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LINFOMA DI HODGKIN E IMMUNOTERAPIA: INIBITORI DEL CHECKPOINT IMMUNITARIO PD-1 EFFICACI NELLA TERAPIA DI SALVATAGGIO Milano, 5 Novembre 2018 - Circa il 25% dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin non riesce a guarire dalla chemioterapia standard e viene pertanto avviato a terapia di salvataggio e consolidamento con trapianto autologo. Di questi pazienti, circa il 50% risulterà chemiorefrattario o recidiverà nuovamente dopo l’autotrapianto. Tuttavia, l’avvento dell’immunoterapia con inibitori del checkpoint PD-1 ha costituito un punto di svolta importante nel trattamento di questa patologia come evidenziato anche dal documento di consenso recentemente pubblicato su Leukemia & Lymphoma 1 , frutto del lavoro di un panel di esperti italiani tra cui il Prof. Paolo Corradini, Direttore del Dipartimento di Ematologia e Onco-ematologia pediatrica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Il documento ha l’obiettivo di fornire raccomandazioni pratiche per l'uso ottimale degli anticorpi anti-PD-1 quale trattamento per i casi più complessi, in cui i pazienti mostrino recidiva o siano refrattari alla terapia standard. “L’attuale strategia terapeutica per pazienti affetti da linfoma di Hodgkin con prognosi sfavorevole prevede l’utilizzo di brentuximab vedotin (BV) o bendamustina - che tuttavia garantiscono risposte complete e durature per una percentuale di pazienti inferiore al 30% - e il trapianto di cellule staminali allogeniche per coloro che dispongono di un donatore” spiega il Prof. Paolo Corradini, Direttore del Dipartimento di Ematologia e Onco-ematologia pediatrica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “L’avvento degli inibitori del checkpoint immunitario programmed-death 1 (PD-1), nivolumab e pembrolizumab, ha costituito una svolta importante nella terapia di salvataggio, mostrando tassi di risposta incoraggianti anche in pazienti fortemente pre-trattati”. L’agenzia europea del farmaco (EMA) ha approvato l’utilizzo di queste terapie per uso continuativo fino a evento avverso o progressione in pazienti ricaduti dopo autotrapianto e BV e, recentemente, è arrivata anche l’approvazione da parte di AIFA, anche se al momento solo per nivolumab. L’aumentato utilizzo di questi trattamenti ha però fatto emergere alcune criticità relative al rischio di eventi avversi. Gli inibitori anti-PD-1 sono generalmente caratterizzati da un modesto profilo di tossicità, tuttavia l’insorgenza di complicanze immuno-mediate può costituire una sfida per l’ematologo sia nella formulazione della diagnosi (spesso di esclusione) sia nel bilanciare rischi e benefici della sospensione del trattamento per tossicità, spesso solo transitoria. Inoltre, l’utilizzo di questi inibitori in un contesto peri- trapiantologico - come “ponte” al trapianto allogenico o come salvataggio post-allotrapianto - ha dimostrato un aumentato rischio di complicanze, in particolare di comparsa precoce di “malattia del trapianto contro l’ospite”. In generale, i risultati promettenti, abbinati alla necessità di una diagnosi precoce e accurata delle complicanze e di uno stretto monitoraggio dei pazienti in terapia o con eventi avversi, impongono la gestione di questi pazienti in centri ematologici con consolidata esperienza nell’ambito del linfoma di Hodgkin, dell’immunoterapia e del trapianto allogenico. 1 Pier Luigi Zinzani, Armando Santoro, Arturo Chiti, Secondo Lastoria, Antonio Pinto, Lugi Rigacci, Giovanni Barosi, Martina Pennisi & Paolo Corradini (2018): Italian expert panel consensus statement on the optimal use of PD-1 blockade therapy in classical Hodgkin lymphoma, Leukemia & Lymphoma, 2018 Oct 15: 1-10. https://doi.org/10.1080/10428194.2018.1519808

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LINFOMA DI HODGKIN E IMMUNOTERAPIA:

INIBITORI DEL CHECKPOINT IMMUNITARIO PD-1 EFFICACI NELLA TERAPIA DI SALVATAGGIO

Milano, 5 Novembre 2018 - Circa il 25% dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin non riesce a guarire dalla

chemioterapia standard e viene pertanto avviato a terapia di salvataggio e consolidamento con trapianto

autologo. Di questi pazienti, circa il 50% risulterà chemiorefrattario o recidiverà nuovamente dopo

l’autotrapianto.

Tuttavia, l’avvento dell’immunoterapia con inibitori del checkpoint PD-1 ha costituito un punto di svolta

importante nel trattamento di questa patologia come evidenziato anche dal documento di consenso

recentemente pubblicato su Leukemia & Lymphoma1, frutto del lavoro di un panel di esperti italiani tra cui

il Prof. Paolo Corradini, Direttore del Dipartimento di Ematologia e Onco-ematologia pediatrica dell’Istituto

Nazionale dei Tumori di Milano. Il documento ha l’obiettivo di fornire raccomandazioni pratiche per l'uso

ottimale degli anticorpi anti-PD-1 quale trattamento per i casi più complessi, in cui i pazienti mostrino

recidiva o siano refrattari alla terapia standard.

“L’attuale strategia terapeutica per pazienti affetti da linfoma di Hodgkin con prognosi sfavorevole prevede

l’utilizzo di brentuximab vedotin (BV) o bendamustina - che tuttavia garantiscono risposte complete e

durature per una percentuale di pazienti inferiore al 30% - e il trapianto di cellule staminali allogeniche per

coloro che dispongono di un donatore” spiega il Prof. Paolo Corradini, Direttore del Dipartimento di

Ematologia e Onco-ematologia pediatrica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “L’avvento degli

inibitori del checkpoint immunitario programmed-death 1 (PD-1), nivolumab e pembrolizumab, ha costituito

una svolta importante nella terapia di salvataggio, mostrando tassi di risposta incoraggianti anche in

pazienti fortemente pre-trattati”.

L’agenzia europea del farmaco (EMA) ha approvato l’utilizzo di queste terapie per uso continuativo fino a

evento avverso o progressione in pazienti ricaduti dopo autotrapianto e BV e, recentemente, è arrivata

anche l’approvazione da parte di AIFA, anche se al momento solo per nivolumab.

L’aumentato utilizzo di questi trattamenti ha però fatto emergere alcune criticità relative al rischio di eventi

avversi. Gli inibitori anti-PD-1 sono generalmente caratterizzati da un modesto profilo di tossicità, tuttavia

l’insorgenza di complicanze immuno-mediate può costituire una sfida per l’ematologo sia nella

formulazione della diagnosi (spesso di esclusione) sia nel bilanciare rischi e benefici della sospensione del

trattamento per tossicità, spesso solo transitoria. Inoltre, l’utilizzo di questi inibitori in un contesto peri-

trapiantologico - come “ponte” al trapianto allogenico o come salvataggio post-allotrapianto - ha

dimostrato un aumentato rischio di complicanze, in particolare di comparsa precoce di “malattia del

trapianto contro l’ospite”.

In generale, i risultati promettenti, abbinati alla necessità di una diagnosi precoce e accurata delle

complicanze e di uno stretto monitoraggio dei pazienti in terapia o con eventi avversi, impongono la

gestione di questi pazienti in centri ematologici con consolidata esperienza nell’ambito del linfoma di

Hodgkin, dell’immunoterapia e del trapianto allogenico.

1 Pier Luigi Zinzani, Armando Santoro, Arturo Chiti, Secondo Lastoria, Antonio Pinto, Lugi Rigacci, Giovanni Barosi, Martina Pennisi & Paolo Corradini

(2018): Italian expert panel consensus statement on the optimal use of PD-1 blockade therapy in classical Hodgkin lymphoma, Leukemia &

Lymphoma, 2018 Oct 15: 1-10. https://doi.org/10.1080/10428194.2018.1519808

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L’immunoterapia, inoltre, è destinata ad avere un ruolo sempre più importante nel trattamento dei linfomi

e della leucemia linfoblastica acuta e l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano è, dal 2016, l’unico centro

italiano che prevede protocolli con CAR T-cells nei linfomi, una forma di immunoterapia cellulare che sta

dando dei risultati di grande interesse e che è stata da poco approvata da EMA oltre che dalla Food and

Drug Administration (FDA).

Per approfondimenti è possibile consultare:

http://www.istitutotumori.mi.it/modules.php?name=News&file=article&sid=437

Paolo Corradini

Dal 2001 è Direttore della Struttura Complessa di Ematologia - Trapianto Midollo Osseo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, ed è Presidente della Società Italiana di Ematologia dal gennaio 2018. Svolge attività di ricerca clinica e molecolare nel campo delle neoplasie ematologiche, in particolare mieloma multiplo e linfomi non-Hodgkin. Ha sviluppato metodiche di laboratorio innovative per il monitoraggio molecolare della malattia minima residua nel mieloma, nei linfomi e nella leucemia linfatica cronica. Coordina e partecipa a importanti studi italiani e internazionali per il trattamento innovativo dei linfomi, del mieloma, delle leucemie e delle malattie mieloproliferative, inclusi

gli studi di fase I e le terapie cellulari. Ulteriore campo di interesse è rappresentato dal trapianto di cellule staminali emopoietiche. Dagli anni ’90 lavora a protocolli di trapianto autologo e allogenico; è stato uno dei primi in Europa a introdurre protocolli di condizionamento a ridotta intensità per il trapianto allogenico nei pazienti con linfomi recidivati. Svolge attività didattica come Professore Ordinario di Ematologia presso l’Università degli Studi di Milano, è stato Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia, Direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia, coordinatore del Dottorato di Ricerca in Ematologia Sperimentale, e membro dell’Osservatorio della Ricerca dell’Ateneo. Autore o coautore di più di 200 pubblicazioni su riviste internazionali. È Associate-Editor di HemaSphere, la rivista scientifica ufficiale dell’European Hematology Association. È membro delle maggiori società internazionali di ematologia e trapianto.