io sono diabolik

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"Io sono Diabolik", l'autobiografia del grande eroe dei fumetti a cura di Mario Gomboli.

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Chi sono?anni fa me lo ha chiesto anche “il mio miglior ne-

mico”, l’ispettore Ginko. Eravamo in una situazione molto particolare, prigionieri di una banda di assas-sini e certi della nostra prossima morte. In quella che sembrava l’ultima occasione, l’ispettore voleva sape-re del mio passato, delle mie origini, voleva conosce-re il mio vero nome, per dare finalmente un’identità all’ombra che aveva inseguito per tutto quel tempo. E io avrei voluto dargli una risposta esauriente, senti-vo che tutto sommato se la meritava. Ma non potevo.

ancora oggi la mia risposta sarebbe la stessa: “Io non so chi sono”.

se invece la domanda riguarda il presente, non ho difficoltà a dire che sono un ladro e quando serve un assassino, che vivo fuori da ogni legge, che sono un criminale. anche se il termine in sé non mi piace: cri-minale è chi viola la legge in maniera miope, per otte-nere un risultato immediato.

Io non accetto etichette così banali: io sono Diabolik. E basta.

Io non so chi sono

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Non so, non posso né voglio sapere

Tutto quello che so delle mie origini, o credo di sa-pere, è che sono stato fortunosamente recuperato dal-la scialuppa di salvataggio di una nave, affondata pro-babilmente al largo di una piccola isola nell’oceano orientale.

sono cresciuto laggiù, in mezzo a uno strano grup-po di uomini di nazionalità ed esperienze diverse. una trentina di persone provenienti dai quattro angoli del mondo con un solo elemento in comune: la scelta di dedicarsi al crimine. Professionisti, tecnici, scienziati, sicari e malviventi di ogni livello appartenevano tutti a un’unica, potente organizzazione.

negli anni ho imparato come il crimine, esercitato in modo geniale e sofisticato, può arricchire e dare pote-re a un uomo, in questo caso al temuto capo dell’iso-la. Tutti lo chiamavano, semplicemente ma con il mas-simo rispetto, king. non ho mai saputo neppure se quello fosse il suo vero nome. king non parlava mai di sé, della sua famiglia, delle sue amicizie o della sua vita prima di arrivare lì: usava l’alone di mistero in-torno alla sua persona per controllare gli uomini che lavoravano per lui.

Poiché nei paesi d’origine erano tutti ricercati, per molti l’isola era il solo posto in cui poter vivere liberi. Certo, alcuni si allontanavano per brevi trasferte, per compiere le loro azioni illecite in giro per il mondo; spesso poi, per potersi muovere, cambiavano il loro aspetto in modo radicale, sottoponendosi anche a in-terventi di plastica facciale... uno dei servizi garantiti dall’organizzazione di king. altri invece non lasciava-no mai l’isola: per loro era un rifugio e al tempo stes-so una prigione. king infatti non avrebbe mai permes-

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so che trapelassero i risultati delle ricerche scientifiche che stavano portando avanti.

solo in seguito mi sono accorto di quanto fosse ano-malo il regno che king era riuscito a costruire, anomalo e al tempo stesso eccezionale. aveva avuto l’intuizione di mettere insieme un’équipe di persone validissime, indipendentemente dalle loro origini, da quello che avevano fatto prima o dal motivo per cui si erano ri-fugiate lì. Finché sono rimasto sull’isola gli uomini con cui avevo più spesso a che fare erano un chimico industriale, il dottor Wolf, le cui ricerche sulle mate-rie plastiche mi sono servite per sviluppare la formu-la per creare le mie maschere; un ingegnere, suanda, al quale sono debitore per le nozioni di meccanica ed elettronica, ma anche per molte altre cose; il dottor Cen-Fu, un biochimico esperto di veleni; Dempur, un tagliatore di pietre preziose; e un medico chirurgo, il dottor lopez, che negli ultimi anni venne raggiunto da un cugino esperto di chirurgia plastica.

Il mio regno

ai miei occhi di ragazzino king appariva anziano, an-che se, probabilmente, non aveva più di cinquant’an-ni. alto e imponente, era affascinante con i suoi capelli candidi; i vestiti eleganti e l’atteggiamento altezzoso gli davano un’aria carismatica, che suscitava rispetto. Tut-to questo, oggi ne sono cosciente, poteva derivare solo da una grande esperienza. a distanza di anni posso dire che a suo modo king è stato per me il padre che non ho mai avuto, un mentore, la guida della mia adolescenza.

Da parte mia, io non sono stato un buon figlio, per lui. Ma, nel suo ultimo istante di vita, gli ho dimostrato di avere appreso tutto quello che aveva da insegnarmi.

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Il mio arrivo sull’isola e i miei primi anni lì mi sono stati raccontati: ero troppo piccolo per averne conser-vato un ricordo, e non so se king e i suoi uomini mi ab-biano detto la verità oppure mi abbiano mentito. In fin dei conti il fatto di essere stato trovato su una scialup-pa, unico sopravvissuto di un naufragio, è solo una storia che mi è stata riferita. Mi hanno detto che ave-vo all’incirca un anno e che sulla barca con me c’erano dei cadaveri, forse anche quelli dei miei genitori, ma chi fossero realmente non l’ho mai saputo. se c’erano dei documenti che identificavano loro o me, di certo sono andati distrutti. Per questo non conosco il nome che mi è stato dato alla nascita.

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