la morte di alda merini lapoetessadeifolliedeinavigli · 2009. 11. 12. · n molte edizioni delle...

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31 CULTURA il Giornale Lunedì 2 novembre 2009 Chi era Un’esistenza dolorosa consolata dai versi Matteo Sacchi M erini, come ama- va chiamarsi lei, omettendo il no- me,sipuòricordar- lasolocomesefos- seviva.Perchéque- gli occhi infinitamente profondi eranol’essenzamattadella vita.Al- da, come con affetto la chiamava- no gli altri, la si può ricordare sem- pre e solo come se fosse estate. An- che perché lei vi avrebbe detto in- differentemente,asecondadeimo- menti, che l’estate è premonizione di vita o premonizione di morte. E l’ultima volta l’abbiamo vista proprio quest’estate. Milano era calda, caldissima. Lei, Alda, era di- stesa in un letto con un insensato copriletto invernale in una stanza piena, piena di tutto. Non c’era più spazio per nulla. Non c’era spazio nemmeno sui muri. Su una verni- ce stanca che aveva il color della ni- cotina ogni centimetro era un nu- mero. Qualcuno scritto con la pen- na, qualcuno scritto con il rossetto. «Sono la mia agenda» diceva la Merini. «Così non si perdono. So- no comodi, si sa dove sono. E poi alcuni li so leggere solo io... Certo, però,quandoandavoingiroedove- vo chiamare qualcuno non riusci- vo... Mi dicevano: non ce l’hai l’agenda... E io dicevo: sì ce l’ho, ma l’ho lasciata a casa...». E poi rideva, una risata gutturale, allegramente stonata, una risata che si portava in groppa il peso di troppe sigarette. Sì, rideva, anche se nei necrologi se ne dimenticheranno tutti, rideva AldaMerini,lapoetessatriste,lapo- etessa della pazzia. Quella che per anni è stata premiata, esaltata, rin- chiusa,osannataodimenticataaci- cli alterni. Rideva perché i suoi oc- chi cilestrini non sentivano il peso del tempo. E il peso del tempo que- gli occhi non lo sentivano perché, in quella strana casa, il tempo era relativo. Ha fatto irruzione, mali- gno, solo ora che lei non c’è più. Quando lei era, fuori c’era la Ripa Ticinese alla moda, pedonale e vo- tata all’aperitivo. Dentro, superata la corte e salite le scale, c’era un po- sto che oscillava tra passato e futu- roignorandoilpresente.Lesigaret- te si accendevano e si spegnevano di continuo e anche la Merini si ac- cendeva e si spegne con loro. Solo la sua solitudine era sempre accesa, feroce e viva: «Mi sento so- la, sai, d’estate uno vorrebbe un vi- cino. Sì, vorrei un vicino anziano che resti qua anche lui... Qualcuno con cui parlare. Sono sola». E poco importa che il campanello suonas- sespesso,chelagente venisseavisi- tarla da lontano, come si va in visita da una Pizia, da una Sibilla dei ver- si. «Ma no, non la visita cretina... L’anziano...habisognodiun dialo- go vero, di insegnare quello che sa, nondi unatto dicarità... Glianziani sognanomaachiliraccontanoiso- gni...».Perchéanzianaormaisisen- tiva senza infingimenti, senza bel- letti. «Figurati, io voglio stare qui. Voglio stare qui, da qui all’eternità, da qui alla camera da letto». Avreb- bevolentieri rinunciato aiversi, co- sì diceva, ma forse era solo una del- le sue finte folli e vezzose: «Sì, qual- cosascrivo...qualcosa...Me lachie- dono... Sai in quanti. Alda mi fai unapoesia,mifaiuncantico...Adu- lazione tanta... Compagnia poca... Ma il cantico dovrei farlo al padro- ne di casa e magari all’idraulico se miriallacciailtubodelgas». Ineffet- ti, l’idraulico era una questione grossa. Una delle poche che le im- portasse ancora. Il gas era l’ultimo modo rimasto per accendere le si- garette: «Tutti questi accendini con la sicura per bambini... In real- tà è la sicura anti-Merini, non rie- scopiùad accendereniente...Inva- canza per i bambini... Gli accendi- niperibambini...Tuttoperibambi- ni... E io non posso avere nemme- no un vicino anziano che resti qui anche lui...». Lei era viva e quindi conscia del- lamorte,leimportavano quindiso- lo le cose piccole della vita, le cose piccole che sono un verso anche se non finiscono su carta. Inutile par- larle del comitato per il Nobel, di ri- conoscimenti o premi. Li conside- rava molto più irrilevanti della cor- nucopia d’argento con i confetti che qualcuno le aveva inviato per un matrimonio. «Me li mandino i premi, con un milione di euro non si compra amore, attenzio- ne... Ti dimenticano anche quan- do ti ricordano...». Accettava di avere persone accanto, ma per pazienza, accettava di essere una icona ma quasi per sbaglio («Piaccio molto ai gay... Gente che non vuol baciarmi»). Ma in realtà avrebbe voluto una cosa sola: infrangere un muro che so- lo lei, Alda, sembrava vedere, un muro che la separava dagli altri. «Milano è la mia casa, ma non è davvero più quella di una volta, sembra il paese dei balocchi. Or- mai mi piace solo di notte. Il Duo- mo di notte è bellissimo, il Castel- lo Sforzesco di notte è bellissi- mo... Io non esco ma lo so... Di notte sogno, l’ho gia detto?». Ma cosa sognava: «Ragazzi bellissi- mi... Che mi baciano... Peccato che quando mi sveglio non ci so- no più, mentre le bollette invece sì... Sai che il Magnificat l’ho scritto ispirata da un carpentie- re... Era bellissimo, mi ha dato l’idea dell’angelo». Le ho chiesto se era quel Magnificat: «Sì, quel- lo che Wojtyla teneva sul como- dino, lui era grandissimo, uma- no, uno splendido Pontefice... La sua malattia quanto mi ha fat- to soffrire... Ormai penso spesso alla morte... Mi chiedo come mai la vita si risveglia ogni matti- na portandosi dietro una Merini che preferirebbe morire nel son- no... Ma non è la morte, è la vec- chiaia il problema... Non il mori- re, ma il morire sola come un ca- ne». Ora se ne è andata davvero ed è difficile dire se nel farlo si sia sentita ancora sola o, forse per la prima volta, abbia sentito l’ab- braccio delle cose, quello che an- che il verso più bello non può rac- chiudere. Silvio Ramat I n molte edizioni delle opere di Alda Merini accanto ai testi nuovi se ne trovano ripropo- sti anche di abbastanza lontani. Ma, a riconsi- derarne l’intero percorso, credo rimangano due i momenti capitali della sua poesia. Il primo corrisponde al suo esordio folgorante, a quando nel ’50 Giacinto Spagnoletti la rivelò, lei milanese diciannovenne, includendola in un re- pertorio prestigioso: Poesia italiana contempora- nea 1909-1949. Fu appunto Spagnoletti il vero sco- pritore di Alda – l’aveva conosciuta nel ’47 –, fu lui ancora a pubblicarla nella collana che dirigeva per Schwarz (La presenza di Orfeo, 1953). Ma è doveroso menzionare altri lettori, capaci di chiari- re criticamente alla Merini (i cui studi non erano andati oltre la scuola d’avviamento) certi caratte- ri della sua stessa poesia, così impetuosa e abnor- me. Da Angelo Romanò a Maria Corti e a Giorgio Manganelli (che Alda poi ricorderà «maestro di un’epoca intera»); e a Quasimodo, Betocchi, Tu- roldo... Proprio la Corti, nell’introduzione a Vuo- to d’amore (Einaudi 1991) noterà che nel libretto del ’62, Tu sei Pietro (Scheiwiller), la Merini sem- bra già assillata da una tensione, apparentemen- te contraddittoria, a fondere «impulsi religiosi ed erotici, cristiani e pagani». Tra le raccolte che (ri-)confluiscono in Vuoto d’amore spicca La Terra Santa, più volte stampa- ta e ristampata (addirittura in due edizioni quasi coeve e concorrenziali: Scheiwiller 1983 e Lacaita 1984, prefate rispettivamente dalla Corti e da Spa- gnoletti!). La Terra Santa deriva dalla terribile prova decennale, 1962-72, dell’internamento nel «Paolo Pini» di Affori: «Manicomio è parola assai più grande/ delle oscure voragini del sogno...»; «Il manicomio è una grande cassa di risonanza/ e il delirio diventa eco/ l’anonimità misura...». Se- quenza spesso infernale, che nasce dallo spaven- to e produce spavento. Osserva la Corti che «il popolo dei folli di Affori, con le mani aggrappate alle sbarre, si configura speculare al popolo “pre- diletto da Dio”». Donde «la sovrapposizione Ter- ra promessa-Manicomio»; e, aggiungiamo noi, la sacralità diffusa per l’intera sequenza, che è dav- vero il secondo momento capitale di questa poe- sia, dopo la stagione orfica di giovinezza. Fra così dolorose traversie, la Merini ha saputo mettere al mondo quattro figlie; e sposarsi due volte: la seconda, col medico-poeta Michele Pier- ri («Pierri divino, ... condottiero di nostalgia»), che per età poteva esserle padre. Dati che però non si sono mai inseriti in una esistenza «norma- le»: di fatto e dunque – per ciò che qui interessa – un troppo o un troppo poco han sempre contras- segnato le pagine della Merini, abissali nella so- stanza e cupe anche là dove paiano più ispirate a bonomia. Come ad esempio nelle Satire della Ri- pa (la Ticinese, dimora di Alda). Lì persone e luo- ghi fanno campionario vivace – tabaccaio e prosti- tuta, osteria e negozio di frutta e verdura – ma non tanto da animare i congegni di una allegria possi- bile. Insieme con altre raccolte ch’era bene ripubbli- care (Destinati a morire, Le ripe petrose, Fogli bianchi), le Satire fanno parte ora di un volume piuttosto corposo che comprende di nuovo La Terra Santa e anzi ne riadotta il titolo (Scheiwiller 1996). C’è in esso quanto giova a cogliere il valore dell’itinerario poetico dall’80 in qua; mentre per quel che precede l’80 può servire l’antologico Te- stamento (Crocetti 1988) a cura di Giovanni Rabo- ni. Un discreto successo, anche di pubblico, ha accompagnato da ultimo la Merini (premio Li- brex-Guggenheim 1993; premio Viareggio 1995), sollecitandola a un frequente esercizio della pro- sa: dal Diario di una diversa (Scheiwiller 1986) a Delirio amoroso (Il melangolo 1989), a La pazza della porta accanto ea La vita facile (Bompiani 1995 e ’96). Ma le prose non alterano la fisionomia già affi- data, e con più ardore, alle poesie, a quello che Ambrogio Bersani, nella premessa a Superba è la notte (Einaudi, 2000) giudica un «sistema poetico assolutamente singolare», i cui motivi resistono alla continua sperimentazione: «L’ansia, l’amo- re, i confini sbarrati della reclusione e lo slancio vitale della resurrezione». Dietro la dolcezza un mondo cupo e contraddittorio AMICI «Adulazione tanta compagnia poca... avrei bisogno di qualcuno con cui passar il tempo» LA MORTE DI ALDA MERINI DISINGANNO «Me li mandino pure i premi... ti dimenticano anche quando ti ricordano...» La poetessa dei folli e dei Navigli Aveva 78 anni ed era malata da tempo. Autodidatta, scoperta da Spagnoletti, lanciata da Maria Corti, l’autrice della «Terra santa» ebbe una vita segnata dal ricovero in manicomio. E da amori tormentati Si è spenta ieri a Milano, all’età di settantotto anni,AldaMerini.Lapoetessa,lecuicondizio- ni di salute erano precarie, era ricoverata da alcuni giorni all’ospedale San Paolo di Mila- no, nel reparto di oncologia, a causa di un tu- moreosseo.Considerataunadellepiùgrandi scrittrici italiane del ’900, aveva cantato nei suoi versi il disagio e la malattia mentale. Era stato fondato anche un comitato per candi- darla al Nobel. La camera ardente sarà, pro- babilmente, allestita oggi a Palazzo Marino. Il critico Nata in una famiglia di condizioni modeste (pa- dre dipendente di una compagnia assicurativa e madre casalinga), A. Merini frequenta da ragaz- za le scuole professionali all’Istituto Laura Sole- ra Mantegazza e cerca, senza riuscirci (per non aver superato la prova di italiano), di essere am- messa al Liceo Manzoni. Esordisce come autrice giovanissima, a soli 15 anni, sotto la guida di Gia- cinto Spagnoletti che fu lo scopritore del suo ta- lento. Nel 1947, Merini incontra «le prime ombre della sua mente» e viene internata per un mese a Villa Turro. Nel 1953 esce il primo volume di ver- si intitolato La presenza di Orfeo e nel 1955 Nozze Romane e Paura di Dio. Nel 1961 pubblica Tu sei Pietro. Dopo Tu sei Pietro inizia un triste periodo di silenzio e di isolamento, dovuto all’interna- mento al «Paolo Pini», che dura fino al 1972. Nel 1979 la Merini ritorna a scrivere, dando il via ai suoi testi sulla drammatica esperienza del mani- comio, testi contenuti in La Terra Santa e L’altra verità. Diario di una diversa. Nel febbraio 2009 a Milano era nato un comitato per ottenere che ad Alda Merini venisse concesso il Nobel per la lette- ratura. SOLITUDINE Alda Merini è stata una delle poetesse italiane del Novecento, ha cantato la solitudine e la follia [Grazianeri]

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Page 1: LA MORTE DI ALDA MERINI LapoetessadeifolliedeiNavigli · 2009. 11. 12. · n molte edizioni delle opere di Alda Merini accanto ai testi nuovi se ne trovano ripropo-stianchediabbastanzalontani.Ma,ariconsi-derarne

31 CULTURAil GiornaleLunedì 2 novembre 2009

Chi era

Un’esistenza dolorosa consolata dai versi

Matteo Sacchi

Merini, come ama-va chiamarsi lei,omettendo il no-me,sipuòricordar-lasolocomesefos-seviva.Perchéque-

gli occhi infinitamente profondieranol’essenzamattadellavita.Al-da, come con affetto la chiamava-no gli altri, la si può ricordare sem-pre e solo come se fosse estate. An-che perché lei vi avrebbe detto in-differentemente,asecondadeimo-menti,che l’estate èpremonizionedi vita o premonizione di morte.

E l’ultima volta l’abbiamo vistaproprio quest’estate. Milano eracalda, caldissima. Lei, Alda, era di-stesa in un letto con un insensatocopriletto invernale in una stanzapiena, piena di tutto. Non c’era piùspazio per nulla. Non c’era spazionemmeno sui muri. Su una verni-cestancacheavevailcolordellani-cotina ogni centimetro era un nu-mero.Qualcunoscrittoconlapen-na,qualcunoscrittoconilrossetto.

«Sono la mia agenda» diceva laMerini. «Così non si perdono. So-

no comodi, si sa dove sono. E poialcuni li so leggere solo io... Certo,però,quandoandavoingiroedove-vo chiamare qualcuno non riusci-vo... Mi dicevano: non ce l’hail’agenda...Eiodicevo:sìcel’ho,mal’ho lasciata a casa...». E poi rideva,una risata gutturale, allegramentestonata,unarisatachesiportavaingroppa il peso di troppe sigarette.Sì,rideva,ancheseneinecrologisene dimenticheranno tutti, ridevaAldaMerini,lapoetessatriste,lapo-etessa della pazzia. Quella che peranni è stata premiata, esaltata, rin-chiusa,osannataodimenticataaci-cli alterni. Rideva perché i suoi oc-chi cilestrini non sentivano il pesodeltempo.Eilpesodeltempoque-gli occhi non lo sentivano perché,in quella strana casa, il tempo erarelativo. Ha fatto irruzione, mali-gno, solo ora che lei non c’è più.Quando lei era, fuori c’era la Ripa

Ticinesealla moda,pedonale e vo-tata all’aperitivo. Dentro, superatalacorteesalitelescale,c’eraunpo-sto che oscillava tra passato e futu-roignorandoilpresente.Lesigaret-te si accendevano e si spegnevanodicontinuo eanchelaMerinisiac-cendeva e si spegne con loro.

Sololasuasolitudineerasempreaccesa, feroce e viva: «Mi sento so-la, sai, d’estate uno vorrebbe un vi-cino. Sì, vorrei un vicino anziano

cheresti qua anche lui... Qualcunocon cui parlare. Sono sola». E pocoimportacheilcampanellosuonas-sespesso,chelagentevenisseavisi-tarladalontano,comesivainvisitadauna Pizia,da una Sibilla deiver-si.

«Ma no, non la visita cretina...L’anziano...habisognodiundialo-go vero, di insegnare quello chesa,nondiunattodicarità...Glianzianisognanomaachiliraccontanoiso-gni...».Perchéanzianaormaisisen-tiva senza infingimenti, senza bel-letti. «Figurati, io voglio stare qui.Vogliostarequi,daquiall’eternità,daquiallacameradaletto».Avreb-bevolentieririnunciatoaiversi,co-sìdiceva,maforseerasolounadel-lesuefintefollievezzose:«Sì,qual-cosascrivo...qualcosa...Melachie-dono... Sai in quanti. Alda mi faiunapoesia,mifaiuncantico...Adu-lazione tanta... Compagnia poca...Ma il cantico dovrei farlo al padro-ne di casa e magari all’idraulico semiriallacciailtubodelgas».Ineffet-ti, l’idraulico era una questionegrossa. Una delle poche che le im-portasse ancora. Il gas era l’ultimomodo rimasto per accendere le si-garette: «Tutti questi accendiniconlasicura perbambini... Inreal-tà è la sicura anti-Merini, non rie-scopiùadaccendereniente...Inva-canza per i bambini... Gli accendi-niperibambini...Tuttoperibambi-ni... E io non posso avere nemme-no un vicino anziano che resti quianche lui...».

Lei era viva e quindi conscia del-lamorte,leimportavanoquindiso-lo le cose piccole della vita, le cosepiccolechesonounversoanchese

non finiscono su carta. Inutile par-larledelcomitatoperilNobel,diri-conoscimenti o premi. Li conside-ravamoltopiùirrilevantidella cor-nucopia d’argento con i confettiche qualcuno le aveva inviato perun matrimonio. «Me li mandino ipremi, con un milione di euronon si compra amore, attenzio-ne...Tidimenticanoanchequan-do ti ricordano...». Accettava diavere persone accanto, ma perpazienza, accettava di essere

una icona ma quasi per sbaglio(«Piaccio molto ai gay... Genteche non vuol baciarmi»). Ma inrealtà avrebbe voluto una cosasola: infrangere un muro che so-lo lei, Alda, sembrava vedere, unmuro che la separava dagli altri.«Milano è la mia casa, ma non èdavvero più quella di una volta,sembra il paese dei balocchi. Or-maimipiacesolodi notte. IlDuo-modinotteèbellissimo,il Castel-lo Sforzesco di notte è bellissi-mo... Io non esco ma lo so... Dinotte sogno, l’ho gia detto?». Macosa sognava: «Ragazzi bellissi-mi... Che mi baciano... Peccatoche quando mi sveglio non ci so-no più, mentre le bollette invecesì... Sai che il Magnificat l’hoscritto ispirata da un carpentie-re... Era bellissimo, mi ha datol’ideadell’angelo». Le ho chiestose era quel Magnificat: «Sì, quel-lo che Wojtyla teneva sul como-dino, lui era grandissimo, uma-no, uno splendido Pontefice...La sua malattia quanto mi ha fat-to soffrire... Ormai penso spessoalla morte... Mi chiedo comemai la vita si risveglia ogni matti-na portandosi dietro una Meriniche preferirebbe morire nel son-no... Ma non è la morte, è la vec-chiaia il problema... Non il mori-re, ma il morire sola come un ca-ne».

Ora se ne è andata davvero edè difficile dire se nel farlo si siasentita ancora sola o, forse per laprima volta, abbia sentito l’ab-bracciodelle cose, quelloche an-cheil versopiù bellonon puòrac-chiudere.

Silvio Ramat

I n molte edizioni delle opere di Alda Meriniaccanto ai testi nuovi se ne trovano ripropo-sti anche di abbastanza lontani. Ma, a riconsi-derarne l’intero percorso, credo rimangano

due i momenti capitali della sua poesia.Il primo corrisponde al suo esordio folgorante,

a quando nel ’50 Giacinto Spagnoletti la rivelò, leimilanese diciannovenne, includendola in un re-pertorio prestigioso: Poesia italiana contempora-nea 1909-1949. Fu appunto Spagnoletti il vero sco-pritore di Alda – l’aveva conosciuta nel ’47 –, fu luiancora a pubblicarla nella collana che dirigevaper Schwarz (La presenza di Orfeo, 1953). Ma èdoveroso menzionare altri lettori, capaci di chiari-re criticamente alla Merini (i cui studi non eranoandati oltre la scuola d’avviamento) certi caratte-ri della sua stessa poesia, così impetuosa e abnor-me. Da Angelo Romanò a Maria Corti e a GiorgioManganelli (che Alda poi ricorderà «maestro diun’epoca intera»); e a Quasimodo, Betocchi, Tu-roldo... Proprio la Corti, nell’introduzione a Vuo-to d’amore (Einaudi 1991) noterà che nel librettodel ’62, Tu sei Pietro (Scheiwiller), la Merini sem-bra già assillata da una tensione, apparentemen-te contraddittoria, a fondere «impulsi religiosi ederotici, cristiani e pagani».

Tra le raccolte che (ri-)confluiscono in Vuotod’amore spicca La Terra Santa, più volte stampa-ta e ristampata (addirittura in due edizioni quasicoeve e concorrenziali: Scheiwiller 1983 e Lacaita1984, prefate rispettivamente dalla Corti e da Spa-gnoletti!). La Terra Santa deriva dalla terribileprova decennale, 1962-72, dell’internamento nel«Paolo Pini» di Affori: «Manicomio è parola assaipiù grande/ delle oscure voragini del sogno...»;«Il manicomio è una grande cassa di risonanza/ eil delirio diventa eco/ l’anonimità misura...». Se-quenza spesso infernale, che nasce dallo spaven-to e produce spavento. Osserva la Corti che «ilpopolo dei folli di Affori, con le mani aggrappatealle sbarre, si configura speculare al popolo “pre-diletto da Dio”». Donde «la sovrapposizione Ter-ra promessa-Manicomio»; e, aggiungiamo noi, lasacralità diffusa per l’intera sequenza, che è dav-vero il secondo momento capitale di questa poe-sia, dopo la stagione orfica di giovinezza.

Fra così dolorose traversie, la Merini ha saputomettere al mondo quattro figlie; e sposarsi duevolte: la seconda, col medico-poeta Michele Pier-ri («Pierri divino, ... condottiero di nostalgia»),che per età poteva esserle padre. Dati che perònon si sono mai inseriti in una esistenza «norma-le»: di fatto e dunque – per ciò che qui interessa –un troppo o un troppo poco han sempre contras-segnato le pagine della Merini, abissali nella so-stanza e cupe anche là dove paiano più ispirate abonomia. Come ad esempio nelle Satire della Ri-pa (la Ticinese, dimora di Alda). Lì persone e luo-ghi fanno campionario vivace – tabaccaio e prosti-tuta, osteria e negozio di frutta e verdura – ma nontanto da animare i congegni di una allegria possi-bile.

Insieme con altre raccolte ch’era bene ripubbli-care (Destinati a morire, Le ripe petrose, Foglibianchi), le Satire fanno parte ora di un volumepiuttosto corposo che comprende di nuovo LaTerra Santa e anzi ne riadotta il titolo (Scheiwiller1996). C’è in esso quanto giova a cogliere il valoredell’itinerario poetico dall’80 in qua; mentre perquel che precede l’80 può servire l’antologico Te-stamento (Crocetti 1988) a cura di Giovanni Rabo-ni. Un discreto successo, anche di pubblico, haaccompagnato da ultimo la Merini (premio Li-brex-Guggenheim 1993; premio Viareggio 1995),sollecitandola a un frequente esercizio della pro-sa: dal Diario di una diversa (Scheiwiller 1986) aDelirio amoroso (Il melangolo 1989), a La pazzadella porta accanto e a La vita facile (Bompiani1995 e ’96).

Ma le prose non alterano la fisionomia già affi-data, e con più ardore, alle poesie, a quello cheAmbrogio Bersani, nella premessa a Superba è lanotte (Einaudi, 2000) giudica un «sistema poeticoassolutamente singolare», i cui motivi resistonoalla continua sperimentazione: «L’ansia, l’amo-re, i confini sbarrati della reclusione e lo slanciovitale della resurrezione».

Dietro la dolcezzaun mondo cupoe contraddittorio

AMICI «Adulazione tantacompagnia poca... avreibisogno di qualcunocon cui passar il tempo»

LA MORTE DI ALDA MERINI

DISINGANNO «Me limandino pure i premi...ti dimenticano anchequando ti ricordano...»

La poetessa dei folli e dei NavigliAveva 78 anni ed era malata da tempo. Autodidatta, scoperta da Spagnoletti, lanciata da Maria Corti,l’autrice della «Terra santa» ebbe una vita segnata dal ricovero in manicomio. E da amori tormentati

Si è spenta ieri a Milano, all’età di settantottoanni,AldaMerini.Lapoetessa,lecuicondizio-ni di salute erano precarie, era ricoverata daalcuni giorni all’ospedale San Paolo di Mila-no, nel reparto di oncologia, a causa di un tu-moreosseo.Considerataunadellepiùgrandiscrittrici italiane del ’900, aveva cantato neisuoi versiil disagio e la malattia mentale. Erastato fondato anche un comitato per candi-darla al Nobel. La camera ardente sarà, pro-babilmente, allestita oggi a Palazzo Marino.

Il critico

Nata in una famiglia di condizioni modeste (pa-dre dipendente di una compagnia assicurativa emadre casalinga), A. Merini frequenta da ragaz-za le scuole professionali all’Istituto Laura Sole-ra Mantegazza e cerca, senza riuscirci (per nonaver superato la prova di italiano), di essere am-messa al Liceo Manzoni. Esordisce come autricegiovanissima, a soli 15 anni, sotto la guida di Gia-cinto Spagnoletti che fu lo scopritore del suo ta-lento. Nel 1947, Merini incontra «le prime ombredella sua mente» e viene internata per un mese aVilla Turro. Nel 1953 esce il primo volume di ver-

si intitolato La presenza di Orfeo e nel 1955 NozzeRomane e Paura di Dio. Nel 1961 pubblica Tu seiPietro. Dopo Tu sei Pietro inizia un triste periododi silenzio e di isolamento, dovuto all’interna-mento al «Paolo Pini», che dura fino al 1972. Nel1979 la Merini ritorna a scrivere, dando il via aisuoi testi sulla drammatica esperienza del mani-comio, testi contenuti in La Terra Santa e L’altraverità. Diario di una diversa. Nel febbraio 2009 aMilano era nato un comitato per ottenere che adAlda Merini venisse concesso il Nobel per la lette-ratura.

SOLITUDINE Alda Merini è stata una delle poetesse italiane del Novecento, ha cantato la solitudine e la follia [Grazianeri]