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FOSCO FALASCHI Parole alla gioventù LA CURA DELL’ODIO 1936

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Le parole alla gioventù di un anarchico antifascista fuoriuscito che diede la vita a Monte Pelato nella colonna Ascaso.

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FOSCO FALASCHI

Parole alla gioventù

LA CURA DELL’ODIO

1936

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Giovane che persegui con ansia la via dell’intensa vita; ragazzo che aneli scoprire il percorso creativo che plasmi in cose grandi e belle la potenza morale che il tuo nascente idealismo fa sbocciare nella tensione spirituale in cui si agita il tuo essere; amico negli ideali, fratello nell’umanità: curati dall’odio, immunizzati contro l’odio.

L’odio è sempre la passione barbara che cova negli istinti gregari. Non c’è delitto più perfido che quello di seminare l’odio nei cuori giovanili. Ci sono due classi di delinquenti che avvelenano la gioventù: quelli che deviano l’immensa capacità di amore dei giovani verso un amore feticista, bastardo e colpevole verso le cose naturali e sovrumane in modo confuso, e quelli che corrompono i sentimenti dei giovani inculcando loro odio verso gli uomini, che sia in nome di una o di un’altra causa.

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L’odio è stato da tempi immemorabili una delle grandi molle della storia; attualmente è uno dei più potenti motori della vita collettiva che muove gli interessi delle classi, delle nazioni, delle razze. Per questo l’avanzamento evolutivo prende il corso unilaterale dell’elaborazione quasi esclusivamente materialista del progresso, e l’uomo si trova imprigionato nel freddo e meccanico cerchio di ferro delle sue stesse creazioni. Manca l’elemento morale dalla vita contemporanea. E la solidarietà stessa non poche volte coadiuva la strutturazione di istituzioni, costumi ed interessi subalterni, quando non addirittura contrari ai grandi fini universali dell’insieme umano. Tutti i fini individuali che non si articolano con il vincolo della solidarietà comune sono negativi ed immorali, e lavorano per il rinforzo di tutte le modalità attive e passive, dirette o indirette, dell’odio al proprio simile.

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Il rivoluzionario può utilizzare l’odio popolare come una forza in più per la trasformazione, però non lo deve coltivare. Così come l’operaio utilizza una pianta spinosa, già che la trova in natura nei campi, con il doppio fine di utilizzarla per opere utili e di eliminarla come erbaccia dai campi, e non la coltiva perché con lo stesso sforzo può ottenere un albero più bello, meno dannoso, e un legno migliore e più utile, così l’innovatore canalizza l’odio che incontra nella selva delle passioni del popolo in direzione creativa, facendo in modo di distruggerne (dell’odio) l’essenza, nel momento stesso che ne utilizza il dinamismo per realizzare creazioni generose. Sarebbe assurdo e pregiudizievole seminare l’odio quando con minori sforzi e più degni e proficui modi di fare si può coltivare l’amore, che è la forma specifica della solidarietà sociale, il genio della vita che dà impulso e satura il lavoro ri-creativo di tutte le

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grandezze umane ed universali. Il rivoluzionario è il giardiniere delle passioni, utilizza tutto quello che c’è per coltivare e selezionare le più belle piante dello spirito. La rivoluzione, con la sua alchimia trasformativa, muta gli egoismi in sentimenti, e i mali in fertilizzante dei beni. Così come la madre metamorfizza il suo egoista amore sessuale, pura fiamma dell’istinto, elevando i propri sentimenti alla forma più sublime dell’amore materno e matriarcale, così la rivoluzione, materia sociale, coscienza umana, trasforma gli avari interessi personali e di gruppi in forze di amore che concorrono al grande proposito della cooperazione generale. La rivoluzione che si dimostri impotente nel trasformare l’odio in amore non potrà portare alla luce una nuova civilizzazione.

La posizione dell’anarchico è quella della vedetta che, prendendosi cura del bene di tutti, obbliga gli uomini a liberarsi degli ostacoli che impediscono di realizzare il

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buon cammino per il complesso degli uomini tutti.

L’Anarchia, proposito di aiuto mutuo universale, non lancia gli uomini gli uni contro gli altri, ma piuttosto li associa tutti per la lotta contro il male. E come il male non è l’uomo ma la sua perversione, l’anarchico rigenera l’individuo dai suoi difetti, e in più non gli procura né danno né detrazione. L’anarchico vuole ripristinare la vita, conducendola di nuovo nel naturale alveo della libertà: per questo elabora le mille sfaccettature della scienza dell’uomo libero, che è la scienza dell’uomo di bene, dell’uomo che è infinitamente umano, perché sente cognizione di tutto il dolore e di tutto il piacere dell’umanità. In questa esperienza di umanità l’odio, come fine, non regge, non può conservare alcun oggetto, perché ogni passione di odio è il dissociante specifico dell’ordine libero.

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Nella società borghese, il mezzo è la lotta, il fine è l’indipendenza dell’individuo e del congiunto sociale. Dentro di essa, l’aspirazione dell’uomo consiste nel liberarsi economicamente dalle responsabilità produttive. Colui che vive di rendita è il prototipo di tale sistema: l’uomo che ha lottato e che, alla fine, ha ottenuto la ricompensa, lo stupido confort di vivere alle spese dello sforzo altrui. Stando così le cose, l’odio verso il prossimo, più che una conseguenza è una necessità; l’uomo ha necessità di odiare per sentirsi indifferente di fronte all’enorme quantità di mali che con il suo sforzo ha causato, per essere immune al dolore che vede dappertutto, per conservare senza rimorso l’accaparramento di sostanze che ha sottratto alle necessità comuni, per armare il braccio degli sbirri che difendano le sue prede, e per sovvenzionare le costituzioni che proteggano il suo diritto a disporre individualmente di quanto appartiene a

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tutti. L’esistenza del perfetto borghese sarebbe un supplizio inenarrabile se la sua condizione umana non fosse ermeticamente immunizzata attraverso l’odio. Chi potrebbe descrivere il terribile conflitto tra il suo temperamento usuraio ed i suoi sentimenti umanitari di fronte al dolore e alla miseria che tanti esseri patiscono per causa sua? Per la stessa ragione per cui l’uccello vola e il pesce nuota, il borghese necessita di essere immunizzato attraverso l’odio per non soccombere all’orrore che potrebbe provocargli lo spettacolo dei suoi disumani procedimenti.

Se per lo sviluppo della vita borghese è necessario l’odio per sviluppare l’indifferenza verso gli umani, la qual cosa è conseguenza passiva e meschina dell’odio, per il fiorire degli uomini verso la vita libera è necessario che l’odio sia ridotto alla minima espressione mediante una generosa saturazione di simpatia

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umana. Nessuno se non la gioventù è materia sensibile in cui questa saturazione di umanità deve penetrare tutte le fibre del sentire e del pensare. Vecchiaia, ha detto Barrett, è degenerazione. Non c’è niente di più spregevole dell’azione degli adulti che, prendendo energie negative dal proprio odio, scatenato dagli esseri e dalle cose che li attaccarono attraverso la loro esistenza (per il fatto di esistere), cercano di inculcarlo nei giovani cuori della gioventù che, albori potenziali di nuove e migliori vite, appartengono per intero alle realizzazioni di una Società più giusta, regolata dall’espansione comunitaria dell’amore.

Non vale sostenere che la giustizia del fine legittima l’impiego di tali mezzi. Il movimento dei mezzi è l’elaborazione attuativa e la materia del fine. Il fine non è bussola bensì risultante. Il fine anarchico è una risultante cosciente. Il primo lavoro preparatorio dei giovani dovrebbe

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consistere nel liberarli dalla tara ereditaria o ambientale dell’odio. In caso contrario, si corre il rischio di complicità nella creazione di masse irresponsabili che perseguono la distruzione incoerente e vandalica, di ciurme (masse) che, quando arrivi il momento psicologico, sono sempre disposte ad aggredire chiunque e qualsiasi cosa, ogni volta che in questo vedano sicura impunità.

Per eredità o per educazione, il bambino che si fa uomo porta nel suo temperamento un lievito di odii che aspettano l’albeggiare dell’età per scoppiare nel suo carattere e manifestarsi nei suoi atti. Per quanto la natura giovanile sprizzi allegria e doni nello spirito dell’adolescente, questi regali della vita non bastano a neutralizzare il presente greco (??) trasmesso alle generazioni attraverso le inquietudini e vicissitudini di molti millenni di lotta inter-umana per l’esistenza. La psicologia

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giovanile raccoglie le ombre dello spettro della barbarie, e una Società aggressiva sviluppa queste inclinazioni temperamentali. Se manca un’infanzia di amore in libertà che possa liberare il giovane da questo peso nefasto del male dei secoli, egli giungerà agli anni della giovinezza albergando il nemico dell’uomo nel suo proprio essere. Quando non abbondano le carezze della madre e quando sono impossibili le incomparabili lezioni di una precoce esperienza libera, il bambino incuba e matura gli odii innati sotto l’aggressione dei foschi attacchi della Società, e questa reazione e riedizione degli odi ancestrali si traduce in atti antisociali. La sua difesa sarà l’attacco. Secondo la sua idiosincrasia fisica o temperamentale, attaccherà politicamente, giuridicamente o illegalmente, con idee o fatti, come operaio o come parassita, come militare o come letterato, come ignorante o come filosofo, però attaccherà sempre.

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Per tutte le manifestazioni dell’odio vi è un antidoto unico, quello dell’amore. Ci sono molte varianti dell’amore. L’amore per la famiglia, l’amore per la natura, l’amore per l’arte. Però vi è una forma dell’amore ancora più elevata che le comprende tutte e le eleva al piano del sublime, poiché liquida tutte le vestigia bastarde dell’egoismo animale e dell’interesse. Tutta la vasta e variata gamma di amori che nobilitano l’individuo trae il proprio sano ed efficace contributo alla felicità esclusivamente personale dal fine crogiolo dell’equanimità universale. Questa somma degli amori, questo equilibrio di chi ama se stesso e vuole essere felice di questa felicità in cui gli egoismi individuali si umanizzano, in cui nell’uomo il desiderio di amare è l’amore per il genere umano.

Il senso della vita può essere imbastardito dall’egoismo animale più o meno grossolano, ed anche dalla crudeltà, se

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non lo purifica e non lo rende ragionevole un’etica sociale, una passione, un senso di umanità che adegua e connette le parti nel grande tutto della vita individuale e collettiva della famiglia umana, perseguendo il fine, il grande e supremo fine della felicità universale. L’uomo deve vivere armonicamente tutti gli amori di cui ha bisogno il suo corpo e il suo spirito, perché vuole essere felice. Però la sua felicità non lo renda solitario nella Società, come il beduino nel deserto, ma la persegua come elemento e conseguenza della felicità comune. Per questo elabora nello spirito e nelle cose per far sì che tutta la sinfonia delle sue varianti amorose si accordi all’inno della felicità sociale; per questo vertebra i suoi amori particolari con l’immenso principio morale della felicità umana. Il suo spirito non si limita al godimento negli amori ristretti e negli ideali codardi. Ha scoperto un nuovo orizzonte per l’ espansione delle forze

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morali della sua personalità e verso questo si incammina.

Se applichiamo il paragone biologico al processo di differenziazione affettiva degli uomini, renderemo più chiari i concetti esposti. Per esempio: nella Natura ogni funzione superata da una superiore passa ad essere un mezzo che coopera alla complessità evolutiva della nuova fase funzionale. In tutti gli organismi animali, gli organi che non sono più “centro” si convertono in strumenti che obbediscono al nuovo centro. A sua volta la sfera amatoria degli uomini si amplia in questo modo: l’io, il coniuge, la famiglia o tribù, il paese, la patria, la razza, l’Umanità. Questo processo di differenziazione ed universalizzante delle sensazioni affettive procede sempre per ordine cronologico, ma sempre costantemente in relazione ad un ordine civilizzante, di cui è causa ed effetto.

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Nella tribù e nel paese si sviluppa l’aspetto solidale per la realtà immediata.

L’amore per la patria ha ampliato il raggio della simpatia umana, estendendo i diritti a vaste circoscrizioni geografiche. Il suo effetto morale più importante è aver costituito la prima sintesi degli amori particolari. La famiglia passò ad essere cellula della comunità.

La simpatia fondata sulla somiglianza fisica, idiosincrasica e geografica della razza, ampliò considerevolmente l’area degli affetti e dei diritti. Le civilizzazioni precolombiane, cinesi, indiane, egizie, grecoromane, etc. crearono il miracolo delle prime fusioni e cristallizzazioni di razze che realizzarono le stupende sintesi fisiche, spirituali ed intellettuali che servono da base per il progresso umano.

E fu attraverso gli scontri e i valori di questo avanzare doloroso e caotico, a volte rapido, o lento, o sincronico, o discorde; a volte preciso, netto; a volte

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confuso ed anche regressivo, che, nella confusione dei fatti che realizzarono il flusso e riflusso della Storia, apparvero, in ordine diseguale nel tempo però nello stesso grado di cultura morale, gli uomini superiori che dilatarono la loro sfera amatoria fino a comprendere l’Umanità intera nel raggio dei propri affetti. Figli del dolore e dell’amore, forgiati a fuoco dallo scontro tra civiltà e barbarie, vengono a proclamare l’armonia funzionale e spirituale nella vita, a dare coerenza ai mezzi e chiarezza ai fini, all’anelata sintesi delle aspirazioni umane; al desiderio assillante, onnipotente, di stabilire l’era augurale di una vita conforme ad una morale che derivi dalla felicità universale.

Tale è il processo degli uomini. Nel nostro tempo l’ideale degli esseri deve essere quello dell’ultimo progresso della vita affettiva. Fissare il fine delle azioni umane in qualsivoglia delle sfere inferiori

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e relative di questa scala degli amori, equivale a retrocedere moralmente al passato; significa riportare ad un fine ciò che non è più che un mezzo. Tutti gli amori relativi, particolari, non sono altro che mezzi sulla base dei quali si alleva e si educa individualmente per concorrere alla consapevolezza del gran fine assoluto, completo, illimitato della solidarietà umana. Ognuno degli amori relativi è qualcosa di più che un mero godimento intrinseco e personale di una delle tante esperienze che l’uomo ha bisogno di vivere pienamente per conoscere, potenziare ed educare tutta la gamma delle passioni umane che lavorano, insieme con le condizioni materiali e coi principi sociali e morali necessari al gioco sinergico libero, per la totalità delle relazioni della famiglia umana.

La società borghese, carente di alte finalità e ostile all’unirsi del genere umano, ha sviluppato una pleiade di artisti di ogni

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genere che si sono dati esclusivamente all’apologia dell’amore sensuale.

I preliminari e le vicissitudini dell’unione umana sono quasi il solo motivo e tema della letteratura degli ultimi secoli. Questa molteplice chiacchiera pagana intorno alla capricciosa passione dei sentimenti è riuscita, se non a cristallizzare definitivamente in questo aspetto dell’amore il fine dell’esistenza, ad esacerbare le funzioni e le fantasie genetiche, sollevando l’onda del sensualismo che attualmente invade il mondo occidentale, anchilosando così l’impulso della vibrazione amorosa degli uomini verso le finalità universali. Sovvertito il fine, meschino il tema, l’arte borghese non ha potuto nemmeno uguagliare l’arte pagana o religiosa.

Quando la già forte potenza di amare le cose umane non incontra la sua causa naturale in una sociologia pratica e vissuta, la ripulsa dell’ambiente conduce la

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gioventù a sperperare queste forze in missioni assurde, irreali e anche troppo precoci. Con qualificativi/appellativi diversi minacciano la gioventù con una moltitudine di inclinazioni che conducono alla volubilità e alle opere inutili. In tal caso la forza morale dell’amore sociale adotta le modalità filosofico-religiose dei culti ancestrali e le non meno dannose credenze precoci di un panteismo feticista e confuso, che avanza, immaturo e vacillante, verso gli ideali di un lontano avvenire. Questo amore infermo e mistico verso una natura e cose inquinate, quando c’è tanto dolore da eliminare e tanta ingiustizia da abbattere, è, essenzialmente, una deviazione sterile della necessità di amare che esce dall’orbita naturale efficace, e che assomiglia non poco alla debolezza di certe donne per i cagnolini da compagnia (donnaioli) ed altri animaletti non molto nobili. Assomiglia anche alla disperazione del poverello di Assisi, che di fronte all’indifferenza degli

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uomini per le cose celestiali, dirigeva la sua predica agli animali. Gli uni e gli altri desiderano prodigare il bene, però ne guastano gli effetti non sapendo trovare il campo per le loro coltivazioni.

Indiscutibilmente ognuno di questi cicli amatori è stato in principio un fine, un obbiettivo naturale dell’esistenza, e ciascuno ha apportato alla personalità umana sviluppo delle virtù che costituiscono il magnifico mosaico dei temperamenti umani. Lo squilibrio di queste passioni nel tempo ha forgiato potentemente le differenze individuali, differenziazioni che, a loro volta, sono il più sicuro fondamento della libertà contemporanea e futura.

L’ascendente remoto dell’uomo cominciò amando se stesso, come modo di difesa contro le cose; mise in atto così il principio ineludibile della libertà individuale.

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Con Freud o senza di lui, la madre all’inizio ama il bambino come una parte del suo proprio essere. La vita sessuale che le moderne dottrine dicono di scoprire nell’amore materno sarebbe la confusa reminiscenza del remoto ascendente preumano unisessuale o bisessuale. Nel matriarcato nasce l’amore per la famiglia, e la conseguenza più accentuata di questo è la fissazione dei tipi e caratteri umani. Nessuno ha il diritto di scegliere il cammino della cattiveria. Ed essere indifferente alle sollecitazioni della vita sociale equivale a prendere il cammino del male, perché si perde il nord della vita e le azioni deviano in atti che possono risultare altamente pregiudizievoli per il bene pubblico.

Ogni volta che lo spirito di umanità, cioè l’amore nella sua ultima fase progressiva, non presiede a tutti gli amori e a tutte le azioni degli uomini, l’individuo è preda sicura degli odii che montano nei mille

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artigli della collettività e che provocano la reazione dell’odio individuale. E’ così che l’individuo opera con egoismo brutale anche quando ama intensamente, perché per servire i fini del suo amore attacca, alla cieca, gli interessi collettivi, e così avvelena la sua vita e coltiva la sua infelicità morale.

Così quindi, l’unica terapia dell’odio è l’amore per l’Umanità, perché quando vibra intensamente concorre a reggere, conformare e sostanziare tutte le modalità dei desideri umani, regolandoli in un’armonia naturale che liquida le passioni odiose, elevando lo spirito dell’uomo fino alle altezze di un’esistenza morale in cui la felicità dell’individuo può essere immensa, poiché è umana, cioè si cimenta e si nutre nell’umanità, coadiuvandone il benessere, mentre contemporaneamente soddisfa tutti i suoi desideri e passioni.

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Città di Castello (PG) 21 novembre 1899

Monte Pelato (Huesca -E-) 28 agosto 1936

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Raccolto da Vladimiro Munoz (1974) in Antologìa àcrata espanola e rieditato in Anarquistas Dolors Marin (2010)

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Tradotto e rieditato a cura del

CIRCOLO CULTURALE ENRICO ZAMBONINI

Luglio 2011