tousles grands estats, soit de Chrestienté, soit d’ailleurs, que nous cognoissons, regardez y: vous ytrouverez une evidente menasse de changement et de ruyne».

60 Ivi, lib. III, II, vol. V, pp. 46-47: «Nous autres principalement, qui vivons une vie privée qui n’est enmontre qu’ à nous, devons avoir estably un patron au dedans, auquel toucher nos actions, et, seloniceluy, nous caresser tantost, tantost nous chastier. J’ay mes loix et ma court pour juger de moy».

61 Si veda sotto, n. 83.62 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. I, XXIX, vol. II, p. 324. Ricordiamo anche il celebre passo della

‘arriereboutique’, ivi, lib. I, XXIX, vol. II, p. 320: «Il se faut reserver une arriereboutique toutenostre, toute franche, en laquelle nous establissons nostre vraye liberté et principale retraicte etsolitude. En cette-cy faut-il prendre nostre ordinaire entretien de nous à nous mesmes, et si privéque nulle acointance ou communication estrangiere y trouve place».

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Egli inizia così un nuovo itinerario pratico-teorico di cui avverte l’originalità ein una certa misura la responsabilità, come ben si coglie da questo passo di una sualettera a M.me Estissac:

C’est [une entreprise] si fantastique et a un visage si esloigné de l’usage communque cela luy pourra donner passage […]. Et puis, me trouvant entierementdesgarny et vuide de toute autre matiere, je me suis presenté moy-mesmes à moy,pour argument et pour subject. C’est le seul livre au monde de son espece, d’undessein farouche et monstreus 63.

Egli si muove dunque in una rinnovata concezione della coscienza di sé, dell’Io,si presenta a se stesso (je me suis presenté moy-mesme a moy... la plus grande chose aumonde c’est sçavoir estre soy) 64, innalza l’autentica lettura di sé a valore (je n’enseignepoinct, je raconte) 65, a inusitato campo teoretico della speculazione:

Je m’estudie plus qu’autre subject. C’est ma metaphisique, c’est ma phisique [...]Je ne peints pas l’estre, je peints le passage 66.

Questo ripiegarsi su se stesso non esclude tuttavia l’altro che, al contrario, ècomplementare oggetto di ricerca, sia perché egli studia anche per piacere all’honne-ste homme 67, sia perché senza l’altro non sarebbe possibile il dialogo che, come abbia-mo visto 68, costituisce l’esercizio più fecondo dell’ingegno, sia, infine, perché man-cherebbe l’intimo profondo piacere dell’amicizia:

Si à si bonnes enseignes je sçavois quelqu’un qui me fut propre, certes je l’iroistrouver bien loing; car la douceur d’une sortable et aggreable compaignie ne sepeut assez acheter à mon grè. O un amy! 69.

È assolutamente sulla scia del filosofo greco, che pur non approva incondizio-natamente 70, che l’autore degli Essais fissa gli esiti più fermi della sua riflessione: da

63 Ivi, lib. II, VIII, vol. III, pp. 119-120 (abbiamo preferito, per quel che riguarda i termini desgarnye monstreus, la lezione dell’ed. 1588).

64 Ivi, lib. I, XXIX, vol. II, p. 324.65 Ivi, lib. III, II, vol. V, p. 42.66 Ivi, lib. III, XIII, vol. VI, p. 314 e III, II, vol. V, p. 38.67 Ivi, lib. III, IX, vol. VI, p. 87: «Outre ce profit que je tire d’escrire de moy, j’en espère cet autre

que, s’il advient que mes humeurs plaisent et s’accordent à quelque honneste homme avant queje meure, il recherchera de nous joindre».

68 Si veda sopra, n. 53.69 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. III, IX, vol. VI, pp. 87-88.70 Due le riserve di Montaigne sul filosofo che ammira comunque come il più saggio tra gli uomi-

ni: in primo luogo di esser rimasto eccessivamente legato alla sua città (ce que Socrate fit sur safin, d’estimer une santance d’exil pire qu’une santance de mort contre soi, je ne serai, à mon avis,jamais ny si cassé ny si estroitement habitué en mon païs que je le fisse» – Ivi, lib. III, IX, vol. VI,

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una parte il superamento della mera singolarità, la possibile universalità del suo pen-siero e, dall’altra, l’incertezza del sapere come sola possibile certezza.

On demondoit à Socrates d’où il estoit. Il ne respondit pas: d’Athenes, mais: duMonde 71, cosmopolitismo senza dubbio profondamente radicato e teoricamente giu-stificato anche nel Périgourdin:

Non parce que Socrate l’a dict – scrive infatti Montaigne – mais parce qu’enverité c’est mon humeur, et à l’avanture non sans quelque [excez], j’estime tousles hommes mes compatriotes, et embrasse un Polonois comme un François,postposant cette lyaison nationnale à l’universelle et commune. Je ne suis guereferu de la douceur d’un air naturel 72.

Concezione universale delle possibilità della sua coscienza – chaque hommeporte la forme entiere de l’humaine condition 73 -, cui Montaigne perviene nel supera-mento di pregiudizi, delle autorità tenute a determinati particolari riti culturali, del-l’idiota stupore di fronte a costumi che paiono estranei, ché, proprio muovendo dallasua coscienza, si dice convinto che chaque usage a sa raison 74.

Paradossalmente la ragione, che libera dalla tirannia dell’angusta visione parti-colare delle cose, dai riti e dai costumi, non ha però la forza di dar certezze, se nonquella per cui solo sappiamo di non sapere, come appunto aveva detto Socrate:

Le plus sage homme qui fut onques, quand on luy demanda ce qu’il sçavoit,respondit qu’il sçavoit cela, qu’il ne sçavoit rien 75,

conferma della convinzione che secoli di incessanti ricerche non hanno portato l’uo-mo sincero con se stesso – en conscience – a riconoscere di non aver appreso che laconsapevolezza della propria debolezza: l’ignorance qui estoit naturellement en nous,nous l’avons, par longue estude, confirmée et averée 76. Ciò tuttavia è ben lontano dall’

p. 69) e, in secondo luogo, di esser caduto in estasi (rien ne m’est facheus a digerer en la vie deSocrates que ses ecstases et ses daemoneries – Ivi, lib. III, XII, vol. VI, p. 422).

71 Ivi, lib. I, XXVI, vol. II, p. 124. Si tratta di un topos della dossografia socratica, ma Montaignel’ha assai probabilmente tratto da Cicerone, Tusculanae Disputationes, V, 37 (si veda ed. con testoa fronte a c. E. NARDUCCI, trad. L. ZUCCOLI CLERICI, Milano, Rizzoli, 1996, p. 544: «Socratesquidem cum rogaretur cuiatem se esse diceret, Mundanum, inquit»).

72 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. III, IX, vol. VI, p. 68.73 Ivi, lib. III, II, vol. V, p. 39.74 Ivi, lib. III, IX, vol. VI, p. 99: «La diversité des façons d’une nation à autre ne me touche que par

le plaisir de la variété. Chaque usage a sa raison». Tutta la pagina è particolarmente significativa.75 Ivi, lib. II, XII, vol. III, p. 404. Il passo è tratto dagli Academicorum libri di Cicerone, I, 4. 76 Ivi, lib. II, XII, vol. III, pp. 402-403; qualche riga sopra aveva appunto scritto: «Je croy qu’il me

confessera, s’il parle en conscience, que tout l’acquest qu’il a retiré d’une si longue poursuite, c’estd’avoir appris à reconnoistre sa faiblesse».

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indicare uno stato di ottusità, un’assenza di ogni luce, l’impossibilità di ogni azionecostruttiva, ché, ben all’opposto, apre ad un atteggiamento critico di fronte al reale,al giudizio stesso sul potere delle nostre facoltà:

Car cela, d’establir la mesure de nostre puissance, de connoistre et juger la diffi-culté des choses, c’est une grande et extreme science, de la quelle ils (i pirronianida cui evidentemente prende qualche distanza) doubtent que l’homme soit capa-ble[...]. L’ignorance qui se sçait, qui se juge et qui se condamne, ce n’est pas uneentiere ignorance: pour l’estre il faut qu’elle s’ignore soy-mesme 77.

La figura di Socrate, la cui anima è la più prossima a quella perfezione cheMontaigne dice di aver conosciuto 78, attraversa dunque tutti gli Essais e proprio nelleultime pagine il filosofo greco appare particolarmente presente, soprattutto nell’im-magine che ci hanno consegnato Platone (Convito) e Senofonte (Simposio), nonchéDiodoro Siculo e Diogene Laerzio 79, un Socrate coraggioso, che non esita a rischia-re la propria vita pur di salvare quella di Alcibiade e dello stesso Senofonte, di gran-de forza fisica, di estremo dominio di sé, capace di affrontare ogni disagio, imper-turbabile nella gioia e nel dolore, ma soprattutto filosofo tra gli uomini, che trae espe-rienza dal quotidiano, che sa sorridere, giocare con i fanciulli:

Il ne refusoit ny à jouer aux noysettes avec les enfans, ny à courir avec eux sur uncheval de bois; et y avoit bonne grace, car toutes actions, dict la philosophie,siéent egalement bien et honnorent le sage 80.

La dimensione del suo pensiero coincideva con la ricerca stessa, ove provava pia-cere come il cacciatore nella caccia 81: mai dunque ammantato dalla boria del possessodella verità, sempre umano, quasi questuante della parola dell’altro per esercitare la mis-sione che soprattutto sentiva come sua, far discendere la filosofia dal cielo alla terra82.

L’honneste homme montaignano si costituisce dunque su questo sfondo socrati-co, non appare identico allo stesso Montaigne o al filosofo greco, ché la figura che ilPérigourdin cerca di delineare è ben lontana dal corrispondere a un’immagine miti-ca, ma è piuttosto una persona che riflette alcune delle virtù addensate ed ‘estreme’

77 Ivi, lib. II, XII, vol. III, p. 408. In questo fondamentale luogo della sua opera Montaigne argomentasullo sfondo della classificazione delle tre filosofie (la dogmatica, l’accademica, la scettica), che leg-giamo all’inizio degli Schizzi pirroniani di SESTO EMPIRICO (si vedano nell’ed. a c. di A. RUSSO, Bari,Laterza, 1988): «Quiconque cherche quelque chose, il en vient à ce point: ou qu’il dict qu’il l’atrouvée ou qu’elle ne se peut trouver, ou qu’il en est encore en queste» (ivi, pp. 406-407).

78 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. II, XI, vol. III, p. 217.79 I testi cui ci riferiamo sono anche riportati nell’Antologia a c. di G. GIANNANTONI: Socrate, tutte

le testimonianze: da Aristofane e Senofonte ai Padri cristiani, Bari, Laterza, 1971. 80 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. III, XII, vol. VI, p. 407.81 Ivi, lib. II, XIII, vol. III, p. 418: «en cette chasse de la vérité».82 CICERONE, Tusculanae, lib. 5, p. 8: ed. cit., pp. 454-455.

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nel lontano maestro di vita: il desiderio di sapere, complementare alla convinzioneche non potrà mai essere soddisfatto, la conversazione e non le aride regole logiche –l’attacco all’albero di Porfirio negli Essais è esplicito e perentorio 83 – come privilegia-to procedimento propedeutico, un rifiuto dell’autorità e – quindi – assoluta libertàdi scegliere 84, una saggezza limitata, alla portata dell’uomo, gaia e sociale 85. Unuomo, dunque, più teso alla ricerca del saper vivere che alle speculazioni fisiche emetafisiche, tenuto al quotidiano, insomma lontanissimo dal gentilhomme, chéMontaigne sente solo pena per chi si educa per servire un altro: Il y a de quoi plain-dre les hommes qui auront à vivre avec un homme et luy obeyr, lequel outrepasse et ne secontante de la mesure d’un homme 86; ben altro l’uomo ‘nuovo’ con cui egli ama intrat-tenersi. Egli stesso lo presenta:

Les hommes de la societé et familiarité desquels je suis en queste, sont ceux qu’onappelle honnestes et habiles hommes: l’image de ceux [cy] me degouste desautres [...] La fin de ce commerce, c’est simplement la privauté, frequentation etconference: l’exercice des ames sans autre fruit 87.

Non si tratta solo di auspici, di mere creazioni dell’immaginazione: uomini di talfatta già esistevano e certo potremmo individuarli nella cerchia degli amici dello stessoMontaigne, esistevano nella società che ha conosciuto ed esisteranno, anche se non pro-tagonisti, in quella dei primi decenni del XVII secolo; la loro dimensione prima è l’au-tenticità, nonché un desiderio disinteressato di sapere, non per la scuola, come appun-to ebbe a scrivere Nicolas Vaquelin des Yveteaux (1567-1649): Instruis-toi pour le mondeet non pour l’Ecole, avrebbe anche potuto aggiungere: ‘non par l’Ecole’.

Charron

La Sagesse (1601 e 1604) di Pierre Charron sembra percorrere le stesse lineeispiratrici di Montaigne: ben frequenti, infatti, sono i luoghi di quest’opera che pos-siamo riportare agli Essais, tuttavia a noi pare che il fossato con la cultura della tradi-

83 MONTAIGNE, Essais, cit., lib. III, XIII, vol. VI, p. 305: «Une pierre c’est un corps. Mais qui pres-seroit: Et corps qu’est-ce? – Substance – Et substance quoy? ainsi de suitte, acculeroit en fin lerespondant au bout de son calepin. On eschange un mot pour un autre mot, et souvent plusincogneu. Je sçay mieux que c’est qu’homme que je ne sçay que c’est animal, ou mortel, ou rai-sonnable. Pour satisfaire à un doubte, ils m’en donnent trois: c’est la teste de Hydra».

84 Ivi, lib. II, XVII, vol. IV, p. 241: «Ainsi j’arreste chez moi le doubte et la liberté de choisir».85 Ivi, lib. III, XIII, vol. VI, p. 424. Queste sono le parole che chiudono gli Essais: «Les plus belles

vies sont, a mon gré, celles qui se rangent au modelle commun et humain, avecq ordre, mais sansmiracle et sans extravagance […] une sagesse gaye et sociale».

86 Ivi, lib. III, XIII, vol. VI, p. 423.87 Ivi, lib. III, III, vol. V, p. 85.

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zione si faccia in essa ancor più ampio, che il suo autore sia pervenuto a rappresen-tare le ‘nuove’ idee con maggior plasticità, diremmo quasi teatralità – spesso infattiegli ricorre al teatro e al rapporto maschera-volto quali metafore per esprimere il suopensiero88 –, di quanto non abbia fatto il Périgourdin e, infine, che da tale scritto, piùancora che dal testo montaignano, Descartes abbia tratto motivi di ispirazione 89.

Il richiamo alla coscienza è certo fondamentale e comune ai due grandi saggi-sti, ché anche l’opera di Charron s’apre e si chiude in termini assolutamente socrati-ci, con l’invito al lettore a riportarsi a questo luogo della speculazione come a condi-zione prima per percorrere un iter, che nel suo caso mira essenzialmente alla ‘scoper-ta’ della virtù, mentre in Descartes assumerà tutt’altra direzione, con la rinuncia aduna ricerca specificatamente etica e l’esasperazione – almeno su questo terreno –metafisica, che lo condurrà agli esiti più sconvolgenti e rivoluzionari, rispetto alla tra-dizione, cui in quest’ambito si poteva pervenire.

Il se faut donc persuader que la vertu ne cherche point un plus ample ny plusriche Theatre, pour se faire voir, que sa propre conscience [...] se remettre devantles yeux que l’on vient en ce monde comme à une Comedie, ou l’on ne choisitpas le personnage que l’on veut jouër, mais seulement l’on regarde à bien jouërceluy qui est donné 90.

88 Come stiamo per mostrare, la dimensione stessa della coscienza sembra attuarsi nella tridimensio-nalità di uno spazio teatrale, mentre falsità e autenticità, esteriorità e interiorità, sono rappresentatecome maschera e volto. Si veda P. CHARRON, La Sagesse, cit., lib. II, III, p. 418: «ansi les actions devertu ne sont souvent que masques, elles en portent le visage, mais elles n’en ont pas l’essence».

89 Più avanti accenneremo a vari luoghi dell’opera charroniana che con grande probabilità hannoispirato l’autore del Discours. È estremamente probabile che Descartes abbia posseduto la Sagessesin dal 1619. F. DE BUZON ha preso conoscenza di un esemplare di questo testo, probabilmentela terza ed. (1607), dedicata al filosofo da un amico: nella pagina di guardia infatti si legge:«Doctissimo amico grato et minori fratri Renato Cartesio ded. P. Johannes B. Molitor S.J. exeun-te anno 1619». Si veda: Un exemplaire de la ‘Sagesse’ de P. Charron offert à Descartes en 1619,«Archives de Philosophie», 55, mars 1992, «Bulletin cartésien», XX, pp. 1-3. F. De Buzon giu-stifica l’espressione minori fratri come un gesto familiare dell’amico. Per quel che riguarda tesidella Sagesse cui ci pare Descartes si sia ispirato in alcune sue opere, soprattutto della prima matu-rità, assai succintamente – riservandoci di soffermarci più avanti su quelle più pertinenti al temache stiamo trattando – ricordiamo una rappresentazione teatrale del mondo, comune a tuttaquella età («Universus mundus exercet histroniam», Sagesse, cit., lib. II, II, p. 393), regole di com-portamento assai simili a quelle che Descartes (Morale par provision) traccerà nel Discours (ivi, lib.II, VIII, p. 496), un campo epistemico tutto compreso nella coscienza, entro il quale può per-corrersi il cammino dall’Io a Dio (ivi, Préface, p. 45), l’utilità dei viaggi (ivi, lib. III, XIV, p. 696),la forza conoscitiva della lumière naturelle: Petit Traicté de Sagesse (ivi, p. 844). Sulla presenza diCharron in Descartes si veda: J. R. MAIA NETO, Charron’s époché and Descartes’ cogito: the scepti-cal base of Descartes’ refutation of scepticism, in The Return of Scepticism from Hobbes to Descartes,a cura di G. Paganini, Dordrecht-Boston-London, Kluwer, 2003, pp. 81-113.

90 P. CHARRON, La Sagesse, ed. cit., all’inizio (p. 44) assai esplicitamente scriveva: «Le plus eccellentet divin conseil, le meilleur et plus utile advertissement de tous, mais le plus mal pratiqué, est de

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Coscienza come teatro è metafora – la troveremo anche in La Mothe Le Vayer91

– che iscrive la speculazione di Charron in una dimensione affatto mondana: questinon rifiuta la rivelazione, ma ne delimita il campo; lui, che non intendeva prepararel’uomo per il chiostro – noi aggiungeremmo ‘e neppure per la corte’ –, ma per ilmondo e la vita civile 92, precisa con assoluta chiarezza che la speculazione scetti-cheggiante non riguarda in alcun modo le verità di fede, ma che, per quanto riguar-da i nostri pensieri, il nostro opinare, essi sono nostri e liberi: les pensées, opinions,jugement sont tous nostres et libres 93.

Come è stato detto 94, il ricordo di Socrate attraversa tutta l’opera di Charron:anche se meno frequenti che in Montaigne, nella Sagesse i richiami al filosofo grecosono infatti particolarmente significativi e in armonia con i temi avanzati, tra cuidominante ci par quello che potrebbe dirsi pedagogico. Socrate, Coriphe des sages 95,è infatti al centro dell’opera per la sua capacità dialogica, per la sua arte, che non con-siste tanto nel porgere verità compiute o nel presentare un sapere come se lo gene-rasse egli stesso, quanto nel portare attraverso il dialogo l’‘altro’, l’interlocutore, a sco-prirli in se stesso, à les enfanter: questa l’immagine del filosofo greco che ispira anchela distinzione tra esprits foibles et esprits forts, ché veramente deboli sono quelli che,essendo tali, recitano la parte dei forti e indossano una maschera per celare il loro verovolto, forti invece quelli che, consci della loro debolezza, in luogo di rimuoverla, lainnalzano a momento genetico della loro sensibilità e della loro scienza:

Ils (quelli che presumono di sapere) tiennent à honte et foiblesse cette surceance(sospensione della certezza) pource qu’ils ne sçavent que c’est, et n’apperçoyventque les plus grands en ont fait profession, ils rougiroyent, et n’auroyent jamais lecueur de dire franchement: Je ne sçais, tant ils sont frappés d’opinion et presomp-tion de science, et ne sçavent pas qu’il y a une sorte d’ignorance et de doute, plus

s’estudier et apprendre à se cognoistre: c’est le fondement de sagesse et acheminement à tout bien:folie non pareille que d’estre attentif et diligent à cognoistre toutes autres choses plutost que soymesme: la vraye science et le vray estude de l’homme, c’est l’homme»; la Metafora della coscien-za come teatro si legge in Petit Traicté de Sagesse, éd. Fayard cit., p. 800.

91 Si veda F. LA MOTHE LE VAYER, De l’Ignorance louable, in Cinq autres dialogues: «La consciencede l’homme estant comme son Theatre», p.100, ed. 1606.

92 CHARRON, La Sagesse, cit., préface, p. 32: «Si j’eusse entreprins d’instruire pour le cloistre…ilm’eust falu suyvre, adamassim, les advis des theologiens, mais nostre livre instruit à la vie civile etforme un homme pour le monde, c’est à dire la sagesse humaine et non divine».

93 Ivi, II, 2, p. 386. 94 Si veda, ad esempio, G. PAGANINI: «Sages» «Spirituels» «Esprits forts». Filosofia dell’«Esprit» e tipo-

logia umana nell’opera di Pierre Charron, in AA.VV. La saggezza moderna. Temi e Problemi diPierre Charron (atti del convegno di studi in onore di Giampiero Stabile), Napoli-Roma, ESI,1987, pp. 113-156: p. 123.

95 P. CHARRON, La Sagesse, cit., lib. II, II, p. 410: «C’est cette grande qualité et suffisance de Socrate,le Coriphe des sages, par l’adeveu de tous […] il n’enfantoit point, mais servant de sage femmefaisoit enfanter les autres».

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docte et assurée, plus noble et genereuse que toute leur science et certitude: c’est cequi a rendu Socrates si renommé et tenu pour le plus sage: c’est la science des scien-ces et le fruit de tous nos études[...]. Je diray ici que j’ay fait graver sur la porte dema petite maison que j’ay fait bastir à Comdom l’an 1600, ce mot, Je ne sçay 96.

In questo passo ci pare si possa facilmente scorgere la forza dirimente del rifiu-to del pedante: anche per Charron non il ridicolo personaggio delle commedie ita-liane, ma il dotto che non sa usare la scienza, cioè – e lo afferma in termini espliciti– l’esprit foible, mentre l’esprit fort, nella misura in cui la possiede, sa gestirla, goder-ne, trarne i giusti vantaggi, farsi più abile 97. La separazione tra le due culture è la piùnetta che si possa immaginare, ché principe dei pedanti, dei dogmatici, è proprioAristotele, il corifeo dei dotti, intesi evidentemente come pedanti 98.

A suo avviso nell’educare si possono seguire diverse vie, o attraverso la parola,mediante precetti, lezioni ex cathedra o la conversazione con honnestes et habiles hom-mes, o attraverso gli esempi. Nell’ambito della parola Charron, senza esitazione alcu-na, sceglie la conversazione, il dialogo, rifacendosi in modo diretto, anche per quelche riguarda il metodo, a Socrate:

Il faut resveiller et eschauffer leur esprit par demandes, les faire opiner les premiers,et leur donner mesme liberté de demander, s’enquerir, et ouvrir le chemin quandils voudront [...] Cette façon d’instruire par demandes est excellement observéepar Socrate (le premier en cette besogne) comme nous voyons par tout en Platon,ou par une longue enfileure de demandes dextrement faittes, il mene doucementau giste de la verité [...] Or ces demandes ne doivent pas tant étre des choses descience et de memoire, comme a été dit, que des choses de jugement 99.

Questo dialogo dovrebbe portare l’interlocutore a superare i riti, i legami tribali, lesuperstizioni, a scoprire – ancora una volta secondo il notissimo insegnamento di Socrate,che già abbiamo visto in Montaigne – l’universalità del pensiero 100. Risvegliare la mentesignifica aprirla – qui ne demande rien ne sçait rien –, esorcizzarla da idioti stupori:

96 Ivi, lib. II, II, p. 402.97 Ivi, Préface, pp. 38-39: «L’esprit foible ne sçait pas posseder la science, s’en escrimer, et s’en servir

comme il faut, au rebours elle le possede et le regente […] l’esprit fort et sage la [science] manieen maistre, en jouyt, s’en sert, s’en prevaut à son bien et advantage, forme son jugement, rectifiesa volonté, en accomode et fortifie sa lumiere naturelle […] à tels esprits foibles de nature, preoc-cupez, enflez […] comme ennemis formels de sagesse, je fay la guerre par exprez en mon livre,et c’est souvent sous ce mot de pedant […].

98 Ivi, lib. II, II, p. 401: «Aristote prince des dogmatistes et affirmatifs: Le Dieu des Pedants». 99 Ivi, lib. III, XIV, p. 697, ma si vedano pp. 695-698, dove in breve, ma assai efficacemente, sono

respinti i diversi metodi di istruzione e spiegati i motivi del privilegio assegnato al metodo socra-tico-dialogico.

100 Ivi, lib. III, XIV, p. 699: «C’est en ce sens que Socrate le sage se disait citoyen du monde».

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Les plus belles ames et les plus nobles sont les plus universelles et plus libres: parce moyen l’esprit se roidit, apprend a ne s’estonner de rien 101.

Sviluppando questa tematica, che coinvolge anche le religioni, Charron rag-giunge forse il più alto e ‘pericoloso’ momento della sua speculazione: il ‘suo’ saggio,anche se per mera opportunità, ha da seguire i costumi del suo paese, teoricamenteperò deve sapersene staccare, superarli, vagliarli attraverso la variegata visione delladiversità, giudicare, acquisire un atteggiamento critico, costruirsi una sua interiorità,che lo porrà in grado di guardare ed agire nel mondo con sovrano distacco 102.

È questa la condizione che diremmo dell’essere per sé – être à soi -, anch’es-sa tratta da una visione pedagogica che rifiuta l’autorità, ché sottomettersi ad essasarebbe come decadere ad una condizione animale – se laisser conduire comme unbuffle 103 –. Una fiducia nell’uomo, che preannuncia quella che sarà di Shafetsburye di Rousseau e che non concede nessuna ‘compressione’ della sua natura: il sag-gio si costituisce solo per sé, aiutato sì dal dialogo, ma non dal timore di leggi, dimagistrati, di pedanti che lo distruggerebbero 104. In questa autonomia egli rag-giunge il più alto sapere che senza ipocrisie, senza maschere, l’uomo autentico puòvantare, cioè quello di Socrate, che – come abbiamo visto – Charron fa comple-tamente suo 105.

Saper formarsi autonomamente all’interno della propria coscienza e per la stes-sa coscienza, innalzarsi ad una visione universale delle cose, distaccarsi dai riti, daicostumi di un solo paese, vivere nell’assoluta integralità la propria condizione diuomo 106: tutto ciò porta all’autentica preud’hommie, alla virtù che costituisce la pre-mière et fondamentale partie de la sagesse.

Neppure per l’autore della Sagesse pensiamo di proporre l’homme de bien,modello etico delineato nel cono d’ombra dell’astorica visione di Socrate, come per-fettamente coincidente con quell’honneste homme, rappresentante di un ceto nuovo,che forse per il suo stesso costituirsi aveva spinto Charron, interprete del suo tempo,alla composizione dell’opera: insistiamo nel voler proporre non un concetto, o sol-tanto un concetto, ma intravvedere uomini con i quali egli poteva concretamentepensare di costituire una minima respublica literaria, dove intessere feconde conver-

101 Sia questa che la precedente cit. è tratta da ibidem, p. 699. Nel lib. II, II, p. 391, Charron avevascritto: «le vray moyen d’obtenir et se maintenir en ceste belle liberté de jugement, et qui seraencores une autre belle leçon et disposition à la sagesse, c’est d’avoir un esprit universel».

102 T. Gregory ha scritto in proposito pagine particolarmente efficaci; si veda: T. GREGORY, Etica eReligione nella critica libertina, Napoli, Guida, 1986, in particolare pp. 96-100.

103 CHARRON, La Sagesse, cit., lib. III, XIV, p. 700. 104 Ivi, Petit Traicté, p. 843: «je veux en mon sage une preud’hommie essentielle et invincible qui

tienne de soy mesme.»105 Si veda sopra n. 95.106 La Sagesse, cit., lib. II, III, p. 420: «Tout homme doit estre et vouloir estre homme de bien, pour-

ce qu’il est homme, qui ne se soucie de l’estre est un monstre […]».

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126 Ettore Lojacono

sazioni che, come quelle socratiche, avrebbero condotto gli interlocutori a conqui-stare una sempre più profonda conoscenza di se stessi.

Pur apparentemente semplici, le condizioni essenziali per il raggiungimentodell’autentica preud’hommie – cioè essere essenzialmente uomo, vivere secondo natu-ra e ragione 107 – sottintendono, per una loro più precisa definizione, ulteriori svolgi-menti teorici: esse evocano però atteggiamenti quotidiani di estrema linearità, secon-do un linguaggio che Charron credeva fosse stato anche di Socrate, i cui propositi sidiceva fossero tra i più simples et naturels, fondati su similitudes et inductions vulgai-res, assai simili a quelli tenuti dai contadini e, soprattutto, intesi a proporre regole delbien vivre 108. Così l’autore della Sagesse, tra le righe delle sue affermazioni teoriche piùambiziose, introduce regole morali di percezione immediata, quali essere liberi, fran-chi, sorridenti, gioiosi, uniformi e costanti nell’azione, e soprattutto moderati109, spo-sta il fulcro delle ambizioni dall’esterno all’interno, dal mondo degli altri a quello chesolo ci appartiene, alla vita privata, riconosce ed espunge come passione viziosa ciòper cui il gentilhomme pensava di potersi dire honneste, cioè l’onore e l’approvazionedegli altri 110.

L’homme de bien deve poi saper anche abbandonare l’altera ambizione di per-venire alla conoscenza perfetta delle cose umane e divine, non deve quindi ascriversitra presuntuosi Teologi e Filosofi, ma ricordare sempre la massima socratica sapere dinon sapere e in questa umile saggezza iscrivere e mantenere la propria curiosità. Nonun disprezzo assoluto verso le scienze, ma un richiamo ‘moderato’ a non stimarletroppo né troppo poco e, soprattutto, a saper scegliere tra di esse: trascurare quelleche pretendono di inoltrarsi in alte speculazioni, concedere una certa attenzione allescienze naturali, ma privilegiare assolutamente le pratiche, e ‘vivere’ soprattutto quel-le che mirano al bene dell’uomo, insegnandogli a ben vivere e a ben morire 111.

107 Ivi, lib. II, III, p. 422: «Or le Patron et la regle pour l’estre, c’est cette Nature mesmes qui requiertsi absolument que le soyons, c’est di-je cette equité et raison universelle qui éclaire et luit en cha-cun de nous», oppure ancora più efficacemente poco dopo (ivi, p. 424): «la doctrine de tous lesSages porte que bien vivre, c’est vivre selon nature, que le souverain bien en ce monde, c’est con-sentir à nature, qu’en suyvant nature, comme guide et maitresse l’on ne faudra jamais».

108 Ivi, lib. II, III, p. 425.109 Ivi, lib. II, III, p. 419: «la vraye preud’homie, que je requiers en celuy qui veut estre sage, est libre

et franche, masle et genereuse, riante et joyeuse, égale, uniforme, et constante, qui marche d’unpas ferme, fier, et hautain, allant tousjours son train […]».

110 Si vedano in particolare ivi, lib. I, LX, pp. 361-364: «L’Honneur disent aucuns et mal, est le prixet la recompense de la vertu […] L’honneur est tant estimé et recherché de tous, que pour y par-venir l’on entreprend, l’on endure, l’on mesprise toute autre chose, voire la vie […] Le desird’honneur et de gloire, et la queste de l’approbation d’autruy, est une passion vitieuse».

111 Scrive l’autore nella Préface: «Nous ne prenons icy ce mot (sagesse) subtilement au sens haultainet eslevé des Théologiens et Philosophes, pour une cognoissance parfaicte des choses divines ethumaines, ou bien des premières et plus hautes causes et ressorts de toutes choses: laquelle rési-de en l’entendement seul». Per raggiungere la saggezza occorre ottemperare a due condizioni: «se

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127Socrate e l’honnête homme nell’autunno del Rinascimento francese e in Descartes

L’homme de bien o honneste homme, ‘interlocutore’ concreto che Charron intravvedenella società che lo circonda, dev’essere innanzi tutto un esprit libre da superstizioni,da dogmatismi ed anche dal primato delle religioni, aperto, in grado sempre di poterjuger, il che – precisa in termini assai piani, familiari – non vuol dire resoudre, affir-mer, determiner [...], mais examiner, peser, balancer les raisons et contreraisons de toutesparts, le poids et merite d’icelles, et ainsi quester la verité 112.

Pierre Bardin (1590-1637)

Le Lycée di P. Bardin 113 sembra porsi come esemplare per la tematica che stia-mo trattando, anche se non può dirsi che, nel suo insieme, questa seria conversazio-ne – così la definisce il suo autore nella prefazione – 114, ricca comunque di spuntiinteressanti, possa assumersi come svolgimento adeguato di quanto avanzato all’ini-zio dell’opera.

Non può non impressionare la nettezza con cui nella prefazione si coniugaapertamente il filosofo greco con l’honneste homme:

La Grece ne sçavoit point devant Socrate sous quelles regles il falloit vivre pourmeriter le tiltre de l’Honneste Homme et l’on n’avoit encore veu que des foiblesprincipes de la Science de bonnes moeurs: que s’il se trouvoit des Esprits qui eus-sent quelque teinture de la Sagesse c’estoit moins par leur estude que par lebonheur de leur naissance. Le Genie de ce Philosophe fut si puissant, ou pourmieux dire il s’attacha si fort a se reconnoistre: et les autres aussi, qu’il descouvrittout le bien qu’un homme est capable de faire naturellement et jusqu’à quel degréd’excellence la vertu pouvait eslever son esprit 115.

Tra le molteplici testimonianze su Socrate che l’erudito Bardin conosceva pre-sceglie inizialmente quelle che lo presentano come il pensatore che ha portato la filo-sofia morale alla perfezione, levatrice spirituale, di cui nessun giovane che intenda porsialla ricerca della verità avrebbe potuto fare a meno 116, ed egli evidentemente cerca diimitarlo, proponendosi come guida al giovane Timandre, con cui converserà attraver-sando luoghi ameni durante le diverse passeggiate raccontate nel corso dell’opera.

bien connaître et être modéré en tout». Tutto il cap. LXI del I libro è poi dedicato a tale tema;limitiamoci a questa tesi (p. 366): «C’est dommage et folie d’y [alla scienza] employer tant detemps, de despence et de peine, comme l’on fait».

112 Ivi, lib. II, II, p. 386.113 P. BARDIN, Le Lycée de Sv. Bardin ou en plusieurs promenades il est traité des connoissances, des actions

et des plaisirs d’un Honneste Homme, 2 voll., Paris, Camusat, I vol. 1632, II vol. 1634. Per quelche riguarda il primo volume, citiamo dall’ed. di Rouen, chez la veuve du Bosc, 1641.

114 Ivi, s.p., ma p. 17: «ny dialogue, ny declamation […], mais conversation serieuse».115 Ivi, Préface, p.10. 116 Ivi, pp. 11-12.

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128 Ettore Lojacono

Perfettamente consapevole del divario che può sussistere tra rappresentazioneconcettuale e realtà sociale, si ripromette, in termini affatto espliciti, di prospettarel’exemplaire et le patron d’honneste homme nella forma più concreta possibile:

Ie n’ay point resolu d’employer mes imaginations à la composition d’un modelefantastique et qui s’évanouïroit en sortant de la pensée, pour ne pouvoir subsisterdedans la nature des choses: ie veux faire un Honneste homme reellement, et iedesire que ny la raison ny l’usage n’y trouvent rien à redire 117.

Con non minore esattezza e radicalità di Charron lo distingue dal gentil-homme, prendendo di mira quella stessa nozione d’onore, cui costantemente sirichiamava chi poneva a fine della sua esistenza di plaire à la Cour:

Ils adorent un Idole invisible qu’ils appellent l’Honneur et quoy qu’on ne sçachepas ce que c’est, ils ont soin d’eslever des fortes et hautes murailles et de creuserdes fossés larges et profonds, afin de le conserver là dedans avec des armes qu’ilsont exquisement forgées pour tuer les hommes et il y en a qui ne craignent dehazarder leur vie pour leur emporter cet Honneur 118.

Infine, pur non immediatamente raccordata a queste prime immagini, la figuradel pedante – anche in questo caso evocata per definire ‘negativamente’ quella del mae-stro ‘nuovo’– è delineata con una precisione concettuale ed una pertinenza tali da ren-derla forse ancora più esemplare di quelle, pur efficacissime, che abbiamo posto in lucenei testi di Montaigne e di Charron: il pedante di Bardin viola la prudenza letteraria,cioè una disposizione dell’ingegno che porta ad adattare le letture al mutare dei tempi,a diverse situazioni, insomma a non sentirsi soggetto ad ‘Autori’. Chi possiede quellaprudenza, a differenza del pedante, si sente libero, ansioso di esercitare un proprio giu-dizio, come, ad esempio, hanno saputo fare uomini quali Aristotele e Seneca 119.

Nonostante queste tesi, in gran parte addensate all’inizio del testo, ma presentitalvolta anche in successive conversazioni, non ci è parso di aver individuato nell’in-

117 Ivi, p. 13.118 Ivi, p. 19. Quasi in prossimità della fine dell’opera – come fa notare anche M. MAGENDIE,

Politesse, cit., p. 376 – Bardin prenderà le distanze con ugual precisione anche dall’honnestehomme di Faret. Si veda Le Lycée, cit., II vol. (1634), p. 959: «Les courtisans qui ne rapportentleurs actions qu’au bien de leur reputation ont quelque raison de s’étudier particulierement».

119 Proponiamo comunque il passo, che ci pare particolarmente efficace; si veda ivi, pp. 333-334:«La prudence litteraire c’est une adresse d’esprit qui sçait approprier à l’usage du temps et desoccasions ses lectures, et qui ne se tient point si fermement attachée aux sens des Autheurs, qu’el-le ne considere si leur opinions ont esté raisonnables […] ceux qui sont despourveus de cettePrudence sont appelez d’ordinaire Pedans […] le Pedantisme est une humeur formaliste et scru-puleuse, qui ne se depart iamais de ce qui est escrit, soit bien, soit mal, et il y a des Courtisansqui en sont infectez aussi bien que certains Theologiens, Iurisconsultes, Medecins et d’autres quienseignent les sciences».

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129Socrate e l’honnête homme nell’autunno del Rinascimento francese e in Descartes

sieme del dialogo un’ordinata sequenza di argomentazioni che in qualche modo necostituissero un coerente svolgimento e neppure di riconoscere, nei pur frequentirichiami a Socrate 120, l’immagine del filosofo sage femme: non il dialogo socratico,infatti, com’era stato ben interpretato da Charron, rappresenta qui la via maestra perpervenire a virtù e conoscenza, ma la considerazione di esempi che ispirano nella vitaatteggiamenti civili e umani. Emerge pertanto – nozione centrale su cui ruotano granparte delle conversazioni – la Prudenza, sì che Aristotele prende il sopravvento suSocrate, un Aristotele spesso citato come ispiratore di determinate concezioni moralie difeso anche per le sue discusse opinioni sull’opportunità di una selezione geneticadell’umanità 121: prudenza che assomma in sé tutte le virtù (forza, temperanza, giusti-zia) 122 e che è tale perché sa scoprirne i fini e ordinare i mezzi che esse debbono adot-tare per raggiungerli; essa risiede pertanto nell’intelletto, come Minerva che illuminal’azione di Ulisse 123. Non si possiede per natura, ma si apprende con l’esperienza, siamediante la semplice conversazione, non tanto dialogica quanto informativa:

par la frequente conversation de ceux qui sont dans les grands employs, si l’on agagné leur confidence, on se peut rendre sçavant dedans les affaires 124,

sia soprattutto attraverso la storia, che diviene fonte prima per la formazione del-l’honneste homme.

Sin dall’inizio Bardin si era ripromesso di presentare les actions – sia degne di lodeche di biasimo – de ceux qui ont paru dessus les grands theatres du monde125. All’inizio – losa – ciò avrebbe potuto indurre all’imitazione, che in un primo tempo sarebbe forsepotuta apparire servile, ma poi si sarebbe trasformata in emulazione generosa: come lavigna prima si appoggia al tronco, quindi lo supera, così anche il giovane, prima porta-to ad imitare, preso poi dall’ardore, tende a superare gli stessi esempi che ha imitato126.

120 Non manca, ad esempio, il topos del filosofo che non sa di non sapere; si veda ivi, pp. 161-162:«Socrate le premier de tous en fit une tres franche confession, ne se vantant que de sçavoir unechose, qui estoit de ne sçavoir rien de tout».

121 Ivi, p. 335.122 P. Bardin si era interessato alle scienze e non pare che fosse digiuno di matematica. Sta di fatto

che questo accentrarsi delle virtù nella sola prudenza egli lo rappresenta mediante una non brevemetafora fondata sull’ottica. Si veda ivi, p. 224.

123 Ivi, p. 230. Per la metafora della Minerva, si veda p. 9124 Ivi, p. 274. Ma le pp. 272-276 sono tutte da leggere: vi si trovano anche interessanti osservazio-

ni su Venezia, di cui si riconosce la straordinaria bellezza ma, in armonia con una concezione deiviaggi – non concedere troppo alle opere d’arte, ma considerare soprattutto i costumi dellegenti –, si raccomanda di trarre esperienza dal suo governo: «Il y prendra plaisir à voir cestemutuelle conspiration des volontés à maintenir la forme de l’Estat et comme la liberté y respiresans crainte parmy des conditions entierement inégales» (276).

125 Ivi, p. 14.126 Per tutto questo si veda ivi, pp. 14 e 15.

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130 Ettore Lojacono

Le testimonianze tratte dalla storia – pepiniere tres-fertile de bon conseils pour tou-tes sortes d’affaires –127 prevalgono dunque sulla stessa ragione e Francesco Guicciardinie Jacques-Auguste de Thou divengono testi fondamentali di riferimento: non scavodialettico nell’animo dell’interlocutore, ma ostensione di azioni, di comportamenti,come fonte prima di persuasione alla saggezza, alla prudenza nell’azione:

La raison mesme ne peut avoir de témoin plus exprés pour confirmer ce qu’elle pro-pose, que quelque exemple tiré de l’Histoire; ce qui fait que tous ceux qui ont l’in-tention de persuader quelqu’un, luy alleguent plutost des exemples que des raisons128.

Tra le varie fonti socratiche il Protagora platonico assume pertanto particolarevalore: Bardin, infatti, appoggiandosi anche sul mito di Prometeo ed Epimeteo 129, haprivilegiato la cultura sulla natura. Certo, per formare il saggio non si può prescinderetotalmente dalla natura, nessuna azione culturale sarebbe possibile se non si desse unapositiva disposizione naturale130; senza l’esperienza però mai si potrebbe aspirare a dive-nire quell’honneste homme 131 ch’egli si è qui proposto di rappresentare. L’uomo è dun-que educabile – disciplinable – e può apprendere ad affermarsi, non tanto nelle corti,che anche Bardin non ama132, ma in una nuova corte, quella ben più ampia ed umanadella vita civile. A Juan Huarte 133, che aveva appunto sostenuto che ogni ispirazionepoteva trarsi dalla natura, vien contrapposta infatti l’esperienza della vita e della storia:

On ne me sçauroit persuader que les premiers hommes qui n’estoient instruits quede la Nature, fussent aussi advisés que l’ont esté ceux de derniers aages[...]. Cestevertu, disoit le poëte Afranius, eut l’Usage pour pere et la Memoire l’enfanta 134.

Quest’uomo, delineato dunque nella concretezza della vita civile, impronta lapropria azione ad una honnesteté che, lungi dall’essere determinata nel privato, allar-ga la sua azione alla vita in comune, alla vita sociale, ché le parti debbono essere peril tutto e non il tutto per le parti 135.

127 Ivi, p. 262.128 Ivi, p. 258.129 Ivi, p. 9. 130 Ivi, p. 253: «Il est necessaire qu’en la composition de cette Vertu, la Nature y apporte du sien et

que nostre raison y contribuë aussi de son industrie: de celle là dépend la disposition, sans laquel-le on ne sçauroit devenir Prudent, et celle-cy applique la forme de la Prudence dessus ceste dispo-sition naturelle. Il faut estre nay propre à recevoir l’instruction d’autruy, d’où nous sommes appe-lez disciplinables».

131 Ivi, p. 251.132 Ivi, p. 243: anche per Bardin la corte è il luogo «où les coups se tirent sous le masque».133 J. HUARTE, Examen de ingenios para las sciencias […]… en Bilbao, por Mathias Mares, 1580, cap.

IV, pp. 30 sgg. (Bardin lo cita esplicitamente).134 P. BARDIN, Le Lycée, cit., p. 252.135 Ivi, pp. 21-22.

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131Socrate e l’honnête homme nell’autunno del Rinascimento francese e in Descartes

La Mothe le Vayer (1588-1672)

L’azione culturale di La Mothe Le Vayer si svolge in un ampio arco di tempo, sìche la maggior parte delle sue opere appaiono quando già la prima speculazione car-tesiana si è conclusa ed anche dopo la stessa morte dell’autore delle Meditationes. Ciatterremo pertanto ai Dialogues apparsi, secondo R. Pintard – e le sue prove son parseinoppugnabili –, nel 1630 e nel 1633 136 e che pertanto Descartes può aver conosciutoal momento stesso della redazione della Recherche de la Vérité par la lumière naturellee allorché stava riordinando i suoi appunti in vista della Préface ai suoi Essais scienti-fiques, cioè il Discours de la Méthode. Ricordiamo comunque incidentalmente che, sela nostra ricerca potesse spaziare oltre il primo Descartes, avremmo modo di notarequanto vasta e spregiudicata sia stata la prospettiva entro la quale l’autore di De lavertu des payens ha considerato la personalità di Socrate. Proprio in quest’opera, cuiha lavorato alla fine del II decennio del secolo 137, in un non breve paragrafo dedica-to integralmente al filosofo greco, di cui a nostro avviso si avvarrà anche FrançoisCharpentier per La Vie de Socrate 138, La Mothe, dopo aver iniziato ripetendo i solititopoi (Socrate, filosofo dalla vita esemplare, ha abbandonato la curiosità per i cieli,accentrato la speculazione sull’uomo, fondato la ricerca morale) 139, interrompeimprovvisamente le sue considerazioni per dichiarare che alcuni curiosi, che furtiva-mente avevano letto i fogli che via via inviava all’editore, lo accusavano di presentareil filosofo come se fosse il grande protomartire Santo Stefano 140, quindi riprende ilparagrafo richiamando alcune delle testimonianze avverse al filosofo, quali quelle risa-lenti alle Nuvole di Aristofane e, soprattutto, alla porfiriana (fine III secolo) vita diSocrate che, ripresa da alcuni padri della Chiesa, come Gregorio Nazianzo, Cirillo di

136 Quatre dialogues faits à l’imitation des anciens par ORASIUS TUBERO. I. De la Philosophie sceptique.II. Le Banquet Sceptique. III. De la vie privée. IV. Des rares et eminentes qualitez des Asnes de cetemps. A Francfort, par Iean Sarius. MDVI; Cinq autres dialogues du mesme autheur, faits commeles precedents à l’imitation des anciens. I. De l’ignorance louable. II. De la Divinité. III. De l’opinia-streté. IIII. De la Politique. V. Du Mariage. A Francfort, par Iean Sarius. MDVI. Per la datazionesi veda: RENÉ PINTARD, La Mothe le Vayer, Gassendi, Guy Patin. Études de bibliographie et de cri-tique, suivies de textes inédits de Guy Patin, Paris, Boivin, s.d., ma 1943, p. 12. Per comodità dellettore citeremo i Dialoghi da F. LA MOTHE LE VAYER, Dialogues faits à l’imitation des anciens(1630-31, Paris, Fayard, 1988) e le altre opere da F. LA MOTHE LE VAYER, Oeuvres, nouvelle édi-tion revue et augmentée (7 voll. in 14 parti), Dresde, Michel Groell, 1756-1759 (SlatkineReprints, Genève, 1970, 2 voll.).

137 Essa apparve nel 1642 a Parigi presso l’ed. F. Targa. 138 F. CHARPENTIER, La Vie de Socrate: citiamo dalla III ed., Amsterdam, aux dépens d’Etienne Roger,

1699 (I ed. Paris, A. Sommeville, 1657).139 Si veda in Oeuvres, cit., II, pp. 146-147.140 Ivi, II, p. 148: «Comme les dernieres feüilles de ce Livre rouloient sous la Presse, on m’a donné

avis que quelques personnes qui avoient eu la curiosité de les voir à mésure qu’on les tiroit, s’é-toient scandalisées de ce que j’écris ici à l’avantage de Socrate, comme si je l’avois voulu égaler ànôtre grand Proto-Martyr Saint Etienne; ce qui est très éloigné de mon intention».

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132 Ettore Lojacono

Alessandria, Teodoreto di Ciro, è fonte del maggior numero di maldicenze che neisecoli siano state diffuse sul padre dei filosofi 141, per rintuzzarle e mantenere Socratesul piedistallo su cui le prime osservazioni l’avevano posto. La sua giustificazione parquasi storicistica: i Padri che hanno lanciato tante invettive contro il filosofo (iracon-do, incline all’ubriachezza, bigamo, mulierosus, immodicus in rebus venereis, sospettoanche di pederastia, idolatra) vivevano in un tempo in cui gli ‘empi pagani’ eranogiunti a raffrontare l’uomo, che fosse Socrate, Epitteto o Apollonio, a Gesù Cristo, sìche si può comprendere come essi, per rispondere a sì folli opinioni, si siano sentitiquasi obbligati a diffamare tutti i pensatori pagani, senza neppure far eccezione perl’eccellentissimo Socrate 142. Per quanto riguarda le due accuse più infamanti, la pede-rastia (un crime – scrive lo stesso La Mothe – atroce) e l’idolatria, egli le rovescia com-pletamente: nel primo caso la speculazione di Socrate aveva posto come suo primooggetto il genere umano, quindi, se ha ‘amato’ qualche suo seguace, non l’ha fatto cheal fine di riscattarlo dai vizi e indirizzarlo allo studio della ‘bella Filosofia’ 143; nel secon-do caso egli, che non aveva che la Foi implicite, ha compiuto un gran passo verso l’au-tentica fede, negando il politeismo e riconoscendo la legge di natura come unica divi-nità, senza pertanto violare la legge dello stato con l’introduzione di un nuovo culto,scelta d’altronde che gli costò la vita, ciò che in un certo qual senso può portare a con-siderarlo come un martire 144. Infine, con l’ultimo sacrificio del gallo ad Esculapiotanto riprovato, il filosofo non avrebbe esercitato che quella ironia che gli era consuetae manifestato il suo sollievo per esser giunto alla fine di tutti i suoi mali, proprio come

141 Abbiamo visto SOCRATIS SCHOLASTICI et HERMIAE SOZOMENI Historia ecclesiastica graece et latineHenricus Valesius [..] adnotationibus illustravit. Cantabrigiae, Typis academicis, 1720: a p. 201,II col., si legge: «Nam Porphyrius quidem in libris quos scripsit de historia philosophica, Socratisphilosophorum omnium excellentissimi vitam ridicule traduxit: eaque de illo scriptis prodidit,quae nec Melitus unquam nec Anytus, Socratis accusatores, contra illum dicere ausi fuerunt.Socratis, inquam, quem omnes Graeci mirantur ob modestiam et justitiam aliasque virtutes». Letestimonianze di Porfirio si possono leggere in Porphyrii Philosophi platonici Opuscula selecta, ite-rum recognovit A. NAUCK, Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1886 (ristampa G. Olms,Hildesheim, 1963). Utilizziamo con notevole profitto la raccolta a cura di G. GIANNANTONI:Socrate, tutte le testimonianze, sopra cit. Sulle testimonianze di Teodoreto di Ciro si veda M.NINCI, Aporia ed entusiasmo. Il mondo materiale e i filosofi secondo Teodoreto e la tradizione patri-stica, Roma, ed. di Storia e letteratura, 1977. Le fonti che hanno diffuso queste accuse a Socratesono anche menzionate all’inizio del Socrates […] paederasta, cit.

142 LA MOTHE, De la vertu, cit., in Oeuvres, cit., II, p. 148, II col., ove così conclude: «Et certes jecrois que dans un temps pareil au leur, nous serions encore obligés d’en user de la sorte».

143 Ivi, p. 149, II col.: «Il faut juger plus sainement des choses […] jamais homme ne fit professiond’affectionner le genre humain avec tant d’ardeur que lui. Mais c’étoit pour lui imprimer l’amourde la vertu, le retirer du vice, et le porter à la recherche de cette belle Philosophie».

144 Ivi, p. 150, II col. Qui La Mothe, ribattendo a Lattanzio (De falsa. […] l. 3, cap. 20), che rim-proverava a Socrate il sacrificio ad Esculapio, esclamava: «Certes il y a de quoy s’étonner qu’aiantreconnu ailleurs comme le dernier supplice de Socrate ne vint que d’avoir voulu abolir la multi-tude des Dieux, il lui fasse ici apprehender de la sorte ceux des Enfers».

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133Socrate e l’honnête homme nell’autunno del Rinascimento francese e in Descartes

Seneca – anche qui il saggio greco ed il precettore di Nerone appaiono vicini – che,in procinto di morire, secondo quanto racconta Tacito, gettò acqua sui servi che loassistevano e gridò che offriva quel ‘liquore’ a Giove suo liberatore 145.

Prima del quarto decennio del secolo, nelle opere apparse con date fantasiose econ il nome di Orasius Tubero, La Mothe si era comunque già richiamato assai spes-so a Socrate: sulla falsariga di Charron l’aveva evocato, quasi ad apertura del primodialogo, come un filosofo scetticheggiante, che solo sapeva di non sapere (hoc unumscio, quod nihil scio, hoc unum certi, nihil esse certi) 146 e che, come ogni filosofo auten-tico, si sentiva non cittadino di una repubblica particolare, ma del mondo 147. Unpensatore che, pur non schiavo del consenso popolare 148, cercava l’‘altro’ ed avverti-va come missione trasmettere l’ansia della ricerca del sapere, pur consapevole chenella sua forma assoluta tale sapere non si sarebbe mai potuto raggiungere 149.

L’uomo, che è concepito come capable de raison et de discours e la cui incertez-za, lungi dall’esser grezza ed ottusa, appare discoruë et raisonnable 150, non può attuar-si attraverso l’insegnamento dei Philosophes Cathedrans (106), Pedans dogmatiques oPedans ergotistes 151, cioè quei maestri che non si affidano ad une logique modeste et dou-

145 Ivi, p. 151, I col.146 Dialogues, De la philosophie sceptique (ed. Fayard, 1968), cit., p. 27; in un dialogo successivo, De

l’ignorance louable, in Dialogues, cit., p. 234, Socrate sarà considerato esplicitamente il padre delloscetticismo: «Socrate et Pirrhon, entre autres se peuvent nommer les fondateurs de l’Epoché».

147 Ivi, De la vie privée, p. 141.148 Proprio in risposta ad Eudosso – rappresentante della tradizione – che sosteneva il valore del giu-

dizio del popolo, Ephestion, portavoce di La Mothe, ribatte: «Socrate, à vostre compte, estoitbien abusé, nommant les opinions vulgaires des Lamies, ou Loups garous, dont on fait peur auxpetits enfans?».

149 Ci concediamo qui una citazione da un’opera più tarda (De la conversation et de la Solitude, ope-retta compresa in Opuscules ou petits traictez, apparsi a Parigi presso A. De Sommaville nel 1644),ma stimiamo che questa convinzione, qui così eloquentemente espressa e la cui origine socraticaè dichiarata, sia stata alla base anche dei Dialoghi: «car comme les Diamans ne se polissent quepar d’autres Diamans, les esprits ne se perfectionnent […] que par la frequentation d’autresesprits. C’est ainsi qu’un simple Corroyeur nommé Simon se rendit excellent Philosophe sanssortir de sa boutique, par les propos que Socrate y tenoit ordinairement à ses disciples aiantaccoustumé de s’y aller reposer» e poco dopo: «Or, outre l’utilité si évidente que nous retirons dela conversation pour ce qui touche la culture de l’esprit, elle a tant de charmes d’ailleurs connusde tout le monde, qu’on peut dire qu’elle est la perfection des autres plaisir de la Vie» (Oeuvrescit., I, pp. 370 e 372). Per quanto riguarda la condizione dell’uomo, si veda De l’ignorance loua-ble, in Dialogues, cit., p. 224: I filosofi, e tra essi Socrate, «ont bien définy l’homme par capablede raison et de discours, mais non pas de science, laquelle n’estant que des choses universelles etinfaillibles […] – qui è evidente che il rifiuto di La Mothe riguarda la concezione aristotelica dellascienza – n’a nulle convenance avec nostre nature singuliere et caduque».

150 Ivi, p. 223.151 Si vedano queste espressioni nel Banquet sceptique, Dialogues, cit., p. 106, nonché nell’Ignorance,

cit., pp. 221 e 234.

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teuse, ma alla peripatetica, hyperphysique, magistrale et pedantesque, ché scienza piùvacua ed arrogante non può immaginarsi (l’attacco alla logica aristotelica e forse ancheai summulisti, pur non chiamati direttamente in causa, pare spietato). Essa, la solaconservataci integralmente, ma non per questo la migliore, ché la stoica, se la posse-dessimo, la sovrasterebbe, non è che un insieme di sofisticherie, di vuote sottigliezze,una prevaricazione sullo stesso sapere fisico, come se la ragione sfuggisse all’umanoper rifugiarsi nel chimerico 152. Non sarà però sufficiente non appartenere al mondodei ‘dotti’ per esser considerato in grado di assumere la formazione dell’uomo comeLa Mothe la concepisce, ché solo potrà farlo chi sa applicarsi alla sua opera con dol-cezza e moderazione e, esperto della propria debolezza, non ambisce alla verità, maalla verosimiglianza; La Mothe, infatti, a differenza di Montaigne e di Charron, noncollega indissolubilmente la Pédanterie ad una professione, a una condizione sociale,ma ad uno stato d’animo, come scriverà più tardi nel Discours sceptique:

Ce qui s’appelle Pédanterie dans sa signification abusive, quoy qu’ordinaire, estun vice d’esprit plutôt que de profession, puis qu’il y a des pédans de toute robeet de toutes conditions, depuis la Pourpre jusqu’à la bure et au droguet [...]» 153.

Questo netto rifiuto di criteri della verità, che per secoli erano stati alla base delpensiero occidentale e su cui ancora si fondava l’insegnamento nei Collegi, non signi-ficava tuttavia un’apocalittica caduta nel nulla, ma semplicemente l’instaurazione diun nuovo gesto del saggio verso chi intendeva orientarsi tra gli uomini, un gesto nonaltezzoso, ma piano, modesto, che non trascendeva la conversazione, ma che trovavain essa, nella sua stessa articolazione – esito di una logica naturale – 154, la via perdeterminare non tanto il vero, quanto ciò che solo poteva esser stimato verisimile, un

152 L’attacco alla logica aristotelica, già preannunciato con il rifiuto delle categorie, si legge in De laPhilosophie sceptique, cit., p. 28; esso appare poi ampio ed apertissimo nell’Ignorance louable(risposta di Melpoclitus a Telamon, che l’aveva magnificata come la scienza detentrice delle rego-le del vero sapere); ne diamo alcuni passaggi (ivi, pp. 242-250): «Aristote a assujety toute laPhysique à la Dialectique» (p. 244); «on pourroit dire que la Philosophie d’Aristote, et nommé-ment sa Logique, ne s’est sauvée de cette mer d’ignorance que comme la moins solide et la pluslegere, ainsi qu’une planche de bois que le flot du temps, et les ondes des siecles passez ont jettéesuccessivement jusques à nous, pendant que ce qui estoit de plus de poids se perdoit dans les aby-mes» (p. 245); «ces sophisteries sont comme les toiles d’aragnées subtiles et artificieuses, maisd’ailleurs absolument inutiles. Elles sont plus seantes en la bouche d’une Reine de Saba […]qu’en celle d’un philosophe serieux» (p. 247).

153 Si veda Oeuvres, cit., II, p. 312.154 In effetti la contrapposizione che poneva La Mothe era tra Logique artificielle e Logique naturel-

le. Si veda De l’ignorance, cit., p. 249: «Celuy qui se sert de la Logique artificielle, si on l’oste deses formalités, de ses termes recues, et de sa table des modales, il demeure tout à nud et hors decombat; mais le Logicien naturel subsiste par ses propres forces, ne peut jamais perdre ses armes,et a tousjours dequoy attaquer et se deffendre».

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gesto che assumeva particolare senso e vigore nel momento in cui, almeno nellasocietà, cadeva il discredito sulle antiche tecniche della ragione e si cercavano altre vieanche là dove non si avvertiva il fascino del sapere matematico: gesto certo innova-tore, anche se affondava le radici nella grecità, riprendendo in particolare l’insegna-mento di chi La Mothe stesso diceva il padre dei filosofi 155, Socrate.

Dic aliquid contra, ut duo simus 156

Dalla lettera dell’Autore premessa ai suoi Dialoghi sembra che La Mothe Le Vayer,nonostante la concezione aristocratica del sapere che professa 157, si rivolga in questesue prime opere all’honnête homme con l’evidente intenzione di educarlo, sì che possapiù agevolmente riconoscere l’ignoranza del mondo e conseguentemente difenderse-ne. Lo avverte infatti minacciato dai pregiudizi causati dalla tirannia del tempo e deicostumi, nonché dagli errori e dalle stoltezze da cui nessuno è esente, né gli uominidel volgo, né i cavalieri, né i magistrati, né i contadini, e dai quali un honneste hommeamateur de la verité ne sçaurait trop prendre leur contrepied et trop s’en écarter 158.

Questo honnête homme non è certo chi aspira a brillare in società ma, al con-trario, chi sa vivere soddisfatto di sé in una oisivité casanière 159, schivo degli onori, deivantaggi, dei piaceri, che di solito compensano chi ricopre prestigiose cariche pub-bliche. Nella sua prospettiva – e qui Seneca prende il sopravvento su Socrate – l’uo-mo e il filosofo si avvicinano, in quanto l’uomo si compie autenticamente nella per-sonale riflessione, nella solitude studieuse ove, almeno per quel che riguarda il possi-bile, non si dà più differenza tra gli uomini. Non si prendono di mira ovviamente ledifferenze sociali, ma sul piano culturale l’ambito dell’esprit si delinea come unadimensione assolutamente libera, dissolta da ogni sorta di vincoli, solo dipendente dauna disposizione della volontà: vivere autenticamente il desiderio

de penser sainement des choses, estre esclaircy des abus qui s’y trouvent, pene-trer, autant que faire se peut, l’essence de ce dont les autres ne voyent que lesombres et les simulacres.

Su questo piano non si danno differenze tra gli uomini, ché poco dopo precisa:

155 Si veda, ad esempio, De la philosophie sceptique, cit., pp. 20 e sgg.156 La Mothe riporta questo passo di Seneca (De Ira, III, cap. 8) all’inizio del Banquet sceptique

(Dialogues, cit., p. 69) come conclusione del rifiuto dell’oratore Coelius di un adulatore che l’op-primeva con i suoi riconoscimenti. Ciò mostra quanto la sensibilità di La Mothe fosse lontanadagli atteggiamenti che i Cortigiani non potevano non tenere con il loro principe.

157 In De la philosophie sceptique, cit., p. 23, a seguito di un’opinione di Seneca scrive: «Les sentimensdes Sages soient aussi differens que ceux de la multitude, que le mouvement des planettes […]est contraire à celuy des innombrables estoilles».

158 Lettre de l’Autheur, in Dialogues, cit., p. 14.159 Dialogue sur le sujet de la vie privée, in Dialogues, cit., p. 114.

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[...] Le Gentilhomme, l’Artisan, le Prince, le Magistrat, le Laboureur ne sont àcet égard qu’une mesme chose, togis isti, non judiciis distant 160.

Nonostante l’opera di La Mothe le Vayer ambisca sostanzialmente a demistifi-care i falsi consensi – ad esempio quello sul sommo bene – o le false virtù, si costi-tuisca cioè in una dimensione preminentemente etica, quel ch’egli auspica per il suointerlocutore non soffre di aprioristiche preclusioni, anzi appare aperto a qualsivogliaricerca che non si arresti alle mere apparenze, alle ombre e, almeno come ambizione,miri alla stessa essenza dell’oggetto cui porta interesse, come appunto scrive: à l’es-sence de ce dont les autres ne voyent que les ombres et les simulacres.

La ricerca dev’esser dunque premio a se stessa e chi la conduce, pur non disde-gnando la compagnia, deve, come Socrate 161, saper anche raccogliersi in una solitu-dine ni facheuse ni chagrine, ma felice e feconda, ed in essa, sprezzando il consensodella turba, trovare motivo di gioia interiore e profonda. Non a caso dunque proprioil Dialogue sur le sujet de la vie privé porta in esergo il passo del Tieste di Seneca:

Illi mors gravis incubat/ Qui notus nimis omnibus/ Ignotus moritur sibi162, che– come noto – sarà anche uno dei motti prediletti da René Descartes: alla fine delsuo viaggio in Francia, all’atto di imbarcarsi di nuovo per i Paesi Bassi, egli annotòinfatti queste parole, il 10 nov. 1644, nell’Album amicorum di Corneille di Montignyde Glarges.

Socrate e L’honnête homme in Descartes

Comme elle est forte en France au débutdu XVII siècle l’influence exercée sur lesesprits par la vie érudite! 163

Studiosi quali J. Sirven e H. Gouhier hanno ipotizzato la presenza diSocrate nelle opere giovanili di Descartes: Sirven ha supposto che il génie che nelsogno raccontato dal Baillet 164 sospinge con forza il giovane filosofo là dov’eglisarebbe voluto andare volontariamente non fosse che una reminiscenza del dai-

160 I passi citati sono tratti da De l’ignorance, cit., pp. 48 e 49.161 De l’ignorance, cit., p. 213: «Socrate mesme, tout amateur des compagnies qu’il estoit, preferant

le bien et l’instruction des hommes à son propre contentement, n’avoit-il pas son Demon satur-nien, qui luy donnoit ses grandes abstractions d’esprit de vingt-quatre heures, comme en tom-bent d’accord les plus nobles Platoniciens?».

162 De La vie privée, cit., p. 114. Il passo è tratto dal Tieste di Seneca, vv. 400-403; Descartes, comenoto, inserirà questi versi anche nella lettera a Chanut dell’ 1 nov. 1646 (AM., VII, p. 201).

163 R. PINTARD, Le libertinage érudit dans la première moitié du XVII siècle, Paris, Boivin, 1943, 2 voll.,I, p. 79.

164 Sogno narrato da A. Baillet (Olimpica) dell’ 11 nov. 1619 (AT., X, p. 186).

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mon socratico, mentre Gouhier è giunto ad attribuire ad ispirazione socratica ilrifiuto già in atto nei primi pensieri cartesiani di tutte le spiegazioni fondate sul-l’occulto, sull’arcano o comunque sull’Alchimia, su qualsivoglia forma di Magiae sull’Astrologia 165.

Assai più pertinentemente l’autore de la Pensée métaphisique de Descartes si è poisoffermato in un suo articolo del 1951 166 sui primi espliciti riferimenti di Descartesa Socrate, quelli che s’incontrano nelle Regulae:

Si Socrates dicit se dubitare de omnibus, hinc necessario sequitur: ergo hoc sal-tem intelligit, quod dubitat; item, ergo cognoscit aliquid posse esse verum vel fal-sum, etc.: ista enim naturae dubitationis necessario annexa sunt.

Neque enim illas petitiones tantum, quae ab aliis fiunt, inter quaestiones nume-ramus; sed de ipsa etiam ignorantia, sive potius dubitatione Socratis quaestiofuit, cum primum ad illam conversus Socrates coepit inquirere, an verum essetse de omnibus dubitare, atque hoc ipsum asseruit 167.

Il primo testo pone la notissima tesi socratica dell’ignoranza quale diretto og-getto di riflessione, il secondo come supporto ad un chiarimento sull’arte di porre ledomande. H. Gouhier nota felicemente che l’uno e l’altro appaiono come luci cherievocano ricordi su cui si é poi costituita la certezza del Cogito 168. Quel che ha col-pito Descartes in questa asserzione socratica proposta da tante fonti dossografiche, inprimis da Cicerone e da Diogene Laerzio 169, e che era stata alla base delle riflessionidi Charron e di La Mothe, è la possibilità di trarne conclusioni non solo gnoseolo-giche, ma anche ontologiche. Il rovesciamento che osserviamo nella prima citazione– dall’ignoranza al sapere – non gli appare tesi chiusa in sé, ma in un certo qual modoaperta al coinvolgimento dell’io che argomenta, sì che attraverso la stessa argomen-tazione non acquisisce solo la certezza che una forma di sapere è possibile, ma cheegli stesso può essere quella fonte di sapere:

Dans le cas de Socrate – scrive Gouhier – tout se joue sur le plan de la connais-sance de soi définie en fonction de la question «qui suis-je» et en aucune maniè-re de la question «suis-je?» 170.

165 J. SIRVEN (abbé), Les années d’apprentissage de Descartes, Albi, Impr. coopérative du Sud-Ouest,1928, p. 131; per H. GOUHIER si veda: Les premières pensées de Descartes. Contibution à l’histoitrede l’antirenaissance, Paris, Vrin, 1958, pp. 57 e 116.

166 H. GOUHIER, Pour une histoire des «Méditations Métaphysiques», in «Revue des sciences humai-nes» 1951, pp. 5-29: in particolare pp. 10-11.

167 R. DESCARTES, Regulae ad directionem ingenii, AT., X, p. 421, ll. 19-23, e p. 432, ll. 24-27. 168 H. GOUHIER, Pour une Histoire, cit.: «Le Cogito cartésien est né, semble-t-il, d’une réflexion sur

l’ignorance socratique».169 DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi, a c. M. Gigante, Bari, Laterza, 2000, 2 voll., I, p. 59.170 H. GOUHIER, Pour une histoire, cit., p. 11.

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Certo in Socrate il dubbio appare come un ‘dato’ e non l’inizio di un procedi-mento che nel suo articolarsi incontra e supera diverse resistenze, come sarà nellaRecherche e nelle Meditationes; ciò non toglie tuttavia che in questi richiami socraticipossa intravvedersi un principio generante i corrispondenti svolgimenti delle Medita-tiones e – a nostro avviso – della Recherche: è quel che infatti suggeriscono Gouhier e,ben più recentemente, Jean-Luc Marion, anche se questi commenta più la conte-stualità della prima citazione che la citazione stessa, al cui proposito si limita ad anno-tare che essa è tributaria di una dossografia che consente di trattare Socrate come unoscettico radicale 171.

Scettico radicale Socrate era apparso a Francisco Sanchez 172 (Descartes assaiprobabilmente lo conosceva) ed anche, se non soprattutto, a La Mothe Le Vayer che,come abbiamo visto, non aveva esitato a considerarlo insieme a Pirrone tra i fonda-tori della filosofia scettica 173. A noi par certo che, oltre alle fonti dossografiche,Descartes abbia avuto presenti anche queste rinnovate radicali interpretazioni, chenelle loro formulazioni non contenevano però pressoché nulla che sollecitasse glisvolgimenti e le aperture che ci è parso di poter cogliere nella rilettura cartesiana delSocrate che sa solo di non sapere: il fatto che egli li abbia portati a compimento ci pareulteriore segno dell’originalità e indipendenza del suo pensiero.

Descartes non accoglie certo in blocco l’immagine di Socrate quale apparivanella ricostruzione d’insieme che ne avevano proposto autori quali Montaigne, P.Charron, P. Bardin o F. La Mothe Le Vayer: difficile infatti pensare che, mentre stavaimmaginando il suo ‘Monde’, egli potesse sentir affinità per un filosofo che avevaabbandonato lo studio del cielo e mostrato, se non avversione, almeno accentuatodisinteresse per le scienze matematiche; d’altra parte la stessa rappresentazione dello‘scettico radicale’, che abbiamo appena ricordato, ci pare accolta soprattutto come

171 R. DESCARTES, Règles utiles et claires pour la direction de l’esprit. Traduction […] et annotationsconceptuelles par J. L. MARION avec notes mathématiques de P. COSTABEL, La Haye, Nijhoff,1977, pp. 244 e 252-253. A p. 244 il commentatore sostiene che nel passaggio del primo richia-mo (p. 421) si ritroverebbero tutti gli elementi svolti nelle sei Meditationes: «le doute commeouvrier de la première certitude, l’existence du sujet dépendant de celle de Dieu et y conduisant,l’existence du sujet comme cogitatio séparée du corps, enfin l’ego comme antérieur au monde qu’ilreconstitue. Mais il n’y manque que l’enchaînement des thèmes en une series et nexus, c’est-à-direl’essentiel; et si manque un tel enchaÎnement, c’est parce que n’apparaît pas encore, derrière ladéréalisation épistémologique, la négativité ontique du connu; laquelle, pourtant, progresse à lamesure même de la première».

172 FRANCISCI SANCHEZ, Quod nihil scitur (1° ed. 1581, Lugduni, apud A. Gryphium). Citiamo daOpera medica. His juncti sunt tractatus quidam philosophici non insubtiles, Tolosae Tectosagum,apud P. Bosc, 1636, p. 86: «in sapienti illo, proboque viro Socrate (licet et Pyrrhonii, Academici,et Sceptici vocati, cum Favorino id etiam assererent) qui hoc unum sciebat, quod nihil sciebat».J. Moreau ha richiamato giustamente l’attenzione su F. Sanchez, ma non ha considerato questoaspetto; comunque si veda: J. MOREAU, Sanchez précartésien, in «Revue philosophique de laFrance et de l’étranger», 1967 (92), pp. 264-270.

173 Si veda sopra n. 146.

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pretesto per dar inizio ad un’avventura teoretica indirizzata verso mete assai lontanedalla speculazione terrestre del filosofo greco 174.

Rimossi però questi aspetti avversi a gran parte dei suoi autentici interessi, pen-siamo che Descartes non sia stato del tutto sordo a quella cultura che si era ampia-mente ispirata all’immagine di Socrate qual era venuta imponendosi in Francia tra lafine del XVI e l’inizio del XVII sec.: ciò appare chiaramente sia negli ulteriori richia-mi al filosofo greco che troviamo nella Correspondance, sia, soprattutto, nellaRecherche de la vérité dove, se pur indirettamente, riaffiorano non pochi temi tratta-ti al declinare del Rinascimento francese e che prefigurano, anche se solo parzial-mente, il modello dell’honnête homme cui quest’opera è indirizzata.

Nella Correspondance Socrate è direttamente citato quattro volte 175 e in un solocaso davvero significativamente, cioè nella lettera ad Elisabetta dell’ottobre-novembre1646, in cui risuona l’eco di una filosofia gioiosa, ispirata da Socrate così com’eraapparso a Montaigne, e si evoca con tanta insistenza e pertinenza il daimon socratico,da far stimare non priva di fondamento la notizia del Baillet, secondo la quale l’auto-re del Discours avrebbe composto un opuscolo dal titolo De Deo Socratis 176, tanto piùche la presentazione del filosofo greco, avverso alla superstizione (deisidaimonia) eumanizzante (exantroposantos) la filosofia per modestia e semplicità, quale appariva nelDe Genio Socratis di Plutarco, non può non aver impressionato il giovane Descartes177.

174 Questa nostra impressione ci par confermata dal passaggio relativo a Socrate che si legge nella let-tera a Huygens del 31 luglio 1640 (AM., IV, p. 129). Qui il sapere di non sapere è richiamatocome esempio di autentica ignoranza, ché tale era – ad avviso di Descartes – quella dell’impu-dente ‘nemico’ Jan Janz Stampoien, cui qui si riferisce.

175 1) A Huygens, 31 luglio 1640, AM., IV, p. 129 (si veda nota precedente); 2) a Mersenne perHobbes, AM., IV, p. 333: nessun significato, Socrate è solo un nome utilizzato come esempio; 3)a Huygens, 17 febb. 1645, AM., VI, p. 202: «mais en me souvenant que Socrate ne fit jamais devers que lorsqu’il fut proche de sa mort»: pensando che ciò potesse esser di cattivo augurio non hacomposto a sua volta versi come quelli che l’amico gli aveva ispirato; 4) ad Elisabetta, ottobre-novembre 1646, AM., VII, pp. 194-195, 2 volte (Elisabetta poi nella risposta del 29 nov. 1646,AM., pp. 228-229, riprende l’esempio del génie de Socrate); commentiamo tale lettera nel testo.

176 A. BAILLET, Vie, cit., II, p. 408: «L’on nous parle encore d’un autre traité de M. Descartes, inti-tulé De Deo Socratis, où il examinait ce que pouvait être cet Esprit familier de Socrate, qui fait lesujet de l’entretien des curieux depuis tant de siècles. Mais il paraît que c’était un bien déjà aliéné,lorsque son auteur fit le voyage de Suède. Aussi ne se trouva-t-il point parmi les autres dans l’in-ventaire que l’on fit de ses écrits après sa mort. Comme il est tombé en d’autres mains que cel-les de M. Clerselier, nous ne pourrons contribuer à sa publication que par des prières, pour por-ter ceux qui en sont devenus les maîtres à lui procurer le jour».

177 Ci si riferisce a passi del De Genio Socratis, 580b-590b, riprodotti nella raccolta di testimonianze ac. di G. GIANNANTONI, cit. Lo scritto nella sua interezza si può leggere con testo greco a fronte inPLUTARQUE, Oeuvres morales, VIII, texte établi et traduit par J. Hani, Paris, Les Belles Lettres, 1980(Le Démon de Socrate, pp. 39-129). Già dalla fine del XVI sec. esistevano traduzioni latine del testodi Plutarco, che era stato tradotto da Aimyot. Che nella prima metà del XVII sec. si prestasse par-ticolare attenzione al Daimon è anche attestato dal fatto che F. Charpentier, che ha composto la sua

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Dalla lettera ad Elisabetta traspare continuamente l’auspicio di una speculazionenon sofferta, sospinta dall’appagamento autonomo del ricercare la verità, anche seessa dovesse condurre a conclusioni destinate ad attenuare considerevolmente lanostra gioia iniziale 178: certo l’articolazione del discorso può prestarsi ad equivoco, sìche ha tratto in inganno un valido interprete del suo pensiero, quale Jean Laporte,giunto a sospettare il peccato di superstizione proprio in un testo dove l’autore sidichiara un esprit qui suit la vraie raison e, consapevole del pericolo di esser mal inter-pretato, mette più volte in guardia il lettore dall’attribuire a superstizione quella sicu-rezza che si avverte nell’azione, qualsivoglia essa sia, quando la si compie con grangioia nel cuore, tanto che – aggiunge forse paradossalmente – ciò gli sembra valereanche là dove la Fortuna regna sovrana, persino nel gioco d’azzardo. Abbandonatoil paradosso, Descartes associa però assai adeguatamente questo suo sentimento alsignificato che assegna al daimon, non inteso però come lo presenta Platonenell’Apologia né come l’interpreta Teocrito nell’operetta di Plutarco, cioè come unaguida della propria vita, una visione divina, la quale camminandogli avanti gli facevaluce 179, ma, più semplicemente e laicamente, come un forte convincimento che quelch’è intrapreso senza ripugnanza, con la libertà che di solito si associa alla gioia, èdestinato al successo. L’osservazione – lo nota ancora una volta pertinentemente H.Gouhier – 180 riguarda les entreprises de l’esprit e il demone socratico è chiamato a desi-gnare uno stato d’animo entro il quale, fiduciosi nelle proprie forze e liberi, si com-pie quanto si è progettato. Non a caso il destinatario di questo messaggio – Descarteslo sottolinea – non è un esprit faible che stimerebbe affetto da superstizione chi avver-te il daimon in questi termini, ma Elisabetta, un esprit fort, non condizionato daautorità alcuna e felice di poter inoltrarsi attraverso un commercio intellettuale inignoti territori del sapere.

Nella Recherche, opera incompiuta, iniziata a nostro avviso nel 1633 e conosciu-ta solo dopo la morte dell’autore, l’honnête homme appare esplicitamente già dal titolo,

La Recherche de la Vérité par la lumière naturelle qui toute pure, et sansemprunter le secours de la Religion ni de la Philosophie, determine les opinions

Vie de Socrate nel quarto decennio del XVII sec., dedica oltre dieci pagine alla quaestio (si veda ed.cit., pp. 98-114). I passi sottolineati nel testo si vedano in Testimonianze cit., p. 340.

178 A Elisabetta, 6 ottobre 1645, AM., VI, p. 312: «[…] voyant que c’est plus grande perfection deconnaître la vérité, encore même qu’elle soit à notre désavantage, que l’ignorer, j’avoue qu’il vautmieux être moins gai et avoir plus de connaissance».

179 Per Platone si veda Apologia, 31d; per il De Genio cit. si veda in Testimonianze, cit., p. 337. Ilverso cit. da Plutarco è una parafrasi del verso omerico dell’Iliade, XX, 95. Sul De Genio Socratissi veda: G. MAMELI LATTANZI, Il «De Genio Socratis» di Plutarco, Roma, Ist. Poligrafico dello Stato,1933, nonché D. A. STOIKE, De Genio Socratis in Plutarch’s Theological Writings Early ChristianLiterature, ed. by H. D. BETZ, Leiden, E. Brill, 1975, pp. 236-247.

180 Si veda il bel saggio Les confidences du Discours de la méthode. Un homme content, in H. GOUHIER,Essais sur Descartes, Paris, Vrin, 1937, pp. 55-65: p. 60.

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que doit avoir un honeste homme, touchant toutes les choses qui peuvent occu-per sa pensée, et penetre jusque dans les secrets des plus curieuses sciences 181,

come destinatario del dialogo mediante il quale egli dovrebbe poter raggiungere tuttele conoscenze di cui sarà capace. Nel corso dell’opera riappare direttamente in trealtre occasioni: innanzi tutto all’inizio, ove si prefigura ignaro del sapere tradizionale(buona cosa è non aver impiegato un tempo eccessivo sui libri intesi come autoritàed essersi impegnato ad agir bene nella vita); in secondo luogo là dove si supponenon debba conoscere il greco e il latino e, infine, ove è immaginato tanto lontanodalla follia e così prossimo alla razionalità che si sentirebbe offeso se solo si ricorresseall’ipotesi di quest’aberrazione per mostrare la non attendibilità dei nostri sensi (stes-sa tesi ritroveremo nelle Meditationes) 182.

Al di là di queste citazioni dirette, l’honnête homme intravvisto da Descartes nelcontesto del dialogo rivela una sua specificità: appare infatti non solo estraneo al gen-tilhomme, ma anche, almeno in gran parte, all’honneste homme di Faret, che ha segui-to una formazione adeguata alla pur tanto sprezzata corte, e neppur del tutto aderen-te alla figura che in una certa misura completa ed amplia quella della tradizione chemuove da Montaigne. Anch’egli s’iscrive nella dimensione del privato e – pur in formaassai attenuata – mira ad apprendere a condursi 183 nell’esistenza, ma lungi dal limita-re i suoi interessi al ‘solo saper vivere e saper morire’ 184, si mostra innanzi tutto avidodi raggiungere, attraverso la sua autonoma ragione, conoscenze autentiche di eviden-te natura metafisica, come quelle che investono la divinità e l’esistenza dell’anima 185,cui cercherà di pervenire nell’ambito della stessa coscienza, cioè attraversando quellostesso spazio interiore che – l’abbiamo visto – era stato delineato da P. Charron:

Par la cognoissance de soy l’homme monte et arrive plustost et mieux à lacognoissance de Dieu, que par toute autre chose, tant pour ce qu’il trouve en soyplus de quoy le cognoistre, plus de marques et traicts de la divinité qu’en tout lereste qu’il peut cognoistre; que pource qu’il peut mieux sentir, et sçavoir ce quiest et se remue en soy, qu’en toute autre chose 186.

181 Se pur indirettamente, a noi pare che l’honnête homme appaia anche nel titolo che Descartesavrebbe voluto dare al Discours: «Le Projet d’une Science universelle, qui puisse élever notre natu-re à son plus haut degré de perfection. Plus, la Dioptrique, les Météores, et la Géométrie, où lesplus curieuses matières que l’auteur ait pu choisir, pour rendre preuve de la Science universellequ’il propose, sont expliquées en telle sorte, que ceux mêmes qui n’ont point étudié les peuvententendre» (à Mersenne, mars 1636, AM., I, p. 301).

182 I concetti cui alludiamo sono svolti nella Recherche, cit., pp. 503 e 511.183 L’autore del dialogo infatti include espressamente tra le cose che intende insegnare senza nulla

prendere da altri «toute la science qui luy est necessaire à la conduite de sa vie» (ivi, p. 496, ll. 16-17).

184 Si veda sopra n.106.185 Recherche, cit., p. 504.186 P. CHARRON, Sagesse, cit., lib. I, I, p. 45.

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Traccia, questa, di per sé già rivoluzionaria, ché, com’è ben noto, la scolasticastimava scandalo procedere verso Dio muovendo dall’io e non dal mondo, ma cheper l’autore della Sagesse rimarrà solo relativa alla quaestio morale, cioè chiusa in sé,ché Charron non compie neppure un passo sulla via che qui invece, nella Recherche,l’honnête homme percorrerà guidato dal saggio Eudosso.

Il dialogo rispecchia un movimento che già si è prodotto (Eudosso è divenutosaggio) ed un altro in fieri (Poliandro, l’allievo che è in procinto di apprendere): ilmaestro, che non collima perfettamente con la figura dell’honnête homme, apparepiuttosto un personaggio speculare a Descartes stesso, ha ricevuto un’educazione tra-dizionale che non si sente di disprezzare, perché – lo dice con evidente ironia – lo haalmeno posto in una condizione d’incertezza che gli ha aperto uno spazio per unasua ricerca personale; l’ha compiuta, si è liberato innanzi tutto dei pregiudizi e, quin-di, ha potuto raggiungere un sapere preminentemente metodico 187, che gli consentedi affrontare anche le situazioni più perigliose. Ora è un saggio che ha saputo limi-tare le sue conoscenze a quelle sole che sono concesse alla mente umana, mentre altrio sono convinti di possedere un sapere assoluto o non sanno porre freni alla lorocuriosità: vive dunque come un re in un paese appartato, aperto a nuove culture epronto a indicare, a chi non sia vittima di ogni sorta di pregiudizi, la via per perve-nire ad una forma di sapere adeguata alle nuove culture che sono venute imponen-dosi in contrapposizione a quelle dei pedanti.

Anche se nella Recherche Socrate è citato una sola volta, per di più come filosofoassolutamente scettico 188, ci pare poter dire che l’immagine del filosofo greco, quale erastata tracciata dagli autori sopra considerati, appare assai adeguata all’honnête hommeconfigurato da Descartes, eccezion fatta per quell’apertura verso ogni forma di sapere cheè solo sua invenzione: l’honnête homme ch’egli intravvede è infatti fiducioso di perveni-re al sapere indipendentemente da insegnamenti estranei alla sua ricerca personale, atten-to all’esperienza quotidiana189, modesto e familiare nei modi e, soprattutto, convinto chel’unica possibilità di comunicare convinzioni stia nella conversazione, nel dialogo.

Sin dal prologo della sua opera il filosofo francese propone infatti l’honnête con-versation come la miglior via per comunicare verità che si è sforzato di rendere utili a

187 Di fronte all’esasperazione dell’argomento scettico, giudicato da Epistemone assai pericoloso,Eudosso rassicura il lettore: «J’avoue qu’il y aurait du danger pour ceux qui ne connoissent pasle gué […]». Come dire che il metodo (guado) consente a chi lo possiede di proporre e quindisuperare anche le situazioni teoriche apparentemente più avventurose (Recherche, cit., p. 512).

188 Così l’aveva rappresentato La Mothe Le Vayer (si veda sopra n. 146). Qui nella RechercheEpistemone, personaggio emblematico del sapere scolastico, cita Socrate come filosofo affattoscettico appena intravvede che il dialogo tra Eudosso e Poliandro sta portando all’annullamentodella dottrina tradizionale: «Ces doutes si generaus nous menoient tout droit dans l’ignorance deSocrate ou dans l’incertitude des Pyrroniens» (Recherche, cit., p. 512, ll. 16-19).

189 Ivi, p. 503: «Pour les sciences, qui ne sont autre chose que les jugemens certains que nousappuions sur quelques connaissances qui precede, les unes se tirent des choses communes etdesquelles tout le monde a entendu parler, les autres des experiences rares et estudiées».

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tutti gli uomini 190: onesta conversazione, come già l’ aveva definita un personaggio diS. Guazzo, quando era stato richiesto di meglio definire che cosa dovesse intendersiper ‘civile’ 191, e come, forse sulla scia del trattatista italiano, l’avevano presceltaMontaigne, che aveva parlato tra l’altro d’exercice des âmes sans aucun fruit 192, P.Charron, P. Bardin, per il quale la conversazione è strumento privilegiato per la cono-scenza dell’altro 193, e infine La Mothe che – come abbiamo visto – la illustra con lapiù eloquente metafora che sia stata immaginata per affermare il primato di questaforma di comunicazione 194.

Je desire... que nous nous entretenions, dice Eudosso a Poliandro, utilizzando congran pertinenza un verbo che, soprattutto nel XVII sec., comportava la mutualità delrapporto, quasi un legame causale tra i partecipanti alla conversazione, i quali nonsolo parlano ma, parlando, coinvolgono l’altro ed in una certa misura ne sono coin-volti, specie quando il colloquio si restringe a due soli interlocutori: la conversazionesi rivela così dialogo in un senso vicinissimo a quello che era stata la maieutica socra-tica, interpretata e pressoché teorizzata da P. Charron come un’autentica opzionepedagogica e didattica (façon d’instruire par demandes excellement observée par Socrate),alternativa a quella utilizzata dalla tradizione 195. Vi sono momenti in cui il dialogocartesiano appare assai vicino a quello socratico, innanzi tutto là dove, quasi ossessi-vamente, Eudosso esige l’attenzione di Poliandro o questi chiede di esser condottoper mano da chi lo interroga o, infine, ove si raccomanda di non superare nella rispo-sta i limiti impliciti nella domanda, o si affida al modo stesso dell’interrogazione lapossibilità di liberare il buon senso 196. È questo il luogo in cui Descartes si contrap-

190 Ivi, p. 498: ll. 6-18: «pour cet effait, je n’ay point trouvé de stile plus commode que celuy de cesconversations honnestes, où chacun découvre familiarement à ses amis ce qu’il a de meilleur ensa pensée».

191 Ricordiamo (si veda sopra n. 14) che l’opera del Guazzo aveva conosciuto due versioni nel solo1579 ed era largamente nota a tutti gli autori del tardo rinascimento francese. Questa la rispostadi Annibale: «il viver civilmente non dipende dalla città, ma dalle qualità dell’animo. Così inten-do la conversazione civile non per rispetto solo della città, ma in considerazione de’ costumi edelle maniere che la rendono civile […] voglio che la conversazione civile sia onesta, lodevole evirtuosa (La civil conversazione, cit., p. 40).

192 MONTAIGNE, Essais, cit., III, III, vol. V, p. 85: «La fin de ce commerce, c’est simplement la pri-vauté, frequentation et conference: l’exercice des âmes sans aucun fruit».

193 P. BARDIN, Le lycée, cit., I, p. 139: «Socrate ne pensoit pas voir un beau iuene homme qui se tintlong-temps devant luy, à cause qu’il demeuroit dans le silence, et il luy dit: ‘Parle afin que je tevoye’, en quoy il donnoit à entendre que l’homme n’est point cét exterieur qui nous en paroist,mais l’ame qui est au dedans, dont il faut que nous prenions connoissance par la parole laquellepour cette consideration i’appellorois volontiers le visage de nostre ame».

194 Si veda sopra n. 149.195 Si veda sopra n. 99.196 L’attenzione è richiesta da Eudosso varie volte, ad es. Recherche, cit., p. 509, ll. 10-11 (il faudra

icy que vous me prestiez votre attention); p. 514, ll. 1-5; p. 515, ll. 8-9. Poliandro chiede cheEudosso continui a condurlo per mano: p. 520, ll. 16-17. È errore, anche se può essere fruttoso,

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pone, più radicalmente e pertinentemente di quanto non abbia fatto Charron, allaforma d’insegnamento seguita nei Collegi: egli, infatti, ad una delle considerazionisugli esiti che si possono raggiungere attraverso il dialogo fa seguire quasi immedia-tamente un netto rifiuto della logica, colonna portante della lectio tradizionale 197.Ecco come i due passi si susseguono:

Non possum, quin hic te subsistere faciam, non ut te a via abducam, sed utaddam animum, et perpendendum exhibeam, quid sanus sensus, rite modogubernetur, efficere valeat [...] Atqui cuncta haec dicuntur peragunturque, sineLogica, sine regula, sine argumentandi formula, solo lumine rationis et sani sen-sus, qui ubi solus per se agit, erroribus minus est obnoxius, quam cum millediversas regulas, quas artificium et desidia hominum, ad illum corrumpendumpotius quam reddendum perfectiorem, invenerunt, anxie observare studet 198.

In termini generali, per Descartes indubbiamente sufficienti, il rapporto tra la suaopera e il dialogo socratico è dunque trasparente, il che non significa però che l’acco-stamento possa andar oltre, cioè che ad un’analisi più ravvicinata i procedimenti segui-ti appaiano assolutamente gli stessi: Socrate-Platone – ci limitiamo qui a ricordare ilMenone, ma potremmo evidentemente richiamarci a molti altri luoghi dei dialoghiplatonici – 199 fa prima in modo che l’interlocutore avanzi tesi che il saggio emenda ecorregge sino a che non venga alla luce la verità ricercata 200; nel caso della Recherche,

superare i limiti impliciti nella quaestio: p. 520, ll. 25-28; infine, per la ‘liberazione del buonsenso’, si veda sotto n. 198.

197 Anche nel 1638 Descartes mostra di apprezzare il dialogo, se non altro come migliore strumen-to per far accettare le proprie dottrine; si veda a Mersenne, 11 ott. 1638, AM., III, pp. 78-79:«Sa façon d’écrire – si riferisce ai Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienzedi Galileo – par dialogues[…] aide beaucoup à faire valoir sa marchandise». Forse egli rivela quiquella che era stata la sua intenzione nel 1633-34, posta che questa sia la data di composizionedella Recherche, allorché aveva immaginato di comunicare la sua filosofia in forma dialogica.

198 Recherche, cit., p. 521: «A questo punto non posso fare a meno – è Eudosso che parla – di inter-rompervi, non per distrarvi dal vostro cammino, ma per incoraggiarvi e per farvi riflettere su ciòche può il buon senso, purché sia ben guidato […]. E ciò si dice senza ricorso alla Logica, senzauna regola, senza formule di argomentazione, ma al solo lume della ragione e del buon senso, ilquale è meno esposto agli errori quando opera da solo e di per sé, che quando si sforza ansiosa-mente di osservare mille regole diverse inventate dall’artificio e dalla pigrizia degli uomini più percorromperlo che per perfezionarlo». Questa non è che una ripresa delle ancor più particolareg-giate censure che investiranno anche l’Albero di Porfirio: si veda ivi, pp. 514 e 522-524.

199 Si veda soprattutto, per la differenza tra l’‘elenco’ e il metodo maieutico, il magistrale saggio di G.VLASTOS, The Socratic elenchus, in «Oxford Studies» in «Ancient Philosophy», 1, 1983, pp. 27-84.

200 Ciò è in perfetta sintonia con la teorizzazione del metodo maieutico quale appare nel Teeteto,150c: «E dunque affidati a me che sono figliolo di levatrice e ostetrico io stesso; e a quel che tidomando vedi di rispondere nel migliore modo che sai. Che se poi, esaminando le tue risposte,io trovi che alcuna di esse è fantasma e non verità, e te la strappo di dosso e te la butto via, nonsdegnarti con me come fanno per i loro figlioli le donne di primo parto»; ciò – conclude Socrate-

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invece, il procedimento è quasi opposto: il maestro pone le tesi e lascia che l’interlo-cutore renda evidenti le difficoltà che incontra ad accettarle, quindi lo guida perchépossa superarle, il che equivale ad aiutarlo a dissipare ogni ombra che impedisca allalumière naturelle – qui appare identica al sanus sensus (bon sens) – di manifestarsi. Inaltri termini, nella Recherche il Saggio conosce la via da seguire e la indica all’allievo che,qualora essa sia ben determinata, sarà in grado di continuare a percorrerla da solo. Ilprocedimento è diverso, ma il fine è lo stesso: condurre chi è estraneo alla cultura dellescuole ad avvicinarsi alla verità, e Descartes pensa di averlo raggiunto:

Quid tibi, Epistemon – dice Eudosso -, de iis, quae Poliander modo dixit, vide-tur? In toto eius ratiocinio ecquid claudicare, vel sibi non constare reperis?Crediderasne fore ut, qui illitteratus esset, nullamque studiis dedisset operam,tam accurate ratiocinaretur, et per omnia sibi consentiret? 201,

il che costituisce il programma enunciato all’inizio del Dialogo:

[...] je me suis proposé d’enseigner en cet ouvrage, et de mettre en evidence lesveritables richesses de nos ames, ouvrant à un chacun les moyens de trouver ensoy mesme, et sans rien emprunter d’autruy, toute la science qui luy est neces-saire à la conduite de sa vie, et d’acquerir par appres par son estude toutes les pluscurieuses connoissances, que la raison des hommes est capable de posseder 202.

Come già accennato, l’ancor giovane filosofo, quando pensava di determinareun metodo per la ricerca della verità – alludiamo alle Regulae ad directionem ingenii– è vissuto a Parigi al centro di un turbinio di correnti e di tendenze culturali, la cuitraccia è sempre ritrovabile nei vari momenti della sua speculazione: non è stato estra-neo – pur con non poche riserve – alla ‘moda’ della curiosità, ha abbracciato conentusiasmo la cultura degli artefici della rivoluzione scientifica – ho iniziato, scrive, làdove Vieto ha finito, Keplero è stato mio maestro 203 –, rimasta dominante in tutto l’ar-co della sua esistenza, non si è certo dimenticato della scolastica, che ha saputo uti-lizzare con particolare sottigliezza, ad esempio nelle Obiezioni e Risposte e nella purtarda polemica con Henry More.

Platone – al fine di liberare la verità (trad. di MANARA VALGIMIGLI in PLATONE, Opere, a c. di F.ADORNO, Bari, Laterza, 1966, 2 voll., I, pp. 278-279).

201 Recherche cit., p. 522, ll. 1-5: «Eudosso: Che vi pare, Epistemone, di ciò che Poliandro ha dettoora? Trovate in tutto il suo ragionamento qualcosa di zoppicante o di inconseguente? Avreste maicreduto possibile che un uomo illetterato e privo di studi ragionasse con tanta precisione e fossesempre così coerente con se stesso in tutte le cose?».

202 Ivi, p. 496, ll. 13-20.203 Si veda lettera a Mersenne, 31 marzo 1638 (AM., II, p. 213): «je commence … par où Viete

avait fini»; poco dopo, ivi, p. 216: «Kepler a été mon premier maître en Optique et je crois qu’ila été celui de tous qui en a le plus su par ci-devant».

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Con questo nostro contributo abbiamo inteso mostrare come Descartes, senzarinunciare, anche in questo caso, a suoi apporti personali, abbia riconosciuto nella cul-tura del tardo rinascimento francese motivi le cui potenzialità speculative, lungi dal-l’esser esaurite, gli davano occasione per inusitati ulteriori svolgimenti teorici, dalla stes-sa opzione scettica e relativa immagine di Socrate alla generale mappa della coscienzae dei percorsi che in essa si potevano ascrivere, alle diverse forme da seguire per la for-mazione dell’uomo, sino al nuovo pubblico cui indirizzare il discorso filosofico: tuttiaspetti delle sue scelte che abbiamo più volte richiamato. Non potremmo chiudereperò il nostro discorso senza ricordare che Descartes non è stato neppure insensibile alrichiamo di Montaigne, di Charron e di La Mothe Le Vayer all’universalità del saperecome dimensione ove il pregiudizio non sarebbe potuto sussistere e, quindi, alla natu-ra razionale dell’uomo, come par mostri questa sua risposta a Burman:

et ego ita scripsi meam philosophiam, ut ubique recipi possit, vel etiam apudTurcas, ne ulli offendiculo sim 204.

ETTORE LOJACONO

204 DESCARTES, Responsiones Renati Des Cartes ad quasdam difficultates ex Meditationibus ejus, etc., abipso haustae (Entretien avec Burman), in Correspondance, ed. AT. cit., V, p. 159.