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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in Italia Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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Le patologie

batteriche prevenibili

in età pediatrica:programmi di vaccinazione in ItaliaGiovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

Coordinatore editoriale: Raffaella Agosta

Redazione: Lucrezia Monterisi

Editore: Biomedia s.r.l., Via L. Temolo 4, 20126 MilanoTel. 02/45498282 - Fax 02/45498199e-mail: [email protected] Sito Internet: http://www.biomedia.net

Stampa: Grafica Briantea, Usmate (MB)

Edizione novembre 2016

Vietata la riproduzione integrale o parziale anche in fotocopieCopyright Società Italiana di Pediatria

Le patologie

batteriche prevenibili

in età pediatrica:programmi di vaccinazione in ItaliaGiovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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INDICE

Introduzione pag. 3

La malattia pneumococcica e il vaccino pneumococcico pag. 7

coniugato in pediatria

Haemophilus Influenzae pag. 26

La malattia meningococcica invasiva pag. 35

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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INTRODUZIONE

Il clamore mediatico internazionale levatosi nel corso degli ultimi anni sui presunti rischi didanni neurologici e di autismo in relazione alla somministrazione di vaccini, e in particolarmodo del vaccino trivalente antimorbillo-parotite-rosolia, ha avuto effetti negativi gravi edocumentati sulla adesione delle famiglie alle vaccinazioni, inducendo dubbi, perplessità,esitazione, paure e sfiducia, con la conseguenza di una riduzione delle coperture vaccinaliin età evolutiva in molti paesi europei, tra cui l’Italia. Si attribuisce a questa diffusa “vaccinehesitancy” il ruolo più importante nel mancato rispetto dei calendari vaccinali da parte diun numero crescenti di genitori o il palese rifiuto delle vaccinazioni in alcuni casi più limitati.

Purtroppo il grande impatto mediatico che la propalazione incontrollata di questi rischi,veicolata dal WEB, da racconti aneddotici individuali, da esperti che riferivano pareri edesperienze personali ha oscurato il dato più importante: la mancanza di qualsiasi evidenzascientifica reale sulla consistenza di tali rischi e associazioni (tranne qualche esperienzadi documentata irrilevanza) e anzi la esistenza ormai consolidata di dati e risultati di lavoriscientifici che ne provano l’assenza.

E’ indubbio che la proliferazione dei vaccini disponibili avutasi nel corso dell’ultimodecennio, frutto della ricerca scientifica e della innovazione tecnologica, ha innescatomeccanismi di sfiducia da parte di alcune fasce poco informate di popolazione, facendopropagare notizie false quali quelle ad esempio che ciò potesse indebolire il sistemaimmunitario o aumentare i rischi di effetti avversi o complicanze.

La mancata percezione della gravità delle malattie infettive prevenibili con le vaccinazioniè da attribuire al fatto che queste malattie sono state abbattute sul piano epidemiologicoproprio grazie alla efficacia dei vaccini e alle alte coperture. Ciò ha sicuramente contribuitoa far calare nelle famiglie l’adesione ai programmi di prevenzione e alle vaccinazioni inparticolare. Non è un caso che l’interesse a vaccinare ricresca ogni qual volta si diffondela notizia di una grave malattia infettiva prevenibile con le vaccinazioni, per poi decresceredi nuovo sino alla successiva notizia di cronaca.

Tutto ciò conferma quanto sia importante oggi il ruolo della comunicazione, dei media edei giornali anche per la diffusione di notizie in grado di influire sui comportamenti orientatia stili di vita. Ad esempio, dare uno spazio di tempo uguale e pari dignità alle posizioni proe contro i vaccini è un grave errore che spesso istituzioni e media fanno. Mettere sullostesso piano posizioni suffragate da risultati di lavori scientifici e quindi validati dalleevidenze, con posizioni individuali non legate ad esperienze scientifiche. Questaequidistanza falsa lo stato reale delle posizioni e può contribuire a dare risalto e diffusionea posizioni ideologiche o a suggestioni individuali, rischiosi per il potenziale impattonegativo nei confronti delle vaccinazioni. Posizioni a favore o contrarie alle vaccinazioninon sono pertanto parimenti legittime sul piano scientifico e clinico ed è necessario cheanche i media facciano prevalere gli interessi della salute pubblica seguendo ciò che è

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

“evidentiary based”, basato cioè sulle evidenze scientifiche, lottando contro il “falselybalanced”.

Un elemento che ha inciso negativamente sulla adesione delle famiglie alle vaccinazioniin Italia è il cosiddetto federalismo vaccinale, dovuto alla delega completa alle regioni delServizio Sanitario e in particolare alla esistenza di diversi calendari regionali con differenzespesso significative non solo sul numero dei vaccini, ma anche sulle loro modalitàamministrative di erogazione. Queste differenze spesso disorientano sia le famiglie che ilpersonale sanitario e sono una anomalia del sistema di prevenzione vaccinale italiano,che si spera di poter modificare grazie all’inserimento tra i LEA del Piano di PrevenzioneVaccinale Nazionale 2016-2018 e dei successivi passaggi amministrativi in sede diconferenza stato-regioni e di emanazione dei calendari regionali applicativi. Convergeresu un unico Calendario Vaccinale Nazionale ha anche un valore etico, in quanto offerte disalute disomogenee sul piano della residenza in regioni diverse, soprattutto in etàevolutiva, sono fonte di iniquità. Misure già previste in alcune regioni, quali quella di ridareimpulso alla verifica dello stato vaccinale prima dell’inserimento dei bambini nelle comunitàscolastiche e negli asili nido, possono contribuire a rinsaldare nelle famiglie la convinzionea vaccinare e a superare stati di esitazione e di dubbio affiorati da contatti diretti o viaWEB.

E’ inoltre strategico, per invertire i recenti trend di calo delle coperture vaccinali, avere unaadesione non superficiale ma convinta del personale sanitario e dei medici in particolarmodo. Tra costoro, infatti, l’adesione alle vaccinazioni è incostante e spesso non dichiarata.E’ indubbiamente un segnale negativo in vista di quell'ampliamento del consenso neiconfronti dei vaccini che dobbiamo raggiungere. Su questo fronte è necessario intervenirecon percorsi di formazione multidisciplinari integrati, mettendo insieme e accanto igienisti,medici di sanità pubblica, pediatri, medici del territorio perché condividano non solo ipresupposti teorici ma anche le modalità con cui effettuarle nelle varie età. Oggi il calendario vaccinale proposto è un calendario non più limitato ad alcune fasce d’età,ma è non a caso definito “Calendario per la vita”, proprio per sancire la necessità e l’utilitàdi mantenere elevati i tassi e le concentrazioni di anticorpi protettivi contro le malattieinfettive prevenibili in tutte le età della vita, compresi adulti e anziani, altra popolazionefragile ed esposta a complicanze gravi in caso di infezione naturale.

Sul fronte della comunicazione bisogna sicuramente potenziare gli interventi di“promozione dell’immagine” delle vaccinazioni. Bisogna avere come target tutta lapopolazione, compresi bambini e adolescenti, ed essere in grado di intercettare le opinioni,le percezioni e le conoscenze esistenti a vari livelli, contrastando comportamenti dettatida posizioni ideologiche o da scarsa conoscenza dei problemi legati alle malattie infettiveprevenibili. Evitare processi relazionali conflittuali e posizioni accusatorie o esclusivamentecolpevolizzanti può essere utile in vista di una relazione empatica e bidirezionale, in cuiun counselling individualizzato tra medici esperti e formati da una parte e genitori dubbiosidall’altra può essere sufficiente per ridare priorità alle posizioni basate sulla solidità del

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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razionale scientifico. E’ infatti la posizione del pediatra o del medico di famiglia il fattoreche più di altri è in grado di influenzare le posizioni dei genitori, come risulta da indaginieffettuate in questi anni su varie popolazioni, anche italiane.

Non sempre è facile raggiungere in modo singolo e individualizzato tutte le famiglie. Eccoperché è necessario investire sulle risorse messe a disposizione dal WEB. I portali dedicatiai vaccini e alle vaccinazioni da siti istituzionali o accreditati sul piano scientifico, sonoormai insostituibili insieme ai social network per imbastire una relazione efficace a vastoraggio, non sostitutiva rispetto ai mezzi di comunicazione classici ma integrativa e dipotenziamento con il coinvolgimento di tutti gli stakeholder. Obiettivo importante ancheper rimuovere ed abbattere alcuni falsi miti e credenze diffuse che possono rivelarsideterminanti nella propagazione di posizioni contrarie alle vaccinazioni.

E’ importante puntare al raggiungimento di due obiettivi:

1. aumentare il livello di conoscenza e di informazione su malattie per cui oggi esistonoefficaci opportunità di prevenzione vaccinale. Alcune di esse sono state a torto considerateormai rare e scomparse. Al contrario gli agenti responsabili sono attivi e circolanti e a causadel calo delle coperture vaccinali al di sotto del livello di soglia universalmente consideratopari al 95% possono far riemergere le malattie infettive anche in modo eclatante edrammatico. E’ il caso del morbillo e della pertosse in Italia che sono riemersi in modoinatteso negli ultimi anni, con episodi che, purtroppo, hanno avuto anche una evoluzioneinfausta. Per quello che riguarda la pertosse i casi gravi si realizzano nei primi mesi di vita,quando il neonato o il piccolo lattante è scoperto dalla protezione anticorpale per i bassititoli materni che non vengono più rafforzati da contatti booster naturali o indotti dallaimmunizzazione attiva. E’ per questo che oggi si invoca da più parti l’esecuzione di unrichiamo vaccinale durante il secondo o terzo trimestre di gravidanza per garantire unrobusto incremento dei titoli anticorpali nel neonato in modo da renderli protettivi per tuttoil primo trimestre dopo la nascita, sino all’avvio della vaccinazione prevista dal calendario.Oltretutto, spesso il personale medico non ha più la consuetudine con il sospetto clinico dimalattie non più diffuse e considerate malattie del passato o ancora peggio “storiche”.Anche nel caso delle malattie infettive da batteri capsulati, pneumococciche emeningococciche, spesso si considera la vaccinazione non strettamente necessaria vistele opportunità di antibioticoterapia esistenti per queste infezioni. In realtà, come ormaisappiamo, la rapida evolutività dei quadri clinici e il notevole pleiomorfismo dei segni clinici,in particolar modo di quelli con interessamento neurologico e del SNC, rendono lavaccinazione l’unica strategia di intervento efficace.

2. diffondere i dati e i risultati degli studi e delle pubblicazioni scientifiche tra il personalesanitario e alla popolazione, in modo da documentare e condividere gli effetti benefici realie non sostituibili dovuti ai vaccini, in un contesto di chiarezza di ruoli e responsabilità traindustria, mondo scientifico e istituzioni. La ricerca finanziata dall’industria è una realtàsolida in questo campo, che va considerata comunque un valore perché gli investimenti

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

pubblici e le risorse finalizzate a questo scopo dallo stato sono inadeguate e insufficientiper portare avanti studi orientati a valutare l’impatto delle nuove tecnologie e di nuovifarmaci e vaccini nell’aumentare i livelli di protezione della popolazione. Affermazioni diinteressi economici condivisi tra industria e partnership scientifica sono spesso il frutto diposizioni ideologiche preconcette contro le vaccinazioni e vengono messe in campo ediffuse senza alcun elemento concreto a suffragio ma solo per scoraggiare la popolazionenei confronti delle pratiche vaccinali.

Iniziative di comunicazione in favore delle vaccinazioni devono essere programmate anchedirettamente nei confronti dei bambini e degli adolescenti. La scuola può diventare, inquesto senso, una palestra di educazione preziosa a breve e a lungo termine. La culturache si acquisisce a livello scolastico spesso innesca una sorta di imprinting anche per lasolidarietà di gruppo che può derivarne a questa età. Inoltre, può esservi un utile reboundanche a livello familiare in quanto attraverso bambini e adolescenti si possono recuperareposizioni utili per far riprendere il giusto posto delle vaccinazioni in ambito di prevenzioneanche nei loro genitori. Naturalmente non devono essere interventi “spot”, occasionali edepisodici ma coordinati e programmati nel tempo secondo un progetto e una impostazionelongitudinale.

Allo stesso modo vanno portati avanti gli interventi educazionali di formazione delpersonale sanitario, in modo strutturato e orientato al raggiungimento dei vari obiettivi postie riassunti in queste pagine. Sono gli obiettivi di questa monografia che mette a fuocoattualità e prospettive in tema di tre malattie infettive prevenibili in modo efficace con levaccinazioni su cui è importante raggiungere posizioni convergenti: le infezionipneumococciche, le infezioni meningococciche e le infezioni da Hemophilus Influentiae.

Giovanni CorselloPresidente SIP

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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INTRODUZIONE

Il clamore mediatico internazionale levatosi nel corso degli ultimi anni sui presunti rischi didanni neurologici e di autismo in relazione alla somministrazione di vaccini, e in particolarmodo del vaccino trivalente antimorbillo-parotite-rosolia, ha avuto effetti negativi gravi edocumentati sulla adesione delle famiglie alle vaccinazioni, inducendo dubbi, perplessità,esitazione, paure e sfiducia, con la conseguenza di una riduzione delle coperture vaccinaliin età evolutiva in molti paesi europei, tra cui l’Italia. Si attribuisce a questa diffusa “vaccinehesitancy” il ruolo più importante nel mancato rispetto dei calendari vaccinali da parte diun numero crescenti di genitori o il palese rifiuto delle vaccinazioni in alcuni casi più limitati.

Purtroppo il grande impatto mediatico che la propalazione incontrollata di questi rischi,veicolata dal WEB, da racconti aneddotici individuali, da esperti che riferivano pareri edesperienze personali ha oscurato il dato più importante: la mancanza di qualsiasi evidenzascientifica reale sulla consistenza di tali rischi e associazioni (tranne qualche esperienzadi documentata irrilevanza) e anzi la esistenza ormai consolidata di dati e risultati di lavoriscientifici che ne provano l’assenza.

E’ indubbio che la proliferazione dei vaccini disponibili avutasi nel corso dell’ultimodecennio, frutto della ricerca scientifica e della innovazione tecnologica, ha innescatomeccanismi di sfiducia da parte di alcune fasce poco informate di popolazione, facendopropagare notizie false quali quelle ad esempio che ciò potesse indebolire il sistemaimmunitario o aumentare i rischi di effetti avversi o complicanze.

La mancata percezione della gravità delle malattie infettive prevenibili con le vaccinazioniè da attribuire al fatto che queste malattie sono state abbattute sul piano epidemiologicoproprio grazie alla efficacia dei vaccini e alle alte coperture. Ciò ha sicuramente contribuitoa far calare nelle famiglie l’adesione ai programmi di prevenzione e alle vaccinazioni inparticolare. Non è un caso che l’interesse a vaccinare ricresca ogni qual volta si diffondela notizia di una grave malattia infettiva prevenibile con le vaccinazioni, per poi decresceredi nuovo sino alla successiva notizia di cronaca.

Tutto ciò conferma quanto sia importante oggi il ruolo della comunicazione, dei media edei giornali anche per la diffusione di notizie in grado di influire sui comportamenti orientatia stili di vita. Ad esempio, dare uno spazio di tempo uguale e pari dignità alle posizioni proe contro i vaccini è un grave errore che spesso istituzioni e media fanno. Mettere sullostesso piano posizioni suffragate da risultati di lavori scientifici e quindi validati dalleevidenze, con posizioni individuali non legate ad esperienze scientifiche. Questaequidistanza falsa lo stato reale delle posizioni e può contribuire a dare risalto e diffusionea posizioni ideologiche o a suggestioni individuali, rischiosi per il potenziale impattonegativo nei confronti delle vaccinazioni. Posizioni a favore o contrarie alle vaccinazioninon sono pertanto parimenti legittime sul piano scientifico e clinico ed è necessario cheanche i media facciano prevalere gli interessi della salute pubblica seguendo ciò che è

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

“evidentiary based”, basato cioè sulle evidenze scientifiche, lottando contro il “falselybalanced”.

Un elemento che ha inciso negativamente sulla adesione delle famiglie alle vaccinazioniin Italia è il cosiddetto federalismo vaccinale, dovuto alla delega completa alle regioni delServizio Sanitario e in particolare alla esistenza di diversi calendari regionali con differenzespesso significative non solo sul numero dei vaccini, ma anche sulle loro modalitàamministrative di erogazione. Queste differenze spesso disorientano sia le famiglie che ilpersonale sanitario e sono una anomalia del sistema di prevenzione vaccinale italiano,che si spera di poter modificare grazie all’inserimento tra i LEA del Piano di PrevenzioneVaccinale Nazionale 2016-2018 e dei successivi passaggi amministrativi in sede diconferenza stato-regioni e di emanazione dei calendari regionali applicativi. Convergeresu un unico Calendario Vaccinale Nazionale ha anche un valore etico, in quanto offerte disalute disomogenee sul piano della residenza in regioni diverse, soprattutto in etàevolutiva, sono fonte di iniquità. Misure già previste in alcune regioni, quali quella di ridareimpulso alla verifica dello stato vaccinale prima dell’inserimento dei bambini nelle comunitàscolastiche e negli asili nido, possono contribuire a rinsaldare nelle famiglie la convinzionea vaccinare e a superare stati di esitazione e di dubbio affiorati da contatti diretti o viaWEB.

E’ inoltre strategico, per invertire i recenti trend di calo delle coperture vaccinali, avere unaadesione non superficiale ma convinta del personale sanitario e dei medici in particolarmodo. Tra costoro, infatti, l’adesione alle vaccinazioni è incostante e spesso non dichiarata.E’ indubbiamente un segnale negativo in vista di quell'ampliamento del consenso neiconfronti dei vaccini che dobbiamo raggiungere. Su questo fronte è necessario intervenirecon percorsi di formazione multidisciplinari integrati, mettendo insieme e accanto igienisti,medici di sanità pubblica, pediatri, medici del territorio perché condividano non solo ipresupposti teorici ma anche le modalità con cui effettuarle nelle varie età. Oggi il calendario vaccinale proposto è un calendario non più limitato ad alcune fasce d’età,ma è non a caso definito “Calendario per la vita”, proprio per sancire la necessità e l’utilitàdi mantenere elevati i tassi e le concentrazioni di anticorpi protettivi contro le malattieinfettive prevenibili in tutte le età della vita, compresi adulti e anziani, altra popolazionefragile ed esposta a complicanze gravi in caso di infezione naturale.

Sul fronte della comunicazione bisogna sicuramente potenziare gli interventi di“promozione dell’immagine” delle vaccinazioni. Bisogna avere come target tutta lapopolazione, compresi bambini e adolescenti, ed essere in grado di intercettare le opinioni,le percezioni e le conoscenze esistenti a vari livelli, contrastando comportamenti dettatida posizioni ideologiche o da scarsa conoscenza dei problemi legati alle malattie infettiveprevenibili. Evitare processi relazionali conflittuali e posizioni accusatorie o esclusivamentecolpevolizzanti può essere utile in vista di una relazione empatica e bidirezionale, in cuiun counselling individualizzato tra medici esperti e formati da una parte e genitori dubbiosidall’altra può essere sufficiente per ridare priorità alle posizioni basate sulla solidità del

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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razionale scientifico. E’ infatti la posizione del pediatra o del medico di famiglia il fattoreche più di altri è in grado di influenzare le posizioni dei genitori, come risulta da indaginieffettuate in questi anni su varie popolazioni, anche italiane.

Non sempre è facile raggiungere in modo singolo e individualizzato tutte le famiglie. Eccoperché è necessario investire sulle risorse messe a disposizione dal WEB. I portali dedicatiai vaccini e alle vaccinazioni da siti istituzionali o accreditati sul piano scientifico, sonoormai insostituibili insieme ai social network per imbastire una relazione efficace a vastoraggio, non sostitutiva rispetto ai mezzi di comunicazione classici ma integrativa e dipotenziamento con il coinvolgimento di tutti gli stakeholder. Obiettivo importante ancheper rimuovere ed abbattere alcuni falsi miti e credenze diffuse che possono rivelarsideterminanti nella propagazione di posizioni contrarie alle vaccinazioni.

E’ importante puntare al raggiungimento di due obiettivi:

1. aumentare il livello di conoscenza e di informazione su malattie per cui oggi esistonoefficaci opportunità di prevenzione vaccinale. Alcune di esse sono state a torto considerateormai rare e scomparse. Al contrario gli agenti responsabili sono attivi e circolanti e a causadel calo delle coperture vaccinali al di sotto del livello di soglia universalmente consideratopari al 95% possono far riemergere le malattie infettive anche in modo eclatante edrammatico. E’ il caso del morbillo e della pertosse in Italia che sono riemersi in modoinatteso negli ultimi anni, con episodi che, purtroppo, hanno avuto anche una evoluzioneinfausta. Per quello che riguarda la pertosse i casi gravi si realizzano nei primi mesi di vita,quando il neonato o il piccolo lattante è scoperto dalla protezione anticorpale per i bassititoli materni che non vengono più rafforzati da contatti booster naturali o indotti dallaimmunizzazione attiva. E’ per questo che oggi si invoca da più parti l’esecuzione di unrichiamo vaccinale durante il secondo o terzo trimestre di gravidanza per garantire unrobusto incremento dei titoli anticorpali nel neonato in modo da renderli protettivi per tuttoil primo trimestre dopo la nascita, sino all’avvio della vaccinazione prevista dal calendario.Oltretutto, spesso il personale medico non ha più la consuetudine con il sospetto clinico dimalattie non più diffuse e considerate malattie del passato o ancora peggio “storiche”.Anche nel caso delle malattie infettive da batteri capsulati, pneumococciche emeningococciche, spesso si considera la vaccinazione non strettamente necessaria vistele opportunità di antibioticoterapia esistenti per queste infezioni. In realtà, come ormaisappiamo, la rapida evolutività dei quadri clinici e il notevole pleiomorfismo dei segni clinici,in particolar modo di quelli con interessamento neurologico e del SNC, rendono lavaccinazione l’unica strategia di intervento efficace.

2. diffondere i dati e i risultati degli studi e delle pubblicazioni scientifiche tra il personalesanitario e alla popolazione, in modo da documentare e condividere gli effetti benefici realie non sostituibili dovuti ai vaccini, in un contesto di chiarezza di ruoli e responsabilità traindustria, mondo scientifico e istituzioni. La ricerca finanziata dall’industria è una realtàsolida in questo campo, che va considerata comunque un valore perché gli investimenti

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

pubblici e le risorse finalizzate a questo scopo dallo stato sono inadeguate e insufficientiper portare avanti studi orientati a valutare l’impatto delle nuove tecnologie e di nuovifarmaci e vaccini nell’aumentare i livelli di protezione della popolazione. Affermazioni diinteressi economici condivisi tra industria e partnership scientifica sono spesso il frutto diposizioni ideologiche preconcette contro le vaccinazioni e vengono messe in campo ediffuse senza alcun elemento concreto a suffragio ma solo per scoraggiare la popolazionenei confronti delle pratiche vaccinali.

Iniziative di comunicazione in favore delle vaccinazioni devono essere programmate anchedirettamente nei confronti dei bambini e degli adolescenti. La scuola può diventare, inquesto senso, una palestra di educazione preziosa a breve e a lungo termine. La culturache si acquisisce a livello scolastico spesso innesca una sorta di imprinting anche per lasolidarietà di gruppo che può derivarne a questa età. Inoltre, può esservi un utile reboundanche a livello familiare in quanto attraverso bambini e adolescenti si possono recuperareposizioni utili per far riprendere il giusto posto delle vaccinazioni in ambito di prevenzioneanche nei loro genitori. Naturalmente non devono essere interventi “spot”, occasionali edepisodici ma coordinati e programmati nel tempo secondo un progetto e una impostazionelongitudinale.

Allo stesso modo vanno portati avanti gli interventi educazionali di formazione delpersonale sanitario, in modo strutturato e orientato al raggiungimento dei vari obiettivi postie riassunti in queste pagine. Sono gli obiettivi di questa monografia che mette a fuocoattualità e prospettive in tema di tre malattie infettive prevenibili in modo efficace con levaccinazioni su cui è importante raggiungere posizioni convergenti: le infezionipneumococciche, le infezioni meningococciche e le infezioni da Hemophilus Influentiae.

Giovanni CorselloPresidente SIP

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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La malattia pneumococcica e il vaccino pneumococcico

coniugato in pediatria

Luisa Galliab, Carlotta MontagnanibaDipartimento di Scienze della Salute, Università di FirenzebUnità di Malattie Infettive Pediatriche, Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze

Lo Streptococcus pneumoniae, o pneumococco, rappresenta una delle principali cause di infezione delle

vie respiratorie e di infezioni invasive in tutto il mondo. Nonostante la diffusione della vaccinazione anti-

pneumococcica, resta una delle principali cause di mortalità nei bambini sotto i 5 anni (Centers for Disease

Control and Prevention (CDC), 2015).

Streptococcus pneumoniae: caratteristiche microbiologiche e patogenesi

S. pneumoniae è un batterio capsulato Gram-positivo a forma lanceolata, catalasi-negativo, anaerobio

facoltativo. Generalmente viene osservato nei terreni di coltura come diplococco, anche se talvolta può

essere disposto singolarmente o in brevi catene (Ampofo et al, 2012).

La sua superficie è rivestita dalla membrana plasmatica, dalla parete batterica, composta prevalentemente

da peptidoglicano, e dalla capsula polisaccaridica. Quest’ultima rappresenta il suo principale fattore di

virulenza e patogenicità, grazie all’attività antifagocitica. In base alle diversità della capsula, sono stati

descritti oltre 90 sierotipi di S. pneumoniae, ciascuno dei quali possiede una propensione a determinare

colonizzazione, otiti, meningiti o polmoniti. I diversi sierotipi possono essere identificati attraverso la

reazione con antisieri oppure con metodiche molecolari. Sono noti due sistemi di classificazione, quello

americano e quello danese, che raggruppa i sierotipi in 45 sierogruppi in base a similitudini antigeniche.

Può esistere una protezione crociata degli anticorpi all’interno dello stesso sierogruppo, ma non tra

sierogruppi diversi. La maggior parte delle infezioni sono determinate da un numero limitato di sierotipi,

soprattutto per quanto riguarda le forme invasive. In epoca pre-vaccinale si riscontravano nelle infezioni

invasive principalmente i sierotipi 14, 6B, 19F, 18C, 23F, 4 e 9V. I sierotipi 16, 35B e 21 sembrano esclusivi

dei portatori, il sierotipo 1 è frequente nelle forme polmonari invasive associate a batteriemia, il sierotipo 3

si riscontra prevalentemente in corso di otiti medie acute (European Centre for Disease Prevention and

Control (ECDC), 2014; CDC, 2015). Con la diffusione del vaccino polisaccaridico coniugato, inizialmente

eptavalente ed attualmente tredicivalente, l’epidemiologia delle infezioni pneumococciche invasive è

progressivamente cambiata con la diffusione di ceppi precedentemente più rari. Nel 2015 in Italia sono

stati isolati in corso di infezione pneumococcica invasiva 51 diversi sierotipi: quasi il 40% delle infezioni è

stata causata dai sierotipi 3, 8 e 12F (Istituto Superiore di Sanità, 2015; Resti et al, 2010).

La diminuita suscettibilità dello S. pneumoniae agli antibiotici utilizzati in prima linea per la terapia,

soprattutto alla penicillina, è un importante e crescente problema in tutto il mondo. In Italia S. pneumoniaeè resistente alla penicillina nel 3.8% dei casi di infezioni invasive e presenta una sensibilità intermedia

nell’11% dei casi; per quanto riguarda i macrolidi, circa il 30% degli isolati presenta una sensibilità ridotta

(Istituto Superiore di Sanità, 2015).

Dal punto di vista patogenetico, S. pneumoniae può determinare un’infezione dell’orecchio medio, dei seni

paranasali e del polmone per diffusione dal nasofaringe. Può successivamente superare la mucosa dei

bronchi e del polmone, favorito dalla mancanza di una risposta umorale specifica o da un temporaneo

difetto delle difese aspecifiche delle vie respiratorie (riflesso della tosse e trasporto ciliare), determinando

un danno endoteliale e la successiva invasione nel torrente ematico. Le infezioni virali rappresentano un

fattore favorente di questo processo. S. pneumoniae può quindi raggiungere per via ematogena altri organi

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

tra cui le meningi. Una volta penetrato nel circolo ematico, la capsula polisaccaridica difende il

microrganismo dalla fagocitosi e dall’attivazione del complemento (Feldman et al, 2014).

Carriage e trasmissione

S. pneumoniae colonizza una percentuale elevata di soggetti sani a livello delle vie aeree superiori, in

particolare del faringe. Lo stato di portatore naso-faringeo è più comune tra i bambini sotto ai 3 anni di età

che frequentano l’asilo nido, con frequenze che arrivano al 65%. La durata della colonizzazione è variabile

e correla con il sierotipo e l’età. La durata media della colonizzazione è di 2-4 mesi. I fattori di rischio per

la colonizzazione sono rappresentati dall’età inferiore ai 2 anni, dalla frequenza all’asilo, dalla stagione

invernale e dal tabagismo dei genitori (Ampofo et al, 2012).

La trasmissione dello S. pneumoniae avviene prevalentemente da persona a persona attraverso dropletsoppure, più raramente, attraverso il contatto con oggetti contaminati dalle secrezioni delle vie aeree di

soggetti infetti o colonizzati. Più raramente avviene una traslocazione del batterio nel circolo ematico dei

soggetti colonizzati a livello nasofaringeo. I casi di infezione sono sporadici e sono state descritte solo

raramente piccole epidemie in ambienti chiusi, come le caserme o gli asili nido (Alonso DeVelasco, 1995).

Le infezioni pneumococciche sono più frequenti durante l’inverno e l’inizio della primavera, essendo favorite

dalle infezioni virali delle alte vie aeree.

Meccanismi di difesa all’infezione naturale, fattori di virulenza, e fattori di rischio per malattia

pneumococcica

Il principale meccanismo immunitario messo in atto contro l’infezione pneumococcica è rappresentato dal

riconoscimento di S. pneumoniae da parte dei macrofagi e dall’opsonizzazione del batterio da parte di

leucociti neutrofili e macrofagi con il concorso delle frazioni precoci del complemento e degli anticorpi

specifici contro pneumococco. L’importante ruolo di questi meccanismi è documentato dall’aumentato

rischio di malattia pneumococcica in soggetti con ipogammaglobulinemia, immunodeficienze a carico dei

granulociti neutrofili o del complemento o disfunzione splenica (Kayhty, et al, 2009). Lo S. pneumoniaemette in atto numerosi fattori di virulenza per contrastare l’opsonizzazione da parte delle cellule

dell’immunità innata.

Il principale fattore di virulenza di S. pneumoniae è rappresentato dalla sua capsula. Le differenze nella

struttura polisaccaridica sono responsabili della diversa capacità di determinare malattie invasive tra i

diversi sierotipi. La capsula è responsabile della resistenza alla fagocitosi ed inibisce la via alternativa del

complemento. Alcuni sierotipi generano inoltre una scarsa risposta anticorpale.

Il ruolo dell’immunità umorale indotta dallo stato di portatore nasofaringeo o dalla malattia pneumococcica

non è tuttora ben chiaro: si ritiene che anticorpi specifici contro gli antigeni capsulari della classe IgA,

prodotti a livello mucosale, o della classe IgG (sieriche) possano interagire con i legami alle cellule epiteliali

ed interferire con l’invasività dello pneumococco. Si ritiene anche che l’età abbia un ruolo fondamentale

nella risposta umorale verso gli antigeni capsulari pneumococcici, prevalentemente della classe IgG2

nell’adulto e nel bambino più grande, della classe IgG1 nei primi anni di vita. Il maggior rischio della malattia

pneumococcica invasiva si verifica infatti nelle prime età della vita. Analogamente aumenta il rischio di

malattia nell’età avanzata, parallelamente alla senescenza dell’immunità innata e adattiva e il declino dei

titoli anticorpali verso gli antigeni capsulari pneumococcici.

Un altro importante fattore di virulenza è rappresentato dalla pneumolisina, una proteina intracellulare che

possiede un effetto citolitico e citotossico stimolando la produzione di varie citochine tra cui interleuchina

1 (IL-1) e tumor necrosis factor-α (TNF-α) e attivando la via classica del complemento. Numerose altre

proteine prodotte dallo S. pneumoniae sono coinvolte nell’adesione alle cellule epiteliali ed endoteliali e

inibiscono l’attivazione del complemento.

I componenti della parete batterica sono in grado di generare una marcata risposta infiammatoria attraverso

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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l’attivazione della via alternativa del complemento e la stimolazione della produzione IL-1 (Alonso

DeVelasco, 1995).

I fattori di rischio per lo sviluppo di infezioni invasive da S. pneumoniae sono l’età inferiore ai 4 anni o l’età

avanzata, le immunodeficienze congenite (difetti dei linfociti T e B, del complemento e dei fagociti) o

acquisite, comprese l’infezione da HIV e le terapia immunosoppressive, l’asplenia funzionale o anatomica,

la sindrome nefrosica o l’insufficienza renale cronica, le malattie cardiache e polmonari croniche, l’anemia

falciforme od altre emoglobinopatie. Fattori di rischio aggiuntivi per la meningite da pneumococco sono

rappresentati da fratture craniche, procedure neurochirurgiche, perdite liquorali ed impianto cocleare

(Ampofo et al, 2012).

Epidemiologia della malattia pneumococcica

S. pneumoniae è responsabile di numerose infezioni nel bambino e negli anziani. Si stima che ogni anno

muoiano nel mondo 1,6 milioni di persone a causa dello S. pneumoniae, di cui un milione di bambini di età

inferiore ai 5 anni (CDC, 2015).

S. pneumoniae è il più frequente responsabile dell’otite media acuta in età pediatrica ed è la prima causa

di meningite e polmonite batterica contratta in comunità. Nei lattanti la meningite è la manifestazione più

frequente di infezione invasiva da pneumococco mentre le altre fasce di età sono più colpite da batteriemie

e polmoniti. Si stima che S. pneumoniae sia l’agente eziologico responsabile del 30-50% delle polmoniti

che necessitano di ospedalizzazione (Ampofo et al, 2012).

Nel 2012 in Europa sono stati notificati 20.780 casi di malattia invasiva pneumococcica. L’incidenza europea

delle malattie invasive da S. pneumoniae è invece di 4,28 casi/100.000 abitanti (ECDC, 2014). Per quanto

riguarda l’Italia, il Sistema di Sorveglianza delle Malattie batteriche Invasive ha raccolto nel 2014 952 casi

di infezione invasiva da S. pneumoniae, con una incidenza di 1,57 casi/100.000 abitanti, se calcolata su

tutta l’Italia, e 3,21/100.000 se calcolata sulle 7 regioni con maggiore attitudine alla notifica. Le incidenze

più alte sono riportate sotto l’anno di età (5,86 casi/100.000) e sopra i 64 anni (8,31/100.000). La

sepsi/batteriemia è stata il quadro clinico più frequentemente riportato (Istituto Superiore di Sanità, 2015).

La letalità delle infezioni invasive da S. pneumoniae può raggiungere il 20% ed è maggiore nei soggetti

più anziani e in chi presenta comorbilità. La letalità per meningite pneumococcica resta tutt’oggi molto

elevata, con tassi complessivi del 12% che si riducono a circa il 2% nei bambini sotto i due anni e

raggiungono il 40% nell’anziano. Il 40% dei sopravvissuti alla meningite presenta sequele (Ampofo et al,

2012).

Manifestazioni cliniche

Le manifestazioni cliniche più frequenti dello pneumococco sono l’otite media, la polmonite e la batteriemia,

più raramente meningiti.

In assenza di campagne vaccinali specifiche, S. pneumoniae causa circa un terzo di tutte le otiti medie

acute (38%), seguito dall’Haemophilus influenzae e dalla Moraxella catarrhalis. E’ inoltre responsabile del

30-40% dei casi di sinusite. Le complicanze dell’otite media sono rappresentate dalla mastoidite e,

raramente, dalla meningite.

S. pneumoniae rappresenta l’agente eziologico più frequente di polmonite batterica tra i 3 mesi e i 5 anni

di vita, ed ancora oggi è la maggior causa di mortalità per causa respiratoria in età pediatrica in tutto il

mondo, indipendentemente dal gruppo etnico e dal livello socio-economico. La polmonite pneumococcica

si manifesta il più delle volte come complicanza di infezioni virali delle prime vie respiratorie, allorché si ha

un incremento delle secrezioni mucose nel naso e nel faringe, con conseguente maggiore probabilità di

inspirazione degli pneumococchi. Dopo un periodo di incubazione di 1-3 giorni, la polmonite si presenta

con il quadro clinico e radiologico tipico della polmonite batterica lobare. Talvolta la polmonite

pneumococcica può essere associata a pleurite ed empiema pleurico (lo pneumococco è responsabile di

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circa il 15% di tutte le forme di empiema pleurico). Più raramente può essere coinvolto anche il pericardio.

Talvolta, in seguito a una polmonite, si può verificare il passaggio di pneumococchi nel circolo sanguigno,

con conseguente comparsa di batteriemia e possibilità di impianto dei microrganismi sulle valvole

cardiache, nelle meningi, nelle articolazioni o nel peritoneo.

In seguito all’introduzione del vaccino anti-Haemophilus influenzae di tipo B, lo pneumococco è diventato

la seconda causa di meningite batterica nella prima infanzia, dopo la Neisseria meningitidis. Le

manifestazioni cliniche sono indistinguibili dalle altre forme di meningite batterica, ma la forma da

pneumococco è gravata in maggior misura da complicanze, tra cui shock ed insufficienza respiratoria. La

meningite da pneumococco determina esiti neurologici in circa il 50% dei casi: ipoacusia, convulsioni ed

alterazioni motorie o comportamentali.

La batteriemia può presentarsi senza altra localizzazione o associata a polmoniti o meningiti. La batteriemia

senza altra localizzazione è la manifestazione invasiva più frequente nei bambini sotto i 2 anni di età (circa

70% dei casi). Sono stimati circa 12.000 casi all’anno di batteriemia da pneumococco in assenza di

polmonite. La letalità a seguito di batteriemia è di circa il 20%. I pazienti con asplenia anatomica o

funzionale hanno più frequentemente un decorso fulminante.

Altri quadri clinici più rari associati all’infezione da pneumococco sono: l’artrite purulenta acuta,

l’osteomielite, la congiuntivite e la cellulite orbitaria. L’artrite purulenta acuta può verificarsi in seguito ad

una batteriemia e nell’80% circa dei casi viene interessata una sola articolazione (CDC, 2015; Ampofo et

al, 2012).

Diagnosi di malattia pneumococcica

La diagnosi di infezione pneumococcica si basa sull’esame batterioscopico e colturale di campioni

provenienti da siti sterili, sulle indagini di biologia molecolare e sulla ricerca di antigeni solubili.

In commercio esistono numerosi kit che consentono la ricerca dell’antigene solubile su tutti i liquidi biologici.

La risposta al test è rapida. La sensibilità è compresa tra l’86% ed il 97% a seconda del campione utilizzato,

la specificità è superiore al 95%. Questa metodica tuttavia non permette la sierotipizzazione e

l’identificazione della sensibilità agli antibiotici e presenta un elevato tasso di positività anche nei portatori

di S. pneumoniae. Considerando che più della metà dei bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 4 anni è

colonizzato a livello faringeo, la ricerca dell’antigene urinario ha scarso significato clinico in questa fascia

di età.

L’esame microscopico e la colorazione di Gram permettono l’identificazione diretta dei diplococchi

lanceolati Gram-positivi su diversi materiali biologici (sangue, liquor, liquido pleurico, osso, pus, liquido

sinoviale). Il campione deve essere prelevato prima di iniziare la terapia antibiotica. L’esame colturale

permette successivamente la corretta identificazione del microrganismo e lo studio della suscettibilità agli

antibiotici. Il campione deve essere inoculato nel terreno di coltura immediatamente, altrimenti deve essere

conservato a 4°C. L’emocoltura risulta positiva dopo almeno 18 ore di incubazione. I metodi colturali hanno

però alcuni limiti: necessitano di tempi mediamente lunghi e possono risultare falsamente negativi in caso

di un volume di liquido biologico troppo piccolo, conservazione inadeguata ed eventuale precedente terapia

antibiotica.

Negli ultimi anni si sono pertanto diffuse le metodiche molecolari che possono essere applicate direttamente

sul campione biologico e non richiedono la vitalità del germe. La Real-time Polymerase Chain Reaction(RT-PCR) è basata sull’amplificazione di una regione selezionata del genoma e, rispetto alla metodica

standard di amplificazione, consente una valutazione quantitativa e possiede un’elevata sensibilità,

permettendo la rilevazione di meno di 5 copie di una sequenza nucleotidica. La RT-PCR è risultata

significativamente più sensibile dei metodi colturali nell’identificazione delle batteriemie da pneumococco.

Le metodiche molecolari hanno anche soppiantato i metodi sierologici nell’individuazione dei sierotipi (CDC,

2015; Ampofo et al, 2012; Resti et al, 2010).

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Trattamento della malattia pneumococcica

La terapia di prima linea delle infezioni pneumococciche, ad eccezione della meningite, è rappresentata

dalla penicillina endovena o dall’amoxicillina per os.

Le linee guida della Pediatric Infectious Diseases Society of America raccomandano di utilizzare la

penicillina nelle infezioni polmonari se la MIC alla penicillina è < 2 (vedi tabella 1). Il trattamento iniziale dei

bambini con allergia ai β-lattamici deve comprendere anche la clindamicina o la vancomicina. In caso di

meningite, in considerazione dell’elevato rischio di complicanze, è invece opportuno iniziare la terapia con

vancomicina e cefalosporina di III generazione, in attesa dell’antibiogramma (vedi tabella 2). Nel caso in

cui il germe sia sensibile, deve essere interrotta la somministrazione di vancomincina, proseguendo con

penicillina o cefotaxima o ceftriaxone. Deve essere anche preso in considerazione l’uso del desametasone

per i bambini oltre le 6 settimane di età. Il desametasone deve essere somministrato prima o

contemporaneamente alla prima dose di agente antimicrobico (Bradley et al, 2011; Tunkel et al, 2004,

Visintin et al, 2010).

Non sono indicati l’isolamento e la profilassi dei contatti.

Tabella 1: Terapia delle infezioni pneumococciche non meningee (adattato da Bradley et al 2011, secondo i criteri di

antibioticosuscettibilità EUCAST)

Terapia di prima linea Alternativa

Streptococcus pneumoniaecon penicillina MIC < 2

Penicillina 200-250.000 UI/kg/die in 4-6 dosi

Ampicillina 150-200 mg/kg/die in 4 dosi

Alternativa: ceftriaxone 50-100 mg/kg/die in 1-

2 dosi

Amoxicillina 90 mg/kg/die in 2 dosi oppure 45

mg/kg/die in 3 dosi

Alternativa: cefalosporine orali di secondo o

terza generazione

Streptococcus pneumoniaecon penicillina MIC > 2

Ceftriaxone 100 mg/kg/die in 1-2 dosi

Alternativa: ampicillina 300-400 mg/kg/die in 4

dosi

Linezolid 30 mg/kg in 3 dosi < 12 aa, in 2 dosi

> 12 aa

Clindamicina 40 mg/kg/die in 3-4 dosi

Vancomicina 40-60 mg/kg/die in 3-4 dosi

Linezolid 30 mg/kg/die in 3 dosi < 12 anni, 20

mg/kg/die in 2 dosi > 12 anni

Alternative: Clindamicina 30–40 mg/kg/die in 3

dosi

Levofloxacina 16–20 mg/kg/die in 2 dosi (6

mesi-5 aa), 8–10 mg/kg/die una vv/die > 5 aa

Tabella 2: Terapia della meningite da pneumococco (adattato da Tunkel et al 2004, secondo i criteri di antibioticosuscettibilità

EUCAST)

Terapia di prima linea Alternativa

Meningite da Streptococcuspneumoniae in attesa di

antibiogramma

Vancomicina 60 mg/kg/die in 4 dosi +

ceftriaxone 80-100 mg/kg/die in 1-2 dosi o

cefotaxime 225-300 mg/kg/die in 3-4 dosi

Meropenem 120 mg/kg/die in 3 dosi

Meningite da StreptococcuspneumoniaePenicillina MIC <0,06

Penicillina G 300000 UI/kg/die in 4-6 dosi

Ampicillina 300 mg/kg/die in 4 dosi

ceftriaxone 80-100 mg/kg/die in 1-2 dosi

cefotaxime 225-300 mg/kg/die in 3-4 dosi

Meningite da StreptococcuspneumoniaePenicillina MIC 0,06-1

ceftriaxone 80-100 mg/kg/die in 1-2 dosi

cefotaxime 225-300 mg/kg/die in 3-4 dosi

Meropenem 120 mg/kg/die in 3 dosi

Meningite da StreptococcuspneumoniaePenicillina MIC >1

Vancomicina 60 mg/kg/die in 4 dosi +

ceftriaxone 80-100 mg/kg/die in 1-2 dosi o

cefotaxime 225-300 mg/kg/die in 3-4 dosi#

# In caso di ceftriaxone MIC > 2 aggiungere rifampicina 10-20 mg/kg in 1-2 dosi

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La prevenzione della Malattia Pneumococcica

I vaccini. Basi immunologiche

I primi vaccini messi a punto contro lo pneumococco contenevano come antigeni i polisaccaridi capsulari

purificati. Gli antigeni polisaccaridici si legano ad un recettore per le IgM sulla superficie dei linfociti B, i

quali sono direttamente attivati a produrre anticorpi IgM.

Tale vaccino induce la produzione di anticorpi specifici in più dell’80% di adulti sani, ma, in quanto i

polisaccaridi si comportano come antigeni T-indipendenti, inducono una scarsa produzione anticorpale nei

bambini di età < 2 anni, a causa del fisiologico difetto di IgG2 in questa fascia di età. Inoltre non inducono

memoria immunologica (WHO, 2010; Galli et al. 2013). Allo scopo di indurre una immunità protettiva nei

bambini < 2 anni, i polisaccaridi dello pneumococco sono stati coniugati con una proteina del tossoide

difterico non-tossica [cross-reactive material 197 o CRM197].

Il complesso polisaccaride-proteina di coniugazione viene captato dalle cellule presentanti l’antigene alle

cellule Th2 e ai linfociti B, che esprimono il peptide sulla loro superficie in associazione con il complesso

maggiore di istocompatibilità di classe II (MHCII). Tale complesso è riconosciuto dalle cellule Th2 attivate,

che producono IL-4, IL-5 e IL-6 inducendo la differenziazione dei linfociti B in plasmacellule, che

produrranno IgG e IgA specifiche contro i polisaccaridi capsulari dello pneumococco, ed in linfociti B della

memoria (WHO, 2010).

Surrogati ed indici di protezione

Immunogenicità. Poiché la protezione dallo pneumococco è prevalentemente deputata all’opsonizzazione

ad opera degli anticorpi e di alcune frazioni del complemento, la valutazione dell’acquisita immunità nei

confronti dello pneumococco si valuta sulla presenza quantitativa e funzionale degli anticorpi specifici

prodotti dopo infezione naturale o vaccinazione. Attualmente l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

raccomanda l’utilizzo della metodica immunoenzimatica (EIA) per la quantificazione degli anticorpi specifici

verso gli antigeni capsulari. E’ ritenuta protettiva una concentrazione di IgG > 0,35 μg/ml un mese dopo la

vaccinazione WHO, 2010). Numerosi studi hanno documentato l’immunogenicità nei confronti dei sierotipi

vaccinali dei vaccini coniugati PCV7, PCV10 e PCV13 nei bambini nei primi 2 anni di vita (Rennels et al.

1998; O’Brien KL et al. 2007). Tale metodica rappresenta un buon indice di protezione nei bambini sani,

ma è una misura inadeguata come indice di protezione negli anziani ed anche nella popolazione pediatrica

immunocompromessa o con altre condizioni patologiche. In tali casi è raccomandata la dimostrazione della

funzionalità anticorpale mediante saggi di opsonofagocitosi (opsonophagocytosis assay o OPA) (WHO,

2010). Altre metodiche più raramente utilizzate sono la misurazione dell’avidità degli anticorpi e la

valutazione della memoria immunologica, caratterizzata da un’elevata risposta specifica, prevalentemente

IgG, in risposta ad un booster antigenico.

Ulteriori indici di protezione sono rappresentati dalla durata di un titolo anticorpale protettivo e da

un’adeguata risposta anticorpale nelle popolazioni a rischio.

Negli adulti responsivi al vaccino polisaccaridico si documenta un declino del titolo anticorpale dopo 5 anni.

Studi sul PCV7 in Sud Africa documentano, invece, la persistenza del titolo protettivo ad oltre 6 anni in

bambini sani, ma non in bambini con infezione da HIV, nei quali i titoli protettivi declinavano dal 65% al

38% a 6 anni dalla vaccinazione con PCV7 (Madhi et al. 2006).

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Altri indici di protezione: efficacy e effectivenessL’efficacia di un vaccino deve essere dimostrata da studi randomizzati, controllati e in doppio cieco che

rappresentino la protezione che il vaccino offre “nelle condizioni ideali”. Tali studi sono comunemente

richiesti per l’approvazione di un vaccino da parte degli enti regolatori (es. Food and Drug Administration,

European Medicine Agency). I risultati degli studi devono esprimere la riduzione proporzionale del tasso di

attacco di una malattia nei soggetti vaccinati rispetto a quelli non vaccinati e sono espressi come

modificazione del rischio relativo di sviluppare la malattia nelle diverse coorti (vaccine efficacy).

Per vaccine effectiveness, come è noto, si intende invece l’efficacia sul campo di un vaccino, ovvero come

un vaccino nella vita reale riesce a ridurre la malattia nella popolazione. La effectiveness quindi dipende

dalla potenza del vaccino (efficacy), ma è anche influenzata fattori inerenti all’ospite e alle condizioni reali

(variazioni delle caratteristiche della popolazione, accesso alle strutture sanitarie, catena del freddo, costi

del vaccino, etc). Ed è di particolare interesse l'impatto che il vaccino può avere sul numero di

ospedalizzazioni, di visite ambulatoriali, di complicanze o di eventuali decessi (Weinberg, 2010).

Nel proseguio del presente testo si intenderà per efficacia la effectiveness, termine che non ha purtroppo

un esatto corrispettivo nella lingua italiana.

I vaccini per la prevenzione della Malattia Pneumococcica

Attualmente sono presenti due tipologie di vaccino pneumococcico: il vaccino polisaccaridico 23-valente

(PPSV) ed i vaccini pneumococcici coniugati (PCV).

Il PPSV è immunogeno per gli adulti ed i bambini più grandi (al di sopra dei due anni di età) ma non tutti i

sierotipi sono immunogeni nei bambini piccoli (WHO, 2009). Questo vaccino previene principalmente le

IPD negli adulti, ma non ha effetto sulla colonizzazione nasofaringea. I polisaccaridi puri (non coniugati)

sono antigeni linfocita T- indipendenti e di conseguenza non inducono memoria immunologica, una delle

pietre angolari della protezione a lungo termine della vaccinazione (WHO, 2009).

Le proprietà immunologiche del PPSV sono cambiate drammaticamente quando i polisaccaridi sono stati

coniugati alle proteine carrier (WHO, 2009).

Al gruppo di vaccini coniugati quindi appartengono:

- Il vaccino 7-valente (PCV7), autorizzato negli USA nel 2000, in cui i polisaccaridi dei sierotipi 4, 6B, 9V,

14, 18C, 19F e 23F sono coniugati con la proteina mutante non tossica della tossina difterica (CRM

197) (WHO, 2009).

- Il vaccino 10-valente (PCV10) in cui i polisaccaridi 1, 4, 5, 6B, 7F, 9V, 14, 23F sono coniugati con una

lipoproteina della superficie cellulare (proteina D) di H. influenzae non tipizzabile, il 18C è coniugato

con il tossoide tetanico e il 19F è coniugato al tossoide difterico (SMPC SynflorixR); tale vaccino è stato

autorizzato dall’European Medicine Agency (EMA) nel 2009. E’ indicato per l’immunizzazione attiva

contro la patologia invasiva, la polmonite e l’otite media acuta causata da Streptococcus pneumoniaein neonati e bambini da 6 settimane a 5 anni d’eta (SMPC SynflorixR).

- Il vaccino 13-valente (PCV13), diretto, oltre che contro i sierotipi del 7-valente, contro i sierotipi 1, 3, 5,

6A, 7F, e 19A (SMPC Prevenar 13®), approvato dall’EMA il 13 dicembre 2009 , che ha sostituito il PCV7

ed è attualmente impiegato nei calendari vaccinali pediatrici regionali; il vaccino PCV13, come riportato

nella scheda tecnica (RCP), è indicato per l’immunizzazione attiva per la prevenzione di patologia

invasiva, polmonite e otite media acuta (OMA), causate da Streptococcus pneumoniae in neonati,

bambini e adolescenti di età compresa tra 6 settimane e 17 anni nonché per l’immunizzazione attiva

per la prevenzione di patologia invasiva e di polmonite causata da Streptococcus pneumoniae in adulti

di età ≥ 18 anni e anziani.

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Il vaccino pneumococcico coniugato in Pediatria: dati di efficacia sul campo

Efficacia nei confronti della malattia pneumococcica invasiva

Il più forte indicatore dell’efficacia di un vaccino contro un agente patogeno capace di determinare una

malattia grave e invasiva è rappresentato dalla riduzione di incidenza delle forme invasive. Questo è un

indicatore forte ed affidabile in quanto la malattia invasiva è sicuramente ospedalizzata ed è, nella maggior

parte dei Paesi, soggetta a segnalazione all’Igiene Pubblica ed ai sistemi di sorveglianza nazionali, spesso

collegati a sistemi nazionali di sorveglianza di laboratorio.

Già l’introduzione del vaccino coniugato eptavalente a partire dal 2000-2007 nella maggior parte dei Paesi

con ricche risorse economiche (USA, Paesi dell’Europa occidentale) ha dimostrato un decremento

significativo dell’incidenza di malattie invasive da pneumococco (Invasive Pneumococcal Disease o IPD),

quali sepsi e meningiti, sia nella fascia di età sottoposta alla vaccinazione pneumococcica che nella

popolazione generale rispetto agli anni che precedevano l’introduzione del vaccino pneumococcico (pre-

PCV). Negli Stati Uniti, infatti, i dati dei Centers for Diseases Control and Prevention (CDC) documentano

una riduzione del tasso di IPD del 77% nel periodo PCV7 vs. pre-PCV, nei bambini di età < 5 anni (età

target della vaccinazione PCV7) e del 45% nella popolazione generale, verosimilmente per la minore

trasmissione dei sierotipi vaccinali anche ai soggetti appartenenti alle fasce di età non vaccinate (Pilishvili

et al. 2010). Analogamente, in Norvegia si rilevava una riduzione del tasso di incidenza di IPD del 77%

nella fascia di età < 5 anni (Vestreim et al. 2008) e del 71% nei bambini < 2 anni in Danimarca (Harboe et

al 2014). In Paesi, come la Francia o la Spagna dove inizialmente il PCV7 è stato raccomandato non

universalmente ai bambini di età < 5 anni, ma selettivamente a quelli con fattori di rischio per IPD,

l’incidenza di IPD, dopo un lieve decremento iniziale, è rimasto poi invariato (Lepoutre et al. 2015). In

molteplici Paesi (USA, Francia, Canada, Danimarca, Germania) si è verificata una marcata riduzione delle

IPD da sierotipi vaccinali, ma, dopo circa 2-3 anni dall’introduzione del PCV7, è stato rilevato un variabile

incremento delle IPD associate a sierotipi non-PCV7 (in particolare 1, 3, 19A e 7F) (Harboe et al 2014;

Richter et al. 2013; van der Linden et al. 2015; Pilishvili et al. 2010). Dopo lo switch da PCV7 a PCV13

(che include anche questi sierotipi) l’incidenza di IPD associata ai suddetti sierotipi pneumococcici è

diminuita significativamente in tutti i Paesi dove il PCV13 era stato introdotto (Richter et al. 2013; Demczuk

et al. 2013; van der Linden et al. 2015; Lepoutre et al. 2015; Moore et al. 2015).

L’introduzione del PCV13 in molti Paesi a partire dal 2010 ha infatti determinato ovunque una ulteriore

diminuzione dell’incidenza di IPD rispetto al periodo PCV7. Negli USA i CDC riportano che nei bambini in

età < 5 anni l’incidenza di IPD si è ridotta del 64% (95% IC: 59-68) rispetto all’incidenza attesa continuando

la vaccinazione con PCV7 e il decremento è stato particolarmente significativo: 93% (95% IC: 91-94) per

i sierotipi 7F e 19A (Moore et al. 2015). Ulteriori studi di popolazione hanno analogamente dimostrato un

decremento delle IPD in Francia (riduzione del 34% in bambini < 5 anni, 50% dai 5 ai 15 anni), Germania

e Danimarca (Lepoutre et al. 2015, Harboe et al 2014, van der Linden et al. 2015).

Nel Regno Unito, i dati del Public Health England sull’incidenza di IPD in Inghilterra e Galles confermano

l'ulteriore riduzione complessiva delle IPD nell’età pediatrica associata ai sierotipi PCV13/non PCV7 (76%

riduzione nei bambini < 2 anni e il 91% nei bambini di età 5-14 anni) a distanza di 4 anni dopo lo switch da

PCV7 a PCV13 (Waight et al, 2015). Gli stessi autori segnalano un incremento dei sierotipi non PCV13

nel 2014.

I CDC hanno stimato che nei primi 3 anni dall’introduzione del PCV13 sono stati evitati, solo negli USA,

30.000 casi di IPD e 3000 decessi (Moore et al, 2015).

Efficacia nei confronti della polmonite

Numerosi studi hanno riportato una diminuzione nell’incidenza di polmonite di comunità a seguito

dell’introduzione della vaccinazione pneumococcica. Purtuttavia il confronto tra gli studi e l’impatto a livello

dei singoli Stati è più difficile rispetto alla malattia invasiva, in primo luogo per la difficoltà di porre diagnosi

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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di etiologia pneumococcica nel bambino con polmonite, in secondo luogo per la diversa definizione

dell’endpoint nei diversi studi. Alcuni hanno infatti valutato l’incidenza di ospedalizzazione per polmonite,

altri sono basati sulla definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di polmonite definita come

addensamento alveolare radiologicamente confermato, ed in tal caso concernono bambini ospedalizzati o

valutati ambulatorialmente.

Negli Stati Uniti l’introduzione del PCV7 ha determinato una riduzione del 40% delle ospedalizzazioni per

polmonite da qualunque causa in bambini di età < 2 anni sia a breve dall’introduzione del vaccino che a

distanza di 10 anni (Grijalva et al. 2007; Griffin et al. 2013). Analogamente in Svezia, nella stessa fascia di

età, le ospedalizzazioni per polmonite da qualunque causa si sono ridotte del 23% e poi di un addizionale

21% dopo rispettivamente l’introduzione del PCV7 e del PCV13 (Berglund et al. 2014). L’incidenza stimata

di polmonite alveolare (secondo definizione OMS) si è, inoltre, ridotta in Israele del 13 % in epoca post-

PCV7 e del 47% in epoca post-PCV13 con un più forte impatto di riduzione nei bambini ambulatoriali (-47%)

rispetto a quelli ospedalizzati (-13%). In Francia i dati provenienti da uno studio multicentrico su 8

dipartimenti di emergenza pediatrici hanno analogamente rilevato in epoca PCV13 una significativa

riduzione di polmonite radiologicamente confermata del 16%, ed in particolare una riduzione del 53% dei

casi di effusione pleurica (Angoulvant et al. 2014). L’incidenza di empiema pleurico era, infatti, in molti

Paesi aumentata dopo l’introduzione del PCV7, verosimilmente per molteplici fattori, inclusa l’associazione

con alcuni sierotipi di pneumococco, in particolare il 19A, caratterizzato peraltro anche da antibiotico-

resistenza. In Scozia l’incidenza di empiema pleurico in età pediatrica si è infatti incrementata fino a 2.0 (

95% IC: 1.4-2.8)/100.000 nel periodo 2006-2009, coincidente con l’introduzione del PCV7, per poi ridursi

a 0.78 ( 95% IC: 1.4-2.8)/100.000 nel periodo PCV13 (Nath et al. 2015), considerando la presenza del 19A

tra i sierotipi vaccinali inclusi nel vaccino tredici-valente e la conseguente ridotta circolazione di questo

sierotipo.

Efficacia nei confronti dell’otite media

Numerosi studi hanno valutato l’efficacia dei vaccini pneumococcici coniugati sull’insorgenza di otite media

acuta (OMA). Sono studi alquanto eterogenei in quanto differenti outcome sono stati presi in

considerazione: in alcuni l’incidenza di ospedalizzazione per otite media e complicanze (quali la mastoidite),

in altri l’incidenza di otite ricorrente o la proporzione di bambini sottoposti a miringotomia. Il tentativo di

trarre conclusioni univoche da questi studi in una Cochrane del 2014, alla luce delle pubblicazioni dal 1995

al 2014 (Fortanier et al. 2014) ha portato gli autori a concludere sulla presenza di modesti benefici del

PCV7 sull’otite media in bambini sani, rimandando ai risultati di larghi studi di popolazione con il PCV13

in corso al momento della pubblicazione della Cochrane.

Nel 2014 sono stati, infatti, pubblicati i risultati di uno studio condotto negli USA che ha valutato le visite

per OMA dai database delle assicurazioni in un periodo di 11 anni (dal 2004 al 2011). Su un denominatore

di oltre 7 milioni di bambini (circa 750.000/anno) gli autori hanno dimostrato una riduzione significativa delle

visite per OMA (e complicanze) negli anni 2010-11, coincidenti con l’introduzione del vaccino PCV13, in

particolare in bambini di età < 2 anni (Marom et al. 2014). Analogamente nel 2014 sono stati pubblicati i

risultati di uno studio prospettico di sorveglianza attiva è stato condotto in Israele in un periodo di 9 anni

(dal 2004 al 2013) sulla comparsa di OMA in bambini < 2 anni, nei quali la diagnosi era documentata

dall’esame colturale sul fluido ottenuto da timpanocentesi. Si è rilevato un declino del 78% dal 2004 (periodo

pre-PCV7) al 2013 (dopo l’introduzione di PCV13) dell’incidenza complessiva di OMA, in gran parte a

carico dei sierotipi vaccinali (Ben Shimol et al, 2014).

Infine, uno studio retrospettivo di coorte effettuato nel Regno Unito sui dati dei database elettronici dedicati

alle cure primarie ha osservato una riduzione dei casi di OMA del 22% associata all’introduzione del PCV7

e di un ulteriore 19% associata all’introduzione del PCV13 in tutte le fasce di età nei bambini di età < 10

anni (Lau et al, 2015). Tale decremento si associava ad una significativa diminuzione della prescrizione di

antibiotici in questa fascia di età.

16

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

Efficacia nei confronti dello stato di portatore nasofaringeo

Uno degli aspetti maggiormente oggetto di studio e con risultati di non univoca interpretazione è l’impatto

delle vaccinazioni con PCV e lo stato di portatore nasofaringeo di pneumococchi. I vaccini pneumococcici

coniugati inducono infatti una risposta immunitaria anche a livello mucosale, a seguito della quale ci si

attenderebbe una diminuzione della colonizzazione rinofaringea (Millar et al. 2007). Questo aspetto è di

fondamentale importanza, in parte perché la colonizzazione rinofaringea precede l’invasività dello

pneumococco nel soggetto colonizzato, ma anche per valutazioni di sanità pubblica per il ruolo dei portatori

nella circolazione degli pneumococchi tra i bambini e gli adulti, in particolare non vaccinati. I più recenti

studi documentano un ruolo protettivo dei vaccini PCV, in particolare del PCV13, sulla colonizzazione da

parte dei sierotipi vaccinali (Dagan et al, 2013; Cohen et al. 2012;Lee et al. 2014; Zuccotti et al. 2014).

Pressochè tutti gli studi citati rilevano peraltro che il PCV13 non modifica la complessiva colonizzazione

nasofaringea da pneumococchi (Dagan et al, 2013; Cohen et al. 2012;Lee et al. 2014; Pasinato et al. 2014;

Zuccotti et al. 2014) e che parallelamente alla riduzione della colonizzazione da sierotipi contenuti nel

PCV13, sembrano aumentare i sierotipi non-PCV13. E’ pertanto necessario un continuo monitoraggio

sull’emergenza di nuovi sierotipi prevalenti, che potrebbero dover essere oggetto di future strategie

vaccinali.

Una recentissima metanalisi di studi randomizzati controllati rileva inoltre come il vaccino pneumococcico

coniugato abbia un impatto relativo sullo stato di portatore di sierotipi vaccinali prima della somministrazione

della terza dose (Nicholls et al. 2016). Questo rinforza la necessità di seguire scupolosamente i tempi di

somministrazione delle 3 dosi del vaccino (v. calendario vaccinale) da completare entro il primo anno di

vita, ricordando che la maggiore incidenza della malattia pneumococcica si verifica nei primi 2 anni di vita.

Raccomandazioni sull’uso dei vaccini antipneumococcici

Stati UnitiCome già ricordato, l’impiego routinario dei vaccini pneumococcici coniugati (PCV7 e PCV13), iniziato nel

2000, ha comportato una drammatica riduzione di incidenza della Malattia Pneumococcica Invasiva

(Invasive Pneumococcal Disease , IPD) attribuibile ai sierotipi dello Streptococcus pneumoniae contenuti

nei vaccini (Pilishvili et al. 2010).

Con l’avvento del vaccino PCV13, l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) ha definito nel

2010 le seguenti raccomandazioni per l’immunizzazione pediatrica:

- per l’immunizzazione routinaria dei nuovi nati, PCV13 viene raccomandato come serie a 4 dosi (3 serie

primaria + 1 dose booster) all’età di 2, 4, 6 e 12–15 mesi.

- per i bambini che presentino patologie di base, viene raccomandata una dose supplementare di PCV13

sino all’età di 71 mesi. I bambini di età 2–18 anni con patologie di base dovrebbero ugualmente essere

immunizzati con PPSV23 dopo il completamento di tutte le dosi raccomandate di PCV13.

Nel 2014, l’American Academy of Pediatrics (AAP) ha emanato ulteriori raccomandazioni per i soggetti a

rischio, non incluse nelle precedenti e riguardanti i bambini di età 6-18 anni con patologie di base che li

espongono al massimo rischio di malattia pneumococcica (AAP, 2014).

Ai bambini di età dai 6 ai 18 anni affetti da stati di immunocompromissione (infezione da HIV ed asplenia

anatomica o funzionale inclusa la malattia a cellule falciformi; soggetti con fratture craniche o perdite

liquorali; impianto cocleare e coloro che non hanno mai ricevuto una dose di PCV13) deve essere

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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somministrata una dose singola di PCV13; il vaccino deve essere somministrato a questi bambini

indipendentemente dal fatto che abbiano ricevuto PCV7 o PPSV23 in precedenza. I bambini in questo

gruppo che non siano stati immunizzati in precedenza con PPSV23 devono essere immunizzati con una

dose di PPSV23 ≥8 settimane dopo la dose di PCV13. Per i bambini in questo gruppo che siano stati

immunizzati in precedenza con PPSV23, deve essere somministrata una dose singola di PCV13 ≥8

settimane dopo la dose di PPSV23.

Nel 2016, facendo seguito alla periodica revisione dei calendari vaccinali e delle indicazioni operative ad

esse correlate, l’ACIP (unitamente all’AAP), ha approvato la relativa schedula vaccinale in età pediatrica

(da 0 a 18 anni di età) (ACIP; 2016).

In merito alla vaccinazione pneumococcica, ferme restando le indicazioni relative alla schedula vaccinale

ed al catch-up sino all’età di 5 anni, sono state ulteriormente chiarite le specifiche indicazioni riguardanti la

vaccinazione con PCV13 e PPSV23 per i soggetti affetti da condizioni cliniche ad alto rischio. Viene

sottolineato il concetto di somministrare se possibile il vaccino coniugato prima di quello polisaccaridico e

ponendo un intervallo di almeno 8 settimane tra le due somministrazioni. Stesso intervallo minimo viene

previsto tra PPSV23 e PCV13 nel caso il vaccino polisaccaridico sia già stato somministrato in precedenza

(ACIP; 2016).

EuropaLe schedule di somministrazione dei diversi vaccini offerti in ogni Paese europeo sono fissate in modo tale

da conformarsi a requisiti stabiliti a livello della pianificazione strategica. Alcuni di essi sono guidati da

strategie di sanità pubblica: garantire livelli di copertura a livello nazionale i più omogenei possibili; essere

flessibili, per permettere l’introduzione di nuovi vaccini o modifiche dello stesso calendario vaccinale. Altri

sono di natura più squisitamente organizzativa e pratica: minimizzare il numero di accessi ai servizi vaccinali

per diminuire il numero di criticità e aumentare la compliance da parte del pubblico; somministrare non più

di due vaccini per via iniettiva nella stessa seduta (Ricciardi, 2010). Stando così le cose, è facile

comprendere come i calendari vaccinali per uno stesso vaccino siano estremamente diversi da Paese a

Paese, come rilevato dall’ECDC.

A seguire la relativa tabella che riporta la situazione relativa alla calendarizzazione europea per il vaccino

antipneumococcico (http://vaccine-schedule.ecdc.europa.eu/Pages/Scheduler.aspx (Accessed April 19th,

2016).

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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ItaliaIl Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2012-2014 muove dal contesto istituzionale della riforma

del Titolo V della Costituzione e dalla necessità di strategie condivise, efficaci ed omogenee da

implementare sull’intero territorio nazionale. Esso rappresenta uno strumento tecnico operativo che funge

da base di riferimento all’accordo tra Stato e Regioni sul tema del diritto alla prevenzione delle malattie,

contribuendo a uniformare l’accesso alla vaccinazione e la copertura vaccinale sul territorio nazionale in

linea con il diritto alla salute, premessa fondamentale per una migliore qualità di vita e per lo sviluppo

sociale.

Già il Piano Nazionale Vaccini 2005-2007, adattandosi alla nuova realtà aperta proprio dalla modifica del

titolo V della Costituzione, nel tentativo importante di coordinamento tra le diverse istanze delle Regioni e

le necessità complessive del Paese, forniva indicazioni per mantenere un coordinamento delle strategie

vaccinali, pur nel rispetto dell’autonomia regionale prevista, con la possibilità di poter offrire apertura

all’introduzione di "nuovi" vaccini nel Paese, con la gradualità e la programmazione necessaria ed

opportuna.

Armonizzare le strategie vaccinali in atto nel nostro Paese e garantire l’offerta attiva e gratuita delle

vaccinazioni prioritarie per la popolazione generale sono stati alcuni degli obiettivi del Piano Nazionale

della Prevenzione Vaccinale 2012-2014, approvato con Intesa Stato-Regioni nella seduta del 22 febbraio

2012 e pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale del 12 marzo. In realtà il nuovo PNPV

2016-2018, al momento in cui scriviamo, ha visto la luce in forma di bozza finale, in attesa della

pubblicazione definitiva. Nelle more di ciò, il Piano precedente continua a rivestire il ruolo di indirizzo

generale.

Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2012-2014, approvato prima che l’indicazione per il

vaccino PCV13 fosse estesa ai soggetti di età superiore ai 5 anni, prevede, oltre all’offerta gratuita del

vaccino PCV a tutti i nuovi nati, anche l’offerta di una dose ai soggetti di qualsiasi età a rischio di contrarre

la malattia per la presenza di patologie o condizioni predisponenti. Il PNPV si limita a riportare che il vaccino

PPV23 è sconsigliato al di sotto dei 2 anni di età per la sua scarsa capacità immunizzante in tale fascia

d’età.

Le condizioni di rischio identificate sono le seguenti:

- cardiopatie croniche

- malattie polmonari croniche

- cirrosi epatica, epatopatie croniche evolutive da alcoolismo

- diabete mellito, in particolare se in difficile compenso

- fistole liquorali

- anemia falciforme e talassemia,

- immunodeficienze congenite o acquisite,

- asplenia anatomica o funzionale,

- leucemie, linfomi, mieloma multiplo

- neoplasie diffuse

- trapianto d’organo o di midollo

- immunosoppressione iatrogena clinicamente significativa

- insufficienza renale cronica, sindrome nefrosica

- infezione da HIV

- portatori di impianto cocleare.

20

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

Si riporta il relativo calendario vaccinale nazionale:

La schedula nazionale del vaccino antipneumococcico prevede quindi la somministrazione del vaccino

polisaccaridico coniugato al 3°, 5°-6° ed 11°-13° mese, secondo lo schema 2+1.

Tale schedula è stata sostanzialmente adottata tramite apposite delibere in tutte le regioni italiane con le

medesime modalità, prevedendo l’offerta attiva e gratuita del vaccino pneumococcico coniugato (PCV13)

nell’infanzia. Differenze sono identificabili in alcune regioni nell’identificazione dei momenti di

somministrazione, fermo restando il rispetto dei tempi di instaurazione dell’immunità in base alla scheda

tecnica del prodotto. Un simile approccio è rilevabile nell’identificazione delle categorie di rischio, redatte

anche in relazione alle situazioni epidemiologiche regionali.

Nel 2014, vista la necessità di condividere un calendario vaccinale ottimale, suffragato da una attenta e

precisa analisi scientifica, come punto d’arrivo della migliore offerta possibile da sottoporre all’attenzione delle

istituzioni da sempre deputate all’emanazione dei calendari nazionali e regionali, le Società Scientifiche SiTI

(Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica), SIP (Società Italiana di Pediatria), FIMP

(Federazione Italiana Medici Pediatri) e FIMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) hanno

emanato il “Calendario Vaccinale per la Vita 2014” ; esso rappresenta al momento la versione più recente di

una iniziativa scientifica proposta dal 2012, vale a dire l’elaborazione condivisa di una proposta di calendario

che, partendo dalla nascita, arriva alla senescenza con l’inclusione di tutti i vaccini utili alla promozione di un

ottimale stato di salute.

In relazione alla vaccinazione antipneumococcica in ambito pediatrico, il Calendario specifica che la

disponibilità del vaccino antipneumococcico coniugato (PCV), prima a 7 valenze e attualmente a 13 valenze

(PCV13), rappresenta un notevole passo avanti nella lotta contro le malattie infettive pediatriche. La presenza

nel vaccino di più recente sviluppo dei polisaccaridi coniugati di alcuni degli pneumococchi attualmente

maggiormente implicati nelle patologie pediatriche (19A, 1, 3, 5, 6A, 7F) permette di ottenere un’elevata

efficacia verso l’85-90% circa delle forme invasive pneumococciche dell’infanzia. Le specifiche indicano che

il vaccino va somministrato con tre dosi nel primo anno di vita (al 3° mese, al 5° mese e all’11°-13° mese).

Se la vaccinazione inizia nel secondo semestre di vita, vanno eseguite ugualmente tre dosi a distanza di sei-

otto settimane l’una dall’altra; due dosi se si inizia dopo il compimento del primo anno; una dose se si inizia

dopo il compimento del secondo anno.

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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Nel caso si tratti di bambini in condizioni di rischio, sono raccomandate due dosi di PCV13 anche per

vaccinazioni dopo il secondo anno di vita. A tale proposito, la vaccinazione anti-pneumococcica è consigliata

ai soggetti di qualsiasi età a rischio di contrarre la malattia per la presenza di patologie o condizioni

predisponenti, analogamente a quanto già riportato nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV)

2012-2014:

A seguire il calendario completo:

Calendario vaccinale per la vita 2014 (SItI, SIP, FIMP, FIMMG)

Vaccino 0 gg /

30 gg

mese

mese

mese

mese

mese

11°

mese

13°

mese

15°

mese 6°

anno

12°-18°

anno

19-49

anni

50-64

anni

>64

anni

DTPa DTPa DTPa DTPa DTPa**

dTpalPV1 dose di dTpa***

ogni 10 anniIPV IPV IPV IPV

Epatite B EpB-EpB* EpB EpB* EpB 3 dosi: pre-esposizione (0,1,6 mesi)

4 dosi: post-esposizione (0,2,6, sett. +

booster a 1 anno

o pre-esposizione imminente (0,1,2,12)

Hib Hib Hib Hib

Pneumococco PCV13 PCV13 PCV13 PCV13∧∧ PCV13/PPV23 (vedi note) PCV13

MPRV MPRV MPRV

MPR MPR oppure MPR

Varicella V MPR

+

V

oppureMPR

+

V∧

2 dosi MPR***** + V∧

(0-4/8 settimane)

Meningococco C Men C o

menACWY

coniugato

Men C o

MenACWY

coniugato

MenACWY§ coniugato 1 dose

Meningococco B Men B Men B Men B Men B Men B

HPV HPV°: 2-3 dosi (in fun-

zione di età e vaccino)

fino a età massima in

scheda tecnica

Influenza Influenza°° 1 dose all’anno 1 dose all’anno

Herpes Zoster 1 dose§

Rotavirus Rotavirus#

Epatite A EpA# EpA# 2 dosi (0-612 mesi)

Cosomministrare nella stessa seduta

Specifici gruppi a rischio

Somministrare in seduta separata

Opzioni di cosomministrazione nella stessa seduta o somministrazione in sedute separate

Vaccini per categorie a rischio

Legenda:

22

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

Haemophilus Influenzae

Rocco Russo

Pediatra - Unità Operativa Materno Infantile ASL Benevento

L’Haemophilus influenzae è un coccobacillo Gram-negativo, caratterizzato da sei tipi “capsulati”antigenicamente distinti con le lettere dalla “a” alla “f” e ceppi “non capsulati”, i quali non reagendo con gliantisieri capsulari vengono definiti con la nomenclatura di “non tipizzabili”.Le infezioni da Haemophilus influenzae più gravi sono prevalentemente causate da ceppi di tipo “b” la cuicapsula contiene uno specifico polisaccaride: poliribosio-ribitolo-fosfato (PRP), descritto per la prima voltanel 1975, che per la sua capacità di inibire la fagocitosi mediata dal complemento, risulta essere un fattoreessenziale di virulenza; infatti l’assenza di anticorpi protettivi diretti contro la capsula polisaccaridica è ilprimo fattore di rischio per lo sviluppo di malattia invasiva. Non è possibile conoscere uno specifico titolo anticorpale sufficiente per essere protetti dalle forme invasiveda Hib, anche se da alcuni studi è emersa che un titolo di 1µg/ml, rilevato tre settimane dopo vaccinopolisaccaridico antiPRP, risultava essere un adeguato correlato di protezione contro queste specifichemanifestazioni cliniche.Gli Haemophilus influenzae, oltre alla capsula, presentano altri fattori di virulenza, quali:- Lipooligosaccaride (LOS) di parete, che danneggiando l’attività delle cilia, permette la traslocazione deibatteri attraverso le cellule dell’epitelio respiratorio nel circolo sanguigno, oltre che aumentare lapermeabilità della barriera ematoencefalica;- Antigeni proteici denominati “M” e “P”, localizzati sulla superficie della membrana esterna di tutti i tipi diH.influenzae;- Pili, che favoriscono l’adesione alle cellule epiteliali;- Proteasi specifiche per le IgA1, che facilitano la colonizzazione delle mucose.Il periodo di incubazione non è noto ed in caso di malattia invasiva da Hib è indicato l’isolamento respiratorioper almeno 24 ore dopo l’inizio di una opportuna ed efficace terapia antibiotica. La diagnosi di Hib vieneeffettuata attraverso l’esame del liquido cerebrospinale (LCS), il sangue, il liquido sinoviale, il liquido pleuricoe l’aspirato dell’orecchio medio che devono essere coltivati in specifici terreni di coltura come l’agarcioccolato, arricchito di uno o di entrambi i fattori (coenzimi termostabili) che si trovano nel sangue, icosiddetti fattori: X (“ematina”: necessario per la sintesi di enzimi quali, citocromi, citocromo-ossidasi,catalasi, perossidasi) e V (“nicotinamide adenin dinucleotide”: utilizzato dalle deidrogenasi nei processibioenergetici).La colorazione di Gram di un liquido organico infetto permette di individuare il microrganismo e di porreuna diagnosi presuntiva. L’agglutinazione al latex, insieme alla biologia molecolare PCR (Polymerase ChainReaction), risultano essere validi metodi per la tipizzazione capsulare (1).

Storia

La storia di questo germe risale agli ultimi anni del secolo scorso quando si scatenò una caccia al germeche provocava l'influenza. Dopo una grande epidemia mondiale che si verificò nel 1889, uno scienziatotedesco annunciò che aveva scoperto il germe responsabile dell'influenza, isolandolo da culture di pazientideceduti in quel periodo. Era il 1892. Richard Fiedrich Johannes Pfeiffer (Zduny, 1858 – Bad Landeck,1945), questo il nome del biologo tedesco, lo chiamò Haemophilus influenzae e tutti gli scienziati alloraimpegnati nella ricerca sulle malattie infettive gli dettero credito nonostante l'inoculazione del germenell'animale non provocasse alcuna malattia. Nel 1918 scoppiò un'altra terribile epidemia di influenza intutto il mondo. Tutti i medici cominciarono a cercare l'Haemophilus influenzae nelle prime vie respiratoriedei malati, ma, con loro grande sorpresa, il germe si trovava solo in rarissimi casi. Nel 1931 Pittman perprimo riuscì a differenziare gli Haemophilus influenzae in “capsulanti” e “non capsulati” e quindi chiarireche l'influenza non era provocata da un batterio, ma da un virus, anche se a tutt’oggi molti fanno confusionetra questo germe e il virus dell'influenza.

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HIB nel mondo

Nel Mondo una stima del 2000 da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rilevato che il batterioHib è stato responsabile di circa otto milioni di gravi malattie e circa 371.000 morti all'anno; nel 2008 lastima globale dei casi pediatrici fatali da infezioni Hib (principalmente per polmoniti e meningiti) è scesa acirca 199.000 decessi. Sempre nel 2008, le stime totali dei decessi per polmonite nei bambini di età inferioreai cinque anni, residenti nella regione del Mediterraneo orientale, erano calcolate intorno al 19%, di cui il20-25% causate dall’Haemophilus influenzae tipo b (Hib); in ogni caso la stessa Organizzazione Mondialedella Sanità ritiene l’Haemophilus influenzae tipo b (Hib) la causa di circa 900.000 casi di infezione, conconseguente più di 48.000 decessi nello stesso anno (2-3-4).Negli USA nel periodo 2000-2012, il tasso di incidenza medio annuo delle malattie invasive da Hib neibambini di età inferire ai 5 anni è rimasto al di sotto dell’obiettivo “Healthy People 2020” e pari a:0,27/100.000 casi (5).In Europa tra la fine degli anni 1990 e 2009, tutti i paesi della UE/EEA hanno introdotto la vaccinazione Hibnei loro programmi vaccinali della prima infanzia (6), per cui dall’ultimo report ECDC, emerge che nel 2012la percentuale di notifica della suddette patologie invasive da Hib risulta essere pari a 0,49/100.000 casi,con un trend in leggero aumento, che potrebbe essere attribuito al miglioramento della sorveglianza in unnumero sempre maggiori di Paesi, in alcuni dei quali il sistema di sorveglianza inizialmente registrava solocasi da Hib nella fascia di età 0-5 anni. Nello specifico la percentuale di notifica delle patologie invasive daHib nel 2012 è risultata essere maggiore in alcuni Paesi come: Svezia (2,26 per 100.000) e Norvegia (1,56per 100.000), seguiti dalla Finlandia (1,50 per 100.000), Danimarca (1.17 per 100.000) e nel Regno Unito(1.16 per 100.000); mentre in 19 dei 24 paesi è rimasta comunque al di sotto di un caso ogni 100.000abitanti (7) Nel suddetto report ECDC, emerge anche in maniera dettagliata che nel 2012 la malattia invasiva daHaemophilus influenzae risultava essere prevalente sia nei bambini piccoli e sia gli anziani, con un tassodi notifica di casi confermati pari a: 0,97 per 100.000 abitanti nei bambini sotto i cinque anni di età e 4,2per 100.000 nei bambini sotto l’anno di vita; mentre negli adulti di età superiore ai 65 anni, il tasso di notificadei casi confermati risultava essere pari a 1,50 per 100.000 abitanti; per entrambi i gruppi di età, i tassi piùelevati sono stati osservati nei maschi, mentre i più alti tassi di notifica negli adulti ultrasessantacinquennisono stati registrati in: Svezia (7,45 per 100.000), Norvegia (6.12 per 100.000), Cipro (6,34 per 100.000)e Finlandia (5.21 per 100.000).Anche se in letteratura esistono alcune evidenze scientifiche a supporto del potenziale rimpiazzo sierotipicodell'Haemophilus influenzae (8-9), la maggior parte dei lavori non ha rilevato alcuna prova concreta asostegno di questa ipotesi (10-11-12); in ogni caso a livello europeo, pur considerando gli sforzi dei variPaesi finalizzati a migliorare la sorveglianza sierotipica, dalla disamine degli attuali scarsi dati disorveglianza non è emerso alcun fenomeno di rimpiazzo sierotipico dell'Haemophilus influenzae.In Italia, data la gravità di queste malattie, dal 1994 è attivo un sistema di sorveglianza nazionale dellemeningiti, istituito dal Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con lapartecipazione di tutte le Regioni. Nel nostro Paese, dall'introduzione del vaccino anti-Hib nel 1995, ilnumero dei casi di infezioni invasive (meningiti e sepsi) da Haemophilus influenzae rimane limitato, sebbenesi conferma l’incremento dell’incidenza nel corso degli ultimi 4 anni (da 0,08 casi per 100.000 nel 2011 a0,17 per 100.000 nel 2014); inoltre come in tutti gli anni precedenti, anche nel 2014 è evidente la nettapredominanza dei ceppi non capsulati che rappresentano oltre l’80% del totale dei ceppi tipizzati.L’incidenza italiana delle malattie da Haemophilus influenzae è bassa in tutte le fasce di età, anche se nel2015, sebbene i dati non siano ancora definitivi, si nota un aumento soprattutto nella fascia di età più alta(13).

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Manifestazioni cliniche

L’Haemophilus influenzae di tipo b può provocare polmoniti, batteriemie occulte, meningiti, epiglottidi, artritesettiche, celluliti, otiti medie e pericarditi purulenti ed altre infezioni meno frequenti come endocarditi,osteomieliti e peritoniti. I ceppi non capsulati di tipo “non b” possono talora provocare infezioni invasiveanalogamente al tipo b. I ceppi non tipizzabili sono prevelarmente associati ad infezioni delle vie respiratoriecosi come a esacerbazioni di bronchiti croniche ed otiti medie.Le patologie da Hib, anche nei casi in cui molto spesso viene messo in atto tempestivamente un opportunotrattamento antibiotico, nel 15-35% dei possono causare gravi e permanenti disabilità, quali: paralisi, ritardomentale, sordità, problemi psicologici e di apprendimento (14); in ogni caso non bisogna dimenticare ilrischio della sottostima dei dati (mortalità e morbilità), legato alle difficoltà di un’adeguata sorveglianza econferme di laboratorio, anche in condizioni ottimali (15). Il rischio di sequele da meningite da Hib risulta essere maggiore nei paesi in via di sviluppo per lecomprensibili cause legate al ritardo nella diagnosi e nelle inadeguate cure mediche, che risultano esserecompromesse anche dall’aumento delle resistenza agli antibiotici di prima linea (16). Tra i bambini delBangladesh con età inferiore ai cinque anni, l’Haemophilus influenzae di tipo b risulta essere responsabiledi circa il 50% di tutte le meningiti batteriche (17-18); in epoca prevaccinale, uno studio di follow-up su duecoorti di bambini bengalesi (età 2-59 mesi) dimessi con diagnosi di meningite Hib, ha rilevato nella primacoorte di 64 pazienti, le seguenti percentuali di sequele a “breve termine” (30-60 gironi dalla dimissione):uditive (7,8%), visive (3%), mentali (20%) psicomotorie (25%); mentre nella seconda coorte di 71 pazientile percentuali di sequele a “lungo termine” (6-24 mesi dalla dimissione) sono state: uditive (10%), visive(1,4%), mentali (21%) psicomotorie (25%) (19).

Patogenesi

La nicchia ecologica dell’Haemophilus influenzae è rappresentata dalla mucosa nasofaringea la cuicolonizzazione risulta essere la condizione necessaria che precede una malattia di tipo invasivo. Lamodalità di trasmissione del germe patogene è probabilmente da persona a persona, attraverso contattodiretto o inalazione di goccioline emesse con le secrezioni del tratto respiratorio infetto dai portatori e quindii portatori asintomatici, che sono importanti diffusori del batterio. In era prevaccinale, l’Haemophilusinfluenzae di tipo b poteva essere isolato dal nasofaringe di 3%-5% dei neonati a e bambini (20), ma nonera frequente negli adulti; anche se è possibile avere una colonizzazione asintomatica di ceppi noncapsulati. Sempre in era prevaccinale, la patologia invasiva da Hib nei bambini nel primo anno di vita, lapercentuale dei casi riconducibili all'Hib sul totale delle malattia invasive da Haemophilus influenzae,risultava essere superiore al 60%, con un picco tra i 6 e gli 11 mesi di vita. Nei primi mesi sei mesi di vitaalcuni neonati possono beneficiare della protezione passiva legata alle IgG specifiche trasmesse ingravidanza e con l’allattamento materno, anche se una particolare predisposizione genetica, di cui nonsono noti gli specifici meccanismi, risulta essere un fattore di maggiore suscettibilità alle infezioni da Hib;altri fattori predisponenti alle infezioni da Hib, sono legati ad alcune specifiche patologie, quali: aspleniafunzionale o anatomica, infezioni da HIV, determinate immunodeficienze (es.: IgG2, deficit di complemento),pazienti trapiantati, pazienti in trattamento chemio e/o radioterapico.Anche se non è noto il correlato di protezione contro la patologia invasiva da Hib, da vari studi emerge cheuno specifico titolo anticorpale anti-PRP ≥1.0 μg/ml, rilevabile dopo tre settimane dalla vaccinazione con ilvaccino coniugato purificato poliribosilribitolo-fosfato (PRP), potrebbe offrire un’adeguata protezione alungo termine contro la specifica patologia invasiva (20-21). I bambini adeguatamente vaccinati e che sviluppano una patologia da Hib, dovrebbero essereopportunamente valutati, al fine di diagnosticare una specifica immunodepressione predisponente verotale tipo d’infezione (22).

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Alcuni punti inerenti il trattamento1

1) Il bambino con sospetta meningite da Hib può essere inizialmente trattato con Cefotaxima o Ceftriaxone;in alternativa è possibile usare il Meropenem come antibiotico empirico, oppure l’Ampicillina in caso diaccertata sensibilità. Per il trattamento di altre forme le raccomandazioni sono le stesse, cosi come ladurata dell’antibioticoterapia endovenosa di almeno dieci giorni per i casi complicati.

2) Per il bambino o lattante con meningite da Hib, al fine di ridurre il rischio di perdita di udito, può esseredi supporto il trattamento con cortisone (Desametasone), da utilizzare prima o insieme all’iniziodell’antibioticoterapia.

3) L’epiglottite è un’emergenza, per la quale risulta essere di fondamentale importanza la prontezza ditrattamento con il ripristino della pervietà delle vie aeree mediante intubazione o tracheostomia.

4) Il liquido sinoviale, pleurico o pericardico infetto deve essere opportunamente drenato.5) Per il trattamento empirico dell’otite media nel bambino di meno due anni oppure in quello più grande,

affetto da una grave forma di patologia, come terapia iniziale, è raccomandato l’uso dell’Amoxicillinaorale, con una durata della terapia variabile tra i 5-10 giorni (23). L’antibiogramma può essere di ausilioper la terapia in condizioni complicate o persistenti.

Interventi preventivi per infezione invasive da HIB

Per il paziente affetto da patologia invasiva da Haemophilus influenzae di tipo b è indicato l’isolamentorespiratorio per almeno 24 ore dopo l’inizio della specifica terapia antibiotica, mentre per i soggetti espostiall’infezione (particolarmente bambini non vaccinati o che non hanno completato l’opportuno protocollovaccinale), bisogna mettere in atto solo interventi finalizzati ad un’attenta sorveglianza sintomatologica.La Rifampicina per la sua capacità di eradicare l’Hib dal faringe di circa il 95% dei casi dei portatori,rappresenta un valido strumento di chemioprofilassi, finalizzato a ridurre il rischio di casi secondari fra:contatti familiari, comunità infantili e reparti di neonatologia. La Rifampicina va somministrata per via oraleal dosaggio di 20 mg/Kg (dose massima 600 mg) una volta al giorno per quattro giorni. Il dosaggio per illattante al di sotto di un mese di vita non è stabilito, anche se alcuni esperti raccomandano di diminuirlo a10 mg/kg/die. Per gli adulti la singola dose standard di Rifampicina è: 600mg/die.La profilassi con Rifampicina è raccomandata indipendentemente dall’età per tutti i contatti nelle famigliein cui vi sia un almeno un bambino di meno 48 mesi di età non vaccinato o incompletamente vaccinatocontro l’Hib, oppure un bambino immunodepresso della stessa età, anche se sottoposto a regolare ciclovaccinale (possibile scarsa risposta anticorpale postvaccinica del paziente immunodepresso); lo stessotipo di profilassi è raccomandata anche per i nuclei familiari in cui vive un lattante non completamentevaccinato contro l’Hib. Dal momento che la maggiore parte dei casi secondari in famiglia si verificano nellaprima settimana dal ricovero del caso indice, la profilassi, se raccomandata, deve essere iniziata al piùpresto, ma visto alcuni casi si verificano anche più tardi, la profilassi può anche servire se somministratasette giorni o più dopo il ricovero in ospedale del caso indice.La tabella 1 raccoglie il sunto delle indicazioni e linee guida americane1 per la chemioprofilassi conRifampicina per i contatti di casi indice di malattia invasiva da Haemophilus influenzae tipo b.La profilassi non è raccomandata per i contatti di pazienti affetti da patologia invasiva da ceppi diHaemophilus influenzae di tipo “non-b”, in quanto il rischio di infezione è molto raro.

Vaccini

La protezione verso l’Hib è mediata essenzialmente dagli anticorpi contro il polisaccaride capsulare (PRP).Il primo vaccino contro l’Hib, introdotto negli USA nel 1985, essendo costituito solo dal polisaccaridecapsulare “poliribosilribitolo fosfato” (PRP) dell'Haemophilus influenzae di tipo b (Hib), risultava esseremaggiormente immunogeno nelle fasce di età superiori ai diciotto mesi; successivamente (1987 e 1989)la coniugazione di tale polisaccaride capsulare (PRP) ad una specifica proteina carrier, ha permesso di

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superare il limite della scarsa risposta immune T-dipendente nei bambini di età inferiore ai diciotto mesi. Ivaccini coniugati antiHib usati nei primi trial clinici erano caratterizzati dalla coniugazione del polisaccaridepoliribosilribitolo fosfato (PRP) con: tossoide difterico (PRP-D), CRM 197 (variante non tossica della tossinadifterica; PRP-HbOC), oppure con un complesso proteico della membrana esterna della Neisseriameningitidis gruppo B (PRP-OMP) (24). Successivamente, in base alla dimostrazione delle sovrapponibili risposte anticorpali con i vaccini PRP-OMP e PRP-HBOC, viene autorizzata l’immissione in commercio anche di un nuovo vaccino antiHib,coniugato con il tossoide tetanico (PRP-T), la cui metodica di coniugazione, non essendo protetta daspecifiche normative sui brevetti, lo rende attualmente il vaccino antiHib più usato nel mondo; di contro, ilvaccino PRP-D per la sua scarsa efficacia nelle popolazioni con alta incidenza di malattia, non viene piùcomunemente usato (25).È interessante ricordare che dopo la vaccinazione con PRP-OMP o con HbOC compare un’antigenuria,anche protratta, che non deve essere interpretata come il risultato di un’infezione invasiva da Hib (26).Tutti i vaccini coniugati contro l’Hib vanno somministrati per via intramuscolare. Non sono stati registratigravi effetti collaterali e non si conoscono controindicazioni, fatta eccezione che per l’ipersensibilità aicomponenti dei vaccini. Il vaccino contro l’Hib può essere tranquillamente somministrato insieme a qualsiasialtro vaccino previsto dal programma nazionale di vaccinazioni pediatriche, così pure contestualmente aivaccini anti-pneumococcico e anti-meningococcico (27). Scarse evidenze scientifiche rilevano che l’utilizzo del vaccino coniugato Hib prima delle sei settimane divita possa indurre una tolleranza immunologica verso le successive dosi dello stesso vaccino (28). I bambini al di sotto dei 24 mesi di vita, che abbiano avuto una malattia invasiva da Hib, dovrebbero essereugualmente vaccinati, perché la maggioranza di essi, proprio per l’età, alla quale hanno acquisito la malattianaturale, non ha sviluppato un’adeguata immunità. I vaccini che contengono, come proteina di trasporto, l’anatossina tetanica o l’anatossina difterica non

Tabella 1: Indicazioni e linee guida per la chemioprofilassi con Rifampicina per i contatti di casi indice di malattia invasiva daHaemophilus influenzae tipo B

CHEMIOPROFILASSI RACCOMANDATA

Per tutti i contatti familiari1 nelle seguenti circostanze:- Famiglia con almeno un contatto di meno 4 anni non vaccinato o non completamente vaccinato2

- Famiglia con un bambino di meno di 12 mesi, se il bambino non ha ricevuto la vaccinazione primaria- Famiglia con un bambino immunocompromesso, indipendentemente dal suo stato vaccinale.

Nei nidi e nelle piccole comunità infantili ove si siano verificati due o più casi in sessanta giorni.

Per il caso indice se di meno di due anni o appartenente a famiglia con un contatto suscettibile e trattato con uno schemache non contenga Cefotaxima o Ceftriaxone, la profilassi va somministrata di solito appena prima della dimissioneospedaliera.

CHEMIOPROFILASSI NON RACCOMANDATA

Per i nuclei familiari senza bambini di meno di quattro anni oltre al caso indice.Per i familiari se tutti i contatti di meno 12-48 mesi sono stati completamente vaccinati e se i contatti familiari di meno 12mesi hanno completato la schedula primaria.Per i contatti nei nidi e nelle piccole comunità di un caso indice.In gravidanza.

1 definito come persona che risiede con il paziente indice o non coresidente che abbia trascorso quattro o più ore con il caso indice almenoper cinque giorni su sette nella settimana precedente il ricovero.

2 per completa vaccinazione si intende: almeno una dose di vaccino coniugato a 15 mesi di vita, due dosi tra 12 e 14 mesi, oppure 2 o 3 dosidi ciclo primario nei bambini di età meno di 12 mesi con una dose booster a 12 mesi o più.

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debbono essere considerati capaci d’immunizzare contro il tetano o la difterite: quindi nessunamodificazione deve essere prevista nello schema di vaccinazione contro DTP; allo stesso modo un vaccinoconiugato contro l’Hib che contenga la proteina meningococcica non deve essere consideratoimmunizzante verso la malattia meningococcica.Nel nostro Paese per l'immunizzazione antiHib dei nuovi nati viene utilizzato il vaccino esavalente, cheoltre a proteggere contro le infezioni invasive da Hib, previene anche la difterite, la poliomielite, il tetano,la pertosse e l’epatite B; il ciclo vaccinale è costituito da tre dosi da praticare entro il primo anno di vita conun’iniezione per via intramuscolare a: 3, 5 ed 11 mesi di vita, contemporaneamente alle altre vaccinazionidell'infanzia. Non sono previsti altri richiami. Nei bambini di età superiore ai 12 mesi è sufficientel'esecuzione di una sola dose di vaccino.La vaccinazione antiHib viene particolarmente consigliata per i pazienti di qualsiasi età a rischio per leseguenti patologie o condizioni predisponenti: asplenia anatomica o funzionale, infezione da HIV,ipoglobulinemie (particolarmente IgG2), difetti congeniti del complemento, trapianti di cellule staminaliematopoietiche, trattamenti chemio e/o radioterapici (tabella 2) (34).Il vaccino antiHib è controindicato in caso di: età inferiore 6 settimane, reazione allergica grave (anafilassi)dopo la somministrazione di una precedente dose, reazione allergica grave (anafilassi) a un componentedel vaccino (compreso il tossoide tetanico); mentre le seguenti condizioni, quali: malattia acuta grave omoderata, con o senza febbre, reazione allergica grave al lattice (per i prodotti che contengono lattice nellasiringa), rappresentano delle precauzioni, che devono indurre l’operatore a valutare caso per caso al finedi decidere di procrastinare la seduta vaccinale, oppure fare praticare la vaccinazione in ambiente protetto.Una storia clinica di precedente infezione da Hib non rappresenta una controindicazione alla vaccinazioneantiHib (29).

Tabella 2: Guida alla vaccinazione anti Haemophilus influenzae tipo b (Hib) nei soggetti ad alto rischio (34)

Gruppi ad alto rischio Guida alla vaccinazione anti Hib

Pazienti di età inferiore a 12 mesi Seguire le raccomandazioni vaccinali anti Hib di routine

Pazienti di età 12-59 mesi Se hanno ricevuto 0 o 1 dose prima dei 12 mesi: 2 dosi con unintervallo tra le dosi di 8 settimaneSe hanno ricevuto due o più dosi prima dei 12 mesi: 1 dosedopo 8 settimane dall’ultima

Pazienti di età <60 mesi sottoposti a chemio e/o radioterapia* Se la dose di vaccino antiHib è stata effettuata ≥14 giorniprima dell’inizio della terapia: non è prevista la rivaccinazione.Se la dose viene effettuata nei 14 giorni precedenti o in corsodi terapia: ripetere dosi a partire da almeno 3 mesi successivial completamento della terapia

Pazienti di età ≥15 mesi sottoposti a splenectomia Se non vaccinati^: 1 dose prima dell’intervento

Pazienti asplenici di età >59 mesi ed adulti Se non vaccinati^: 1 dose

Bambini HIV+ di età ≥60 mesi Se non vaccinati^: 1 dose

Adulti HIV+ Vaccinazione anti-Hib non raccomandata

Pazienti di tutte le età sottoposti a trapianto di cellule staminali Indipendentemente dalla storia di vaccinale anti-Hib: 3 dosi(almeno 4 settimane di distanza) da iniziare 6-12 mesi dopo iltrapianto

* Alcuni esperti suggeriscono effettuare per questi pazienti specifici test sierologici (35) ^ Sono considerati “non vaccinati” i pazienti che non hanno ricevuto un ciclo primario e dose di richiamo, o solo 1 dose di vaccino Hib dopo i14 mesi¶ Alcuni esperti suggeriscono di completare il ciclo vaccinale almeno 14 giorni prima dell’intervento

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VACCINO HIB E PREMATURI

I neonati pretermine rappresentano uno stimolo continuo per la ricerca scientifica sia infettivologica cheimmunologica essendo considerati a maggiore rischio di contrarre infezioni gravi rispetto ai bambini nati altermine della gestazione.Nel caso dell’Haemophilus influenzae di tipo b gli stessi prematuri, anche mettendo in atto schedulevaccinali diverse, al termine del completamento del ciclo vaccinale primario, presentano in ogni caso unascarsa risposta anticorpale. La riprova di ciò è stata anche il recente aggiornamento, della scheda tecnica del vaccino esavalenteInfanrix Hexa (30) per i “bambini nati pretermine dopo almeno 24 settimane di gestazione”, relativoall’Ottobre 2015, che riporta una specifica schedula vaccinale, caratterizzata da un ciclo primario di tredosi, con un intervallo di almeno un mese tra le dosi, seguito da una dose di richiamo dopo almeno 6 mesidall’ultima dose del ciclo primario, preferibilmente prima dei 18 mesi di età. Le motivazioni alla base della diversificazione della schedula del vaccino esavalente per il nato preterminerispetto al neonato nato a termine, nascono a seguito della valutazione della risposta anticorpale correlataesclusivamente al vaccino Infanrix Hexa in un gruppo di neonati prematuri di EG media di 31 settimane,immunizzati secondo lo schema posologico a 2, 4, 6 mesi) (31). Dalla disamina di tali dati emerge che,mentre la media geometrica del titolo (MGT) dei componenti della Pertosse acellulare e del Tetano sonosovrapponibili tra il gruppo dei lattanti prematuri e quelli termine, le MGT degli anticorpi relativi al vaccinoanti-Difterite, Poliomielite, Epatite B e Poliribosilribitol fosfato (PRP) dell’Hib sono inferiori nei lattanti natiprematuri rispetto a quelli nati a termine. Un mese dopo la quarta dose di richiamo dell’Infarnix Hexaeffettuata a 18-20 mesi, quasi tutti i lattanti prematuri raggiugevano una sieroprotezione/sieropositività pergli specifici antigeni del vaccino sovrapponibile ai lattanti a termine sottoposti alla schedula vaccinaletradizionale.Attualmente sul nostro territorio nazionale è disponibile anche un altro vaccino esavalente (Hexyon) (32),nella cui scheda tecnica non viene riportata alcuna specifica schedula vaccinale per i prematuri.Questa situazione avendo creato negli operatori sanitari grande disorientamento circa l’opportuna strategiavaccinale da mettere in atto per il neonato pretermine e circa il vaccino esavalente da utilizzare, ha indottola Società Italiana di Pediatria e la Società Italiana di Neonatologia al richiamo del pieno rispetto di quantoriportato negli specifici Riassunti delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) e/o Foglio Illustrativo (FI),raccomandando di attenersi scrupolosamente alla specifica indicazione riportata nella scheda tecnicarelativa al vaccino in dotazione al momento, senza essere tenuti a modificare e/o eventualmente posticiparela stessa seduta vaccinale. Da parte delle stesse Società Scientifiche viene doverosamente ribadito a tuttigli operatori sanitari di non abbassare la guardia sulla opportunità di proteggere indirettamente il neonatoprematuro con l’aggiornamento (recupero) dell’immunità vaccinale dell’entourage famigliare (inclusepersone in contatto regolare) di qualsiasi età (33).

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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La malattia meningococcica invasiva

Alberto Villania, Elena Bozzolaa, Laura Lancellaa, Andrzej Krzysztofiaka, Anna Quondamcarloa,Laura Cursia, Annalisa Grandina, Anna Chiara Vittuccia, Giovanni Corsellob

aUOC Pediatria Generale e Malattie Infettive, Dipartimento Pediatria Universitaria Ospedaliera, OspedalePediatrico Bambino Gesù – IRCCS – RomabClinica Pediatrica, Università di Palermo

Inquadramento, epidemiologia, diagnosi e trattamento

Inquadramento generale

Il termine “malattia meningococcica invasiva” (Invasive Meningococcal Disease, IMD) si riferisce a un

gruppo di malattie contagiose che conseguono all’infezione sistemica da Neisseria meningitidis (Nm) o

meningococco (1).

La IMD costituisce un rilevante problema di sanità pubblica per la sua distribuzione a livello globale, per il

suo potenziale epidemico, per l'impatto della malattia, predominante nei bambini e negli adolescenti, e per

le manifestazioni cliniche che possono anche essere fulminanti (2).

Essa rientra nel gruppo delle cosiddette malattie batteriche invasive, cioè meningiti e sepsi (forme più

frequenti e spesso concomitanti), polmoniti batteriemiche ed altri quadri clinici con isolamento di batteri da

siti normalmente sterili (3).

Con IMD ci si riferisce sostanzialmente alla meningite e alla sepsi da meningococco. La malattia

meningococcica può essere responsabile anche di presentazioni cliniche (ad es. polmonite, miocardite,

endocardite, pericardite, artrite, congiuntivite, uretrite, faringite e cervicite) (1).

Neisseria meningitidis: caratteristiche microbiologiche e patogenesi

Il meningococco è noto come causa di meningite e setticemia sin dal XIX secolo (2). E’ diplococco gram-

negativo, aerobio (4), dotato di capsula costituita da polisaccaridi in forma di omo- o eteropolimeri (4) ed

espressa in quasi tutti gli isolati invasivi di meningococco (4). Proprio in base alla composizione chimica

della capsula e alla reattività immunologica dei suoi polisaccaridi, si distinguono 13 sierogruppi di

meningococco, anche se la maggioranza delle infezioni invasive nel mondo è causata da 6 di questi: A, B,

C, W, X e Y (4, 5).

Un’ulteriore classificazione dei meningococchi in sierotipi, subsierotipi e immunotipi si basa sull’espressione

di proteine della membrana esterna (PorB e PorA rispettivamente) e dei lipooligosaccaridi (4, 5).

Portatore e trasmissione

Gli uomini sono l’unico serbatoio di meningococco e il nasofaringe è il sito dal quale esso si trasmette (4):

la trasmissione avviene quindi da persona a persona attraverso aerosol, goccioline di saliva o contatto

diretto con secrezioni respiratorie di un portatore che alberga il microrganismo nel nasofaringe, richiede

solitamente un contatto stretto, frequente o prolungato (1, 6). Solo nello 0,5% dei casi si ha la trasmissione

di malattia (3).

Dal 5% all’11% degli adulti (fino al 18-35% in periodi epidemici) (2) e più del 25% degli adolescenti sono

portatori asintomatici di ceppi di meningococco nel nasofaringe, molti dei quali non sono patogeni (1, 4).

Al di là dell’età, il sovraffollamento in certi ambienti (militari o luoghi di ritrovo), il danno alla mucosa

nasofaringea dovuto al fumo attivo/passivo o a coinfezioni da virus influenzale o da Mycoplasma,aumentano il rischio di essere portatore (2). Nella maggior parte delle persone l’essere portatore è

comunque un processo immunizzante, in quanto innesca una risposta sistemica anticorpale protettiva (4).

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

Solo in un ristretto numero di soggetti il meningococco colonizza e penetra la mucosa del nasofaringe e

invade il circolo ematico, causando malattia sistemica con o senza interessamento del sistema nervoso

centrale (4). Nel sangue il microrganismo rilascia endotossine sotto forma di strutture vescicolari della

membrana esterna (costituite principalmente da lipooligosaccaridi – LOS - e proteine della membrana

esterna). Il rilascio di endotossina e di altri componenti stimola la produzione di citochine e la via alternativa

del complemento.

Fattori di virulenza e di rischio per IMD

I meccanismi che portano dalla colonizzazione alla malattia invasiva non sono ancora completamente noti,

ma sono probabilmente il risultato di: fattori di virulenza del meningococco (alcuni cloni sono superinvasivi),

fattori legati all’ospite (maggiore suscettibilità) e condizioni ambientali (Tabella 1) (2, 4).

Sicuramente il maggior fattore di virulenza del meningococco è rappresentato dal rilascio di endotossina.

Presumibilmente gli isolati invasivi presentano inoltre caratteristiche antigeniche non riconosciute

dall’ospite, riuscendo a eludere i meccanismi di difesa della risposta immune adattativa (4). Per quanto

riguarda l’ospite, una maggiore suscettibilità alla IMD è data da tutte quelle condizioni che comportano una

perdita o una riduzione dell’attività di lisi cellulare anticorpo-dipendente, complemento-mediata (4), tra cui

deficit dell’immunità umorale, dell’attività opsonofagocitica, dei fattori terminali del complemento o deficit

di properdina. Tutte queste condizioni sono comunque alla base di casi sporadici di IMD.

In caso di IMD, il rischio di contrarre la malattia per i conviventi aumenta di 400-800 volte (4).

Tabella 1: Fattori di rischio per IMD (4).

LEGATI AL MENINGOCOCCO

Endotossina (rilascio delle vescicole della membrana esterna)

Capsula polisaccaridica (protegge Nm dall’essiccazione durante la trasmissione, inibisce opsonizzazione e fagocitosi,

favorendo l’invasione del sangue)

Fattori di adesione (adesine, pili)

Fattori di nutrimento (per acquisire ferro dalla lattoferrina umana, dalla trasferrina e dall’emoglobina)

LEGATI ALL’OSPITE

Età

Deficit del Complemento (fattori della fase tardiva della cascata complementare: C5-9, properdina)

Asplenia anatomica/funzionale

Infezione HIV

Ipogammaglobulinemia

Deficit immunitari genetici (polimorfismo geni della lectina e TNFalfa)

Danni dell’epitelio respiratorio da infezione virale

Altre condizioni: insufficienza cardiaca, neoplasie, diabete mellito, alcolismo, etc.

AMBIENTALI

Contatto stretto con caso incidente (convivente, operatore sanitario)

Sovraffollamento (collegio, ambiente militare)

Lavoro in laboratorio di microbiologia a contatto con il meningococco

Fumo (danno all’epitelio respiratorio)

Cambiamenti di temperatura/umidità (danno all’epitelio respiratorio)

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Manifestazioni cliniche

Solitamente la IMD si manifesta entro una settimana dal contagio del meningococco nel nasofaringe (2).

Dopo un’incubazione media di 3-4 giorni (3), il quadro clinico iniziale aspecifico di malattia febbrile acuta,

con sintomi a carico dell’apparato respiratorio superiore, evolve rapidamente in forme specifiche e più

gravi, quali la setticemia e/o la meningite (2), che nell’arco di 24 ore possono progredire in malattia

fulminante, insufficienza multiorgano e decesso (2). Diversi sono i fattori che possono influenzare la rapidità

di progressione del quadro clinico: tra questi vi è la quantità di endotossina circolante, la carica batterica e

quindi l’entità di attivazione della risposta immune innata e acquisita dell’ospite (2).

La meningite è la più comune presentazione di IMD, ciò riflette il particolare tropismo meningeo del

meningococco: questa malattia colpisce circa il 30-60% degli individui infettati (2). I sintomi (quali febbre,

vomito, cefalea, fotofobia, irritabilità, agitazione, sonnolenza, rigidità del collo e segni di irritazione meningea

- in soggetti di età > 5 anni, nonchè irritabilità, pianto, letargia e tensione/turgore delle fontanelle nei bambini

sotto i 2 anni), non sono diversi da quelli di altre meningiti batteriche, e sono dovuti alla risposta

infiammatoria scatenata all’interno dello spazio subaracnoideo (2). Una eruzione cutanea scarsa e atipica,

delirio e convulsioni, possono complicare il quadro clinico che può concludersi con il decesso per erniazione

cerebrale (letalità della meningite meningococcica del 5-18%) (2).

La sepsi o setticemia o meningococcemia è la presentazione clinica meno comune (20-30% dei casi di

IMD) ma anche la più (2). Entro 12 ore dall’insorgenza della malattia compaiono dolore agli arti inferiori,

estremità fredde, pallore cutaneo e eruzione maculopapulare che sbiadisce in bambini e adolescenti. Nei

bambini più piccoli si hanno anche sonnolenza, respiro corto o affanno e diarrea (2). Le petecchie o la

porpora, classico segno di setticemia meningococcica, compaiono poi nel 40-80% dei casi. Confusione,

delirio, secondari all’ipotensione e all’ipoperfusione cerebrale, sono segni tardivi. Il danno generalizzato

all’endotelio del microcircolo, dopo il rilascio di endotossina e l’attivazione dell’immunità innata e acquisita,

porta a inappropriata vasocostrizioni/vasodilatazioni, coagulazione intravascolare disseminata e

depressione grave della funzionalità miocardica; il tutto contribuisce all’insufficienza multiorgano e alla

morte (2). Il quadro, conseguente alla meningococcemia, caratterizzato da febbre, rash petecchiale o

purpurico, che può progredire in porpora fulminante, spesso associato a rapida comparsa di ipotensione

e necrosi emorragica surrenalica acuta e insufficienza multiorgano, è anche noto come Sindrome di

Waterhouse-Friderichsen (4). Indici prognostici sfavorevoli sono una bassa temperatura corporea centrale,

shock precoce, conta di globuli bianchi < 5000 cellule/ mm3, piastrinopenia (< 100.000 piastrine/mm3),

porpora fulminante. Il riconoscimento precoce e tempestivo della sepsi meningococcica ha ridotto

comunque la mortalità dal 40% di fine anni ‘90 al 5-20% dell’ultima decade (2).

Sequele della malattia meningococcica invasivaColoro che sopravvivono a IMD possono però avere sequele disabilitanti e permanenti (Tabella 2) (2).

Il rischio complessivo di danno neurologico è del 7% (2). I sopravvissuti possono comunque presentare

un range di disabilità come spasticità, problemi cerebellari, convulsioni, difficoltà nell’apprendimento e segni

neurologici focali (2, 7). La perdita dell’udito può verificarsi nel 4% dei casi. Questa complicanza è più tipica

della meningite, insieme a difficoltà visive, convulsioni e deficit motori. Problemi comportamentali e

psicologici, come diminuzione del rendimento scolastico, si hanno con frequenza maggiore nei bambini

che sopravvivono a IMD (2).

Cefalea e dolore agli arti inferiori sono invece i sintomi cronici più frequentemente osservati in bambini in

seguito a setticemia meningococcica (Tabella 2) (2). Cicatrici cutanee secondarie alla porpora necrotica

possono essere da lievi a deturpanti così da richiedere innesti cutanei. Amputazioni delle dita o degli arti,

frequentemente multiple, sono il risultato di necrosi della cute, dei muscoli e delle ossa delle zone colpite.

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

Diagnosi di malattia meningococcica invasiva

Bisognerebbe avere il sospetto di IMD ogni qual volta un paziente presenti segni e sintomi di meningite con

malattia febbrile e eruzione petecchiale, o sindrome febbrile non specifica in soggetto con fattori di rischio

(es. splenectomizzato) o appartenente a gruppo ad alto rischio nell’ambito di un’epidemia (8). Tenuto conto

dell’invasività e del carattere fulminante della malattia è necessario instaurare un trattamento antibiotico

tempestivo, anche prima che si eseguano i test diagnostici (8).

Nel sospetto di una meningite batterica accanto agli esami ematochimici di laboratorio è considerata ancora

utile l’esecuzione di un’emocoltura e sono in fase avanzata di studio metodologie per velocizzare i tempi di

risposta. Sta acquisendo sempre maggiore importanza e diffusione l’esecuzione della Polymerase ChainReaction (PCR) che, praticata in urgenza, è fondamentale nella determinazione eziologica in tempi

rapidissimi (meno di 2 ore) (9, 10). Il prelievo di un campione di sangue in EDTA, facile da eseguire, può

immediatamente essere processato con strumenti sempre più semplici da usare, sempre più economici,

ma soprattutto sempre più affidabili e sicuri.

E' ancora radicata la convinzione che il gold standard nel sospetto di una meningite batterica sia l’esame

colturale del liquido cefalorachidiano (LCR): con caratterizzazione chimico-fisica, colorazione di Gram di

ausilio per un rapido orientamento diagnostico, nonché la biologia molecolare (9). La puntura lombare (PL)

per l’estrazione del LCR andrebbe quindi eseguita in ogni caso sospetto, in assenza di controindicazioni

specifiche e comunque una eventuale controindicazione non deve mai far ritardare l’inizio della terapia

antibiotica (9).

L’esecuzione dell’esame colturale sia su sangue che su LCR, nonostante la disponibilità di metodiche di

diagnostica più rapide, più sensibili, e non influenzate dalla terapia antibiotica, è ancora considerato utile

nella gestione della meningite batterica. Le nuove metodologie molecolari stanno rapidamente guadagnando

sempre più spazio nei laboratori più moderni e qualificati riuscendo a garantire anche l’esecuzione di

antibiogramma con identificazione di eventuali resistenze farmacologiche: il tutto in meno di 2 ore (9, 11).

Infine, la RMN e la TC hanno invece un ruolo nella valutazione delle complicanze della IMD (9).

Tabella 2: Sequele di IMD (2).

Complicanze Frequenza (%)

Totali

Danno neurologico 7

Danno all’udito 4

Meningite

Perdita dell’udito parziale 2,6

Perdita dell’udito totale 2,1

Convulsioni 0,5

Danni alla vista 1,6

Deficit motori 0,6

Difficoltà comportamentali 0,6

Setticemia

Dolore cronico, Cefalea 21

Cicatrici cutanee 13

Amputazioni 3

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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Il trattamento della malattia meningococcica invasiva

L’uso degli antibiotici ha drasticamente ridotto la letalità associata a IMD, che ora è del 10-14%, sebbene

possa arrivare al 40% in pazienti con meningococcemia, anche quando si instauri rapidamente una terapia

(12). Prima dell’uso degli antibiotici, il tasso di letalità associato a IMD era del 70-85%.

Nel sospetto di meningite batterica, la terapia antibiotica deve essere iniziata il più precocemente possibile

(9). Quando non è noto l’agente patogeno, deve essere intrapresa una terapia empirica in base all’età e

all’epidemiologia (10), seguendo le indicazioni terapeutiche fornite dalle Linee Guida (9). Nel momento in

cui viene identificato uno specifico agente eziologico, è consigliabile proseguire con una terapia antibiotica

mirata (9), tenendo in considerazione l’antibiotico sensibilità del germe e l’epidemiologia locale (9, 10).

Accanto alla terapia antibiotica, alcuni studi hanno evidenziato che l’uso dei cortisonici potrebbe avere un

ruolo nella riduzione della mortalità e delle sequele a lungo termine, ma i dati sull’efficacia riportati in

letteratura sono discordanti (9). Le linee guida NICE consigliano inoltre, quale terapia di supporto,

l’idratazione e il monitoraggio degli elettroliti ematici (sindrome da inappropriata secrezione di ormone

antidiuretico) (13).

La contagiosità dei pazienti non è elevata e si riduce rapidamente, già dopo 24 ore dall’inizio del trattamento

antibiotico. L’isolamento del paziente non è quindi necessario. Inoltre l’Organizzazione Mondiale della

Sanità (OMS) raccomanda la chemioprofilassi (da iniziare il prima possibile) esclusivamente ai contatti

stretti (conviventi, contatti in centri di cura, esposti a secrezioni orali di un paziente con IMD) (12, 14). A

tale scopo è usata la rifampicina o ceftriaxone o ciprofloxacina per os (in zone in cui è noto circolino

microrganismi resistenti alla prima) (12, 14).

I costi della malattia meningococcica

Un aspetto molto importante, da considerare, è rappresentato dai costi della malattia meningococcica. I

costi più alti sono quelli umani. Le famiglie in cui la malattia meningococcica porta via una persona cara

restano profondamente e perennemente segnate da un’esperienza dolorosa come poche altre nella vita.

La repentinità che caratterizza la drammatica evoluzione della malattia lascia disorientati. Ma la malattia

ha anche dei costi economici diretti e indiretti molto elevati. Sono ormai numerosi gli studi che hanno

dimostrato che all’esordio della malattia, per le prime cure in ospedale, la spesa media per l’assistenza a

un paziente affetto da malattia meningococcica (meningite e/o sepsi) è pari a circa 130.000 euro. Nei casi

in cui il paziente sopravviva alla fase acuta di malattia, ma presenti esiti invalidanti, la spesa media, nel

corso della vita, è compresa tra oltre 1.000.000 e 3.000.000 di euro (J. Darbà. L. Kaskens, M. Hark, C.

Wright “Costs of surviving meningococcal disease in Spain: evaluation for two cases of severe meningitis

and septicemia” Vaccine, 2014: 32, 5006-5012). Studi sulla valutazione dei costi sono stati effettuati in

diverse realtà (Canada, Australia, Spagna) e, nonostante le significative diversità dei sistemi sanitari, i costi

sono molto simili.”

Epidemiologia della malattia meningococcica invasiva

Ogni anno nel mondo ci sono 1,2 milioni di casi di IMD e 135.000 decessi (15).

L’incidenza di IMD riportata varia tra le diverse regioni, da meno di 0,5 casi per 100.000 nel Nord America

ad 1 caso per 100.000 in Europa, fino a 10-1.000 casi per 100.000 durante i periodi epidemici in Africa

(16). La malattia si presenta in forma sporadica nel mondo, con variazioni stagionali.

La distribuzione geografica e il potenziale epidemico differiscono a seconda del sierogruppo in causa (6),

con il sierogruppo A isolato più frequentemente in Africa e nelle aree asiatiche e i sierogruppi B e C

predominanti in molte altre regioni (Figura 1) (17). Il più alto impatto di malattia è legato a epidemie cicliche,

per lo più dovute al sierogruppo A, che si verificano nella cosiddetta “fascia della meningite” dell’Africa

Sub-sahariana (dal Senegal a ovest all’Etiopia a est) (1, 6).

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

In Europa nel 2012 sono stati riportati dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC)

3.463 casi confermati di IMD con un tasso di notifica complessivo di 0,68 per 100.000 (18). Alti tassi sono

stati registrati in Irlanda (1,31), UK (1,37) e Lituania (1,76), mentre secondo l’ECDC il tasso di notifica per

l’Italia è stato nel 2012 di 0,22 per 100.000 (136 casi). La letalità per il 2012 è stata complessivamente del

7,9%.

Per quanto riguarda la distribuzione dei casi per età, tassi di notifica più alti sono stati riportati per i bambini

< 1 anno di età (11,4 per 100.000), nella fascia di età 1-4 anni (3,7 per 100.000) e nella fascia 15-24 anni

(1,1 per 100.000).

I tassi di notifica più alti per il sierogruppo C sono stati riportati nel 2012 nei bambini < 1 anno di età, nei

bambini di età 1-4 anni e nella fascia di età 15-24 anni, per quanto sia stato registrato un decremento

complessivo nel numero delle infezioni da sierogruppo C in Europa dal 2008 al 2012 nei Paesi che hanno

introdotto la vaccinazione, in particolare nella classe di età 1-4 anni. In generale comunque è riportato dal

2008 al 2012 una lieve tendenza in diminuzione delle infezioni da sierogruppi B e C e in aumento di quelle

da sierogruppo W e Y. Quest’ultimo sierogruppo è l’unico per cui è stato registrato un aumento del numero

dei casi dal 2008 al 2012, in particolare nella fascia di età 15-24 anni e > 24 anni.

La sorveglianza delle malattie batteriche invasive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS)

In Italia la sorveglianza nazionale delle malattie invasive da meningococco, insieme a quelle da

pneumococco ed emofilo, è coordinata dal SIMI (Sistema Informativo delle Malattie Infettive) dell’Istituto

Superiore di Sanità (ISS) (con il supporto finanziario del Ministero della Salute) e prevede la raccolta dei

dati relativi ai casi di malattia, la tipizzazione dei ceppi isolati da parte dei laboratori ospedalieri e il loro

invio al laboratorio di riferimento nazionale dell’ISS per una completa caratterizzazione microbiologica e/o

diagnostica (19). La conoscenza delle infezioni causate da questi patogeni e la distribuzione per

sierotipi/sierogruppi è utile per il controllo di eventuali casi secondari nell’immediato e, a medio/lungo

termine, per stimare la quota di casi prevenibili e l’impatto delle strategie vaccinali (19).

L’incidenza riportata di malattie batteriche invasive in generale e di IMD in particolare è però fortemente

sottostimata e ciò è legato a problemi di mancata/errata diagnosi e di carente notifica e, come evidenziato

da Azzari et al., per il limitato uso di metodiche molecolari (20, 21). In uno studio recente condotto per

valutare l’impatto della vaccinazione per il meningococco C in Puglia sull'impatto delle meningiti

meningococciche, è stata valutata la sensibilità di tre fonti di dati nel periodo 2001-2013: quella delle

Figura 1. Distribuzione globale di IMD per sierogruppo (17).

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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notifiche obbligatorie, quella delle ospedalizzazioni e la sorveglianza di laboratorio (22). Questo studio ha

dimostrato che con la sorveglianza nazionale sono stati persi circa 28 casi/anno.

Il sistema di sorveglianza nazionale riporta comunque, nel 2014, 163 casi di malattia invasiva da

meningococco, con un’incidenza pari a 0,27 casi per 100.000 (23).

Nei dati provvisori del 2015 (per quanto aggiornati al 23 dicembre 2015) si segnala un aumento dei casi

da sierogruppo C nei giovani adulti (fascia di età 18-34 anni, per la maggior parte in Toscana).

L’incidenza della malattia invasiva da meningococco riportata dal SIMI, indipendentemente dal sierogruppo,

è maggiore nella fascia di età 0-4 anni. Tuttavia l’incidenza si mantiene elevata anche negli adolescenti e

giovani adulti (23). Il sierogruppo C invece presenta un maggior numero di casi nei giovani adulti e negli

adulti; come riportato dai dati SIMI, nel corso degli ultimi anni, dopo l’introduzione della vaccinazione in

Italia nel 2005, è stata registrata una importante riduzione del numero di casi da sierogruppo C nei bambini

piccoli da 1 a 4 anni di età con un aumento dei casi attribuibili agli altri sierogruppi, in particolare Y.

Rimane comunque alto (circa il 30% nel 2014) il numero delle infezioni segnalate per le quali non è

disponibile l’informazione relativa al sierogruppo capsulare.

Raccomandazioni sull’uso dei vaccini anti-meningococcici e impatto della vaccinazione

La vaccinazione costituisce la migliore strategia per la prevenzione della malattia meningococcica (24),

malattia con un’alta letalità o che, nei sopravvissuti, può risultare in sequele significative, nonostante venga

prontamente instaurata una terapia antibiotica (24, 25).

La disponibilità di vaccini efficaci e sicuri, diretti verso i sierogruppi di meningococco più diffusi, e la messa

in atto di programmi di vaccinazione nei bambini piccoli e negli adolescenti ha permesso la riduzione del

numero di casi di malattia meningococcica (1).

A seconda dello scenario epidemiologico di aree geografiche specifiche, i vaccini utilizzati sono stati diversi

(24-27).

I vaccini polisaccaridici, i primi a essere introdotti sin dagli anni ’80 e in diverse formulazioni, sono costituiti

da polisaccaridi capsulari purificati dei sierogruppi A, C, W135 e Y (MenAC, MenACW, MenACWY) (25).

Tali vaccini, utilizzati inizialmente per l’immunizzazione di soggetti a rischio (per esempio viaggiatori,

personale militare), hanno lo svantaggio di stimolare le cellule B del sistema immunitario, ma non la risposta

T, principale responsabile della memoria immunologica, e sono detti pertanto timo-indipendenti (1, 2, 25,

26). Tali vaccini forniscono quindi solo una protezione a breve termine per i bambini di età maggiore di 2

anni (fatta eccezione per il vaccino costituito dal polisaccaride purificato del sierogruppo A, immunogenico

anche nella prima infanzia) e gli adulti (1, 25).

Negli anni ’90 furono sviluppati vaccini coniugati nei quali i polisaccaridi capsulari A, C, W135 e Y sono

coniugati a proteine carrier (1, 2, 25, 26). Tali vaccini, indicati per la prevenzione della malattia da

meningococco C, sono efficaci anche nei bambini di età inferiore ai 2 anni e sono in grado di assicurare

una protezione a lungo termine, grazie alla memoria immunologica, con la produzione di anticorpi ad alta

affinità (1, 2, 25, 26). Le proteine carrier maggiormente usate nei vaccini meningococcici coniugati sono il

tossoide tetanico (TT), il tossoide difterico (TD) e il mutante cross-reattivo non tossico del TD CRM197

(27). Di questi, il tossoide tetanico sembra indurre una migliore immunogenicità dei vaccini meningococcici,

in quanto ad esso è verosimilmente ascrivibile un miglior priming dei linfociti T (28). Vaccini meningococcici

monovalenti TT-coniugati hanno dimostrato di indurre infatti più alti SBA GMT e più alte proporzioni di

soggetti con SBA > 1:8 rispetto ai vaccini meningococcici monovalenti CRM197-coniugati (28, 29); inoltre,

vaccini meningococcici TT-coniugati, monovalenti e tetravalenti, a differenza di quelli glicoconiugati con

CRM197, dimostrano di indurre una risposta immune protettiva ai test in vitro riconosciuti dalla farmacopea

europea (30).

Di origine più recente per la prevenzione della malattia meningococcica da sierogruppo B è lo sviluppo del

vaccino multicomponente 4cMenB, costituito da tre proteine ricombinanti, Neisseria heparin-binding antigen

- NHBA-GNA1030, factor H binding protein - fHbp-GNA2091, recombinant Neisseria adhesion A- NadA, e

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dalla proteina ottenuta dalle vescicole di membrana esterna del ceppo epidemico NZ98/254New Zealand

- PorA 1.4 (24, 25, 26, 31). A differenza di altri sierogruppi di meningococco (A, C, W135, Y), i polisaccaridi

capsulari del meningococco B sono scarsamente immunogeni nell’uomo e hanno inoltre una struttura

identica a quella dell’acido sialico delle cellule umane e potenzialmente in grado di scatenare risposte

autoimmuni, rendendo quindi difficoltoso lo sviluppo di un vaccino polisaccaridico coniugato (24, 25, 26).

In caso di epidemie da meningococco B sono stati utilizzati in passato, in emergenza, vaccini costituiti

dalle vescicole della membrana esterna (OMV) contenenti porina A, che però sono a uso limitato, non

inducendo reazioni crociate (24, 25). Si è dovuto ricorrere quindi alla “reverse vaccinology” (metodica che

analizza l’intero genoma batterico per predire gli antigeni meningococcici - di superficie o secreti – possibili

target dei vaccini), per lo sviluppo del vaccino 4cMenB, autorizzato per l’immunizzazione di soggetti a

partire dai 2 mesi di età (31). E’ stato stimato che il vaccino 4CMenB possa proteggere contro il 68-88%

dei ceppi di meningococco B (24).

Un secondo vaccino proteico per la malattia da meningococco B è il vaccino LP2086 (Trumenba, vaccino

ricombinante bivalente fHbp), già approvato negli Stati Uniti dalla FDA per l’immunizzazione di soggetti

adolescenti e giovani adulti (10-25 anni di età), mentre l’autorizzazione europea EMA è prevista per il 2017

(24, 31). Il profilo di sicurezza del vaccino è risultato favorevole in trial clinici di fase 3 che hanno coinvolto

circa 5.600 soggetti sani tra i 10 ed i 25 anni di età, e il vaccino si è inoltre dimostrato sicuro ed

immunogenico, anche in cosomministrazione con il quadrivalente coniugato ACWY e con il vaccino per

tetano-difetrite-pertosse - Tdap, in trial clinici di fase 2 in più di 2.600 soggetti sani di età 10-12 anni (24).

Tale vaccino, rispetto al 4cMenB, è costituito dalla proteina fHBP di entrambe le sottofamiglie A e B

(quest’ultima unica espressa nel vaccino 4cMenB) (32).

Il primo Paese europeo ad avere iniziato sin dal 1999 un programma di vaccinazione nazionale nei confronti

del meningococco C con vaccino coniugato è il Regno Unito: tutti i bambini e gli adolescenti < 18 anni

furono vaccinati per 2 anni (1, 33). Nel gennaio 2002 la campagna vaccinale fu estesa ai giovani adulti

fino ai 25 anni di età. In seguito a questa campagna vaccinale, il numero dei casi confermati in laboratorio

di IMD da sierogruppo C diminuì di più del 90% in tutti i gruppi di età immunizzati; i casi negli altri gruppi di

età diminuirono di circa due terzi come risultato dei ridotti tassi di portatore e del ridotto rischio di

esposizione (1, 34, 35). Questo fenomeno, noto come protezione indiretta o “protezione di gregge”, ha

contribuito al crollo del numero dei casi (Figura 2) (1). Nel 2006, studi successivi mostrarono che la

Figura 2. Casi di malattia meningococcica invasiva per anno, Inghilterra e Galles 1998-2013 (PHE) (1).

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protezione contro il meningococco C svaniva durante il secondo anno di vita e così fu introdotta una dose

di richiamo a 12 mesi di età (in associazione a Hib come Hib/MenC) (1, 36).

Ad oggi numerosi sono i Paesi, compresa l’Italia, che hanno implementato la vaccinazione di routine contro

il meningococco C, secondo schemi di vaccinazione differenti in base al profilo epidemiologico del Paese

che l’adotta (24, 26, 37).

Un declino significativo dell’incidenza di IMD da sierogruppo C è stato osservato in tutti i Paesi che hanno

introdotto la vaccinazione universale per il meningococco C con effetti diretti ed indiretti sulla malattia e

sulla condizione di portatore (37-39).

In Italia la vaccinazione con vaccino meningococcico coniugato C venne introdotta nel calendario nazionale

nel 2005, sebbene poi le Regioni abbiano implementato la vaccinazione in tempi diversi (39-42). Il PNPV

2005-2007 prevedeva programmi di ricerca attiva di soggetti a rischio e raccomandava la vaccinazione

con vaccino monovalente C-coniugato solo per i soggetti a rischio elevato (42). All’epoca erano comunque

disponibili anche i vaccini polisaccaridici tetravalenti ACW135Y (42).

Il razionale per l’introduzione della vaccinazione è da ricercarsi nel cambiamento dello scenario

epidemiologico in quegli anni. Alla fine degli anni ’80 e ’90 l’incidenza annuale di IMD era di 0,5 per 100.000

(39). Tra il 2000 ed il 2005 c’è stato invece un aumento dei casi da sierogruppo C (39, 40). Si ritenne quindi

opportuno offrire il vaccino, gratuitamente o con compartecipazione alla spesa a seconda del programma

regionale, ai bambini nei primi anni di vita (13°-15° mese di età con un catch-up a 11-18 anni) (42).

Con l’introduzione della vaccinazione nel 2005 (implementata in 17 Regioni su 21), si è iniziato ad osservare

una diminuzione significativa dei casi di IMD da sierogruppo C, parallelamente all’aumento della copertura

vaccinale (39, 40, 41, 43). La riduzione dell’incidenza di IMD da sierogruppo C è stata particolarmente

significativa nella fascia d’età 1-4 anni, target della vaccinazione (39). Si è passati in questo gruppo di età

da un’incidenza media (per tutti i sierogruppi) di 2,13 per 100.000 nel periodo 1994-2005 a 1,33 nel periodo

2006-2012 (39).

E’ con il PNPV 2012-2014 che si definisce la reale calendarizzazione (1 dose dopo l’anno di età, tra 13mo

e 15mo mese; 1 dose tra gli 11 ed i 18 anni per i soggetti non vaccinati nell’infanzia) a livello nazionale del

vaccino antimeningococcico (già offerto in molte Regioni) (44). La somministrazione del vaccino anti-

meningococco C coniugato è prevista secondo tale Piano in dose singola nei soggetti di età compresa tra

13 e 15 mesi, con un programma di recupero con una dose singola tra gli 11 e i 18 anni per i soggetti non

precedentemente vaccinati (44). Nello stesso documento viene inoltre raccomandata l’identificazione e

l’immunizzazione, con vaccino anti-meningococco C coniugato, di alcuni soggetti particolarmente a rischio

di IMD.

Negli ultimi anni sono stati autorizzati in Europa anche i vaccini quadrivalenti coniugati ACW135Y e dal

2013 il vaccino multicomponente per la prevenzione della malattia da meningococco B*. Nonostante però

l’evidenza di un cambiamento nello scenario epidemiologico italiano, con un aumento dei casi da

sierogruppi Y e W, solo il Calendario per la Vita 2014, nato dal lavoro congiunto della Società Italiana di

Pediatria (SIP), della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI), della

Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG) e della Federazione Italiana Medici Pediatri

(FIMP) introduce la raccomandazione del vaccino quadrivalente coniugato ACW135Y (45). La schedula

prevede per la vaccinazione dopo il compimento del primo anno di vita la scelta tra vaccino monovalente

C coniugato e quadrivalente coniugato ACW135Y con una sola dose. In più, accanto alla vaccinazione dei

bambini al primo anno di vita, è prevista una dose per i ragazzi nel dodicesimo anno di vita, tenendo conto

*Vaccini disponibili in Italia: Mencevax (MenACWY, Pfizer); NeisVac-C (MenC coniugato al tossoide tetanico TT, Pfizer), Menjugate (MenC

coniugato alla proteina CRM197 e adsorbito su idrossido di alluminio, GSK), Meningitec (MenC coniugato alla proteina CRM197 e adsorbito su

alluminio fosfato, NuronBiotech); Nimenrix (MenACWY-TT, Pfizer), Menveo (MenACWY-CRM197, GSK); Bexsero (4cMenB).

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Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

dei dati epidemiologici che indicano chiaramente una ripresa del numero di casi nell’adolescenza.

L’indicazione alla vaccinazione nell’età adolescenziale permane anche per i ragazzi già immunizzati durante

l’infanzia: la rapida invasività dell’infezione meningococcica richiede infatti una pronta e robusta risposta

immunitaria, con livelli di anticorpi battericidi protettivi. Il vaccino raccomandato per questa fascia d’età è il

quadrivalente coniugato ACW135Y, visto il recente cambiamento del trend epidemiologico, che vede in

aumento i casi di infezione da sierotipi Y e W135 anche in Italia. D’altronde, come già evidenziato, dai dati

dell’Istituto Superiore di Sanità emerge un trend temporale simile, dal 2011 al 2014, anche per i bambini di

età 1-4 anni proprio grazie all’implementazione della vaccinazione nel 2005 (23): i casi da meningococco

C stanno diminuendo in questa fascia di età, mentre stanno aumentando i casi da altri sierogruppi. Sarebbe

dunque opportuno prendere in considerazione l’immunizzazione con quadrivalente coniugato anche dei

soggetti in questa fascia di età, già target della vaccinazione. Il vaccino quadrivalente coniugato è anche

raccomandato a tutti i soggetti a rischio per patologia (due dosi) (45), nonché in caso di altre condizioni di

vita (una sola dose in caso di nuova assunzione quale militare in ferma volontaria, omosessualità maschile,

l’effettuazione di frequenti viaggi o il soggiorno in Paesi in cui la malattia meningococcica è iperendemica

o epidemica; viaggiatori verso la Mecca durante il pellegrinaggio rituale annuale).

Il Calendario per la Vita 2014 introduce anche la raccomandazione della vaccinazione per la malattia da

meningococco B con una schedula 3+1 (ciclo primario da completare entro il primo anno di vita), lasciando

comunque ai decisori territoriali la valutazione finale della schedula migliore in funzione dell’offerta vaccinale

locale e delle sue tempistiche (45).

Ad oggi la situazione delle Regioni italiane è comunque alquanto variegata, avendo implementato la

vaccinazione per la malattia da sierogruppi A, C, W135 e Y in maniera differente, raccomandandola solo

ai bambini, o a bambini e adolescenti o alle categorie a rischio (39, 46).

Simile scenario per la vaccinazione contro il meningococco B, inserita a partire dal 2014 nei Calendari di

8 Regioni (Puglia, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Sicilia, Toscana e Veneto) e nella

Provincia Autonoma di Bolzano, con schedule 3+1 o 2+1 (47).

La copertura vaccinale al 24° mese per il vaccino anti-meningococcico C coniugato (con ciclo di base con

1, 2 o 3 dosi secondo l’età) è circa in media 75% (coorte di nascita del 2012), sotto lo standard del 95%

previsto dal PNPV 2012-2014 (48). Tale copertura varia comunque da Regione a Regione, andando da

42,7% (Campania) al 88,3% (Emilia-Romagna); 9 Regioni hanno riportato coperture superiori all’80% (48).

Un trend in calo delle coperture vaccinali è riportato recentemente un po’ in tutte le Regioni con particolare

riferimento alle vaccinazioni dell’infanzia (48). I dati relativi alla vaccinazione antimeningococcica sono

tuttavia pochi, essendo relativamente recente la sua introduzione. I dati disponibili mostrano come la

vaccinazione, seppur ben introdotta sul territorio nazionale, presenti una copertura inferiore al target

previsto dal PNPV, e suggeriscono la necessità di compiere sforzi ulteriori per una corretta

informazione/comunicazione in tema vaccinale con il fine di proteggere in particolare le fasce di popolazione

a rischio (48, 49); meglio se assicurando il prima possibile, attraverso un vaccino quadrivalente coniugato,

una copertura verso sierogruppi la cui importanza sta aumentando sempre più in termini di circolazione

sul territorio nazionale proprio nelle fasce di età target della vaccinazione (23).

Conclusioni

La malattia meningococcica rappresenta una sfida aperta per la medicina. Ancora oggi la mortalità è >

10%, nonostante siano significativamente migliorate le capacità assistenziali, particolarmente quelle

intensivistiche. Ancora molto numerosi sono i casi che presentano esiti invalidanti, più o meno gravi, ma

comunque > 30% dei soggetti colpiti. L’unica arma sicura ed efficace di cui si dispone attualmente per

combattere il meningococco è rappresentata dalle vaccinazioni che, laddove praticate sistematicamente,

riescono ad abbattere significativamente l’incidenza della malattia meningococcica.

Le patologie batteriche prevenibili in età pediatrica: programmi di vaccinazione in ItaliaAutori: Giovanni Corsello, Luisa Galli, Rocco Russo, Alberto Villani

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Cod. 16PN299