jacques monod: invarianza e perturbazioni · biologia molecolare, cioè all’interno della logica...

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Jacques Monod: Invarianza e perturbazioni “II caso e la necessità” è un famoso scritto del biologo francese Jacques Monod (1910-76), nel quale a livello di biologia molecolare, cioè all’interno della logica dei meccanismi viventi, nel microscopico “sistema cibernetico” con cui tali organismi si riproducono, si individua una possibilità nuova di combinazione fra caso e necessità. Difatti, si afferma che è il caso a intervenire negli eventi iniziali dell’evoluzione, ma sono meccanismi di tipo deterministico a operare nello sviluppo successivo degli organismi. Secondo Monod: vi è una convergenza fra la metafisica bergsoniana, che affermava il carattere creativo dell’evoluzione, e l’assoluto carattere di novità che nella scienza moderna hanno gli eventi iniziali che schiudono la via dell’evoluzione; tali eventi costituiscono solo alcune fra le infinite possibilità di variazione che esistono nella natura; comunque, una volta iscritte nel DNA, le variazioni vengono riprodotte su scala allargata in forma deterministica; quindi nell’evoluzione sono compresenti sia il caso che la necessità. Bergson - lo si ricorderà - scorgeva nell’evoluzione l’espressione di una forza creatrice, assoluta nel senso che egli la supponeva tesa all’unico fine della creazione in sé e per sé. In questo egli differisce dagli animisti (si tratti di Engels, di Teilhard de Chardin o dei positivisti ottimistici come Spencer) che, nell’evoluzione, vedono il grandioso svolgersi di un programma iscritto nella trama stessa dell’Universo. Per costoro, quindi, l’evoluzione non è in realtà creazione, ma soltanto “rivelazione” degli intendimenti ancora inespressi della Natura. Donde la tendenza a scorgere nello sviluppo embrionale un fenomeno dello stesso ordine di quello evolutivo. Secondo la teoria moderna, il concetto di “rivelazione” si applica allo sviluppo epigenetico [= lo sviluppo dall’embrione a partire da una matrice indifferenziata] ma, naturalmente, non al fatto evolutivo che, proprio in quanto ha origine nell’imprevedibile essenziale, è creatore di novità assoluta. Forse che quest’apparente convergenza tra le vie della metafisica bergsoniana e quelle della scienza è ancora dovuta a una pura coincidenza? 1 Può darsi di no: Bergson, artista e poeta quale egli era, è d’altronde molto ben informato sulle scienze naturali del suo tempo. [...] Ma laddove Bergson vedeva la prova più evidente che il “prin- cipio della vita” è l’evoluzione stessa, la biologia moderna riconosce, al contrario, che tutte le proprietà degli esseri viventi si basano su un meccanismo fondamentale di conservazione molecolare. Per la teoria del giorno d’oggi l’evo- luzione non è affatto una proprietà degli esseri viventi, in quanto ha le sue radici nelle imperfezioni stesse del mec- canismo conservatore che, invece, rappresenta il loro unico privilegio. [...] Gli eventi iniziali elementari, che schiudono la via dell’evoluzione ai sistemi profondamente conservatori rappresentati dagli esseri viventi sono microscopici, fortuiti e senza alcun rapporto con gli effetti che possono produrre nelle funzioni teleonomiche [= finalizzate a uno scopo]. Ma una volta inscritto nella struttura del DNA, l’avvenimento singolare, e in quanto tale essenzialmente impre- vedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto in milioni o miliardi di esemplari. Uscito dall’ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità 2 delle più ineso- rabili determinazioni. La selezione opera in effetti in scala macroscopica, cioè al livello dell’organismo. [...] In effetti, la selezione agisce sui prodotti del caso e non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un campo di necessità rigorose da cui il caso è bandito. Da queste necessità, e non dal caso, l’evoluzione ha tratto i suoi orientamenti gene- ralmente ascendenti, le sue successive conquiste, il dipanarsi ordinato di cui offre apparentemente l’immagine. [...] Tenuto conto dell’entità di quest’enorme lotteria e della rapidità con cui gioca la Natura, non è più l’evoluzione, ma la stabilità delle “forme” nella biosfera, a sembrare difficilmente spiegabile, se non quasi paradossale. [...] La straor- dinaria necessità di certe specie, i miliardi di anni coperti dall’evoluzione, l’invarianza del “programma” chimico fonda- mentale della cellula, tutto questo si spiega evidentemente solo con l’estrema coerenza del sistema teleonomico che, nel corso dell’evoluzione, ha dunque contemporaneamente agito da guida e da freno 3 , trattenendo, amplificando, integrando solo una minima frazione delle possibilità che la “roulette” della natura gli offriva in numero astronomico. J. Monod, // caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, 1970. 1 Viene riconosciuto da Monod il valore scientifico dell’intuizione “metafisica” bergsoniana dell’evoluzione creatrice. Essa si contrappone all’idea - che è stata di impronta religiosa con il teologo Teilhand de Chardin e materialistica con Engels - di un programma evolutivo già preformato nella natura. 2 Monod, a differenza di ciò che aveva affermato Bergson, vede operare nella logica riproduttrice interna del DNA non più una “evoluzione creatri- ce” quanto un meccanismo rigidamente deterministico, per il quale non è il caso, ma la necessità a dominare. In tal senso, afferma, la necessità opera sui prodotti del caso. 3 Monod rovescia con un (apparente) paradosso il discorso sul caso e la necessità: straordinaria non è tanto la “creatività” e la “casualità” con cui si attivano le linee dell’evoluzione, quanto la grandiosità e la regolarità dei processi di riproduzione, quindi la complessiva stabilità della biosfera, il fatto che solo una minima parte delle infinite potenzialità “creative” della natura siano state attivate.

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Jacques Monod: Invarianza e perturbazioni

“II caso e la necessità” è un famoso scritto del biologo francese Jacques Monod (1910-76), nel quale a livello di biologia molecolare, cioè all’interno della logica dei meccanismi viventi, nel microscopico “sistema cibernetico” con cui tali organismi si riproducono, si individua una possibilità nuova di combinazione fra caso e necessità. Difatti, si afferma che è il caso a intervenire negli eventi iniziali dell’evoluzione, ma sono meccanismi di tipo deterministico a operare nello sviluppo successivo degli organismi.

Secondo Monod: � vi è una convergenza fra la metafisica bergsoniana, che affermava il carattere creativo dell’evoluzione, e l’assoluto

carattere di novità che nella scienza moderna hanno gli eventi iniziali che schiudono la via dell’evoluzione; � tali eventi costituiscono solo alcune fra le infinite possibilità di variazione che esistono nella natura; � comunque, una volta iscritte nel DNA, le variazioni vengono riprodotte su scala allargata in forma deterministica; � quindi nell’evoluzione sono compresenti sia il caso che la necessità.

Bergson - lo si ricorderà - scorgeva nell’evoluzione l’espressione di una forza creatrice, assoluta nel senso che

egli la supponeva tesa all’unico fine della creazione in sé e per sé. In questo egli differisce dagli animisti (si tratti di

Engels, di Teilhard de Chardin o dei positivisti ottimistici come Spencer) che, nell’evoluzione, vedono il grandioso

svolgersi di un programma iscritto nella trama stessa dell’Universo. Per costoro, quindi, l’evoluzione non è in realtà

creazione, ma soltanto “rivelazione” degli intendimenti ancora inespressi della Natura. Donde la tendenza a scorgere

nello sviluppo embrionale un fenomeno dello stesso ordine di quello evolutivo. Secondo la teoria moderna, il concetto

di “rivelazione” si applica allo sviluppo epigenetico [= lo sviluppo dall’embrione a partire da una matrice indifferenziata]

ma, naturalmente, non al fatto evolutivo che, proprio in quanto ha origine nell’imprevedibile essenziale, è creatore di

novità assoluta. Forse che quest’apparente convergenza tra le vie della metafisica bergsoniana e quelle della scienza

è ancora dovuta a una pura coincidenza?1 Può darsi di no: Bergson, artista e poeta quale egli era, è d’altronde molto

ben informato sulle scienze naturali del suo tempo. [...] Ma laddove Bergson vedeva la prova più evidente che il “prin-

cipio della vita” è l’evoluzione stessa, la biologia moderna riconosce, al contrario, che tutte le proprietà degli esseri

viventi si basano su un meccanismo fondamentale di conservazione molecolare. Per la teoria del giorno d’oggi l’evo-

luzione non è affatto una proprietà degli esseri viventi, in quanto ha le sue radici nelle imperfezioni stesse del mec-

canismo conservatore che, invece, rappresenta il loro unico privilegio. [...] Gli eventi iniziali elementari, che schiudono

la via dell’evoluzione ai sistemi profondamente conservatori rappresentati dagli esseri viventi sono microscopici,

fortuiti e senza alcun rapporto con gli effetti che possono produrre nelle funzioni teleonomiche [= finalizzate a uno

scopo]. Ma una volta inscritto nella struttura del DNA, l’avvenimento singolare, e in quanto tale essenzialmente impre-

vedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto

in milioni o miliardi di esemplari. Uscito dall’ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità2 delle più ineso-

rabili determinazioni. La selezione opera in effetti in scala macroscopica, cioè al livello dell’organismo. [...] In effetti, la

selezione agisce sui prodotti del caso e non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un campo di necessità

rigorose da cui il caso è bandito. Da queste necessità, e non dal caso, l’evoluzione ha tratto i suoi orientamenti gene-

ralmente ascendenti, le sue successive conquiste, il dipanarsi ordinato di cui offre apparentemente l’immagine. [...]

Tenuto conto dell’entità di quest’enorme lotteria e della rapidità con cui gioca la Natura, non è più l’evoluzione, ma

la stabilità delle “forme” nella biosfera, a sembrare difficilmente spiegabile, se non quasi paradossale. [...] La straor-

dinaria necessità di certe specie, i miliardi di anni coperti dall’evoluzione, l’invarianza del “programma” chimico fonda-

mentale della cellula, tutto questo si spiega evidentemente solo con l’estrema coerenza del sistema teleonomico che,

nel corso dell’evoluzione, ha dunque contemporaneamente agito da guida e da freno3, trattenendo, amplificando,

integrando solo una minima frazione delle possibilità che la “roulette” della natura gli offriva in numero astronomico.

J. Monod, // caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, 1970.

1 Viene riconosciuto da Monod il valore scientifico dell’intuizione “metafisica” bergsoniana dell’evoluzione creatrice. Essa si contrappone all’idea - che è stata di impronta religiosa con il teologo Teilhand de Chardin e materialistica con Engels - di un programma evolutivo già preformato nella natura. 2 Monod, a differenza di ciò che aveva affermato Bergson, vede operare nella logica riproduttrice interna del DNA non più una “evoluzione creatri-ce” quanto un meccanismo rigidamente deterministico, per il quale non è il caso, ma la necessità a dominare. In tal senso, afferma, la necessità opera sui prodotti del caso. 3 Monod rovescia con un (apparente) paradosso il discorso sul caso e la necessità: straordinaria non è tanto la “creatività” e la “casualità” con cui si attivano le linee dell’evoluzione, quanto la grandiosità e la regolarità dei processi di riproduzione, quindi la complessiva stabilità della biosfera, il fatto che solo una minima parte delle infinite potenzialità “creative” della natura siano state attivate.