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CONGRESSO NAZIONALE Palazzo dei Congressi Firenze, 28 - 30 settembre 2016 INTERNATIONAL MEETING Presidenti del Programma Scientifico Luigi Pederzini Pietro Randelli SIGASCOT 2016 Presidente SIGASCOT Stefano Zaffagnini Presidente del Congresso Massimo Innocenti Società Italiana di Chirurgia del Ginocchio, Artroscopia, Sport, Cartilagine e Tecnologie Ortopediche ABSTRACT BOOK

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1016° CONGRESSO NAZIONALE

CONGRESSO NAZIONALEPalazzo dei Congressi Firenze, 28 - 30 settembre 2016INTERNATIONAL MEETING

Presidenti del Programma Scientifico

Luigi PederziniPietro Randelli

SIGASCOT 2016Presidente SIGASCOT

Stefano Zaffagnini

Presidente del CongressoMassimo Innocenti

Società Italiana di Chirurgiadel Ginocchio, Artroscopia,

Sport, Cartilagine eTecnologie Ortopediche

ABSTRACT BOOK

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La SIGASCOT desidera ringraziare per aver contribuito

alla realizzazione di questo Abstract Book

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6° CONGRESSO NAZIONALE

6° Congresso Nazionaledella

Società Italiana di Chirurgia del Ginocchio,Artroscopia, Sport, Cartilagine e

Tecnologie Ortopediche

SIGASCOT

Firenze, 28 - 30 settembre 2016

ABSTRACT BOOK

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 2

INDICE

COMUNICAZIONI ORALI

BEST PAPERS

Ricostruzione del legamento patello femorale mediale: valutazione post-operatoria biomeccanica pag. 17computer assistitaMt. Innocenti, F. Matassi, P. Ciprini, M. Innocenti, L. Sirleo (Firenze)

Studio multicentrico per la valutazione clinica e l’analisi quantitativa del Test del Pivot Shift nella pag. 18lesione del legamento crociato anteriore: quanto è importante il “guarding” del paziente?S. Zaffagnini, F. Raggi, C. Signorelli, G.M. Marcheggiani Muccioli, T. Bonanzinga, A. Grassi, N.F. Lopomo, M. Marcacci, PIVOT Study Group

Risultati della ricostruzione dell’apparato estensore con allotrapianti in protesi totale di ginocchio pag. 19A. Lamberti, F. Traverso, G. Balato, P. Summa, A. Baldini

Vantaggi della riparazione transossea artroscopica della cuffia dei rotatori. Studio prospettico pag. 20randomizzato controllatoC.A. Stoppani, C. Zaolino, A. Menon, P. Arrigoni, P. Cabitza, A. Tassi, P. Randelli

Sensibilizzazioni e allergie ai materiali nella protesica di spalla: è necessario un impianto anallergico? pag. 21A. Pautasso, P. Pellegrino, L. Mattei, M. Calò, F. Castoldi

Trapianto artroscopico di condrociti autologhi per il trattamento dell’osteocondrite dissecante del ginocchio: pag. 22risultati clinici e radiologici a lungo termineL. Andriolo, G. Filardo, A. Cavicchioli, A. Sessa, S.A. Altamura, B. Di Matteo, M. Marcacci, E. Kon

Ruolo dell’alfa-defensina nella diagnosi di infezione protesica di ginocchio pag. 23G. Balato, A. Lamberti, F. Carbone, A. Baldini

ARTROSCOPIA

La ricostruzione del legamento crociato posteriore con tecnica inlay: risultati clinici e radiografici sotto stress pag. 25con telos a f.u. minimo di un annoF. Giron, M. Losco, L. Giannini, A. Botti, R. Buzzi, D. Campanacci

Influenza delle variabili chirurgiche della ricostruzione del legamento crociato anteriore sulla pag. 26lassità statica postoperatoria?T. Roberti di Sarsina, C. Signorelli, F. Raggio, A. Grassi, G.M. Marcheggiani Muccioli, T. Bonanzinga, S. Zaffagnini, M. Marcacci

My approach to anatomic ACL reconstruction pag. 27K. Shino

Il posizionamento del tunnel femorale nella ricostruzione anatomica del legamento crociato anteriore: pag. 28il ruolo della tomografia computerizzata nella curva di apprendimentoL. Sirleo, F. Matassi, Mt. Innocenti, M. Innocenti

Quantificazione del Lachman test: Kira e KT1000 pag. 29F. Raggi, C. Signorelli, T. Roberti di Sarsina, A. Grassi, S. Zaffagnini, M. Marcacci, G.M. Marcheggiani Muccioli

Il posizionamento del tunnel femorale nella revisione di ricostruzione del legamento crociato anteriore con pag. 30tecnica outside-in: valutazione in TC con ricostruzioni 3-DF. Giron, M. Losco, L. Giannini, R. Buzzi

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6° CONGRESSO NAZIONALE 3

Il trattamento artroscopico della tendinopatia calcifica del sovraspinato: tecniche a confronto pag. 31S. De Giorgi, A. Castagna, B. Moretti

Il trattamento artroscopico dei tumori gigantocellulari tenosinoviali del ginocchio pag. 32S. Giannotti, G. Dell’Osso, F. Celli, E. Cei, F. Casella, N. Cazzella, G. Guido

Influenza della meniscectomia sulla lassità articolare del ginocchio in caso di lesione associata di pag. 33legamento crociato anterioreA. Grassi, C. Signorelli, T. Bonanzinga, G.M. Marcheggiani Muccioli, I. Akkawi, H. Galan, M. Marcacci, S. Zaffagnini

“Snapping” dei peronieri: trattamento tendoscopico pag. 34 M. Guelfi, A. Pantalone, V. Salini, J. Vega

Valutazione biomeccanica delle tecniche di sutura Modified Finger-Trap versus Modified Rolling Hitch pag. 35F. Fazzari, L. Camarda, M. Lauria, G. Pitarresi, M. D’Arienzo

Trapianto di menisco allograft con tecnica artroscopica: analisi di sopravvivenza di 147 pazienti pag. 36S. Zaffagnini, A. Grassi, G.M. Marcheggiani Muccioli, M. Serra, A. Benzi, T. Roberti di Sarsina, F. Raggi, G. Carbone, M. Marcacci

CARTILAGINE

Cicli annuali di terapia infiltrativa con plasma ricco in piastrine (PRP) in gonartrosi: è possibile un pag. 38miglioramento nel tempo?L. Diaz Balzani, B. Zampogna, S. Vasta, G. Torre, A. Tecame, V. Denaro, R. Papalia

Rimodellamento del tessuto osseo subcondrale dopo nanofratture: studio sperimentale in vivo pag. 39su modello animaleF.M. Uboldi, P. Zedde, M. Manunza, G. Giachetti, A.F. Manunta

Trattamento delle osteocondrosi dissecanti instabili di ginocchio negli adulti mediante l’utilizzo pag. 40di innesti osteocondrali autologhi (mosaicoplastica): risultati a lungo termineP. Stissi, M. Ronga, G. Angeretti, E. Genovese, P. Cherubino

Trapianto osteocondrale autologo per il trattamento delle lesioni del ginocchio: risultati e limiti pag. 41a 60 mesi di follow-upD. Reale, F. Perdisa, G. Filardo, B. Di Matteo, L. Andriolo, M. Marcacci, E. Kon

Utilizzo di scaffold osteocondrali biomimetici come procedura di salvataggio per le osteonecrosi pag. 42del ginocchio: follow-up a 4 anniS. Pasqualotto, F.M. Uboldi, D. Tradati, E. Usellini, P. Ferrua, M. Berruto

Il trattamento chirurgico dell’osteoartrosi precoce con uno scaffold biomimetico: risultati clinici a tre anni pag. 43di follow-upV. Condello, G. Ziveri, V. Madonna, D. Screpis, L. Dei Giudici, C. Zorzi

Scaffold osteocondrale biomimetico per il trattamento delle lesioni articolari del ginocchio: studio clinico pag. 44a due anni di follow-upR. De Filippis, A. Di Martino, G. Filardo, F. Perdisa, F. Iacono, M.P. Neri, M. Marcacci, E. Kon

Tecnica augmented AMIC con cellule mesenchimali da tessuto adiposo per la riparazione one step pag. 45dei difetti cartilaginei del ginocchioF.V. Sciarretta, C. Ascani (Roma)

Procedure di riparazione della cartilagine associate ad osteotomia di tibia prossimale nel ginocchio varo pag. 46con artrosi mediale: risultati clinici a 11 anni di follow upF. Castagnini, M. Baldassarri, R. Buda, L. Ramponi, S. Massimi, C. Faldini

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 4

Trattamento della sindrome post meniscectomia con scaffold meniscale. Valutazione clinico radiologica pag. 47a 3 anni di follow upL. Dei Giudici, V. Condello, V. Madonna, A. Gigante, C. Zorzi

Viscosupplementazione precoce dopo meniscectomia artroscopica: studio randomizzato controllato pag. 48F. Tentoni, E. Kon, G. Filardo, B. Di Matteo, A. Di Martino, A. Cavicchioli, M. Marcacci (Bologna)

Trapianto di cellule mononucleate midollari One-step nelle osteocondriti dissecanti giovanili dell’astragalo: pag. 49risultati clinici e radiologici a 4 anni di follow upG. Pagliazzi, R.E. Buda, F. Vannini, F. Castagnini, L. Ramponi, S. Massimi, C. Faldini

GINOCCHIO - PROTESICA

TKA vs UKA vs osteotomia: attuali indicazioni cliniche e scelta del paziente pag. 51P. Antinolfi, F. Manfreda, G. Rinonapoli, A. Caraffa

Allineamento neutro o funzionale nell’artroprotesi totale di ginocchio. Studio prospettico randomizzato pag. 52su 100 pazienti con follow-up ad 1 annoG. Stefani, V. Mattiuzzo

Risultati del protocollo di recupero rapido “Fast Track” in artroprotesi totale di ginocchio pag. 53D. Bartoli, M. Ponti, G. Balato, A. Lamberti, A. Baldini

Studio prospettico-ramdomizzato: confronto tra la somministrazione endovenosa e combinata dell’acido pag. 54tranexamico nei pazienti sottoposti ad artroprotesi di ginocchioP. Adravanti, E. Di Salvo, A. Ampollini, G. Calafiore, M.A. Rosa

La protesi totale modifica l’asse funzionale del ginocchio sul piano assiale e frontale a prescindere pag. 55dall’allineamento dell’arto?L. Bragonzoni, M. Bontempi, F. Iacono, S. Zaffagnini, M. Marcacci, D. Bruni Il completamento dell’intervento chirurgico di protesi totale di ginocchio: I-ONE® terapia pag. 56S. Nicoletti, G. Calafiore, P. Adravanti

Preservazione del legamento crociato posteriore durante il taglio tibiale nell’artroprotesi di ginocchio pag. 57F.R. Ripani, P. Sessa, G. Cinotti

L’allineamento dell’arto inferiore in varismo moderato consente risultati migliori rispetto all’allineamento pag. 58neutro nelle protesi monocompartimentali mediali di ginocchioM. Vasso, C. Del Regno, C. Perisano, A. Schiavone Panni

Effetti del drenaggio sul dolore postoperatorio e sul sanguinamento nelle protesi di ginocchio pag. 59V. Casale, G.L. Canata, A. Chiey

Effetti della strumentazione paziente-specifica sulla rotazione femorale e sul sanguinamento nella pag. 60protesica di ginocchio. Studio prospettico randomizzato controllatoD. Cucchi, A. Menon, B. Zanini, A. Aliprandi, R. Compagnoni, A. Tassi, P. Randelli

Possono le complicanze della protesizzazione della rotula condizionare le nostre scelte? pag. 61A. Tecame, G. Calafiore, A. Ampollini, R. Papalia, P. Adravanti

Maggiore fissazione epifisaria mediante l’utilizzo di augment porosi nelle revisioni di protesi pag. 62totale di ginocchioA. Baldini, Fr. Pastore, L. Montenegro, F. Traverso, C. Guarducci, G. Balato

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6° CONGRESSO NAZIONALE 5

TRAUMA SPORT

Risultati a distanza del trattamento delle fratture da avulsione della spina tibiale posteriore pag. 64L. Giannini, F. Giron, M. Losco, R. Buzzi, D. Campanacci

Adattamento interculturale e validazione multicentrica della versione italiana pag. 65dell’Achilles Tendon Rupture Score (ATRS)A. Vascellari, P. Spennacchio, A. Combi, A. Grassi, S. Patella, S.e Bisicchia, G.L. Canata, S. Zaffagnini

Combined anterior cruciate ligament and medial ligamentous complex reconstruction of the knee. pag. 66Results of a novel technique for medial collateral ligament and posterior oblique ligament reconstructionD. Screpis, V. Madonna, G. Piovan, V. Condello, A. Russo, C. Zorzi

Il trattamento delle fratture di clavicola nell’atleta: esperienza clinica pag. 67V.R. Corbo, E. Crainz, R. Lucarelli, G. Di Maggio

L’utilizzo dei tendini allograft nella ricostruzione del LCA di primo impianto: risultati a medio termine pag. 68D. Tradati, M. Ricci, P. Ferrua, E. Usellini, M. Berruto, L. Gala

Piede piatto dell’adulto di grado II: ritorno allo sport dopo osteotomia di medializzazione di calcagno pag. 69e transfer del flessore lungo delle dita pro tibiale posterioreC.a. Di Silvestri, R. D’ambrosi, M. Grassi, F.G. Usuelli

Two-year outcomes after arthroscopic centralization of an extruded lateral meniscus pag. 70H. Koga, T. Muneta, I. Sekiya

Il management delle lesioni dell’angolo postero-esterno: early repair or late reconstruction? pag. 71Overview della letteraturaA. Tecame, M. Cattani, A. Ampollini, R. Papalia, P. Adravanti

Integrazione di diverse metodologie di indagine clinica e biomeccanica per la selezione del trattamento pag. 72ottimale indirizzato a prevenire l’osteoartrosi nella ricostruzione del legamento crociato anterioreS. Zaffagnini, C. Signorelli, G. Marchiori, M. Bontempi, L. Bragonzoni, F. Raggi, G. Filardo, T. Bonanzinga, G.M. Marcheggiani Muccioli, M. Busacca, N.F. Lopomo, M. Marcacci

551 ricostruzioni del legamento crociato anteriore con tecnica transtibiale e risparmio del residuo pag. 73del legamento: valutazione e risultati a distanzaH. Schoenhuber, R. Pozzoni, A. Panzeri, G. Thiébat, F. Facchini, M. Galli, P. Capitani, N. Vitale

GINOCCHIO - PROTESICA

Analisi delle complicanze e riammissioni dopo protocollo di recupero rapido per protesi primaria pag. 75di ginocchio: proposte migliorativeA. Baldini, M. Ponti, D. Bartoli, I. Miniati, L.J. Chiti

Anestesia loco-regionale nella protesica di ginocchio: il blocco del canale degli adduttori rappresenta pag. 76il nuovo “gold standard”P.F. Indelli, E.R. Mariano, N. Giori

Strategie ricostruttive nelle lesioni croniche del tendine rotuleo dopo protesi totale di ginocchio pag. 77A. Lamberti, A. Rajgopal, G. Balato, P. Summa, A. Baldini

Long-term results of contemporary rotating hinge total knee arthroplasties pag. 78u. cottino, M.P. Abdel

La protesi monocompartimentale di ginocchio con componente tibiale all-poly o metal-back: studio pag. 79prospettico randomizzato clinico-RSAP. Barbadoro, M. d’Amato, P. Tanzi, A. Cencioni, A. Vanzetti, A. Illuminati, C. Belvedere, A. Leardini, A. Ensini

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 6

Le ricostruzioni dell’apparato estensore con allograft nelle protesi totali di ginocchio pag. 80P. Adravanti, F. Dini, G. Calafiore, M.A. Rosa

L’uso degli innesti osteoarticolari nelle emi-resezioni oncologiche e non oncologiche del ginocchio pag. 81G. Bianchi, A. Sambri, E. Caldari, E. Sebastiani, D. Donati

Valutazione delle perdite ematiche e complicanze postoperatorie nelle PTG bilaterali simultanee pag. 82comparate a PTG unilaterali standard con protocollo fast trackA. Baldini, F. Carbone, I. Miniati, G. Balato

Quanto è affidabile il test immunoassay dell’Alpha Defensina per la diagnosi delle infezioni periprotesiche? pag. 83T. Bonanzinga, A. Zahar, Michael. Dütsch, C. Lausmann, D. Kendoff, T. Gehrke

Accuratezza diagnostica della conta dei leucociti e della percentuale dei polimorfonucleati nel liquido pag. 84 sinoviale nelle infezioni periprotesiche di ginocchioG. Balato, F. Balboni, G. Virgili, A. Lamberti, A. Baldini

Le infezioni periprotesiche di ginocchio da germi multi-resistenti potrebbero causare perdita della protesi pag. 85o addirittura dell’artoM. Vasso, A. Schiavone Panni, I. De Martino, G. Gasparini

Revisione in due tempi per protesi di ginocchio settiche: come utilizzare gli spaziatori articolati anche pag. 86nei difetti ossei severiM. Marullo, S. Romagnoli, E. Rustemi, M. Corbella

ARTO SUPERIORE

Riscontri intra-articolari nei dolori laterali di gomito: è possibile parlare di microinstabilità? pag. 88P. Arrigoni, R. D’Ambrosi, D. Cucchi, P. Randelli (San Donato Milanese)

Analisi dei difetti ossei della testa omerale nell’instabilità anteriore di spalla. Studio di riproducibilità pag. 89M.F. Saccomanno, G. Sircana, L. Capasso, G. Cazzato, L. Fresta, F. Nuovo, G. Milano, G.G. Cerulli

Effetto della preparazione cutanea sulla crescita batterica in pazienti affetti da frattura di omero prossimale pag. 90L. Manino, N. Barbasetti, E. Bellato, R. Rossi, F. Castoldi, D. Blonna

Il trattamento chirurgico delle protesi di spalla infette. Review sistematica della letteratura pag. 91G.M. Marcheggiani Muccioli, A. Grassi, T. Roberti di Sarsina, G. Carbone, E. Guerra, S. Zaffagnini, M. Marcacci

Sviluppo di un modello matematico con elementi finiti di articolazione gleno-omerale: valutazione del ruolo pag. 92della congruenza articolare e del labbro glenoideo nella stabilità di spallaM. Ciuffreda, U.G. Longo, A. Berton, G. Salvatore, P. Florio, V. Denaro (Roma)

Valutazione dei risultati clinici e funzionali dell’intervento di plicatura artroscopica della capsula laterale in pag. 94gomito microinstabileP. Arrigoni, D. Cucchi, R. D’Ambrosi, P. Randelli (San Donato Milanese)

Studio comparativo sull’utilizzo della stimolazione biofisica nei pazienti sottoposti a riparazione della cuffia pag. 95dei rotatoriS. Giannotti, G. dell’osso, V. Bottai, F. Celli, G. agostini, C. Citarelli, M. Mordà, G. Guido (Pisa)

Il trattamento della rizoartrosi mediante spaziatore tipo reg joint: la nostra iniziale esperienza pag. 96S. Odella, A. De Felice, A.m. Querenghi, U. Dacatra (Milano)

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6° CONGRESSO NAZIONALE 7

RICERCA - SCIENZA DI BASE

Platelet rich plasma and hyaluronic acid blend for the treatment of osteoarthritis: rheological pag. 98and biological evaluationF. Russo, M. D’Este, G. Vadalà, C. Cattani, R. Papalia, M. Alini, V. Denaro

Acido tranexamico: è possibile l’uso intrarticolare nella prevenzione dell’emartrosi? pag. 99A. Marmotti, S. Mattia, G.M. Peretti, F. Dettoni, F. Rosso, D.E. Bonasia, M. Bruzzone, D. Blonna, R. Rossi, F. Castoldi

Effetti del trattamento con tessuto lipoaspirato micro-frammentato ottenuto mediante sistema Lipogems® pag. 100su colture primarie di cellule staminali tendinee della cuffia dei rotatoriA. Menon, P. Creo, S. Bergante, A. Tassi, L. Anastasia, P. Randelli

Il ruolo dell’ossido nitrico sintasi e della densità microvascolare in un modello umano in vivo di tendinopatia pag. 101degli arti inferioriG. Torre, B. Zampogna, A. Tecame, S. Vasta, F. Stilo, E. Martelli, C. Cattani, S. Carotti, G. Vadalà, F. Spinelli, S. Morini, R. Papalia

Progenitori tessuto specifici presenti nella cartilagine articolare e nel disco intervertebrale: caratterizzazione pag. 102e valutazione della responsività all’infiammazioneP. De Luca, M. Viganò, C. Perucca Orfei, L. de Girolamo, A. Colombini

Heat shock induces the expression of pro-inflammatory cytokines in human Achilles tendon tenocytes pag. 103A. D’Addona, D. Somma, S. Formisano, D. Rosa, N. Maffulli

Valutazione meccanica del legamento crociato anteriore di capra pag. 104M. Mazzacane, M. Ronga, P. Cherubino, F.H. Fu

TECNOLOGIE

Riabilitazione computer-assistita dopo protesi totale di ginocchio pag. 106Mt. Innocenti, E. Guolo, F. Matassi, M. Innocenti

L’allineamento funzionale mediante il navigatore chirurgico nelle protesi di ginocchio: tecnica chirurgica pag. 107M. d’Amato, A. Illuminati, P. Barbadoro, C. Belvedere, A. Leardini, A. Ensini

L’utilizzo della navigazione nelle ostetomie periarticolari di ginocchio in esiti traumatici pag. 108A. Manzotti, A. Biazzo, A. Corriero, N. Confalonieri

Navigazione con accelerometri nelle protesi totali di ginocchio (i-ASSIST): analisi dell’allineamento pag. 109delle componenti protesicheL. Vignini, A.R. Rizzo, F. Matassi

Studio mediante RSA dinamica della cinematica articolare delle protesi totali di ginocchio durante pag. 110movimenti della normale vita quotidianaD. Bruni, L. Bragonzoni, M. Bontempi, F. Iacono, S. Zaffagnini, M. Marcacci

Protesi totale di caviglia e contemporanea artodesi della sottoastragalica: valutazione TC del tasso di fusione pag. 111L. Manzi, F.G. Usuelli, C. Maccario, C. Indino

Una nuova metodologia per la progettazione personalizzata e la produzione mediante il 3D printing nella pag. 112protesi di cavigliaC. Belvedere, A. Illuminati, A. Ensini, M. d’Amato, P. Barbadoro, A. Leardini

Bone block artrodesi nei fallimenti delle protesi MTF1 pag. 113M. Grassi, J. Tamini, F.G. Usuelli

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 8

PATELLOFEMORALE

Pathology and treatment of patellar instability pag. 115N. Kumahashi, S. Kuwata, T. Tadenuma, H. Takuwa, Y. Uchio

Scaffold osteocondrale acellullare per il trattamento di difetti cartilaginei della rotula: valutazione clinica pag. 116ed RMN a 2 anni di follow-upF. Perdisa, G. Filardo, L. Andriolo, A. Di Martino, A. Sessa, M. Busacca, E. Kon, M. Marcacci

Trapianto di concentrato midollare e trasposizione della tuberosità tibiale anteriore nel trattamento pag. 117delle lesioni osteocondrali dell’articolazione femoro-rotulea: risultati clinici e radiologici a 48 mesi di follow upR. Buda, G. Pagliazzi, M. Baldassarri, F. Castagnini, F. Vannini, L. Perazzo, S. Massimi, C. Faldini Distomedializzazione standardizzata della tuberosità tibiale per il trattamento della rotula alta e pag. 118dell’instabilità rotulea potenzialeD. Enea, L. Dei Giudici, M. Fravisini, A. Gigante, P.P. Canè

Trattamento chirurgico dell’instabilità obiettiva di rotula: analisi critica dei risultati a lungo termine pag. 119F.M. Uboldi, P. Ferrua, G. Vergottini, A.F. Manunta, M. Berruto

Trasposizione della tuberosità tibiale anteriore (TTA) nel trattamento del dolore anteriore di ginocchio: pag. 120fattori prognosticiU. Cottino, F. Rosso, D. Bonasia, G. Governale, V. Cherubini, F. Dettoni, R. Rossi

Instabilità femoro-rotulea multifattoriale, trattamento con ricostruzione del legamento patello femorale pag. 121mediale con tecnica di Arendt. Revisione casistica e valutazione risultati a breve-medio termineF. Gotti, L. Matascioli, M. Albini, G. Maggi (Brescia)

Affidabilità dei metodi di imaging per la valutazione dei fattori predisponenti l’instabilità di rotula: pag. 122revisione sistematicaM.F. Saccomanno, G. Sircana, S. Teramo, L. Capasso, G. Cazzato, L.Fresta, F. Nuovo, G. Milano, G.G. Cerulli

Studio prospettico randomizzato per la valutazione radiologica mediante risonanza magnetica (1,5 Tesla) pag. 123e valutazione clinico-funzionale a 6 e 12 mesi post-operatori della ricostruzione del legamento crociato anteriore con tendine semitendinoso/gracile versus allograftH. Schoenhuber, F. Facchini, A. Panzeri, M. Galli, G. Ravasio, P. Capitani, A. Cusumano, L. De Girolamo, R. Pozzoni, G. Thiébat

30 anni di esperienza nel trattamento del ginocchio varo con osteotomia valgizzante di tibia pag. 124C. Manzini, P. Gifuni, G. Longoni, E. Diotti Plasma ricco di piastrine versus acido ialuronico nelle patologie degenerative dell’anca pag. 125L. savastano, m. maggi, P. Marchesani, L.K. El Jaouni

Trattamento delle “Scaphoid non-union advanced collapse” stadio 3 mediante scafoidectomia e artrodesi pag. 126dei 4 angoli: risultati a lungo termineS. Odella, A.M. Querenghi, F. Uboldi, U. Dacatra

ARTO SUPERIORE

L’efficacia della Latarjet è correlata con il destino del bone-block? Studio prospettico pag. 128A.P. Vadalà, a. De Carli, R.M. Lanzetti, A. Ciompi, L. Proietti, A. Ferretti, P. Serlorenzi, P. Di Sette

Ruolo del trofismo muscolare e della degenerazione adiposa dei muscoli della spalla sull’outcome dei pag. 129pazienti dopo riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori: studio clinico sperimentaleV. Candela, U.G. Longo, S. Petrillo, G. Rizzello, V. Denaro

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6° CONGRESSO NAZIONALE 9

Hands to hands: a new rehab method for MDI - Preliminary results pag. 130M. Conti, V. Spunton, R. Fenini, R. Garofalo

Latarjet open vs artroscopica, analisi dei costi/benefici pag. 131R. Compagnoni, R. Evola, C. Fossati, P. Cabitza, P. Randelli

Risultati a lungo termine degli interventi artroscopici di riparazione in pazienti con pag. 132instabilità anteriore post-traumatica della spallaD. Bougiouklis, Z. Kokkalis, S. Davelis, I. Gliatis

Confronto tra ancore knotless e ancore biodegradabili nel trattamento artroscopico dell’instabilità pag. 133anteriore di spalla: studio prospettico randomizzatoL. Capasso, F. Nuovo, G. Sircana, G. Cazzato, L. Fresta, M.F. Saccomanno, G. Milano, G.G. Cerulli

Analisi dei casi di capsulite adesiva dopo intervento di riparazione artroscopica di lesioni della cuffia pag. 134dei rotatoriF.M. Feroldi, D. Cucchi, A. Menon, A. Tassi, P. Randelli

Nuovo algoritmo terapeutico “TR.IS.”: glenoid track + score ISIS per l’instabilità anteriore di spalla pag. 135M. Fosco, B. Bonesso, P. Girardi, C. Mangia

Le lussazioni acromion clavicolari: dall’acuto al cronico pag. 136A. Silvestro, A. Cozzolino, G. Ciaramella, G. Coppola Sintesi artroscopica delle fratture di coronoide attraverso un tunnel osseo e plicatura della capsula pag. 137P. Arrigoni, R. D’Ambrosi, D. Cucchi, P. Randelli

Studio in doppio cieco, randomizzato e placebo controllato sull’efficacia di un cerotto medicato con pag. 138beta metasone valerato nella tendinopatia cronica dolorosa del gomitoA. Frizziero, A. Causero, S. Bernasconi, R. Papalia, M. Longo, V. Sessa, F. Sadile, P. Greco, U. Tarantino, S. Masiero, S. Rovati, V. Frangione

E-POSTER

ARTO SUPERIORE / UPPER LIMB

P1.1 Può il ritardo dell’intervento chirurgico influenzare la colonizzazione batterica cutanea in fratture pag. 141dell’omero prossimale? N. Barbasetti, E. Bellato, R. Rossi, F. Castoldi, D. Blonna

P1.2 Adattamento trans-culturale e validazione della versione italiana del questonario Western Ontario pag. 142Rotator Cuff (WORC) G. Sircana, L. Fresta, F. Nuovo, G. Cazzato, L. Capasso, M.F. Saccomanno, G. Milano, G.G. Cerulli P1.3 Forme subcliniche di ipotiroidismo e diabete mellito rappresentano fattori di rischio per rigidità pag. 143di spalla dopo interventi chirurgici in artroscopia F. Fissore, E. Bellato, R. Rossi, F. Castoldi, D. Blonna

P1.4 Modifica “boneless” della tecnica di Latarjet per le lussazioni anteriori recidivanti pag. 144A.P. Vadalà, A. De Carli, R.M. Lanzetti, L. Proietti, p. serlorenzi, D. Desideri, A. Ferretti

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 10

ARTROSCOPIA

P2.1 Il lateral release nel dolore anteriore di ginocchio senza instabilità. valutazione degli outcomes a pag. 14674 mesi di follow upL. Dei Giudici, A. Faini, V. Coppa, S. Arima, A. Gigante

P2.2 Valutazione clinica, in risonanza magnetica ed artroscopica, delle lesioni intra-articolari del ginocchio pag. 147L. Felli, G. Garlaschi, M. Formica, A. Zanirato, A. Muda, M. Alessio-Mazzola

P2.3 L’artroscopia d’anca nel trattamento dell’impingement femoro-acetabolare: indicazioni e risultati clinici pag. 148C. Carulli, A. Cozzi Lepri, Mt. Innocenti, M. Innocenti

P2.4 Lesioni parziali del legamento crociato anteriore: epidemiologia, tecnica chirurgica, risultati clinici pag. 149C. Carulli, Mt. Innocenti, L. Sirleo, F. Matassi, M. Innocenti

P2.5 Le localizzazioni più frequenti delle lesioni tipo Cam e Pincer nel conflitto femoro-acetabolare (FAI) pag. 150D. Antonucci, A. Acerbi, V. Ferrari, A. Fontana

P2.7 Tempo chirurgico per la preparazione del graft durante la ricostruzione legamentosa pag. 151L. Camarda, M. Lauria, M. Saporito, V. Triolo, M. D’Arienzo

P2.8 La plastica della gola intercondiloidea nella ricostruzione del legamento crociato anteriore: pag. 152revisione della letteraturaG. Tedesco, F. Familiari, F. La Camera, G. Gasparini, F. Ranuccio (Catanzaro)

P2.9 Ricostruzione transtibiale dell’LCA con plastica di rinforzo periferica secondo Arnold-Cocker: pag. 153valutazione clinica e gait analysis M. Fravisini, C. Bottegoni, P.P. Canè, A. Gigante

P2.10 Quantificazione dell’effetto su dolore e recupero articolare del trattamento con acido ialuronico pag. 154Synolis V-A in pazienti sottoposti ad artroscopia di ginocchio F. Alberti, E. Adriani, B. Di Paola

P2.11 Risultati clinici e ritorno allo sport nei pazienti sottoposti a ricostruzione del legamento crociato pag. 155anteriore (LCA): analisi dei fattori prognostici F. Rosso, S. Cambursano, U. Cottino, D. Bonasia, M. Bruzzone, F. Dettoni, R. Rossi

P2.12 Plastica di riduzione e ritensionamento con radiofrequenze nella degenerazione mucoide ipertrofica pag. 156del LCA: studio prospettico P.P. Canè, C. Bottegoni, M. Fravisini, A. Gigante

P2.13 Risultati a lungo termine dell’uso del tendine quadricipitale provvisto di un blocco osseo nella pag. 157ricostruzione primaria delle lesioni del ligamento crociato anterioreD. Bougiouklis, Z. Kokkalis, S. Davelis, I. Gliatis

P2.14 Lavaggio articolare artroscopico in pazienti con artrite settica: studio retrospettivo pag. 158D. Bougiouklis, Z. Kokkalis, S. Davelis, I. Gliatis

P2.15 Analisi di correlazione tra risonanza magnetica, valutazione clinica e reperti artroscopici nelle pag. 159lesioni meniscali:guida alla corretta diagnosi P. Antinolfi, R. Cristiani, F. Manfreda, A. Caraffa

P2.16 Considerazioni sul trattamento riabilitativo dopo ricostruzione del legamento crociato anteriore pag. 160C. Bustos Marambio, R. Di Miceli, A. Zati, R. Monesi, M.G. Benedetti

P2.17 ricostruzione del legamento crociato anteriore con rinforzo Artelon: risultati preliminari pag. 161A. Mambretti, U. De Bellis, F. Messina, L. Pierannunzii, A. Guarino

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6° CONGRESSO NAZIONALE 11

P2.18 Sinovite villonodulare pigmentosa intra ed extra-articolare del ginocchio. Revisione della letteratura pag. 162e presentazione di un caso clinico R. Simonetta, M. Florio, F. Familiari, G. Gasparini, M.A. Rosa*

P2.19 Prevalenza e fattori di rischio di “ramp lesion” in una serie consecutiva di 115 pazienti trattati con pag. 163ricostruzione artroscopica del legamento crociato anteriore G. Di Vico, S.L. Di Donato, G. Correra, G. Balato, A. D’Addona, C. Paudice, D. Rosa

P2.20 L’artroscopia d’anca nella patologia del labbro acetabolare nell’atleta pag. 164E. Rasia Dani, S. Mezzari, A. Residori

P2.21 La riparazione del legamento crociato anteriore in fase acuta e cronica pag. 165V. Casale, G.L. Canata, A. Chiey

P2.22 La fissazione femorale nella ricostruzione del legamento crociato anteriore: RigidFix pag. 166 versus EndobuttonS. Raimondi

P2.23 Meniscectomia parziale versus terapia infiltrativa con acido ialuronico nelle lesioni degenerative del pag. 167menisco. Studio retrospettivo comparativoS. vasta, B. zampogna, G. Torre, A. Tecame, V. Denaro, R. Papalia

P2.24 Tecnica all inside graft-link per la ricostruzione del legamento crociato anteriore: confronto pag. 168biomeccanico con altre 4 tecniche con tunnel tibiale completo M. Fabbri, E. Monaco, R. Lanzetti, A. Ferretti

P2.25 Tecnica all-inside per la ricostruzione del legamento crociato anteriore: risultati clinici e radiologici ad pag. 1691 anno di follow-up M. Fabbri, E. Monaco, R. Lanzetti, A. De Carli, A. Ferretti

CARTILAGINE

P3.1 Trasposizione della tuberosità tibiale nel trattamento del malallineamento femoro-rotuleo: pag. 171 anteromedializzazione vs distomedializzazione. Confronto tra outcome clinici e funzionali L. Dei Giudici, D. Enea, M. Fravisini, S. Arima, P.P. Canè, A. Gigante

P3.2 Trattamento e follow-up di un’avulsione totale dell’astragalo: case report e revisione della letteratura pag. 172l. piscitelli, M. Bisaccia, G. Rinonapoli, A. Caraffa

P3.3 raro episodio di setticemia e morte dopo infiltrazione di acido jaluronico nel ginocchio di un pazienti pag. 173con OA several. Piscitelli

P3.4 L’utilizzo di aspirato midollare concentrato nel trattamento delle lesioni condrali isolate pag. 174dell’articolazione femoro rotulea mediante tecnica chirurgica “one-step” V. Condello, V. Madonna, G. Ziveri, C. Zorzi

P3.7 Differenze morfo-funzionali tra colture condrocitarie trocleari in pazienti con sindrome dolorosa pag. 175anteriore: studio caso-controllo F.M. Uboldi, G.F. Caggiari, G. Giachetti, G. Pintus, A.F. Manunta

P3.8 Trattamento con impianto autologo di condrociti nelle lesioni condrali e osteocondralidel ginocchio: pag. 176follow-up a 14 anni S. Pasqualotto, F.M. Uboldi, P. Zedde, D. Tradati, P. Ferrua, M. Berruto

P3.9 La dimensione della lesione osteocondrale dell’astragalo è un fattore predittivo del risultato clinico pag. 177dopo stimolazione midollare. Systematic review L. Ramponi, Y. Yasui, C.D. Murawsky, R.D. Ferkel, C. Digiovanni, M. Takao, F. Vannini, J.G. Kennedy

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 12

P3.10 Caratterizzazione istopatologica del tessuto osteocondrale in lesioni condrali del ginocchio trattate pag. 178con tecniche rigenerative: report di 4 casi F. Cont, M. Molinari, F. Tessarolo, M. Fedel, E. Bonomi, G. Nollo, F. Cortese

P3.11 Trapianto artroscopico di condrociti autologhi su scaffold a base di acido ialuronico per il trattamento pag. 179 delle lesioni condrali del ginocchio: risultati nel follow-up a lungo termine B. Di Matteo, G. Filardo, L. Andriolo, A. Sessa, S.A. Altamura, F. Tentoni, M. Marcacci, E. Kon

P3.12 Osteotomia a cuneo sottrattivo mediale del femore distale per il ginocchio valgo degenerativo: pag. 180risultati a medio termine in pazienti attivi F. Castagnini, R. Buda, M. Baldassarri, G. Pagliazzi, F. Vannini, C. Faldini

P3.13 Le lesioni osteocondrali di ginocchio: i risultati della tecnica di riparazione one-step sono ancora pag. 181soddisfacenti a mediotermine? R. Buda, G. Pagliazzi, F. Vannini, L. Ramponi, M. Baldassarri, L. Perazzo, C. Faldini

P3.14 Il dolore anteriore di ginocchio nel giovane sportivo. Uno sguardo alla letteratura corrente pag. 182M. Borri (Chieti)

CHIRURGIA PROTESICA

P4.1 Ritorno alle attività sportive dopo protesi monocompartimentale di ginocchio: illusione o pag. 184realtà concreta?M. Lo Presti, G.G. Costa, S. Cialdella, G.F. Raspugli, M.P. Neri, G. Filardo, F. Iacono, S. Zaffagnini, M. Marcacci P4.2 Allineamento della componente tibiale nell’artroprotesi di ginocchio evitando errori di posizionamento pag. 185causati dalla torsione tibiale F.R. Ripani, P. Sessa, G. Cinotti P4.3 Nuovi design nella protesica di ginocchio: influenza del grado di vincolo nei risultati a breve termine pag. 186P.F. Indelli, N. Giori, W. Maloney)

P4.4 Una nuova protesi di ginocchio totale disegnata per riprodurre la cinematica naturale e favorire un pag. 187veloce recupero funzionale C. Carulli, M. Innocenti, I.W. Barlow, A.R. Harvey

P4.5 Protesi totale di ginocchio: bendaggio compressivo o calza elastica? pag. 188G.L. Canata, V. Casale, A. Chiey

P4.6 Protesi totale di ginocchio: componente tibiale All-poly o Metal-backed? pag. 189G.L. Canata, A. Chiey

P4.7 Criteri di dimissibilità in protocollo fast track dopo artroprotesi primaria di ginocchio pag. 190A. Baldini, M. Ponti, D. Bartoli, I. Miniati, G. Balato

P4.8 La sostituzione osteocondrale in titanio trabecolare realizzata in prototipazione rapida pag. 191D.M. Donati, B. Spazzoli, T. Frisoni, L. Cevolani, D. Monopoli

P4.9 Efficacia di un farmaco a base di quercitina e bromelina sul versamento-edema post-operatorio in pag. 192 pazienti trattati con PtgM. Bove, D. De Meo, D. Ferraro, M. Pipitone, C. Villani

P4.10 Ruolo della patelloplastica nella protesi totale di ginocchio: outcome clinico e funzionale pag. 193P. Antinolfi, F. Manfreda, G. Colleluori, A. Caraffa

P4.11 La protesi di ginocchio negli esiti traumatici pag. 194C.C. Castelli, D.A. Falvo, V. Gotti

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6° CONGRESSO NAZIONALE 13

P4.12 Valutazione del dolore postoperatorio dopo artroprotesi di anca e ginocchio in un setting di pag. 195riabilitazione intensivaR. Gnes, S. Muscari, F. Parisini, A. Zati, C. Bellabarba, S. Bonfiglioli Stagni, M.G. Benedetti

P4.13 Critical shoulder angle e acromion index. Due parametri utili per la pianificazione di una protesi totale pag. 196di spalla?S. Marenco, L. Mattei, M. Calò, L. Canata, E. Bellato, F. Castoldi

P4.14 Risultati clinici e radiografici delle artroprotesi primarie di ginocchio nei pazienti over 80 pag. 197F. conteduca, V. Andreozzi, P. Drogo, R. Iorio, A. Ferretti

P4.15 Il ruolo dell’impianto glenoideo nella protesi inversa di spalla. Studio clinico e radiologico pag. 198A. De Carli, A. Ciompi, A.P. Vadalà, L. Proietti, E. Gay, R.M. Lanzetti, A. Ferretti)

P4.16 La configurazione dei GAPS in flessione ed estensione nelle revisioni di protesi totale di ginocchio pag. 199A. Baldini, A. Lamberti, G. Balato, F. Traverso, P. Summa

RICERCA

P5.1 Le onde d’urto nei postumi dolorosi di coxite settica: presentazione di un caso clinico e razionale pag. 201terapeuticoM. Gallo, E. Tibalt, S. Respizzi, A.M. Previtera, M.C. D’Agostino)

P5.2 L’ipossia chimicamente indotta aumenta l’espressione di marker di staminalità in colture primarie pag. 202di cellule staminali tendinee della cuffia dei rotatori, prevenendone il differenziamento in vitro A. Menon, F. Calabretto, P. Creo, A. Tassi, L. Anastasia, P. Randelli

P5.3 Effetto dell’invecchiamento sul tendine e sui tenociti umani: implicazioni morfologiche e funzionali pag. 203N. Gagliano, A. Menon, P. Chieppi, F. Randelli, D. Cucchi, F. Cabitza, A. Tassi, P. Randelli

P5.4 riparazione condrale con frammenti di cartilagine e ambiente ipossico intrarticolare: studio in vitro pag. 204A. marmotti, S. Mattia, G.M. Peretti, D.E. Bonasia, M. Bruzzone, F. Dettoni, D. Blonna, R. Rossi, F. Castoldi

P5.5 Cellule mesenchimali da cordone ombelicale: candidate potenziali per l’ingegneria tissutale di osso pag. 205e cartilagine?A. Marmotti, G.M. Peretti, D.E. Bonasia, S. Mattia, M. Bruzzone, F. Dettoni, D. Blonna, F. Rosso, R. Rossi, F. Castoldi

P5.6 Cellule da cordone ombelicale e campi magnetici pulsati: un possibile orizzonte per l’ingegneria pag. 206tissutale dei tendini?A. Marmotti, G.M. Peretti, S. Mattia, D.E. Bonasia, M. Bruzzone, F. Dettoni, F. Rosso, D. Blonna, R. Rossi, F. Castoldi

P5.7 Intra-articular injection of humanized monoclonal anti-VEGF antibody in an osteoarthritis rabbit model pag. 207is related to positive restorative changes on cartilage G. Vadalà, F. Russo, A. Giacalone, R. Papalia, V. Denaro

TECNOLOGIE ORTOPEDICHE

P6.1 Utilizzo di un tutore elastomerico per ginocchio nelle sindromi dolorose anteriori: risultati a pag. 209breve termine F.M. Uboldi, P. Ferrua, P. Zedde, M. Berruto, A.F. Manunta P6.2 Tecnica transibiale vs anteromediale nella ricostruzione del LCA: valutazione dei risultati a confronto pag. 210conaccelerometro triassiale KiRA A. Parente, P. Ferrua, F.M. Uboldi, D. Tradati, E. Usellini, M. Berruto

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 14

P6.3 Il trattamento delle deviazioni assiali degli arti inferiori con fissatore esterno pag. 211F. Verdoni, R. Dario D’Amato

TRAUMA SPORT

P7.1 Risultati di un sondaggio on-line: modelli di pratica dei chirurghi italiani nella ricostruzione e pag. 213riabilitazione del legamento crociato anteriore A. Vascellari, A. Grassi, A. Combi, L. Tomaello, G.L. Canata, S. Zaffagnini

P7.2 Trattamento dell’instabilità peritalare laterale: ricostruzione mini-invasiva con tendine del pag. 214semitendinoso autologoC. Indino, L. Manzi, C. Maccario, F. Usuelli

P7.3 Frattura femorale diafisaria distale da stress in calciatore di squadra professionista di 13 anni: pag. 215case reportG. Thiébat, G. Ravasio, F. Luceri, P. Capitani, H. Schoenhuber P7.4 Tecnica anteromediale vs tecnica transtibiale per la ricostruzione del lca: valutazione a 5 anni pag. 216di follow upL. Garro, A. Todesca, A. Faini, L. Dei Giudici

P7.5 Menisco artificiale biodegradabile a base di poliuretano per il trattamento delle lesioni parziali pag. 217di menisco: risultati a 6 anni A. Sessa, G. Filardo, F. Perdisa, A. Di Martino, M. Busacca, S. Zaffagnini, E. Kon, M. Marcacci

P7.6 Le lesioni isolate del legamento crociato posteriore del ginocchio pag. 218V. calafiore

P7.7 Lussazione irriducibile posterolaterale del ginocchio pag. 219A. Silvestro, A. Cozzolino, G. Ciaramella, G. Coppola)

P7.8 Rottura simultanea del legamento crociato anteriore e del tendine rotuleo: report su tre casi ad pag. 220un anno di follow-upD. Cucchi, A. Menon, A. Aliprandi, A. Tassi, P. Randelli P7.9 Procedura di salvataggio con allograft nelle revisioni multiple di ricostruzione del LCA pag. 221G. Pagliazzi, A. Ruffilli, S. Massimi, S. Caravelli, R. Buda, C. Faldini

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6° CONGRESSO NAZIONALE 15

COMUNICAZIONI ORALI

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 16

BEST PAPERS

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6° CONGRESSO NAZIONALE 17

Ricostruzione del legamento patello femorale mediale: valutazione post-operatoria biomeccanica computer assistitaMatteo Innocenti, Fabrizio Matassi, Pierpaolo Ciprini, Massimo Innocenti, Luigi Sirleo

Centro Traumatologico Ortopedico, AOU-Careggi, Firenze

Introduzione: La ricostruzione del legamento patello-femorale mediale (LPFM) per instabilità recidivante di rotula è una procedura oramai consolidata con risultati clinici soddisfacenti. Tuttavia i classici score clinici di valutazione impiegati per quantificare i risultati di un intervento chirurgico si devono confrontare con il progresso tecnologico ed i nuovi dispositivi di analisi del movimento e del recupero funzionale. Lo scopo del presente studio è valutare i risultati clinici-funzionali dopo ri-costruzione del LPFM mediante l’impiego di score clinici tradizionali e di un sistema oggettivo di valutazione computerizzato.

Materiali e metodi: Sono stati inclusi nello studio 18 pazienti, 12 di sesso femminile ed 8 maschile, sottoposti a ricostruzione del LPFM e seguiti con follow-up medio di 13,8 mesi (intervallo 11-35 mesi). La loro età media al momento dell’atto chi-rurgico era di 24 anni (intervallo 18-32 anni). Tutti i pazienti sono stati valutati sia soggettivamente mediante Kujala score e SF-36 score, che oggettivamente attraverso una batteria di sette test fisici funzionali computerizzati, quali: two-legstability test, one-leg stability test (OL-ST), two-leg countermovement jump (CMJ), one-leg CM (OL-CMJ), plyometric jumps, speedy test and quickfeet test (Back in ActionTM, Corehab). Questa serie di test fisici oggettivi ha permesso di analizzare dinamica-mente quattro parametri funzionali: equilibrio, agilità, velocità e forza.

Risultati: Nessun paziente è stato perso al follow-up o ha avuto recidiva della patologia. Alla valutazione soggettiva è sta-to riscontrato un incremento sia del Kujala score (da 60 pre-op. a 92.7 post-op.) che del SF-36 (da 28,6/25,4 pre-op. a 52,2/53,6 post-op). Alla valutazione oggettiva computerizzata due pazienti non sono riusciti a completare la batteria di test proposti, mentre gli altri hanno evidenziato un buon recupero funzionale per tre dei quattro parametri valutati tra equilibrio/agilità/velocità/forza. Il peggior risultato è stato registrato per il parametro “equilibrio”, dove circa il 60% dei pazienti ha evidenziato un risultato mediocre/scarso. Conclusioni: Analogamente a quanto riportato in letteratura, i risultati da noi registrati dopo ricostruzione del LPFM per instabilità di rotula sono soddisfacenti con punteggi clinici elevati. Tuttavia la nostra analisi oggettiva computerizzata ha per-messo di evidenziare alcune carenze nel recupero funzionale di questa categoria di pazienti, altrimenti non evidenziabili con i comuni score clinici impiegati. La ricostruzione del LPFM garantisce ottimi risultati clinici con risoluzione della problematica della instabilità recidivante di rotula. Tuttavia analizzando i risultati attraverso la batteria di test oggettivi computerizzati, in termini di abilità neuromotorie, si evince che gli score clinici non sono sufficienti per determinare le tempistiche di sicura ripresa delle attività sportive.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 18

Studio multicentrico per la valutazione clinica e l’analisi quantitativa del test del pivot shift nella lesione del legamento crociato anteriore: quanto è importante il “guarding” del paziente?Stefano Zaffagnini1, Federico Raggi1, Cecilia Signorelli1, Giulio Maria Marcheggiani Muccioli1, Tommaso Bonanzinga1, Alberto Grassi1, Nicola Francesco Lopomo2, Maurilio Marcacci1, PIVOT Study Group3

1Laboratorio di Biomeccanica e Innovazione Tecnologica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna2Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università degli Studi di Brescia, Brescia 3UPMC, IOR, KU, GSH, Pittsburgh, Bologna, Kobe, Gotheborg

Introduzione: Diversi approcci vengono utilizzati nella valutazione clinica delle lassità del ginocchio associate alla rottura del legamento crociato anteriore (LCA). I più comuni sono sicuramente il test di Lachman, il cassetto e la manovra del pivot shift. La letteratura scientifica ha evidenziato come diversi fattori possano influenzare la sensitività e la specificità di questi test, compreso il “guarding” del paziente, causato del dolore o della paura legata alla sensazione di sublussazione. Inoltre, nei casi acuti bisogna tener conto anche di possibilità di sinoviti, emartrosi e gonfiore dell’articolazione. Nel corso degli ultimi anni, sono stati introdotti diversi strumenti in grado di integrare la valutazione delle lassità del ginocchio con un’informazione di tipo quantitativo [Lopomo 2013 KSSTA]. L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di valutare il test del pivot shift in pazienti svegli e anestetizzati utilizzando due diverse metodologie quantitative e confrontando i risultati con la valutazione clinica oggettiva.

Materiali e metodi: L’analisi si avvale di uno studio multicentrico internazionale. Soggetti con età compresa tra i 16 ei 50 anni, lesione di almeno uno dei due fasci e sottoposti a ricostruzione primaria unilaterale a fascio singolo del LCA, sono stati considerati per l’inclusione. La manovra del pivot shift è stato eseguito prima dell’intervento, con il paziente sveglio e, di nuovo, con il paziente in anestesia generale. Il test è stato classificato clinicamente (IKDC) e quantificato per mezzo di due sistemi non invasivi di recente introduzione: un sistema basato sull’utilizzo di marcatori cutanei ed analisi video - in grado di stimare la traslazione del compartimento laterale del ginocchio [Hoshino 2013 KSSTA] -, ed un sistema basato su sensori inerziali - capace di valutare l’accelerazione della tibia durante la manovra [Lopomo 2012 CMBBE].

Risultati: Cento-tre pazienti sono stati inclusi nello studio. A livello statistico, sono state evidenziate differenze significative tra la distribuzione delle valutazioni cliniche effettuate nei pazienti svegli e quelle effettuate sotto anestesia (p < 0,01). Analogamente, confrontando i valori riscontrati nei pazienti svegli rispetto alle condizioni di anestesia, sono stati evidenziati valori più bassi di accelerazione (3,7 ± 1,5 m/s2 vs 6,0 ± 4,6 m/s2, p < 0,01) e di traslazione del compartimento laterale nell’arto coinvolto (2,2 ± 1,7 mm vs 3,0 ± 2,2 mm, p < 0,01).

Conclusioni: Questo studio ha evidenziato come esistano differenze statisticamente significative nella classificazione del test del pivot shift tra i pazienti svegli e anestetizzati, indipendentemente dall’utilizzo di valutazioni cliniche o quantitative strumentali. L’analisi del test del pivot shift nel paziente sveglio deve essere utilizzata con cautela sia in fase diagnostica che di controllo, anche nel caso in cui si utilizzino strumenti non invasivi di valutazione quantitativa. Gli autori desiderano ringraziare ISAKOS/OREF per il supporto ottenuto nella realizzazione dello studio PIVOT.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 19

Risultati della ricostruzione dell’apparato estensore con allotrapianti in protesi totale di ginocchioAlfredo Lamberti1, Francesco Traverso2, Giovanni Balato1, Pierpaolo Summa1, Andrea Baldini1

1I.F.C.A., Firenze 2Istituto Clinico Humanitas, Rozzano

Introduzione: La lesione dell’apparato estensore è una complicanza rara ma devastante dopo protesi totale di ginocchio (PTG). Tra le diverse tecniche ricostruttive proposte, l’allotrapianto di apparato estensore completo (EMA) e quello di ten-dine d’Achille con bratta calcaneare (ATA) hanno fornito i risultati clinici e funzionali migliori ai follow up a medio e lungo termine.

Metodi: Da luglio 2005 a luglio 2015 abbiamo effettuato 39 ricostruzioni di apparato estensore con allotrapianto per le-sione cronica dopo PTG in 38 pazienti (15 maschi e 23 femmine) con età media di 70 anni. Il follow up medio è stato di 4,6 anni (range, 6 mesi-10 anni). Due diversi metodi di ricostruzione sono stati utilizzati con specifiche indicazioni. In 32 casi è stato utilizzato un EMA, costiuito da tuberosità tibiale, tendine rotuleo, rotula e tendine quadricipitale, mentre in 7 casi è stato impiegato un ATA. Preoperatoriamente e ad ogni follow-up sono stati registrati il range di movimento (ROM), l’extensor lag, lo score clinico (KS) del Knee Society Score(KS) ed il grado di soddisfazione del paziente. Sono stati conside-rati fallimenti i casi con extensor lag > 20°, KS < 60 punti e quelli in cui è stata necessaria la revisione o la rimozione del trapianto. L’analisi della sopravvivenza, considerando il fallimento per qualsiasi motivo quale end-point, è stata effettuata mediante il metodo Kaplan-Meier.

Risultati: La flessione media nel post-operatorio è risultata di 104° (75°-130°). Il recupero dell’estensione attiva massima si è avuto in ventitre casi (58,9%). Tredici pazienti (33,3%) hanno manifestato un extensor lag, pari a 5° in sei casi e a 10° in sette casi. Il KS è variato da un valore medio preoperatorio di 33,3 punti (range 0-54) ad un valore medio di 84,5 punti (range 48-99) all’ultimo follow up. Il livello di soddisfazione è risultato ottimo in ventisei (66,6%), buono in dieci (25,6%) e scarso in tre (7,7%) casi. Questi ultimi tre casi corrispondono ad altrettanti fallimenti, dei quali due EMA per ri-rottura a livello della tuberosità tibiale ed un ATA per re-infezione che è stata trattata con artrodesi. La sopravvivenza stimata secondo il metodo Kaplan-Meier è risultata del 75% a 10 anni.

Conclusioni: Le diverse tecniche di riparazione dell’apparato estensore dopo PTG descritte in letteratura hanno fornito risultati variabili e l’ideale metodo di trattamento resta ancora da definirsi. Gli allotrapianti rappresentano una soluzione chirurgica complessa ma valida. Nella casistica presentata, i risultati ottenuti ad un follow-up a medio-lungo termine si sono rivelati incoraggianti sia in termini oggettivi, come dimostrato dai valori postoperatori di KS, extensor lag e ROM, sia in termini soggettivi, con l’elevato grado di soddisfazione dei pazienti. Rispetto delle indicazioni e disciplina nella tecnica chirurgica sono elementi fondamentali per il successo clinico. La funzionalità degli allotrapianti non sembra deteriorarsi al follow-up a medio-lungo termine. Studi comparativi potrebbero essere utili a confrontare i due trapianti, pur restando peculiari le rispettive indicazioni.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 20

Vantaggi della riparazione transossea artroscopica della cuffia dei rotatori. Studio prospettico randomizzato controllatoCarlo Alberto Stoppani1, Carlo Zaolino1, Alessandra Menon1, Paolo Arrigoni2, Paolo Cabitza1, Alberto Tassi3, Pietro Randelli2

1IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese2Unità Ortopedia II, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese3Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano

Introduzione: La lesione della cuffia dei rotatori è una comune patologia che determina dolore e disabilità della spalla. Il trattamento di tale patologia ha visto il susseguirsi di numerosi avanzamenti finalizzati a ridurre l’invasività chirurgica e migliorare la guarigione tendinea. Scopo dello studio è il confronto ad un anno dei risultati clinici e radiologici della ripara-zione di cuffia dei rotatori mediante due differenti tecniche artroscopiche: riparazione con uso di ancore e riparazione con tunnellizzazione transossea.

Metodi: Da gennaio 2013 a febbraio 2014 sono stati arruolati 69 pazienti con lesione di cuffia dei rotatori di cui 35 sono stati operati con utilizzo di ancore metalliche e 34 con realizzazione di tunnel transosseo. I pazienti sono stati valutati cli-nicamente in fase pre-operatoria, a 28 giorni e ad un anno dall’intervento mediante score validati: Constant, QuickDASH (The Disabilities of the Arm, Shoulder and Hand Score), NRS (Numerical Rating Scale). Inoltre, al follow-up finale è stato realizzato un controllo con risonanza magnetica (RM) per valutare l’integrità tendinea secondo la classificazione di Sugaya.

Risultati: In entrambi i gruppi è stato evidenziato un miglioramento clinico significativo: la mediana dei valori di Constant score aumenta da 65,1 a 72,3 (p-value < 0,001) per la tecnica con ancore e da 64,1 a 69,9 (p-value = 0,0033) per i pa-zienti operati con tunnel transosseo. I livelli di disabilità espressi dal QuickDASH score sono passati da 45,4 a 2,3 (p-value < 0,0001) nel gruppo ancore e da 55,6 a 4,5 (p-value < 0,001) per il gruppo tunnel transosseo. Il dolore post-operatorio presenta una riduzione più rapida nei pazienti operati con tecnica transossea, in particolare a partire dal quindicesimo giorno post-operatorio. Non risulta, invece, significativa la differenza dei risultati funzionali ad un anno dall’intervento. La valutazione RM non ha mostrato una differenza significativa tra le due tecniche in termini di ri-lesione (p-value = 0,81).

Conclusioni: Le due tecniche analizzate presentano risultati clinici e radiologici sostanzialmente omogenei con una minore permanenza del dolore post-operatorio nella procedura transossea. La tecnica transossea artroscopica può quindi rappre-sentare un possibile miglioramento nella riparazione chirurgica della cuffia dei rotatori.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 21

Sensibilizzazioni e allergie ai materiali nella protesica di spalla: è necessario un impianto anallergico?Andrea Pautasso1, Pietro Pellegrino1, Lorenzo Mattei1, Michel Calò2, Filippo Castoldi3

1CTO, Torino 2Ospedale San Luigi, Torino3Ospedale San Luigi, Orbassano

Background: Il rilascio di ioni metallici dalle protesi articolari può indurre reazioni locali e/o sistemiche e causare una sen-sibilizzazione ai materiali da cui sono composte (tipo IV G-C). Gli studi presenti in letteratura usano come unici modelli le protesi di anca e ginocchio. In alcuni pazienti, l’usura, il rilascio ionico e la conseguente sensibilizzazione hanno portato ad algie e fallimento protesico.

Obiettivi: Valutare la sensibilizzazione alle componenti protesiche e il rilascio sierico e urinario dei metalli in una popola-zione campione sottoposta a impianto di protesi di spalla negli ultimi 36 mesi in rapporto alla sintomatologia allergica e al fallimento protesico.

Materiali e metodi: Sono stati arruolati 40 pazienti selezionati con follow up minimo di 6 mesi, protesi di spalla mono o bilaterale senza altri impianti metallici in anamnesi, nessun trattamento immunosoppressivo in corso ed età compresa tra i 45 e gli 80 anni. I pazienti sono stati sottoposti a una visita ortopedica, allergologica e dermatologica. Sono stati effettuati i prelievi ematici e urinari ed è stato applicato il patch test testando 22 apteni metallici e del cemento. Sono stati ricercati 12 metalli in siero ed urina.

Risultati: Sono state riscontrate due positività al nichel (6%) in pazienti con previa sensibilizzazione, una positività (3%) per il benzoile perossido (collante) dovuta al cemento di fissaggio, o più verosimilmente a cerotti, e una per il potassio bicromato, poco informativa come unico reperto e in linea con la popolazione generale. I dati di laboratorio hanno mostrato un rialzo dei valori urinari di alluminio e manganese di una volta e mezza e di cromo di due volte rispetto al basale. Questi non sono influenzati né dal sesso, né dal tempo trascorso dall’impianto protesico.

Conclusioni: Dai risultati ottenuti si evince una tendenza alla non sensibilizzazione ai materiali protesici e una scarsa pro-babilità di allergie metallo-mediate indotte dalle protesi di spalla, dato contrastante rispetto a quelli di letteratura. Interes-sante notare come la positività non si accompagna a sintomatologia e, viceversa, i pazienti sintomatici o con un outcome funzionale scarso non sono associati a una sensibilizzazione ai metalli. I valori di laboratorio fuori range mostrano un rilascio costante dei metalli da parte della protesi ma nettamente inferiore rispetto alle protesi sottoposte a carico. Ciononostante, in un paziente con anamnesi positiva per sensibilizzazione ai metalli, un patch test preoperatorio può essere una valida opzione diagnostica. La limitazione di questo studio è la piccola numerosità campionaria; in considerazione dei risultati, riteniamo che siano necessari ulteriori studi di maggiore potenza statistica.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 22

Trapianto artroscopico di condrociti autologhi per il trattamento dell’osteocondrite dissecante del ginocchio: risultati clinici e radiologici a lungo termineLuca Andriolo, Giuseppe Filardo, Alessia Cavicchioli, Andrea Sessa, Sante Alessandro Altamura, Berardo Di Matteo, Maurilio Marcacci, Elizaveta Kon

Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: L’osteocondrite dissecante (OCD) è una lesione idiopatica dell’osso subcondrale, caratterizzata da riassorbi-mento osseo con conseguente collasso e formazione di un sequestro, con possibile coinvolgimento della cartilagine arti-colare. Scopo dello studio è stato valutare l’efficacia a lungo termine del trapianto artroscopico di condrociti autologhi su scaffold di acido ialuronico (MACT) associato ad innesti ossei nel trattamento di tali lesioni a un follow-up a lungo termine.

Metodi: Trentuno ginocchia affette da osteocondrite dissecante sintomatica di grado III o IV secondo la scala ICRS (Inter-national Cartilage Repair Society) sono state trattate e valutate prospetticamente a 24, 60 ed a un minimo di 120 mesi di follow-up (media 135 mesi). L’età media al momento del trattamento era di 20,4 ± 5,7 anni. Il campione era composto da 23 maschi e 9 femmine, con un BMI medio di 23,8 ± 2,9. La lesione era localizzata nel condilo femorale mediale in 22 casi e nel condilo femorale laterale in 9 casi. La dimensione media della lesione era di 2,6 ± 1,1 cm2 . I pazienti sono stati valutati con IKDC, EQ-VAS e Tegner score.

Risultati: Dopo il trattamento è stato osservato un miglioramento statisticamente significativo di tutti i punteggi. L’IKDC subjective score è aumentato dal valore basale di 39,9 ± 16,8 a un valore di 82,1 ± 17,0 a 2 anni e di 84,8 ± 17,2 a 5 anni di follow-up. Nel follow-up a lungo termine, l’IKDC subjective score si è mantenuto stabile con un valore di 85,0 ± 20,2. L’EQ-VAS e il Tegner score hanno mostrato un trend statisticamente significativo passando rispettivamente da 54,0 ± 20,8 a 89,5 ± 15,5 e da 1,5 ± 1,1 a 5,1 ± 2,3 al follow-up finale. Nel follow-up a lungo termine si sono evidenziati risultati peggiori per le lesioni più grandi di 4 cm2. La valutazione alla RMN ha mostrato un buon riempimento della lesione, sebbene un segnale alterato a livello dell’osso subcondrale fosse ancora rilevabile 10 anni dopo l’intervento. Tuttavia non è stata trovata alcuna correlazione tra i risultati radiologici e l’outcome clinico.

Conclusioni: La tecnica MACT associata ad innesti ossei nel trattamento dell’OCD del ginocchio ha dimostrato risultati buo-ni e stabili nel follow-up a lungo termine. Risultati peggiori sono stati ottenuti nelle lesioni maggiori di 4 cm2. La valutazione alla RMN mostra una persistente alterazione del segnale dell’osso subcondrale, che tuttavia non è correlata all’outcome clinico.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 23

Ruolo dell’alfa-defensina nella diagnosi di infezione protesica di ginocchioGiovanni Balato1,2, alfredo Lamberti2, Flavio carbone1, Andrea Baldini2 1Dipartimento di Ortopedia Università degli studi di Napoli Federico II, Napoli 2Istituto-IFCA, Firenze

Introduzione: L’infezione è una delle più temute complicanze di un impianto di artroprotesi che si verifica nello 0,8-1,9% delle protesi di ginocchio. Questa percentuale può essere sottostimata a causa della bassa sensibilità degli esami colturali tradizionali soprattutto in quei pazienti in cui non sono presenti segni e sintomi clinici patognomonici per un processo infet-tivo. Per tali ragioni lo sforzo della comunità scientifica internazionale si focalizza sull’identificazione di nuovi biomarkers per cercare di fare diagnosi di certezza di un fallimento di un impianto protesico. Recentemente è stato identificato un peptide antimicrobico, l’alfa-defensina, che viene rilasciato dai neutrofili esclusivamente in risposta a un’infezione batterica. Per cui, la valutazione della presenza mediante dosaggi immunologici di questo peptide nel liquido sinoviale sembrerebbe avere una sensibilità e specificità che superano il 90%.

Metodi: Dal gennaio 2015 al gennaio 2016 abbiamo arruolato 20 pazienti con fallimento di protesi di ginocchio. In tutti i pazienti è stata praticata artrocentesi e i campioni di liquido sinoviale ottenuti sono stati analizzati sia per la valutazione della conta leucocitaria, con la specifica della percentuale dei polimorfonucleati, sia per esami colturali nel tentativo di ricercare eventuali batteri aerobi ed anaerobi. Inoltre, tali campioni sono stati testati con un nuovo test immunologico sinoviale otti-mizzato per le alfa-defensine. La definizione di infezione protesica proposta dalla Società di Infezioni Muscoloscheletriche (MSIS) è stata usata per classificare 11 pazienti con fallimento settico dell’impianto protesico e 9 fallimenti asettici. Tale classificazione è stata utilizzata come standard contro cui è stato confrontato il test diagnostico. Risultati: Il dosaggio nel liquido sinoviale dell’alfa-defensina predice correttamente la classificazione MSIS di tutti i pazienti nello studio, dimostrando una sensibilità e una specificità del 100% per la diagnosi di infezione periprotesica.

Conclusioni: Il test immunologico sinoviale ottimizzato per l’alfa-defensina rappresenta un test valido, semplice da eseguire e che offre una maggiore sensibilità e specificità nell’identificazione delle infezioni protesiche. Per tali ragioni dovrebbe es-sere utilizzato nella routine clinica in aggiunta ai test già in uso come arma aggiuntiva a nostra disposizione soprattutto nei casi in cui la diagnosi risulta dubbia nonostante numerosi esami diagnostici.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 24

ARTROSCOPIA

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6° CONGRESSO NAZIONALE 25

La ricostruzione del legamento crociato posteriore con tecnica inlay: risultati clinici e radiografici sotto stress con telos a f.u. minimo di un annoFrancesco Giron, Michele Losco, Luca Giannini, Alessandra Botti, Roberto Buzzi, Domenico Campanacci Traumatologia e Ortopedia Generale; CTO, AOU Careggi, Firenze

Introduzione: Il trattamento delle lussazioni traumatiche di ginocchio rimane controverso e impegnativo. Diverse tecniche sono descritte per la ricostruzione del legamento crociato posteriore (LCP) sia artroscopiche che aperte. Scopo dello studio è stato valutare i risultati clinici e radiografici sotto stress con telos della ricostruzione del LCP con tecnica inlay a f.u. minimo di un anno.

Metodi: 25 pazienti consecutivi con lesione del LCP trattata con ricostruzione con tecnica inlay da due senior surgeons (F.G. e R.B.) sono stati inseriti nell studio. L’età media era di 33,4 mesi (range 15-50); 5 pazienti erano di sesso femminile e 20 di sesso maschile; 8 pazienti sono stati operati entro 45 giorni dal trauma (media 19 gg) mentre 17 oltre 45 giorni (media 27,5 mesi). 7 pazienti avevano una lesiona isolata del LCP; 4 pazienti avevano anche una lesione del LCA; 6 pazienti ave-vano anche una lesione del LCL; 3 pazienti avevano anche una lesione di LCA e LCM e 3 pazienti anche di LCA e LCL. Tutte le lesioni associate al ginocchio sono state trattate. Tutti i pazienti sono stati valutati preo e post-operatoriamente con le schede IKDC oggettiva e soggettiva e la scheda KOOS. Una valutazione con rx sotto stress con telos è stata eseguita nel preoperatorio e nel postoperatorio in media dopo un anno. La RMN è stata eseguita nella totalità dei pazienti nel preopera-torio.Tutti i pazienti sono stati valutati nel post-operatorio a un f.u. minimo di un anno (media 37 mesi, range 12-72 mesi).

Risultati: I risultati della scheda KOOS e della parte soggettiva della scheda IKDC hanno mostrato un miglioramento si-gnificativo nel post-operatorio rispetto al preoperatorio. Il risultato finale della scheda IKDC oggettiva è stato “normale” o “quasi normale” (categoria A e B) nella totalità dei casi. La valutazione in rx sotto stress con telos ha evidenziato sempre una differenza inferiore a 5 mm rispetto al ginocchio sano.

Conclusioni: La lussazione di ginocchio è una patologia infrequente e difficile da trattare con complicanze potenzialmente devastanti e invalidanti. Lo scopo del trattamento è di ricreare un ginocchio stabile e funzionale e la ricostruzione del LCP è uno step critico e fondamentale nella chirurgia. La ricostruzione del LCP con tecnica inlay ha evidenziato risultati eccellenti o buoni in tutti i casi sia alla valutazione clinica oggettiva e soggettiva che radiografica sotto stress.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 26

Influenza delle variabili chirurgiche della ricostruzione del legamento crociato anteriore sulla lassità statica postoperatoria?Tommaso Roberti di Sarsina, Cecilia Signorelli, Federico Raggio, Alberto Grassi, Giulio Maria Marcheggiani Muccioli, Tommaso Bonanzinga, Stefano Zaffagnini, Maurilio Marcacci Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Scopo del presente studio è quello di determinare gli effetti di variabili caratteristiche della ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA) sulla lassità postoperatoria dell’articolazione del ginocchio.

Materiali e metodi: La lassità articolare postoperatoria è stata acquisita intraoperatoriamente mediante un sistema di navigazione chirurgica in 17 pazienti subito dopo la ricostruzione a Singolo Fascio con tenodesi extra-articolare laterale. I parametri analizzati di lassità sono: rotazione interna/esterna a 30° e a 90° di flessione, rotazione in varo/valgo a 0° e a 30° di flessione e traslazione anteriore/posteriore a 30° e a 90° di flessione. Sono state definite come variabili chirurgiche gli angoli tra il tunnel tibiale e i tre piani anatomici fondamentali (θT

SAG, e θTCOR, θ

TTRA) la lunghezza del tunnel tibiale e la

distanza del tunnel stesso dall’inserzione nativa del LCA. Analogamente si è proceduto per la porzione femorale del graft. Un’analisi multivariata è stata eseguita al fine di valutare i fattori predittivi per le lassità postoperatorie. Per ciascun modello multivariato sono stati valutati l’indice di correlazione (η2) tra il valore di lassità postoperatoria stimato e quello acquisito dal navigatore e il corrispondente valore p (*p < 0,050).

Risultati: I parametri che maggiormente hanno mostrato un’influenza sulla lassità postoperatoria sono gli angoli che defini-scono l’orientazione del tunnel tibiale rispetto ai tre piani anatomici. In particolare la stima di AP30, IE30 e IE90 ha eviden-ziato che tali valori decrescono al decrescere di θT

TRA. Inoltre, si è evidenziato che una riduzione dell’angolo che definisce l’orientamento del tunnel tibiale rispetto al piano sagittale e coronale provocava una diminuzione dei valori di AP30, IE30, IE90. Mentre un aumento di θT

SAG, e θTCOR determina una riduzione della lassità VV0.

Conclusioni: I modelli individuati hanno permesso una stima statisticamente significativa della lassità statica postoperatoria analizzando diverse variabili chirurgiche caratteristiche della specifica tecnica di ricostruzione del LCA. I modelli così indi-viduati, che possono essere implementati per diverse tecniche ricostruttive, risultano di grande utilità soprattutto nell’ottica della pianificazione personalizzata della ricostruzione di LCA.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 27

My approach to anatomic ACL reconstruction K. ShinoOsaka Yukioka College of Health Science Head, Center for Sports Orthopaedics, Yukioka Hospital2-2-3 Ukita, Kita-ku, Osaka - Japan

Anatomic ACL reconstruction to mimic the native ACL with a biological graft is the most reasonable ap-proach to restore stability without loss of motion after ACL tear. To mimic the ACL like a ribbon, our pre-ferred procedures are the anatomic rectangular tunnel (ART) technique with a bone-patellar tendon-bone (BTB) graft or the anatomic triple bundle (ATB) procedure with a hamstring tendon (HST) graft. We do believe it important to create tunnel apertures inside the attachment areas to reduce the tunnel enlargement. To identify the crescent-shaped ACL femoral attachment area, the upper cartilage margin, the posterior cartilage margin and the resident’s ridge are used as landmarks. To delineate the C-shaped tibial insertion, the medial intercondylar ridge, the anterior ridge/Parson’s knob and the anterior horn of the lateral meniscus are helpful. In ART-BTB procedure which is suitable for male patients engaged in contact sports, the parallelepiped tunnels with rectangular apertures are made within the femoral and tibial attachment areas. In ATB-HST technique which is mostly applied to female athletes engaged in non-contact sports including skiing or basketball, 2 femoral and 3 tibial round tunnels are created inside the attachment areas. These techniques make it possible for the grafts to run as the native ACL without impingement to the notch or PCL. After femoral fixation with an interference screw or cortical fixation devices including Endobutton, the graft is pre-tensioned in-situ by repetitive manual pulls at 15 -20° of flexion, monitoring the graft tension with tensioners on a tensioning boot installed on the calf. Tibial fixation with pullout sutures is achieved using Double Spike Plate and a screw at the pre-determined amount of tension of 10-20N. Postoperatively, the knee is splint-immobilized for 1-2 weeks, followed by ROM exercise. Full weight-bearing is allowed at 4 weeks. Running is recommended at 3 months, followed by return to strenuous sports at 6-8 months.More than 90% patients could return to sports with stability-restored knee. While better outcomes with less failure rate are being obtained compared to those in the past, higher graft tear rate remains a problem. Improved preventive training may be required to avoid secondary ACL injuries.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 28

Il posizionamento del tunnel femorale nella ricostruzione anatomica del legamento crociato anteriore: il ruolo della tomografia computerizzata nella curva di apprendimentoLuigi Sirleo, Fabrizio Matassi, Matteo Innocenti, Massimo Innocenti Clinica Ortopedica, CTO, AOU Careggi, Firenze

Introduzione: Il posizionamento dei tunnel tibiale e femorale nella ricostruzione anatomica del legamento crociato ante-riore (LCA) rappresenta un punto critico per raggiungere migliori risultati clinici, radiografici e ripristinare la cinematica del ginocchio. Lo scopo di questo lavoro è quello di valutare il ruolo della tomografia computerizzata (TC) nella curva di appren-dimento del posizionamento del tunnel femorale al fine di ottenere una ricostruzione anatomica.

Metodi: Una serie consecutiva di 30 ricostruzioni anatomiche di LCA, realizzate dallo stesso operatore con tecnica artrosco-pica outside-inside (OUT-IN) a singolo fascio, sono state oggetto di analisi del posizionamento del tunnel femorale. Entro 48 ore dall’intervento tutti i pazienti operati sono stati sottoposti a studio TC dedicato allo studio dei tunnel. Le acquisizioni ottenute sono state ricostruite tridimensionalmente e il condilo femorale mediale è stato soppresso in modo da ottenere una visione mediale vera del condilo femorale laterale. Il centro del tunnel femorale è stato misurato utilizzando il metodo dei quadranti descritto da Bernard e Hertel. I valori post operatori ottenuti sono stati confrontati singolarmente con i valori di riferimento anatomici descritti in letteratura [distanza profondità-superficie (F1): 28,5%, distanza alto-basso (F2): 35,2%]. Le differenze percentuali tra i valori misurati e quelli di riferimento anatomico sono state raccolte per ciascun paziente in modo da stimare complessivamente l’accuratezza nel posizionamento del tunnel femorale. I risultati di ciascun paziente sono stati ogni volta presentati al chirurgo operatore in modo da effettuare le opportune correzioni e di conseguenza miglio-rare il posizionamento del tunnel nell’intervento successivo. Sono stati, inoltre, registrati i tempi chirurgici e le complicanze intra-operatorie.

Risultati: Nei primi 10 casi è stata osservata una tendenza a posizionare il tunnel femorale leggermente distale in F1 e lievemente alto in F2. Un progressivo miglioramento nel posizionamento del tunnel femorale è stato osservato dalla prima serie di 10 pazienti alla seconda e dalla seconda serie alla terza. Tra la prima serie e la terza l’accuratezza è incrementata del 37% nella dimensione F1 e del 24% nella dimensione F2. Il tempo chirurgico è stato ridotto dai 115 minuti per il pa-ziente 1 ai 67 minuti per il paziente 30. È stata registrata una sola complicanza intra-operatoria legata alla rottura del filo di trascinamento, per il paziente 14, che è stato prontamente sostituito senza conseguenze.

Conclusioni: Un corretto posizionamento del tunnel femorale è fondamentale per la riuscita della ricostruzione anatomica del LCA. Questo studio dimostra un incremento statisticamente significativo dell’accuratezza nel posizionamento del tun-nel femorale, in entrambe le dimensioni misurate, e valorizza la TC quale strumento di feedback per migliorare la curva di apprendimento.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 29

Quantificazione del Lachman test: Kira e KT1000Federico Raggi, Cecilia Signorelli, Tommaso Roberti di Sarsina, Alberto Grassi, Stefano Zaffagnini, Maurilio Marcacci, Giulio Maria Marcheggiani Muccioli II Clinica Ortopedica e Traumatologica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Scopo del presente studio in vivo è quello di determinare la correlazione tra i valori di lassità ottenuti utilizzan-do il sistema innovativo KiRA (Orthokey, USA) e i valori indicati dal KT1000 durante il Lachman test.

Materiali e metodi: 22 pazienti sono stati sottoposti al Lachman test (manual-maximum), da due diversi operatori (OP1 e OP2) dopo la ricostruzione del LCA a 20 anni di follow dopo l’intervento chirurgico. Per ogni paziente sono stati rilevati i dati relativi al ginocchio operato e al controlaterale sia con il dispositivo KiRA che con il KT1000. Inoltre, 23 pazienti, sono stati testati prima dell’intervento da un terzo operatore (OP3). Si è quindi analizzato:1) la correlazione tra i due operatori OP1 e OP2 riguardante i dati KiRA nelle articolazioni sottoposte a ricostruzione di LCA; 2) la correlazione tra i dati KiRA e KT1000 sia per l’operatore OP1 che OP2; 3) la correlazione tra i dati del KiRA e KT1000 considerando le articolazioni controlaterali dei pazienti testati da OP3 e le articolazioni sottoposte a ricostruzione di LCA testate da OP1 e OP2. Per le analisi sono stati usati i coefficienti di Pearson (r) e, qualora le assunzioni per il modello di correlazione parametrica non siano soddisfatte, il coefficiente di Spearman (rs). La significatività è stata fissata a 0,05.

Risultati: I valori di correlazione così ottenuti sono risultati essere: 1) r = 0,7 tra i dati KiRA acquisiti da OP1 e OP2 nelle articolazioni ricostruite; 2) rs = 0,6 e rs = 0,8, rispettivamente per le ginocchia ricostruite e sane dell’OP1 e analogamente rs = 0,8 e rs = 0,6 per OP2; 3) rs = 0,4 considerando i dati di acquisiti sulle articolazioni contro laterali considerando l’operatore OP3 e OP1 e rs = 0,5 considerando i dati acquisiti da OP3 e OP2.

Conclusioni: Dall’analisi inter-operatore riguardante i dati acquisiti con il KiRA (Orthokey, USA), si è ottenuta una buona correlazione tra i dati di OP1 e OP2. Anche i confronti eseguiti sia sulle articolazioni controlaterali che sulle articolazioni ricostruite hanno evidenziato una buona/ottima correlazione tra i due dispositivi utilizzati. L’innovativo dispositivo KiRA (Or-thokey, USA) si presenta quindi come una valida soluzione non invasiva e di facile e comodo utilizzo per la quantificazione del Lachman test.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 30

Il posizionamento del tunnel femorale nella revisione di ricostruzione del legamento crociato anteriore con tecnica outside-in: valutazione in TC con ricostruzioni 3-DFrancesco Giron, Michele Losco, Luca Giannini, Roberto Buzzi Traumatologia e Ortopedia Generale; CTO, AOU Careggi, Firenze

Introduzione: Un posizionamento errato del tunnel femorale è una delle principali cause di fallimento della ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA). Scopo dello studio è stato valutare prospetticamente con immagini TC 3-D l’accu-ratezza e l’affidabilità della tecnica outside-in nel corretto posizionamento del tunnel femorale nella chirurgia di revisione del LCA.

Metodi: Quindici pazienti sottoposti consecutivamente a intervento di revisione di ricostruzione del LCA sono stati valutati nel pre e post-operatorio con tomografia computerizzata con ricostruzioni 3-D. In tutti i pazienti il fallimento della ricostru-zione è stato confermato con valutazione clinica, valutazione artrometrica con Kt-1000 e RMN. In 14 pazienti è stata ese-guita un revisione one-stage, in uno è stato necessario un intervento in due tempi per eccessivo widening del tunnel tibiale. In tutti i casi tranne 3 il tunnel femorale era posizionato in posizione non-anatomica. Al momento della revisione la tecnica outside-in ci ha permesso di posizionare in maniera libera e indipendente il nuovo tunnel femorale mirando a una posizione anatomica al centro dell’inserzione femorale del LCA. Le immagini TC sono state valutate da due operatori indipendenti e la posizione del tunnel femorale è stata misurata con i metodi descritti da Amis e Bernard- Hertel. I dati ottenuti sono stati quindi comparati a quelli ottenuti in altri studi in letteratura.

Risultati: Utilizzando il metodo descritto da Bernard e Hertel il centro del tunnel femorale era posizionato in media al 27,6% in profondità e al 33,3% in altezza. Utilizzando il metodo descritto da Amis il centro del tunnel era posizionato in media al 31,8% in profondità e al 52,7% in altezza. Altri sei studi in letteratura riportano una media del 27,3% in profondità e del 34,35% in altezza. Tutti i dati ottenuti sono sostanzialmente in linea con quelli riportati in letteratura recente. Le due metodologie si sono rivelate semplici e altamente riproducibili con un ICC (Interobserver Correlation Coefficient) sempre superiore a 0,80.

Conclusioni: Un posizionamento non anatomico del tunnel femorale è una della principali cause di fallimento nella rico-struzione del LCA. La tecnica outside-in nella chirurgia di revisione permette di produrre, in maniera libera e indipendente, un nuovo tunnel femorale in posizione anatomica. I dati ottenuti sono sostanzialmente in linea con quelli riportati in lette-ratura. La misurazione del posizionamento del tunnel femorale in TC con ricostruzione 3-D ha mostrato avere un’eccellente riproducibilità. La tecnica outside-in nella chirurgia di revisione del LCA ci ha permesso un posizionamento anatomico del tunnel femorale in tutti i casi .

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6° CONGRESSO NAZIONALE 31

Il trattamento artroscopico della tendinopatia calcifica del sovraspinato: tecniche a confrontoSilvana De Giorgi1, Alessandro Castagna2, Biagio Moretti1

1Università degli studi di Bari, Bari 2Istituto Clinico IRCCS Humanitas, Rozzano (Milano)

Scopo del lavoro: Scopo dello studio è stato quello di verificare le differenze nel risultato finale di due tecniche artroscopiche nel trattamento chirurgico della tendinopatia calcifica del sovraspinato: needling del tendine versus rimozione completa del deposito calcifico e sutura tendinea con ancore e suture.

Materiale e metodo: Dal settembre 2010 al dicembre 2014 abbiamo trattato artroscopicamente 53 pazienti con tendino-patia calcifica del sovraspinato. Abbiamo eseguito un’analisi statistica valutando l’eventuale correlazione tra la presenza di calcificazione residua al follow-up e la tecnica usata, paragonando la tecnica del needling (Gruppo 1) alla rimozione com-pleta del deposito calcifico e sutura tendinea (Gruppo 2). Abbiamo usato il test T-Student per campioni non appaiati per ve-rificare eventuali differenze tra i 2 gruppi ai vari tempi di follow-up e il T-test per campioni appaiati per valutare le differenze nei valori medi prima del trattamento ed ai vari tempi di follow-up. Abbiamo considerato significativo un valore di p < 0,05.

Risultati: Non sono state evidenziate differenze statisticamente significative tra Gruppo 1 e Gruppo 2 nel Constant, UCLA, SST and VAS scores, raggiunti al follow-up finale. Gli scores clinici (Constant, UCLA, SST, VAS) sono migliorati significa-tivamente tra preoperatorio e postoperatorio a 6 e 12 mesi, senza differenze statisticamente significative tra i due gruppi. Nella scala ASES i valori sono risultati migliori nel gruppo needling (Group1). Nella valutazione del movimento passivo, il miglioramento e’ stato piu’ evidente per i soggetti trattati con ancore e suture (Group2).

Discussione: Poiché non emergono sostanziali differenze tra i due gruppi, il needling tendineo sembra essere la tecnica più idonea, poiché è la meno costosa e la più rapida nell’esecuzione.

Conclusioni: Entrambe le tecniche sono risultate idonee a risolvere i sintomi della tendinopatia calcifica del sovraspinato. Gli scores clinici sono migliorati in entrambi i gruppi. Calcificazioni residue sono state identificate solo in pochi casi e sono risultate essere sempre inferiori a 10 mm.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 32

Il trattamento artroscopico dei tumori gigantocellulari tenosinoviali del ginocchioStefano Giannotti1, Giacomo Dell’Osso1, Fabio Celli2, Elena Cei2, Francesco Casella2, Niki Cazzella2, Giulio Guido1 1Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa2Università di Pisa, Pisa

Introduzione: I tumori tenosinoviali a cellule giganti sono un gruppo di neoplasie ad eziologia ancora poco nota interessanti nella maggior parte dei casi le parti molli. Più raramente hanno un coinvolgimento intrarticolare. Possono essere divisi in diffusi o localizzati. Generalmente sono benigni. Nell’85% dei casi interessano la mano ed il polso. Meno frequentemente sono localizzati nel ginocchio. Il trattamento prevede l’exeresi chirurgica della neoformazione associata o meno a sinoviec-tomia, eseguita in artroscopia od artrotomia. La sintomatologia può essere limitata ed aspecifica ed è legata all’impegno meccanico intrarticolare.

Materiali e metodi: Abbiamo rivalutato una serie di 7 pazienti, tutti di sesso femminile con età compresa tra i 30 e i 50 anni, con un follow up medio di 24 mesi. Tutti gli interventi sono stati eseguiti artroscopicamente. La tecnica prevede l’iso-lamento della neoformazione e la sua exeresi con eventuale allargamento di un portale per permetterne la rimozione della tumefazione. In tutti i casi non vi era un coinvolgimento diffuso della membrana sinoviale, per cui non è stata mai eseguita la sinoviectomia. L’esame istologico è stato effettuato in ogni singolo caso ed ha confermato la diagnosi strumentale (RM). Ogni paziente ha iniziato la kinesi dell’arto operato già in prima giornata post-operatoria.

Risultati: Tutti i pazienti hanno ottenuto un’ottima ripresa funzionale, con ripristino del proprio livello di attività. Non è stata registrata nessuna complicanza post-operatoria e nessun caso di recidiva.

Discussione: L’uso della tecnica artroscopica, grazie ad una minore invasività, permette un più rapido recupero funzionale. Inoltre, se paragonata alla tecnica open, consente una visualizzazione completa e più accurata della cavità intrarticolare, così da conseguire una escissione completa del tessuto patologico.

Conclusioni: L’exeresi artroscopica del tumore gigantocellulare tenosinoviale del ginocchio si è dimostrata sicura, non gra-vata di maggior rischio di recidive purché l’asportazione del tessuto patologico sia completa.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 33

Influenza della meniscectomia sulla lassità articolare del ginocchio in caso di lesione associata di legamento crociato anterioreAlberto Grassi1, Cecilia Signorelli2, Tommaso Bonanzinga1, Giulio Maria Marcheggiani Muccioli1, Ibrahim Akkawi1, Hernan Galan3, Maurilio Marcacci1, Stefano Zaffagnini11Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna2Laboratorio di Biomeccanica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna 3Instituto Dr. Jaime Slullitel, Rosario - Argentina

Introduzione: Scopo del presente studio in vivo è quello di determinare quantitativamente gli effetti di diversi tipi di meni-scectomia effettutate in pazienti con associata lesione di legamento crociato anteriore (LCA).

Materiali e metodi: Usando un sistema di navigazione chirurgico sono stati acquisiti i test cinematici relativi a 56 pazienti arruolati consecutivamente (45 maschi e 11 donne). I dati sono stati acquisiti intraoperatoriamente prima di eseguire la ricostruzione di LCA. In particolare sono stati eseguiti test clinici per la valutazione della lassità statica e dinamica quali il Lachman test (AP30), il test del cassetto anteriore (AP90), il test di rotazione interna/esterna, il test di rotazione varo/valgo ed infine il Pivot Shift test. I pazienti erano divisi in tre gruppi in base allo stato del menisco mediale. Ovvero, gruppo BH: 8 pazienti con lesione a “manico di secchio” del menisco mediale sottoposti a meniscectomia subtotale; gruppo PHB: 19 pa-zienti con lesione corpo-corno posteriore del menisco mediale sottoposti a meniscectomia parziale; gruppo CG: 29 pazienti con lesione isolata del LCA e considerato quindi come gruppo di controllo.

Risultati: Durante il Lachman test il gruppo CG ha mostrato un valore mediano di traslazione pari a 10,1 mm (range 8,9 - 11,4 mm), il gruppo BH 14,5 mm (range 13-15,6 mm) e il gruppo PHB 13,5 mm (range 12,6-14,7 mm). Per il Drawer test nel gruppo CG si è ottenuto un valore di 7,0 mm (range 6,5 - 8,4mm), 12,2 mm (range 11,1 - 13,6 mm) nel gruppo BH e 10,3 mm (range 8,4 - 11,7 mm) nel gruppo PHB. I valori ottenuti nel Pivot Shift sono: 20,3 mm (range 12,4 - 23,9 mm) per il gruppo CG, 28,0 mm (range 20,4 - 32,7 mm) nel gruppo BH e infine 34,5 mm (range 28,0 - 35,7 mm) nel gruppo PHB.

Conclusioni: È stata osservata una differenza significativa (p << 0.01) nella traslazione anteriore durante il Lachaman e il Drawer test nei confronti BH - CG e PHB - CG. Anche il test del Pivot Shift ha evidenziato differenze statisticamente signi-ficative nei confronti BH-CG e PHB-CG per quanto riguarda la traslazione anteriore. Lo studio dimostra che sia la lassità statica che dinamica è significativamente influenzata da una lesione mediale meniscale in caso di lesione associata di LCA.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 34

“Snapping” dei peronieri: trattamento tendoscopicomatteo Guelfi1, Andrea Pantalone1, Vincenzo Salini1, Jordi Vega2

1Clinica Ortopedica e Traumatologica - Università G. d’Annunzio, Chieti2Hospital Quirón, Barcelona - Spain

Introduzione: Lo snapping dei peronieri, o peronieri a scatto, è una condizione poco frequente che interessa soprattutto giovani sportivi. Questa riconosce due diversi pattern: la lussazione cronica recidivante e la sublussazione intraguaina. La prima è dovuta a una fuoriuscita del tendine peroneo breve dal groove malleolare in seguito a una lesione del retinacolo superiore. La sublussazione intraguaina è il risultato di un conflitto all’interno della guaina peroneale, conseguente a una lesione occupante spazio. L’obiettivo di questo studio è descrivere il trattamento tendoscopico per lo snapping dei peronieri e riportarne i risultati.

Metodi: 22 pazienti (8 donne e 14 uomini, età media 26 anni) affetti da snapping dei peronieri sono stati trattati mediante procedura tendoscopica: 12 pazienti per sublussazione intraguaina e 10 per lussazione cronica. Tutti i pazienti lamentavano dolore e lussazione evidente o sensazione di “click” in regione retro peroneale. Il follow up medio è stato 39 mesi (range, 18-72).

Risultati: Durante la tendoscopia nel gruppo con sublussazione intraguaina la causa è risultata essere un ventre muscolare a inserzione distale abbassata del peroneo breve (low-lying) in 4 casi; presenza del peroneo quarto in 3 casi; rottura parziale del peroneo breve in 4 casi e un caso di flat groove peroneale. In tutti i casi è stato eseguito un debridment della causa e in 5 casi è stato necessario eseguire un approfondimento del groove peroneale. In tutti i pazienti affetti da lussazione cronica recidivante è stato notato un groove piatto o convesso per il quale è stato eseguito un approfondimento senza riparare il retinacolo superiore. L’AOFAS medio è passato da 77 preoperatorio a 97 postoperatorio nel gruppo affetto da sublussazione intraguaina e da 75 a 96 nel gruppo affetto da lussazione cronica. Nessuna complicanza correlata alla chirurgia è stata notata.

Conclusione: Il trattamento tendoscopico dello snapping dei peronieri è una tecnica riproducibile e mininvasiva che assicura ottimi risultati in entrambi i pattern.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 35

Valutazione biomeccanica delle tecniche di sutura Modified Finger-Trap versus Modified Rolling HitchFederico Fazzari1, Lawrence Camarda1, Michele Lauria1, Giuseppe Pitarresi2, Michele D’Arienzo1

1Università degli studi di Palermo, Policlinico Palo Giaccone, Palermo 2Dipartimento di Ingegneria Meccanica (DICGIM), Università degli Studi di Palermo, Palermo

Introduzione: Recentemente si è osservato un certo interesse nei confronti di tecniche alternative quali il grasping tendineo per l’imbastimento del graft nelle ricostruzioni legamentose. Tali metodiche consistono nell’avvolgere il tendine con una sutura senza infliggerlo con aghi, come effettuato con le metodiche di sutura tradizionali. L’obiettivo di questo studio è stato quello di confrontare dal punto di vista biomeccanico due diverse tecniche di grasping tendineo.

Metodi: Per lo studio sono stati utilizzati 28 tendini flessori profondi di zampa di suino. I tendini sono stati fissati ad una macchina di prova materiali (INSTRON 3367) equipaggiata con una cella di carico di 30 kN. La porzione libera del tendine è stata suturata con una sutura N.2 Fiberwire (Arthrex, Naples, FL, USA), la quale è stata successivamente fissata ad un adattatore cilindrico fissato a sua volta alla cella di carico. 14 tendini sono stati suturati secondo la tecnica del Modified Finger-Trap (MFT), mentre altri 14 tendini sono stati suturati secondo la tecnica Modified Rolling Hitch (MRH). I tendini sono stati quindi sottoposti ad un protocollo di carico. Nello specifico i tendini sono stati sottoposti ad un pre-load (50 N per 5 min), a carichi ciclici (35 N - 240 N, frequenza di 1 Hz per 200 cicli) e a un carico finale a rottura (200 mm/min). Per ciascun provino sono stati registrati l’elongazione durante il pre-load, l’elongazione durante i carichi ciclici, la rigidezza durante i carichi ciclici ed il carico finale di rottura.

Risultati: Abbiamo osservato differenze significative tra il gruppo MRH e MFT per quanto riguarda l’elongazione tra la fine del pre-load ed il 10° carico ciclico (8,06 mm ± 1,89 SD vs 10,65 ± 22,31 SD, p < 0,05) e tra il 10° ed il 200° ciclo (4,89 mm ± 2,84 SD vs 5,72 ± 1,48 SD, p < 0,05). La rigidezza media durante i carichi ciclici al 10° ciclo è stata di 69,13 ± 3,16 N/mm per il gruppo MRH e di 65, 34 ± 2,01 N/mm per il gruppo MFT (p < 0,05), mentre al 190° ciclo è stata rispettivamente di 76,93 ± 4,46 N/mm e 72,44 ± 3,5. Non abbiamo osservato differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda il carico finale a rottura.

Discussione: Il risultato principale di questo studio è che entrambe le tecniche chirurgiche di grasping tendineo risultano essere valide dal punto di vista biomeccanico. Tuttavia, la tecnica Modified Rolling Hitch è in grado di determinare un aumento della rigidezza del costrutto e di resistere in misura maggiore all’elongazione durante i carichi ciclici rispetto alla tecnica Modified Finger-Trap

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 36

Trapianto di menisco allograft con tecnica artroscopica: analisi di sopravvivenza di 147 pazientiStefano Zaffagnini, Alberto Grassi, Giulio Maria Marcheggiani Muccioli, Margherita Serra, Andrea Benzi, Tommaso Roberti di Sarsina, Federico Raggi, Giuseppe Carbone, Maurilio Marcacci Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Lo scopo di questo lavoro è analizzare i risultati e la sopravvivenza a medio termine dopo trapianto di menisco allograft con tecnica artroscopica in 147 pazienti. Livello di evidenza scientifica: Studio di coorte, Livello IV.

Metodi: 147 pazienti (117 uomini; 30 donne) sono stati sottoposti a intervento trapianto di menisco allograft (MAT) con tecnica artroscopica senza blocchetti ossei (82 mediali, 65 laterali). Questi pazienti sono stati valutati retrospettivamente ad un follow-up medio di 4,0 ± 1,9 anni (range 2,0-10,4). L’età media all’intervento chirurgico era di 40,9 ± 11,2 anni (range 15,5-60,7); 70 pazienti (48%) sono stati sottoposti a procedura combinata (ricostruzione del legamento crociato anteriore, osteotomia tibiale valgizzante, osteotomia femorale varizzante, trattamento cartilagineo). L’analisi di sopravvivenza è stata condotta utilizzando due end-point di fallimento: fallimento chirurgico (procedura di revisione direttamente correlata al trapianto di menisco) e fallimento clinico (procedura di revisione o Lysholm “scarso” < 65 punti).

Risultati: È stato rilevato un incremento significativo (p < .05) degli score clinici tra i valori pre-operatori e quelli al follow-up finale. Sette (5%) pazienti (2 mediali, 5 laterali) sono andati incontro a fallimento chirurgico (5 meniscetomie, 1 sutura periferica del graft, 1 protesi monocompartimentale). La percentuale di sopravvivenza a 2, 4, 6, 8 e 10 anni è stata rispetti-vamente del 96.3%, 95.5%, 95.5%, 83.5% e 83.5%. Il tempo medio di sopravvivenza è stato 9,7 anni. Sedici (11%) pazienti (10 mediali, 6 laterali) sono stati considerati come fallimenti clinici. La percentuale di sopravvivenza a 2, 4, 6, 8 e 10 anni è stata rispettivamente del 95%, 83.9%, 78.8%, 48.2% e 48.2%, mentre il tempo medio di sopravvivenza è stato 8,0 anni. Non sono state rilevate differenze statisticamente significative nei fallimenti e nei tempi medi di sopravvivenza tra MAT mediali e laterali, procedure combinate o isolate, pazienti con > 50 o < 50 anni e pazienti con BMI < 25 o > 25.

Conclusioni: Il trapianto di menisco allograft con tecnica artroscopica senza bone plugs è in grado di migiorare in maniera significativa la funzionalità del ginocchio. L’analisi di sopravvivenza ha mostrato come questi effetti benefici siano ancora presenti in circa l’80% dei pazienti dopo 6 anni. I risultati a medio termine di questa tecnica sono incoraggianti ed in linea con quanto presente in letteratura.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 37

CARTILAGINE

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 38

Cicli annuali di terapia infiltrativa con plasma ricco in piastrine (PRP) in gonartrosi: è possibile un miglioramento nel tempo?Lorenzo Diaz Balzani, Biagio Zampogna, Sebastiano Vasta, Guglielmo Torre, Andrea Tecame, Vincenzo Denaro, Rocco Papalia

Area di Ortopedia e Traumatologia, Università Campus Bio-Medico di Roma, Roma

Introduzione: L’utilizzo della terapia infiltrativa con plasma ricco in piastrine (PRP) per patologie articolari e tendinee è ormai consolidata nella pratica clinica ortopedica. Una sempre maggiore evidenza dimostra che l’effetto della terapia con PRP sia benefica per pazienti affetti da gonartrosi. Tuttavia, trattandosi di una terapia biologica, l’effetto è strettamente correlato con le caratteristiche biologiche del plasma del soggetto che viene sottoposto alle infiltrazioni.

Metodi: Pazienti affetti da gonartrosi nello stadio III di Kellegren e Lawrence (n = 364), per un totale di 413 ginocchia, sono stati seguiti per un follow-up di 2 anni. Il dolore del ginocchio è stato misurato tramite la VAS, mentre la funzione è stata valutata per mezzo del punteggio KOOS. Entrambi gli score sono stati misurati prima del primo ciclo di 3 infiltrazioni, a 3, 6 e 12 mesi. Ai 12 mesi, la coorte è stata divisa in due sottogruppi. Il primo gruppo era composto dai soggetti con KOOS ≤ 70 su 100 (gruppo A), il secondo gruppo da quei soggetti con KOOS > 70 su 100 (gruppo B). Tutti i pazienti sono quindi stati sottoposti ad un secondo ciclo di 3 infiltrazioni, ad un anno di distanza dal primo. Il successivo follow up è stato effettuato con le medesime modalità del primo ciclo. I risultati ottenuti sono stati analizzati statisticamente, comparando i risultati dei due gruppi al follow-up del secondo ciclo terapeutico.

Risultati: A tutti i follow-up dopo il primo ciclo di infiltrazioni si è registrato un miglioramento delle condizioni di base dei pazienti (p < 0,001), sia riguardo lo score VAS, che lo score KOOS. Comparando gli score dei due gruppi di pazienti ottenuti ai follow-up dopo il secondo ciclo, è stato osservato che non vi erano differenze significative rispetto ai risultati dopo il primo ciclo. I valori medi del KOOS del gruppo A erano inferiori a 70/100, mentre quelli del gruppo B erano superiori a 70/100.

Conclusioni: Questo studio dimostra che il trattamento infiltrativo con PRP mantiene la sua efficacia nei cicli successivi al primo se ha dimostrato da subito i suoi benefici. Nei pazienti nei quali il primo ciclo di PRP si è dimostrato inefficace, i risul-tati continueranno ad essere insoddisfacenti anche ai cicli successivi.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 39

Rimodellamento del tessuto osseo subcondrale dopo nanofratture: studio sperimentale in vivo su modello animaleFrancesco Mattia Uboldi1, Pietro Zedde2, Matteo Manunza1, Giacomo Giachetti1, Andrea Fabio Manunta1

1 Clinica Ortopedica, AOU Sassari, Sassari 2 Ortopedia e Traumatologia, Ospedale di Nuoro, Nuoro

Le microfratture rappresentano ancora la tecnica riparativa più frequentemente usata per le lesioni cartilaginee. I noti limiti della tecnica portano alla formazione di una cicatrice fibrocartilaginea solo in parte risolutiva. Le nanofratture offrono una soluzione meno invasiva ma più efficace, consistendo in un pick di solo 1 mm di diametro che causano un ridotto danno all’osso subcondrale, penetrando fino a 9 mm per raggiungere le cellule pluripotenti del midollo osseo, tre volte più in pro-fondità delle microfratture standard, permettendo una miglior comunicabilità tra l’osso sub condrale e il piano cartilagineo da riparare.

Presso la nostra clinica è stato condotto uno studio clinico in vivo su modello animale, per comparare il rimodellamento osseo a 6 mesi e ad 1 anno di follow-up dopo trattamento di difetti condrali con tecnica a microfratture e nanofratture. In 8 pecore sono state ricreate, in zona di carico del condilo femorale mediale, lesioni a tutto spessore della cartilagine (grado 4 sec. ICRS). Ogni pecora è stata trattata su un lato con la tecnica delle microfratture e dall’altro con le nanofratture. Il rimodellamento osseo sub condrale è stato valutato con la MicroCT tramite SKYSCAN (Bruker) e software CTVOX per la ricostruzione delle immagini.

Le immagini MicroTC dei campioni trattati con microfratture mostrano una limitata profondità del canale realizzato con il punteruolo specifico. I canali hanno forma conica, con base larga verso la superficie articolare. Le pareti del canale mostra-no elevata regolarità con superficie di osso trabecolare compattato con limitate fenestrazioni di comunicazione con le aree midollari dell’osso subcondrale circostante. Le immagini MicroTC dei campioni trattati con nano fratture mostrano invece una maggior profondità della perforazione, una maggior irregolarità nelle pareti della stessa con assenza di trabecole com-presse e una notevole intercomunicabilità tra gli spazi midollari preesistenti e la perforazione realizzata. L’analisi strutturale ha mostrato una ridotta frammentazione trabecolare attorno ai canali realizzati con le nano fratture, indice di un rimodel-lamento attivo in senso trabecolare, come nell’osso subcondrale nativo. Nei tessuti analizzati ad 1 anno di follow-up sono stati evidenziati cloni cellulari in molteplici quantità; all’analisi con immunofluorescenza è stato individuato collagene tipo 2, con tessuto simil-ialino ma senza formazione dello strato di tide-mark, e senza continuità diretta tra tessuto riparato e quello sano (no-bonding effect). La tecnica delle nanofratture rappresenta un’innovazione che permette di realizzare perforazioni più profonde nell’osso subcondrale rispetto alle tradizionali microfratture, con meno frammentazione delle trabecole ossee e loro compattazione. La comunicazione con un maggior numero di spazi midollari permette un miglior accesso alle cellule pluripotenti contenute, e una miglior ricostituzione della fisiologica struttura dell’osso subcondrale.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 40

Trattamento delle osteocondrosi dissecanti instabili di ginocchio negli adulti mediante l’utilizzo di innesti osteocondrali autologhi (mosaicoplastica): risultati a lungo terminePlacido Stissi1, Mario Ronga1, Gloria Angeretti2, Eugenio Genovese3, Paolo Cherubino1 1Clinica Ortopedica e Traumatologica, Università degli Studi dell’Insubria, Varese 2UO Radiologia, Ospedale di Circolo, Varese3Dipartimento di Radiologia, Università degli Studi di Cagliari, Cagliari

Introduzione: l’algoritmo del trattamento delle osteocondrosi dissecanti (OCD) di I grado o IV grado, secondo la classifica-zione della International Cartilage Repair Society (ICRS), è ben definito. Al contrario, non vi è accordo su come gestire le OCD di II grado o III grado refrattarie al trattamento conservativo. Obiettivo dello studio è valutare clinicamente e mediante Artro-RM l’utilizzo degli innesti osteocondrali autologhi (mosaicoplastica) per la fissazione delle OCD instabili (ICRS II grado, III grado) del ginocchio. L’ipotesi è che tale tecnica sia una valida alternativa per il trattamento di queste lesioni.

Metodi: Quattro pazienti, con una OCD confermata alla artro-RM a livello di uno dei condili femorali, sintomatica anche dopo adeguato trattamento conservativo (≥ 6 mesi), sono stati inclusi nello studio e seguiti in maniera prospettica. L’età media al momento dell’intervento era di 21,2 anni (18 - 24 anni). I pazienti sono stati sottoposti ad intervento di fissazione della OCD mediante tecnica di mosaicoplastica artroscopica. La grandezza media della lesione era di 3,8 cm2 (range, 2,55 - 5,1 cm2). Le lesioni OCD erano 3 di II grado ed 1 di III grado e sono state fissate in situ con un numero variabile di innesti osteocondrali (4,5 mm Ø) prelevati dagli angoli della troclea. La valutazione clinica-funzionale è stata eseguita mediante le schede Cincinnati modificata, Lysholm II, Tegner. Preoperatoriamente, così come a 2 anni dall’intervento e all’ultimo fol-low-up, è stata eseguita una artro-RM. È stata utilizzata la scheda MOCART modificata per valutare i dati ottenuti alla RM.

Risultati: Il follow-up medio è stato di 10 anni e 6 mesi (range, 10 - 11 anni). Non sono state osservate complicazioni. All’ultimo follow-up si è registrato un aumento nei punteggi delle schede di valutazione. I diversi controlli RM hanno docu-mentato la riparazione delle lesioni osteocondrali e una superficie cartilaginea articolare continua in tutti i casi ad eccezione di un paziente dove è stato riscontrato una parziale frammentazione della componente ossea della lesione osteocondrale.

Conclusioni: La fissazione delle OCD instabili (II grado - III grado) con tecnica di mosaicoplastica può essere raccomandata per il trattamento di queste specifiche lesioni negli adulti. I vantaggi di questa tecnica consistono nella capacità di ottenere una stabilizzazione rigida della lesione con multipli innesti, la stimolazione dell’osso subcondrale mediante perforazione e l’innesto di osso spongioso autologo, che stimolano la guarigione conservando la superficie articolare.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 41

Trapianto osteocondrale autologo per il trattamento delle lesioni del ginocchio: risultati e limiti a 60 mesi di follow-upDavide Reale, Francesco Perdisa, Giuseppe Filardo, Berardo Di Matteo, Luca Andriolo, Maurilio Marcacci, Elizaveta KonIstituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Le lesioni focali cartilaginee e osteocartilaginee rappresentano condizioni comuni e particolarmente difficili da trattare e spesso coinvolgono pazienti giovani con elevata aspettativa in termini di risoluzione della sintomatologia e ritorno alla pratica sportiva. Tra le varie soluzioni proposte, il trapianto osteocondrale autologo permette di riparare l’intera unità osteocondrale in un’unica soluzione chirurgica. Scopo di questo studio è quello di valutare se il trapianto osteocon-drale autologo rappresenti un valido trattamento per lesioni cartilaginee ed osteocartilaginee di piccole-medie dimensioni in una popolazione giovane e fisicamente attiva.

Metodo: Quarantasette pazienti (32 uomini, 15 donne; età media: 33 ± 10,6; BMI medio: 24 ± 2,9), affetti da lesioni focali cartilaginee ed osteocartilaginee del ginocchio, sono stati reclutati e trattati con trapianto osteocondrale autologo. Tali pazienti sono stati valutati prospetticamente tramite i seguenti score: International Knee Document Committe (IKDC) score soggettivo e oggettivo e Tegner Score a 60 mesi di follow-up. Sono stati riportati eventi avversi e fallimenti. Inoltre è stato applicato il Bandi Score per rilevare sintomi dall’area donatrice durante il periodo di follow-up.

Risultati: Un significativo miglioramento è stato riscontrato in tutti gli score clinici adottati. In particolare, l’IKCD score sog-gettivo è passato dal valore basale di 41,2 ± 15,0 al valore di 61,9 ± 18,5 a 12 mesi di follow-up e un ulteriore incremento fino a 66,8 ± 24,4 è stato registrato al follow-up finale di 60 mesi. Un trend positivo è stato riscontrato analizzando anche l’IKCD score oggettivo, mentre l’attività fisica, valutata tramite il Tegner score, ha rivelato un significativo incremento dai valori basali di 2,0 ± 1,8 a 4 ± 1,7 alla valutazione finale, sebbene non sia stato raggiunto il livello precedente all’infortunio (5,0 ± 1,9). Sono stati riportati due fallimenti in questo studio. Il Bandi score ha individuato pazienti con sintomatologia dolorosa lieve/moderata riconducibile all’area donatrice, che è risultata significativamente correlata ad un peggiore anda-mento clinico, ma non con le dimensioni della lesione.

Conclusioni: Il trapianto osteocondrale autologo si è dimostrato un valido trattamento per lesioni cartilaginee ed osteocar-tilaginee di piccolo-medie dimensioni a medio termine. Tuttavia, la ripresa clinica è lenta e una significativa percentuale di pazienti sviluppa sintomi attribuibili all’area donatrice, riducendo così complessivamente i benefici di questa procedura.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 42

Utilizzo di scaffold osteocondrali biomimetici come procedura di salvataggio per le osteonecrosi del ginocchio: follow-up a 4 anniStefano Pasqualotto1, Francesco Mattia Uboldi2, Daniele Tradati1, Eva Usellini1, Paolo Ferrua1, Massimo Berruto1

1Chirurgia del Ginocchio, I.O. G.Pini Milano2Clinica Ortopedica, AOU Sassari, Sassari

Introduzione: Lo scopo di questo lavoro è stato di valutare l’efficacia di uno scaffold biomimetico tri-layer osteocondrale (Maioregen® - Finceramica Faenza SpA, Faenza, Italia) come procedura di salvataggio e di preservazione dell’articolazione nel trattamento dell’osteonecrosi all’ultimo stadio del ginocchio.

Materiali e metodi: Nove pazienti, attivi e con età inferiore a 65 anni, presentanti segni clinici e radiologici di SPONK, sono stati trattati con uno scaffold biomimetico tri-layer osteocondrale. Tutti i pazienti sono stati valutati clinicamente sia nel properatorio che annualmente, con un follow-up minimo di 4 anni. Sono state utilizzate le scale IKDC soggettiva e Lysholm Knee Scale per la valutazione clinica. Il dolore pre- e post-operatorio è stato valutato con la scala VAS e il livello di attività con la scala Tegner.

Risultati: La scala IKDC soggettiva (da 35 ± 14,5 a 75,7 ± 20) e la Lysholm Knee Scale (da 49,7 ± 17,9 a 86,6 ± 12,7) hanno incrementato significativamente i loro punteggi al follow-up (p < 0,01). La VAS media si è ridotta da un valore pre-operatorio di 6,3 ± 2,5 a 1,6 ± 2,7 a 4 anni di follow-up. Nessuna variazione significativa alla scala Tegner. Due dei nove pazienti hanno ripresentato la sintomatologia algica dopo 18 mesi dall’impianto ed un ulteriore collasso radiologico dei condili femorali, nonostante la procedura riparativa, e sono stati sottoposti ad impianto protesico.

Conclusioni: Lo scaffold biomimetico osteocondrale utilizzato si è dimostrato essere una valida opzione nel trattamento chirurgico della SPONK in pazienti giovani e attivi. L’uso di questa tecnica, originariamente sviluppata per il trattamento dell’OCD, ha dato risultati confortanti ad un follow-up a breve-medio termine anche nella terapia dell’osteonecrosi e può permettere di ritardare o anche evitare l’impianto protesico.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 43

Il trattamento chirurgico dell’osteoartrosi precoce con uno scaffold biomimetico: risultati clinici a tre anni di follow-upVincenzo Condello1, Giovanni Ziveri2 , Vincenzo Madonna1, Daniele Screpis1, Luca Dei Giudici3, Claudio Zorzi1

1S.C.Ortopedia, Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Negrar (Verona)2S.C.Clinica Ortopedica, Ospedale Maggiore, Parma 3S.C. Clinica Ortopedica, DISCLIMO, Ancona

Introduzione: L’osteoartrosi di ginocchio (OA) colpisce in genere una popolazione superiore ai 60 anni ma, con l’aumento dell’attività fisica nella popolazione adulta, non è raro riscontrare questa patologia anche in soggetti più giovani. Sono stati quindi proposti i criteri di classificazione dell’osteoartrosi precoce, in modo di identificare una sottopopolazione di pazienti dove possano trovare spazio trattamenti che possano arrestare o ritardare la degenerazione articolare. Lo scopo di questo studio è quello di valutare i risultati clinici ottenuti in un gruppo di pazienti affetti da osteoartrosi precoce e trattati chirurgi-camente con l’impianto di uno scaffold osteocondrale.

Metodi: 26 pazienti sono stati trattati con uno scaffold osteocondrale e sono stati valutati retrospettivamente con un fol-low-up medio di 3 anni. I risultati clinici sono stati valutati in base allo score IKDC, Lysholm e Tegner. I pazienti inclusi lamentavano dolore al ginocchio ed erano affetti da lesioni condrali ed osteocondrali situate a livello dei condili femorali o della troclea con riscontro alla RMN di una degenerazione della cartilagine articolare e/o meniscale e/o lesioni dell’osso sub condrale.

Risultati: Il punteggio IKDC è aumentato da 36,2 ± 20,5 a 57 ± 18,2 a tre anni di follow-up. Lo score Lysholm è aumen-tato da 44,2 ± 23,1 a 73 ± 18,5 al follow-up finale. Il Tegner score ha evidenziato un miglioramento nell’attività sportiva da 3,7 ± 1,7 a 4,4 ± 1,3 alla valutazione finale. Il livello di attività era inferiore rispetto a quello riferito prima della com-parsa della sintomatologia (6,1 ± 1,9). Tre pazienti sono stati rioperati per rigidità articolare ed abbiamo avuto un caso di infezione post operatoria.

Conclusioni: Nella nostra serie di pazienti l’utilizzo di questo scaffold osteocondrale ha mostrato un miglioramento clinico statisticamente significativo a 3 anni di follow-up e, di conseguenza, può essere considerato una soluzione per il trattamento chirurgico dei pazienti affetti da OA precoce del ginocchio. I risultati complessivi da noi evidenziati hanno, tuttavia, mostrato un incremento inferiore rispetto a quelli riportati da altri autori che hanno utilizzato la medesima procedura in gruppi di pazienti differenti. I limiti del nostro studio sono principalmente l’assenza dell’esame istologico e la mancanza di un gruppo controllo. Il risultato di questo studio è che l’impianto di questo scaffold osteocondrale ha offerto risultati clinici soddisfacenti a breve termine e può quindi essere considerato una possibile soluzione di trattamento per i pazienti affetti da OA precoce di ginocchio.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 44

Scaffold osteocondrale biomimetico per il trattamento delle lesioni articolari del ginocchio: studio clinico a due anni di follow-upRoberto De Filippis, Alessandro Di Martino, Giuseppe Filardo, Francesco Perdisa, Francesco Iacono, Maria Pia Neri, Maurilio Marcacci, Elizaveta Kon

Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Diverse procedure sono state proposte per trattare i difetti osteocondrali. A tal riguardo, i ricercatori hanno recentemente focalizzato l’interesse sul ruolo dell’osso subcondrale nello sviluppo delle lesioni cartilaginee, introducendo nuove strategie terapeutiche. Scopo dello studio è quello di valutare l’andamento clinico e radiologico dello scaffold biomi-metico nanostrutturato per il trattamento delle lesione cartilaginee ed osteocartilaginee del ginocchio in una larga coorte di pazienti.

Metodi: Sono stati trattati 125 pazienti (101 uomini e 24 donne), affetti da lesioni cartilaginee di III-IV grado od osteocon-drite dissecante (OCD). Età media 31,3 ± 11,5 anni, dimensione media della lesione 3,6 ± 2,6 cm2. Settantanove pazienti sono stati sottoposti a precedenti interventi chirurgici, procedure associate sono state necessarie in 71 casi. L’andamento cli-nico è stato valutato utilizzando International Knee Document Committe (IKDC) e Tegner scores a 12 e 24 mesi di follow-up.

Risultati: Tutti gli scores hanno mostrato un significativo miglioramento dal valore preoperatorio ai 12 mesi di follow-up (46,0±16,2 to 70,8 ± 18,6 p < 0,005). Un ulteriore incremento è stato registrato a 24 mesi di follow-up (74,8 ± 19,1, d.s.). Il Tegner score è aumentato da un valore di 2,8 ± 1,9 preoperatorio a 3,9 ± 1,6 a 12 mesi e 4,3 ± 1,7 a 24 mesi (p < 0,005), non raggiungendo i valori precedenti all’infortunio. I pazienti affetti da OCD hanno mostrato un miglioramento clinico maggiore rispetto a quelli affetti da lesioni degenerative.

Conclusioni: Da questo studio è emerso come lo scaffold biomimetico osteocondrale, utilizzato per il trattamento delle lesioni cartilaginee ed osteocartilaginee del ginocchio, favorisca la rigenerazione osteocondrale portando a un significativo miglioramento clinico.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 45

Tecnica augmented AMIC con cellule mesenchimali da tessuto adiposo per la riparazione one step dei difetti cartilaginei del ginocchioFabio Valerio Sciarretta1, Claudio Ascani2

1Clinica Nostra Signora della Mercede, Roma2Ospedale CTO, Roma

Scopo: Gli studi presenti in letteratura hanno dimostrato, dapprima negli animali e poi negli umani, che l’utilizzo delle cel-lule mesenchimali da tessuto adiposo permettono di rigenerare la cartilagine. In questo lavoro presentiamo la nostra espe-rienza nel trattamento dei difetti cartilaginei del ginocchio mediante riparazione con tecnica Augmented AMIC con cellule mesenchimali da tessuto adiposo.

Materiali e metodi: Le cellule mesenchimali sono state ottenute mediante filtrazione di lipoaspirato del tessuto adiposo dell’addome e utilizzate in intervento one step di ricostruzione di difetti cartilaginei del ginocchio mediante tecnica Aug-mented AMIC con membrana collegenica a doppio strato riassorbibile imbevuta delle cellule ottenute da tessuto adiposo in 18 pazienti di età compresa tra i 31 e i 58 anni, a livello del ginocchio sinistro in 10 casi e a destra in 8, con follow-up compreso tra i 12 ed i 36 mesi.

Risultati: Le procedure chirurgiche sono state portate a termine senza problematiche tecniche né complicanze intraoperato-rie o postoperatorie precoci. Gli scores di valutazione (IKDC, KOOS e VAS) hanno mostrato un miglioramento significativo, superiore al 30%, nel follow-up iniziale a 6 mesi ulteriormente progredito nei follow-up successivi. Anche le RM di controllo hanno mostrato un progressivo riempimento e maturazione del tessuto di riparazione dei difetti.

Conclusioni: Trattandosi di un’esperienza a breve e medio termine non è ovviamente possibile fornire considerazioni di valutazione conclusive su questa tecnica, visto che l’esperienza deve maturare insieme al procedere del follow-up. La sem-plicità e la rapidità, insieme alla assenza di difficoltà intraoperatorie o di complicanze immediate e all’esperienza maturata da altri Autori dapprima negli animali poi nei primi casi clinici. rendono, però, possibile affermare che si possa trattare di una delle tecniche cui ricorrere per il trattamento one-step dei difetti cartilaginei del ginocchio. I futuri lavori di follow-up ne confermeranno i risultati.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 46

Procedure di riparazione della cartilagine associate ad osteotomia di tibia prossimale nel ginocchio varo con artrosi mediale: risultati clinici a 11 anni di follow upFrancesco Castagnini, Matteo Baldassarri, Roberto Buda, Laura Ramponi, Simone Massimi, Cesare Faldini 1a Clinica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: In questo studio gli autori hanno confrontato in maniera retrospettiva l’outcome clinico, ad un follow-up minimo di 11 anni, di ginocchio varo con osteoartrosi monocompartimentale mediale in pazienti attivi di mezza età: il trat-tamento è stato esclusivamente di osteotomia di tibia prossimale (HTO) per un gruppo, o HTO associata ad una procedura di riparazione della cartilagine, ovvero l’impianto autologo di condrociti per un gruppo (HTO + ACI) e microfratture per l’altro gruppo (HTO + microfratture). Lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare i risultati clinici a lungo termine di follow-up in questi tre gruppi di pazienti. L’ipotesi era che la procedura di riparazione della cartilagine può aggiungere qualche beneficio alla sola correzione assiale in pazienti affetti da ginocchio varo e artrosi del compartimento mediale. Metodi: 68 pazienti affetti da osteoartrosi mediale in ginocchio varo sono stati studiati in maniera retrospettiva: 26 pazienti sono stati trattati con HTO, 22 con HTO + ACI e 20 con HTO + microfratture. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a va-lutazione clinica secondo il punteggio dell’HSS e del WOMAC. È stato anche eseguito uno studio radiografico. Una RMN pre-operatoria ha valutato il danno della cartilagine. L’analisi statistica ha confermato che i tre gruppi di pazienti erano omogenei per quanto riguarda la clinica, i modelli radiografici e anatomopatologici, ma sono state notate differenze per quanto riguarda il BMI. Risultati: Al follow-up finale miglioramenti clinici e radiografici sono stati ottenuti in tutti i pazienti, ma la serie di pazienti sottoposti esclusivamente ad HTO ha mostrato punteggi significativamente più alti. Conclusioni: A più di 11 anni di follow-up, la sola HTO ha dimostrato risultati soddisfacenti, simili a quelli riportati in lettera-tura. Le procedure associate di riparazione della cartilagine, come microfratture o i condrociti autologhi, non hanno fornito un miglioramento dei risultati clinici e radiografici.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 47

Trattamento della sindrome post meniscectomia con scaffold meniscale. Valutazione clinico radiologica a 3 anni di follow upLuca Dei Giudici1, Vincenzo Condello2, Vincenzo Madonna2, Antonio Gigante1, Claudio Zorzi2

1Clinica Ortopedica - DISCLIMO - Università Politecnica delle Marche, Ancona2Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Negrar, Verona

Introduzione: In determinate situazioni la meniscectomia selettiva risulta ancora oggi l’unica opzione, tuttavia gravata dalla possibile comparsa di sovraccarico compartimentale sintomatico noto come “sindrome post-meniscectomia”. Per il trattamento si sta affermando il concetto di ricostruzione parziale con scaffolds. Obiettivo dello studio è stato valutare cli-nicamente e radiologicamente gli esiti di questo tipo di trattamento, utilizzando scaffold in poliuretano alifatico a un follow up medio di 3 anni.

Metodi: Da un’analisi retrospettiva della nostra casistica, sono stati identificati i pazienti sottoposti ad impianto di tale scaf-fold meniscale, nei quali erano rispettati i criteri di inclusione ed esclusione per il presente studio. La coorte finale risulta costituita da 81 pz, con un follow up medio di 36 mesi. Sono stati raccolti dati demografici, anamnestici, le caratteristiche della lesione (tempistica, eziologia, estensione, e patologie associate), dell’impianto (dimensioni, tipologia e numero di punti usati per l’ancoraggio), le chirurgie associate, le complicanze sviluppate, i reperti clinici al follow up, e le schede VAS, IKDC, KOOS, e Tegner, routinariamente compilate nel preoperatorio e somministrate nuovamente al follow up, il tempo di recupero delle attività e il tasso di soddisfazione generale. Tutti hanno eseguito RM di controllo, valutate da un osservatore indipendente sec. i criteri di Genovese.

Risultati: Il gruppo di studio è rappresentato da 81 pz, di cui 3 persi al follow up per impossibilità di essere contattati. Dei rimanenti 78, 21 erano F e 57 M, con un’età media di 40 anni all’intervento, e un follow up di 36 mesi (min 7, max 75, DS = 15). Non si sono osservate correlazioni significative per quanto riguarda sede e tipo di lesione, numero di suture meni-scali usate, e dimensioni dello scaffold, e outcome finali con gli score utilizzati. L’associazione con patologie secondarie non si è rivelata essere influente sull’outcome finale per la tipologia di intervento associato, mentre si è osservato un outcome inferiore in quei pazienti in cui sono state associate più di una procedura secondaria, o in coloro che presentavano un grado di condropatia maggiore. Il tasso finale di complicanze è stato di circa il 13%, comprendendo rotture traumatiche dello scaffold (n = 4), estrusioni (n = 2), rigidità articolari (n =2 ) e idrartri recidivanti (n = 2). Confrontando i punteggi registrati con le differenti schede di valutazione, la differenza tra preoperatorio e follow-up è stata significativa, con miglioramento netto sia come riduzione del dolore che come funzionalità in tutte le schede (p < 0,001). Il ROM è risultato leggermente ridotto in 8 pazienti e molto ridotto in uno, ma con estensione completa sempre conservata, il tempo medio di ritorno alle attività è stato di 7 mesi; 6 pazienti, hanno dimostrato insoddisfazione nei confronti della procedura. Le RM eseguite hanno dimostrato principalmente un segnale tipo 2a secondo Genovese.

Conclusioni: L’impianto del presente scaffold meniscale offre eccellenti risultati clinico-funzionali e strutturali duraturi. Effi-cace e sicuro, rappresenta l’opzione ideale per il trattamento della sindrome post meniscectomia e potrebbe, con le eviden-ze fornite da ulteriori studi, sostituire la meniscectomia.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 48

Viscosupplementazione precoce dopo meniscectomia artroscopica: studio randomizzato controllatoFrancesco Tentoni, Elizaveta Kon, Giuseppe Filardo, Berardo Di Matteo, Alessandro Di Martino, Alessia Cavicchioli, Maurilio Marcacci Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: La gestione del periodo post-operatorio può essere difficoltosa, poiché il trauma chirurgico altera profonda-mente il microambiente articolare, causando il rilascio di numerosi cataboliti e fattori proflogistici. Perciò, la possibilità di utilizzare acido ialuronico, in considerazione delle sue proprietà reologiche, per ottenere una riduzione del dolore post-ope-ratorio e una rapida ripresa funzionale sembra quindi attraente. Scopo del presente studio randomizzato in doppio cieco è quello di valutare gli effetti prodotti da una singola infiltrazione intra-articolare di acido ialuronico al termine di una meni-scectomia artroscopica in termini di controllo del dolore e ripresa funzionale.

Materiali e metodi: Novanta pazienti, di età compresa tra 18 e 50 anni, sono stati inclusi nello studio in accordo con i seguenti criteri: lesione meniscale sintomatica necessitante di resezione parziale; ginocchio controlaterale sano; no pregres-sa chirurgia al ginocchio in esame; assenza di concomitanti lesioni intra-articolari necessitanti di trattamento chirurgico. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi: il primo includente pazienti sottoposti a sola meniscectomia artoscopica, il secondo includente pazienti sottoposti a singola infiltrazione di 3 ml di acido ialuronico al termine della meniscectomia artroscopica. Tutti i pazienti sono stati valutati prima dell’intervento chirurgico e successivamente a 15 giorni, 1, 2 e 6 mesi utilizzando i seguenti scores: IKDC soggettivo, KOOS, VAS, EQ-VAS e Tegner. Inoltre, ad ogni follow-up sono state misurate la circonferenza trans-patellare ed il range of motion (ROM), attivo e passivo, del ginocchio in oggetto e del controlaterale sano.

Risultati: In tutti gli scores clinici è stato registrato un aumento statisticamente significativo in entrambi i gruppi, nonostan-te non sia stata trovata alcuna differenza significativa tra i due gruppi in esame in nessun periodo di follow-up. Nessuna differenza è stata osservata anche per quanto riguarda la circonferenza trans-patellare ed il ROM, così come nel ritorno all’attività sportiva. Non sono stati riportati eventi avversi maggiori.

Conclusioni: In questo studio abbiamo potuto constatare come la viscosupplementazione precoce post-meniscectomia ar-troscopica non sia efficace nel procurare significativi benefici clinici. Infatti, nonostante l’assenza di eventi avversi maggiori, non si è dimostrata una strategia vincente in termini di rapido recupero funzionale e miglioramento della sintomatologia dopo meniscectomia artroscopica.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 49

Trapianto di cellule mononucleate midollari one-step nelle osteocondriti dissecanti giovanili dell’astragalo: risultati clinici e radiologici a 4 anni di follow upGherardo Pagliazzi, Roberto Emanuele Buda, Francesca Vannini, Francesco Castagnini, Laura Ramponi, Simone Massimi, Cesare FaldiniIsitituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: L’osteocondrite dissecante giovanile dell’astragalo (JOCDT) è un difetto idiopatico primario dell’osso subcon-drale che induce un danno cartilagineo. La letteratura riguardante JOCDT riporta eterogenee casistiche di pazienti trattati con tecniche di riparazione cartilaginea differenti che sfociano in riparazione con fibrocartilagine che non risulta ottimale nei pazienti giovani. La tecnica One-step, basata sul trapianto di cellule mononucleate midollari, proposta per il trattamento di lesioni osteocondrali del ginocchio e della caviglia, ha fornito risultati soddisfacenti con riduzione della morbidità. Obiettivo dello studio è quello di riportare i risultati clinici e di risonanza magnetica (MRI) ottenuti con il trattamento di JOCDT mediante tecnica One-step.

Metodi: Sette pazienti affetti da JOCDT (area 2,2 ± 0,53 cm2) di età media 13 anni (13-14) sono stati trattati artroscopi-camente mediante tecnica One-step in seguito a fallimento del trattamento conservativo. Radiologicamente tutti i pazienti presentavano apertura della cartilagine di accrescimento ed un frammento osteocondrale instabile. La valutazione clinica comprendeva VAS ed AOFAS score, la valutazione MRI utilizzava MOCART score. I pazienti sono stati analizzati preoperati-vamente ed al follow-up medio di 48,1 ± 18,4 mesi. Il concentrato midollare è stato prelevato dalla cresta iliaca posteriore, concentrato in sala operatoria e caricato su scaffold collagenico nella stessa seduta chirurgica.

Risultati: Sei lesioni sono state classificate stadio III ed 1 lesione stadio IV secondo la classificazione di Berndt-Harty. L’AOFAS score medio preoperatorio era 58,8 ± 7,6 punti ed ha raggiunto 95,7 ± 5,4 points (p < 0,05) al follow-up medio di 48,1 mesi. Il VAS score è migliorato da un punteggio 6,3 preoperatorio a 0,4 al follow-up finale (p < 0,05). La guari-gione radiografica in termini di riempimento del difetto osseo è stata ottenuta in 3 casi su 7. L’analisi MRI ha mostrato un riempimento completo del difetto osteocondrale in 4 pazienti mentre in un paziente è stato osservato un tessuto ipertrofico.

Conclusioni: La tecnica One-step, con l’obiettivo di riparare sia la componente cartilaginea che ossea della lesione, ha ottenuto risultati soddisfacenti in un’unica seduta chirurgica per il trattamento delle osteocondriti dissecanti giovanili dell’a-stragalo. Risultati clinici e radiologici incoraggianti hanno dimostrato il successo della tecnica anche in pazienti adolescenti. Successivi studi sono necessari per confermare i risultati ottenuti.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 50

GINOCCHIO - PROTESICA

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6° CONGRESSO NAZIONALE 51

TKA vs UKA vs osteotomia: attuali indicazioni cliniche e scelta del pazientePierluigi Antinolfi1, Francesco Manfreda2, Giuseppe Rinonapoli1,2, Auro Caraffa1,2

1Clinica Ortopedica, A.O. SM della Misericordia, Perugia 2Clinica Ortopedica, Università degli Studi di Perugia, Perugia

Introduzione: La scelta di un determinato trattamento nei confronti di pazienti affetti da lieve o media gonartrosi sinto-matica risulta talvolta controverso. Tale decisione deve essere connessa oltre all’età e al grado di degenerazione articolare anche al grado di richiesta funzionale. Risulta intuitivo capire come la scelta di un impianto protesico, seppur monocom-partimentale, non possa essere riservata a pazienti con richieste funzionali elevate, come ad esempio quelle sportive. Del resto, interventi quali le osteotomie o le protesi unicompartimentali non sono scevre da fallimenti più o meno precoci o risultati soddisfacenti per periodi ridotti; la protesi totale di ginocchio, infatti, rappresenta l’opzione di revisione ai suddetti trattamenti, con soddisfacenti risultati funzionali e di sopravvivenza.

Materiali e metodi: È stata eseguita una revisione della letteratura al fine di confrontare l’osteotomia tibiale (HTO), la pro-tesi monocompartimentale di ginocchio (UKA), e l’artroprotesi totale (TKA), concentrandosi su indicazioni, sopravvivenza e risultati funzionali.

Risultati: Abbiamo potuto osservare come le prime due scelte terapeutiche rispondano a caratteristiche proprie dei pazienti nettamente diverse rispetto a coloro cui sia indicata la protesi totale di ginocchio. In particolare, HTO e UKA condividono similari indicazioni in casi selezionati di pazienti con lieve deviazione assiale, senza instabilità articolare e con moderata artrosi monocompartimentale; non vi è alcuna evidenza di risultati superiori di un trattamento rispetto all’altro, soprattutto nei casi in cui le indicazioni siano pressoché sovrapponibili. Comunque, in caso di modesta richiesta funzionale, ed un’età maggiore di 55 anni, la letteratura, seppur esigua, mostra risultati lievemente migliori per UKA in termini di sopravvivenza e di risultato funzionale. Tuttavia, le metodologie degli studi non sono omogenee, anche per ciò che concerne la tipologia di osteotomia (Open-wedge o Close wedge). Non vi sono studi in letteratura che abbiano messo in comparazione le oste-otomie con le artroprotesi totali, probabilmente per l’eccessiva diversità nella scelta dei pazienti e nelle indicazioni. Nella comparazione tra i due tipi di impianti protesici, invece, nella ricerca dei migliori outcomes clinico-funzionali risulta fonda-mentale l’indicazione adeguata; tuttavia molti degli autori, nei casi di degenerazione avanzata, di là della deviazione assiale ed instabilità articolare, sostengono la TKA in termini di sopravvivenza a lungo termine.

Conclusioni: Per le diversificazioni nelle indicazioni e nelle tipologie di pazienti, dunque, risulta difficile eseguire una corretta comparazione tra questi tipi di interventi; tuttavia, ciò che risulta importante è la valutazione non solo dell’età anagrafica e delle condizioni articolari, ma anche delle richieste funzionali espresse dal paziente.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 52

Allineamento neutro o funzionale nell’artroprotesi totale di ginocchio. Studio prospettico randomizzato su 100 pazienti con follow-up ad 1 annoGiacomo Stefani, Valerio Mattiuzzo

Centro Chirurgia del Ginocchio, Istituto clinico”Città di Brescia”, Brescia

È noto come, in tempi recenti, alcune granitiche convinzioni che hanno guidato la chirurgia protesica del ginocchio sin dal suo inizio, come la necessità di ottenere un allineamento coronale neutro dell’arto inferiore dopo il posizionamento della protesi, siano state, almeno in parte, messe in discussione, aprendo un dibattito di estrema rilevanza che ha naturalmente come fine ultimo il miglioramento dei risultati della chirurgia protesica.Ampie revisioni di statistiche operatorie con follow-up a lungo termine (Pagnano et al. JBJS, AM 2010 ) e studi di biomec-canica (Bellemans et al) mettono in discussione il già citato”dogma” dell’obbligo dell’allineamento neutro dopo P.G., so-prattutto nel senso che verosimilmente altri molteplici aspetti entrano in gioco nel buon risultato di una protesi di ginocchio e dare all’allineamento coronale il merito o la colpa del buono o cattivo risultato è per lo meno riduttivo.Allo scopo di studiare l’importanza di questo allineamento abbiamo iniziato uno studio prospettico, randomizzato su 100 pz. con gonartrosi in varismo costituzionale con varo da 7° a 20°, di età dai 55 ai 75 anni che non avessero mai fatto interventi maggiori alle ginocchia o alle anche.Questi pazienti, sottoposti ad intervento di protesi totale Depuy Sigma a piatto fisso con protesizzazione della rotula, sono stati prospetticamente randomizzati in 2 gruppi, uno nel quale veniva individuato un obbiettivo di allineamento neutro di 0° ± 3° e l’altro, allineamento funzionale, con un varismo residuo da 4° a 7°.I pazienti sono stati valutati prima dell’intervento, ad 1 anno, ed in previsione a 3, 5 e 10 anni con teleradiografie degli arti inferiori in ortostasi e clinicamente con lo score KSS e WOMAC per vedere se esistono delle differenze e, nel caso, statisti-camente significative nel risultato clinico.È anche riportato il punteggio VAS nel postoperatorio e le differenze tra i 2 gruppi nei quali si evidenzia un dolore postope-ratorio minore nel gruppo funzionale.L’analisi statistica degli score KSS e WOMAC è in corso ed i risultati saranno disponibili a breve e verranno presentati suc-cessivamente.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 53

Risultati del protocollo di recupero rapido “Fast Track” in artroprotesi totale di ginocchioDimitri Bartoli, Marco Ponti, Giovanni Balato, Alfredo Lamberti, Andrea Baldini Istituto-IFCA, Firenze

Introduzione: Il processo artrosico dell’articolazione del ginocchio risulta responsabile dell’insorgenza di problematiche funzionali che spesso si risolvono unicamente con un trattamento chirurgico di artroprotesi. Soggetti che ricorrono a tale in-tervento hanno, nel corso degli anni, richieste funzionali sempre maggiori da raggiungere in tempi sempre più brevi. Per tali ragioni si sta sempre più espandendo la cosiddetta Fast-Track Surgery (FT) o Enhanced Recovery After Surgery (ERAS) che consiste nell’applicazione ed integrazione di nozioni sulla gestione perioperatoria dei pazienti basate sull’evidenza scientifica con l’obiettivo di migliorare quei fattori che limitano una rapida ripresa post-operatoria con conseguente notevole riduzione dei tempi di recupero e di degenza. In particolare viene dato importanza a educazione del paziente, gestione delle perdite ematiche, contenzione del dolore postoperatorio e precoce mobilizzazione.

Metodo: La casistica comprende 200 pazienti sottoposti ad intervento di artroprotesi di ginocchio con protocollo “FAST TRACK”. Il recupero funzionale articolare veniva valutato mediante l’utilizzo di scale soggettive ed oggettive (Oxford Knee Score , KSS) e il livello di autonomia raggiunto mediante il Barthel Index (BI) e la Functional Indipendence Measure (FIM). Tutti i pazienti sono stati valutati clinicamente al momento della dimissione, a 20 giorni e a 3 e 6 mesi dall’intervento chirurgico.

Risultati: I risultati ottenuti alla dimissione nella valutazione del livello di autonomia, prevista in terza giornata post-operato-ria, registravano un incremento di FIM e BI rispettivamente del 20 e 30%. Risultati funzionali articolari a 20 giorni dimostra-vano un incremento percentuale rispettivamente del 30% nella KSS e 40% nella Oxford. Risultati a 3 e 6 mesi dimostravano un ulteriore aumento di tutti i punteggi delle scale di valutazione considerate arrivando a un completo ripristino della fun-zionalità articolare (KSS media 95,95; incremento del 50% rispetto al basale), dell’autonomia (punteggio BI 100/100, FIM 126/126) e del livello di soddisfazione dei soggetti in esame (OKS media 41,35 - incremento 60%).

Conclusioni: Con il termine di “Fast-Track” si identifica una filosofia di gestione avanzata del paziente candidato ad inter-vento chirurgico di sostituzione protesica articolare finalizzata all’ottimizzazione del percorso perioperatorio con l’obiettivo di abbattere lo stress chirurgico e le sue conseguenze, che risulta essere l’elemento condizionante la durata dell’ospedaliz-zazione e allo stesso tempo supportare tutte quelle funzioni che rendono possibile una rapida ripresa delle normali attività della vita quotidiana. I risultati preliminari del nostro studio pilota confermano che l’applicazione rigorosa di un protocollo Fast-track in chirurgia protesica consente di ottenere un rapido recupero post-operatorio abbreviando i tempi di degenza chirurgica e riabilitativa, senza che si verifichi un aumento delle complicanze.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 54

Studio prospettico-ramdomizzato: confronto tra la somministrazione endovenosa e combinata dell’acido tranexamico nei pazienti sottoposti ad artroprotesi di ginocchioPaolo Adravanti1, Eleonora Di Salvo2, Aldo Ampollini1, Giuseppe Calafiore1, Michele Attilio Rosa2 1Casa di Cura “Città di Parma”, Parma2Dipartimento di Scienze Biomediche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali - Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia, Messina

Introduzione: È noto in letteratura che l’acido tranexamico è un antifibrinolitico sintetico che riduce il sanguinamento intra e post-operatorio nei pazienti sottoposti a protesi totale di ginocchio. Scopo di questo studio è confrontare, in termini di perdita ematica, la somministrazione per sola via endovenosa e associata a quella periarticolare dell’acido tranexamico.

Materiali e metodi: Tra settembre 2015 e febbraio 2016 è stato condotto uno studio prospettico-randomizzato su 100 pazienti, suddivisi in 2 gruppi e sottoposti ad intervento chirurgico di protesi totale di ginocchio. Sono stati valutati l’emo-globina e l’ematocrito pre e post-operatori, la quantità di sangue trasfusa e quella presente nel drenaggio rimosso dopo 24 ore. Ad entrambi i gruppi veniva somministrato 1g endovena di acido tranexamico mezz’ora prima dell’inizio dell’anestesia; in più, al gruppo 2, venivano somministrati 2g periarticolari. In entrambi i gruppi la somministrazione ev di 1g di acido tranexamico è stata ripetuta dopo 3 e 9 h dall’intervento.

Risultati: Non ci sono state differenze statisticamente significative tra i due gruppi di pazienti in termini di perdita emati-ca post-operatoria. La media di sangue presente nel drenaggio era di 277,6 cc nel gruppo 2, di 323,8 cc nel gruppo 1. Il valore di Hb in 4a giornata era più alto nel gruppo 2 (11,1 g/dl) rispetto al gruppo 1 (10,4 g/dl). Solo 2 pazienti sono stati trasfusi ed appartenevano al gruppo 1. Non abbiamo riscontrato nessuna complicanza infettiva né tromboembolica nel post-operatorio.

Conclusioni: L’uso dell’acido tranexamico nei pazienti sottoposti a protesi totale di ginocchio è un argomento ben cono-sciuto in letteratura per la sua capacità di ridurre il sanguinamento post-operatorio e di conseguenza il tasso di trasfusioni. Nonostante il suo largo impiego, non vi è ancora consenso unanime riguardo il regime ottimale di somministrazione. Sulla base dei risultati ottenuti, la somministrazione ev e combinata dell’acido tranexamico ha la stessa efficacia nel ridurre la perdita ematica post-operatoria dopo protesi totale di ginocchio, senza sacrificare la sicurezza. L’unico dato statisticamente significativo è il valore di emoglobina in 4a giornata che è più alto nel gruppo combinato.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 55

La protesi totale modifica l’asse funzionale del ginocchio sul piano assiale e frontale a prescindere dall’allineamento dell’arto?Laura Bragonzoni1, Marco Bontempi1, Francesco Iacono2, Stefano Zaffagnini2, Maurilio Marcacci2, Danilo Bruni2

1Laboratorio di Biomeccanica ed Innovazione Tecnologica, Università di Bologna, Bologna2Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Il riferimento anatomico ottimale per il posizionamento rotazionale della componente femorale nelle protesi totali di ginocchio è ancora oggetto di discussione. È stato proposto l’impiego della navigazione per l’acquisizione intra-o-peratoria della cinematica articolare specifica del singolo paziente e per l’identificazione del suo asse funzionale di flessione (FFA). Lo scopo principale del presente studio è di verificare se l’asse funzionale di flessione nei pazienti con gonartrosi e allineamento varo si modifichi dopo la protesi totale di ginocchio ed evidenziare una possibile correlazione tra l’asse funzio-nale dopo l’impianto della protesi e l’entità del varismo pre-operatorio.

Materiali e metodo: Sono state eseguite 108 protesi totali navigate, utilizzando un software specifico per acquisire la cine-matica articolare prima e dopo l’impianto protesico. Il ginocchio è stato flesso passivamente per 3 volte dalla posizione di estensione completa a 120° di flessione. L’asse funzionale di flessione è stato determinato mediante l’algoritmo dell’asse elicale medio. L’angolo compreso tra l’asse funzionale di flessione e la linea transepicondilare è stato determinato sia sul piano frontale (αf ), sia sul piano assiale (αa). È stato valutato l’asse meccanico pre- e post-operatorio.

Risultati: L’asse funzionale di flessione dopo l’impianto della protesi totale si è modificato rispetto al pre-operatorio soltanto sul piano frontale, mentre non si è modificato sul piano assiale. L’entità del varismo pre-operatorio non influisce sulla po-sizione dell’asse funzionale di flessione sul piano assiale, mentre influisce in maniera significativa sulla posizione dell’asse funzionale di flessione sul piano frontale.

Conclusioni: In conclusione, la protesi totale modifica l’asse funzionale di flessione del ginocchio varo artrosico solamen-te sul piano frontale. In particolare, l’asse funzionale di flessione del ginocchio varo artrosico non coincide con la linea transepicondilare.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 56

Il completamento dell’intervento chirurgico di protesi totale di ginocchio: I-ONE® terapiaStefano Nicoletti, Giuseppe Calafiore, Paolo Adravanti Casa di Cura “Città di Parma”, Parma

Introduzione: I recenti avanzamenti nell’ambito della chirurgia protesica hanno consentito di ottenere dei risultati sempre migliori in termini di accuratezza dell’impianto, ripristino della funzionalità articolare e velocità di recupero. Tuttavia, nono-stante un aumento generale della soddisfazione dei pazienti, ancora oggi una percentuale compresa tra l’11 e il 25% dei pazienti sottoposti ad artroprotesi di ginocchio (PTG) si definisce non soddisfatta dell’intervento, sebbene comunque dichiari un miglioramento delle condizioni rispetto a quelle pre-operatorie. Il recupero funzionale dopo PTG è caratterizzato da dolo-re, gonfiore e infiammazione dei tessuti periarticolari. Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare se la stimolazione biofisica con I-ONE® terapia fosse in grado di risolvere il dolore e inibire i processi infiammatori locali, che si instaurano in articolazione a seguito di interventi chirurgici.

Materiali e metodi: Sono stati reclutati 33 pazienti di età tra 60 e 85 anni, con artrosi di grado 4 (Kellgren-Lawrence classifi-cation), sottoposti a (PS) PTG e randomizzati in un gruppo sperimentale (stimolato con I-ONE® terapia: 4 ore/die, 60 giorni) e in un gruppo non stimolato di controllo. Tutti i pazienti sono stati seguiti con un trattamento riabilitativo standard e sono stati valutati tramite VAS, Knee Society Score, SF-36 a 1, 2, 6 mesi dopo l’intervento. Agli stessi follow-up è stata valutata la risoluzione del gonfiore. A 3 anni è stato eseguito un follow-up telefonico.

Risultati: I risultati dello studio mostrano che la sintomatologia dolorosa era significativamente ridotta fin dal primo mese post-intervento nel gruppo trattato rispetto al controllo (p < 0,05). Lo stesso risultato si è ottenuto anche per il gonfiore (p < 0,01) con un miglioramento del functional score (p < 0,05). Questi ultimi sono risultati anche significativi rispetto al baseline (p < 0,01), contrariamente al gruppo di controllo. La risoluzione del dolore al primo mese ha evitato una croniciz-zazione del dolore, che si è invece verificata nel gruppo di controllo. A tre anni dall’intervento, tutti i pazienti appartenenti al gruppo stimolato non lamentavano limitazione funzionale, rispetto a un 27% nel gruppo di controllo (p < 0,05); anche la percentuale di pazienti con dolore era significativamente minore nel gruppo stimolato, p < 0,05.

Discussione: La risoluzione precoce della risposta infiammatoria è molto importante se si considera che l’infiammazione presente nelle prime settimane dopo l’impianto protesico può influenzare la guarigione dei tessuti periarticolari, portando ad un eccesso di formazione di tessuto fibroso, sinovite ipertrofica e ossificazione eterotopica che concorrono all’insorgenza dell’infiammazione cronica dell’articolazione.

Conclusioni: I-ONE® terapia data la sua azione anti-infiammatoria, mediata dall’attività agonista per i recettori adenosinici A2A osservata nei neutrofili, condrociti e sinoviociti, rappresenta un approccio terapeutico innovativo mirato a controllare lo-calmente la risposta infiammatoria in seguito ad un intervento di PTG e può pertanto essere considerato un completamento dell’intervento chirurgico.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 57

Preservazione del legamento crociato posteriore durante il taglio tibiale nell’artroprotesi di ginocchioFrancesca Romana Ripani, Pasquale Sessa, Gianluca CinottiUniversità Sapienza, Roma

Introduzione: Una lesione iatrogena del LCP potrebbe spiegare il rollback paradosso che talvolta si può osservare nei pazienti con una protesi CR. Alcuni autori suggeriscono di delimitare con osteotomo un’isola cortico-spongiosa subito an-teriormente al LCP. Tuttavia l’efficacia di tale tecnica non è dimostrata. L’utilizzo di una tecnica che prevede l’esecuzione di un doppio taglio si è dimostrata superiore sia in termini di migliore articolarità del ginocchio che di preservazione del nor-male rollback femorale rispetto alla tecnica standard. Scopo di questo studio è stato valutare i risultati clinici e radiografici di un gruppo di pazienti operati di PTG in cui il taglio tibiale è stato eseguito con una tecnica alternativa atta a preservare l’inserzione del LCP.

Metodi: Sono state analizzate due serie consecutive di pazienti sottoposti a PTG. Nella prima il taglio tibiale è stato eseguito “in blocco” (50 pazienti, gruppo di controllo). Nella seconda (50 pazienti, gruppo di studio) il taglio tibiale è stato eseguito in 2 tempi, ossia è stato effettuato un primo taglio dello spessore di 5 mm fino alla corticale tibiale posteriore atto a preservare l’inserzione del LCP, ed un secondo taglio di altri 5 mm per ottenere lo spessore adeguato all’impianto della componente tibiale. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a controllo clinico con il KSS e radiografico a 3,6 e 12 mesi dopo l’intervento.

Risultati: A 3 e 6 mesi dall’intervento, il KSS era di 70 e 79, rispettivamente nel gr.controllo e 69 e 81 nel gr. di studio (p > 0,05); a 12 mesi dall’intervento era 91 e 93,5, rispettivamente (p = 0,05). L’articolarità del ginocchio all’ultimo follow-up è risultata in media di 111° nel gruppo controllo e 119° in quello di studio (p = 0,04). L’esame radiografico standard ese-guito nella massima flessione del ginocchio ha evidenziato un rollback chiaramente ridotto in 18 pazienti (36%) del gruppo controllo ed in 3 (6%) di quelli del gruppo di studio (p = 0,0001).

Conclusioni: Per ridurre i rischi di lesionare il LCP nelle protesi di ginocchio CR, è possibile effettuare un doppio taglio tibia-le, il primo di uno spessore tale da preservare con certezza il LCP ed il secondo per raggiungere i 9-10 mm necessari per l’impianto della componente tibiale.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 58

L’allineamento dell’arto inferiore in varismo moderato consente risultati migliori rispetto all’allineamento neutro nelle protesi monocompartimentali mediali di ginocchioMichele Vasso, Chiara Del Regno, Carlo Perisano, Alfredo Schiavone Panni Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute, Campobasso

Introduzione: Esistono pochi dati in Letteratura riguardo i risultati e la sopravvivenza delle protesi monocompartimentali mediali di ginocchio in pazienti con moderato varismo post-operatorio dell’arto inferiore. Lo scopo di questo studio è stato pertanto analizzare i risultati clinici e funzionali e la sopravvivenza delle protesi monocompartimentali mediali impiantate con non più di 7° di varismo.

Metodi: 125 protesi monocompartimentali mediali di ginocchio a piatto fisso con non più di 7° di varismo sono state analiz-zate retrospettivamente. L’inclinazione varo/valgo e l’entità delle resezioni ossee sono state eseguite utilizzando come riferi-mento l’asse epifisario tibiale prossimale per ripristinare rispettivamente la corretta obliquità dell’interlinea articolare e l’asse meccanico originario (pre-artrosi) dell’arto inferiore. I pazienti sono stati valutati attraverso i punteggi della scheda IKS. I soggetti sono stati infine suddivisi in tre gruppi relativamente ai gradi di varismo dell’allineamento meccanico femoro-tibiale post-operatorio (gruppo A: -2° a 1°; gruppo B: 2° a 4°; gruppo C: 5° a 7°).

Risultati: Il follow-up medio è stato di 7,6 (3,5 - 9,3) anni. I punteggi IKS clinici hanno evidenziato incrementi proporzionali all’aumento del grado di varismo secondo una relazione lineare (p << 0,01). Inoltre, i punteggi IKS funzionali sono risultati significativamente più alti nel gruppo B e ancor di più nel gruppo C rispetto a quelli nel gruppo A (p = 0,003). Infine, la frequenza di punteggi IKS funzionali > 90 punti è stata trovata significativamente più alta nei pazienti con angolo di alli-neamento meccanico femoro-tibiale ≥ 4° (p = 0,009). Questi risultati non sono stati influenzati dai valori pre-operatori di allineamento dell’arto inferiore, né tantomeno dell’età o dall’indice di massa corporea dei pazienti. La sopravvivenza finale delle protesi è stata del 98,4%.

Conclusioni: Il varismo moderato post-operatorio non compromette i risultati a medio e lungo termine delle protesi mono-compartimentali mediali di ginocchio, garantendo addirittura risultati migliori rispetto ad un allineamento neutro dell’arto inferiore.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 59

Effetti del drenaggio sul dolore postoperatorio e sul sanguinamento nelle protesi di ginocchioValentina Casale, Gian Luigi Canata, Alfredo ChieyOspedale Koelliker, Torino

Introduzione: Negli interventi di inserimento di protesi totale di ginocchio è uso comune inserire un drenaggio all’interno della ferita chirurgica. La scelta tra il ricorrere o meno a questo tipo di procedura è tuttora argomento di dibattito. L’obiettivo di questo studio è quello di dimostrare che non sia indispensabile inserire il drenaggio nell’immediato post-operatorio per ottenere migliori risultati funzionali nei pazienti operati di protesi totale di ginocchio.

Materiali e metodi: In questo studio prospettico randomizzato, un totale di 62 pazienti, età media 70 anni (range 40 - 83), operati tra il 2007 al 2009, è stato suddiviso in due gruppi: nel gruppo A, costituito da 31 pazienti (8 uomini, 23 donne) è stato inserito il drenaggio postoperatorio; nel gruppo B, costituito da 31 pazienti (11 uomini, 20 donne) non è stato ap-plicato alcun drenaggio. Su tutti è stata inserita una protesi Nex Gen non cementata; è stata effettuata una valutazione funzionale soggettiva pre- e postoperatoria utilizzando il Knee injury and Osteoarthritis Outcome Score (KOOS), con un follow-up medio di 24 mesi; sono state inoltre registrate le riduzioni dell’emoglobina di ogni paziente tra il preoperatorio e la prima settimana postoperatoria. Analisi statistica con t-test. Risultati: Gruppo A: score medio KOOS postoperatorio 84 (DS 16). Gruppo B: score medio KOOS postoperatorio 86 (DS 20). Nel Gruppo A è stata registrata una riduzione dell’emoglobina di 4,2 g/dl; nel gruppo B la riduzione dell’emoglobina è stata pari a 3,2 g/dl. L’analisi statistica non ha dimostrato differenze significative tra i due gruppi riguardo i parametri funzionali valutati. Le valutazioni KOOS non mostrano differenze statisticamente significative tra i due gruppi. Conclusioni: La scelta di non applicare il drenaggio nell’immediato postoperatorio si è dimostrata priva di complicanze, soprattutto in termini di perdite di sangue. Nella nostra pratica clinica è preferibile dunque non applicare alcun drenaggio dopo gli interventi di protesi totale di ginocchio.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 60

Effetti della strumentazione paziente-specifica sulla rotazione femorale e sul sanguinamento nella protesica di ginocchio. Studio prospettico randomizzato controllatoDavide Cucchi1, Alessandra Menon1, Beatrice Zanini1, Alberto Aliprandi2, Riccardo Compagnoni3, Alberto Tassi4, Pietro Randelli1

1U.O. Ortopedia II, 2U.O. Diagnostica per Immagini, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese3U.O. Ortopedia, Ospedale Bolognini, Seriate 4Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano

Introduzione: L’obiettivo di questo studio prospettico randomizzato è verificare se l’uso di strumentari paziente-specifici (PSI) migliora l’allineamento rotazionale della componente femorale nella protesi di ginocchio rispetto ad un gruppo di controllo operato con tecnica chirurgica convenzionale. Gli obiettivi secondari sono la valutazione ed il confronto di perdite ematiche, tempi operatori e differenze di outcome clinici e, per il gruppo PSI, il conteggio delle variazioni pre- o intra-operatorie rispetto alle resezioni ed alle taglie pianificate.

Metodi: Ventiquattro pazienti sono stati arruolati e assegnati mediante randomizzazione al gruppo di studio o di controllo. L’orientamento degli impianti è stato confrontato attraverso tomografia computerizzata due mesi dopo l’intervento. Il tempo di laccio, i tempi operatori, il numero di recuts, le modificazioni di taglia rispetto al planning e le complicanze sono stati registrati durante l’intervento. Le perdite ematiche sono state stimate da esami pre- e post-operatori e dai drenaggi. Per valutare l’outcome clinico sono state confrontate le scale Oxford Knee Score and Visual Analogue Scale pre-operatorie con quelle ottenute due mesi dopo l’intervento.

Risultati: Le componenti femorali impiantate con PSI sono state posizionate con un angolo di extra-rotazione rispetto all’as-se trans-epicondilare chirurgico significativamente maggiore rispetto a quelle impiantate con strumentario convenzionale. La riduzione di emoglobina registrata all’ultimo giorno di ricovero è risultata significativamente maggiore nel gruppo di controllo. Non sono state rilevate differenze significative nella riduzione di emoglobina nei primi giorni post-operatori, nella stima delle perdite ematiche totali e nel volume ematico perso nei drenaggi, negli outcome clinici, nei tempi chirurgici e nel numero di recuts effettuati. Nel 58% dei pazienti del gruppo di studio è stato necessari variare la taglia pre- o intra-o-peratorie rispetto a quanto pianificato. Una rottura della guida di taglio della componente tibiale è stata riportata come complicanza.

Conclusioni: L’utilizzo di PSI non migliora il posizionamento rotazionale della componente femorale di una protesi di ginoc-chio né gli outcome clinici ed i tempi chirurgici. Risultati incoraggianti sono stati ottenuti in merito alla riduzione dell’emo-globina post-operatoria, dato che dovrà essere confermato da studi futuri. Estrema cautela è necessaria nella valutazione delle componenti pianificate con tecnologia PSI, sia nella fase pre-operatoria sia durante la chirurgia.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 61

Possono le complicanze della protesizzazione della rotula condizionare le nostre scelte?Andrea Tecame1, Giuseppe Calafiore2, Aldo Ampollini2, Rocco Papalia1, Paolo Adravanti2

1Campus Bio-Medico di Roma, Roma2Casa di Cura Città di Parma, Parma

Introduzione: Il management rotuleo del paziente sottoposto ad intervento di protesi totale di ginocchio (PTG) è un ar-gomento controverso e dibattuto diretto verso 3 possibili alternative: protesizzare, non protesizzare o protesizzare la rotula soltanto in pazienti selezionati. A favore di chi non protesizza la rotula è il rischio di elevate complicanze femoro-rotulee. Lo scopo di questo studio è valutare in modo retrospettivo il rate delle complicanze della protesizzazione rotulea in pazienti sottoposti a PTG effettuati tra il 2001 ed il 2006.

Metodi: Tra il 1° gennaio 2001 e il 31 dicembre 2006 sono stati sottoposti a intervento chirurgico di protesi totale di gi-nocchio, con protesizzazione della rotula, 1280 pazienti da parte di un unico chirurgo in un centro dedicato alla chirurgia del ginocchio. Di questi, 861 pazienti (639 F e 222 M di età media 67,7 ± 12,3 aa) si sono resi disponibili al follow- up mediante intervista telefonica. Il follow-up medio è stato di 7,1 ± 4,5 anni. Postoperatoriamente è stato valutato il Knee Pain Score (KPS). Nei pazienti che riportavano un valore di KPS al di sopra di 36 e in quelli sottoposti a reintervento veniva effettuata una valutazione clinica e radiologica nella quale è stato valutato: asse anatomico (AA), Insall-Salvati index (ISI) ed il Patellar Tilt (PT) su teleradiografia degli arti inferiori in AP, Rx in laterale e assiale.

Risultati: Degli 861 pazienti inclusi nello studio, 801 hanno riportato un valore di KPS inferiore a 36. Dei restanti 60 pazien-ti, 33 presentavano un valore di KPS superiore a 36 mentre 27 hanno subito un reintervento. I 33 pazienti con KPS supe-riore a 36 hanno mostrato una riduzione dell’ISI e PT medi (da 1,08 a 1,02 e da 9,3 a 9,1) e una variazione dell’AA medio (da -2,6° a 1,1°) da pre a postoperatorio. Dei 27 pazienti sottoposti a reintervento soltanto 5 pazienti (0,6%) presentavano problematiche legate all’articolazione femoro-rotulea.

Conclusioni: Nonostante esistano evidenze scientifiche che mostrino la riduzione del tasso di dolore anteriore di ginocchio dopo intervento di protesi totale con protesizzazione rotulea, molti autori sono ancora scettici su questo tipo di approccio a causa del rischio di elevate complicanze a carico della femoro-rotulea. Dai risultati ottenuti dallo studio si evince il basso rate di complicanze associate alla protesizzazione rotulea (0,6%) nei pazienti sottoposti a intervento di PTG. Consigliamo quindi di eseguire la protesizzazione della rotula con un approccio selettivo valutando le specifiche caratteristiche del paziente e della patologia della femoro-rotulea.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 62

Maggiore fissazione epifisaria mediante l’utilizzo di augment porosi nelle revisioni di protesi totale di ginocchioAndrea Baldini1, Franco Pastore2, Luca Montenegro3, Francesco Traverso4, Caterina Guarducci1, Giovanni Balato1,5

1Istituto-IFCA, Firenze2Ospedale Miulli, Bari 3Università di Bari, Bari4Istituto Humanitas, Milano5Dipartimento di Ortopedia, Università degli studi di Napoli Federico II, Napoli

Introduzione: La mobilizzazione asettica dopo intervento di revisione di protesi di ginocchio rappresenta un comune mec-canismo di fallimento. La fissazione dell’impianto in almeno due delle tre zone disponibili (epifisi-zona 1, metafisi-zona 2, diafisi-zona 3) sembrerebbe offrire maggiori garanzie di stabilità. Molto spesso negli interventi di revisione protesica, l’osso epifisario risulta sclerotico compromettendo la fissazione dell’impianto nella zona 1 mediante l’utilizzo del cemento. Abbia-mo ipotizzato che l’uso di augments epifisari in metallo poroso (TM), solidamente ancorati all’osso potrebbe migliorare la fissazione dell’impianto di revisione nella zona 1.

Metodo: Abbiamo prospetticamente studiato una serie di 48 pazienti, di età media 72,4 anni, sottoposti a revisione di pro-tesi di ginocchio per infezione in 12 e mobilizzazione asettica in 36 pazienti. Cinque dei 48 casi erano già stati sottoposti ad intervento di revisione. Il difetto osseo residuo alla rimozione dell’impianto, in base alla classificazione AORI, è stato di tipo 1 in 11 femori e 17 tibie, di tipo 2 in 30 femori e 27 tibie e di tipo 3 in 7 femori e 4 tibie. In tutti i pazienti gli augment sono stati fissati direttamente all’osso epifisario sclerotico mediante l’utilizzo di una vite acetabolare da 6,5 mm. In 12 tibie e in 3 femori l’augment è stato associato ad un cono TM metafisario. Le componenti protesiche tibiali e femorali (6 impianti postero-stabilizzati, 34 semi-vincolati e 9 vincolati) sono state poi cementate sopra gli augment. La fissazione nelle altre due zone è stata ottenuta utilizzando steli cementati in 6 casi sul lato femorale e in 16 casi sul lato tibiale. I risultati clinici (Knee Society Score-KSS e comparsa di dolore da stelo) e radiografici (comparsa di line di radiolucenza RLL) ottenuti sono stati confrontati con casistiche presenti in letteratura in cui vengono utilizzate stesse tipologie di impianto protesico senza l’utilizzo di augment epifisari TM.

Risultati: Il follow-up medio è stato di 3,7 anni (range da 3 a 5 anni). Due osservatori indipendenti hanno valutato pazien-ti clinicamente e radiograficamente. Il valore medio della Knee Society Score è migliorato passando da 34 punti in fase preoperatoria a 85 punti dopo l’intervento. Non sono state osservate linee di radiolucenza al follow-up nell’ambito della componente tibiale. Osteolisi o segni di micromovimenti non sono stati osservati intorno alle viti. Due pazienti sono stati sottoposti nuovamente ad un intervento di revisione per recidiva di infezione. Al momento della rimozione dell’impianto protesico gli augment risultavano solidamente fissati all’osso. Nessun segno di allentamento è stato riscontrato al follow-up finale. Il dolore da stelo era presente in 2 su 48 pazienti.

Conclusioni: Nella presente casistica l’utilizzo di augments epifisari sembra influenzare favorevolmente la percentuale di line di radiolucenza (0% dei casi) e la comparsa di dolore da stelo (4% dei casi). Tali risultati sono nettamente inferiori rispetto a quelli presenti in letteratura riportando un’incidenza che varia dal 30 al 54% e dal 10 al 23% di RLL e di dolore da stelo rispettivamente. L’uso di augument epifisari avvitati può aumentare la fissazione dell’impianto protesico di revisione nella zona 1.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 63

TRAUMA SPORT

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 64

Risultati a distanza del trattamento delle fratture da avulsione della spina tibiale posterioreLuca Giannini, Francesco Giron, Michele Losco, Roberto Buzzi, Domenico Campanacci AOU Careggi, Firenze

Introduzione: Le fratture da avulsione della spina tibiale posteriore sono una patologia relativamente rara, il cui trattamento è dibattuto. Obiettivo del nostro studio retrospettivo è stato di valutare i risultati clinici ed il ripristino della stabilità dopo intervento di riduzione aperta ed osteosintesi (ORIF) attraverso l’accesso di Burks e Schaffer.

Materiali e metodi: 19 pazienti (14 maschi e 5 femmine) di età media 42 anni (range 17 - 75) sono stati trattati con rein-serzione della spina tibiale posteriore. In 8 pazienti abbiamo riscontrato una lesione isolata, in 1 paziente una lesione lega-mentosa associata ed in 7 almeno 1 frattura associata. Il meccanismo del trauma è stato ad alta energia in 18 pazienti e a bassa in uno solo. La valutazione pre-operatoria è stata eseguita nella totalità dei casi con Rx standard e TC. In 12 casi il trattamento è stato effettuato entro tre settimane dal trauma. Tutti i pazienti sono stati trattati chirurgicamente con riduzione aperta e sintesi con vite-cambra di Trillat utilizzando un accesso posteriore secondo Burks e Shaffer. Sedici pazienti sono stati trattati in acuto, 3 avevano una lesione cronica (> 3 settimane). La valutazione clinica è stata eseguita con le schede KOOS, IKDC e VAS. La stabilità del ginocchio è stata valutata con artrometro KT-1000 e Rx sotto stress (TELOS).

Risultati: I pazienti sono stati valutati ad un follow-up medio di 30 mesi (range 6-47). In tutti i casi abbiamo riscontrato la guarigione radiografica della frattura. Il valore medio della scheda IKDC soggettiva è stato 69, quelli delle scheda KOOS rispettivamente 77, 79, 86, 58, 68, quello della VAS 7. In 9 pazienti è stato possibile un ritorno allo sport a livelli pre-lesio-ne, in 5 a livello inferiore, mentre 5 non praticavano sport. Il risultato finale della scheda IKDC oggettiva era normale in 10 pazienti, quasi normale in 8, anormale in 1 paziente. La side to side difference (ssd) media rilevata al KT-1000 è stata di 2 mm (range 0-6). La ssd rilevata alle radiografie sotto stress con TELOS è stata 2,7 mm (range 0,1-9,8). In un solo paziente abbiamo registrato una ssd > di 5 mm tra i pazienti trattati in cronico. Non abbiamo rilevato differenze statisticamente significative tra i pazienti trattati in acuto e quelli trattati in cronico.

Discussione: Nella nostra casistica il trattamento con ORIF attraverso l’accesso di Burks e Schaffer ha garantito il ripristino della stabilità nella maggior parte dei casi e buoni risultati clinici. È nostra opinione che una riduzione aperta ed osteosintesi sia comunque indicata nei pazienti con lesione cronica anche se probabilmente gravata da un più alto tasso di fallimenti.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 65

Adattamento interculturale e validazione multicentrica della versione italiana dell’Achilles Tendon Rupture Score (ATRS)Alberto Vascellari1, Pietro Spennacchio2, Alberto Combi3, Alberto Grassi4, Silvio Patella5, Salvatore Bisicchia6, Gian Luigi Canata7, Stefano Zaffagnini4

1Orthopaedic and Traumatology Department, Oderzo Hospital, Oderzo2IRCCS Policlinico San Donato, San Donato, Milan 3Orthopaedic and Traumatology Department, Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo, Pavia 42nd Orthopaedic and Traumatology Clinic, Rizzoli Orthopaedic Institute, Bologna5Department of Orthopaedics and Traumatology, Bari University Hospital, Bari 6Orthopaedic Surgery, San Pietro Fatebenefratelli Hospital, Rome 7Centre of Sports Traumatology, Koelliker Hospital, Turin

Scopo: Lo scopo di questo studio è stato quello di tradurre l’Achilles Tendon Rupture Score (ATRS) in italiano e stabilirne l’adattabilità culturale e la validità.

Metodi: La versione originale dell’ATRS è stata tradotta in italiano secondo le linee guida raccomandate da Guillemin. Un sondaggio online è stato sviluppato per testare la validità di costrutto dell’ATRS italiano. Ottanta pazienti con un’età media di 45,5 anni (DS 11) sono stati inclusi nello studio. L’ATRS è stato completato due volte ad intervalli di 5 giorni per l’affidabilità test-retest. Il coefficiente di correlazione intraclasse è stato utilizzato per calcolare l’attendibilità test-retest, e il coefficiente α di Cronbach è stato utilizzato per la coerenza interna. La validità è stata valutata tramite la correlazione esterne (coefficiente di correlazione di Spearman, r) dell’ATRS con le versioni italiane del Victorian Institute of Sports Asses-sment–Achilles questionnaire (VISA-A), il 17-Italian Foot Function Index (17-FFI), il Lower Extremity Functional Scale (LEFS), e lo Short-Form 36 (SF-36).

Risultati: La consistenza interna (α = 0,97) e l’affidabilità test-retest (ICC = 0,96) sono state eccellenti. Il coefficiente di correlazione ha dimostrato una forte correlazione dell’ATRS italiano con il VISA-A e il LEFS (r = 0,72 er = 0,70, rispettiva-mente; p < 0,0001), una debole correlazione con il 17-FFI (r = -0.30, p = 0,007 ), e una correlazione da elevata a mode-rata con il funzionamento fisico, dolore fisico, il ruolo funzionale fisico, ruolo funzionale sociale, ruolo emozionale e vitalità del SF-36 (r = 0.75, r = 0.61, r = 0.52, r = 0.49, r = 0,40 er = 0,34, rispettivamente; p < 0,0001).

Conclusione: La versione italiana dell’ATRS è uno strumento valido per valutare i limiti funzionali dei pazienti italiani dopo rottura del tendine di Achille.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 66

Combined anterior cruciate ligament and medial ligamentous complex reconstruction of the knee. results of a novel technique for medial collateral ligament and posterior oblique ligament reconstructionDaniele Screpis, Vincenzo Madonna, Gianluca Piovan, Vincenzo Condello, Arcangelo Russo, Claudio Zorzi U.O. Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Negrar

Purpose: Two year ago, we have performed a novel technique (described by Madonna et al) for combined medial collateral ligament (MCL) and posterior oblique ligament (POL) reconstruction in chronic setting of anterior cruciate ligament and MCL complex deficiency (III degrees). Allograft tendons have been used for ACL and autogenous semitendinosus tendon with the tibial attachment preserved have been used for the medial/ posteromedial compartment reconstruction. This study describes the clinical results at minimum 1 year of follow up.

Materials and methods: Between January and December 2014, 12 consecutive patients with multiligamentous injuries, underwent concomitant reconstruction of ACL and MCL/POL using a novel technique. The ACL was reconstructed with transtibial technique using a doubled allograft hamstrings tendons. The usefulness of the technique is the semitendinosus sling in the reconstruction of the MCL and POL and the POL fixation with the knee in full extension. The patients were prospectively clinically evaluated with KOOS, IKDC, Lysholm-Tegner scores and KT 1000 arthrometer. The average FU was 18 months.

Results: At 1 year of follow up, the statistical analysis showed an improvement of all the clinical scores and the patients showed a marked improvement in knee stability and functions. No intra-operative and post-operative complications have been noticed.

Conclusions: The new technique restores anterior and medial compartment stability. The results showed good result in ter-ms of clinical knee stability at minimum1 year of FU.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 67

Il trattamento delle fratture di clavicola nell’atleta: esperienza clinicaValentina Rita Corbo, Edoardo Crainz, Renato Lucarelli, Gennaro Di Maggio

Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Siena

Introduzione: La frattura di clavicola rappresenta circa il 44% delle fratture della spalla, il terzo medio è interessato nell’80% dei casi. Tale frattura è molto frequente negli sport di contatto e in quelli dove sono possibili cadute come ippica e motoci-clismo. Il trattamento è quasi sempre conservativo ma, in pazienti selezionati e con alte richieste funzionali, si può optare per l’osteosintesi, velocizzando cosi i tempi di guarigione e di ripresa funzionale.

Materiali e metodi: Il campione comprendeva 9 pazienti con frattura di clavicola (9 uomini, 2 motociclisti e 7 fantini) trattati da gennaio 2012 a luglio 2015 mediante osteosintesi con placca dedicata per clavicola, l’età media era 43,1 anni (range 53-25). Il follow up medio era 6 mesi. La valutazione della spalla operata si è basata sull’utilizzo dello score di Costant, di Dash e sull’opinione personale del paziente.

Risultati: In tutti i pazienti la guarigione al controllo Rx si è ottenuta in un tempo medio complessivo di 45 giorni con ritorno all’attività agonistica in media 12 settimana, a quella non agonistica alla quinta. Non ci sono state complicanze maggiori, in un caso rottura del mezzo di sintesi a circa 7 mesi dall’intervento a causa di sforzo eccessivo del paziente, che in seguito è stato sottoposto ad un nuovo intervento chirurgico di ri-sintesi. Un solo paziente ha deciso di rimuovere il mezzo di sintesi a circa 1 anno dall’intervento.

Conclusioni: Il trattamento conservativo rimane il gold standard per le fratture di clavicola, le indicazioni al trattamento chi-rurgico sono conosciute e ben descritte in letteratura. Tuttavia in pazienti sportivi con elevate richieste funzionali tali fratture se trattate mediante osteosintesi con placche anatomiche dedicate consentono di ottenere un più rapido ritorno all’attività agonistica e percentuali di guarigione assimilabili a quelle ottenibili col trattamento conservativo.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 68

L’utilizzo dei tendini allograft nella ricostruzione del LCA di primo impianto: risultati a medio termineDaniele Tradati1, Martina Ricci1, Paolo Ferrua1, Eva Usellini1, Massimo Berruto1, Luca Gala2

1Chirurgia del Ginocchio, 2IIa Divisione, I.O. G. Pini, Milano

Introduzione: L’utilizzo di allograft nella ricostruzione primaria del legamento crociato anteriore (LCA) rappresenta un’alter-nativa al prelievo di tendini autologhi. La letteratura è discordante e in alcune serie sono riportati risultati funzionali inferiori nei pazienti sottoposti ad impianto di tendini allogenici, un maggior tasso di ri-rottura e un’aumentata incidenza di compli-canze. Scopo di questo studio è stato quello di confrontare gli score funzionali e clinici di un gruppo di pazienti sottoposti ad intervento di ricostruzione primaria di LCA con tendini allogenici con un gruppo di controllo in cui sono stati impiantati tendini autoghi. Materiali e metodi: Sono stati selezionati 21 pazienti sottoposti tra il 2009 ed il 2014 a ricostruzione primaria di LCA con tendini allogenici adottando i seguenti criteri di esclusione: lesioni multilegamentose, procedure ricostruttive extrarticolari associate, trattamento di lesioni condrali ICRS 3-4, impianto di scaffold meniscali, follow-up inferiore a 12 mesi. I pazienti sono stati valutati sia clinicamente sia attraverso l’utilizzo di score funzionali (Lysholm Score, Tegner Score, Subjective IKDC). I dati sono stati confrontati con quelli di 21 pazienti, omogenei per sesso ed età, sottoposti a intervento di ricostruzione pri-maria del LCA con tendini autologhi. I medesimi criteri d’esclusione sono stati adottati per il gruppo di controllo. Risultati: Non sono stati rilevati episodi di rottura del neo-legamento in entrambi i gruppi presi in considerazione. Nega-tivizzazione dei test di traslazione tibiale anteriore in tutti i pazienti di entrambi i gruppi. In 6 pazienti del gruppo allograft e 4 pazienti del gruppo autograft vi è persistenza di 1+ (glide) al test del Pivot shift. Il Lysholm Score, il Tegner Score e il Subjective IKDC score non hanno evidenziato differenze statisticamente significativa tra i due gruppi presi in considerazione. Conclusioni: I nostri dati a breve e medio termine non hanno dimostrato un aumentato rischio di ri-rottura nei pazienti sottoposti a intervento di ricostruzione primaria di LCA con tendini allograft. L’analisi degli score funzionali non ha eviden-ziato differenze statisticamente significative tra i due gruppi presi in considerazione. La permanenza di glide al pivotshif test, maggiore nel grupppo allograft, non è stata correlata alla stabilità soggettiva del ginocchio. I tendini allograft possono rappresenare una valida alternativa al prelievo di tendini autologhi permettendo di ottenere outcome funzionali equiparabili. L’attenta valutazione dei possibili rischi infettivi, oltre che dei costi e della disponibilità degli innesti stessi, sono tuttavia ele-menti da valutare attentamente al momento della scelta del tipo di graft.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 69

Piede piatto dell’adulto di grado II: ritorno allo sport dopo osteotomia di medializzazione di calcagno e transfer del flessore lungo delle dita pro tibiale posterioreClaudia Angela Di Silvestri1, Riccardo D’Ambrosi2, Miriam Grassi2, Federico Giuseppe Usuelli2

1Clinica Ortopedica, Università di Catania, AOU Policlinico, V. Emanuele, Catania 2USPEC Galeazzi, Milano

Introduzione: L’osteotomia di medializzazione del calcagno (OMC) associata a transfer del tendine del flessore lungo delle dita (FLD transfer) pro tibiale posteriore (PTT) è una procedura ampiamente utilizzata nel trattamento del piede piatto dell’adulto associata a deficit del tendine tibiale posteriore (PTTD, stadio 2 sec. la classificazione di Myerson). Lo scopo di questo studio è stato analizzare il ritorno allo sport in pazienti trattati con osteotomia di OMC + FLD transfer e correlare i livelli di attività raggiunti ai risultati radiografici.

Metodi: 42 pazienti con età media di 36,4 anni (range 16-67 anni) sono stati valutati clinicamente e radiograficamente, con un follow-up minimo di 24 mesi. Sono state registrate le attività sportive e il numero di ore dedicate allo sport dai pazienti prima e dopo l’intervento chirurgico e all’ultimo controllo è stato chiesto di compilare il questionario SAFAS. Sulle radio-grafie sotto carico standard sono stati misurati il Meary Index e il Calcaneal Pitch angle, i cui valori sono poi stati messi a confronto tra pre e post operatorio.

Risultati: I pazienti che praticavano sport erano 27 su 42 (64,3%) nel preoperatorio e 36 su 42 (85,7%) dopo l’intervento, con un tempo medio dedicato che è aumentato da 1,4 a 3,5 ore a settimana. Il Meary Index medio è variato da 11,5° a 7°; il Calcaneal Pitch angle medio è aumentato da 16,9° a 19°. I risultati dello score SAFAS hanno mostrato un buon livello di soddisfazione dei pazienti riguardo tutti gli ambiti esaminati: tolleranza ai sintomi (86,40%), al dolore (89%), performance nelle attività quotidiane (96%), performance nelle attività sportive (86,73%).

Conclusioni: La maggior parte dei pazienti è tornato a praticare attività sportive in seguito a OMC + FLD transfer, con l’au-mento del numero di attività e delle ore dedicate rispetto al preoperatorio.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 70

Two-year outcomes after arthroscopic centralization of an extruded lateral meniscusHideyuki Koga1, Takeshi Muneta1, Ichiro Sekiya2

1Department of Joint Surgery and Sports Medicine, Graduate School of Medicine, 2Center for Stem Cell and Regenerative Medicine, Tokyo Medical and Dental University, Tokyo - Japan

Introduction: Meniscus extrusion is associated with development of osteoarthritis, and the optimal management remains ill-defined. The objective of this study was to evaluate clinical and radiographic outcomes of arthroscopic centralization for lateral meniscus extrusion.

Methods: Twenty-five patients who underwent arthroscopic centralization of the lateral meniscus between 2011 and 2013 were included. In cases with an extruded lateral meniscus (13 patients) or discoid meniscus (12 patients), the capsule at the margin between the midbody of the lateral meniscus and the capsule was sutured to the lateral edge of the lateral tibial plateau and centralized using 2 suture anchors to reduce/prevent meniscus extrusion. Clinical outcomes included Lysholm score, KOOS and subjective rating scales regarding patient satisfaction and sports performance level. Radiographic out-comes included meniscus extrusion width (MEW) on MRI and lateral joint space width (JSW) on Rosenberg view. All clinical and radiographic outcomes were reported preoperatively and at 2 years postoperatively, while MEW was reported at 1 year; outcomes were compared to baseline.

Results: One patient required revision surgery for recurrent extrusion. Clinical outcome was significantly improved at 2 years postoperatively compared to baseline; Lysholm score (96 vs. 68; p < 0.0001), and KOOS scores except ADL score (Pain: 88 vs. 74; p = 0.0.003, Symptoms: 87 vs. 76; p = 0.02, ADL: 95 vs. 88; p = 0.051, Sport/Rec: 79 vs. 40; p = 0.0005, QOL: 76 vs. 40; p = 0.001). Patient satisfaction and sports performance recovery were 81% and 82%, respectively. At 1 year, MEW was significantly reduced for both the extrusion group compared to baseline (0.7 mm vs. 4.9 mm; p < 0.0001) and the discoid group (0.4 mm vs. 2.0 mm; p = 0.02). For the extrusion group, JSW increased at 2 years (5.5 mm vs. 4.6 mm, p = 0.02), and was maintained in the discoid group (5.5 mm vs. 5.4 mm; p = 0.51).

Conclusions: Arthroscopic centralization of the lateral meniscus improved clinical and radiographic outcomes for meniscus extrusion as well as for discoid menisci at 2-year follow-up.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 71

Il management delle lesioni dell’ angolo postero-esterno: early repair or late reconstruction? Overview della letteraturaAndrea Tecame1, Massimo Cattani2, Aldo Ampollini2, Rocco Papalia1, Paolo Adravanti2

1Campus Bio-Medico di Roma, Roma2Casa di Cura Città di Parma, Parma

Background: Il management delle lesioni dell’angolo postero-esterno (PLC) del ginocchio rappresenta una sfida per i chirur-ghi a causa degli scarsi e confusi risultati ottenuti dai diversi tipi di trattamento sia in acuto (A) che in cronico (C). Lo scopo di questo studio è rivedere in maniera sistematica gli outcome soggettivi ed oggettivi del management delle lesioni del PLC e determinarne quindi l’iter terapeutico migliore.

Materiali e metodi: Sono stati selezionati gli articoli pubblicati dal gennaio 1992 al febbraio 2016, utilizzando diverse combinazioni di parole chiave, concentrando l’attenzione sui risultati ottenuti dal management delle lesioni dell’angolo postero-esterno. Sono stati considerati solo gli studi con un minimo di 24 mesi di follow-up ed esclusi studi sperimentali e biomeccanici, su cadavere e su animali, e tutti quelli in cui non è stato possibile ottenere i parametri specifici per la valuta-zione dei pazienti. Sono stati presi in considerazione: tecniche chirurgiche, trapianti utilizzati, test soggettivi e questionari, test clinici e strumentali, i tassi di successo e fallimento.

Risultati: 23 studi sono stati inclusi in questa review. 15 trattavano le lesioni del PLC croniche (> 4 settimane) e 8 acute (< 4 settimane). Su un totale di 599 pazienti, 465 sono stati trattati in cronico e 134 in acuto. L’età media era compresa tra 21 e 40 anni. Sulla base dei test clinici quali IKDC ( range A 78,1-91,3; C 62,6-86) e Lysholm (range A 87,5-90,3; C 65,5-91,8), dei test soggettivi di stabilità e radiografie in varo stress, il tasso di fallimento delle riparazioni delle lesioni acute è stato del 19% mentre quello delle ricostruzioni delle lesioni croniche del 10%.

Conclusioni: Ampiamente dibattuto in letteratura è il management delle lesioni del PLC che vede gli autori divisi tra la ripa-razione o ricostruzione, in acuto od in cronico. È comunemente accettato che le lesioni croniche vengano trattate mediante ricostruzione possibile con diverse tecniche chirurgiche che non influiscono in maniera significativa sugli outcomes. Per le lesioni acute non si ha una comune linea di pensiero anche se, dai risultati ottenuti, la riparazione delle lesioni del PLC in acuto porta a un rate di fallimento maggiore rispetto alla ricostruzione in cronico. L’intervento chirurgico di ricostruzione delle lesioni del PLC in cronico presenta un tasso di fallimento minore rispetto all’intervento di riparazione eseguito in acuto. Le lesioni acute devono essere riparate soltando in casi estremamente selezionati che dipendono dalla sede anatomica della lesione.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 72

Integrazione di diverse metodologie di indagine clinica e biomeccanica per la selezione del trattamento ottimale indirizzato a prevenire l’osteoartrosi nella ricostruzione del legamento crociato anterioreStefano Zaffagnini1, Cecilia Signorelli1, Gregorio Marchiori1, Marco Bontempi1, Laura Bragonzoni1, Federico Raggi1, Giuseppe Filardo1, Tommaso Bonanzinga1, Giulio Maria Marcheggiani Muccioli1, Maurizio Busacca2, Nicola Francesco Lopomo3, Maurilio Marcacci1

1Laboratorio di Biomeccanica e Innovazione Tecnologicay, 2 Radiologia Diagnostica ed Interventistica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna3Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università degli Studi di Brescia, Brescia

Introduzione: La ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA) è una delle procedure più comuni in ortopedia [Fer-retti 2011 KSSTA]. Relativamente a questa chirurgia, mentre a breve termine i risultati ottenuti sono ottimali, a lungo ter-mine un numero significativo di studi segnala la possibilità di sviluppo precoce di osteoartrosi (OA), indipendentemente dal tipo di ricostruzione eseguita. Il presente studio riporta un protocollo clinico che, integrando diverse metodologie di indagine clinica ed analisi biomeccanica, mira a determinare quale tecnica di ricostruzione del LCA possa garantire una riduzione della probabilità di un eventuale sviluppo precoce di OA.

Metodi: Il protocollo proposto prevede la definizione di uno studio clinico prospettico in grado di correlare outcome clinico, cambiamenti biochimici nella cartilagine, parametri biomeccanici e possibile sviluppo di OA. Pazienti con lesione isolata del LCA di tipo traumatico sono stati inclusi nello studio e sottoposti in maniera randomizzata a una delle 3 tecniche di ricostruzione più comunemente utilizzate (a fascio singolo, a fascio singolo con tenodesi extra-articolare e a doppio fascio anatomico, con hamstring). I pazienti sono stati valutati strumentalmente: nel pre-operatorio mediante sistemi non-invasivi per l’analisi delle lassità, RSA dinamica e MRI-T2 mapping; intra-operatoriamente mediante sistema di navigazione; nel post-operatorio a 4 mesi di follow-up nuovamente mediante sistemi non-invasivi e a 18 mesi di follow-up mediante RSA dinamica e MRI-T2 mapping.

Risultati: I risultati preliminari ottenuti hanno permesso di verificare il protocollo proposto, validando la modellazione della cinematica attiva del paziente durante diverse attività utilizzando il metodo RSA prima e dopo la ricostruzione. L’analisi cine-matica intra-operatorie è stata resa disponibile grazie all’utilizzo del sistema di navigazione dedicato, in grado di verificare la lassità articolare al tempo zero. La valutazione quantitativa non-invasiva eseguita mediante l’utilizzo di sensori inerziali ha permesso inoltre di stimare le lassità articolari prima della ricostruzione e durante tutto il periodo di follow-up. Lo stato della cartilagine è stato comparato a livello biochimico mediante l’utilizzo della MRI con T2 mapping.

Conclusioni: L’integrazione dei modelli 3D con i dati di cinematica e dinamica, ha permesso di stimare per ogni tecnica ricostruttiva, le aree di contatto e gli stress sulla struttura cartilaginea e di correlarli con lo stato biochimico effettivo della cartilagine a 18 mesi di follow-up. I risultati ottenuti hanno evidenziato come l’acquisizione e l’integrazione di diversi tipi di informazione possano aiutare ad identificare quale ricostruzione del LCA possa configurarsi in modo condroprotettivo, for-nendo così uno strumento “patient-specific” efficace per ridurre al minimo lo sviluppo precoce di OA. Lo studio è supportato dal Ministero della Salute (RF-2010-2312173 e GR-2011-02351803).

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6° CONGRESSO NAZIONALE 73

551 ricostruzioni del legamento crociato anteriore con tecnica transtibiale e risparmio del residuo del legamento: valutazione e risultati a distanzaHerbert Schoenhuber, Roberto Pozzoni, Andrea Panzeri, Gabriele Thiébat, Francesca Facchini, Marco Galli, Paolo Capitani, Nicolò Vitale

Istituto Ortopedico Galeazzi - CTS, Milano

Introduzione: Scopo di questo studio è la valutazione a distanza dei risultati della ricostruzione artroscopica del legamento crociato anteriore (LCA) con tecnica transtibiale e risparmio del residuo del legamento.

Materiali e metodi: Negli anni 2013-2014, presso il Centro di Traumatologia dello Sport e Chirurgia Artroscopica dell’IRC-CS Galeazzi a Milano, 551 pazienti, fra i 17 e i 55 anni, sono stati sottoposti ad intervento di ricostruzione del LCA e conse-guentemente rivalutati. I pazienti, con un follow-up minimo di un anno, sono stati rivalutati funzionalmente con Cincinnati score, Lysholm score, SF-12 e Tegner Activity Scale (pre e post-operatoria).

Risultati: I pazienti hanno evidenziato buoni risultati clinici e nella maggior parte dei casi sono tornati a svolgere le attività sportive interrotte a seguito della lesione del LCA. La percentuale di successo e soddisfazione del paziente è risultata para-gonabile, soggettivamente e oggettivamente, fra i diversi tipi di trapianto utilizzato (autograft o allograft).

Conclusioni: La scelta della tecnica chirurgica nella ricostruzione del LCA, che condiziona l’orientamento del neo-legamen-to, è tutt’ora oggetto di discussione in letteratura. Si è passati dal concetto di ricostruzione isometrica a quella anatomica. In letteratura sono riportati ottimi risultati sia con la tecnica anteromediale che con quella transtibiale. Il risparmio del resi-duo di legamento è stato dimostrato avere un ruolo nella vascolarizzazione del trapianto e nella propriocettività articolare. A questo si contrappone un maggior rischio di sviluppo di impingement anteriore, sebbene statisticamente non significativo. La valutazione, mediante schede validate in letteratura, ha voluto tenere conto sia della buona riuscita oggettiva dell’inter-vento e conseguente ritorno allo sport sia della soddisfazione soggettiva dei pazienti stessi. La ricostruzione delle lesioni del legamento crociato anteriore con tecnica transtibiale e risparmio del residuo risulta essere una tecnica valida e riproducibile con ottimi risultati a distanza.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 74

GINOCCHIO - PROTESICA

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6° CONGRESSO NAZIONALE 75

Analisi delle complicanze e riammissioni dopo protocollo di recupero rapido per protesi primaria di ginocchio: proposte migliorativeAndrea Baldini, Marco Ponti, Dimitri Bartoli, Irene Miniati, Lorenzo Jonathan Chiti IFCA Villa Ulivella e Glicini, Firenze

Introduzione: Tradizionalmente, il razionale per mantenere i pazienti ricoverati in ospedale dopo chirurgia ortopedica mag-giore si è basato sul rischio di complicanze e riammissioni postoperatorie, sulla riduzione della mobilità e sulla difficoltà a controllare il dolore. Lo scopo dello studio è analizzare le complicanze e le riammissioni avvenute in pazienti sottoposti a protocollo Fast Track dopo protesi primaria unilaterale di ginocchio (PTG). Conseguentemente, il secondo obiettivo è iden-tificare alcune proposte migliorative.

Metodi: Centotrenta pazienti sottoposti a protesi primaria unilaterale di ginocchio sono stati consecutivamente arruolati tra settembre 2014 e marzo 2016, operati dallo stesso chirurgo ortopedico, in assenza di limiti di età. Il gruppo di controllo è composto da 52 uomini e 78 donne con età media 67 ± 8 anni (range 40-86) e BMI medio 28,4 ± 4,3 (range 19,7-45,4). Entro un mese dall’intervento sono state analizzate tutte le complicanze minori postoperatorie (es. nausea, secrezione della ferita chirurgica, ipotensione ortostatica, marcato gonfiore, ritenzione urinaria), maggiori (es. infezioni acute, fallimento meccanico dell’impianto protesico, ematomi maggiori, eventi cardiopolmonari, insufficienza renale o epatica) e le riammis-sioni ospedaliere ed ambulatoriali, intese come controlli medici anticipati, dopo la dimissione.

Risultati: Abbiamo collezionato eventi minori in 44 pazienti. In media ciascun paziente ha avuto una complicanza postope-ratoria (range 0-2). Di queste, 13 pazienti hanno avuto nausea. Undici pazienti hanno avuto secrezione della ferita chirur-gica oltre le prime 72 ore postoperatorie che ha determinato un breve stop della riabilitazione e cambio della medicazione. Nove pazienti hanno avuto episodi di ipotensione ortostatica (senza cadute) conseguenti alla prima deambulazione lo stesso giorno dell’intervento. Gonfiore dell’arto operato, clinicamente rilevante, è stato rilevato in 21 soggetti. Nessun paziente del-la coorte di PTG ha avuto ritenzione urinaria. Le riammissioni ambulatoriali si sono verificate nel 4,6% dei casi (per gonfiore e controlli ferita). Nessun caduta accidentale si è verificata in fase postoperatoria. Nessuna complicanza maggiore è stata registrata durante il primo mese postoperatorio. Non si è verificata nessuna riammissione ospedaliera per problematiche ortopediche. Un paziente è stato riammesso in un reparto ospedaliero per un episodio di calcolosi della colecisti avvenuto 15 giorni dopo l’intervento di PTG.

Conclusioni: Le complicanze sono state di piccola entità ma frequenti in numero. Diverse strategie e proposte di miglio-ramento possono essere implementate per ridurre al minimo questi eventi. Un buon controllo della terapia farmacologi-ca, possibilmente “opioid-sparing” e personalizzata sul paziente può permettere di limitare alcune complicanze mediche. Un selettivo uso dei drenaggi articolari chirurgici può limitare le perdite ematiche precoci. Misure di sicurezza per prevenire episodi di ipotensione o gonfiore dell’arto operato (posizione trendelenburg del letto, sistemi di crioterapia avanzata, inter-venti farmacologici tempestivi e adeguata idratazione) possono incrementare la compliance del paziente al trattamento. Infine, follow-up a breve termine, come telefonate al paziente con domande specifiche dopo pochi giorni dalla dimissione, mantengono uno stato di continuità assistenziale tra l’équipe e il paziente, permettendo di reagire di fronte a qualsiasi evento avverso che può accadere presso il domicilio del soggetto. In conclusione, collezionare tutti i dati disponibili e otti-mizzare i percorsi clinico-assistenziali, attraverso un migliore approccio multimodale di tutti gli aspetti che compongono la metodologia Fast Track, permette di raggiungere e mantenere gli obiettivi di recupero funzionale e di ridurre complicanze più serie, altrimenti evitabili.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 76

Anestesia loco-regionale nella protesica di ginocchio: il blocco del canale degli adduttori rappresenta il nuovo “gold standard”Pier Francesco Indelli1, Edward R. Mariano2, Nicholas Giori1

1Stanford University School of Medicine, Department of Orthopaedic Surgery, 2Department of Anesthesiology, Preoperative and Pain Medicine, Palo Alto, California - USA

Introduzione: Numerose tecniche loco-regionali sono state recentemente proposte per il controllo del dolore perioperatorio nella protesica di ginocchio (PTG). Il blocco del canale degli adduttori costituisce una nuova affascinante metodica rispetto ad altre tecniche in quanto garantisce un blocco prevalentemente sensoriale. L’obbiettivo di questo studio è stato di con-frontare una metodica tradizionale di anestesia loco-regionale (blocco continuo del nervo femorale) con il blocco continuo del canale degli adduttori in una serie consecutiva di pazienti sottoposti a protesi totale di ginocchio.

Metodi: Presso la nostra Istituzione accademica, abbiamo selezionato una serie consecutiva di 168 pazienti sottoposti ad intervento di PTG: i primi 102 pazienti hanno ricevuto, per il controllo del dolore intraoperatorio e postoperatorio, un blocco continuo (48 ore) del nervo femorale (FNCNB) mentre i secondi 66 un blocco continuo (48 ore) del canale degli adduttori (ACCNB). Un’anestesia generale è stata somministrata a tutti i 168 pazienti in modo da non sovrapporre un’altra tecnica anestesiologica loco-regionale (spinale o peridurale) al blocco continuo periferico. Al termine dell’intervento protesico, con-dotto con tecniche standard, tutti i pazienti hanno ricevuto un’infiltrazione periarticolare locale costituita da una miscela di ropivacaina, epinefrina e ketorolac. I pazienti sono stati valutati in base alla deambulazione postoperatoria (metri), all’uso quotidiano di oppiacei, al dolore a riposo (scala numerica 0-10), all’incidenza di cadute perioperatorie e alla lunghezza del periodo di ospedalizzazione (LOS).

Risultati: La distanza media percorsa è stata superiore nel gruppo ACCNB sia nel primo giorno postoperatorio (37 metri vs 6 metri; p < 0,001) che nel secondo (60 metri vs 21 metri; p = 0,003) rispetto al gruppo FNCNB. Dal punto di vista stati-stico, l’analisi della regression lineare ha confermato l’associazione tra l’uso del ACCNB e la distanza percorsa sia in prima giornata postoperatoria (B = 23; 95% CI =14-33; p < 0,001) che in seconda giornata postoperatoria (B = 19; 95% CI = 5-33; p = 0,008). Abbiamo registrato 4 cadute postoperatorie nel gruppo FNCNB e zero nel gruppo ACCNB (p = 0,15). L’analisi del dolore postoperatorio, dell’uso quotidiano di oppiacei e della degenza postoperatoria non hanno mostrato dif-ferenze tra i due gruppi.

Conclusioni: Il nostro studio ha dimostrato che il blocco continuo del canale degli adduttori permette una precoce deam-bulazione rispetto al blocco continuo del nervo femorale senza provocare una riduzione del livello di analgesia in pazienti sottoposti a protesi totale di ginocchio. Spronati dai risultati di questo studio, gli autori hanno modificato il loro protocollo anestetico standard nei casi di protesi totale di ginocchio: il doppio blocco loco-regionale (singola spinale seguita da AC-CNB per 48 ore) è accompagnato, alla conclusione dell’impianto protesico, da un’infiltrazione analgesica nei tessuti molli periarticolari.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 77

Strategie ricostruttive nelle lesioni croniche del tendine rotuleo dopo protesi totale di ginocchioAlfredo Lamberti1, Ashok Rajgopal2, Giovanni Balato1, Pierpaolo Summa1, Andrea Baldini1

1I.F.C.A., Firenze2Knee Unit, Medanta Bone and Joint Institute, Gurgaon - India

Introduzione: La lesione del tendine rotuleo è una complicanza rara ma altamente disabilitante dopo intervento di protesi totale di ginocchio (PTG), con gravi ripercussioni sulla funzionalità articolare e sulla longevità dell’impianto. Diverse strate-gie di ricostruzione sono state descritte, con risultati variabili e senza definire un gold standard di trattamento.

Metodo: Utilizzando una metodologia case matching, abbiamo confrontato 3 gruppi di 7 pazienti sottoposti a ricostruzione del tendine rotuleo per lesione cronica dopo PTG, con tre differenti tecniche: allotrapianto di tendine d’Achille (ATA), allo-trapianto di apparato estensore completo (EMA) ed autotrapianto di tendine quadricipitale con augment di semitendinoso (QSA). L’età media dei pazienti è risultata di 73 anni nel gruppo ATA, 70 anni nel gruppo EMA e 57 anni nel gruppo QSA. Tutti i pazienti sono stati valutati in maniera prospettica ed i dati analizzati retrospettivamente ad un follow-up minimo di 2 anni. In tutti i casi del gruppo ATA, in un caso del gruppo QSA ed in cinque casi del gruppo EMA la ricostruzione è stata associata a revisione dell’impianto protesico. Preoperatoriamente e ad ogni follow-up sono stati registrati lo score clinico (KS) della Knee Society ed il grado di extensor lag. Sono stati considerati fallimenti i casi con extensor lag > 20°, KS < 60 punti ed i casi in cui è stata necessaria la revisione o la rimozione del trapianto.

Risultati: In tutti i 21 casi abbiamo osservato variazioni statisticamente significative dei valori medi di extensor lag da 50,24° a 2,76° e di KS da 44,72 a 78,86. All’ultimo follow-up il valore medio di extensor lag è variato da 54,3° a 2,1° nel gruppo ATA, da 40° a 4,7° nel gruppo QSA e da 56,4° a 1,4° nel gruppo EMA. Il KS si è modificato da 34,9 a 87,7 nel gruppo ATA, da 65 a 70 nel gruppo QSA e da 34 a 78,9 nel gruppo EMA. Due sono stati i fallimenti: una reinfezione nel gruppo ATA, trattata mediante rimozione dell’allotrapianto ed artrodesi del ginocchio ed una ri-rottura a livello della tuberosità tibiale nel gruppo EMA, per la quale è stata effettuata una nuova ricostruzione con ATA. Dal confronto tra i tre gruppi, sono risultate statisticamente significative le differenze nei valori postoperatori di KS tra il gruppo ATA ed il gruppo QSA. Differenze non significative sono state riscontrate tra i gruppi ATA ed EMA e tra i gruppi QSA ed EMA.

Conclusioni: I risultati del presente studio dimostrano che le ricostruzioni di lesioni croniche del tendine rotuleo, sia con auto- che con allo-trapianto, determinano un significativo miglioramento dell’outcome clinico e funzionale. L’ATA, per le sue caratteristiche di maggiore elasticità, reperibilità e versatilità rappresenta probabilmente il gold standard di trattamento. L’EMA è preferibile in caso riassorbimento o comminuzione della rotula o in presenza di un danno associato del tendine quadricipitale, ma le maggiori problematiche legate alle caratteristiche dimensionali del trapianto e alla necessità di ma-tching di lato e sesso ne limitano l’utilizzo. Il QSA rappresenta un’alternativa chirurgica applicabile in pazienti più giovani, con tessuti autologhi validi e non compromessi da pregresse esposizioni chirurgiche.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 78

Long-term results of contemporary rotating hinge total knee arthroplastiesUmberto Cottino1, Matthew P. Abdel2

1Ortopedia, Ospedale Mauriziano Umberto I Torino, Torino2Mayo Clinic Rochester, Rochester MN - USA

Introduzione: Le protesi di ginocchio vincolate a vincolo rotante (RH TKA) sono considerate procedure di salvataggio. Nonostante sia innegabile il vantaggio di questi impianti in fatto di stabilità immediata, lo storico elevato tasso di fallimento ne ha sempre temperato l’utilizzo. Lo scopo di questo studio è stato quello di determinare gli outcome, il risultato radiogra-fico e la sopravvivenza delle attuali RH TKA.

Pazienti e metodi: Sono state identificate 408 RH TKA consecutive impiantate per indicazioni non oncologiche dal 2002 al 2012 in una singola istituzione accademica. 268 (66%) RH TKAs sono state impiantate per fallimento asettico, mentre 140 (34%) sono state utilizzate per reimpianto dopo trattamento two-stage per infezione. Le RH TKA sono state usate per im-pianto primario complesso in 74 casi (18%), e per un impianto di revisione in 334 casi (82%). Gli outcome clinici sono stati determinati tramite l’applicazione del Knee Society (KS) scores, ed è stata eseguita un’analisi di sopravvivenza di Kaplan-Meier a 10 anni. L’età media della popolazione era di 69 anni; il follow-up medio di 4 anni.

Risultati: Al controllo più recente, la media di KS knee score è incrementata a 81 (p < 0,0001), mentre la media di KS functional score è aumentata a 56 (p < 0,0001). Ad una media di 4 anni, 17% delle component tibiali risultava avere ra-diolucenza, come l’8% delle component femorali. Al controllo più recente, si sono registrate 59 revisioni e 25 rioperazioni dei casi in oggetto. La sopravvivenza libera da ogni revisione era del 90% a 2 anni e 71% a 10 anni. La sopravvivenza libera da ogni revisione per scollamento asettico era del 98% a 2 anni e 94% a 10 anni. I coni metafisari sono stati utilizzati in 114 casi (28%). L’analisi di sopravvivenza ha rivelato una tendenza a un diminuito rischio di revisione (hazard ratio [HR] = 0,69) e rioperazione (HR = 0,51) in pazienti con coni, nonostante il loro uso sia stato in casi di gravi difetti ossei.

Discussione: In questa grande casistica, le protesi a vincolo rotante hanno assicurato un incremento sostanziale nei risultati clinici e funzionali dei Pazineti, anche a lungo termine. Questo metodo di revisione di protesi di ginocchio ha dimostrato un’alta percentuale di successo anche in pazienti con patologie complesse ed ampia perdita ossea a fronte di complicanze relativamente contenute.

Conclusioni: Le RH TKA contemporanee hanno riportato un netto miglioramento nella sopravvivenza a 10 anni in caso di fallimento asettico, fino ad un eccellente risultato del 94%. Grande enfasi deve essere posta sul contributo dei coni metafi-sari a questo risultato. I pazienti ora possono sperare in sostanziali miglioramenti negli outcome clinici.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 79

La protesi monocompartimentale di ginocchio con componente tibiale all-poly o metal-back: studio prospettico randomizzato clinico-RSAPaolo Barbadoro, Michele d’Amato, Piergiuseppe Tanzi, Andrea Cencioni, Alessandro Vanzetti, Andrea Illuminati, Claudio Belvedere, Alberto Leardini, Andrea Ensini Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Il più alto tasso di revisione delle protesi monocompartimentali di ginocchio rispetto alle totali è legato alla mobilizzazione asettica della componente tibiale o al dolore residuo mediale in sede tibiale, spesso senza una causa accer-tata. Per le protesi totali di ginocchio è stata evidenziata una migliore fissazione della componente tibiale all-poly rispetto alla metal-back. Lo scopo di questo studio è quello di valutare se vi sono differenze di fissazione tra la componente tibiale all-poly e quella metal-back nelle protesi monocompartimentali con la stessa componente femorale e se vi sono differenze cliniche tra i 2 gruppi.

Metodi: 38 pazienti candidati ad intervento di protesi monocompartimentale mediale di ginocchio sono stati randomizzati in 2 gruppi: nei 19 pazienti del gruppo A è stata impiantata una componente tibiale all-poly e nei 19 pazienti del gruppo B è stata impiantata una componente tibiale metal-back. Al momento dell’intervento chirurgico in tutti i pazienti sono stati po-sizionati 4 microsfere di tantallio di diametro 0,8 mm nella tibia e 4 nel polietilene. È stata eseguita una valutazione clinica KSS score nel pre-operatorio e a 3, 6, 12, 24 mesi nel post-operatorio. I pazienti sono anche stati sottoposti a controllo RSA nell’immediato post-operatorio e agli stessi follow-up delle valutazioni cliniche. Sono state calcolate le traslazioni, rotazioni e MTPM della componente tibiale rispetto all’osso elaborando le immagini RSA con un software dedicato.

Risultati: La media dei punteggi clinici a 3, 6, 12 e 24 mesi dall’intervento chirurgico è risultata rispettivamente di 85 ± 10, 89 ± 9, 89 ± 9, 89 ± 11 per quanto riguarda l’IKS-Knee e 77 ± 14, 86 ± 13, 87 ± 17, 92 ± 8 per l’IKS-Function per il gruppo A e di 84 ± 9, 89 ± 9, 92 ± 6, 93 ± 5 per l’IKS-Knee e 78 ± 17, 88 ± 16, 89 ± 13, 94 ± 10 per l’IKS-Function per il gruppo B. I valori di MTPM medio a 3, 6, 12 e 24 mesi rispettivamente: 0,28 ± 0,10, 0,33 ± 0,13, 0,41 ± 0,25 e 0,47 ± 0,31 mm per il gruppo A e 0,45 ± 0,22, 0,50 ± 0,30, 0,55 ± 0,20 e 0,55 ± 0,31 mm per il gruppo B. Non vi sono differenze cliniche né di fissazione statisticamente significative tra i 2 gruppi (p < 0,05). Due pazienti del gruppo A hanno evidenziato un peggioramento clinico a 12 mesi dall’intervento, con dolore mediale, senza dati RSA allarmanti. La densitometria ossea mostrava un quadro di osteoporosi vertebrale e al collo femorale. La scintigrafia con leucociti mar-cati dimostrava un’ipercaptazione alla metafisi prossimale della tibia, indice di un sovraccarico dell’osso spongioso porotico.

Conclusioni: Non vi sono differenze di fissazione tra le due componenti tibiali né vi sono differenze cliniche significative tra i due gruppi. Nei pazienti con osteoporosi può essere consigliata una protesi metal-back.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 80

Le ricostruzioni dell’apparato estensore con allograft nelle protesi totali di ginocchioPaolo Adravanti1, Francesco Dini2, Giuseppe Calafiore1, Michele Attilio Rosa2

1Casa di Cura “Città di Parma”, Parma2Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia, Università di Messina, Messina

Introduzione: La rottura dell’apparato estensore rappresenta una rara ma devastante complicanza dopo protesi totale di ginocchio (PTG). L’incidenza varia dallo 0,17 all’1,4% di tutte le complicanze dopo PTG (Barrack 2003) e comporta spesso una revisione dell’impianto. Queste lesioni possono avvenire solitamente per fratture o osteonecrosi della rotula o per lesioni dei tendini quadricipitale o rotuleo. Le opzioni di trattamento sono rappresentate dalla riparazione primaria o dalla ricostru-zione con legamenti sintetici, allo o autograft.

Materiali e metodi: È stato eseguito uno studio retrospettivo di 21 casi, dal 2008 al 2014, di ricostruzione dell’apparato estensore tramite allograft nelle PTG. Tutti i pazienti sono stati valutati radiograficamente e dal punto di vista clinico-funzio-nale tramite Knee Society Score (KSS) e WOMAC knee score ad un follow-up medio di 38 mesi dall’intervento chirurgico.

Risultati: La media del KSS è aumentata da 25,4 a 74,6 punti dal pre al postoperatorio, allo stesso modo si è riscontrato un innalzamento della media del WOMAC score da 32,3 a 79,2 punti. Si sono verificati 3 casi di fallimenti: due dovuti alla permanenza del dolore in pazienti trattati per grave rotula bassa e artrofibrosi (esiti dei precedenti interventi) e uno di rein-fezione (trattato successivamente con artrodesi).

Conclusioni: Nella nostra esperienza l’utilizzo di allotrapianti per la ricostruzione dell’apparato estensore nelle PTG, con una corretta indicazione, ha dato esiti favorevoli, tuttavia nei casi in cui tale tecnica viene applicata su pazienti affetti da rotula bassa con artrofibrosi postchirugica i risultati si sono rivelati meno soddisfacenti.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 81

L’uso degli innesti osteoarticolari nelle emi-resezioni oncologiche e non oncologiche del ginocchio Giuseppe Bianchi, Andrea Sambri, Emilia Caldari, Elisa Sebastiani, Davide Donati Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: L’innesto osteoarticolare di un condilo (IOC) rappresenta una valida possibilità nella ricostruzione di difetti ossei massivi del ginocchio nel caso un solo condilo sia affetto dalla malattia. Lo scopo di questo studio retrospettivo è la valutazione dei risultati funzionali e della sopravvivenza degli IOC e la descrizione di possibili procedure di salvataggio nel caso in cui l’innesto fallisca.

Pazienti e metodi: Venticinque IOC sono stati impiantati nel nostro Istituto: 22 casi dopo resezione per tumore, 2 per difetti ossei massivi post-traumatici, 1 per il fallimento di un IOC. L’età media era 33 anni (range: 15-63). Diciotto IOC erano nel femore distale, sette nella tibia prossimale.

Risultati: Tre pazienti sono morti (solo uno a causa del tumore). Uno IOC è stato rimosso a causa di una recidiva di con-drosarcoma e uno a causa della frattura dello IOC. La sopravvivenza media degli IOC è di 129 mesi (range 12-302), con una miglior sopravvivenza degli IOC di femore (85%) rispetto a quelli di tibia (40%) a 150 mesi. Sei IOC sono stati convertiti in protesi di ginocchio per lo sviluppo di artrosi dopo un tempo medio di 146 mesi. Dopo un follow-up medio di 3 anni non sono state registrate complicazioni negli impianti protesici. I 14 pazienti con lo IOC in sede al follow-up finale (media 123 mesi) sono stati valutati clinicamente e radiologicamente: non sono state osservate correlazioni tra la funzione del ginocchio e il grado di artrosi.

Discussione: In casi selezionati lo IOC offre ottimi risultati clinici e permette di rimandare la necessità di una protesi di ginocchio. Nel caso di fallimento dello IOC, l’osso impiantato offre la possibilità di impiantare protesi di ginocchio tradizio-nali. Nonostante I risultati incoraggianti nel breve periodo, un follow-up maggiore è necessario per valutare il risultato delle protesi di ginocchio dopo IOC.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 82

Valutazione delle perdite ematiche e complicanze postoperatorie nelle PTG bilaterali simultanee comparate a PTG unilaterali standard con protocollo fast trackAndrea Baldini1, Flavio Carbone2, Irene Miniati1, Giovanni Balato1

1IFCA, Firenze - Italy, 2Università Federico II, Napoli

Introduzione: Il numero di pazienti sottoposti ad artroprotesi totali di ginocchio bilaterali simultanee (PTGBS) sta gradual-mente crescendo per il miglioramento delle tecniche di gestione medica perioperatoria. I benefici potenziali delle PTGBS includono ridotti tempi di ospedalizzazione, ridotto tempo di anestesia, ridotto tempo di riabilitazione e ridotti costi sanitari.Gli svantaggi potenziali sono la maggiore necessità di trasfusione di sangue legata a procedure chirurgiche simultanee con una maggiore difficoltà di gestione del sangue e di incidenza di complicanze postoperatorie. Lo scopo del seguente studio è quello di valutare prospetticamente il tasso di trasfusione omologa, i giorni di ospedalizzazione ed il tasso di complicanze nei pazienti sottoposti a PTGBS ed in quelli sottoposti ad artroprotesi totale di ginocchio unilaterale (PTGU).

Materiali e metodi: Nel seguente studio di coorte caso-controllo prospettico, sono stati analizzati 28 casi di PTGBS e 28 controlli di PTGU, operati tra febbraio 2014 ed marzo 2016, appaiati per genere (22 femmine e 6 maschi), età (media 65,58 vs 66, range 56-75), modello protesico (Nexgen Legacy Posterior Stabilized Zimmer). In tutti i casi è stato utilizzato un protocollo di gestione multimodale del dolore, sanguinamento e fisiochinesiterapico per il recupero rapido (Fast Track) nel postoperatorio. Gli outcome considerati sono stati: tasso di trasfusione omologa, giorni di ospedalizzazione, tasso di complicanze distinte in maggiori e minori. Le complicanze minori considerate sono: nausea e vomito, ipotensione, ritenzione urinaria nei pazienti non cateterizzati. Le complicanze maggiori considerate sono: secrezione ematica della ferita persistente (maggiore di 72h postoperatorie), infezione del sito chirurgico.

Risultati: Dall’analisi comparativa dei due gruppi considerati di PTGBS e PTGU è emerso: il tasso di trasfusioni omologhe è stato del 14% (4/28) vs 0. In 4 casi di PTGBS si sono impiegate trasfusioni autologhe non utilizzate nelle unilaterali. I giorni di degenza sono stati in media 6 (range 3-8) vs 3 (range 2-10). Le complicanze minori si sono verificate nella misura del 25% nel PTGBS (7/28) vs 17% nel PTGU (5/28) di cui: 1 caso di nausea (3%) vs 3 (10%), 6 ipotensione (21%) vs 2 (8%), in nessuno dei due gruppi sono state osservate ritenzione urinaria, secrezione ematica dalla ferita maggiore di 72h e comparsa di infezione del sito chirurgico.

Conclusioni: L’approccio multimodale della gestione per il recupero rapido (fast track) consente un’efficace gestione delle complicanze nei pazienti sottoposti ad intervento di ptgbs che rappresenta una procedura cost-effective con elevato grado di soddisfazione del paziente pur nella necessità di eventuale implementazione delle metodiche trasfusionali sia autologhe che di reinfusione con recupero da drenaggio attualmente non evidence based nelle procedure unilaterali.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 83

Quanto è affidabile il test immunoassay dell’alpha-defensina per la diagnosi delle infezioni periprotesiche?Tommaso Bonanzinga1, Akos Zahar2, Michael Dütsch2, Christian Lausmann2, Daniel Kendoff3, Thorsten Gehrke2

1Istituto Ortopedico Rizzoli, Università di Bologna, Bologna2HELIOS ENDO Klinik, Hamburg - Germany3HELIOS Klinik Berlin-Buch, Berlin - Germany

Introduzione: Un corretta diagnosi è alla base del trattamento delle infezioni periprotesiche. Allo stato dell’arte c’è una carenza di strumenti diagnostici che siano in grado di fare diagnosi di infezioni periprotesiche con alta accuratezza. Recen-temente è stata proposta come possibile soluzione la valutazione dei livelli di alpha-defensina nel liquido sinoviale, tuttavia la letteratura è ancora carente di una validazione indipendente. Pertanto abbiamo eseguito uno studio prospettico per de-terminare (1) la sensibilità, la specificità, il valore predittivo positivo e negative dell’immunoassay dell’alpha-defensina; (2) quali parametri clinici possano essere responsabili di falsi positivi o falsi negativi.

Metodi: Abbiamo eseguito esami del sangue per proteina C reattiva e un aspirato preoperatorio su tutti i pazienti consecutivi entrati per una protesi dolorosa di anca o di ginocchio. Metallosi, malattie infiammatorie sistemiche, terapia antibiotica in corso non sono stati considerati fattori di esclusione. La mancanza di liquido sinoviale è stata considerata l’unico fattore di esclusione. Sul liquido sinoviale sono stati valutati, leucoesterasi, conta dei bianchi, percentuale dei neutrofili ed esami col-turali. Al momento della revisione è stato prelevato nuovamente il liquido sinoviale per eseguire la valutazione dell’alpha-de-fensina. Tale prelievo è stato eseguito dopo l’incisione della cute, direttamente attraverso la capsula. Durante la revisione sono stati prelevati campioni di tessuto per esame istologico e colturale.

Risultati: Sono stati inclusi 156 pazienti (65 protesi di ginocchio e 91 protesi d’anca). In accordo con i parametri dell’Inter-national Consensus Group on Periprosthetic Joint Infection, in 29 pazienti è stata fatta diagnosi di infezione periprotesica. La sensibilità del immunoassay dell’alpha-defensina è stata 97% (95% CI, 92% - 99%), la specificità 97% (95% CI, 92% - 99%), il valore predittivo positivo 88% (95% CI, 81% - 92%) e il valore predittivo negativo 99% (95% CI, 96% - 99%). Abbiamo avuto 4 falsi positivi, di cui 2 avevano una metallosi e uno un’usura del polietilene. Nell’unico falso negativo era presente una fistola ma anche le colture erano negative.

Conclusioni: L’immunoassay dell’alpha-defensina può avere un ruolo significativo nella diagnosi delle infezioni peripro-tesiche. Secondo gli autori dovrebbe essere integrata all’interno dei criteri diagnostici delle infezioni periprotesiche. Saranno tuttavia necessari importanti studi multicentrici per comparare statisticamente questo test con gli altri strumenti diagnositici attualmente disponibili.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 84

Accuratezza diagnostica della conta dei leucociti e della percentuale dei polimorfonucleati nel liquido sinoviale nelle infezioni periprotesiche di ginocchioGiovanni Balato1,2, Fiamma Balboni2, Gianni Virgili3, Alfredo Lamberti2, Andrea Baldini2

1Dipartimento di Ortopedia, Università degli studi di Napoli Federico II, Napoli 2Istituto IFCA, Firenze 3Università degli studi di Firenze, Firenze

Introduzione: L’accertamento preoperatorio della natura settica del fallimento di una protesi articolare riveste un’impor-tanza fondamentale per stabilire la corretta strategia terapeutica. L’analisi del liquido sinoviale rappresenta un importante strumento diagnostico che permette di eseguire, oltre alle analisi microbiologiche, una valutazione della conta dei leucociti e della percentuale di polimorfonucleati (PMN), pur persistendo incertezza sui valori soglia indicativi d’infezione di questi parametri. Il presente studio valuta l’accuratezza diagnostica della conta dei leucociti e della percentuale dei PMN nel liqui-do sinoviale in pazienti con protesi totale di ginocchio dolorosa.

Metodo: 167 pazienti con protesi totale di ginocchio dolorosa sono stati sottoposti ad artrocentesi prima dell’intervento chirurgico per ottenere campioni di liquido sinoviale da testare per la conta dei globuli bianchi e la percentuale di PMN. La performance diagnostica dei test è stata valutata utilizzando i criteri diagnostici sviluppati dal Consensus Meeting Interna-zionale sulle Infezioni Periprotesiche come gold standard. L’accuratezza diagnostica della conta leucocitaria e della percen-tuale dei polimorfonucleati nel liquido sinoviale è stata misurata mediante la valutazione di sensibilità, specificità (95% IC), valore predittivo positivo, valore predittivo negativo e mediante il calcolo dell’area sotto la curva ROC.

Risultati: La definizione d’infezione protesica basata sui criteri proposti dal Consensus meeting internazionale sulle infezioni periprotesiche ha permesso di classificare 40 infezioni periprotesiche e 103 fallimenti asettici. Il valore medio dei leucociti osservato nei pazienti con infezione protesica è risultato essere significativamente più alto rispetto ai pazienti con fallimento asettico (p < 0,001). Il valore soglia ottimale di conta leucocitaria del liquido sinoviale indicativo della presenza di infezione è stato di 3000/ UL, con una sensibilità dell’80% [intervallo di confidenza (CI) 95% = 57,8-92,9], una specificità del 90% (95% CI = 83,0-95,3), un valore predittivo positivo del 66% (95% CI = 45,7-82,1), ed un valore predittivo negativo del 95% (95% CI = 88,6-98,3). La sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e valore predittivo negativo erano gli stessi per una percentuale di PMN nel liquido sinoviale > 65%. L’area sotto la curva ROC era 0,86 (95% CI = 76-94).

Conclusione: Questo studio evidenzia l’utilità della conta leucocitaria e della percentuale di PMN nel liquido sinoviale nel consentire una distinzione tra presenza e assenza di infezione in pazienti con protesi di ginocchio dolorosa. anche grazie all’integrazione di questi test con altri parametri clinici e di laboratorio. Un cut-off > 3000 cellule/UL ed un valore percen-tuale di PMN > 65% mostrano una buona performance diagnostica.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 85

Le infezioni periprotesiche di ginocchio da germi multi-resistenti potrebbero causare perdita della protesi o addirittura dell’artoMichele Vasso1, Alfredo Schiavone Panni2, Ivan De Martino3, Giorgio Gasparini4

1Concordia Hospital for Special Surgery, Roma2Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute, Università del Molise, Campobasso 3Adult Reconstruction and Joint Replacement Division, Department of Orthopaedic Surgery, Hospital for Special Surgery, New York - USA 4Dipartimento di Chirurgia Ortopedica e Traumatologica, Università Magna Graecia, Ospedale Universitario Mater Domini, Catanzaro

Introduzione: L’incidenza delle infezioni periprotesiche di ginocchio da germi “difficili” multi-resistenti è aumentata ne-gli ultimi 15 anni. Il trattamento migliore di questo tipo di infezioni rimane ancora controverso, ed il tasso di salvataggio dell’impianto protesico ancora sconosciuto. Lo scopo di questo studio è stato determinare 1) l’incidenza di fallimento, 2) l’incidenza di perdita della protesi (o anche dell’arto), e 3) quali fattori influenzano il fallimento in pazienti trattati con un reimpianto in due tempi per infezione periprotesica di ginocchio da germi resistenti. L’ipotesi è stata che il reimpianto in due tempi rimane la migliore strategia terapeutica anche in presenza di germi resistenti.

Metodi: Ventinove infezioni periprotesiche di ginocchio da germi resistenti in 29 pazienti trattati con un reimpianto in due tempi sono state analizzate retrospettivamente. Il gruppo di pazienti includeva 21 donne ed 8 maschi con un’età media di 72 (54-89) anni. La terapia antibiotica endovenosa è stata somministrata per un periodo medio di 8 (6-12) settimane prima del reimpianto. Il follow-up medio è stato di 10 (7-14) anni.

Risultati: Il fallimento del trattamento iniziale con il reimpianto in due tempi si è verificato in 5 (17%) dei 29 pazienti. In particolare, nelle infezioni da Stafilococco aureo meticillino-resistente (MRSA) o da Stafilococci coagulasi-negativi me-ticillino-resistente (MR-CoNS) il tasso di fallimento è stato del 10% (2 su 20). Al contrario, nelle infezioni causate dall’En-terococco vancomicina-resistente (VRE), dall’Acinetobacter baumanii multi-resistente o dallo Pseudomonas aeruginosa multi-resistente il tasso di fallimento è stato del 33% (3 su 9). Due di quei 5 pazienti sono stati sottoposti ad amputazione sopra il ginocchio, uno è stato sottoposto ad artrodesi, uno ad artroplastica di resezione, uno a terapia antibiotica soppres-siva cronica. Quattro (14% dell’intero gruppo di studio) di loro hanno perso la protesi o l’arto. Nessun fattore ha influenzato significativamente il fallimento del trattamento iniziale.

Conclusioni: Il reimpianto in due tempi si è rivelato un’opzione valida per i pazienti con infezione periprotesica di ginocchio da MRSA o MR-CoNS. In presenza però di infezioni da germi altamente resistenti (VRE, Acinetobacter baumanii multi-re-sistente o Pseudomonas aeruginosa multi-resistente) il tasso di fallimento è stato molto più alto. In caso di fallimento del trattamento iniziale con il reimpianto in due tempi, la perdita della protesi (o anche dell’arto) si è verificata nella maggior parte dei pazienti.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 86

Revisione in due tempi per protesi di ginocchio settiche: come utilizzare gli spaziatori articolati anche nei difetti ossei severiMatteo Marullo, Sergio Romagnoli, Enis Rustemi, Michele CorbellaCentro di Chirurgia Protesica, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano

Introduzione: Le infezioni periprotesiche sono una delle complicanze più temibili in chirurgia protesica di ginocchio. Il trat-tamento d’elezione in questi casi è generalmente la revisione in due tempi con l’impianto temporaneo di uno spaziatore in cemento antibiotato durante il periodo di eradicazione del microrganismo prima del reimpianto definitivo della protesi. L’obiettivo degli spaziatori è mantenere la lunghezza dell’arto e prevenire le retrazioni muscolari. Le principali complicanze del loro uso sono la limitata o nulla articolarità e l’incremento della perdita di sostanza ossea col loro utilizzo. Per ovviare a questi problemi si sta diffondendo l’utilizzo di spaziatori articolati, i quali permettono alcuni gradi di movimento durante il periodo tra espianto e reimpianto, mantenendo tassi di complicazioni, reinfezioni e re-interventi sovrapponibili a quelli degli spaziatori statici. Essendo però di spessore limitato, in particolare a livello dello scudo femorale, il loro uso è però difficoltoso o impossibile nei casi di importanti difetti ossei.

Obiettivi: L’obiettivo di questo studio è di valutare l’utilizzo di spaziatori articolari nelle infezioni di protesi totali di ginocchio, anche in casi di importanti perdite di osso femorale o tibiale. In questi casi, per ovviare alla perdita ossea, inseriamo due o più viti da corticale nei condili femorali o sul piatto tibiale per ripristinare la corretta interlinea articolare, mantenere la lunghezza dell’arto e proteggere il rimanente osso dall’erosione dovuto al carico e a movimento.

Metodi: Dal 2001 al 2014, nel nostro Centro 98 pazienti sono stati sottoposti a una revisione in due tempi per un’infezione di protesi totale di ginocchio. La diagnosi di infezione è stata posta sulla base di colture da agoaspirato positive, esami colturali intraoperatori e aumentati livelli di proteina C. I più comuni patogeni sono risultati Stafilococchi coagulasi negativi, presenti nel 54% dei casi. La classificazione AORI è stata utilizzata per valutare la perdita ossea dopo la rimozione dell’im-pianto: grado F1 nel 52,0% dei casi, grado F2A nel 30,6%, grado F2B nel 16,3% e grado F3 nell’1,0%. In tutti i casi è stato utilizzato uno spaziatore articolato impregnato di gentamicina. Una o due viti da corticale sono state inserite nl condilo femorale deficitario nei gradi F2A; due o più viti sono state inserite in entrambi i condili femorali nei gradi F2B e F3. Di conseguenza, in 30 pazienti è stata inserita una vite e in 17 due assieme allo spaziatore articolato. 31 pazienti erano donne e 16 uomini. L’età media alla revisione è stata di 68 ± 13.4 anni (range 36-83). 26 erano ginocchia destre e 21 sinistre.

Risultati: La revisione in due tempi con spaziatore articolato ha eradicato l’infezione nel 94,9% dei casi. Nel gruppo di pazienti con importante perdita femorale per cui sono stati inserite viti (47 pazienti), in due casi si è avuto una dislocazione dello spaziatore che ha reso necessario un’ulteriore intervento di sostituzione dello spacer prima del reimpianto definitivo. Un paziente ha avuto una reinfezione della protesi dopo reimpianto ed è stato trattato con uno spaziatore articolato a per-manenza e antibioticoterapia cronica. Nel gruppo di pazienti con perdita ossea femorale, abbiamo utilizzato come protesi da revisione una semivincolata in 37 pazienti (78,7%) e una protesi vincolata (rotating hinge) in 10 (21,3%). Per un’ade-guata esposizione, in 7 casi (14,9%) si è resa necessaria un’osteotomia della tuberosità tibiale. L’articolarità media prima dell’intervento era di 63,5° (range 10-100°); dopo l’impianto definitivo è migliorata sino a 99,3° (range 92-105°). Il Knee Society Score clinico è passato da 36,5 a 74,8; Il Knee Society Score funzionale da 38,3 a 81,5.

Conclusioni: L’utilizzo di viti corticali inserite nei condili femorali è un’opzione affidabile nell’utilizzo di spaziatori articolati anche in importanti difetti ossei dopo rimozine di protesi di ginocchio. Questa tecnica permette di mantenere la lunghezza dell’arto e l’adeguata interlinea articolare, oltre che una sufficiente articolarità, senza compromettere l’eradicazione dell’in-fezione. Questo accorgimento permette inoltre di rendere l’impianto definitivo più semplice, diminuendo la necessità di ricorrere ad un’osteotomia della tuberosità tibiale per l’esposizione e migliorando il range of motion finale.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 87

ARTO SUPERIORE

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 88

Riscontri intra-articolari nei dolori laterali di gomito: è possibile parlare di microinstabilità?Paolo Arrigoni, Riccardo D’Ambrosi, Davide Cucchi, Pietro Randelli U.O. Ortopedia II, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese

Introduzione: La presenza di riscontri intraarticolari può spiegare patologie extra-articolari come ad esempio l’epicondilite. Lo scopo dello studio è di descrivere riscontri artroscopici e clinici in un gruppo di pazienti con dolore laterale di gomito.

Metodi: Ventotto pazienti con dolore laterale al gomito non responsivo al trattamento conservativo sono stati reclutati pro-spetticamente. I criteri di inclusione prevedevano fallimento del trattamento conservativo dopo più di 6 mesi. Come parte del processo diagnostico sono stati creati due test per la valutazione del dolore laterale del gomito: “Supination and Antero-La-teral pain Test” (SALT) e “Posterior Elbow Pain by Palpation while Extending the Radiocapitellar joint” (PEPPER). Durante l’artroscopia di gomito, la presenza di otto tipi di lesione intra-articolare è stata ricercata e registrata. La loro incidenza è stata calcolata e sensibilità, specificità, valori predittivi e accuratezza dei due test sono state misurate.

Risultati: Il 92,9% dei pazienti ha presentato almeno una lesione intra-articolare, l’82,1% 2 o più lesioni, mentre il 46,4% almeno 3. La più riscontrata è risultata essere la sinovite (81,1%) seguita dal ballottamento della testa radiale (42,9%) e dalla condropatia del capitello (39,3%). Il test SALT risulta aver un’elevata sensibilità per quasi tutte le lesioni intra-articolari, mentre ha una bassa specificità e una discreta accuratezza. In particolare l’accuratezza è risultata elevata nella diagnosi di sinovite anteriore. Il test PEPPER isolato ha dimostrato una moderata accuratezza; la combinazione dei due test permette di aumentare la specificità nella diagnosi della lassità del legamento anulare.

Conclusioni: Il riscontro di lesioni intra-articolari a livello del gomito supporta l’ipotesi di una cascata patogenetica origi-nante da una condizione di micro-instabilità che può portare a un dolore laterale del gomito. I due test descritti aiutano nell’identificare un sottogruppo di pazienti con questo tipo di micro instabilità.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 89

Analisi dei difetti ossei della testa omerale nell’instabilità anteriore di spalla. Studio di riproducibilitàMaristella Francesca Saccomanno, Giuseppe Sircana, Luigi Capasso, Gianpiero Cazzato, Luca Fresta, Federico Nuovo, Giuseppe Milano, Giuliano Giorgio Cerulli Istituto di Clinica Ortopedica, Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Introduzione: Difetti ossei di glena e/o testa omerale costituiscono una delle principali cause di recidiva d’instabilità dopo trattamento chirurgico. Non sono ad oggi disponibili metodi universalmente accettati per quantificare le lesioni di Hill-Sa-chs. Lo scopo del presente studio è stato duplice: sviluppare un metodo per quantificare le lesioni di Hill-Sachs su un mo-dello 3D, virtualmente generato, e valutare la riproducibilità inter- e intra-osservatore del nuovo metodo.

Metodi: È stato condotto uno studio osservazionale trasversale. Quaranta tomografie computerizzate (TC) di entrambe le spalle di 40 pazienti sono state selezionate in modo casuale da una serie di esami acquisiti su 200 pazienti prospetticamen-te arruolati per uno studio sull’instabilità anteriore di spalla. Criterio d’inclusione primario è stata la presenza di instabilità anteriore unilaterale con almeno un episodio di lussazione. I dati TC sono stati analizzati su un computer standard mediante software dedicato. La ricostruzione del volume della lesione di Hill-Sachs è stata effettuata confrontando l’immagine 3D della testa omerale sana con quella rispecchiata della testa omerale controlaterale affetta. Il volume della testa omerale sana (A) e il volume della testa omerale affetta (B) sono stati calcolati. La lesione di Hill-Sachs della testa omerale affetta è stata “riempita” dal lato sano, risultando in un frammento osseo virtuale perfettamente adattato al difetto, di cui è stato calcolato quindi il volume (C). La percentuale di osso mancante della testa omerale è stata calcolata secondo i metodi seguenti: [(V (Volume A – Volume B / Volume A) x 100] (M1); [(Volume C / Volume A) x 100] (M2). Ciascuna misurazione è stata effettuata da un ortopedico e da un radiologo esperto in imaging muscolo-scheletrico. Le riproducibilità intra- e inter-osservatore sono state valutate mediante calcolo dei coefficienti di correlazione intraclasse (ICC) con un modello ad effetti random a due vie e valutazione dell’accordo mediante metodo di Bland-Altman. Gli intervalli di confidenza sono stati calcolati al 95%. Dagli ICC ottenuti e dalla deviazione standard di ciascuna variabile, la precisione del metodo è stata stabilita mediante calcolo dell’errore standard di misurazione (SEM).

Risultati: La presenza di un difetto osseo della testa omerale è stato osservato in tutti i casi. In base alle diverse misurazioni, la dimensione media del difetto osseo variava dallo 0,02% all’8,03% del volume della parte articolare della testa omerale. Per M1, l’analisi di riproducibilità intra-osservatore ha mostrato un valore ICC di 0,99 (95% CI = 0,98-1; SEM = 0,07%). L’analisi di riproducibilità inter-osservatore ha mostrato un valore ICC di 0,93 (95% CI = 0,88-0,96; SEM = 0,50%). Per M2, l’analisi di riproducibilità intra-osservatore ha mostrato un valore ICC di 0,99 (95% CI = 0,98-0,99; SEM = 0,02%). L’analisi di riproducibilità inter-osservatore ha mostrato un valore ICC di 0,85 (95% CI = 0,73-0,92; SEM = 0,32%).

Conclusioni: La ricostruzione virtuale di una lesione Hill-Sachs mediante software dedicato è un’affidabile e valida alternati-va ai metodi esistenti per la sua quantificazione. Inoltre, la ricostruzione di immagini virtuali può essere utile nella definizione della strategia di trattamento.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 90

Effetto della preparazione cutanea sulla crescita batterica in pazienti affetti da frattura di omero prossimaleLaura Manino1,3, Nicola Barbasetti1,3, Enrico Bellato2,3, Roberto Rossi1,3, Filippo Castoldi2,3, Davide Blonna1,3

1Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Mauriziano Umberto I , Torino 2Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale San Luigi, Orbassano 3Università degli Studi di Torino, Torino Introduzione: L’infezione è una delle complicanze post-operatorie più severe. Scopo di questo studio è valutare l’effetto della preparazione cutanea sulla crescita batterica a livello del sito chirurgico in pazienti affetti da frattura di omero prossimale.

Materiali e metodi: Lo studio ha incluso 32 pazienti. Il giorno del trauma è stato eseguito un primo tampone cutaneo a livello del solco deltoideo-pettorale. Appena prima della preparazione del campo operatorio, l’area attorno al solco deltoi-deo-pettorale è stata suddivisa in 2 sotto-aree sottoposte a diversa preparazione: con solo iodopovidone la prima (singola disinfezione), con una soluzione di clorexidina gluconata seguita da iodopovidone la seconda (doppia disinfezione). Su entrambe le sub-aree è stato eseguito un nuovo tampone. Tutti i tamponi sono stati inviati al laboratorio di microbiologia entro un’ora dal prelievo. Le colture sono state incubate per 24-48 ore a 37° in condizioni di aerobiosi e per 7-14 giorni in condizioni di anaerobiosi.

Risultati: I batteri più frequentemente riscontrati sono stati lo Stafilococco Coagulasi negativo (CoNS) e il Propionibacte-rium Acnes (P. Acnes). La carica batterica è aumentata dal giorno del trauma al giorno dell’intervento chirurgico, mentre è diminuita sia dopo la singola sia dopo la doppia disinfezione. La carica dei CoNS si è ridotta significativamente (p <0,001) da 36.800 ± 45.500 unitá fromanti colonie (CFU), a 2900 ± 6500 CFU dopo la singola disinfezione e a 190 ± 670 CFU dopo la doppia disinfezione; anche la differenza di carica batterica tra singola e doppia disinfezione è risultata significativa (p < 0,03). Riguardo al Propionibacterium Acnes (P. Acnes), si è osservata una riduzione da 18.000 ± 8.000 CFU a 990 ± 2.500 CFU dopo singola disinfezione e 770 ± 1.800 CFU dopo doppia disinfezione (p = 0,02). In questo caso la differenza tra singola e doppia disinfezione non è risultata significativa (p = 0,7).

Conclusioni: La doppia disinfezione risulta più efficace della singola a diminuire la carica batterica dei CoNS e diminuisce la carica batterica del P. Acnes, ma senza una differenza significativa tra singola e doppia disinfezione. Ulteriori studi sono necessari per valutare il ruolo di una doppia preparazione cutanea del campo operatorio potrebbe nella prevenzione delle infezioni post-operatorie in fratture di omero prossimale e per valutare l’eventuale utilità di una profilassi antibiotica contro il P. Acnes.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 91

Il trattamento chirurgico delle protesi di spalla infette. Review sistematica della letteraturaGiulio Maria Marcheggiani Muccioli, Alberto Grassi, Tommaso Roberti di Sarsina, Giuseppe Carbone, Enrico Guerra, Stefano Zaffagnini, Maurilio Marcacci Istituto Ortopedico Rizzoli, Università di Bologna, Bologna

Introduzione: Valutare le opzioni di trattamento delle protesi di spalla infette ed i loro risultati.

Metodi: Una revisione sistematica della letteratura dal 1996 al 2016 ha identificato 15 studi di livello IV. - Criteri di inclusione: 1) lavori sul trattamento chirurgico delle infezioni di protesi di spalla, 2) scritti nel 1996-2016, 3) in

lingua inglese. - Criteri di esclusione: 1) casi clinici, 2) studi relativi a trattamento non chirurgico, 3) follow-up minimo < 24 mesi e 4) che

non riportavano chiaramente risultati clinici e tasso di infezione persistente (IP) post-operatori. Abbiamo considerato fallimento del trattamento l’IP e il successo assenza di IP. I risultati chirurgici sono stati valutati in base alla media ponderata del Costant-Murley score (CMS) per ciascun gruppo di trattamento.

Risultati: Sono stati selezionati 299 pazienti (153 maschi/146 femmine) con un follow-up medio di 50,4 mesi (range 32-99.6). L’IP in tutta la popolazione è stata del 9,7%. La media del CMS della popolazione, disponibile per 218 pazienti, è stata di 39 ± 13. Quarantasei pazienti (15,4%) sono stati trattati con pulizia chirurgica (IP 32,6%, CMS 41 ± 12), 60 pazienti (20%) con artroplastica di resezione (IP 8,3%, CMS 32 ± 16), 37 pazienti (12,4%) con spaziatore permanente (IP 10,8%, CMS 33 ± 14), 79 pazienti (26,4%) con revisione in due tempi (IP 8,9%, CMS 42 ± 12) e 77 pazienti (25,8%) con la revisione in un tempo (IP 3,9%, CMS 49 ± 11). La pulizia chirurgica ha mostrato il più alto tasso di IP (32,6%), la revisione in un tempo ha riportato il tasso di IP più bassa (3,9%). L’artroplastica di resezione e lo spaziatore hanno mostrato i valori peggiori di CMS (p ≤ 0.0001). Il CMS è risultato più alto nei pazienti sottoposti a revisione (in due tempi o in un tempo) rispetto alle altre procedure chirurgiche (45 ± 12 vs 35 ± 14) (p < 0,0001). Non sono state riscontrate differenze significative in termini di tasso di IP e di valori medi di CMS tra revisione in due tempi e revisione in un tempo.

Conclusioni: La pulizia chirurgica ha mostrato il più alto tasso di IP (32,6%). La revisione protesica (in due tempi oppure in un tempo) ha mostrato tasso di IP più basso e valori medi più alti di CMS rispetto alle altre procedure chirurgiche utilizzate nel trattamento delle infezioni di protesi di spalla. Non sono state riscontrate differenze significative tra revisione in due tempi e revisione in un tempo. Studi randomizzati, controllati, ben disegnati e che utilizzano score-system validati sono ancora carenti in questo campo.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 92

Sviluppo di un modello matematico con elementi finiti di articolazione gleno-omerale: valutazione del ruolo della congruenza articolare e del labbro glenoideo nella stabilità di spallaMauro Ciuffreda1, Umile Giuseppe Longo1, Alessandra Berton1, Giuseppe Salvatore1, Pino Florio2, Vincezo Denaro1

1UOC Traumatologia e Ortopedia, Università Campus Bio-Medico, Roma2SC Ortopedia e Traumatologia, Università “La Sapienza”, Roma

Introduzione: Classicamente l’instabilità di spalla è sempre stata valutata attraverso studi di biomeccanica su modelli ca-daverici o attraverso studi clinici. Una tecnica emergente per lo studio della biomeccanica e del comportamento di modelli fisici è l’analisi con elementi finiti, una tecnica di simulazione ingegneristica che sta prendendo sempre più piede nell’ambito della sperimentazione medica e, in particolare, in quella ortopedica. Attraverso questo tipo di studio biomeccanico è stato creato e validato un modello geometrico di articolazione gleno-omerale e valutato il ruolo che la congruenza articolare e il labbro glenoideo hanno nel garantire stabilità a questa articolazione.

Materiali e metodi: È stato creato un modello geometrico di articolazione gleno-omerale sulla base di parametri presi da dati disponibili in letteratura. Le componenti del modello sono: le parti ossee e cartilaginee della glena e della testa dell’o-mero e successivamente è stato aggiunto il labbro; il raggio di curvatura dell’osso e della cartilagine articolare e lo spessore dello strato di cartilagine che ricopre la glena e l’omero. La testa omerale è stata modellata conferendole una forma sferica. La glena invece è stata disegnata assumendo che avesse una forma ellittica, con un diametro antero-posteriore di 29 mm e un diametro supero-inferiore di 39 mm. Il software usato per la costruzione del modello è ABAQUS/CAE 6.12-1 (Dassault Systèmes Simulia Corp., Providence, RI, USA) e anche la realizzazione delle mesh è stata effettuata con lo stesso program-ma. La simulazione può essere suddivisa in due step fondamentali: il primo step è quello “di contatto” tra la testa omerale e la cavità glenoidea e il secondo quello “di traslazione” della testa omerale. Le condizioni di carico e le condizioni al contorno (boundary conditions), nonché l’impostazione delle proprietà di interazione tra le parti, variano tra uno step e l’altro. Per le condizioni di carico, il primo step consiste nell’applicazione di una forza compressiva di 56 Newton su tutti i punti della superficie superiore della testa omerale; quest’ultima durante questo primo step è lasciata libera di muoversi solo sull’asse z, mentre ne viene bloccato il movimento lungo gli altri assi (x, y). Durante questo primo step di contatto, inoltre, la glena viene bloccata su tutti gli assi dello spazio e alla superficie di contatto tra la cartilagine della glena e quella dell’omero sono stati assegnati un “comportamento normale” e un hard mechanical contact, per evitare che durante la fase di contatto le due superfici a confronto si compenetrassero tra di loro. In seguito, durante il secondo step, alla forza compressiva di 56 N è stato aggiunto un movimento di traslazione della testa omerale di 17 mm in direzione anteriore (cioè lungo l’asse mi-nore della glena) o alternativamente in direzione antero-inferiore. In questo caso sono state modificate anche le proprietà d’interazione tra le parti, per cui il comportamento tra la superficie di contatto della cartilagine omerale e della cartilagine glenoidea è stato definito durante questo step, come “tangenziale” ed è stata impostata la proprietà frictionless, in modo tale da minimizzare le spese computazionali. La validazione è stato fatta attraverso un’analisi comparativa con modello plastico di tipo ball-and-socket di esemplificazione della cinematica dell’articolazione gleno-omerale, sia su un modello umano cadaverico. Per quanto riguarda l’esperimento condotto con i modelli cadaverici, i campioni dopo la rimozione di tutti i tessuti molli, ad eccezione del labbro glenoideo, sono stati posti su un dispositivo elettro-meccanico a quattro assi di movimento (4-axis machine), appositamente realizzato e precedentemente descritto e validato. Per valutare l’attendibilità dei dati forniti dall’analisi con elementi finiti, si è quindi comparato i dati ottenuti dalla “4-axis machine” e quelli ottenuti dalla simulazione con ABAQUS. Per questa valutazione statistica è stato usato il metodo di Bland- Altmann.

Risultati: il ruolo della congruenza articolare è stato valutato attraverso l’analisi dei diametri glenoidei e dei raggi di cur-vatura. Nel primo caso i parametri presi in considerazione per lo studio della stabilità articolare sono le forze di reazione e la traslazione (displacement) della testa omerale. Nella valutazione del ruolo della congruenza articolare nella stabilità di spalla, si è guardato sia alla traslazione anteriore (lungo l’asse minore o antero-posteriore della glena) che a quella ante-ro-inferiore della testa omerale, cioè lungo una diagonale tracciata a metà tra l’asse maggiore e l’asse minore della glena. Nella traslazione anteriore, i picchi di forze di reazione seguono l’ordine atteso, con i valori massimi che si hanno quando d = 100% D, ossia quando vi è la massima congruenza. Questi valori si riducono sempre di più, raggiungendo il minimo quando d = 55% D. Nello specifico, Quando d = 100% D il valore massimo delle forze di reazione è 44,37 N, quando d = 90% D questo valore è uguale a 37,00 N, per d = 75% D esso corrisponde a 25,77 N. Infine il valore di picco minimo si ha quando d = 55% D e corrisponde a 17,46 N. Quindi quando d = 90% D vi è una caduta delle forze di reazione del 16,6%, quando d = 75% D del 41,9% e infine quando d = 55% D del 60,6%. Nel displacement antero-inferiore, il massimo valore di picco corrisponde sempre a 44,37 N quando la glena assume una forma sferica e d = 100% D. Quando d = 90% D questo valore è uguale a 41,50 N, per d = 75% D esso corrisponde a 39,36 N. Infine il valore di picco minimo si ha quando d = 55% D e corrisponde a 41,62 N. Quindi quando d = 90% D vi è una caduta delle forze di reazione del 6,5%, quando d = 75% D dell’11,3% e infine quando d = 55% D del 6,2%. Per quanto riguarda il raggio di curvatura l’analisi è stata condotta mantenendo fisso il raggio di curvatura della testa omerale, nel modello A il raggio di curvatura della glena è uguale a 28,34 mm, nel modello B a 26 mm e nel modello C a 23,65 mm. Si sono riscontrati picchi di forze di reazioni più bassi, quando la glena ha un raggio di curvatura maggiore (28,34 mm) rispetto a quello della testa omerale (26 mm). In particolare, nel modello A col raggio di curvatura maggiore il picco delle forze di reazione si verifica a 35,97 N, nel mo-

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6° CONGRESSO NAZIONALE 93

dello B, che è quello congruente, questo picco si verifica a 36,43 N e, infine, nel modello C, quando il raggio di curvatura della glena è inferiore rispetto a quello della testa dell’omero, il picco delle forze di reazione è uguale a 38,98N. Il ruolo del labbro glenoideo è stato valutato attraverso la comparazione di tre modelli: un modello completo con labbro glenoideo intatto, un modello senza labbro glenoideo e modello con lesione del labbro glenoideo. In un modello completo in tutte le sue componenti, il picco delle forze di reazione si ha per valori di 37,36 N. In seguito alla creazione di una lesione di Ban-kart, il picco delle forze di reazione si abbassa notevolmente e raggiunge 30,32 N, situazione molto simile a quella in cui il labbro non viene proprio incluso nel modello. In un modello senza labbro, infatti, le forze di reazione raggiungono un valore di picco di soli 29,06 N. Nella simulazione di una lesione di Bankart la riduzione delle forze di reazione è pari al 18,8%. In un modello in cui il labbro non è stato inserito affatto, la percentuale di riduzione delle forze di reazione rispetto a quelle presenti in un modello completo in tutte le sue componenti è pari al 22,21%. In tutti e tre i casi il picco si verifica allo stesso tempo, dopo circa 2 secondi e le curve assumono lo stesso andamento.

Conclusioni: La valutazione della geometria gleno-omerale ha messo in evidenza che all’aumentare della congruenza articolare aumenti anche la stabilità del complesso articolare. Questo è particolarmente vero quando la testa omerale si muove in direzione anteriore, mentre le differenze sono più attenuate quando la direzione della traslazione avviene in senso antero-inferiore. L’altra variabile presa in considerazione nello studio del ruolo che la geometria ha nell’instabilità di spalla è stata il raggio di curvatura della glena. Un raggio di curvatura della glena maggiore rispetto a quello della testa omerale riduce la stabilità del modello. Possiamo affermare quindi che la geometria della glena è un fattore primario per la stabilità articolare. La terza variabile presa in esame è stata il labbro glenoideo. In un modello in cui abbiamo simulato una lesione di Bankart, le forze di reazione avevano valori nettamente inferiori rispetto a quelli presenti in un modello con un labbro normale. Sembra quindi che questa situazione patologica riduca la solidità dell’articolazione e che i risultati del nostro studio supportino la comune pratica clinica di riparare chirurgicamente una lesione di Bankart. Dopo la creazione e validazione di un modello geometrico e funzionante di articolazione gleno-omerale, gli sviluppi futuri di questo modello sono teoricamente infiniti. Essi potrebbero prevedere la creazione della capsula articolare e dei legamenti gleno-omerali al fine di contestua-lizzare i risultati ed ottenere una migliore comprensione riguardo l’effettivo peso che la congruenza articolare e il labbro glenoideo possiedono relativamente agli altri stabilizzatori statici della spalla, oppure si potrebbe, sempre in relazione allo studio dell’instabilità di spalla, analizzare il tracking glenoideo e studiare i punti di contatto tra le due superfici articolari. La creazione e la validazione di un modello funzionante di articolazione gleno-omerale è incoraggiante ed è un punto di par-tenza per studi futuri in cui vengano calcolate non solo le alterazioni anatomiche e funzionali derivanti da lesioni articolari, ma anche l’efficacia di eventuali riparazioni chirurgiche. L’evoluzione degli studi con elementi finiti è sempre più orientata verso una medicina paziente-specifica che indirizzi i clinici verso le migliori scelte terapeutiche.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 94

Valutazione dei risultati clinici e funzionali dell’intervento di plicatura artroscopica della capsula laterale in gomito microinstabilePaolo Arrigoni, Davide Cucchi, Riccardo D’Ambrosi, Pietro Randelli U.O. Ortopedia II, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese

Introduzione: La plicatura artroscopica della capsula laterale è una tecnica recentemente introdotta per il trattamento dell’epicondilite laterale resistente alla terapia conservativa. Obiettivi di questo studio sono valutare i risultati clinici e funzio-nali di questa procedura ad un follow-up minimo di 3 mesi.

Metodi: Tutti i pazienti con dolore laterale al gomito non responsivo al trattamento conservativo trattati dalla nostra équipe con intervento di plicatura artroscopica della capsula laterale sono stati contattati per essere sottoposti a rivalutazione cli-nica e funzionale almeno 3 mesi dopo l’intervento composta da valutazione del range di movimento, Oxford Elbow Score, QuickDash e compilazione di una scala soggettiva di soddisfazione su 100 punti.

Risultati: I primi venticinque pazienti hanno completato il follow-up. In cinque casi è stata osservata una modesta limita-zione della flessione ed in nove casi una limitazione dell’estensione. Il punteggio ottenuto nella scala Oxford Elbow Score è stato di 38,6 punti (deviazione standard 8,6) e nella scala QuickDash di 16,3 (deviazione standard 15,6). Il 92% dei pazienti ha ottenuto un risultato buono o eccellente dalla procedura. La soddisfazione soggettiva del paziente ha registrato aumento medio di 58,4 punti rispetto alla situazione pre-operatoria (deviazione standard 32,5).

Conclusioni: La plicatura artroscopica della capsula laterale è una tecnica riproducibile e foriera di risultati incoraggianti nel trattamento del dolore laterale di gomito. Questo contribuisce ad avvalorare l’ipotesi di una cascata patogenetica originante da una condizione di micro-instabilità come causa di dolore laterale del gomito. Ulteriori studi prospettici sono necessari per confermare i risultati della procedura indagata e confrontarli con quelli di altre tecniche già in uso.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 95

Studio comparativo sull’utilizzo della stimolazione biofisica nei pazienti sottoposti a riparazione della cuffia dei rotatoriStefano Giannotti1, Giacomo dell’Osso1, Vanna Bottai1, Fabio Celli2, Giulio Agostini2, Carmine Citarelli2, Matteo Mordà2, Giulio Guido1 1Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa 2Università di Pisa, Pisa

Introduzione: Attraverso la riparazione chirurgica della cuffia dei rotatori si ottiene fin da subito una reinserzione meccanica dei tendini, ma l’obiettivo a medio-lungo termine è quello di ripristinare sia biologicamente che funzionalmente il complesso osso-tendine. La stimolazione biofisica con campi elettomagnetici pulsati (PEMPs) od elettrici con accoppiamento capacita-tivo (CCEFs) può costituire un’importante opzione terapeutica. Essa agisce modulando la reazione infiammatoria, agendo sugli effetti catabolici di citochine pro-infiammatorie, quali IL-1β e TNF-α, e favorendo potenzialmente la riparazione tissu-tale.

Materiali e metodi: Lo studio comprende una seria consecutiva di 31 pazienti affetti da lesione della cuffia dei rotatori ripa-rabile e non retratta, di età minore di 65 anni. Tutti i pazienti sono stati trattati con la stessa tecnica chirurgica artroscopica associata a miniopen. La reinserzione tendinea al trochite è stata eseguita con viti trans-ossee in titanio previa preparazione ossea con microfratture. I pazienti sono stati suddivisi tramite randomizzazione in tre gruppi, due dei quali hanno eseguito un protocollo riabilitativo post-operatorio standard associato a stimolazione biofisica (un gruppo con un generatore PEMPs, ed uno con generatore CCEFs) ed un gruppo controllo che ha eseguito il solo protocollo riabilitativo. I pazienti sono stati valutati con un follow-up di 6 mesi sia dal punto di vista clinico (VAS e Constant score), che radiologico con Rx e RMN, valutando l’integrità e la retrazione tendinea (copertura del foot-print), l’atrofia e l’infiltrazione adiposa muscolare, la risalita della testa omerale e la degenerazione articolare.

Risultati: Il test ANOVA indica che per il Constant Score ci sono delle differenze marginalmente significative (p = 0,08) a 2 mesi e significative (p = 0,03) a 6 mesi fra i 3 gruppi, mentre non ci sono differenze significative per la scala VAS.

Discussione: Prendendo in considerazione tutti gli end-points, l’uso della stimolazione biofisica ha dimostrato di avere un vantaggio statisticamente significativo sulla ripresa funzionale dell’arto operato. I dati analizzati ci permettono di concludere che la stimolazione biofisica determina un effetto positivo sulla funzionalità clinica dell’arto trattato.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 96

Il trattamento della rizoartrosi mediante spaziatore tipo Reg Joint: la nostra iniziale esperienzaSimona Odella1, Agostino De Felice2, Amos Maria Querenghi1, Ugo Dacatra1

1Istituto Ortopedico Gaetano Pini, Milano 2Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano

Introduzione: La rizoartrosi è una patologia degenerativa a carico dell’articolazione trapezio-metacarpale che colpisce prevalentemente la popolazione femminile al di sopra dei 50 anni. I sintomi principali consistono nella comparsa di dolore ingravescente alla radice del pollice associato alla progressiva perdita di forza e limitazione funzionale. La patologia va incontro ad un aggravamento progressivo, variabile a seconda del paziente.

Metodi: Negli ultimi 12 mesi presso la nostra Unità Operativa di Chirurgia della mano sono stati trattati consecutivamente 20 pazienti affetti da rizoartrosi dallo stadio 1 allo stadio 3 secondo Eaton mediante il posizionamento di spaziatore tipo Reg Joint (Copolimero in fibra bioriassorbibile poli-L/D lattide 96L/4D costituito da un disco circolare e poroso), con diverse tecniche chirurgiche: negli stadi più avanzati abbiamo eseguito la tapeziectomia e posizionato lo spaziatore stabilizzandolo mediante il tendine abduttore lungo; nei casi di degenerazione iniziale abbiamo eseguito la resezione degli osteofiti e po-sizionato lo spaziatore senza alcuna stabilizzazione ulteriore dello stesso se non la sutura accurata della capsula articolare. Sono stati ricontrollati retrospettivamente 18 pazienti con un follow up medio di 9 mesi. La popolazione è rappresentata dal genere femminile in 17 casi con una età media di 55 anni, in 3 casi dal genere maschile con una età media di 61 anni

Risultati: Abbiamo valutato il grado di soddisfazione soggettivo dei paziente con una scala da 1 a 10, ottenendo un pun-teggio medio pari a 8; abbiamo adottato la scala VAS per valutare il dolore con un punteggio medio ottenuto pari a 2; ed è stata redatta la scheda DASH per la quale abbiamo ottenuto un punteggio medio pari a 16. Abbiamo riscontrato i migliori risultati nei pazienti in cui era stata effettuata la trapeziectomia per quanto riguarda la remissione della sintomatologia dolorosa, mentre nella popolazione trattata mediante emitrapeziectomia abbiamo ottenuto un miglior risultato sulla forza.

Conclusioni: Il trattamento della rizoartrosi ad oggi non riconosce un “gold standard”, ogni tipo di intervento presenta vantaggi e svantaggi la cui entità è da valutare in base all’età, al sesso, al tipo di attività lavorative e ricreative, alla con-formazione della articolazione, al bone stock residuo del trapezio, allo stadio radiografico e alla erosione della cartilagine. Presso la nostra unità operativa nel corso degli anni abbiamo considerato diverse tecniche chirurgiche, riteniamo che il posizionamento di uno spaziatore assorbibile in 2 anni sia una soluzione valida per ottenere la remissione del dolore pur mantenendo la lunghezza del primo raggio e senza perdere la forza.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 97

RICERCA - SCIENZA DI BASE

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 98

Platelet rich plasma and hyaluronic acid blend for the treatment of osteoarthritis: rheological and biological evaluationFabrizio Russo1, Matteo D’Este2, Gianluca Vadalà1, Caterina Cattani1, Rocco Papalia1, Mauro Alini2, Vincenzo Denaro1

1Department of Orthopaedic and Trauma Surgery, Campus Bio-Medico University of Rome, Rome2AO Foundation, Davos - Switzerland

Introduction: Osteoarthritis (OA) is the most common musculoskeletal disease. Current treatments for OA are mainly symp-tomatic and inadequate since none results in restoration of fully functional cartilage. Hyaluronic Acid (HA) intra-articular injections are widely accepted for the treatment of pain associated to OA. The goal of HA viscosupplementation is to reduce pain and improve viscoelasticity of synovial fluid. Platelet-rich plasma (PRP) has been also employed to treat OA to possibly induce cartilage regeneration. The combination of HA and PRP could supply many advantages for tissue repair. Indeed, it conjugates HA viscosupplementation with PRP regenerative properties. The aim of this study was to evaluate the rheolog-ical and biological properties of different HA compositions in combination with PRP in order to identify (i) the viscoelastic features of the HA-PRP blends, (ii) their biological effect on osteoarthritic chondrocytes and (iii) HA formulations suitable for use in combination with PRP.

Materials and methods: HA/PRP blends have been obtained mixing human PRP and three different HA at different con-centrations: 1) Sinovial, 0.8% (SN); 2) Sinovial Forte 1.6% (SF); 3) Sinovial HL 3.2% (HL); 4) Hyalubrix 1.5% (HX). Com-binations of phosphate buffered saline (PBS) and the four HA types were used as control. Rheological measurements were performed on an Anton PaarMCR-302 rheometer. Amplitude sweep, frequency sweep and rotational measurements were performed and viscoelastic properties were evaluated. The rheological data were validated performing the tests in presence of Bovine Serum Albumin (BSA) up to ultra-physiological concentration (7%). Primary osteoarthritic chondrocytes were cul-tured in vitro with the HA and PRP blends in the culture medium for one week. Cell viability, proliferation and glycosamino-glycan (GAG) content were assessed.

Results: PRP addition to HA leads to a decrease of viscoelastic shear moduli and increase of the crossover point, due to a pure dilution effect. For viscosupplements with HA concentration below 1% the viscoelasticity is mostly lost. Results were validated also in presence of proteins, which in synovial fluid are more abundant than HA. Chondrocytes proliferated overtime in all different culture conditions. The proliferation rate was higher in chondrocytes cul-tured in the media containing PRP compared to the cultures with different HA alone. GAG content was significantly higher in chondrocytes cultured in PRP and HL blend.

Discussion: We investigated the rheological and biological properties of four different HA concentrations when combined with PRP giving insights on viscoelastic and biological properties of a promising approach for future OA therapy. Our data demonstrate that PRP addition is not detrimental to the viscosupplementation effect of HA. Viscosupplements containing low HA concentration are not indicated for combination with PRP, as the viscoelastic properties are lost. Although having the same rheological behavior of SF and HX, HL was superior in stimulating extracellular matrix production in vitro.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 99

Acido tranexamico: è possibile l’uso intrarticolare nella prevenzione dell’emartrosi?Antongiulio Marmotti1, Silvia Mattia1, Giuseppe M. Peretti2, Federico Dettoni1, Federica Rosso1, Davide Edoardo Bonasia1, Matteo Bruzzone1, Davide Blonna1, Roberto Rossi1, Filippo Castoldi1

1Università degli studi di Torino, Torino2IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi, Milano

Riassunto: L’utilizzo di acido tranexamico non influenza il fenotipo condrocitario durante la coltura di espianti cartilaginei umani; tale osservazione ha rilevanza clinica nell’ottica di validare l’uso dell’acido tranexamico per la riduzione dell’emartro in procedure di chirurgia ricostruttiva del ginocchio.

Introduzione: L’acido tranexamico (TA) sta acquisendo sempre più popolarità negli ultimi anni nella prevenzione del san-guinamento in chirurgia ortopedica. L’uso intrarticolare, in letteratura, è ancora in fase di analisi. In questo studio in vit-ro,frammenti di cartilagine ottenuti durante la ricostruzione del legamento crociato anteriore sono stati coltivati con espo-sizione a TA. La “null hypothesis” era l’assenza di effetti tossici di TA sui condrociti migrati dai frammenti di cartilagine. La conferma della “null hypothesis” permetterebbe di ipotizzare un uso clinico del TA per ridurre emartro postoperatorio dopo chirurgia ricostruttiva articolare (ad esempio di ginocchio e caviglia).

Metodi: Frammenti di cartilaginee ottenuti da 10 pazienti sono stati distribuiti su piastra, stabilizzati da colla di fibrina (Tisseel) e coltivati per 6 settimane in medium condrogenico. L’esposizione al TA è stata condotta con il seguente schema:- 2 settimane: medium condrogenico- poi 2 settimane: medium condrogenico + TA (7mg/ml)- poi 2 settimane: medium condrogenico.I controlli erano costituiti da frammenti di cartilagine coltivati per 6 settimane in assenza di TA. La migrazione e la crescita dei condrociti a partenza dai frammenti di cartilagine è stata valutata mediante analisi istologica tradizionale mediante microscopia ottica e immunofluorescenza per ricerca dei markers condrocitari (SOX9 e collagen type II) e proliferativi (be-ta-catenin e PCNA). È stata anche condotta l’analisi dei FGAG rapportata per coltura al contenuto di DNA (colorimetric assay of quantification per is-GAG, spectrophotometric assay fluorescence per il DNA).

Risultati: L’esposizione a TA (7 mg/ml) non ha influenzato negativamente la migrazione dei condrociti dai frammenti: il numero delle cellule migrate a 6 settimane non presentava differenza statisticamente significativa tra il gruppo di studio e I controlli (p > 0,05). L’analisi in immunofluorescenza non ha mostrato differenze significative (p > 0,05) nei livelli di es-pressione di markers condrogenici quali collagen type II e SOX9 e markers proliferativi quali beta-catenin e PCNA. Anche il rapporto s-GAG/DNA non ha presentato differenze significative dopo 6 settimane nelle colture con e senza esposizione a TA (p > 0,05).

Discussione e conclusioni: Confermando la null hypothesis, lo studio mostra come il TA non ostacoli l’abilità e il meccan-ismo biologico con cui i condrociti umani adulti migrano dai frammenti di cartilagine e proliferano in coltura. Tale assenza di tossicità suggerisce la possibilità di compatibilità dell’uso del TA anche nei confronti dell’ambiente intrarticolare. La rile-vanza clinica dello studio è elevata perché lo studio rappresenta un traguardo importante nell’ottica di validare l’uso clinico intrarticolare del TA come misura profilattica nei confronti dell’emartro durante chirurgia ricostruttiva articolare ad alto rischio di versamento ematico quali la ricostruzione legamentosa o cartilaginea. In futuro, ulteriori studi preclinici e clinici permetteranno di verificare se l’azione stabilizzatrice del TA nei confronti del coagulo possa esercitare azione positiva nei confronti dei processi di neolegamentizzazione o di riparazione cartilaginea effettuata mediante tecniche tradizionali quali le microfratture.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 100

Effetti del trattamento con tessuto lipoaspirato micro-frammentato ottenuto mediante sistema Lipogems® su colture primarie di cellule staminali tendinee della cuffia dei rotatoriAlessandra Menon1, Pasquale Creo1, Sonia Bergante1, Alberto Tassi2, Luigi Anastasia1, Pietro Randelli1

1IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese2Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano

Introduzione: Aumentare il tasso di successo della guarigione della cuffia dei rotatori dopo riparazione chirurgica rimane una grande sfida per i chirurghi ortopedici. Tra i nuovi approcci biologici, la possibilità di attivare in situ le cellule staminali progenitrici residenti, senza la necessità di isolarle da campioni bioptici ed espanderle in vitro, potrebbe rappresentare una promettente strategia terapeutica. Su queste basi, è stato recentemente dimostrato che anche il lipoaspirato, come il pro-dotto ottenuto con il sistema Lipogems® (prodotto Lipogems), contiene e produce fattori di crescita che potrebbero attivare cellule staminali residenti nel tessuto. Recentemente è stato dimostrato che anche la cuffia dei rotatori umana contiene una popolazione di cellule staminali progenitrici che possono essere isolate ed espanse in vitro. Con tali premesse, lo scopo di questo studio è stato valutare gli effetti del prodotto Lipogems su colture primarie di cellule staminali tendinee della cuffia dei rotatori (hTSCs).

Metodi: Le hTSCs sono state isolate da campioni di tendine sovraspinato prelevati durante riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori, coltivate, caratterizzate fenotipicamente ed espanse in vitro. Campioni di tessuto adiposo sottocutaneo, ottenuti da procedure di lipoaspirazione addominale, sono stati processati con il sistema Lipogems®. Le hTSCs sono state poi co-coltivate in un sistema transwell con il prodotto Lipogems e confrontate con cellule di controllo coltivate nelle stesse condizioni senza il prodotto Lipogems per valutare la morfologia, le capacità di proliferazione, migrazione e differenziamen-to in senso adipogenico ed osteogenico. Inoltre, l’espressione dei marker di staminalità e del vascular endothelial growth factor (VEGF) sono state esaminate tramite Real-Time PCR.

Risultati: Il prodotto Lipogems aumenta significativamente la proliferazione cellulare delle hTSCs, senza influenzarne l’espressione dei marker delle cellule staminali e la capacità di differenziamento. Nessun effetto citotossico è stato osservato in presenza del prodotto Lipogems. Infine, hTSCs trattate con il prodotto Lipogems mostrano un aumento dell’espressione di VEGF, il principale regolatore dell’angiogenesi che gioca un ruolo fondamentale nei processi di neo-vascolarizzazione del tessuto durante il processo di guarigione.

Conclusioni: Co-coltivare hTSCs in presenza del prodotto Lipogems aumenta in modo significativo la loro capacità prolife-rativa ed il loro potenziale rigenerativo, ciò suggerisce un effetto paracrino positivo dovuto al trattamento. Attivare le cellule progenitrici residenti con un’iniezione locale di tessuto adiposo micro-frammentato ottenuto attraverso il sistema Lipogems® potrebbe essere un nuovo approccio terapeutico facile, sicuro, pratico e conveniente per migliorare la guarigione delle le-sioni tendinee della cuffia dei rotatori.

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Il ruolo dell’ossido nitrico sintasi e della densità microvascolare in un modello umano in vivo di tendinopatia degli arti inferioriGuglielmo Torre1, Biagio Zampogna1, Andrea Tecame1, Sebastiano Vasta1, Francesco Stilo2, Eugenio Martelli2, Caterina Cattani3, Simone Carotti3, Gianluca Vadalà1, Francesco Spinelli2, Sergio Morini3, Rocco Papalia1

1Area di Ortopedia e Traumatologia, 2Area di Chirurgia Vascolare, 3Laboratorio di Anatomia Microscopica ed Ultrastrutturale, Università Campus Bio-Medico di Roma, Roma

Introduzione: Numerosi studi recenti dimostrano che un ruolo fondamentale è svolto dalla funzione microvascolare nella patogenesi e nella risoluzione della tendinopatia. La produzione di ossido nitrico (NO) da parte dell’ossido nitrico sintasi (NOS) risulta aumentata durante i processi di stress cronico delle strutture tendinee. Nel presente studio si è posto l’obiettivo di misurare la funzione endoteliale come espressione di NOS nel tessuto tendineo di pazienti affetti da arteriopatia degli arti inferiori, utilizzando tendini a valle delle arterie patologiche. Inoltre, la densità del microcircolo è stata valutata.

Metodi: Sono stati valutati microscopicamente campioni di tessuto tendineo provenienti da 15 pazienti affetti da arteriopa-tia degli arti inferiori (non diabetici, non fumatori) e 15 pazienti sani, per un totale di 30 campioni. Tali campioni venivano prelevati in corso di by-pass arterioso degli arti inferiori (campioni patologici) e in corso di prelievo tendineo per ricostruzio-ne del legamento crociato (campioni sani). Microscopicamente è stata valutata la densità microvascolare, definita come numero di strutture capillari per campo ad alto ingrandimento (40x), dopo aver marcato le cellule endoteliali con anticorpi Anti-CD31/CD34. Con l’utilizzo di Real Time PCR è stata invece valutata l’espressione di NOS costitutiva (eNOS) e induci-bile (iNOS). Il T-test di Student per gruppi non appaiati è stato utilizzato ai fini dell’analisi statistica.

Risultati: I campioni tendinei ottenuti a seguito di operazioni di by-pass arterioso degli arti inferiori appartenevano a tendini del m. soleo, mm. gracile e semitendinoso, m. tibiale anteriore. Quelli ottenuti a seguito di prelievo per ricostruzione del legamento crociato appartenevano ai mm. gracile, semitendinoso o al tendine rotuleo. La valutazione microstrutturale ha evidenziato una differenza significativa tra i due gruppi, mostrando una più elevata densità microvascolare nei tendini dei pazienti affetti da arteriopatia obliterante (p < 0,05). Inoltre, una maggiore espressione della NOS è stata riscontrata, sia per la sua forma costitutiva, che per la sua forma inducibile, ma la significatività statistica è stata raggiunta solo per la forma inducibile (iNOS) (p < 0,05).

Conclusioni: Un’alterata funzione microvascolare e una maggiore proliferazione vascolare possono essere riscontrate nello studio microscopico della patologia tendinea. La risposta iperproliferante vascolare può essere interpretata come risultato dello stress ipossico che i tessuti subiscono in corso di arteriopatia ma, essendo essa presente anche in modelli non vascolari di tendinopatia, rimane da chiarire la genesi della stessa proliferazione in tendini affetti da tendinopatia da uso cronico. Inoltre, studi in cui vengano confrontati campioni prelevati in vivo da tendini patologici del medesimo muscolo, in assenza di altre comorbidità, dovrebbero essere portati avanti per eliminare ogni qualsivoglia fattore confondente.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 102

Progenitori tessuto specifici presenti nella cartilagine articolare e nel disco intervertebrale: caratterizzazione e valutazione della responsività all’infiammazionePaola De Luca, Marco Viganò, Carlotta Perucca Orfei, Laura de Girolamo, Alessandra Colombini Orthopaedic Biotechnology Lab, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano

Introduzione: Le cellule staminali mesenchimali (MSCs) sono considerate una risorsa terapeutica strategica per la terapia cellulare, ma rappresentano anche un possibile bersaglio terapeutico in medicina rigenerativa, data la loro capacità nel promuovere il potenziale rigenerativo cartilagineo ed il mantenimento dell’omeostasi tissutale fisiologica. Pochi studi pre-senti in letteratura testimoniano la presenza di progenitori tessuto specifici nella cartilagine articolare (AC) e nei principali siti anatomici del disco intervertebrale (nucleo polposo - NP, annulus fibroso - AF) ed endplate cartilagineo (CEP)) degene-rati. Ad oggi non sono presenti evidenze circa la capacità di questi progenitori di contrastare in modo efficiente i processi infiammatori cronici e degenerativi che si sviluppano a carico di questi tessuti. Lo scopo di questo studio è quindi quello di identificare e caratterizzare questi progenitori tessuto specifici ed il loro possibile coinvolgimento nel promuovere il ripristino di una corretta omeostasi tissutale in seguito ad un danno, con particolare attenzione alle loro capacità trofiche ed alla loro responsività all’infiammazione.

Metodi: Cellule isolate da AC, NP, AF e CEP sono state caratterizzate immediatamente dopo l’isolamento e dopo alcuni passaggi in coltura, in termini di capacità di formare colonie, immunofenotipo, potenziale adipo-, osteo- e condro-differen-ziativo, espressione di marcatori di staminalità e tessuto specifici. Inoltre, in seguito a stimolazione con IL1b, è stato valutato il rilascio di mediatori pro/anti-infiammatori e di fattori di crescita e l’eventuale modificazione dell’espressione di marcatori tessuto specifici. Cellule staminali mesenchimali umane ottenute da aspirato midollare (BMSCs) sono state utilizzate come controllo positivo.

Risultati: Le cellule isolate da AC, NP, AF e CEP sono risultate in grado di formare colonie come le BMSCs; hanno mostrato un minor potenziale adipogenico e osteogenico in confronto alle BMSCs, ma superiore verso la linea condrogenica. Tutti e quattro i tipi cellulari analizzati hanno mostrato un profilo di rilascio di fattori solubili simile a quello osservato per le BMSCs in risposta allo stimolo pro-infiammatorio. Infatti, tutte le cellule stimolate con 1 ng/ml di IL1b hanno prodotto le citochine pro-infiammatorie IL6 e TNFa, mentre non hanno rilasciato quantità apprezzabili della citochina anti-infiammatoria IL10. Tuttavia, la produzione basale di IL6 e TNFa risulta molto più elevata da parte delle BMSCs.

Conclusioni: Questo studio dimostra la presenza di progenitori mesenchimali nella cartilagine articolare e nel disco inter-vertebrale con caratteristiche simili a quelle delle BMSCs. Data la loro responsività agli stimoli pro-infiammatori ed il loro potenziale ruolo trofico, un’adeguata stimolazione in situ di questi progenitori potrebbe favorire l’omeostasi ed i processi di riparazione fisiologici in tessuti con un potenziale rigenerativo limitato come la cartilagine articolare ed il disco interverte-brale.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 103

Heat shock induces the expression of pro-inflammatory cytokines in human Achilles tendon tenocytesAlessio D’Addona1, Domenico Somma1, Silvestro Formisano1, Donato Rosa1, Nicola Maffulli2

1Università Federico II, Napoli 2Università degli studi di Salerno, Salerno

Background: The aetiology of tendinopathy remains unclear. Several models have recently implicated pro-inflammatory cytokines, especially in the earlier phases of the process. This study investigates the behaviour of healthy and tendinopathic human tenocytes after a heat shock stress.

Methods: Tendinopathic and healthy tendon samples were harvested from 15 patients who underwent surgery to treat chronic tendinopathy of the Achilles tendon. Tendon samples were digested and human tenocytes were cultured for 24-48 hours. A heat shock was performed reaching the temperature of 42°C for 1 hour, followed by a post-heating period of 2, 4 and 20 hours. Total mRNA was extracted and retrotranscripted into cDNA. The target genes were analysed using a quan-titative Real Time PCR.

Results: IL-1β and IL-6 expression were significantly increased in tendinopathic samples after heat shock compared with not stimulated healthy samples (p < 0.01). IL-10 was increased in tendinopathic samples at 4 hours post-heating and in healthy samples after 20 hours post-heating (p < 0.01). COL-I and COL-III expression were increased in tendinopathic not stimulated tenocytes, but their levels were significantly decreased after heat shock (p < 0.01). COL-III levels increased in healthy samples after 20 hours post-heating (p < 0.01).

Conclusion: Tendinopathic tendon samples showed high levels of cytokines such as IL-1β, IL-6 and IL-10, indicating that inflammation plays a role in tendon damage. COL-I and COL-III are increased in not stimulated tendinopathic tenocytes, as an attempt to repair themselves, while after heat shock their levels decreased as a sign of the failure of repair mechanisms in tendinopathic tendons. COL-III levels are increased in healthy stimulated samples showing an early attempt to induce heal-ing after a stress condition. Further studies with combined stressors (i.e. stretching) are required to simulate in vivo condition.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 104

Valutazione meccanica del legamento crociato anteriore di capraMichael Mazzacane1, Mario Ronga1, Paolo Cherubino1, Freddie H. Fu2

1Clinica Ortopedica, Università deglli Studi dell’Insubria, Varese2Department of Orthopaedic Surgery, University of Pittsburgh, Pittsburgh - USA

Introduzione: La capra è un modello animale ampiamente utilizzato per lo studio del legamento crociato anteriore (LCA) ma la biomeccanica dei suoi fasci [intermedio (IM), anteromediale (AM), posterolaterale (PL)] non è stato ancora indagata.

Obiettivo dello studio è descrivere la biomeccanica dei tre fasci e valutare se la capra sia un valido modello da utilizzare per lo studio delle tecniche di ricostruzione del LCA.

Materiali e metodi: 14 paia di ginocchia di capre sono state incluse nello studio. Un robot CASPAR Stäubli RX90 con sei gradi di libertà di movimento è stato utilizzato per misurare la traslazione tibiale anteriore (TTA) [mm] e le forze in situ [N] a 30° (piena estensione), 60°, 90° di flessione così come la rotazione interna a 30° prima e dopo il taglio di ogni singolo fascio.

Risultati: Quando il fascio AM è stato tagliato, si è osservato un incremento della TTA a 60° e 90° di flessione (p < 0,05). Al contrario, solo a 30° di flessione si è registrato un incremento della TTA quando il fascio PL è stato tagliato. La maggior parte delle forze in situ si è sviluppata attraverso il fascio AM a 60° e 90°, mentre il PL era sollecitato solo a 30° (p < 0.05). Il taglio del fascio IM ha contribuito in minima parte all’aumento della TTA ed al trasferimento delle forze.

Discussione: I risultati dei test meccanici dimostrano come il comportamento del LCA della capra sia simile a quello dell’uo-mo precedentemente descritto in letteratura. Anche se anatomicamente distinguibile dagli altri fasci, il fascio IM gioca un ruolo di secondo piano nel controllo della TTA e pertanto può essere trascurato come fascio singolo nei test di ricostruzione del LCA. In conclusione, l’LCA della capra mostra alcune differenze anatomiche rispetto all’uomo anche se le principali funzioni biomeccaniche dei singoli fasci sono simili.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 105

TECNOLOGIE

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 106

Riabilitazione computer-assistita dopo protesi totale di ginocchioMatteo Innocenti1, Erika Guolo2, Fabrizio Matassi1, Massimo Innocenti1

1AOU-Careggi, Centro Traumatologico Ortopedico, Firenze2AOU-Careggi, Centro Traumatologico Ortopedico / Fisiatria, Firenze / Pisa

Introduzione: La partecipazione del paziente al protocollo fisioterapico come parte attiva del recupero funzionale è parte cruciale per un’efficace riabilitazione dopo impianto di protesi totale di ginocchio (PTG). La mobilizzazione passiva eseguita sia manualmente dal fisioterapista sia attraverso apparecchiature di mobilizzazione continua passiva (CPM) ha dato scarsi risultati in termini di riattivazione neuromuscolare e recupero dell’arco di movimento (ROM) attivo. È di fondamentale im-portanza nel processo di recupero funzionale dopo PTG motivare il paziente all’esecuzione di esercizi attivi e monitorare gli esercizi eseguiti. Lo scopo del presente studio è quello di valutare l’efficacia di un programma riabilitativo computer assistito a biofeedback, in termini di recupero del ROM, aderenza al protocollo proposto e indice di gradimento del paziente dopo impianto di PTG.

Materiali e metodi: Una serie di 52 pazienti, età media 64 anni (intervallo 54-78), è stata sottoposta ad un programma riabilitativo computer-assistito basato su una serie di esercizi con sistema a Biofeedback (RiabloTM, Corehab). Tale program-ma prevede esercizi specifici per il recupero dell’arco di movimento, della forza ed equilibrio, che si ripetono giornalmente a difficoltà neuromotorie crescenti, fino ad un massimo di sette esercizi. Ciascun paziente è stato sottoposto alla medesima batteria di esercizi, una volta al giorno e con l’assunzione di paracetamolo circa 30 min prima dell’inizio della batteria. I pazienti sono stati valutati alla dimissione in termini di recupero del ROM, indice di aderenza agli esercizi proposti e indice di gradimento. Sono stati valutati inoltre clinicamente, circa lo stato di salute da loro stessi percepito, mediante questionario Short Form Health Survey-36 (SF-36).

Risultati: Il periodo di degenza ospedaliera medio è stato di 4 giorni (intervallo 3-6 gg). Due pazienti di età superiore a 75 aa non sono riusciti a completare quotidianamente la batteria di test proposti. Il grado di aderenza agli esercizi proposti è stato dell’85%, con un tempo medio di deambulazione autonoma mediante un bastone di 3 gg (intervallo 2-5 gg). Il ROM medio dedotto dal computer alla dimissione è risultato di 0-0-110°. Valutando poi la qualità della vita dei pazienti con SF-36, ognuno si è dimostrato altamente soddisfatto e ha inoltre dichiarato di sentirsi maggiormente coinvolto e motivato ad eseguire esercizi di Biofeedback computer-assistiti piuttosto che eseguire una serie di classiche ripetizioni.

Conclusioni: Per quel che concerne la durata della degenza e il recupero del ROM, il nostro studio è in linea con altri pre-senti in letteratura relativi a protocolli “fast track” di riabilitazione post PTG. Tuttavia, il nostro innovativo metodo compute-rizzato ha permesso al tempo stesso di implementare la soddisfazione dei pazienti e di quantificare tramite appositi sensori i risultati clinici oggettivi in termini di ROM. In questo modo ogni paziente riesce a percepire in maniera concreta ed oggettiva i propri miglioramenti quotidiani e si sente stimolato per proseguire nella riabilitazione, riducendo inoltre il carico di lavoro fisioterapico dato che tutti gli esercizi sono eseguiti a Biofeedback dal paziente con il computer ed indipendentemente dal personale.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 107

L’allineamento funzionale mediante il navigatore chirurgico nelle protesi di ginocchio: tecnica chirurgicaMichele d’Amato, Andrea Illuminati, Paolo Barbadoro, Claudio Belvedere, Alberto Leardini, Andrea Ensini Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Le principali tecniche chirurgiche a disposizione per svolgere la protesi di ginocchio sono la Measured Re-section Technique e la Gap Balancing Technique. Entrambe le tecniche prevedono l’esecuzione dei tagli prossimale di tibia e distale di femore a 90° rispetto all’asse meccanico neutro e un successivo eventuale release sui tessuti molli per bilanciare lo spazio in estensione. La prima tecnica prevede poi l’esecuzione dei tagli anteriore e posteriore del femore in relazione ai reperi ossei, mentre la seconda bilanciando lo spazio in flessione in relazione ai tessuti molli senza eseguirne il release. La tecnica che proponiamo e descriviamo in questo lavoro prevede il bilanciamento delle componenti protesiche senza esegui-re alcun release sui tessuti molli, non solo in flessione ma anche in estensione, grazie all’ausilio del navigatore chirurgico.

Materiali e metodi: La tecnica chirurgica prevede un’incisione mediana al ginocchio con artrotomia pararotulea mediale. Dopo l’esposizione del ginocchio mediante tecnica chirurgica standard si esegue la rimozione degli osteofiti marginali del femore e della tibia, che andando a tendere eccessivamente i legamenti collaterali potrebbero altrimenti interferire con il bilanciamento degli spazi. Si procede quindi alla calibrazione dei reperi ossei mediante il navigatore chirurgico (Stryker, Mahwah, NJ). Il navigatore ci segnala in tempo reale qual è l’entità della deformità del ginocchio sul piano frontale; ese-guendo quindi uno stress manuale del ginocchio contro deformità è possibile osservare fino a quale angolo questa si riduca. Quest’ultimo angolo ottenuto diventa quindi il nostro obiettivo di allineamento meccanico da raggiungere sul piano fronta-le. Si procede quindi ad eseguire il taglio distale di femore e il prossimale di tibia, andando così a creare lo spazio in esten-sione che nella maggior parte dei casi risulta essere ben bilanciato in varo e in valgo. Se lo spazio non dovesse risultare ben bilanciato fra il compartimento mediale e il laterale procediamo quindi ad eseguire una nuova resezione di femore o di tibia a favore della deformità. Il ginocchio ora viene portato a 90° di flessione e i comparti mediale e laterale vengono messi ad uguale tensione mediante due spreader. Il taglio posteriore del femore viene quindi eseguito parallelo al taglio tibiale, sotto controllo del navigatore chirurgico. In questo modo anche il taglio in flessione risulta essere ben bilanciato in medio-laterale. Successivamente si procede con la tecnica chirurgica standard impiantando le componenti protesiche definitive.

Risultati: Le protesi di ginocchio così impiantante vengono stressate manualmente a diversi gradi di flessione prima in varo e poi valgo, lungo tutto l’arco di movimento. Una protesi viene considerata ben bilanciata quando, eseguendo questi test, il ginocchio non si apre mai oltre i 2,5° in varo o in valgo (quindi 5° complessivi di stabilità).

Conclusioni: Lo scopo di questa tecnica chirurgica è quello di ottenere un ginocchio più stabile e bilanciato lungo tutto il suo arco di movimento, ottenendo quindi un allineamento più funzionale per il paziente, che dovrebbe condurre a migliori risultati clinici e a minor rischio di usura del polietilene nel lungo termine.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 108

L’utilizzo della navigazione nelle ostetomie periarticolari di ginocchio in esiti traumaticiAlfonso Manzotti1, Alessio Biazzo2, Andrea Corriero2 , Norberto Confalonieri2

1UO Ortopedia e Traumatologia, Ospedale “Luigi Sacco”, ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano 2UO Ortopedia e Traumatologia, Ospedlae CTO, ASST Gaetano Pini-CTO, Milano

Le osteotomie periarticolari di ginocchio appaiono essere una metodica universalmente accettata per il trattamento delle deviazioni assiali sintomatiche del ginocchio sottolineandone l’assoluta necessità di accuratezza. Recentemente, per ovviare a possibili errori di correzione, sono stati fatti notevoli progressi nello sviluppo dei sistemi di navigazione applicati agli inter-venti d’osteotomia di ginocchio. Scopo del lavoro è la presentazione della nostra esperienza nell’utilizzo della navigazione nella correzione di deviazioni assiali degli arti inferiori in esiti post-traumatici tramite osteotomie periarticolari di ginocchio.Dal 2004 sono stati inclusi nello studio 16 pazienti (11 maschi, 5 femmine) con età media di 44,1 anni, tutti affetti da defor-mità degli arti inferiori (13 deviazioni in varo e 3 in valgo) post-traumatiche sintomatiche a livello del ginocchio e trattati con osteotomie periarticolari di ginocchio navigate (14 ostetomie tibiali e 2 femorali). È sempre stata eseguita un’artroscopia del ginocchio per la valutazione del quadro cartilagineo articolare ed in alcuni casi sono stati associati gesti chirurgici accessori come la rimozione dei mezzi di sintesi (4 casi) e la ricostruzione del LCA (2 casi). In tutti i casi l’intervento è stato eseguito con l’ausilio della navigazione utilizzando softwares differenti anche in grado di fornire una valutazione tridimensionale della correzione.In tutti casi si è ottenuta una correzione della deformità entro i 3° da quanto pianificato. Non sono state registrate compli-cazione specificamente legate alla navigazione. In 2 casi abbiamo registrato un’infezione post-operatoria con necessità di rimozione dei mezzi di sintesi e posizionamento di ex-fix. All’ultimo follow-up tutti i casi sono stati valutati con il Knee Society Score, Womac Index ed Visual Analog Scale Score (VAS; 0 = dolore insopportabile, 10 = assenza di dolore). Tutti i pazienti di sono dichiarati soddisfatti. L’utilizzo dei moderni sistemi di navigazione della chirurgia correttiva delle deviazioni assiali degli arti inferiori, come negli esiti traumatici, può realmente offrire al chirurgo ortopedico notevoli vantaggi: un continuo feed-back intraoperatorio della correzione, la possibilità di una chirurgia meno invasiva evitando procedure in più fasi. Sottolineandone l’efficacia è tuttavia necessario sottolineare come tale procedura debba essere associata ad una buona conoscenza/esperienza dell’utilizzo della navigazione e pertanto forse pienamente sfruttabile in centri specializzati.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 109

Navigazione con accelerometri nelle protesi totali di ginocchio (i-ASSIST): analisi dell’allineamento delle componenti protesicheLivia Vignini, Anna Rosa Rizzo, Fabrizio Matassi SOD Ortopedia Generale 1, Centro Traumatologico-Ortopedico, Firenze

Introduzione: La chirurgia protesica di ginocchio computer-assistita garantisce maggior precisione nell’allineamento delle componenti protesiche rispetto ai riferimenti intra ed extramidollari convenzionali, ma prevede una complessa procedura di acquisizione dei dati che comporta un allungamento dei tempi chirurgici. Di recente è stato introdotto un sistema di na-vigazione semplificato, basato su accelerometri, con l’obiettivo di ridurre il tempo operatorio e semplificare la procedura di navigazione. Lo scopo del seguente studio è quello di valutare l’accuratezza dell’allineamento delle componenti protesiche in un gruppo di pazienti operati di protesi totale di ginocchio, utilizzando un sistema di navigazione basato su accelerometri (i-ASSIST).

Metodi: Un gruppo di 25 pazienti affetti da gonartrosi primitiva è stato sottoposto ad impianto di protesi totale di ginocchio con il sistema di navigazione i-ASSIST. La valutazione clinica dei risultati è stata condotta mediante “Knee Society Score” (KSS), registrato prima dell’intervento e nel periodo post-operatorio, a distanza di 6 settimane, 2 mesi e 6 mesi. L’analisi ra-diologica è stata effettuata con una proiezione radiografica per arti inferiori in toto, un’antero-posteriore e una latero-latera-le del ginocchio sotto carico e un’assiale della rotula, eseguite preoperatoriamente e a distanza di 30 giorni dall’intervento. Per ogni caso è stato impostato un planning preoperatorio tramite valutazione degli assi meccanici ed anatomici. L’alline-amento delle componenti protesiche nel piano frontale e sagittale è stato determinato dalle radiografie postoperatorie e confrontato con il planning preoperatorio e con i dati intraoperatori forniti dal sistema di navigazione.

Risultati: L’allineamento delle componenti protesiche con il sistema di navigazione computer-assistito si è dimostrato ac-curato e preciso, con un posizionamento delle componenti stesse entro i 2° dall’asse meccanico in 23 casi su 25. I risultati clinici ottenuti sono soddisfacenti e del tutto analoghi a quanto riportato in precedenza in altre casistiche esaminate presso la nostra clinica e confrontate con la letteratura. I tempi chirurgici di intervento sono sovrapponibili a quelli di una protesi totale di ginocchio eseguita per via convenzionale.

Conclusioni: Il sistema navigato basato su accelerometri garantisce un posizionamento ottimale delle componenti protesi-che rispetto all’asse meccanico, senza alcun incremento dei tempi chirurgici.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 110

Studio mediante RSA dinamica della cinematica articolare delle protesi totali di ginocchio durante movimenti della normale vita quotidianaDanilo Bruni1, Laura Bragonzoni2, Marco Bontempi2, Francesco Iacono1, Stefano Zaffagnini1, Maurilio Marcacci1

1Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna2 Laboratorio di Biomeccanica ed Innovazione Tecnologica, Università di Bologna, Bologna

Introduzione: Nell’Istituto Ortopedico Rizzoli, in collaborazione con il Laboratorio di Biomeccanica ed Innovazione Tec-nologica, è stata sviluppata e costruita una macchina per l’esecuzione di esami di Roentgen Stereofotogrammetria (RSA) dinamica, al fine di studiare la cinematica delle protesi totali di ginocchio durante l’esecuzione di movimenti tipici delle situazioni di vita quotidiana dei pazienti. In particolare, questa tecnologia consente lo studio della cinematica protesica in normali condizioni di carico e con la contrazione muscolare attiva, mentre il paziente deambula, si accovaccia, si alza da una sedia o scende uno scalino. Lo scopo principale del presente studio è, appunto, fornire una descrizione in termini quantitativi delle rotazioni e delle traslazioni dell’impianto protesico di ginocchio mentre il paziente cammina, si alza da una sedia o discende uno scalino.

Materiali e metodi: 24 pazienti consecutivi sono stati selezionati in modo casuale utilizzando delle tabelle di randomizzazio-ne generate automaticamente da un software. Tale popolazione è stata derivata da 329 pazienti che sono stati operati di protesi totale di ginocchio nell’anno 2012 per una gonartrosi primaria. L’età media è risultata 71 anni e il follow-up medio finale è stato di 2,5 anni. Dal punto di vista sperimentale, i pannelli rivelatori della macchina per l’analisi RSA dinamica sono stati disposti perpendicolarmente l’uno rispetto all’altro e allineati ciascuno col proprio tubo radiogeno. Il paziente è posizionato obliquamente a 45° rispetto ai tubi radiogeni, con il ginocchio operato al centro della scena radiografica. Al paziente, viene quindi chiesto di camminare alla velocità a lui più confortevole, poi di alzarsi da una sedia di altezza standard (50 cm) e, infine, di discendere da uno scalino.

Risultati: Il protocollo sperimentale ha dinostrato che i pazienti operati di protesi totale di ginocchio conservano dei pattern cinematici stabili e consistenti anche nelle attività motorie tipiche della vita quotidiana. È stato possibile misurare le trasla-zioni e le rotazioni della componente femorale, determinando i movimenti di roll-back rispetto alla componente protesica tibiale.

Discussione: La cinematica articolare delle protesi totali di ginocchio durante l’esecuzione di attività motorie tipiche della vita quotidiana, con il paziente in normali condizioni di carico che esegue movimenti attivi, è stata descritta quantitativa-mente in termini di rotazioni e traslazioni delle componenti protesiche.

Conclusioni: La tecnologia della RSA dinamica è efficace e riproducibile e può evidenziare anomalie cinematiche in condi-zioni di carico, non riscontrabili con analisi intraoperatorie.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 111

Protesi totale di caviglia e contemporanea artodesi della sottoastragalica: valutazione Tc del tasso di fusioneLuigi Manzi1, Federico Giuseppe Usuelli1, Camilla Maccario2, Cristian Indino3

1IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano2Università degli Studi di Milano, Milano3Università degli Studi di Pavia, Pavia

Introduzione: I pazienti affetti da artrosi o gravi patologie neuromotorie che coinvolgono sia la caviglia che l’articolazione sottoastragalica possono beneficiare di un’artrodesi tibiotalocalcaneare (TTC) o di una protesi totale di caviglia associata ad artrodesi della sottoastragalica. Attualmente, l’artrodesi TTC è considerata come un’opzione di salvataggio, rendendo la caviglia ed il retropiede rigidi, limitando notevolmente la funzione globale del piede. Con l’evoluzione del design protesico e delle tecniche chirurgiche, la protesi totale di caviglia (TAR) è diventata un’alternativa ragionevole rispetto all’artrodesi. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare il tasso di fusione della sottoastragalica nei pazienti trattati contemporane-amente con sostituzione totale della caviglia (TAR) e artrodesi della sottoastragalica.

Materiali e metodi: Lo studio comprende 25 pazienti sottoposti a TAR e simultanea artrodesi della sottoastragalica da maggio 2011 al novembre 2014. Sedici maschi (64%) e 9 femmine (36%) sono stati arruolati, con un’età media di 58 anni (range 25-82). I pazienti sono stati valutati clinicamente preoperatoriamente e dopo 6 e 12 mesi dall’intervento. L’esame radiografico comprende una TAC postoperatoria acquisita 12 mesi dopo l’intervento chirurgico.

Risultati: A 12 mesi dall’intervento, il tasso di fusione della sottoastragalica nei pazienti trattati con TAR e simultanea ar-trodesi della sottoastragalica è stata del 92%. C’è stato un aumento statisticamente significativo dell’AOFAS score da 27,9 a 75,1 punti. Il ROM è aumentato da 12 a 32,8 gradi. Inoltre, c’è stata una diminuzione statisticamente significativa del dolore (VAS score) da 8,6 a 2,1 punti.

Conclusioni: La protesi di caviglia associata ad artrodesi della sottoastragalica è una procedura affidabile per il trattamento dell’artrosi di caviglia e della sottoastragalica. Inoltre, la TC ha mostrato un’eccellente affidabilità nel determinare il grado di fusione dell’artrodesi della sottoastragalica.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 112

Una nuova metodologia per la progettazione personalizzata e la produzione mediante il 3D printing nella protesi di cavigliaClaudio Belvedere, Andrea Illuminati, Andrea Ensini, Michele d’Amato, Paolo Barbadoro, Alberto Leardini Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: I tradizionali trattamenti chirurgici in ortopedia prevedono l’utilizzo di dispositivi standard che non tengono conto delle caratteristiche specifiche del paziente. Questo limite è particolarmente evidente nella chirurgia protesica, dove raramente vengono considerate le caratteristiche anatomo-funzionali delle articolazioni normali. I recenti sviluppi nel me-dical-imaging, unitamente all’avvento della tecnologia di stampa 3D, rendono oggi possibile realizzare forme uniche in materiale plastico o metallico. È quindi possibile disegnare e produrre componenti protesiche conformi alla reale morfologia di un’articolazione. Presso i laboratori IOR, in collaborazione con la Drexel University di Philadelphia, è stata sviluppata una nuova metodologia per la progettazione e la produzione di un nuovo modello di protesi di caviglia personalizzata basata sul-la morfologia dell’articolazione del paziente. Tale procedura è stata successivamente testata in vitro su 10 pezzi anatomici.

Materiali e metodi: La procedura prevede la generazione di modelli CAD sulla base delle immagini TC ed RMN dei pezzi anatomici analizzati. Sulla base di tali modelli sono stati poi realizzati 3 diversi disegni protesici in cromo-cobalto per ogni singolo pezzo anatomico. Il primo disegno riproduceva una superficie cilindrica (CYL) come la maggior parte delle protesi di caviglia oggi in commercio, il secondo una superficie a tronco di cono con apice mediale (TC) riproponendo gli studi di Inmann, il terzo una superficie a sella con apice mediale (STC) come descritto dagli studi più recenti. Ogni protesi è stata così impiantata sulla relativa articolazione dalla quale erano stati generati i modelli CAD e, con l’ausilio di un navigatore chirurgico, è stato possibile misurare i dati cinematici relativi all’articolazione originale e a quella ricostruita. Nello specifi-co sono stati eseguiti movimenti passivi di dorsi-plantarflessione, inversione-eversione e intra-extrarotazione della caviglia. Questa operazione è stata eseguita sia sul pezzo anatomico originale che con le 3 protesi impiantate. Tali acquisizioni sono state poi confrontate tra loro.

Risultati: I risultati ottenuti hanno mostrato, dopo l’impianto delle protesi personalizzate, un ottimo recupero della cinema-tica pre-operatoria naturale. Questo si è verificato a prescindere dal disegno protesi-specifico in termini di dorsi-plantar-flessione, mentre sono state osservate differenze rilevanti negli altri movimenti, dovute probabilmente alla diversa super-ficie articolare su cui erano basati i tre prototipi protesici. In particolare l’arco di movimento della caviglia naturale era di 35,0° ± 1,0° in dorsi-plantarflessione, 1,6° ± 0,5° in inversione-eversione 4,0° ± 0,2° in intra-extrarotazione. I valori corri-spondenti dopo l’impianto della protesi CYL sono stati 33,6° ± 0,5°, 2,4° ± 0,1°, 3,2° ± 0,2°, dopo l’impianto di protesi TC sono stati 34,7° ± 1,0°, 2,6° ± 0,3°, 4,3° ± 0,2° e dopo l’impianto della protesi STC sono stati 33,0° ± 1,0°, 2,6° ± 0,3° e 2,7° ± 0,2°.

Discussione: Il presente processo di disegno e realizzazione di una nuova protesi di caviglia personalizzata ha dimostrato di essere tecnicamente fattibile, e con incoraggianti risultati e grandi potenzialità, riuscendo a riportare la caviglia a una cinematica fisiologica.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 113

Bone block artrodesi nei fallimenti delle protesi MTF1Miriam Grassi, Jacopo Tamini, Federico Giuseppe Usuelli IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano

Introduzione: Il trattamento del fallimento delle protesi MTF1 può risultare complesso e non vi è unanime consenso in Letteratura. Il problema principale è rappresentato dall’eccessivo accorciamento del primo raggio e dal bone stock residuo.L’artrodesi MTF1 con innesto osseo autologo è una delle opzioni di trattamento. Scopo dello studio è quello di riportare i risultati clinici e radiografici di questa procedura chirurgica.

Metodi: Abbiamo rivalutato retrospettivamente nello studio 11 pazienti che presentavano fallimento dell’impianto protesico a carico dell’articolazione MTF1. Il primo impianto era stato effettuato presso altro centro chirurgico. 10 pazienti sono stati sottoposti ad intervento di rimozione dell’impianto protesico, artrodesi MTF 1 ed innesto osseo autologo prelevato da calca-gno omolaterale, previo esame colturale su tessuto osseo e successivo antibiogramma. 1 paziente è stato sottoposto a rimo-zione di spaziatore cementato antibiotato e simultanea artrodesi MTF 1 ed innesto osseo autologo prelevato da calcagno omolaterale, previo esame colturale su tessuto osseo e successivo antibiogramma. Il tempo minimo intercorso tra l’interven-to di impianto protesico e di artrodesi MTF1 è stato di 12 mesi. I pazienti sono stati valutati preoperatoriamente con una rx piede in carico ed uno studio TC e sono stati sottoposti a valutazione clinica con Foot & Ankle Disability Index score (FADI), visual analogue pain scale (VAS) and AOFAS Hallux Metatarsophalangeal Interphalangeal scoring system (AOFAS-HMI). Nel postoperatorio il carico è stato concesso dopo un periodo di immobilizzazione pari a 30 giorni in stivaletto gessato.

Risultati: I motivi dei fallimenti delle protesi MTF1 sono stati: 7 mobilizzazioni asettiche dell’impianto protesico, 3 malalline-amenti e 1 infezione periprotesica. L’innesto osseo prelevato da calcagno ha colmato un difetto medio di 14,32 mm (range 11-19 mm). La sintesi è stata effettuata con placca e viti. Abbiamo avuto 3 casi di mancata consolidazione asintomatica. Radiograficamente negli altri pazienti si ha avuto un tempo medio di consolidazione di 11 settimane. Abbiamo riscontrato come complicanze 1 infezione superficiale della ferita chirurgica e 2 rotture dei mezzi di sintesi, che hanno richiesto la ri-mozione degli stessi. Tutti i pazienti hanno ripreso le comuni attività della vita quotidiana. Il Foot and Ankle Disability Index (FADI) medio è risultato essere pari a 84,6 (range, 37,5-97,1) mentre il risultato medio della VAS e dell’AOFAS-HMI sono stati rispettivamente di 2 e 73,8 all’ultimo follow-up (media 27 mesi).

Discussione: La gestione dei fallimenti delle protesi MTF1 risulta tuttora un argomento controverso e di difficile approccio. Ulteriori studi andrebbero condotti per poter confermare i promettenti risultati di questa procedura chirurgica che consente di ridurre al minimo il rischio di accorciamento del primo raggio pur permanendo il rischio di riassorbimento dell’innesto osseo autologo utilizzato.

Conclusioni: L’artrodesi MTF 1 con innesto di tessuto osseo autologo rappresenta quindi una valida opzione di salvataggio nell’ambito dei fallimenti protesici.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 114

PATELLOFEMORALE

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6° CONGRESSO NAZIONALE 115

Pathology and treatment of patellar instabilityNobuyuki Kumahashi, Suguru Kuwata, Taku Tadenuma, Hiroshi Takuwa, Yuji UchioDepartment of Orthopaedic Surgery, Shimane University, Japan

Purpose: The aim of this study is to clarify the pathology of the patellar instability and the effectiveness of our surgical treat-ment of patellar instability.

Methods: From 2007 through 2012, a total of 36 patients (44 knees) (17 right and 27 left knees mean age: 21 years) from 9 males and 27 females were seen for patellar dislocation operations at our hospital because they had not responded to conservative treatment, including bracing and physical therapy, for more than 3 months. Thirty-two subjects with 64 knees (8 men, 24 females; mean age 22 years, range 18 to 28 years) were sex- and age- matched to the patient population as a reference group. Cases were divided into four groups: 7 traumatic dislocations, diagnosed with an osteochondral frag-ment by X-ray which were treated with proximal realignment for the Endobutton technique because of the necessity for an osteochondral graft or fixation of an osteochondral fragment; 30 recurrent dislocations, diagnosed after more than two occurrences, which were treated with proximal realignment (medial patellofemoral ligament (MPFL) reconstruction using semitendinosus tendons) using the isolated interference system or Sandwich method due to an open femoral growth plate; 6 habitual dislocations, which occurred every time the knee was flexed; and 1 congenital dislocation, which dislocated at every flexion angle, which were treated with proximal (MPFL reconstruction) and distal realignment (Elmslie-Trillat or Cross-de-hockey method) simultaneously. After surgery, partial weight-bearing was started from 2 weeks, braces were removed from 3 months, and patients were permitted sports activity from 6 months. Average postoperative follow-up period was 4 years and 3 months. The medial and lateral stiffness of the patella in full extension were measured by a senior physical therapist with a Patella Stability Tester before and after surgery. Apprehension test, Radiological items (congruence angle, tilting angle and lateral shift ratio) and Kujala scores were also evaluated.

Results: The medial stiffness of the affected knee in the dislocation group before surgery was significantly lower than in the reference group. The medial stiffness at the final follow-up after operation was significantly higher than that before opera-tion (p < 0.05) and not significantly different from the reference group. No recurrent dislocation occurred during the fol-low-up period, but one patient experienced apprehension. Postoperative X-ray findings and clinical scores were significantly improved at the final follow-up (p < 0.05).

Conclusion: The medial stiffness before surgery was significantly lower than the reference group, but it recovered after op-eration up to the reference level and kept it at the final follow-up. The selective operative techniques based on the pathology of patella instability were effective to the patients of patellar instability with adequate medial and lateral stiffness and good clinical results.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 116

Scaffold osteocondrale acellullare per il trattamento di difetti cartilaginei della rotula: valutazione clinica ed RMN a 2 anni di follow-upFrancesco Perdisa1, Giuseppe Filardo1, Luca Andriolo1, Alessandro Di Martino1, Andrea Sessa1, Maurizio Busacca2, Elizaveta Kon1, Maurilio Marcacci1

1II clinica, 2Radiologia Diagnostica ed Interventistica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Le lesioni sintomatiche della cartilagine a livello rotuleo rappresentano una condizione particolarmente difficile da trattare a causa delle peculiari anatomia e caratteristiche biomeccaniche dell’articolazione femoro-rotulea, che spesso portano a risultati sensibilmente inferiori in seguito a trattamento cartilagineo. L’obiettivo di questo studio è di analizzare i risultati ottenuti a breve termine di follow-up dall’impianto di uno scaffold osteocondrale acellulare per il trattamento di lesioni articolari della rotula.

Materiali e metodi: Trentacinque pazienti sintomatici (19 uomini e 16 donne, età media: 30,0 ± 10 anni) affetti da lesioni della cartilagine rotulea di grado III-IV (dimensione media: 2,1 ± 1 cm2) sono stati inclusi nello studio e trattati tramite l’impianto di uno scaffold acellulare bistrato. L’eziologia era degenerativa in 23 casi, traumatica in 8 e 3 erano osteocondriti dissecanti. Venti pazienti sono stati operati per la prima volta, mentre 14 avevano già subito interventi in precedenza. In 16 pazienti sono state necessarie procedure chirurgiche associate, incluso un riallineamento dell’apparato estensore in 11. Tutti i pazienti sono stati valutati prospetticamente nel pre-operatorio, ed a 12 e 24 mesi di follow-up, utilizzando l’ICRS standard evaluation form.

Risultati: Tutti gli scores analizzati hanno mostrato un incremento significativo tra i valori pre-operatori ed il follow-up finale. L’IKDC soggettivo è migliorato da 39,5 ± 14,5 pre-operatorio a 61,9 a 12 mesi (p < 0,0005), con un ulteriore incremento a follow-up finale (67,6 ± 17,4, p = 0,020). Il Tegner score ha mostrato un miglioramento significativo del livello di attività tra il basale ed i 12 mesi (1,8 ± 1,0 e 3,3 ± 1,5, p < 0,0005), ed è quindi rimasto stabile a 24 mesi (3,3 ± 1,1, 12 m vs 24 m: n.s.), valori sensibilmente inferiori a quelli di prima dell’insorgenza dei sintomi. (5,3 ± 2,4, p < 0,0005). Il sesso femminile ha ottenuto outcomes inferiori sia a 12 che a 24 mesi (53,2 ± 15,0 vs 68,8 ± 18,9 e 61,5 ± 17,2 vs 72,4 ± 16,2, rispettivamente, p < 0,05). I pazienti sottoposti a riallineamento hanno mostrato un recupero più lento, con valori IKDC e Tegner inferiori a 12 mesi (52,0 ± 17,1 vs 66,7 ± 17,9, p = 0,028 e 2,5 ± 1,2 vs 3,7 ± 1,4, p = 0,038, rispettivamente). Un paziente è stato escluso dall’analisi in seguito a reinfortunio traumatico dopo 8 mesi di follow-up. L’analisi delle RMN ha mostrato una buona integrazione dell’impianto nella maggioranza dei casi, mentre si è evidenziata la tendenza alla formazione di un osteofita intralesionale in oltre un terzo dei casi, senza avere però influenza sul risultato clinico.

Conclusioni: L’impianto di questo scaffold osteocondrale bistrato si è dimostrato efficace nel migliorare la condizione clinica di pazienti affetti da lesioni sintomatiche della cartilagine rotulea a 24 mesi di follow-up. Il sesso femminile e l’età più avanzata si sono rivelati fattori con influenza negativa sul risultato, mentre procedure associate di riallineamento hanno rallentato il recupero, ma senza influenzare il risultato finale. Alla valutazione RMN sono state osservate alcune alterazioni prive di rilevanza clinica.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 117

Trapianto di concentrato midollare e trasposizione della tuberosita tibiale anteriore nel trattamento delle lesioni osteocondrali dell’articolazione femoro-rotulea: risultati clinici e radiologici a 48 mesi di follow upRoberto Buda, Gherardo Pagliazzi, Matteo Baldassarri, Francesco Castagnini, Francesca Vannini, Luca Perazzo, Simone Massimi, Cesare Faldini Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Le lesioni osteocondrali (OCL) dell’articolazione femoro-rotulea (PFJ) sono difetti della superficie cartilaginea e dell’osso sottostante che richiedono spesso un trattamento chirurgico. Sono state descritte numerose tecniche di riparazio-ne cartilaginea con buoni risultati e la ricerca si sta orientando verso nuovi trattamenti biologici. L’obiettivo di questo studio è quello di riportare i risultati clinici e radiologici a 48 mesi di follow up in pazienti operati di trapianto di concentrato midollare secondo tecnica One-step associata a trasposizione della tuberosità tibiale anteriore nelle lesioni osteocondrali della PFJ.

Metodi: Dal 2008 al 2012 ventisei pazienti affetti da OCL della PFJ sono stati operati secondo tecnica One-step associata a trasposizione della tuberosità tibiale anteriore. La valutazione clinica mediante Kujala P-F scale, IKDC score, Tegner Activity Scale ed EQ-VAS scale è stata effettuata a 6, 12, 18, 24, 36 e 48 mesi. A 12 e 24 mesi i pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica (RM) del ginocchio operato e valutazione mediante MOCART Score e T2-mapping (24 mesi).

Risultati: La valutazione clinica preoperatoria era la seguente: Kujala P-F scale 68,2 ± 4,7, IKDC 55,0 ± 6,2, Tegner 2,2 ± 1,2 punti. Il punteggio di Kujala P-F scale e IKDC score a 24 mesi è risultato rispettivamente di 82,2 ± 1,7 e 77,6 ± 9,7 punti. Al controllo finale la valutazione clinica ha ottenuto i seguenti risultati: Kujala P-F scale 87,2 ± 1,9, IKDC score 92,1 ± 5,5 e Tegner score 4,9 ± 1,4. Il MOCART score ha individuato un riempimento del difetto condrale nel 45% dei casi e la valutazione T2-mapping a 24 mesi ha individuate segnale di rigenerato simile alla cartilagine ialina.

Conclusioni: La tecnica One-step associata a trasposizione della tuberosità tibiale anteriore ha ottenuto risultati clinici buoni nel tempo e la qualità del rigenerato è stata confermata dalla RM mediante T2-mapping. Risultati clinici e di imaging a lungo termine si rendono necessari per confermare l’efficiacia della tecnica.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 118

Distomedializzazione standardizzata della tuberosità tibiale per il trattamento della rotula alta e dell’instabilità rotulea potenzialeDavide Enea1, Luca Dei Giudici2, Marco Fravisini1, Antonio Gigante2, Pier Paolo Canè1

1Department of Orthopaedics, Casa di Cura “Sol et Salus”, Torre Pedrera, Rimini 2Clinica Ortopedica - DISCLIMO - Università Politecnica delle Marche, Ancona

Introduzione: L’instabilità rotulea potenziale (PPI) si presenta nel caso in cui la gonalgia anteriore e la sensazione di insta-bilità non siano associate con una lussazione documentata. In questi casi, al fallire del trattamento conservativo, è stato suggerito un approccio “a la carte” per la correzione delle diverse anomalie anatomiche specifiche. L’ipotesi di questo studio è che una disto-medializzazione della tuberosità tibiale (DMTT) possa rappresentare una valida opzione per i casi di PPI associati a rotula alta e che la DMTT si possa eseguire in maniera standardizzata.

Materiali e metodi: Nel presente studio 18 pazienti consecutivi sono stati trattati con DMTT standardizzata (10 mm di distalizzazione, 7 mm di medializzazione) e seguiti fino ad un follow up medio di 4 anni. I pazienti sono stati sottoposti a radiografie e RM; il calcolo della distanza tuberosità tibiale-troclea femorale (TT-TG) è stato effettuato da un osservatore indipendente ed è rimasto ignoto al chirurgo sperimentatore per poter meglio validare l’ipotesi di partenza. Come controllo, 6 pazienti (7 ginocchia) affetti da instabilità rotulea oggettiva (OPI) sono stati sottoposti alla stessa procedura. Gli outcome sono stati valutati clinicamente e con gli score VAS, Kujala, e Tegner. Il protocollo riabilitativo è stato lo stesso per entrambi i gruppi.

Risultati: Entrambi i gruppi hanno ottenuto una significatività statistica in termini di riduzione della VAS e di aumento dello score Kujala, mentre il confronto tra gruppi non ha dimostrato differenze. Nel gruppo PPI si è dimostrata una riduzione significativa della sensazione di instabilità, mentre si è osservato un trend di maggiore miglioramento della Kujala negli OPI rispetto ai PPI. In quest’ultimo gruppo si è, inoltre, osservato un fallimento.

Discussione: Il presente studio dimostra che la DMTT standardizzata può essere una valida opzione per i pazienti con PPI e rotula alta, indipendentemente dai valori di TT-TG. L’outcome finale si è rivelato sovrapponibile per entrambi i gruppi supportando l’ipotesi di partenza.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 119

Trattamento chirurgico dell’instabilità obiettiva di rotula: analisi critica dei risultati a lungo termineFrancesco Mattia Uboldi1, Paolo Ferrua2, Giovanni Vergottini3, Andrea Fabio Manunta1, Massimo Berruto2

1Clinica Ortopedica, AOU Sassari, Sassari 2Chirurgia del Ginocchio, I.O. Gaetano Pini, Milano 3Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Manzoni, Lecco

L’instabilità obiettiva di rotula (IRO) è stata descritta da H. Dejour nel 1987, identificando con tale termine gli episodi do-cumentati di sub/lussazione in presenza di almeno un fattore anatomico predisponente “primario”. L’attuale trattamento è un’evoluzione del “menù a la carte” proposto che prevede la correzione di ogni fattore predisponente presente.

40 pazienti con minimo follow-up di 10 anni operati per IRO sono stati rivalutati retrospettivamente. I trattamenti effettuati, associati in modo diverso tra loro, sono stati: 36 trasposizioni di tuberosità tibiale anteriore, 30 plastiche prossimale del vasto mediale obliquo del quadricipite, 26 lateral release. Soggettivamente il 60% ha ottenuto un risultato buono, 34% sufficiente e il 6% insufficiente, secondo la scala di Crosby e Insall. Sono stati registrati due casi di recidiva. Al massimo follow-up alla scala Kujala, specifica per l’articolazione femoro-rotulea sono stati raggiunti i 73,4 ± 9,9 punti (range 55-95), alla VAS per il dolore 4,5 ±1 ,2 (1-6), nel questionario IKDC soggettivo 64,8 ± 7,9 (51-88) e nel punteggio per lo sport Tegner i 4 punti (solo 9 pazienti sono tornati a praticare attività sportiva). Secondo la scala radiologica di Iwano per l’artrosi del com-partimento anteriore, 10 pazienti hanno sviluppato un grado I, 8 un grado II e 22 un grado III; la bascule rotulea media al massimo follow-up è stata di 10° ± 3,9°. Il primo obiettivo di ogni trattamento dell’IRO deve essere focalizzato ad evitare il ripresentarsi del problema. Successiva-mente il paziente deve poter riprendere le normali attività quotidiane e possibilmente le proprie attività sportive nel modo più naturale possibile. Come in letteratura, anche nella nostra serie i buoni risultati sull’instabilità rotulea si associano ad una VAS media relativamente elevata (4,5 punti), con persistenza pertanto di un dolore anteriore residuo. Un valore medio di IKDC soggettivo pari a 64,8 evidenzia la non completa restitutio ad integrum nelle funzioni dell’articolazione con solo un quarto dei pazienti che hanno ripreso l’attività sportiva a livelli precedenti la comparsa della patologia.

Il trattamento chirurgico tradizionale ha dato ottimi risultati per il trattamento delle instabilità rotulee, ma non ha evitato la comparsa/persistenza di dolore anteriore e quadri artrosici a distanza con talora residua limitazione funzionale articolare.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 120

Trasposizione della tuberosità tibiale anteriore (TTA) nel trattamento del dolore anteriore di ginocchio: fattori prognosticiUmberto Cottino1, Federica Rosso1, Davide Bonasia1, Giorgio Governale2, Valeria Cherubini1, Federico Dettoni1, Roberto Rossi1

1Ospedale Mauriziano Umberto I, Torino 2Ortopedia e Traumatologia, Chivasso

Introduzione: Lo scopo di questo studio è valutare i risultati dell’antero-medializzazione della TTA in pazienti affetti da do-lore femoro-rotuleo, analizzando i fattori prognostici che li possano influenzare.

Materiali e metodi: Tra il 2003 e il 2013 i pazienti sopposti a intervento di trasposizione della TTA, esclusi coloro affetti da patologia infiammatoria, pregressa lussazione o trattamento chirurgico, sono stati inclusi nello studio. I pazienti sono stati valutati prospetticamente utilizzando il WOMAC-SF, il Kujala score e l’”International Knee Documentation Committee form” (IKDC) con aggiunta di alcuni parametri significativi per la patologia in studio (es. lassità, antiversione femorale, pronazione piede). Differenti variabili (demografiche, cliniche e radiografiche) sono state correlate con gli outcome utilizzando la regres-sione logistica. La sopravvivenza cumulativa è stata valutata utilizzando il metodo di Kaplan- Meier.

Risultati: Sono stati inclusi 78 casi (74,4% di donne), con un follow-up medio di 67,9 mesi (DS 34,5) e un’età media di 43,5 anni (DS 16,1). Il WOMAC e il Kujala score sono aumentati significativamente nel post-operatorio (p < 0,001). La sopravvivenza cumulativa è 91,1% a 108 mesi (DS 0,07). Un peggior WOMAC score è stato associato all’età avanzata (> 45 anni, OR = 141,7), all’aumentata antiversione femorale (OR = 70), allo scarso trofismo quadricipitale post-operato-rio (OR = 127,6) e alla persistenza di un angolo Q patologico post-operatorio (OR = 18,8). Un peggiore Kujala score è as-sociato all’aumentata età (OR=8.4) e alla presenza di un piede pronato (OR = 5,1). Una scarsa soddisfazione del paziente è invece associata alla presenza di un Rabot positivo post-operatorio (OR = 4,4) e a un’ipotonotrofia muscolare (OR = 5,1).

Conclusioni: Questo studio conferma l’efficacia di questo intervento nei pazienti affetti da dolore di femoro-rotulea, con una sopravvivenza cumulativa pari a 91,1% a 108 mesi. L’età avanzata e l’ipotonotrofia quadricipitale sono associate a peggiori risultati. La relazione tra antiversione femorale, angolo Q e pronazione del piede è stata confermata. Con le corrette indi-cazioni e tecnica chirurgica la trasposizione della TTA è una procedura valida nel trattamento del dolore femoro-rotuleo. Alcuni fattori, quali l’età del paziente, l’ipotonotrofia quadricipitale, la persistenza di un angolo Q patologico, l’antiversione femorale e la pronazione del piede sono fattori correlati a un peggior outcome.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 121

Instabilitá femoro-rotulea multifattoriale, trattamento con ricostruzione del legamento patello femorale mediale con tecnica di Arendt. Revisione casistica e valutazione risultati a breve-medio termineFabio Gotti, Luca Matascioli, Mattia Albini, Gianluca Maggi Ortopedia e Traumatologia, Fondazione Poliambulanza, Brescia

Il legamento patello femorale mediale è considerato il più importante stabilizzatore rotuleo passivo e la sua corretta fun-zionalità è essenziale per la stabilità articolare rotulea. Esistono innumerevoli controversie sul miglior trattamento in caso di lussazione rotulea. Fra le opzioni, tecniche chirurgiche basate sulla ricostruzione legamentosa con graft autologo.

Obiettivo dello studio: Valutazione clinica e radiografica a breve-medio termine, dopo ricostruzione del legamento patel-lo-femorale mediale in pazienti con lussazione rotulea laterale.

Materiali e metodi: Sono state studiate clinicamente e radiograficamente 24 ginocchia trattate per lussazione rotulea trau-matica e non, con tecnica chirurgica secondo Elizabeth A. Arendt. La procedura prevede il passaggio a cavaliere del graft attorno all’inserzione del grande adduttore e ancoraggio rotuleo tramite doppio tunnel osseo trasversale, associta o meno a lisi alare esterna e/o a trasposizione TTA. Il FU medio era di 23 (9-42) mesi. Gli score utilizzati sono stati KOOS-I, Kujala, Tegner and Lysholm score e Tegner activity level scale. Per la valutazione strumentale pre-operatoria sono state impiegate rx anteroposteriore, laterale, assiale di rotula e teleradiografia in carico arti inferiori, RMN e TAC con protocollo Lyonese, per il post-operatorio e al FU solo rx in anteroposteriore.

Risultati: È stato riscontrato un miglioramento significativo di tutti gli score clinici. Nel KOOS-I il punteggio per sport e qua-lità di vita è passato rispettivamente da 21,3 a 88,7 e da 44,7 a 90,5. Nel Kujala da 54,3 a 98,8, nel Tegner and Lysholm Score da 49,3 a 92,5 e nel Tegner Level Scale da 2,4 a 4,9. Due recidive di lussazione si sono verificate in 1 paziente (4,2%), minore del 10% riportato in letteratura. Abbiamo avuto due casi di frattura non traumatica della rotula in corrispondenza dei tunnel.

Conclusioni: La tecnica di seguito descritta mostra buoni risultati clinici e radiografici a un follow-up medio di 23 mesi, con un 12,5% di fallimenti, in linea con quanto riportato in letteratura. Il maggior punto critico della procedura resta la tecnica di fissazione rotulea.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 122

Affidabilità dei metodi di imaging per la valutazione dei fattori predisponenti l’instabilità di rotula: revisione sistematicaMaristella Francesca Saccomanno1, Giuseppe Sircana1, Stefano Teramo1, Luigi Capasso1, Gianpiero Cazzato1, Luca Fresta1, Federico Nuovo1, Giuseppe Milano1, Giuliano Giorgio Cerulli1

Istituto di Clinica Ortopedica, Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Introduzione: L’instabilità di rotula è una condizione invalidante che interessa prevalentemente adolescenti e giovani adulti. Sebbene l’esame clinico sia elemento essenziale per la diagnosi, l’imaging è fondamentale nella definizione dell’algoritmo terapeutico. Diversi fattori anatomici predisponenti sono stati identificati. I principali sono: altezza della rotula, displasia tro-cleare, calcolo della distanza tra tuberosità tibiale-gola della troclea (TA-TG), tilt rotuleo. Lo scopo della presente revisione sistematica di letteratura è stato triplice: identificare tutti i criteri disponibili in letteratura per la valutazione dei principali fattori predisponenti l’instabilità di rotula; sintetizzare i dati disponibili relativi alla riproducibilità dei criteri individuati, e va-lutare la qualità metodologica degli studi di riproducibilità.

Metodi: La strategia di ricerca è stata applicata a MEDLINE via Ovid (1948 ad aprile 2015) e successivamente adattata per EMBASE (1988 ad aprile 2015) e Cochrane (1990 ad aprile 2015). Non sono stati impostati filtri alla strategia di ricerca per essere sicuri di includere il maggior numero di studi possibile. A tal fine, sono state inoltre considerate le bibliografie degli studi inclusi. Sono stati inclusi tutti gli studi che valutassero la riproducibilità inter- ed intra-osservatore dei principali fattori predisponenti l’instabilità di rotula mediante raggi X (RX), tomografia computerizzata (TC), risonanza magnetica (RM). I dati ottenuti sono stati sintetizzati mediante statistica descrittiva. La qualità metodologica è stata valutata mediante una checklist dedicata: Quality Appraisal of Reliability Studies (QAREL).

Risultati: Settanta studi di riproducibilità sono stati inclusi nella revisione. Numerosi criteri sono stati proposti per classificare i principali fattori predisponenti l’instabilità di rotula utilizzando diverse modalità di imaging. La valutazione mediante RX si è dimostrata il metodo più affidabile per la valutazione dell’altezza della rotula e dell’angolo solco; la valutazione TC è invece il metodo più affidabile per la valutazione della TA-TG. Ha mostrato inoltre elevata riproducibilità inter- e intra- os-servatore anche per la valutazione dell’altezza della rotula. La RM ha mostrato ottima riproducibilità per la valutazione della distanza tra tendine rotuleo-gola della troclea (PT-TG), ma solo una moderata riproducibilità inter-osservatore per la valuta-zione dell’altezza della rotula. La qualità metodologica degli studi inclusi è stata ritenuta elevata solo per 5 studi, moderata per 22 studi e bassa per 43 studi.

Conclusioni: Sulla base dei dati disponibili, RX e TC sembrano essere le metodiche più affidabili per la valutazione dei prin-cipali fattori predisponenti l’instabilità di rotula. Tuttavia, la maggior parte degli studi inclusi ha mostrato limiti metodologici importanti.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 123

Studio prospettico randomizzato per la valutazione radiologica mediante risonanza magnetica (1,5 Tesla) e valutazione clinico-funzionale a 6 e 12 mesi post-operatori della ricostruzione del legamento crociato anteriore con tendine semitendinoso/gracile versus allogr aftHerbert Schoenhuber, Francesca Facchini, Andrea Panzeri, Marco Galli, Giovanni Ravasio, Paolo Capitani, Andrea Cusumano, Laura De Girolamo, Roberto Pozzoni, Gabriele Thiébat

Istituto Ortopedico Galeazzi - CTS, Milano

Introduzione: La ricostruzione legamentosa mediante l’utilizzo di trapianti allogenici (allograft) fu introdotta negli Stati Uniti negli anni Ottanta. Presso il nostro Centro il primo intervento con tessuto allogenico è stato eseguito l’11/07/03 per una rico-struzione pro-legamento crociato anteriore (LCA). Da allora il numero di interventi con tale tecnica è aumentato attirando, anche in letteratura, sempre più interesse.

Materiali e metodi: Scopo dello studio è valutare radiologicamente, mediante risonanza magnetica (RM), la maturità del graft tendineo pro-LCA ad un follow-up di 6 e 12 mesi in pazienti sottoposti ad intervento di ricostruzione del LCA. L’obietti-vo secondario dello studio è una valutazione clinico-funzionale, sia della ripresa delle normali attività quotidiane (lavorative e ricreative) sia del grado di soddisfazione dei pazienti arruolati. Si tratta di uno studio prospettico, randomizzato, in cieco per i valutatori. Sono stati reclutati 50 pazienti (età compresa tra i 18 e 40 anni), sottoposti ad intervento di prima rico-struzione artroscopica del LCA, 25 con ST/G e 25 con allograft. I dati quantitativi, soggettivi ed oggettivi, permetteranno il confronto diretto tra i due gruppi di pazienti. Lo studio prevede una valutazione pre-operatoria clinico-funzionale mediante score IKDC, Lysholm, Tegner e Cincinnati. Ai due controlli post-operatori (6 e 12 mesi), i pazienti vengono sottoposti a RM (mediante protocollo dedicato) e alla ripetizione della valutazione clinica.

Risultati: Al momento della compilazione dell’abstract, 33 pazienti hanno eseguito il controllo a 6 mesi, 22 pazienti hanno concluso lo studio con il controllo a 1 anno. Lo studio è ancora in corso e avrà termine a gennaio 2017. Attualmente si dispone unicamente di risultati preliminari, stando ai quali le due tecniche in esame hanno risultati comparabili, dal punto di vista sia clinico sia radiologico. Lo studio si propone di analizzare, non solo clinicamente ma anche radiologicamente, la tipologia d’intervento rispetto alla tecnica standard. Questa scelta è stata dettata dalla mancanza in letteratura di un numero consistente di lavori che vadano ad analizzare la maturità del neo-legamento. L’obiettivo secondario (la valutazione clinico-funzionale oggettiva e soggettiva) vuole confrontare la nostra esperienza con i dati presenti in letteratura che appa-rentemente confermano risultati simili per le due tipologie di trapianto.

Conclusioni: Questo studio porta a confrontare la nostra esperienza con gli studi presenti in letteratura. Analizzando i dati preliminari si può sottolineare un’equiparabilità di risultati dal punto di vista clinico e radiologico tra le due tecniche. Si può quindi affermare che il tessuto allogenico rappresenti una valida alternativa al tessuto autologo nella ricostruzione legamen-tosa anche in caso di primo impianto.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 124

30 anni di esperienza nel trattamento del ginocchio varo con osteotomia valgizzante di tibiaClaudio Manzini1, Pasquale Gifuni1, Giovanni Longoni1, Elisabetta Diotti2

1U.O. Ortopedia 1, Istituti Clinici Zucchi, Monza 2U.O. Fisiatria, A.O. S. Gerardo Monza, Monza

Introduzione: Il trattamento del ginocchio varo sintomatico trova ancora oggi, nei pazienti con la corretta indicazione, una valida modalità nelle osteotomie valgizzanti di tibia. La nostra esperienza inizia negli anni ‘70 e si protrae fino ad oggi con diverse tecniche chirurgiche negli anni. Abbiamo iniziato con le osteotomie in sottrazione, a seguire il trattamento in distrazione con apparato di Ilizarov (dal 1983 al 2002), poi l’osteotomia in addizione con placca Otis senza (dal 2002 al 2004) e con l’infiltrazione nel sito di osteotomia di PRP (dal 2004 al 2012). Dal 2013 ad oggi abbiamo proseguito con la tecnica di osteotomia in addizione utilizzando una placca con viti a stabilità angolare con infiltrazione del sito di osteotomia di preparato con tessuto adiposo.

Materiali e metodi: Abbiamo rivalutato un gruppo di 150 pazienti sottoposti ad intervento di osteotomia valgizzante di addizione dal 2002 al 2012 e un gruppo di 50 pazienti sottoposti al trattamento di distrazione con apparato di Ilizarov tra il 1983 ed il 2001. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad artroscopia nella stessa seduta operatoria per la valutazione del comparto laterale e della femoro-rotulea oltre al trattamento delle eventuali lesioni intrarticolari associate (plastica LCA). Il follow-up (F.U.) è stato eseguito con controlli radiografici seriati e con IKDC e Lysholm soggettiva.

Risultati: I risultati dell’IKDC sono soddisfacenti nell’81% dei pazienti con le 2 metodiche ed il Lysholm soggettivo nell’83%. La percentuale di pazienti che è andata incontro a protesizzazione totale e/o monocompartimentale nel periodo di F.U. è risultata sovrapponibile nei 2 gruppi di pazienti.

Conclusioni: L’ostetomia valgizzante di tibia risulta essere nelle nostre mani un valido intervento nel trattamento del ginoc-chio varo sintomatico purché venga effettuata con una corretta indicazione e un accurato planning preoperatorio. Solo con queste premesse i risultati si mantengono soddisfacenti negli anni e permetto di ritardare un eventuale intervento di protesizzazione. Sotto questo punto di vista l’osteotomia valgizzante di tibia può essere considerato forse l’unico intervento effettivamente di prevenzione in ortopedia.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 125

Plasma ricco di piastrine versus acido ialuronico nelle patologie degenerative dell’ancaLeonardo Savastano1, Michele Maggi2, Paola Marchesani3, Luca Khalil El Jaouni4

1S.C. Ortopedia, 2S.C. Pronto Soccorso, 3S.C. Medicina Trasfusionale, 4 S.C. Ortopedia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG)

Le lesioni cartilaginee dell’anca rappresentano una delle patologie di difficile trattamento. Infatti le lesioni condrali presenta-no una ridotta capacità di riparazione intrinseca dovuta al loro singolare sistema trofico, per cui sono di difficile trattamento e rappresentano una sfida impegnativa per tutti gli ortopedici. Tra le metodiche di trattamento non chirurgiche, un ruolo di primo piano e di notevole attualità spetta all’acido ialuronico (HA) e al platelet-rich plasma (PRP). Il PRP contiene da 3 a 6 volte la concentrazione di piastrine del sangue normale ed è ricco di fattori di crescita (growth factor).

Scopo dello studio: Lo scopo di questo lavoro è quello di dimostrare se effettivamente le infiltrazioni con PRP e HA nei pazienti affetti da condropatia dell’anca risultano efficaci e se esistono delle differenze significative cliniche tra i 2 gruppi di studio.

Metodi e risultati: A talo scopo abbiamo trattato 120 pazienti in un arco di tempo di 3 anni (2012-2015), 60 con ciclo di 3 infiltrazioni con HA a cadenza settimanale e 60 pazienti con ciclo di 3 infiltrazioni di 4 cc di PRP sempre a cadenza settimanale. Tutte le infiltrazioni sono state eseguite per via anteriore e con tecnica eco assistita a due operatori secondo i dettami di asepsi e sterilità vigenti nei retarti operatori. L’età media dei pazienti è stata di 47 anni compresa tra un minimo di 20 anni e un massimo di 73 anni. Con prevalenza del sesso femminile per circa 68%. Inzialmente la selezioni dei pazienti ha interessato soprattutto i giovanni adulti affetti da FAI (impingement femoro-acetabolare ) sia il tipo Cam che il Pincer. In seguito sono stati reclutati anche soggetti meno giovani affetti da condropaia avanzata dell’anca che rifiutavano l’inter-vento chirurgico di protessizzazione. Mentre clinicamente i pazienti sono stati controllati a 3, 6 mesi e a 1 anno con schede di valutazione (Harris Hip Score e VAS). I risultati clinici nei pazienti affetti da FAI sono stati migliori a 3, 6 mesi e a 1 anno nel gruppo trattati con PRP rispetto al gruppo trattati con HA, mentre sono risultati sovrapponibili nelle condropatie avan-zate.

Conclusioni: I nostri risultati ci permettono di evidenziare che le infiltrazioni intrarticolari di PRP autologo o di HA sono entrambi una procedura sicura, utile per il trattamento della patologia articolare degenerativa soprattutto nei giovani, dove riducono il dolore, migliorano la funzionalità articolare e quindi la qualità della vita, con una prevalenza soprattutto nei pazienti affetti da FAI del PRP (platelet rich-plasma) rispetto all’HA (acido ialuronico). In ogni caso sono necessari maggiori studi clinici randomizzati che coinvolgano un maggior numero di pazienti per confermare il reale potenziale e per ottenere indicatori di valutazione.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 126

Trattamento delle “Scaphoid non-union advanced collapse” stadio 3 mediante scafoidectomia e artrodesi dei 4 angoli: risultati a lungo termineSimona Odella1, Amos Maria Querenghi1, Francesco Uboldi2, Ugo Dacatra1

1Istituto Ortopedico Gaetano Pini, Milano2AOU Sassari Clinica Ortopedica, Sassari

Introduzione: Le articolazioni del polso permettono un ampio ROM, grazie alle loro caratteristiche anatomiche e alla com-plessità della loro superficie articolare. Pazienti che presentano danni a tale struttura lamentano importanti algie e rigidità articolari. Le principali cause di lesioni cartilaginee sono l’artrite reumatoide, l’instabilità articolare, le lesioni iatrogene e post-traumatiche, le artriti settiche e l’artrosi primaria. I trattamenti disponibili, conservativi o chirurgici hanno lo scopo di ridurre il dolore e ripristinare la funzionalità. Nel polso, in caso di “scafolunate advance collapse” (SLAC) o di “scaphoid non-union advanced collapse” (SNAC), tra le procedure chirurgiche si include anche la “Scafoidectomia con Four-Corner Fusion”, che consiste nella completa escissione dello scafoide con preservazione del legamento radio-scafo-capitato, e fu-sione del semilunato, piramidale, uncinato e capitato in una singola unità. L’indicazione principale è l’artrosi della radiosca-foidea e della medio carpica in conseguenza di una pseudoartrosi (PSA) dello scafoide carpale o di una SLAC misconosciuta allo stadio 3, la scafoidectomia e l’artodesi parziale permettono una riduzione del dolore senza il sacrificio del movimento completo. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare clinicamente l’outcome di tale intervento a lungo e medio termine.

Metodi: Abbiamo arruolato per questo studio retrospettivo 19 pazienti, trattati dal gennaio 2002 al settembre 2012 presso la nostra Unitá Operativa di Chirurgia della Mano, sottoposti a una scafoidectomia e un’artrodesi a 4 punti realizzata con placche dedicate. La popolazione è formata da 18 maschi e una donna, di etá media di 56,4 anni (range 40-71). L’indica-zione principale è stata una pseudoartrosi di scafoide e conseguente artrosi della mediocarpica (SNAC stadio 3). La valu-tazione compiuta è stata sia soggettiva con VAS e DASH score che oggettiva con mayo Wrist score, Rilevazione del ROM e della forza. Tutti i valori sono stati rilevati al massimo follow-up disponibile e confrontati con quelli pubblicati in letteratura.

Risultati: Il follow-up medio è stato di 11,1 anni (range 13-4). Il valore medio della VAS al massimo follow-up è stato di 2,1 punti, mentre il risultato medio della scala DASH è risultato 17,5 punti. Il ROM é risultato ridotto rispetto al preoperatorio in modo statisticamente significativo (p < 0,05). Mentre la forza di presa incrementata. La scala di Mayo per il polso ha ottenuto un incremento del punteggio da 65 punti preoperatori a 80 al massimo follow-up. Nessun paziente ha riportato complicazioni.

Conclusioni: L’utilizzo di questa tecnica chirurgica ha dimostrato di poter ridurre il dolore e mantenere la capacità e forza di presa ma limitare le possibilità di movimento articolare, seppur con un impatto limitato sulla qualità di vita del paziente. I nostri risultati sono sovrapponibili a quelli ottenuti da altri studi pubblicati in letteratura sia a medio che a lungo termine.Questo studio retrospettivo, con follow-up medio di oltre 10 anni, conferma che i risultati della scafoidectomia e dell’artro-desi a 4 punti sono soddisfacenti, sia oggettivamente che soggettivamente, rendendola una tecnica affidabile ed efficace e stabile nel tempo.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 127

ARTO SUPERIORE

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 128

L’efficacia della Latarjet è correlata con il destino del bone-block? Studio prospetticoAntonio Pasquale Vadalà, Angelo De Carli, Riccardo Maria Lanzetti, Alessandro Ciompi, Lorenzo Proietti, Andrea Ferretti, Pierlugi Serlorenzi, Priscilla Di Sette3

Ospedale Sant’Andrea, Roma

Introduzione: L’intervento di Latarjet ha un triplice effetto: aumentare la stabilità attraverso il bone-block coracoideo, cre-are un effetto sling mediante il riposizionamento del tendine congiunto e, infine, il rinforzo capsulare mediante sutura del legamento coraco-acromiale. Scopo di questo lavoro è stato quello di valutare il posizionamento del bone-block, le sue dimensioni, il suo riassorbimento e la sua integrazione con i risultati clinici in pazienti operati per instabilità recidivante an-teriore di spalla.

Metodi: Da marzo 2009 a novembre 2011 abbiamo prospetticamente arruolato 15 pazienti sportivi con diagnosi di lus-sazione anteriore recidivante di spalla. I pazienti sono stati quindi sottoposti ad una valutazione clinica e radiologica (RX e RM) pre-operatoria. Tutti sono stati sottoposti ad intervento chirurgico di Bristow-Latarjet open. Dopo l’intervento i pazienti hanno indossato un tutore per due settimane, seguito da chinesi attiva e passiva. Il follow-up clinico a 24 mesi dall’interven-to comprendeva: valutazione del R.O.M. (side to side) e somministrazione di schede funzionali. Follow-up radiologico (TC e 3D-Scan) a 3 giorni (T0) e 24 mesi (T1) dall’intervento comprendeva: valutazione del volume del bone-block, la sua super-ficie articolare, il suo posizionamento, l’integrazione e il riassorbimento. Analisi statistica: Somma dei ranghi di Wilcoxon, il Marginal Homogeneity, Mann-Whiteney, Kruskal-Wallis test.

Risultati: Il follow-up minimo è stato di 24 mesi (11 uomini, 4 donne; età media: 27 anni). In media 11 episodi di lussazione nel pre-operatorio. R.O.M. post-operatorio side-to-side completo ed eccellenti risultati alle scale cliniche: Oxford Instability score 42,6; Rowe Score 93,8; Wosi 115%; UCLA 33,5; Dash 20,8%; Constant 91,6%. Nessun paziente ha mostrato se-gni o sintomi di instabilità. Il ritorno allo sport è stato in media a 12 mesi. Comparando la Tc a T0 e T1 abbiamo trovato: riduzione significativa (p < ,005) del volume del bone-block (da 1707 a 995 mm3, riduzione media 42%), riduzione della superficie articolare del graft (da 134 a 94 mm2, riduzione media 29%)(p < ,005). Nell’87% dei pazienti il bone-block è stato correttamente posizionato, mentre nel restante 13% era 2 mm laterale (“proud”). Il tasso di osteointegrazione a T1 è stato: completo in 11 pazienti (73%), parziale in 2 (13%) e in pseudoartrosi in 2 (13%), in tutti i casi non vi è stata nessuna correlazione clinica (p > ,005). Il confronto T0-T1 della 3D-Scan ha evidenziato un’osteolisi significativa della porzione superiore della coracoide (p < ,005)

Conclusioni: L’outcome clinico della Bristow-Latarjet sembra non essere correlato con il destino (l’integrazione o meno e il riassorbimento) del graft coracoideo.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 129

Ruolo del trofismo muscolare e della degenerazione adiposa dei muscoli della spalla sull’outcome dei pazienti dopo riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori: studio clinico sperimentaleVincenzo Candela, Umile Giuseppe Longo, Stefano Petrillo, Giacomo Rizzello, Vincenzo Denaro

UOC Ortopedia Campus Bio Medico, Roma

Introduzione: Le lesioni della cuffia dei rotatori sono tra le condizioni patologiche più frequenti della spalla e riguardano, nella maggior parte dei casi, pazienti con un’età maggiore di 50 anni. Nonostante la riparazione artroscopica della cuffia sia efficace nel ridurre il dolore e migliorare la funzionalità della spalla, numerosi risultano essere i pazienti poco soddisfatti del proprio outcome. La ricerca in questo ambito, volta ad individuare possibili fattori predittivi di una scarsa prognosi, si è spesso focalizzata sulle modificazioni strutturali presenti a livello dell’interfaccia tendine-osso, tralasciando l’analisi di altri importanti ambiti, quali, ad esempio, il ruolo dell’infiltrazione grassa e dell’atrofia dei muscoli della spalla. Gli obiettivi dello studio sono valutare come l’infiltrazione adiposa pre-operatoria dei muscoli della spalla impatti sull’outcome dei pazienti dopo riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori, come si modifichi dopo la riparazione e come il trofismo muscolare del sovraspinato e del muscolo deltoide influiscano sull’outcome dei pazienti.

Metodi: Sono stati arruolati 22 pazienti operati artroscopicamente per una lesione della cuffia dei rotatori tra il 2008 e il 2013. Tutti i pazienti reclutati sono stati valutati clinicamente e mediante la scala della spalla UCLA (University of California, Los Angeles) modificata da Ellmann, la scala di Wolfgang e il questionario della spalla di Oxford (OSS). Sono state infine acquisite le risonanze magnetiche pre-operatorie e post-operatorie dei pazienti per valutare l’infiltrazione adiposa mediante il metodo proposto da Goutallier e modificato da Fuchs, l’atrofia del muscolo sovraspinoso mediante il Tangent sign e lo spessore della porzione ventrale, laterale e dorsale del deltoide.

Risultati: L’infiltratone adiposa preoperatoria influenza in modo significativo l’outcome del paziente, correla con il grado di articolarità attivo postoperatorio e con la forza postoperatoria dei pazienti. Viceversa non è stata dimostrata una correlazio-ne significativa tra il trofismo muscolare del muscolo sovraspinato e del muscolo deltoide e l’outcome dei pazienti. L’analisi delle immagini di risonanza magnetica post-operatorie non ha rilevato alcun significativo cambiamento delle caratteristiche qualitative dei muscoli della spalla rispetto alla condizione pre-operatorie.

Conclusioni: L’infiltrazione adiposa pre-opetatoria del muscolo sovraspinoso può predire la prognosi del paziente dopo l’in-tervento; la sua valutazione pre-operatoria può aiutare il medico nel processo decisionale riguardante la scelta terapeutica.Sebbene il nostro studio sia pionieristico nella valutazione del trofismo del deltoide correlato alla prognosi post-operatoria, non sono stati ottenuti risultati significativi per confermare il suo ruolo nella determinazione dell’oucome. La mancata pro-gressione delle alterazioni qualitative dei muscoli della spalla, inoltre, incoraggia un precoce approccio interventistico in pazienti con lesioni operabili della cuffia: è necessario intervenire prima queste alterazioni siano tali da influenzare irrime-diabilmente in maniera negativa l’esito della riparazione chirurgica della cuffia dei rotatori.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 130

Hands to hands: a new rehab method for MDI - Preliminary resultsMarco Conti1, Valentina Spunton2, Roberto Fenini2, Raffaele Garofalo3

1MedSport, Varese 2Castagna Team, Milano3Ospedale Miulli, Acquaviva delle Fonti - Bari

Background: MDI Rehabilitation is generally considered a difficult task with great relevance for the proprioception recov-ery, but no clear methods are recognized to approach this crucial aspect. Increased understanding of the cortical changes observed with functional MRI analysis potentially offers opportunities for novel treatment methods to re-stabilize the shoul-der. Suggestions to integrate cognitive aspects come from studies on “action observation treatment” and “graded motor imagery”.

Target: This study report preliminary results from a pilot study on the use of a new standardized rehab method focused on enhancing proprioceptive GH and ST proprioceptive control, to be added to the strength recovery: the so called Ha-t-Ha (Hand to Hand) method. Method: A preliminary group of 9 patients (22,7±8,7 years old) suffering of MDI were assessed with DASH, WOSI and SPA-DI questionnaires before and 8 months (±2.5) after a strength recovery, integrated by home based daily Ha-t-Ha exercises. The Ha-t-Ha method is based on standardized sequences of exercises with every 3 wks increasing difficulty scale (hand to hand closed chain open eyes, hand to hand closed chain closed eyes, hand front to hand open chain slow and then fast motion) Results: Post rehab results shows a decrease of 56% (from 39,9 5o 17,4) and 58,9% (from 52,4 to 21,8) of DASH and SPADI functional limitation score respectively and the increase of 112% (from 34,2 to 72,7) of the WOSI index score. VAS of patients appreciation was 9,2 (scale 0-10). Patients evaluation of relevance of video recording for home implementation was 9/10.

Conclusion: Ha-t-Ha method seems to be effective in the MDI rehab. A second phase comparing larger number of patients rehabilitated with or without the Ha-t-Ha method is needed to assess the plus value of the system.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 131

Latarjet open vs artroscopica, analisi dei costi/beneficiRiccardo Compagnoni1, Roberto Evola2, Chiara Fossati3, Paolo Cabitza4, Pietro Randelli4

1Ospedale “Bolognini” - Seriate, Seriate 2Università di Catania, Catania 3Policlinico San Donato, San Donato Milanese 4Università degli Studi di Milano, Milano

Obiettivo: Lo scopo di questo studio è confrontare i risultati clinici e radiografici della procedura di Latarjet eseguita con tecnica open o artroscopica, prendendo in considerazione il rapporto costo benefici.

Metodi: È stata eseguita una ricerca degli articoli presenti in letteratura che valutavano i risultati clinici dei pazienti sottopo-sti a Latarjet open od artroscopica per instabilità cronica gleno-omerale, svolgendo un revisione dei dati in accordo con le linee guida PRISMA. I risultati clinici e radiografici e il rapporto costo benefici sono stati analizzati in entrambe le tecniche.

Risultati: Sono stati inseriti in questo studio 23 articoli, per un totale di 1217 spalle: 17 studi includevano pazienti sottoposti a Latarjet open e 6 pazienti sottoposti a Latarjet artroscopica. Sebbene gli studi riportassero scale di valutazioni in molti casi differenti, i risultati sono risultati essere soddisfacenti per entrambe le tecniche. La guarigione dell’impianto a livello della glena è risultato essere maggiore nella tecnica open (88.6 vs 77.6%). Il tasso di ri-lussazione è stato più elevato nella tecnica open (3.3% vs 0.3%), ma tale dato è influenzato dalla rilevante differenza nel tempo di follow-up delle due tecniche. I costi della tecnica artroscopica sono risultati essere nettamente superiori (2335 Euro vs 1040 Euro).

Conclusioni: La tecnica di Latarjet, eseguita per via open o artroscopica, ha dimostrato di essere efficace nel risolvere l’insta-bilità di spalla nei pazienti operati, con buoni risultati clinici. I costi della procedura artroscopica sono risultati essere doppi rispetto alla tecnica open e non sembrano essere giustificati da un reale beneficio per il paziente.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 132

Risultati a lungo termine degli interventi artroscopici di riparazione in pazienti con instabilità anteriore post-traumatica della spallaDimitrios Bougiouklis1, Zinon Kokkalis2, Sotirios Davelis3, Ioannis Gliatis2

1Quinto Dipartimento di Ortopedia, Ospedale Generale Asklepeio Voulas, Atene - Greece2Clinica Universitaria di Ortopedia, Ospedale Generale Universitario di Patras, Patras - Greece3Clinica Ortopedica, Ospedale Generale di Pyrgos, Pyrgos - Greece

Introduzione: Il razionale del presente studio è quello di valutare i risultati a lungo termine della riparazione artroscopica delle lesioni Bankart in pazienti con instabilità anteriore post-traumatica, con particolare attenzione all’incidenza e alle cau-se delle recidive e delle complicanze di queste operazioni.

Metodi: Nell’arco di 10 anni abbiamo studiato 76 pazienti i quali presentavano instabilità anteriore post-traumatica accom-pagnata da lesione Bankart, ma senza lesione Hill-Sachs. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a un intervento chirurgico di riparazione dell’instabilità con l’uso di ancore di 2,8 mm. I risultati sono stati valutati mediante il sistema UCLA (University of California a Los Angeles) ed il punteggio Rowe. La media della durata del follow-up erano i 9,1 anni.

Risultati: Secondo il sistema UCLA è stato osservato un miglioramento in maniera statisticamente significativa, raggiungen-do punteggi post-operatori di 15-37. Utillizzando iI punteggio Rowe, in 63 casi (83,2%) abbiano ottenuto risultati eccellenti, in 8 casi (10,2%) risultati buoni, in 3 casi (3,9%) risultati soddisfacenti e in 2 casi (2,7%) scarsi risultati. È stato osservato un miglioramento statisticamente significativo del punteggio Rowe presentando una media di 92,1. Inoltre, 5 pazienti hanno presentato ricorrenza dell’instabilità, mentre in 2 casi abbiamo avuto allentamento delle ancore.

Conclusioni: A prescindere dall’età, dal sesso e dal numero delle dislocazioni precedenti, gli interventi artroscopici di ripara-zione dell’instabilità anteriore post-traumatica della spalla producono buoni risultati e bassi tassi di recidive e complicazioni, in pazienti i quali vengono selezionati con criteri rigorosi.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 133

Confronto tra ancore knotless e ancore biodegradabili nel trattamento artroscopico dell’instabilità anteriore di spalla: studio prospettico randomizzatoLuigi Capasso, Federico Nuovo, Giuseppe Sircana, Gianpiero Cazzato, Luca Fresta, Maristella Francesca Saccomanno, Giuseppe Milano, Giuliano Giorgio Cerulli Istituto di Clinica Ortopedica, Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Introduzione: Sono disponibili in commercio una grande varietà di ancore di sutura differenti tra loro per tipo di materiale, caratteristiche morfologiche, presenza e numero di fili di sutura. Il successo della fissazione primaria sembra dipendere principalmente dall’adeguato tensionamento del tessuto e dal corretto annodamento delle suture. Tale passaggio può talvolta risultare tecnicamente difficile anche per i chirurghi esperti. Pertanto hanno recentemente trovato larga diffusione le ancore senza nodi. Tuttavia, nonostante i potenziali vantaggi delle ancore “knotless”, pochi sono gli studi in letteratura circa la loro efficacia. Scopo di questo studio è stato valutare le differenze di risultato clinico nel trattamento artroscopico dell’instabilità anteriore di spalla eseguito mediante l’uso ancore di sutura riassorbibili a doppio filo e ancore “knotless” in polietereeterchetone (PEEK).

Metodi: È stato condotto un trial clinico randomizzato in cieco. Sono stati arruolati 78 pazienti affetti da instabilità anteriore recidivante. Sono stati divisi in due gruppi di 39 pazienti ciascuno, in base al tipo di ancora utilizzato: knotless nel gruppo 1 e riassorbibili nel gruppo 2. Sono stati esclusi i pazienti affetti da instabilità senza franche lussazioni, difetti ossei glenoidei superiori al 20% secondo il metodo Pico, e lesioni di Hill-Sachs superiori al 30% della testa omerale. Obiettivo primario è stato determinare se vi fosse una differenza in termini di qualità di vita correlata alla disabilità specifica mediante scheda di valutazione DASH (Disability of Arm, Shoulder and Hand) nella sua versione ridotta (Quick-DASH). Obiettivi secondari: Work-DASH, Sport-DASH, Rowe score, recidiva di instabilità e re-intervento. Le variabili indipendenti considerate sono state: età; sesso; arto dominante; durata dei sintomi, età alla prima lussazione, numero di lussazioni, attività lavorativa; sport; livello di attività sportiva; esordio traumatica, lesione capsulo-labrale; lesione SLAP, iperlassità generalizzata, presenza, il tipo e dimensione del difetto osseo di glena e numero di ancore. Le differenze tra i gruppi per ciascuna variabile sono state analizzate mediante T test di Student per le variabili continue e mediante il test Χ2 per le variabili categoriche. La significa-tività è stata posta per p < 0,05.

Risultati: Sono stati persi al follow up 13 pazienti (17%), 5 dal gruppo 1 e 8 dal gruppo 2. La durata media del follow up è stata di 29,85 (± 5,12) mesi per il gruppo 1 e 32,32 (± 5,13) mesi per il gruppo 2 (p = 0,57). Il confronto tra i gruppi non ha mostrato alcuna differenza significativa né per le caratteristiche baseline, né per ciascun outcome considerato. Sono state osservate 3 recidive di instabilità nel gruppo 1 e solo 1 nel gruppo 2, sebbene le differenze tra i gruppi non fossero significative (p = 0,61). Solo 1 paziente appartenente al gruppo 1 è stato sottoposto a re-intervento, pertanto le differenze tra i gruppi non sono risultate significative.

Conclusioni: I risultati del presente studio hanno dimostrato che non ci sono differenze significative tra trattamento artro-scopico dell’instabilità anteriore di spalla con ancore di sutura biodegradabili o con ancore “knotless” per nessuno degli outcome considerati.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 134

Analisi dei casi di capsulite adesiva dopo intervento di riparazione artroscopica di lesioni della cuffia dei rotatoriFrancesca Maria Feroldi1, Davide Cucchi1, Alessandra Menon1, Alberto Tassi2, Pietro Randelli1

1IRCCS Policlinico San Donato, U.O. Ortopedia II, San Donato Milanese2Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano

Introduzione: Le lesioni della cuffia dei rotatori sono una frequente fonte di morbilità e riduzione della qualità della vita nei pazienti che ne sono affetti. La capsulite adesiva post-chirurgica è una complicanza invalidante ed inattesa dell’intervento di riparazione della cuffia dei rotatori, per la quale eziologia e fattori di rischio non sono ancora del tutto delineati. L’obiettivo primario di questo studio retrospettivo osservazionale è valutare la prevalenza di capsuliti adesive post-chirurgiche in una popolazione di pazienti sottoposti a riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori. Gli obiettivi secondari sono la ricerca di eventuali fattori di rischio correlati all’insorgenza di capsulite adesiva attraverso l’analisi dei dati anamnestici dei pazienti operati e la delineazione di un profilo di soggetto a rischio di capsulite nel primo anno dopo l’intervento.

Metodi: Settantacinque pazienti consecutivi sottoposti ad intervento di riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori tra l’1 gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2015 sono stati inclusi nello studio. Per ciascun paziente sono stati registrati i dati ana-grafici, la diagnosi e i dettagli della procedura chirurgica (dimensione della lesione, tecnica di riparazione, numero di ancore utilizzate, procedure sul tendine del sottoscapolare, procedure sul tendine del capo lungo del bicipite). A ciascun paziente è stato quindi sottoposto un questionario per confermare i dati anamnestici riferiti al momento del ricovero e verificare l’insor-genza di episodi capsulitici. Sono state indagate anamnesi tabagica, ginecologica ed immuno-reumatologica; presenza di diabete mellito, disfunzioni tiroidee, malattia di Parkinson, malattia di Dupuytren, dislipidemie, malattie autoimmuni, reflus-so gastroesofageo, ipertensione arteriosa, utilizzo di farmaci estro-progestinici; anamnesi familiare per capsulite adesiva, diabete mellito, disfunzioni tiroidee.

Risultati: Il 10,4% dei pazienti sottoposto ad intervento di riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori ha sviluppato capsulite adesiva entro un anno dall’intervento. Di tutti i pazienti che hanno sviluppato capsulite, il 100% erano donne (Test di Fisher: p-value = 0,0067). Di 10 pazienti aventi reflusso, 5 hanno sviluppato capsulite adesiva (Test di Fisher: p-value = 0,0278). Dall’analisi dei dati ottenuti sugli altri fattori di rischio esaminati non sono state trovate correlazioni statisticamente significative con l’insorgenza di capsulite adesiva.

Conclusioni: I risultati ottenuti su questo piccolo campione per quanto riguarda l’associazione tra sesso femminile e capsu-lite adesiva sono concordi con quanto descritto in letteratura; non è stato possibile però rinvenire associazioni con aspetti specifici dell’anamnesi ginecologica o con l’uso di estro-progestinici. Il riscontro di una associazione tra capsulite adesiva e presenza di reflusso gastroesofageo, a nostra conoscenza, non trova conferme in letteratura ed è pertanto meritevole di ulteriori approfondimenti con studi futuri di potenza adeguata.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 135

Nuovo algoritmo terapeutico “TR.IS.”: glenoid track + score ISIS per l’instabilità anteriore di spallaMatteo Fosco, Beatrice Bonesso, Pietro Girardi, Claudio Mangia Casa di Cura San Clemente, Mantova

Introduzione: L’intervento di trasposizione ossea secondo Latarjet è una tecnica riparativa per l’instabilità anteriore di spalla. L’indicazione principale è ancora rappresentata dai casi d’instabilità con importante deficit osseo del margine glenoideo o dai pazienti con recidive di lussazione dopo precedenti tentativi di stabilizzazione sulle parti molli. Pur tuttavia, è ormai accertato che la recidiva di lussazione dopo un intervento sulle parti molli è correlata, oltre che alla presenza radiografica di deficit ossei, anche ad altri fattori di rischio clinici (età, richieste funzionali del paziente...). Recenti strumenti validati dalla letteratura, quali il concetto di glenoid track e l’ISIS score possono aiutare il chirurgo a porre l’indicazione per un intervento secondo Latarjet anche in pazienti con minimo deficit osseo glenoideo, con pochi episodi di lussazione o non sottoposti a precedenti interventi chirurgici. Non esistono tuttavia in letteratura algoritmi terapeutici che contemplino una contemporanea valutazione dei fattori di rischio radiografici e clinici del paziente.

Metodi: Attraverso un’analisi della letteratura abbiamo sviluppato un algoritmo terapeutico che sia da ausilio per il chirurgo ortopedico nel valutare quando sia preferibile eseguire un intervento secondo Latarjet ad un intervento di stabilizzazione sulle parti molli.

Risultati: I pazienti candidati ad un intervento chirurgico per instabilità anteriore di spalla sono inizialmente distinti secondo lo score ISIS: nei pazienti con score> 4 è indicato intervento secondo Latarjet, mentre nei pazienti con score ≤ 4 è indicato intervento di stabilizzazione sulle parti molli solo se assenti lesioni ossee o quando un’eventuale lesione ossea omerale è posta all’interno del glenoid-track.

Conclusioni: Nell’epoca della chirurgia artroscopica può sembrare anacronistico discutere dell’intervento secondo Latarjet effettuato in maniera “open” tradizionale. Tuttavia, la sempre migliore conoscenza delle tecniche “open” e delle lesioni anatomo-patologiche presenti nell’instabilità gleno-omerale ci conducono ad un nuovo approccio nel decidere quando eseguire l’intervento secondo Latarjet, che sia per via artroscopia o in maniera “open”. Una corretta indicazione operatoria rimane infatti la base per un atto chirurgico sicuro ed efficace. L’algoritmo proposto rappresenta un utile ausilio per porre indicazione ad intervento secondo Latarjet per l’instabilità anteriore di spalla, anche in pazienti senza importanti deficit ossei gleno-omerali.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 136

Le lussazioni acromion clavicolari: dall’acuto al cronicoAlessandro Silvestro, Andrea Cozzolino, Giovanni Ciaramella, Giuseppe Coppola

Clinica Villa dei Fiori, Acerra

Introduzione: Il trattamento delle lussazioni acromion clavicolari è oramai una pratica standardizzata nella chirurgia ortopedica. Presentiamo il trattamento chirurgico in fase acuta e cronica di tale patologia presso la nostra divisione. Il trattamento acuto è stato riservato secondo la classificazione di Rockwood ai casi di lussazione AC dal tipo III in poi ed in un caso di frattura lussazione in un arco di tempo di 10 giorni dal trauma; il trattamento cronico alle forme sintomatiche di lussazione AC trattate conservativamente.

Materiali: Presso la nostra divisione il trattamento della patologia cronica dell’acromion clavicolare è stata inizialmente trattata con riduzione cruenta con l’ausilio del legamento sintetico e sutura diretta del legamento. Successivamente, nel tentativo di abbattere i costi e di rispettare la biologia, abbiamo cominciato ad utilizzare i tendini autologhi (semitendini), fissandoli con viti riassorbibili. Il trattamento della patologia acuta acromion clavicolare ha subito un’evoluzione nella nostra pratica chirurgica, passando dall’utilizzo della vite coraco-clavicolare al sistema TightRope. Presentiamo alcuni casi clinici.

Discussione: Tutti i pazienti sono stati valutati al follow up clinicamente e radiograficamente. Clinicamente le scale di valu-tazione sono state: VAS, ASES, CONSTANT, ACJI ed il grado di soddisfazione estetica. Non abbiamo avuto complicazioni, tranne ossificazioni eterotopiche sviluppatesi in alcuni casi di lussazione acromion clavicolare acuta. Particolare attenzione ha rivestito il ruolo della FKT, con tutorazione per 4 settimane.

Conclusioni: Aver standardizzato il trattamento chirurgico ha reso soddisfacente il nostro approccio a questo tipo di chirur-gia. I risultati risultano essere buoni. In futuro pensiamo di evolvere il trattamento chirurgico in acuto combinando la tecnica artroscopica all’utilizzo del sistema TightRope, allo scopo di ridurre l’invasività.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 137

Sintesi artroscopica delle fratture di coronoide attraverso un tunnel osseo e plicatura della capsulaPaolo Arrigoni, Riccardo D’Ambrosi, Davide Cucchi, Pietro Randelli U.O. Ortopedia II, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese

Scopo del lavoro: lo scopo dello studio è di descrivere una nuova tecnica interamente artroscopica per la riduzione e la sintesi nelle fratture del processo coronoideo dell’ulna e riportare i risultati in 4 pazienti a 2 anni dall’intervento.

Materiali e metodi: 4 pazienti sottoposti ad intervento artroscopico di riduzione e sintesi del processo coronoideo dell’ulna (tipo I o II secondo la classificazione di Regan-Morrey) trattati con una nuova tecnica interamente artroscopica. I pazienti sono stati valutati a 6, 12 e 24 mesi dopo l’intervento. Per la valutazione clinica sono stati utilizzati DASH score, MAYO Elbow Score, range di movimento, VAS, stabilità del gomito e complicanze legate all’intervento.

Risultati: Tutti i pazienti hanno completato il follow-up. A 6, 12 e 24 mesi la DASH score media è risultata essere rispet-tivametne 22, 14 e 7, la MAYO Elbow Score è passata da 74 a 82 a 94, mentre il dolore misurato con la VAS è risultato essere 4, 2 e 1. Il range di movimento è variato da 6 a 12 a 24 mesi rispettivametne da 112° a 125° fino a 144° per quanto riguarda la flessione, l’estensione è passata da 3° a 5° a 6°. La pronazione e la supinazione sono risultate rispettivamente 76° e 78° a 6 mesi, 84° e 82° a 12 mesi e 91° e 86° a 24 mesi. Nessun segno di instabilità è stato riscontrato nei pazienti e nessuna complicanza è stata riportata.

Conclusioni: La nuova tecnica, interamente artroscopica, che prevede un tunnel osseo nella coronoide e una plicatura della capsula, consente di restituire la funzionalità e la stabilità del gomito, attraverso una ricostruzione anatomica della frattura dopo fratture di tipo I o II. La tecnica risulta essere una valida alternativa alla chirurgia aperta.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 138

Studio in doppio cieco, randomizzato e placebo controllato sull’efficacia di un cerotto medicato con betametasone valerato nella tendinopatia cronica dolorosa del gomitoA. Frizziero, A. Causero, S. Bernasconi, Rocco Papalia, M. Longo, V. Sessa, F. Sadile, P. Greco, U. Tarantino, S. Masiero, S. Rovati, V. Frangione

Università Campo Bio-Medico, Roma

Introduzione: L’epicondilote laterale è la più comune causa di dolore al gomito, e affligge circa il 3% della popolazione adulta. L’approccio terapeutico prevede l’utilizzo di FANS, tutori, fisioterapia e steroidi a livello locale utilizzati per brevi periodi. Attualmente è presente sul mercato un cerotto a base di betametasone 17-valerato (BMV, 0.1%) formulato per il rilascio continuo del principio attivo, che agisce come barriera occlusiva promuovendo l’idratazione locale e proteggendo la zona da traumi, riducendo l’assorbimento di una dose eccessiva di BMV e la dispersione nelle aree non affette dal dolore, limitando così la comparsa di eventi avversi.

Obiettivo: Valutare l’efficacia e la sicurezza di un cerotto medicato con BMV in pazienti con tendinopatia cronica del gomito.

Metodi: Lo studio ha previsto quattro bracci di trattamento. Uno con 1 cerotto di BMV applicato per 12 h abbinato al rispettivo gruppo placebo ed un gruppo con 1 cerotto BMV applicato per 24h abbinato al rispettivo gruppo placebo. In totale sono stati randomizzati 62 pazienti con tendinopatia cronica laterale del gomito. L’end point primario è stato la valutazione dell’efficacia nella riduzione del dolore attraverso scala VAS al giorno 28. Gli obiettivi secondari hanno incluso il sollievo dal dolore globale e la tollerabilità (SPID).

Risultati: La riduzione media del punteggio VAS al giorno 28 è stata maggiore nei gruppi trattati con cerotto medicato con BMV rispetto al placebo. In particolare si è osservata una differenza statisticamente significativa maggiore tra BMV12-h e placebo (p = 0,0110); il sollievo dal dolore globale (SPID) e l’efficacia complessiva trattamento è risultata statisticamente significativa nei gruppi trattati con BMV. Sia i cerotti medicati con BMV che i cerotti placebo hanno dimostrato una tollerabilità locale simile e con pochi eventi sfavorevoli correlati al trattamento.

Conclusioni: Il cerotto medicato con BMV è risultato significativamente più efficace del placebo nel ridurre il dolore nei pazienti con tendinopatie croniche del gomito. Lo stesso cerotto medicato con BMV si è dimostrato sicuro e bene tollerato.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 139

E-POSTER

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 140

ARTO SUPERIORE

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6° CONGRESSO NAZIONALE 141

P1.1Può il ritardo dell’intervento chirurgico influenzare la colonizzazione batterica cutanea in fratture dell’omero prossimale?Nicola Barbasetti1,3, Enrico Bellato2,3, Roberto Rossi1,3, Filippo Castoldi2,3, Davide Blonna1,3

1Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Mauriziano Umberto I, Torino 2Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale San Luigi, Orbassano (TO)3Università degli Studi di Torino, Torino

Introduzione: L’infezione è una delle complicanze più severe del trattamento chirurgico per una frattura dell’omero prossimale. È stata ipotizzata una possibile correlazione tra infezione acuta e ritardo dell’intervento chirurgico. Obiettivo di questo studio in 2 fasi è valutare se questo ritardo possa influenzare la carica e il tipo di batteri nell’area cutanea sede dell’incisione chirurgica.

Materiali e metodi: In fase 1, l’effetto del ritardo è stato simulato in 20 pazienti affetti da frattura dell’omero prossimale trattati conservativamente: dopo l’esecuzione di un primo tampone cutaneo a livello del solco deltoideo-pettorale, il paziente veniva trattato con bendaggio (giorno 0); quindi un nuovo tampone veniva eseguito il giorno dopo e 5 giorni dopo il trauma per simulare un intervento chirurgico acuto (giorno 1) o ritardato (giorno 5). In fase 2 sono stati inclusi 20 pazienti trattati chirurgicamente (i tamponi venivano raccolti il giorno 0 e il giorno dell’intervento chirurgico). Le colture sono state incubate per 24-48 ore a 37° in condizioni di aerobiosi e per 7-14 giorni in condizioni di anaerobiosi.

Risultati: In fase 1, sia il numero totale di unità formanti colonie (CFU) sia la carica batterica di ogni singola specie è aumentata dal giorno 0 al 5 (p < 0,05). Tre pazienti sono risultati positivi per Stafilococco (S.) Aureo il giorno 0 e sette il giorno 5; dodici per S. Epidermidis il giorno 0 e tredici il giorno 5; undici per Propionibacterium (P.) Acnes il giorno 0 e tredici il giorno 5. Nella seconda fase, nei pazienti trattati entro 48 ore la carica batterica non è cambiata significativamente (p > 0,1), mentre l’aumento è stato significativo (p < 0,05) nel gruppo di pazienti operato oltre le 48 ore dal trauma. Considerando le singole specie batteriche, l’aumento è stato significativo per S. Epidermidis, S. coagulasi negativi e P. Acnes, non per S. Aureo.

Conclusioni: Il ritardo dell’intervento chirurgico si associa a un’aumentata carica batterica cutanea a livello del solco deltoideo-pettorale. Ciò puó giustificare la correlazione tra tale ritardo e rischio d’infezione.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 142

P1.2Adattamento trans-culturale e validazione della versione italiana del questonario Western Ontario Rotator Cuff (WORC)Giuseppe Sircana, Luca Fresta, Federico Nuovo, Gianpiero Cazzato, Luigi Capasso, Maristella Francesca Saccomanno, Giuseppe Milano, Giuliano Giorgio Cerulli Istituto di Clinica Ortopedica, Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Introduzione: Il concetto di qualità di vita è rappresentato dalla percezione dell’individuo dei risultati funzionali di un tratta-mento chirurgico o conservativo. Strumenti di valutazione oggettiva, quali l’escursione articolare o la forza, spesso non cor-relano con risultati più importanti per il paziente, quali il sollievo dai sintomi, la capacità di lavorare e la capacità di svolgere comuni attività quotidiane. Strumenti di valutazione soggettiva, come questionari validati auto-somministrati, sono ormai fondamentali nella ricerca e nella pratica clinica. Il Western Ontario Rotator Cuff Index (WORC) è un questionario patolo-gia-specifico autosomministrato in grado di valutare la qualità di vita in pazienti affetti da patologie della cuffia dei rotatori. Obiettivi del presente studio sono stati: traduzione e adattamento trans-culturale del questionario WORC; valutazione della validità e della riproducibilità della versione italiana tradotta.

Metodi: Lo studio si è svolto in due fasi: traduzione e adattamento trans-culturale del questionario dalla versione originale americana in accordo con le linee guida internazionali; somministrazione della versione finale tradotta ad una popolazione di 62 pazienti affetti da patologie della cuffia dei rotatori. Tutti i pazienti hanno compilato i seguenti questionari: versione italiana della WORC; e versione italiana della DASH (Disability of Arm, Shoulder and Hand) nella sua versione ridotta (Quick-DASH). La validità della versione italiana del questionario WORC è stata valutata mediante analisi multitrait; la correlazione con la Quick-DASH è stata valutata mediante coefficiente di Pearson; l’internal consistency è stata valutata mediante calcolo del coefficiente Cronbach alpha. A distanza di 4 settimane, il questionario WORC è stato riproposto ad un sottocampione di 32 pazienti per la valutazione della riproducibilità mediante test-retest e calcolo dei coefficienti di cor-relazione intraclasse (ICC).

Risultati: L’adattamento trans-culturale è stato eseguito senza problemi di comprensione dei contenuti o della lingua. La versione italiana del questionario WORC ha mostrato una elevata correlazione tra domande e domini di appartenenza, una buona correlazione con la Quick-DASH (coefficiente di Pearson = 0,749), elevata internal consistency (Cronbach alpha tra 0,919-0,929), ed elevata riproducibilità al test-retest (ICC = 0,87; 95 % CI = 0,75-0,93).

Conclusioni: La versione italiana del questionario WORC è uno strumento di misura valido e riproducibile e può pertanto essere utilizzata nella pratica clinica per la valutazione dei pazienti affetti da patologie della cuffia dei rotatori.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 143

P1.3Forme subcliniche di ipotiroidismo e diabete mellito rappresentano fattori di rischio per rigidità di spalla dopo interventi chirurgici in artroscopiaFrancesca Fissore1, Enrico Bellato2, Roberto Rossi3, Filippo Castoldi2, Davide Blonna3

1ASST Sette Laghi, Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese, Varese - Università dell’Insubria2Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale San Luigi, Orbassano (TO) - Università degli Studi di Torino, Torino3Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Mauriziano Umberto I, Università degli Studi di Torino, Torino

Introduzione: Alcuni pazienti sviluppano rigidità di spalla dopo interventi chirurgici in artroscopia, ma le cause non sono del tutto note. Scopo di questo studio prospettico studio è valutare il possibile ruolo di forme subcliniche di ipotiroidismo e diabete mellito nello sviluppo di questa complicanza.

Materiali e metodi: Dal 2012 al 2014, 65 pazienti sottoposti ad artroscopia di spalla (decompressione subacromiale o su-tura della cuffia dei rotatori), sono stati prospetticamente inclusi nello studio. Pazienti con rigidità preoperatoria sono stati esclusi. Il dosaggio degli ormoni fT3, fT4 e TSH e della glicemia a digiuno è stato eseguito prima dell’intervento. I pazienti sono stati seguiti a 30, 60, 90 e 180 giorni, con rivalutazione di range of motion (ROM), Oxford Shoulder Score (OSS), Vi-sual Analogic Scale (VAS) per il dolore, Constant Score (CS), Subjective Shoulder Value (SSV), e Subjective Outcome Deter-mination (SOD) score. La valutazione di potenziali fattori di rischio è stata eseguita con un’analisi univariata e di regressione logistica. Sulla base del ROM, la rigidità è stata classificata in “severa” o “moderata”.

Risultati: L’incidenza complessiva di rigidità post-operatoria è stata 29% (19/65), 23% considerando solo i pazienti sottoposti a sutura della cuffia dei rotatori (7/31). In 5 casi si è fatta diagnosi di forme subcliniche di ipotiroidismo o diabete: tutti questi 5 pazienti hanno sviluppato rigidità post-operatoria. Dall’analisi di regressione logistica l’ipotiroidismo è risultato fattore di rischio per rigidità severa (RR = 25; p = 0,001) mentre il diabete per rigidità moderata (RR = 5,7; p = 0,03).

Discussione: Forme subcliniche di ipotiroidismo e diabete mellito possono svolgere un ruolo nello sviluppo di rigidità di spalla post-artroscopia. Un’accurata anamnesi e valutazione preoperatoria possono aiutare a prevedere questo tipo di complicanza.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 144

P1.4Modifica “boneless” della tecnica di Latarjet per le lussazioni anteriori recidivantiAntonio Pasquale Vadalà, Angelo De Carli, Riccardo Maria Lanzetti, Lorenzo Proietti, Pierlugi Serlorenzi, Davide Desideri, Andrea Ferretti Ospedale Sant’Andrea, Roma

Introduzione: Al giorno d’oggi la tecnica di Latarjet è la procedura chirurgica maggiormente effettuata per le lussazioni anteriori recidivanti di spalla. Tuttavia, essa è una tecnica non anatomica e le potenziali complicanze intraoperatorie e post operatorie sono particolarmente elevate. In questo studio proponiamo una modifica “boneless” della tecnica di Latarjet, nella quale viene effettuata una riparazione della capsula anteriore danneggiata tramite una trasposizione del solo tendine congiunto che lavora come rinforzo dei legamenti gleno-omerali medio ed inferiore senza effettuare l’osteotomia ed il pre-lievo della coracoide. Dopo la riparazione della lesione di Bankart, come nella classica capsuloplastica, ci focalizziamo sul tendine congiunto al fine di aumentare il muro anteriore e di garantire al paziente una maggiore stabilità dei tessuti molli. Per riassumere, viene effettuata una Latarjet senza effettuare l’osteotomia e il prelievo della coracoide, al fine di diminuire le complicanze correlate a questo step chirurgico, come le fratture della coracoide o il rischio di prelevare una pasticca ossea di dimensioni ridotte. Con questa modifica della tecnica di Latarjet si garantisce il beneficio derivante dall’ “effetto tendine” e dall’ “effetto amaca”. Questa tecnica chirurgica può sicuramente essere considerata come una tecnica anatomica, poiché essa si basa unicamente sui tessuti molli senza prelievo della pasticca ossea.

Metodi: In questo studio sono stati inclusi 12 pazienti tutti sportivi non agonisti (8 M, 4 F) operati dallo stesso chirurgo presso il nostro centro dal 2014 al 2015 con tecnica chirurgica di Latarjet modificata. I pazienti sono stati clinicamente valutati a 3, 6 e 12 mesi post operatori con un follow-up medio di 12 mesi (range 10-15). Tutti i pazienti hanno seguito lo stesso pro-tocollo post operatorio basato su 4 settimane di immobilizzazione con tutore in intrarotazione, inizio dei movimenti passivi a 2 settimane postoperatorie, inizio dei movimenti attivi a 4 settimane postoperatorie e inizio di esercizi di recupero forza muscolare a 6 settimane postoperatorie.

Risultati: Dopo un follow-up medio di 12 mesi (range: 9-15 mesi), non si sono riscontrati nuovi episodi di lussazione e non si sono riscontrate complicanze maggiori in nessuno dei pazienti trattati. Clinicamente il valore medio della scala WOSI a 12 mesi è stato 92 (range 86-100). La scala ROWE è risultata eccellente in 10 pazienti e buona in 2, con un ROM al F.U. di 12 mesi completo in 8 pazienti.

Conclusioni: Questa modifica della tecnica di Latarjet sembra garantire un’ottima stabilità di spalla ad un follow-up di 12 mesi, essa beneficia principalmente dell’effetto amaca garantito dalla trasposizione del tendine congiunto sul margine an-teriore della glena, in aggiunta alla riparazione della lesione di Bankart. Tale tecnica chirurgica inoltre non è gravata dalle complicanze intraoperatorie della classica tecnica di Latarjet come: fratture della coracoide, inadeguato posizionamento della pasticca ossea, rottura delle viti metalliche, osteolisi e pseudoartrosi. Limiti di questo studio sono un breve follow-up (12 mesi) e un limitato numero di pazienti. Ulteriori studi clinici e un aumento del follow-up saranno necessari in futuro per valutare meglio tale tecnica.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 145

ARTROSCOPIA

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 146

P2.1Il lateral release nel dolore anteriore di ginocchio senza instabilità. Valutazione degli outcomes a 74 mesi di follow upLuca Dei Giudici1, Andrea Faini1, Valentino Coppa1, Serena Arima2, Antonio Gigante1

1Clinica Ortopedica - DISCLIMO - Università Politecnica delle Marche, Ancona 2Department of Methods and Models for Economy, Territory and Finance, Sapienza Università di Roma, Roma

Introduzione: In alcuni pazienti affetti da dolore anteriore di ginocchio (AKP) non è possibile identificare alcun fattore predisponente oltre a una vaga sensazione di squilibrio dell’apparato estensorio, derivante da debolezza del vasto mediale obliquo o da costrizione eccessiva del retinacolo laterale. In questi rari casi, dopo il fallimento di un approccio conservativo, è indicato il trattamento chirurgico di release del retinacolo stesso (LR). Storicamente tale procedura si eseguiva anche per il trattamento di patologie come l’instabilità femoro-rotulea, che in realtà necessitavano di un approccio differente come ad esempio una trasposizione tuberositaria. Per questo, e per altri motivi, la letteratura ha evidenziato un decadimento precoce degli ottimi risultati ottenuti in un primo tempo, arrivando a consigliare il LR solo come gesto associato durante altri tipi di chirurgie. Lo scopo del presente studio è stato, pertanto, analizzare ad un follow up lungo gli outcomes di un gruppo di pazienti trattati con solo LR per AKP, in termini di score soggettivi, riduzione del dolore, ritorno alle attività e allineamento articolare finale, cercando inoltre di delineare nuove indicazioni per la procedura.

Materiali e metodi: Uno studio retrospettivo è stato condotto sui pazienti con AKP che, dopo aver eseguito TC sec. Proto-collo Lionese, sono stati sottoposti a LR artroscopico. Criteri di esclusione sono stati: incompletezza della documentazione clinica, storia di lussazione rotulea franca, diagnosi diversa da patologie a interesse femoro-rotuleo, presenza di patologia associata, lesioni traumatiche, patologie connettivali. 54 pazienti hanno accettato di sottoporsi al follow-up e firmato ap-posito consenso. I dati demografici, clinici, e radiologici, sono stati analizzati, così come gli score NRS, Tegner, e Kujala; il follow-up medio è stato di 74 mesi e i pazienti sono stati divisi in due gruppi in base alla presenza di instabilità soggettiva.

Risultati: Nel gruppo con instabilità sono stati inclusi 21 pazienti, mentre nel gruppo senza instabilità ne sono stati inclusi 33. Al follow-up l’effetto benefico del LR è stato dimostrato da un miglioramento significativo in tutti gli score utilizzati, con una p < 0,0001 per entrambi i gruppi. I parametri utilizzati per la valutazione radiologica dell’allineamento articolare non hanno mostrato influenze imputabili alla chirurgia. Il confronto tra i due gruppi ha rivelato omogeneità per quanto riguarda la NRS, e la scheda Tegner. Una correlazione interessante si è trovata confrontando i punteggi Kujala, migliori con una p < 0,001 per il gruppo senza instabilità.

Discussione: Il risultato principale del presente studio è che LR sembra essere efficace nel trattamento del dolore femoro-ro-tuleo, per quei pazienti senza malallineamento e senza sensazione di instabilità. Il presente lavoro dimostra anche risultati peggiori nel trattamento dei pazienti con associata instabilità. In conclusione il LR si dimostra in grado di produrre ottimi esiti con soddisfazione del paziente anche a distanza di molti anni. Nelle condizioni di associata instabilità andrebbe tuttavia considerato solo come gesto associato, dati i risultati inferiori come procedura isolata.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 147

P2.2Valutazione clinica, in risonanza magnetica ed artroscopica delle lesioni intra-articolari del ginocchioLamberto Felli1, Giacomo Garlaschi2, Matteo Formica1, Andrea Zanirato1, Alessandro Muda2, Mattia Alessio-Mazzola1

1Clinica Ortopedica e Traumatologica, 2Radiologia Universitaria 1 IRCCS San Martino IST, Genova y

Introduzione: La diagnosi preoperatoria corretta delle lesioni meniscali, cartilaginee e del legamento crociato anteriore (LCA) non è semplice e talvolta può emergere solamente con l’artroscopia. L’esame RM è la tecnica diagnostica per imma-gini di prima scelta per la valutazione intra-articolare ma l’interpretazione delle immagini può risultare complessa. Scopo dello studio è di comparare l’accuratezza diagnostica dell’esame clinico e dell’esame RM refertato da due radiologi indi-pendenti, con conferma artroscopica, per la diagnosi delle lesioni intra-articolari e di valutare l’accuratezza dell’esame RM per la valutazione dei difetti cartilaginei. Metodi: Da gennaio 2015 a giugno 2015 sono stati prospetticamente valutati 76 pazienti sottoposti ad artroscopia per lesione del LCA e/o dei menischi. Tutti i pazienti sono stati valutati clinicamente ed in RM 1.5 T con una refertazione in cieco di un secondo radiologo esperto. Sono stati calcolati i veri positivi (VP), veri negativi (VN), falsi positivi (FP) e falsi negativi (FN), sensibilità (SENS), specificità (SPEC), valore predittivo positivo (VPP) e valore predittivo negativo (VPN) per esame clinico, primo e secondo referto di RM con analisi della concordanza con coefficiente κ fra l’esame clinico, il primo radiologo ed il secondo radiologo. Risultati: Nei 76 pazienti inclusi sono state rilevate 60 lesioni del MM (79%), 20 lesioni del ML (26 %), 38 lesioni complete del LCA (50 %) e 4 lesioni parziali (11%) e 52 difetti cartilaginei (68 %). Per la valutazione del MM non è stata identificata alcuna differenza statisticamente significativa fra SENS, SPEC, VPP e VPN. Il grado di concordanza fra i due referti è risul-tato eccellente (κ = 0,82) e fra l’esame clinico ed i due referti è risultato moderato (κ =0,48 e κ =0,42). Per la valutazione del ML l’accuratezza diagnostica del secondo radiologo è stata significativamente più elevata rispetto al primo (p < 0,01) e all’esame clinico (p = 0,02). L’accuratezza dell’esame clinico è stata significativamente superiore rispetto al primo referto (p < 0,01). La concordanza fra l’esame clinico, il primo ed il secondo referto è risultata debole (κ = 0,29 e κ = 0,38), e fra il primo ed il secondo referto scarsa (κ = 0,16). Nella valutazione del LCA l’esame clinico, il primo referto ed il secondo referto dell’esame RM non hanno ottenuto differenze significative con una buona concordanza fra l’esame clinico ed il secondo referto RM (κ = 0,76) e debole associazione fra l’esame clinico ed il primo referto (κ = 0,25) e fra i due referti (κ = 0,37).La RM ha dimostrato una SENS del 100%, SPEC del 95% ed accuratezza del 95% nella valutazione dei difetti condrali di alto grado. Conclusioni: L’esame clinico e l’esame RM non hanno dimostrato differenze statisticamente significative nella valutazione delle lesioni del MM e del LCA. Un radiologo esperto ha ottenuto una migliore accuratezza diagnostica nella valutazione delle lesioni del ML. L’esame RM 1.5 T è dotato di elevata accuratezza diagnostica nella valutazione delle lesioni condrali di alto grado. Per la valutazione delle lesioni di basso grado sono stati evidenziati bassi valori di SENS, SPEC, ed accuratezza diagnostica.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 148

P2.3L’artroscopia d’anca nel trattamento dell’impingement femoro-acetabolare: indicazioni e risultati cliniciChristian Carulli, Andrea Cozzi Lepri, Matteo Innocenti, Massimo Innocenti Centro Traumatologico Ortopedico, AOU-Careggi, Firenze

Introduzione: L’artroscopia d’anca è una procedura chirurgica emergente che trova i suoi migliori risultati nel trattamento dell’impingement femoro-acetabolare (FAI) sintomatico. Fino ad un decennio fa tale patologia veniva considerata come rara. Negli ultimi anni, la diffusione delle specifiche conoscenze acquisite riguardo al FAI ha indotto ad un grande interesse per quel che concerne il suo trattamento chirurgico, virando dalle tecniche a cielo aperto a quella artroscopica mininvasiva.Lo scopo del presente studio è l’analisi dei risultati della nostra esperienza nel trattamento del FAI in giovani pazienti sinto-matici mediante artroscopia d’anca.

Materiali e metodi: Nel periodo 2012-15, sono stati inclusi nello studio 17 interventi di artroscopia d’anca effettuati su di un totale di 16 pazienti con diagnosi di FAI ed età media di 33,4 anni (intervallo 21-46), 11 di sesso maschile e 5 femminile. Tutti i pazienti praticavano attività sportiva (a livello sia amatoriale che professionistico) o lavoravano. Dei 16 pazienti, di cui uno sottoposto ad intervento di artroscopia d’anca anche nell’arto controlaterale dopo circa 8-10 mesi dal primo intervento, 10 presentavano una storia familiare di coxartrosi o displasia congenita. Tutti i pazienti sono stati studiati sia clinicamente, con il Non Arthritic Hip Score (NAHS) ed il modified Harris Hip Score (mHHS), che radiologicamente mediante RX e Ar-tro-RM. Tutti i soggetti sono stati operati dallo stesso chirurgo, in decubito laterale, anestesia generale e trazione dedicata. In relazione alla procedura eseguita, ogni paziente ha seguito un programma di riabilitazione concernente un periodo di scarico e riattivazione motoria in acqua. Il follow-up è stato condotto mediante valutazione clinica a tre settimane, 3-6 mesi e successivamente ogni anno.

Risultati: Il follow-up medio è stato di 25,4 mesi (intervallo: 12-39). Nessun paziente è stato perso al follow-up e tutti si sono dichiarati soddisfatti fino al 6° mese postoperatorio, con punteggio medio al NAHS e mHHS progressivamente crescente. Nessuna complicanza è stata registrata. Undici pazienti hanno riferito di essere tornati alla stessa attività lavorativa o spor-tiva, mentre 3 soggetti hanno dovuto modificare permanentemente le occupazioni. Un solo paziente ha riferito un graduale peggioramento dei sintomi dopo un anno dalla procedura, ritenendosi non più soddisfatto. Il tempo medio di recupero dai sintomi è stato di 1,9 mesi (intervallo 1-3), mentre quello di recupero delle abilità funzionali di 4,5 mesi (intervallo 3-8).

Conclusioni: Il FAI è una patologia ormai nota ma che ancora in pochi centri viene tempestivamente e trattata. Sebbene non sia l’unico trattamento disponibile, l’artroscopia d’anca risulta quello con minor invasività e tempi di recupero più ra-pidi. Inoltre nelle più importanti serie riportate in letteratura, i risultati sono assolutamente validi. L’artroscopia d’anca è un intervento sicuro, riproducibile ed efficace, purché venga eseguita una accurata selezione dei casi.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 149

P2.4Lesioni parziali del legamento crociato anteriore: epidemiologia, tecnica chirurgica, risultati cliniciChristian Carulli, Matteo Innocenti, Luigi Sirleo, Fabrizio Matassi, Massimo Innocenti Centro Traumatologico Ortopedico, AOU-Careggi, Firenze

Introduzione: L’evidenza dell’esistenza di due fasci distinti del Legamento Crociato Anteriore (LCA) e il progresso della Riso-nanza Magnetica (RM) hanno determinato il riscontro di lesioni parziali (LP), soprattutto a carico del fascio antero-mediale (AM). In tali rare situazioni è stata pertanto proposta una ricostruzione selettiva. Lo scopo del presente studio è l’analisi epidemiologica delle lesioni parziali del LCA e la valutazione dei nostri risultati dopo ricostruzione artroscopica selettiva.

Materiali e metodi: Nel periodo 2013-15, su una serie consecutiva di 118 ricostruzioni di LCA, 12 pazienti sono stati se-lezionati per ricostruzione selettiva di un singolo fascio del LCA. Le lesioni, sospettate clinicamente e alla RM, sono state confermate durante l’artroscopia, che ha inoltre permesso di rivelare anche delle lesioni associate (meniscali e condrali). In tutti i casi, tranne uno, è stato ricostruito il fascio AM mediante semitendinoso autologo. Dopo specifico protocollo riabili-tativo personalizzato, i pazienti sono stati valutati a 6 e 12 mesi mediante le canoniche International Knee Documentation Committee (IKDC) e Knee injury and Osteoarthritis Outcome Score (KOOS). Per concludere è stata effettuata un’ adeguata analisi statistica dei dati ottenuti.

Risultati: Il follow-up medio è stato di 13,6 mesi. Nessuna complicanza intra-postoperatoria registrata. Tutti i soggetti hanno completato il follow-up a 12 mesi. A 14 mesi un solo paziente ha riferito sensazione di instabilità al ginocchio operato, per cui ha subito ricostruzione del secondo fascio presso altra struttura. Il tempo medio di ritorno all’attività piena è risultato di 5,1 mesi. La IKCD soggettiva ha riportato un valore medio di 96,1, mentre alla IKDC oggettiva il 55% dei pazienti ha ripor-tato un grado A ed il 45% un grado B. La KOOS totale è risultata di 96,8. Dieci pazienti sono ritornati al livello di attività sportiva pre-infortunio, due hanno dovuto modificare tale attività (tra cui il soggetto poi rioperato).

Conclusioni: La letteratura riporta scarse serie di ricostruzioni parziali LCA, che vanno riconosciute se non altro in fase intraoperatoria e, a nostro giudizio, selettivamente ricostruite per soddisfare i principi della moderna chirurgia a risparmio tissutale. Specifici accorgimenti tecnici vanno adottati per ottenere una ricostruzione anatomica e per sfruttare le capacità propriocettive della parte sana residua. Gli eccellenti risultati clinici ed il tempo di recupero, più breve rispetto alla ricostru-zione totale, giustificano la ricostruzione selettiva come metodica da considerare in presenza di lesioni parziali del LCA.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 150

P2.5Le localizzazioni più frequenti delle lesioni tipo Cam e Pincer nel conflitto femoro-acetabolare (FAI)Diego Antonucci1, Alberto Acerbi2, Valentina Ferrari2, Andrea Fontana2

1Ortopedia e Traumatologia, IRCCS S. Matteo, Pavia/ Università Degli Studi di Pavia, Pavia2Ortopedia, C.O.F. Lanzo Hospital, Ramponio Verna, Como

Introduzione: Il conflitto femoro-acetabolare (femoro-acetabular impingement o FAI) identifica una condizione patologica dell’anca causata da un’incongruenza biomeccanica tra acetabolo e giunzione testa-collo femorale. Esistono 3 differenti tipi di lesione: cam, pincer e lesione combinata. Anche se è comunemente accettato che queste lesioni non sono localizzate soprattutto nella parte superiore ed anteriore dell’articolazione al momento della stesura di questo articolo non ci sono lavori scientifici che riportino la corretta localizzazione di queste lesioni. Lo scopo di questo lavoro è, quindi, di definire la frequenza delle localizzazioni di Cam e Pincer in un gruppo di pazienti sottoposto ad artroscopia d’anca per FAI.

Metodi: Abbiamo analizzato retrospettivamente 597 artroscopie d’anca in 581 pazienti, eseguite tra gennaio 2008 e feb-braio 2015. Abbiamo selezionato 542 artroscopie di 526 pazienti (227 donne e 315 uomini; età media 43,69 aa) sulla base dei seguenti criteri di inclusione pre-operatori ed intra-operatori: sospetto clinico preoperatorio di FAI, diagnosi preopera-toria strumentale di FAI (Rx in proiezione AP standard, assiale, “Dunn” e falso profilo, TC con ricostruzione 3D ed RMN) e visualizzazione diretta intraoperatoria della lesione. Per localizzare le lesioni è stata usata una “clockwise map” di 12 settori sia acetabolari che femorali.

Risultati: Il Cam è risultato essere la lesione più frequente, nella forma isolata (64,94%). Il Pincer è meno frequente come lesione isolate (0,92%), mentre si presenta soprattutto nella forma combinata di FAI, associata quindi al CAM (34,13%). La localizzazione più frequente del Cam è nella zona antero-superiore del collo femorale con una prevalenza della zona da ore 12 a 1. Il Pincer presenta le stesse zona di prevalenza. Le zone inferiori sono interessate da lesione in una percentuale molto bassa (9,78% Cam, 0,37% Pincer).

Conclusioni: Il nostro studio ha confermato i dati presenti in letteratura evidenziando una netta prevalenza delle lesioni Cam e Pincer nella regione anteriore e superiore rispettivamente della giunzione testa-collo e dell’acetabolo. Probabilmente questa prevalenza è determinata dal maggior conflitto di questi settori durante l’escursione articolare dell’anca e che le zone inferiori siano colpite ma non diano sintomatologia clinica.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 151

P2.6Tempo chirurgico per la preparazione del graft durante la ricostruzione legamentosaSebastian Giambartino, Lawrence Camarda, Michele Lauria, Michele Saporito, Vito Triolo, Michele D’Arienzo

Università degli Studi di Palermo, Policlinico Palo Giaccone, Palermo

Introduzione: Ad oggi sono state descritte diverse tecniche chirurgiche per l’imbastitura del graft durante la ricostruzione legamentosa. Lo scopo di questo studio è stato quello valutare il tempo di realizzazione di diverse suture per la preparazione dei tendini usati per le ricostruzioni legamentose.

Metodi: Per questo studio sono stati utilizzati i flessori digitali profondi di maiale. Tre le tecniche di sutura sono state valu-tate: Krackow (K), Whipstitch(W) e la Modiefied Finger-Trap (MFT). I tendini sono stati suturati per una distanza di 30 mm. Le configurazioni delle suture K e W sono state eseguite con cinque punti transtendinei. Secondo la tecnica MFT, la sutura è stata passata 5 volte attorno al tendine applicando alla fine un punto di bloccaggio (rolling hitch). Mediante l’utilizzo di un cronometro, è stato calcolato su ogni tendine il tempo richiesto per completare ogni sutura. Cinque esaminatori con differenti livelli di esperienza hanno eseguito la sutura tendinea in tre differenti occasioni per determinare la riproducibilità e ripetibilità del gesto chirurgico.

Risultati: Il tempo medio richiesto per eseguire la sutura secondo Krackow è stato 69,1 sec ±18,3 SD (range 31,8-120). Il whipstitch ha richiesto 59,9 secondi ± 21,2 SD (range 27-93). Il tempo medio richiesto per completare il Modified Fin-ger-Trap è stato 29,3 secondi ±11,4 (range 21,6-33). Per tutti gli esaminatori, il tempo per eseguire il MFT è stato signifi-cativamente inferiore rispetto a tutte le altre tecniche (p< 00,5). I coefficienti di correlazione intraobserver in ogni gruppo erano compresi tra 0,72 e 0,83.

Conclusioni: Un breve tempo chirurgico è stato richiesto per completare una sutura secondo la tecnica MFT. Inoltre, la tecnica MFT ha richiesto meno tempo per completare l’imbastitura tendinea rispetto alle tecniche Krackow e Whipstitch. La tecnica Modified Finger-Trap, ai fini dell’imbastimento tendineo, risulta più vantaggiosa in termini di tempo ed efficienza rispetto alle tecniche di sutura Krackow e Whipstitch.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 152

P2.7La plastica della gola intercondiloidea nella ricostruzione del legamento crociato anteriore: revisione della letteraturaGiuseppe Tedesco, Filippo Familiari, Francesco La Camera, Giorgio Gasparini, Francesco Ranuccio

Magna Graecia University, Catanzaro

Introduzione: Pur essendo la plastica della gola intercondiloidea è un gesto chirurgico di comune esecuzione, i suoi effetti sui risultati della ricostruzione del LCA (legamento crociato anteriore) sono controversi, né sono disponibili evidenze scienti-fiche circa le sue precise indicazioni. Obiettivo del lavoro è quindi di analizzare la letteratura presente in merito, con l’intento di chiarire se e quale sia il ruolo della plastica intercondiloidea nella ricostruzione del LCA.

Metodi: Abbiamo effettuato una approfondita analisi della letteratura disponibile ricercando sui databases MEDLINE/Pub-Med, EMBASE, COCHRANE, utilizzando le seguenti parole chiave: (acl OR “anterior cruciate ligament” OR “acl recon-struction” OR “anterior cruciate ligament reconstruction”) AND ( notch OR notchplasty OR “intercondylar notch”).

Risultati: Dei 530 articoli risultanti ne abbiamo esclusi 481 dopo la lettura di titolo ed abstract. Ulteriori 35 sono stati esclusi dopo la lettura del full text ed i rimanenti 14 sono stati inclusi ed analizzati. I dati ottenuti provengono da studi su modelli animali, su cadavere, radiologici e clinici di livello III-IV. Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato l’utilità di questa proce-dura, diversi altri hanno evidenziato ricrescita del tessuto osseo asportato, effetti dannosi sulla cartilagine circostante, effetti biomeccanici negativi a carico del graft, aumentata incidenza di deficit di estensione del ginocchio dopo ricostruzione di LCA e slargamento del sito di entrata del tunnel femorale. Appare sconsigliato effettuare questa procedura in associazione a tecniche di ricostruzione anatomiche. Riguardo altre possibili applicazioni, la letteratura ne suggerisce l’utilità nella chirurgia dell’artrofibrosi, in caso di conflitto postoperatorio e nel caso di riscontro intraoperatorio di osteofiti. Il presente studio ha due principali limiti: 1) lo scarso livello qualitativo della letteratura presente e 2) una certa eterogeneità tra gli articoli. Si avverte pertanto la necessità di studi clinici randomizzati controllati che valutino la effettiva utilità della plastica intercondiloidea come gesto chirurgico accessorio nella ricostruzione del LCA e che ne definiscano le precise indicazioni.

Conclusioni: Alla luce della scarsa evidenza attualmente disponibile, tenendo conto della non dimostrata utilità della pla-stica della gola intercondiloidea e considerando invece i possibili effetti negativi della stessa, suggeriamo di evitare il più possibile l’esecuzione di questo gesto chirurgico durante la ricostruzione primaria del LCA, riservando per questa procedura un ruolo nel trattamento chirurgico dell’artrofibrosi, in presenza di osteofiti marginali e nella chirurgia di revisione del LCA.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 153

P2.8Ricostruzione transtibiale dell’LCA con plastica di rinforzo periferica secondo Arnold-Cocker: valutazione clinica e Gait AnalysisMarco Fravisini, Carlo Bottegoni2, Pier Paolo Canè1, Antonio Gigante2 1Ospedale Privato Accreditato Sol et Salus, Torre Pedrera - Rimini2Clinica Ortopedica, Università Politecnica delle Marche, Torrette - Ancona

Scopo: Lo scopo del presente studio era valutare in modo prospettico il ruolo della plastica di rinforzo periferica secondo Arnold-Cocker nel modificare la lassità rotazionale postoperatoria residua attraverso uno studio biomeccanico del ciclo del passo.

Metodi: Sessanta pazienti affetti da una lesione del LCA con +2 (scatto) o +3 (visibile) di pivot shift secondo la classificazione IKDC sono stati reclutati in questo studio prospettico. Sono stati assegnati in modo casuale 31 pazienti al gruppo A (gruppo di controllo, ricostruzione tramite hamstrings) e 29 pazienti al gruppo B (gruppo di studio, hamstrings più Arnold-Cocker). I pazienti sono stati valutati prospetticamente a 6, 12 e 24 mesi tramite esame clinico, IKDC, EQ VAS, artrometro KT-1000 e Gait Analysis.

Risultati: Ventisette pazienti del gruppo A e 26 pazienti del gruppo B hanno completato il follow-up di 24 mesi. Il confronto dei risultati delle scale di valutazione utilizzate e dell’artrometro KT-1000 non ha evidenziato differenze statisticamente significative (p > 0,05) in termini di instabilità soggettiva ed oggettiva, mentre il confronto dei risultati della Gait Analysis ha evidenziato differenze statisticamente significative (p < 0,05) in termini di riduzione dell’instabilità rotazionale. Il test di Lachman era negativo (S/S) in tutti i pazienti di entrambi i gruppi (100%). Un pivot shift residuo (+1) è stato trovato in 14 pazienti (51,9%) del gruppo A ed in 4 pazienti (15,4%) del gruppo B (p <0,05).

Conclusioni: La plastica di rinforzo periferica secondo MacIntosh modificata da Arnold-Cocker in combinazione con la ricostruzione transtibiale del LCA produce una significativa riduzione dell’instabilità rotazionale del ginocchio valutabile sia clinicamente che biomeccanicamente attraverso lo studio del ciclo del passo.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 154

P2.9Quantificazione dell’effetto su dolore e recupero articolare del trattamento con acido ialuronico Synolis V-A in pazienti sottoposti ad artroscopia di ginocchioFrancesco Alberti1, Ezio Adriani2, Berardino Di Paola2 1Ortopedia e Traumatologia - Policlinico Universitario Tor Vergata, Roma2Sportclinique Mater Dei, Roma

Introduzione: Nonostante non vi sia alcuna indicazione di un liquido di irrigazione ideale per la procedura di artroscopia, in letteratura i dati evidenzano come i più comuni liquidi utilizzati, specialmente quelli a temperature più basse, siano tossici per i condrociti, inficiandone il metabolismo e la funzione stessa. Lo scopo di questo studio è stato valutare l’evoluzione clinica in pazienti sottoposti ad iniezione con 6 ml di Synolis V-A (2% acido ialuronico e 4% sorbitolo) in seguito alla procedura di artroscopia.

Metodi: 60 pazienti sono stati divisi in modo casuale in due gruppi. Al termine della procedura artroscopica 30 in pazienti è stata effettuata un’infiltrazione intra-articolare con acido ialuronico (2%) e sorbitolo (4%) per un totale di 6 ml (2 ml per siringa), nei restanti 30 non è stata effettuata infiltrazione. I criteri di inclusione sono stati: età (da 18 a 60 anni di età), trattamento chirurgico artroscopico di meniscectomia o shaving cartilagineo, indice di massa corporea (minore di 30). Pazienti con disallineamento degli arti inferiori, lesioni legamentose, patologie di ossa e/o membrana sinoviali, artriti reumatoidi, malattie infiammatorie, pazienti in stato di gravidanza sono stati esclusi dallo studio. I pazienti nel follow-up sono stati rivalutati: nel primo giorno post-operatorio (D1), ad una settimana (W1), ad un mese (W4) ed a 3 mesi dall’intervento chirurgico (W12). Ad ogni visita sono stati valutati i seguenti parametri: la variazione della valutazione soggettiva del ginocchio (usando la IKDC Subjective Knee Evaluation Score), la variazione del dolore (usando la scala VAS e la WOMAC Pain Sub-Score), il recupero articolare (usando la scala WOMAC Stiffness Sub_Score). I pazienti hanno inoltre compilato un questionario su base settimanale sul recupero della funzionalità articolare nello svolgimento delle attività di vita quotidiane e delle attività sportive, che hanno portato ad ogni visita per seguire meglio l’evoluzione clinica dei sintomi. L’analisi statistica è stata eseguita con il test t di Student.

Risultati: I pazienti che hanno ricevuto il trattamento con Synolis V-A ai controlli a breve e medio termine hanno una percentuale più alta nel punteggio della scala soggettiva di valutazione del ginocchio IKDC e punteggi più bassi di dolore e rigidità articolari, dimostrando risultati clinici migliori in confronto ai pazienti che non hanno ricevuto il trattamento.

Conclusione: In attesa di risultati a lungo termine, le evidenze cliniche suggeriscono che il trattamento con il Synolis V-A in pazienti sottoposti ad artroscopia semplice per casi di traumi e degenerazioni articolari riduce il dolore e migliora il recupero articolare nel periodo post-operatorio.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 155

P2.10Risultati clinici e ritorno allo sport nei pazienti sottoposti a ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA): analisi dei fattori prognosticiFederica Rosso1, Simone Cambursano2, Umberto Cottino2, Davide Bonasia1, Matteo Bruzzone1, Federico Dettoni1, Roberto Rossi1 1SCDU Ortopedia E Traumatologia, AO Ordine Mauriziano, Torino 2Università Degli Studi Di Torino, Torino

Introduzione: Scopo dello studio è valutare i fattori prognostici associati al ritorno all’attività sportiva e ai risultati in seguito a ricostruzione del LCA.

Materiali e metodi: I pazienti sottoposti a ricostruzione del LCA tra il 2008 e il 2012 sono stati inclusi nello studio. Sono stati raccolti i dati demografici, il tipo di trattamento chirurgico, l’attività sportiva e relativi alla fase riabilitativa. La scheda oggettiva e soggettiva dell’International Knee Documentation Committee (IKDC) e altri questionari riconosciuti (Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score, KOOS, e Lyshlom) sono stati utilizzati per la valutazione dei pazienti. Lo SPORTS (Subjective Patient Outcome for Return to Sports) e l’ACL-RSI (Anterior Cruciate Ligament-Return to Sport after Injury) score sono stati utilizzati per valutare il ritorno all’attività sportiva. Le regressioni logistica semplice e multivariata sono state utilizzate per misurare l’associazione con i 3 outcome principali (oggettivo, soggettivo e ritorno all’attività sportiva).

Risultati: 176 pazienti sono stati inclusi (80,1% maschi), con un follow-up medio di 44,1 mesi. Il 92,2% dei pazienti ha ottenuto risultati buoni o eccellenti alla valutazione oggettiva. Il 90,1% dei pazienti è ritornato all’attività sportiva, con il 57,6% di tornati allo stesso livello rispetto al pre-infortunio. Gli score oggettivi sono stati negativamente influenzati da un inizio tardivo della riabilitazione (OR = 2,75), da una lesione del LCA contro-laterale (OR =19,61), e dal timing della lesione (acuta, OR = 4,03). Inoltre, la presenza di una “riabilitazione sul campo” è associata a migliori risultati all’IKDC soggettiva (OR = 2,7). Il ritorno allo sport è influenzato positivamente dalla lunghezza della riabilitazione (OR = 13,16), mentre è inversamente associato all’ACL-RSI (OR = 0,04). Infine, vi è una relazione inversa tra peggiore score oggettivo all’IKDC e ACL-RSI (OR = 0,31), mentre inferiori risultati soggettivi influiscono negativamente l’ACL-RSI e il livello di attività sportiva (OR = 0,15 e OR = 0,20).

Discussione e conclusione: Una completa aderenza al programma riabilitativo, che includa una “riabilitazione sul campo”, si associa a migliori risultati soggettivi e a un più alto tasso di ritorno allo sport. Inoltre, la relazione tra componente psicologica, (ACL-RSI), e ritorno all’attività sportiva è stata confermata. In conclusione, dopo ricostruzione del LCA, un completo programma riabilitativo può migliorare gli outcome e il tasso di ritorno allo sport.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 156

P2.11Plastica di riduzione e ritensionamento con radiofrequenze nella degenerazione mucoide ipertrofica del LCA: studio prospetticoPier Paolo Canè1, Carlo Bottegoni2, Marco Fravisini1, Antonio Gigante2 1Ospedale Privato Accreditato Sol et Salus, Torre Pedrera - Rimini2Clinica Ortopedica, Università Politecnica delle Marche, Torrette - Ancona

Introduzione: Il miglior trattamento per la degenerazione mucoide ipertrofica dell’LCA rimane ad oggi oggetto di dibattito. Le opzioni correnti sono la resezione totale o parziale oppure una strategia più conservativa, la plastica di riduzione. Tuttavia le problematiche relative alla lassità residua dopo l’impiego di queste metodiche in aggiunta alla degenerazione dovuta alla patologia, sono spesso causa di risultati funzionali poco soddisfacenti a causa della mancanza di stabilità e propriocezione. I benefici dell’utilizzo delle radiofrequenze per il ritensionamento della lassità dell’LCA sono ben documentati in letteratura. L’obiettivo del presente studio era valutare prospetticamente gli effetti della plastica di riduzione dell’LCA in associazione al ritensionamento con radiofrequenze.

Metodi: È stata eseguita un’artroscopia su 18 ginocchia con degenerazione mucoide dell’LCA per effettuare una plastica di riduzione del volume circolare, preservando il maggior numero di fibre del legamento, a cui è seguito un ritensionamento con radiofrequenze. La plastica della gola intercondiloidea non è stata eseguita. I pazienti sono stati valutati prospetticamente a 6, 12 e 24 mesi tramite esame clinico, IKDC, EQ VAS, artrometro KT-1000 e RM a 24 mesi.

Risultati: Tutte le ginocchia, tranne 2 avevano una flessione postoperatoria simmetrica. Tre pazienti avevano ancora dolore. Nessun paziente ha riferito di aver avuto sensazioni soggettive di instabilità. Tra le 15 ginocchia testate con l’artrometro KT-1000, tre ginocchia avevano una differenza tra 2 e 3 millimetri della lassità. Dodici ginocchia non avevano lassità oggettiva residua.

Discussione: Nella nostra casistica, il trattamento della degenerazione mucoide dell’LCA con plastica di riduzione e ritensionamento con radiofrequenze ha determinato un sollievo dal dolore nel 83,3% dei casi ed il mantenimento di una buona stabilità post-operatoria del ginocchio.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 157

P2.12Risultati a lungo termine dell’uso del tendine quadricipitale provvisto di un blocco osseo nella ricostruzione primaria delle lesioni del ligamento crociato anterioreDimitrios Bougiouklis1, Zinon Kokkalis2, Sotirios Davelis3, Ioannis Gliatis2

1Quinto Dipartimento di Ortopedia, Ospedale Generale Asklepeio Voulas, Atene - Greece2Clinica Universitaria di Ortopedia, Ospedale Generale Universitario di Patras, Patras - Greece3Clinica Ortopedica, Ospedale Generale di Pyrgos, Pyrgos - Greece

Introduzione: Il razionale per questo studio è stato quello di valutare i risultati a lungo termine della ricostruzione primaria delle lezioni del crociato anteriore con l’uso del tendine del quadricipite provvisto di un blocco osseo patellare.

Metodi: Riportiamo una serie di 62 pazienti, di cui 29 femmine (46,4%) e di età media i 33,9 anni (21-55 anni). In tutti i pazienti la ricostruzione del crociato anteriore è stata effettuata mediante il trapianto del tendine quadricipitale con blocco osseo patellare. A tutti, nel periodo post-operatorio è stato permesso un carico parziale per 3 settimane, mentre la flessione è stata limitata a 90° per 6 settimane. La durata media di follow-up era di 8,5 anni. I risultati sono stati valutati mediante l’esame fisico, il punteggio Lysholm e Gillquist, il punteggio soggettivo IKDC (International Knee Documentation Kommit-tee), mentre la lassità anteriore del ginocchio è stata determinata con l’uso artrometro Kt-2000.

Risultati: In media, la lunghezza del trapianto utilizzato era di 7,5 cm. La media del punteggio Lysholm e Gillquist era di 88,3 punti (65-95), mentre il punteggio IKDC aveva una media di 78,7 punti (53,2-98,9 punti, deviazione standard [SD] pari a 11,81). Dai risultati, nel 90.5% dei casi abbiamo avuto risultati ottimi o buoni, in tre casi il risultato era soddisfacente e in un caso il risultato è stato povero.

Conclusione: La ricostruzione primaria delle lesioni del crociato anteriore con l’uso del tendine quadricipitale provvisto di blocco osseo ha dei vantaggi, come la ridotta morbidità di asportazione e le buone proprietà biomecchaniche, mentre a lungo ternine porta a buoni risultati.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 158

P2.13Lavaggio articolare artroscopico in pazienti con artrite settica: studio retrospettivoDimitrios Bougiouklis1, Zinon Kokkalis2, Sotirios Davelis3, Ioannis Gliatis2

1Quinto Dipartimento di Ortopedia, Ospedale Generale Asklepeio Voulas, Atene - Greece2Clinica Universitaria di Ortopedia, Ospedale Generale Universitario di Patras, Patras - Greece3Clinica Ortopedica, Ospedale Generale di Pyrgos, Pyrgos - Greece

Introduzione: L’obiettivo primario di questo studio retrospettivo era di valutare l’efficacia sul processo infettivo di trattamento artroscopico in pazienti con artrite settica. L’obiettivo secondario è stato invece quello di identificare i fattori responsabili di mancata risoluzione dell’infezione dopo questo trattamento.

Metodi: Riportiamo una serie di 31 pazienti con artrite settica e con età media di 53 anni (range 38-75 anni). La dissemi-nazione dell’infezione nel 51,7% dei pazienti era per via ematogena, nel 14,9% la causa era rappresentata dall’iniezione locale, un previo intervento chirurgico era responsabile nel 24,8% ed i traumi nell’8,6% dei casi. Il ginocchio rappresentava l’articolazione piu frequentemente colpita (in 23 pazienti), seguita dalla spalla (5 pazienti), la caviglia in 2 e quindi il gomito in un paziente. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a lavaggio articolare artroscopico, con o senza resezione della membrana sinoviale, seguito da doppia terapia antibiotica. Per ogni paziente è stato definito il tempo trascorso dal momento della pre-sentazione dei sintomi fino al trattamento artroscopico e sono stati valutati i reperti intraoperatori secondo la classificazione Gächter, così come i risultati delle culture dal fluido drenato dall’articolazione colpita.

Risultati: Il follow-up medio era pari a 36 mesi. Al momento dell’operazione, il tempo medio dall’insorgenza dei sintomi era una settimana. Il recupero d’infezione è stato definito come l’assenza di segni clinici o di laboratorio di infezione all’ultimo follow-up. Piena risoluzione è stata raggiunta nel 96% dei pazienti, anche se nel 27% è stato richiesto più di un lavaggio artroscopico. I fattori significativamente associati al fallimento del lavaggio artroscopico iniziale erano rappresentati da reperti intraoperatori allo stadio 3 o 4 secondo la classificazione di Gächter, cosi come dalla presenza di culture positive al drenaggio prelevato dopo 24 h.

Conclusioni: Il trattamento artroscopico è indicato in tutti i pazienti con artrite settica e la procedura dovrebbe essere ripe-tuta in caso in cui l’esito iniziale sia sfavorevole.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 159

P2.14Analisi di correlazione tra risonanza magnetica, valutazione clinica e reperti artroscopici nelle lesioni meniscali: guida alla corretta diagnosiPierluigi Antinolfi1, Riccardo Cristiani2, Francesco Manfreda2, Auro Caraffa1,2

1Clinica Ortopedica, A.O. S.M. della Misericordia, Perugia2Clinica Ortopedica, Università degli Studi di Perugia, Perugia

Introduzione: Nonostante l’attuale opinione comune riguardo al fatto che la risonanza magnetica abbia migliore accura-tezza diagnostica rispetto all’esame obiettivo nel diagnosticare le lesioni meniscali, ci sono alcuni studi in letteratura che dimostrano che un esame clinico ben condotto può essere molto affidabile e in alcuni casi avere una maggiore sensibilità e specificità rispetto alla risonanza magnetica.

Materiali e metodi: Sono stati esaminati oltre 40 pazienti con diagnosi di sospetta lesione meniscale. L’obiettivo di questo studio prospettico è quello di confrontare e correlare obiettività clinica (determinata da 3 test specifici, quali la dolorabilità delle emirime, l’Apley-test, ed il Mcmurray-test), risonanza magnetica e reperti artroscopici. Considerando i reperti artrosco-pici come gold standard, vengono valutati la specificità , la sensibilità, il valore predittivo positivo e valore predittivo negativo delle indagini cliniche e la risonanza magnetica

Risultati: Nella nostra casistica, attualmente alla stadio preliminare, la RMN non mostra un’accuratezza diagnostica signi-ficativamente superiore rispetto all’esame obiettivo nel determinare il sospetto di lesione meniscale.

Conclusioni: Al giorno d’oggi, la diagnosi di lesione meniscale del ginocchio rimane una diagnosi di sospetto; la Risonanza Magnetica Nucleare non mostra un’eccellente accuratezza diagnostica e perciò non potrebbe essere considerato il gold standard diagnostico. Un attento esame clinico, dunque, di là degli aspetti medico-legali, può permettere di bypassare la risonanza magnetica ed eseguire direttamente l’artroscopia nei casi sospetti.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 160

P2.15Considerazioni sul trattamento riabilitativo dopo ricostruzione del legamento crociato anterioreCarlotta Bustos Marambio, Riccardo Di Miceli, Alessandro Zati, Roberta Monesi, Maria Grazia Benedetti S.C. Medicina Fisica e Riabilitativa, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: La rottura del legamento crociato anteriore (LCA) è un evento comune, che colpisce principalmente i giovani e le persone fisicamente attive. La lesione, caratterizzata da instabilità articolare e conseguente ridotta mobilità, può ridurre la qualità di vita. Purtroppo, al momento, non esistono chiari protocolli riabilitativi condivisi.

Metodi: Abbiamo eseguito uno studio retrospettivo su 41 pazienti sottoposti a ricostruzione di LCA con tendini semitendi-noso e gracile, afferiti presso il nostro Day Hospital riabilitativo. I pazienti sono stati operati presso l’IOR dal 2008 al 2013, hanno iniziato lo stesso ciclo riabilitativo dopo circa 4 settimane dall’intervento. A tutti i pazienti è stato somministrato l’International Knee Documentation Committe (IKDC) form e sono state raccolte informazioni relative a: età al momento dell’intervento, uso di antibrachiali, uso del tutore, carico totale o parziale, tipo intervento. In quest’analisi sono state utiliz-zate la correlazione ordinale di Kendall per gli ausili e la correlazione per ranghi di Spearman per il follow up e l’età al mo-mento dell’intervento. Per valutare l’effetto del tutore e del carico sull’IKDC score è stata utilizzata l’analisi di Mann Whitney, mentre per valutare la sua correlazione con il tipo d’intervento quella di Kruskal Wallis calcolato con metodo Monte Carlo per piccoli campioni. Per valutare l’effetto crociato del carico e del tutore a conferma dei risultati ottenuti con le analisi sin-gole, è stata effettuata una analisi di Kruscal Wallis, calcolato con Metodo Monte Carlo per piccoli campioni, e un post-hoc Mann Whitney, calcolato con metodo Monte Carlo per piccoli campioni, con correzione Sidak per confronti multipli. Tutte le analisi sono state considerate significative per p < 0,05 e sono state effettuate con SSSS 8.1.

Risultati: La popolazione reclutata nello studio retrospettivo è stata di 41 pazienti con un follow-up medio di 3,5 anni (DS 1,8). Il valore medio dell’IKDC è stato di 87,4 (DS 13,9). Dall’analisi dei dati è emerso che non vi è alcuna correlazione tra outcome funzionale e tipologia d’intervento (p = 0,515), utilizzo di antibrachiali (Tau b di Kendall non significativo), momento del follow up ed età al momento dell’intervento (Rho di Spearman non significativo). L’IKDC ha mostrato outcome funzionali più favorevoli nei soggetti con carico completo rispetto a quelli con carico progressivo con una differenza statisti-camente significativa (p = 0,036). Anche i soggetti privi di tutore hanno ottenuto valori di IKDC significativamente migliori (p = 0,017) rispetto a quelli che non ne hanno fatto uso. Inoltre abbiamo osservato che i pazienti senza tutore e carico completo hanno ottenuto punteggi IKDC migliori dei soggetti con tutore e carico progressivo.

Conclusioni: La scelta dei protocolli di carico e l’utilizzo del tutore sono estremamente difformi anche a parità d’intervento. I valori dell’IKDC sono migliori nei pazienti a cui non è stato prescritto il tutore e a cui è stato concesso il carico completo.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 161

P2.16Ricostruzione del legamento crociato anteriore con rinforzo Artelon: risultati preliminariAndrea Mambretti1, Umberto De Bellis1, Fabrizio Messina2, Luca Pierannunzii1, Arturo Guarino1

1Istituto Ortopedico Gaetano Pini, Milano2Università degli Studi Milano, Milano

Introduzione: La ricostruzione del legamento crociato anteriore può essere eseguita negli ultimi anni prelevando il solo semitendinoso rinforzato con sistema biologico Artelon. Scopo dello studio è confrontare i risultati preliminari della ricostru-zione del LCA con tendine semitendinoso + gracile versus semitendinoso + rinforzo con poliuterano di urea, bioriassorbibile (Artelon). Attraverso uno studio prospettico comparativo randomizzato multicentrico di due campioni di pazienti con caratte-ristiche simili si vuole dimostrare la superiorità del sistema con rinforzo Artelon rispetto al solo approccio autologo, confron-tando i possibili vantaggi e le eventuali complicanze delle due metodiche, in particolare stabilità e fallimento dell’impianto, tempi di recupero post operatori, dolore in sede del prelievo, perdite ematiche, forza muscolare dell’apparato flessore.

Metodi: Ad oggi sono stati selezionati 36 pazienti di età compresa fra i 18 e i 55 anni, di cui 21 sono stati sottoposti a rico-struzione di LCA con ST e rinforzo Artelon e 15 a ricostruzione di LCA con GR-ST. In entrambi i gruppi è stato utilizzato come sistema di fissaggio femorale il sistema a sospensione Zip Loop EON e fissaggio tibiale con vite ad interferenza. I pazienti sono stati sottoposti all’intervento di ricostruzione del LCA nel periodo compreso fra giugno 2015 e marzo 2016. Sono stati esclusi i pazienti con precedente ricostruzione del LCA, infezioni in corso, pazienti affetti da disturbi mentali o neurologici incapaci di seguire il programma riabilitativo postoperatorio. I pazienti sono sottoposti a visite ortopediche di controllo a 15 gg, 1 mese, 3 mesi e 6 mesi dall’intervento di ricostruzione, in cui vengono valutati il ROM, la stabilità anteriore con test specifici semeiologici (Lachmann, Pivot shift), Documentation Committee (IKDC), dolore nel sito di espianto, forza musco-lare degli ischiocrurali, oltre alle perdite ematiche complessive.

Risultati: Nei pazienti sottoposti a ricostruzione con Artelon è stato riscontrato minor sanguinamento (calcolato con residui ematici nel drenaggio articolare), ridotto dolore nel sito di espianto (con scala VAS), recupero post-operatorio più rapido e maggiore stabilità anteriore dell’articolazione all’esame obiettivo. Inoltre si è osservato durante l’intervento chirurgico un maggiore diametro del neolegamento con Artelon (media 8,5 mm) rispetto al GR-ST (media 7,5 mm).

Conclusioni: Lo studio sta evidenziando che con entrambe le metodiche si hanno risultati più che soddisfacenti con nes-suna complicanza quale infezione o infiammazioni macroscopiche e nessuna ri-rottura del neolegamento. È stato tuttavia osservato un recupero post-operatorio più rapido, con ridotto dolore nella sede di espianto e una sensazione di maggiore stabilità all’esame obiettivo col sistema del rinforzo biologico. Seguirà ulteriore rivalutazione a 1 anno con second look e a 2 anni con RMN per studiare l’integrazione del neolegamento.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 162

P2.17Sinovite villonodulare pigmentosa intra ed extra- articolare del ginocchio. Revisione della letteratura e presentazione di un caso clinico Roberto Simonetta1, Michela Florio2, Filippo Familiari3, Giorgio Gasparini3, Michele Attilio Rosa2

1Clinica Caminiti, Villa San Giovanni2Dipartimento di Scienze Biomediche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali, Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia, Messina3Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro Introduzione: La sinovite villonodulare pigmentosa è un disordine proliferativo benigno del tessuto sinoviale delle articola-zioni, dei tendini e delle borse, cui si associa accumulo di pigmento emosiderinico. L’eziologia rimane a tutt’oggi miscono-sciuta. Le teorie più accreditate sostengono che lo sviluppo della lesione possa esser dovuto ad un processo infiammatorio cronico o una proliferazione neoplastica benigna.

Case report (Materiali e metodi): Il caso che presentiamo è quello di una donna di 36 anni con SVNP del ginocchio sinistro a sviluppo intra-articolare e secondaria estensione extra-articolare nel cavo popliteo, attraverso una breccia della capsula articolare posteriore. La neoformazione è stata asportata in toto attraverso quattro accessi artroscopici contemporanei.

Risultati: All’ultimo follow-up, a distanza di due anni, non si evidenzia alcuna recidiva locale, sia dal punto di vista clinico, che strumentale (RMN).

Conclusioni: L’obiettivo di tale lavoro è quello di contribuire ad un migliore inquadramento della patologia attraverso una revisione della letteratura ed inoltre quello di sottolineare attraverso il caso in esame l’estrema rarità ed eccezionalità della contestuale localizzazione intra ed extra-articolare. Ad oggi, a conoscenza degli autori, non esiste altra descrizione in lette-ratura.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 163

P2.18Prevalenza e fattori di rischio di “ramp lesion” in una serie consecutiva di 115 pazienti trattati con ricostruzione artroscopica del legamento crociato anterioreGianni Di Vico1, Sigismondo Luca Di Donato2, Gaetano Correra2, Giovanni Balato2, Alessio D’Addona2, Cristiano Paudice2, Donato Rosa2

1Casa di Cura S. Michele, Maddaloni2Ortopedia e Traumatologia, Università Federico II di Napoli, Napoli

Introduzione: Il corno posteriore del menisco mediale (CPMM) è una struttura fondamentale per la stabilità del ginocchio e le sue lesioni sono molto comuni in pazienti con diagnosi di rottura del legamento crociato anteriore (LCA). Le “ramp lesions” sono uno specifico tipo di lesione riparabile del menisco mediale (MM), che coinvolge l’inserzione periferica del corno posteriore (lesione meniscosinoviale o meniscocapsulare). Lo scopo di questo studio è di analizzare la prevalenza ed i possibili fattori di rischio di “ramp lesion” in una serie consecutiva di 115 pazienti sottoposti a ricostruzione artroscopica primaria di LCA.

Metodi: Da gennaio 2015 a marzo 2016, 115 pazienti sono stati sottoposti a ricostruzione del LCA. Durante l’intervento, dopo la visualizzazione anteriore standard, il compartimento postero-mediale è stato visualizzato introducendo l’artroscopio profondamente attraverso la gola intercondiloidea. La prevalenza di “ramp lesion” è stata valutata retrospettivamente. Sono state analizzate le possibili correlazioni con età, sesso, BMI e tempo dall’infortunio. Sulla base dell’intervallo di tempo tra in-fortunio ed intervento, i pazienti sono stati poi classificati in due gruppi a seconda dei seguenti cut-points: entro 6 settimane, entro 3 mesi, entro 6 mesi, entro 12 mesi ed oltre 12 mesi. Per le diverse coppie di gruppi è stata valutata la correlazione con la diagnosi di “ramp lesion”. Le variabili categoriali sono state analizzate con il test del Chi-quadro o il test esatto di Fisher, mentre le variabili continue son state valutate con il Mann-Whitney U test. Un p < 0.05 è stato considerato significativo.

Risultati: Di 115 pazienti trattati di ricostruzione artroscopica dell’ACL, 11 (9,6%) presentavano una “ramp lesion”. Sola-mente l’esplorazione del compartimento postero-mediale ha permesso la diagnosi delle “ramp lesions”. L’età media dei partecipanti registrata è stata di 28,37 anni (DS 8,79), 104 pazienti arruolati sono maschi ed 11 femmine. Il tempo medio tra l’infortunio e l’intervento chirurgico è di 251,89 giorni (DS 304,82). Il BMI medio registrato è di 24,87 (DS 2,89). Tra le variabili età, sesso, BMI e tempo dall’infortunio nessuna ha mostrato significatività statistica all’analisi univariata. I pazienti che si sono sottoposti all’intervento entro 6 mesi dall’infortunio hanno mostrato una correlazione statisticamente significati-va con la diagnosi di “ramp lesion” rispetto a coloro che si sono sottoposti all’intervento dopo 6 mesi (p = 0,048).

Conclusioni: Il dato maggiormente significativo è che tali lesioni possono rimanere misconosciute se non si introduce nella propria routine artroscopica l’esplorazione del compartimento postero-mediale. Un prolungato intervallo di tempo dall’in-fortunio, inoltre, può dar luogo all’apposizione di tessuto fibroso cicatriziale che maschera la lesione (hidden lesion) renden-done più complessa l’identificazione.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 164

P2.19L’artroscopia d’anca nella patologia del labbro acetabolare nell’atletaEnrico Rasia Dani, Silvio Mezzari, Alberto Residori CDC Pederzoli, Peschiera del Garda (VR)

Background: L’artroscopia dell’anca è una metodica chirurgica le cui applicazioni hanno suscitato notevole interesse nella letteratura dell’ultimo decennio. Una delle sue possibili applicazioni è nelle lesioni del labbro acetabolare, la cui classifica-zione eziologica può essere divisa in traumatica, come trauma isolato o microtraumi ripetuti; o su base dismorfica, all’in-terno di cui rientra l’impingement femoro acetabolare. Lo scopo del nostro studio consiste nella validazione dell’efficacia dell’artroscopia d’anca nel trattamento di tali lesioni.

Materiali e metodi: Abbiamo valutato 25 pazienti (19 maschi e 6 femmine). Tutti i pazienti trattati erano sportivi affetti da lesione del labbro acetabolare. In 18 pazienti sono state eseguite suture del labbro acetabolare e per 7 pazienti debri-dement della lesione. In 24 casi su 25 concomitava un impingement femoro-acetabolare (tipo CAM, Pincer o misto) per cui è stata associata l’osteoplastica delle deformità ossee. In nessun caso sono state rilevate lesioni cartilaginee associate. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad intervento chirurgico di artroscopia d’anca tra il 2009 e il 2013. Il follow-up clinico e radiologico è stato eseguito a 3, 6 e 12 mesi e rivalutazione a distanza con follow-up minimo di 36 mesi. Sono stati inda-gati: tipologia e severità dell’impingement, tramite quantificazione dell’angolo CE, dell’indice acetabolare (AI), dell’angolo alpha, dell’angolo beta e dell’off-set ratio (AOR) e sintomatologia dei pazienti, tramite mHHS e scala VAS.

Risultati: I valori medi secondo MHHS sono stati 82 (max 90 min 70) e secondo VAS 8 nel caso di debridment. Mentre i valori medi della scala MHHS nel caso di reinserimento del labbro acetabolare sono stati 90 (min 75, max 100) e 9 il pun-teggio medio della scala VAS. In nessun caso sono state registrate complicanze maggiori. Per 2 casi vi è stato un ritardo di chiusura del tramite artroscopico e in 1 caso parestesia nel territorio del nervo femoro-cutaneo. Tutti i pazienti si sono dichiarati soddisfatti dell’intervento e sono rientrati all’attività sportiva.

Discussione: Analizzando i nostri risultati si è evidenziato un significativo miglioramento clinico e funzionale in tutti i nostri pazienti. I valori sono risultati nella media con i risultati presenti in letteratura per tale metodica.

Conclusioni: Il nostro studio ha evidenziato la validità della tecnica artroscopica in pazienti sportivi affetti da lesione del labbro acetabolare, sia tramite debridement che con la ricostruzione del labbro acetabolare, con la possibilità dopo tale metodica di rientrare all’attività sportiva ed un buon mantenimento di tali risultati al follow-up.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 165

P2.20La riparazione del legamento crociato anteriore in fase acuta e cronicaValentina Casale, Gian Luigi Canata, Alfredo Chiey

Ospedale Koelliker, Torino

Introduzione: La letteratura non è concorde sulla possibilità di riparare une lesione del legamento crociato anteriore (LCA) in fase acuta o in fase cronica. Nelle lesioni prossimali può essere possibile una re-inserzione del legamento. Abbiamo comparato un gruppo di soggetti trattati in fase acuta (entro le prime tre settimane) e un gruppo di soggetti trattati in fase cronica (dopo 4 settimane).

Materiali e metodi: In questo studio prospettico randomizzato sono stati valutati 28 pazienti operati per distacco prossimale del LCA con legamento tissutale in buone condizioni (pari al 4% dei soggetti operati di ricostruzione del LCA nello stesso periodo) e suddivisi in due gruppi. Gruppo A: 10 pazienti (3 uomini, 7 donne); operati entro 3 settimane dal trauma, età media 28 anni (r.12 - 41). Lesioni meniscali in 8 casi e condrali in un caso. Gruppo B: 18 pazienti (10 uomini, 8 donne); età media 36 anni (r. 12 - 70). Lesioni meniscali in 6 casi e condrali in 2 casi. In tutti i pazienti è stata eseguita una re-inserzione transossea del LCA con fissazione corticale. Per la valutazione funzionale pre- e post-operatoria sono stati utilizzati il Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score (KOOS), l’International Knee Documentation Committee (IKDC), Lysholm Knee Scoring Scale e Tegner scale. Analisi statistica con test t. Follow-up medio 24 mesi.

Risultati: Il punteggio medio postoperatorio KOOS: Gruppo A 97 (DS 6), Gruppo B 96 (DS 8). Punteggio medio IKDC postoperatorio Gruppo A 97 (DS 4), Gruppo B 94 (DS 11). Lysholm postoperatorio: Gruppo A 98 (DS 4), Gruppo B 95 (DS 9). Livello Tegner Gruppo A: preinfortunio 7, postoperatorio 6; Gruppo B: preinfortunio 7, postoperatorio 6. Non emergono differenze statisticamente significative fra i due gruppi per i parametri funzionali valutati.

Conclusioni: La reinserzione del LCA è possibile solo nelle lesioni prossimali con buona qualità legamentosa. Il tempo decorso dal trauma non risulta determinare deterioramenti nei risultati. Un atto riparativo è possibile in una modesta per-centuale di casi, ma consente quasi sempre la ripresa delle attività precedenti. La sede anatomica prossimale della lesione e la qualità del tessuto legamentoso rivestono una maggiore importanza rispetto al tempo decorso tra trauma e trattamento chirurgico.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 166

P2.21La fissazione femorale nella ricostruzione del legamento crociato anteriore: RigidFix versus En-dobuttonStefano RaimondiOrtopedia e Traumatologia, Ospedale Clinicizzato SS. Annunziata, Chieti

Introduzione: Questo lavoro ha lo scopo di comparare la fissazione femorale nella ricostruzione del legamento crociato anteriore “ad espansione” che si realizza con uno o più pins che attraversano trasversalmente il graft, opportunamente pre-parato, nel tunnel femorale determinando il suo “rigonfiamento”. Il più noto sistema ad espansione è il Rigidfix®, (Mitek, Di-vision of Ethicon, Inc., Westwood, Mass) e la fissazione “a sospensione”, fissazione indiretta del graft realizzata, ad esempio, mediante l’utilizzo di materiali (suture o nastri di poliestere) collegati a bottoni, l’Endobutton® (Smith & Nephew Endoscopy, andover, Ma) con un carico di rottura di 850 ±189,8 N e una rigidità di112,5 ± 9,7 N/mm).

Materiali e metodi: Attraverso uno studio retrospettivo della nostra casistica sono stati esaminati 30 pazienti di età compre-sa tra i 16 e i 35 anni trattati tra il settembre 2014 e il febbraio 2016 e affetti da lesione del legamento crociato anteriore.Tutti i pazienti sono stati valutati clinicamente e radiograficamente sia nel pre- che nel post-operatorio, con successivi con-trolli a 1, 3, 6, 12 mesi e all’ultimo controllo utile. I risultati sono stati comparati sulla base dell’International Knee Docu-mentation Committee (IKDC), dell’estensione del tunnel femorale e dei segni di osteosartrosi.

Risultati: Sulla base dell’International Knee Documentation Committee (IKDC) non si sono rilevate significative differenze tra i due sistemi di fissazione femorale.

Conclusioni: La fissazione femorale del “neolegamento” con Endobutton ha mostrato buoni risultati paragonabili a quelli ottenuti mediante il sistema di fissazione “ad espansione” RigidFix nella ricostruzione artroscopica del legamento crociato anteriore.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 167

P2.22Meniscectomia parziale versus terapia infiltrativa con acido ialuronico nelle lesioni degenerative del menisco. Studio retrospettivo comparativoSebastiano Vasta, Biagio Zampogna, Guglielmo Torre, Andrea Tecame, Vincenzo Denaro, Rocco Papalia

Università Campus Bio-Medico di Roma, Roma

Introduzione: Nel panorama scientifico internazionale appare controversa la definizione di una corretta terapia e di un possibile gold standard per il trattamento delle lesioni degenerative del menisco. Per ciò che riguarda le lesioni traumatiche, in maniera particolare quelle di tipo radiale o con flap mobili, il trattamento chirurgico di meniscectomia parziale sembra essere un consolidato standard. Al contrario, per le lesioni cronico-degenerative, un crescente ruolo è svolto dalla terapia conservativa con infiltrazioni di acido ialuronico.

Metodi: Sono state esaminate retrospettivamente le cartelle mediche di 237 pazienti affetti da lesioni degenerative del me-nisco interno o esterno, per un totale di 306 ginocchia. I pazienti avevano effettuato una meniscectomia parziale artrosco-pica (ginocchia n = 153) oppure cicli di 3 infiltrazioni con acido ialuronico ad alto peso molecolare ogni 6 mesi (ginocchia n = 153). Gli score estrapolati sono stati la VAS per il dolore del ginocchio e l’IKDC per la funzione. I valori di interesse di entrambi gli score sono stati quelli precedenti alla terapia, a 6, 12, 18 e 24 mesi. I risultati ottenuti sono stati quindi ana-lizzati statisticamente e comparati.

Risultati: Alla valutazione pre-terapia i gruppi erano eterogenei per sesso ed età ed i valori medi di entrambi gli score erano comparabili. Per ciò che riguarda la VAS per il dolore, risultati comparabili sono stati individuati ad ogni follow-up, eccetto che a 6 mesi, dove il gruppo sottoposto a meniscectomia presentava valori significativamente minori (4,9 vs. 3,4, p < 0,001). In maniera simile, l’IKDC score presentava a 6 mesi un miglioramento statisticamente significativo quando i due gruppi venivano comparati (69,0 vs. 80,6, p < 0,001), tuttavia tale differenza andava a diminuire fino ad invertirsi a 24 mesi (80,3 vs. 77,6, p = 0,0002).

Conclusioni: Considerati i risultati della presente analisi, un ruolo di significativa importanza può essere attribuito alle in-filtrazioni intra-articolari di acido ialuronico nel trattamento delle lesioni degenerative del menisco. Pur riconoscendo una più rapida ripresa dell’attività da parte dei pazienti sottoposti a meniscectomia, tale differenza si va ad eliminare nel lungo termine, probabilmente a causa delle ripercussioni meccaniche che l’assenza di una porzione del menisco provoca nell’eco-nomia della distribuzione dei carichi a livello della cartilagine articolare. Si deve pertanto tenere in considerazione la terapia conservativa specialmente in quei soggetti a bassa richiesta funzionale, in assenza di necessità di una rapida ripresa delle attività sportive e ricreative.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 168

P2.23Tecnica All Inside Graft-Link per la ricostruzione del legamento crociato anteriore: confronto biomeccanico con altre 4 tecniche con tunnel tibiale completoMattia Fabbri, Edoardo Monaco, Riccardo Lanzetti, Andrea Ferretti Orthopaedic Department and “Kirk Kilgour” Sports Injury Center, Sant’ Andrea Hospital, “La Sapienza” University of Rome, Roma

Introduzione: Obiettivo del lavoro è di confrontare in un modello animale le caratteristiche biomeccaniche della tecnica All-Inside Graft-Link che prevede due half-tunnel su femore e tibia e fissazione con due Tight-Rope RT, con altre tecniche presenti sul mercato che prevedono un tunnel tibiale completo.

Metodi: 32 costrutti femore-graft tibia, utilizzando ginocchia di maiale e tendine estensore digitale bovino, sono stati montati su una macchina servo-idraulica testando 5 diverse configurazioni di mezzi di fissazione:- EndoButton CL e BioRCI - Rigidfix e Intrafix - Transfix e Deltascrew - TightRope-RT con All-inside GraftLink technique- Swing bridge ed EvolgateDopo un precarico di 5 minuti a 90 N sono stati applicati 1000 cicli tra 0 e 150 N ad un velocità di 250 mm/min prima del pull-out finale. Sono stati registrati la rigidità, il pull-out finale e lo scivolamento per ogni singola prova. Il test ANOVA è stato utilizzato per valutare differenze significative tra i gruppi

Risultati:EB e BioRci: lo scivolamento medio è stato 0,35 ± 0,1 mm al 1 ciclo, 1,1 ± 0,4 mm al 100 ciclo, 1,7 ± 0,6 mm al 500 ciclo e 2,05 ± 0,6 mm al 1000 ciclo. Il pull-out finale medio è stato di 823,7 ± 175,5 N. La rigidità finale è stata di 141,6 ± 23,7 N/mm.Rigidfix ed Intrafix: Lo scivolamento medio è stato 0,6 ± 0,3 mm al 1 ciclo, 1,7 ± 0,5 mm al 100 ciclo, 2,3 ± 0,8 al 500 ciclo e 2,7 ± 1,05 mm al 1000 ciclo. Il pull-out finale medio è stato di 768,7 ± 199,6 N. La rigidità finale è stata di 122,3 ± 30,3 N/mm.SwingBridge ed Evolgate: Lo scivolamento medio è stato 0,6 ± 0,06 mm al 1 ciclo, 1,65 ± 0,2 mm al 100 ciclo, 2,3 ± 0,2 al 500 ciclo e 2,5 ± 1,05 mm al 1000 ciclo. Il pull-out finale medio è stato di 949,08 ± 64,5 N. La rigidità finale è stata di 272,79 ± 16,5 N/mm.Transfix e Deltascrew: Lo scivolamento medio è stato 0,4 ± 0,3 mm al 1 ciclo, 1,1 ± 0,4 mm al 100 ciclo, 1,7 ± 0,5 mm al 500 ciclo e 2,2 ± 0,5 mm al 1000 ciclo. Il pull-out finale medio è stato di 753,2 ± 251,1N. La rigidità finale è stata di 94,8 ± 29,9 N/mm.All-Inside GraftLink: Lo scivolamento medio è stato 0,4 ± 0,2 al 1 ciclo, 1,3 ± 0,4 al 100 ciclo, 1,9 ± 0,5 al 500 ciclo e 2,2 ± 0,5 al 1000 ciclo. Il pull-out finale medio è stato di 882,3 ± 75,5 N. La rigidità finale è stata di 118,4 ± 10,9 N/mm.L’analisi statistica ha mostrato una migliore rigidità del costrutto con Swing Bridge ed Evolgate rispetto agli altri gruppi.Nessuna differenza è invece emersa nel confronto tra scivolamento e pull-out finale tra i gruppi.

Conclusione: I valori che devono essere sopportati dai mezzi di fissazione per garantire una riabilitazione sicura sono stimati tra i 150 e i 590 N di resistenza e < 3 mm di scivolamento al carico ciclico. Il risultato più importante di questo lavoro è che le caratteristiche biomeccaniche della tecnica All-Inside Graft-Link sono simili a quelle di altri mezzi diffusamente utilizzati per la ricostruzione del LCA con tunnel tibiale completo sia in termini di resistenza che di rigidità e scivolamento. In conclusione, la tecnica All-Inside, che presenta vantaggi quali prelievo di un solo tendine e bassa morbidità nel sito di prelievo con minor dolore post-operatorio non ha mostrato in vitro differenze biomeccaniche con altre tecniche diffusamente utilizzate.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 169

P2.24Tecnica All-Inside per la ricostruzione del legamento crociato anteriore: risultati clinici e radiologici ad 1 anno di follow-upMattia Fabbri, Edoardo Monaco, Riccardo Lanzetti, Angelo De Carli, Andrea Ferretti Orthopaedic Department and “Kirk Kilgour” Sports Injury Center, Sant’ Andrea Hospital, “La Sapienza” University of Rome, Roma

Introduzione: La tecnica All-Inside Graft-Link prevede l’utilizzo di due half-tunnel a livello di femore e tibia e due Tight-rope RT, presentando alcuni teorici vantaggi quali prelievo del solo semitendinoso con ridotta morbidità nel sito di trapianto, minor dolore post-operatorio, possibilità di ritensionamento ad ogni grado di estensione del ginocchio e possibile utilizzo in soggetti in accrescimento. Obiettivo del lavoro è di valutare i risultati clinici e radiologici della tecnica All-Inside per la ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA).

Metodi: 10 pazienti con diagnosi di lesione isolata del LCA sono stati prospettivamente selezionati e sottoposti a ricostru-zione con tecnica All-Inside. Nei primi 7 giorni post-operatori è stata registrata la VAS e il consumo di anti-dolorifici. Nel pre-operatorio ed al follow-up finale sono state somministrate le schede IKDC, Tegner and Lysholm e KSS oltre ad una valutazione artrometrica con KT-1000. Al follow-up finale è stata inoltre eseguita una TC del ginocchio per la valutazione degli half-tunnel.

Risultati: La Vas ed il consumo di anti-dolorifici hanno mostrato una riduzione significativa in terza giornata post-operatoria con un valore medio di 2. Al follow-up finale (12.3 mesi) si è assistito ad un miglioramento significativo (p < 0,05) delle schede di valutazione e del KT-1000 rispetto al pre-operatorio, con un ritorno allo sport del 100%. In nessun paziente abbia-mo registrato complicanze o re-rotture. La valutazione TC non ha mostrato uno slargamento significativo degli half-tunnel sia a livello femorale che a livello tibiale (p > 0,05).

Conclusioni: La tecnica All-Inside sembra dimostrare vantaggi in termini di minor morbità nel sito di prelievo e minor dolore post-operario e ha mostrato ottimi risultati in termini di stabilità, schede di valutazione, tasso di re-rottura ad un follow-up a breve termine con un completo ritorno allo sport.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 170

CARTILAGINE

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6° CONGRESSO NAZIONALE 171

P3.1Trasposizione della tuberosità tibiale nel trattamento del malallineamento femoro-rotuleo: anteromedializzazione vs distomedializzazione. Confronto tra outcome clinici e funzionaliLuca Dei Giudici1, Davide Enea1, Marco Fravisini2, Serena Arima3, Pier Paolo Canè2, Antonio Gigante1

1Clinica Ortopedica - DISCLIMO - Università Politecnica delle Marche, Ancona - Italy2Department of Orthopaedics, Casa di Cura “Sol et Salus”, Torre Pedrera, Rimini 3Department of Methods and Models for Economy, Territory and Finance, Sapienza Università di Roma, Roma

Obiettivo: La trasposizione della tuberosità tibiale (TTT) offre generalmente risultati buoni-eccellenti, a prescindere dalle modifiche eseguite rispetto alla tecnica originale. Ad oggi è ancora aperto il dibattito su quale sia la tecnica di trasposizione migliore, non essendo nessuna delle tante descrizioni considerata il golden standard. Scopo del presente studio è stato pa-ragonare gli outcome clinici e funzionali di due differenti tecniche standardizzate di TTT, ad un follow-up a lungo termine, in due coorti di pazienti omogenee affette da malallineamento femoro-rotuleo.

Metodi: Un’analisi retrospettiva è stata condotta paragonando due coorti di pazienti di due diversi centri, sottoposti a TTT per malallineamento femoro-rotuleo. Sono stati applicati criteri di inclusione ed esclusione rigorosi, e i pazienti inclusi sono stati divisi in gruppi. Il gruppo A è stato sottoposto a osteotomia con successiva trasposizione standard di 0,5 mm anteriore e 0.9 mm mediale; il gruppo B, allo stesso modo, è stato sottoposto a trasposizione standard di 10 mm distale e 0,7 mm mediale; il lateral release è stato associato in ogni procedura. Nei casi in cui si fosse associata una lesione concomitante, i pazienti sono stati esclusi. Per ogni paziente si sono quindi raccolti i dati demografici, anamnestici, clinici, comprensivi di blocchi articolari, metereopatia, altezza rotulea, TTTG, ei punteggi ottenuti agli score Tegner, NRS, e Kujala. Il follow-up medio raggiunto è stato di 7 anni circa.

Risultati: Il gruppo A è stato costituito da 16 pazienti, di cui 9 instabili e 7 stabili, con un follow-up medio di 111 mesi; il gruppo B è stato costituito da 26 pazienti, di cui 22 instabili e 4 stabili, con un follow-up medio di 48 mesi. In entrambi i gruppi si è potuto osservare un miglioramento statisticamente significativo per i risultati della NRS, e della Kujala, mag-giore nei pazienti con instabilità; i valori di Kujala sono stati inoltre confrontati tra i due gruppi, senza però trovare una differenza significativa. Il livello di attività pre-operatorio, confrontato con quello riferito al follow-up, non ha dimostrato differenze significative.

Conclusioni: In conclusione, il presente lavoro dimostra una sostanziale sovrapposizione degli esiti a lungo termine della anteromedializzazione della tuberosità tibiale e della distomedializzazione, se eseguite per il trattamento di un malallinea-mento femoro-rotuleo sintomatico. Mentre questo risulta essere più evidente per i pazienti affetti da instabilità, coloro con dolore senza franca instabilità ottengono benefici solo minimi dalla distomedializzazione, che dovrebbe essere quindi evi-tata o associata ad altre correzioni. Per quanto riguarda i risultati generalmente positivi delle due tecniche presentate, una possibile spiegazione potrebbe derivare dallo scarico delle superfici articolari, deponendo indirettamente per un trattamento precoce. Ulteriori studi clinici sono comunque necessari per dimostrare un’eventuale superiorità di una tecnica sulle altre, e per rafforzare l’ipotesi di adottare suddette tecniche anche in modo standardizzato e con buoni risultati.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 172

P3.2Trattamento e follow-up di un’avulsione totale dell’astragalo: case report e revisione della letteraturaLuigi Piscitelli, Michele Bisaccia, Giuseppe Rinonapoli, Auro Caraffa

S.C Ortopedia Ospedale Civile, Perugia

Introduzione: L’avulsione totale dell’astragalo (ATA) è una lesione estremamente disabilitante, spesso associata a severi danni ai tessuti molli, con pochi case report o case series riportati in letteratura. Rappresenta circa lo 0,6% di tutte le fratture talamiche, già di per sé abbastanza rare; nel 70% dei casi la lesione è esposta e nel 30% chiusa. L’ATA è sempre causata da un trauma ad alta energia il cui meccanismo è un movimento di dorsi-flessione associato ad un’eccessiva supinazione. Si associa a numerose complicanze come infezioni, artrite post-traumatica o addirittura necrosi avascolare (AVN) ossea vista la vascolarizzazione di tipo terminale. In considerazione della scarsa incidenza di questo tipo di lesione non esistono attualmente linee guida inerenti al trattamento ed al follow-up. Presentare la nostra esperienza nel trattamento di un’ATA esposta, associata a frattura del malleolo mediale con un follow-up di 24 mesi.

Metodi: A marzo 2013 un uomo di 80 aa si presenta presso il nostro Pronto Soccorso ortopedico in seguito ad una caduta accidentale da un albero di Ulivo, riportando un trauma distorsivo con dorsi-flessione e supinazione della caviglia e presen-tando ATA. Sono stati prospetticamente raccolti i dati riguardanti l’intervento chirurgico ed il follow-up clinico, laboratoristi-co e diagnostico per 24 mesi.

Risultati: All’esame obiettivo (EO) si evidenziava una vasta ferita lacero contusa in regione mediale, con ATA esposta sen-za deficit vascolo-nervosi periferici in atto. Il paziente è stato immediatamente sottoposto ad un abbondante lavaggio con soluzione fisiologica (irrigazione con circa 10 L), riduzione anatomica dell’astragalo e successiva riduzione del malleolo mediale mediante due viti cannulate. Infine, sono stati ricostruiti la puleggia dei flessori mediale, del legamento deltoideo e del retinacolo degli estensori, stabilizzando la caviglia mediante fissatore esterno a Delta. Successivamente è stata impo-stata la profilassi antibiotica per le ferite esposte e la profilassi antitetanica. Alla dimissione si prescriveva deambulazione fuori carico con ausilio di due bastoni canadesi e terapia antibiotica con Levofloxacina per 20 giorni. Dopo 15 mesi la lesione cutanea non era ancora del tutto guarita e il paziente riferiva ancora dolore anche se riusciva a deambulare senza ausilio delle stampelle ma con supporto di scarpa tipo talus. All’EO presentava edema perimalleolare, un ROM caviglia 0°-95°, senza segni evidenti di infezione. Al persistere della sintomatologia veniva ricoverato in malattie infettive nel sospetto di osteomielite, che è stata diagnosticata con LEUCOSCAN e trattata con la rimozione delle viti del malleolo mediale e terapia antibiotica endovena. A 18 mesi il paziente veniva sottoposto a RM con e senza mezzo di contrasto e a TC, eviden-ziando un’iniziale area di AVN del collo dell’astragalo e un’area ipervascolarizzata del domo astragalico compatibile con osteomielite cronica (OMC). Sempre a livello del domo astragalico la TC evidenziava alcune aree erosive. All’EO persisteva difficoltà alla deambulazione, usava come supporto un bastone, con mobilità articolare significativamente ridotta. Per que-sto veniva sottoposto ad un nuovo ciclo di antibiotico terapia. A 24 mesi, il paziente mostra una significativa riduzione della sintomatologia, con un emocromo nella norma e la VES in riduzione; inoltre deambulava senza l’ausilio di bastoni e senza scarpa talus e la ferita cutanea appariva completamente guarita. Pertanto si eseguiva un ulteriore esame RM con mezzo di contrasto che evidenzia una maggiore definizione dell’area di AVN già presente al primo esame ed una minima riduzione dell’area sospetta di OMC.

Discussione: L’astragalo è un osso che presenta una scarsa vascolarizzazione e questo l’espone ad un alto rischio di osteo-necrosi avascolare postraumatica. Essa può avvenire tra i 6 mesi e 2 anni dopo il trauma, mentre l’artrite postrauamtica può svilupparsi anche dopo 10 anni. I primi case series, inerenti l’ATA, raccomandavano addirittura la talectomia associata ad artrodesi tibio-calcaneare per evitare il rischio di infezioni; recentemente è stato dimostrato che si ottengono buoni risultati anche con il reinserimento dell’astragalo, previo scrupoloso e adeguato debridement dei tessuti molli e profonda pulizia de-gli stessi. Attualmente si preferisce preservare l’astragalo, eccetto in casi di importanti contaminazioni. Benché non esistano linee guida, nella nostra esperienza la riduzione ha mostrato un buon outcome clinico, nonostante un lungo follow-up abbia mostrato l’insorgenza di complicanze.

Conclusione: Una revisione della letterattura attuale suggerisce che, sebbene le complicanze siano frequenti e a volte se-vere, questi pazienti spesso riprendono una buona funzionalità se viene eseguito un tempestivo e rigoroso trattamento. Se l’astragalo è stato reinserito anatomicamente, previa accurata pulizia, AVN e le altre complicanze sono evitabili.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 173

P3.3Raro episodio di setticemia e morte dopo infiltrazione di acido jaluronico nel ginocchio di un pazienti con OA severaLuigi PiscitelliS.C. Ortopedia Ospedale Civile, Perugia

Introduzione: L’artrosi è una patologia degenerativa cronica ai danni delle articolazioni di grande impatto economico e sociale. Le iniezioni intra-articolari di acido ialuronico, largamente utilizzate come terapia conservativa, sono generalmente ben tollerate; l’evento avverso più comune associato al loro uso è rappresentato da una reazione infiammatoria oppure da un ponfo a livello del sito di iniezione. Tuttavia, come ogni tipo di terapia intra-articolare, l’infiltrazione di acido ialuronico, di qualunque tipo esso sia, risulta non scevra di rischi infettivi più o meno elevati in funzione della modalità di esecuzione e dei fattori predisponenti. Infatti, sebbene la letteratura ne descriva un buon profilo di sicurezza per questo trattamento, non mancano case reports di conseguenti eventi infettivi anche piuttosto gravi. In questo report presentiamo un caso di artrite settica acuta al ginocchio causata da E. coli insorta ad un paziente maschio di 59 anni che ha subito un’isolata infiltrazione di acido ialuronico quale tentativo di trattamento sintomatico di una gonartosi di grado severo.

Meateriale e metodi: Il paziente aveva in anamnesi una grave obesità, ipertensione arteriosa, asma cronico ed aveva su-bito intervento chirurgico di artroprotesi d’anca bilaterale per coxartrosi. In anamnesi farmacologica, oltre le terapie per le patologie di base, aveva assunto cortisone per os. È stato dunque ricoverato a circa 72 ore di distanza dall’infiltrazione per iperpiressia (> 39° C) insorta tra le 12 e le 48 ore successive l’iniezione. Subito dopo il ricovero ha presentato uno shock settico, riportando positività all’emocoltura ed alla coltura di liquido sinoviale per E. coli multi-resistente. Instaurata una te-rapia specifica, ha riportato risoluzione della condizione di shock, ma a pochi giorni dal ricovero si è presentata in maniera repentina una tetraplegia flaccida completa. L’esame RMN di encefalo e rachide cervicale ha mostrato un’infarcimento infiammatorio-purulento delle cavità ventricolari encefaliche e dei somi vertebrali e tessuti paravertebrali e midollari di C2 e C3. Tale condizione neurologica non ha mai presentato un visibile miglioramento, nonostante l’antibiotico-terapia prolun-gata e l’assistenza fisioterapica costante da parte dell’unità spinale. Alcune settimane dopo è insorta osteomielite massiva a carico della tibia omolaterale con fistolizzazione esterna trattata con intervento di toilette chirurgica e prelievo di campioni microbiologici ed istologici, i quali, nonostante la terapia, erano positivi per lo stesso primo batterio isolato in origine insieme a sovra-infezioni multiple. Il seguente graduale coinvolgimento del territorio tra C1 e C2 ha reso necessaria un’assistenza respiratoria artificiale completa. In questa drammatica condizione, a circa 8 mesi dal ricovero, una grave polmonite ha causato un arresto respiratorio e cardiaco, e quindi il decesso.

Discussione: Il nostro report ha l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sull’importanza della raccolta anamnestica, compresa quella farmacologica, e sulla valutazione globale del paziente, non sottovalutandone le comorbilità e l’eventuale obesità, in quanto fattore di rischio infettivo, prima di intraprendere una terapia infiltrativa intra-articolare.

Conclusioni: Inoltre è importante ricordare che le terapie infiltrative sono comunque pratiche invasive; potrebbe dunque essere presa in considerazione la possibilità di dover sottoporre il paziente ad un consenso informato specifico.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 174

P3.4L’utilizzo di aspirato midollare concentrato nel trattamento delle lesioni condrali isolate dell’articolazione femoro-rotulea mediante tecnica chirurgica “one-step”Vincenzo Condello1, Vincenzo Madonna1, Giovanni Ziveri2, Claudio Zorzi1

1Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Negrar2Clinica Ortopedica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma, Parma

Introduzione: Le lesioni cartilaginee dell’articolazione femoro rotulea (FR) rappresentano una patologia difficile da affronta-re, che spesso colpisce una popolazione di pazienti giovani ed attivi. L’utilizzo di aspirato midollare concentrato, contenente cellule staminali multi potenti (CS) e fattori di crescita, è stato proposto come possibile soluzione di trattamento. L’obiettivo di questo studio è quello di valutare i risultati clinici del trattamento delle lesioni condrali sintomatiche a localizzazione rotu-lea o trocleare, con aspirato midollare concentrato, veicolato da un nuovo tipo di supporto.

Metodi: da gennaio 2012 a gennaio 2015 sono stati trattati 16 pazienti affetti da lesioni condrali isolate della femoro-rotu-lea con questo tipo di metodica. Di questi, 5 pazienti sono stati persi al follow-up. Un totale di 11 pazienti, con un’età media di 35 anni, sono stati quindi rivalutati retrospettivamente con un follow-up medio di 18 mesi. I risultati clinici sono stati ottenuti utilizzando le schede di valutazione VAS, IKDC, Lysholm e KOOS nel preoperatorio e al follow-up. Tutti i soggetti presi in esame presentavano lesioni cartilaginee di III/IV secondo la classificazione ICRS localizzate esclusivamente alla FR e documentate dalla risonanza magnetica. Alla valutazione preoperatoria i pazienti presentavano in maniera variabile dolore anteriore di ginocchio, tumefazione ricorrente o scroscio articolare sintomatico. Il BMI medio era di 26,15. Tutti i pazienti sono stati trattati chirurgicamente prima con un’artroscopia per una valutazione articolare globale e per trattare le eventuali patologie concomitanti, quindi, attraverso una mini-artrotomia è stato effettuato l’innesto dell’aspirato midollare concen-trato veicolato da una matrice collagenica; patologie coesistenti sono state trattate prima o durante lo stesso intervento.

Risultati: I pazienti hanno mostrato un miglioramento in tutti gli score al follow-up finale. Il punteggio IKDC è aumentato da 31,5 ± 14,3 a 61,2 ± 19,1; il KOOS da 54,6 ± 21,3 a 74,7 ± 14,6; lo score Lysholm da 56,3 ± 21 a 72,6 ± 19,5; la VAS è diminuita da 7 ± 1 a 3 ± 1,44. Nove pazienti (81%) sono stati trattati per patologie concomitanti. I pazienti con lesioni singole e quelli che sono stati sottoposti ad un riallineamento rotuleo distale hanno mostrato un risultato clinico migliore ad un followup medio di 18 mesi. Abbiamo avuto 2 complicanze; una rigidità post chirurgica trattata con artrolisi artroscopica ed un caso di emartro postoperatorio che è stato risolto con lavaggio artroscopico.

Conclusioni: Il gruppo di pazienti presi in esame ha mostrato miglioramento di tutti i punteggi. Ad un’analisi della letteratura non abbiamo riscontrato studi che descrivano il trattamento delle lesioni condrali isolate della FR con aspirato midollare concentrato associato a questo nuovo tipo di supporto. L’utilizzo di questa metodica per il trattamento chirurgico “one-step” di questo tipo di lesioni può essere una valida alternativa specialmente se associata ad un riallineamento rotuleo distale.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 175

P3.5Differenze morfo-funzionali tra colture condrocitarie trocleari in pazienti con sindrome dolorosa anteriore: studio caso-controlloFrancesco Mattia Uboldi1, GianFilippo Caggiari1, Giacomo Giachetti1, Gianfranco Pintus2, Andrea Fabio Manunta1

1Clinica Ortopedica, AOU Sassari, Sassari2Università di Sassari, Sassari

L’origine del dolore femoro-patellare (patello-femoral pain sindrome, PFPS) può essere associato con un inadeguato bilan-ciamento della matrice cartilaginea e a un’insufficiente funzione bioattiva dei condrociti trocleari. L’alterata proliferazione cellulare, e di recente scoperta anche l’ampia morte cellulare per apoptosi, sono stati descritti come elementi caratterizzanti in alcuni casi di pazienti con condromalacia. Obiettivo del nostro studio è stato quello di identificare in laboratorio la pre-senza di differenze tra i condrociti trocleari di pazienti controllo senza PFP e quelli di casi sintomatici.10 pazienti (tra i 45 e 55 anni) sono stati reclutati per questo studio: 4 pazienti con dolore femoro-patellare hanno costituito il gruppo caso, mentre 6 pazienti asintomatici, già sottoposti a chirurgia per lesione traumatica meniscale, hanno costituito il gruppo di controllo. I pazienti che hanno soddisfatto i criteri di ammissibilità, sono stati sottoposti a procedura artroscopica per il prelievo bioptico. La biopsia del tessuto cartilagineo trocleare è stata eseguita con un punch speciale da 3 millimetri, e con una estensione in profondità fino all’osso subcondrale. In laboratorio i frammenti cartilaginei sono stati lavati con PBS (phosphate buffered saline) ed i condrociti isolati da questi mediante digestione enzimatica con collagenasi tipo I. I condro-citi, sono stati coltivati in DMEM addizionato con 10% FCS contenete Penicellina/Streptomicina (100 u/100 µg per ml). Le cellule sono state analizzate riguardo a velocità di crescita, e grado di de-differenziazione. I condrociti dei pazienti asintomatici hanno mostrato una velocità di crescita che consentiva il raggiungimento della con-fluenza (riempimento) delle fiasche di coltura (T25 cm2) di 28-36 ore, mentre I tempi risultavano notevolmente aumentati per quanto riguarda i condrociti di pazienti sintomatici che hanno impiegato tra le 60 e 80 ore. Inoltre mentre i condrociti dei pazienti asintomatici impiegavano circa 7 cicli moltiplicativi prima di entrare nello stato di quiescenza e iniziare la de-differenziazione in fibroblasti, i condrociti dei pazienti sintomatici hanno iniziato lo stesso processo già dopo il 2-3 ciclo di moltiplicazione.Nei pazienti con dolore anteriore i condrociti hanno rivelato una ridotta attività biologica, evidenziata da bassa velocità di replicazione e un de-differenziamento più rapido in fibroblasti rispetto ai casi controllo. Le differenze osservate possono essere indice di alterazioni nella struttura e nella biologia dei condrociti trocleari in questa popolazione.Un inquadramento attraverso esami colturali come presidio diagnostico nelle PFPS potrebbe avere un ruolo fondamentale nel guidare il trattamento.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 176

P3.6Trattamento con impianto autologo di condrociti nelle lesioni condrali e osteocondralidel ginocchio: follow-up a 14 anniStefano Pasqualotto1, Francesco Mattia Uboldi2, Pietro Zedde3, Daniele Tradati1, Paolo Ferrua1, Massimo Berruto1

1Chirurgia del Ginocchio, I.O.G. Pini di Milano, Milano2 Clinica Ortopedica, AOU Sassari, Sassari 3 UO Ortopedia e Traumatologia, Ospedale di Nuoro, Nuoro

L’impianto di condrociti autologhi (ACI) rappresenta la prima tecnica rigenerativa ideata allo scopo di ripristinare, attraverso un tessuto simil ialino, una valida superficie articolare sia da un punto di vista biologico che meccanico. Scopo di questo studio è quello di riportare i risultati clinici ad un follow up medio di 14 anni (range 11-18) di pazienti sottoposti ad impianto di condrociti autologhi di 1a e 2a generazione.

Nel periodo compreso tra gennaio 1999 e dicembre 2005, 32 pazienti son stati sottoposti ad impianto di condrociti auto-loghi di 1a e 2a generazione per lesioni condrali o osteocondrite dissecante. La localizzazione delle lesioni è stata variabile e la dimensione media della lesioni 5 cm2. Dei 32 pazienti 14 son stati trattati con la tecnica Carticel (ACI 1a) e 18 sottoposti ad impianto di Hyalograft C (ACI 2a). Tutti i pazienti son stati valutati nel preoperatorio con le scale IKDC (International Knee Documentation Committee) Subjective, Tegner Activity Scale ed EQ-VAS e sottoposti a successive valutazioni, con le medesime scale, negli anni successivi, con follow-up minimo di 11 anni e massimo di 18.

Nel post-operatorio è stato riscontrato, in tutti i pazienti, un significativo incremento degli scores rispetto ai valori preopera-tori. In particolare, il punteggio medio dell’IKDC score è passato da un valore di 40,2 del preoperatorio a 74,1 nel controllo ad 1 anno (p < 0,00001) e da questo a 85,2 nel controllo a 5 anni (p < 0,001). I valori di Tegner Activity Scale hanno mostrato un progressivo incremento nel corso degli anni, passando da un punteggio medio di 3 del preoperatorio a 4,3 nel controllo ad 1 anno ed a 6,2 nel controllo a 5 anni. In modo del tutto analogo, la valutazione con la scala EQ-VAS ha mostrato dei risultati progressivamente migliori nel corso degli anni. Le valutazioni effettuate al controllo finale, eseguito ad un follow up medio di 14,3 anni, hanno evidenziato dei punteggi sovrapponibili rispetto a quelli ottenuti nella valutazione a 5 anni.

Lo studio ha, inoltre, evidenziato risultati migliori nei pazienti giovani, sportivi e con lesioni localizzate a livello dei condili femorali e risultati pressoché sovrapponibili con le due tecniche.

L’impianto di condrociti autologhi rappresenta una valida tecnica rigenerativa per il trattamento delle lesioni condrali ed osteocondrali in una popolazione eterogenea per età, sesso ed attività svolta, associata ad un buon mantenimento dei risultati a 14 anni dall’impianto

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6° CONGRESSO NAZIONALE 177

P3.7La dimensione della lesione osteocondrale dell’astragalo è un fattore predittivo del risultato clinico dopo stimolazione midollare. Systematic ReviewLaura Ramponi1, Youichi Yasui2, Christopher D. Murawsky2, Richard D. Ferkel3, Christopher Digiovanni4, Masato Takao5, Francesca Vannini1, John G. Kennedy2

1Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna 2Hospital for Special Surgery, New York City - USA3Southern California Orthopedic Institute, Van Nuys - USA4Harvard Medical School, Boston - USA5Teikyo University, Tokyo - Japan

Introduzione: La dimensione critica per il trattamento con stimolazione midollare delle lesioni ostecondrali dell’astragalo è un’area di 150 mm2 o un diametro di 15 mm. Tuttavia recenti studi non hanno trovato correlazioni significative tra la dimensione della lesione ed il risultato clinico dopo questo tipo di trattamento.

Obiettivo dello studio è eseguire una revisione sistematica della letteratura che riporti dimensione delle lesioni e risultato clinico dopo stimolazione midollare nelle lesioni osteocondrali dell’astragalo.

Metodi: Ricerca sistematica dei databases PubMed/MEDLINE ed EMBASE effettuato a marzo 2015 secondo le linee gui-daPRISMA. Gli studi inclusi sono stati valutati per quanto riguarda livello di evidenza, qualità di evidenza, dimensioni delle lesioni e risultati clinici. Risultati: Venticinque studi con 1868 caviglie sono stati inclusi. Di questi, l’88% degli studi è stato cliassificato con livello di evidenza III o IV e il 96% come di non buona qualità. L’area media delle lesioni era 110,0 ± 10,2 mm2 in 20 studi e il diame-tro medio era 9,97 ± 3,2 mm in 5 studi. L’AOFAS score medio è passato da 62,7 ± 7,9 punti alla valutazione preoperatoria a 84,1 ± 9,2 punti ad un follow up medio di 57,5 mesi. Una correlazione significativa tra dimensione della lesione e risultato clinico è stata trovata in 3 studi con un’area media di 107,4 ± 10,4 mm2, mentre in 9 studi con are media di 85,5 ± 9,3 mm2 non è stata individuata alcuna correlazione significativa. Il diametro della lesione correlava significativamente con il risultato clinico in 3 studi con diametro medio di 10,4 ± 3,2 mm, mentre 2 studi con diametro medio di 8,8 ± 0,0 mm non hanno individuato alcuna correlazione significativa. Inoltre, il metodo di misura della lesione e la valutazione clinica erano largamente differenti tra gli studi analizzati.

Conclusioni: La valutazione dei dati disponibili suggerisce che la stimolazione midollare dovrebbe essere riservata per lesioni osteocondrali con area inferiore a 107,4 mm2 e/o 10,4 mm di diametro. Tuttavia, lo sviluppo di linee guida riguardanti le dimensioni delle lesioni basate su studi di alta qualità si rendono necessarie per fornire ai pazienti il miglior potenziale per il successo a lungo termine della stimolazione midollare per le lesioni osteocondrali dell’astragalo.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 178

P3.8Caratterizzazione istopatologica del tessuto osteocondrale in lesioni condrali del ginocchio trattate con tecniche rigenerative: report di 4 casiFabrizio Cont1, Marco Molinari2, Francesco Tessarolo3, Mariangela Fedel3, Emiliana Bonomi4, Giandomenico Nollo3, Fabrizio Cortese1

1UO Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Santa Maria del Carmine, Rovereto 2UO Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Cavalese, Cavalese (TN)3Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università di Trento, Trento 4Dipartimento Laboratorio e Servizi, APSS Trento, Trento

Introduzione: Gli studi di efficacia a medio e lungo termine delle tecniche rigenerative della cartilagine articolare con valuta-zione istologica sono limitati. Si riportano 4 casi di interventi MACI (Matrix-induced Autologous Chondrocyte Implantation), o AMIC-BMAC (Autologous Matrix-Induced Chondrogenesis with Bone Marrow Aspirate Concentrate) con istopatologia del tessuto.

Materiali e metodi: Quattro pazienti (50 [47-56] anni, M:F = 2:2) con lesione condrale focale del ginocchio (Outerbridge III e IV, estensione 1,5-3,0 cm2) trattati con MACI (3 casi) o AMIC-BMAC (1 caso). Biopsie osteocondrali ottenute con ago di Jamshidi (3 casi) o resezione dell’area di fallimento dell’impianto (1 caso) e incluse in paraffina. Sezioni di tessuto colo-rate con eosina-ematossilina, Safranina-O/Fast Green, Picrosirius Red (PR) o con colorazione immunoistochimica per col-lagene I (ColI) e II (ColII). Architettura della cartilagine, cellularità, contenuto di proteoglicani (PG) e integrità del tidemark valutati con il Mankin grading system (MS).

Risultati: Caso A: 24 mesi dopo MACI (NOVOCART 3D) tidemark intatto e cartilagine ialina in zona profonda, tessuto fibroso e fi-brocartilagine con pochi PG e perdita di orientamento delle fibre collagene in zona radiale e tangenziale (MS = 10). Una fessurazione all’interfaccia tra cartilagine ialina e tessuto fibroso. Clinica a 8 anni buona. Caso B: 24 mesi dopo MACI (NOVOCART 3D) tessuto tipo ialino con ottima architettura e orientazione delle fibre collage-ne, ma importante riduzione di PG in tutte le zone (MS = 6). ColI e ColII adeguatamente espressi. Clinica a 5 anni buona.Caso C: 13 anni dopo MACI (Hyalograft C), al fallimento dell’impianto, presenti ampie aree di tessuto fibroso, con assenza di PG e completa disorganizzazione delle fibre collagene. Fibrocartilagine residua in alcune zone di cartilagine profonda con moderate quantità di PG e colII (MS = 11).Caso D: 14 mesi dopo AMIC-BMAC (IOR-G1) buone quantità di PG in zone di transizione e radiale, ma moderata ipercel-lularità e fibre collagene ancora disorganizzate (MS = 6). Clinica a 2 anni buona.

Conclusioni: Nei casi descritti abbiamo un fallimento (caso C) a lungo termine (13 aa) con presenza di tessuto fibroso, caratterizzato da valori scarsissimi di PG e associato a distacchi dall’osso subcondrale e/o a fessurazioni. Negli altri 3 casi, seppur disomogenei (2 maci-novocart 3D e 1 amic-bmac iorg1), gli outcome clinici sono buoni a breve e medio termine, sia in presenza di cartilagine tipo simil-ialino sia di tipo fibrocartilagineo; gli esami istologici evidenziano valori buoni o moderati di PG nel tessuto fibrocartilagineo e solo lievi riduzioni di PG in aree di tessuto simil-ialino.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 179

P3.9Trapianto artroscopico di condrociti autologhi su scaffold a base di acido ialuronico per il trattamento delle lesioni condrali del ginocchio: risultati nel follow-up a lungo termineBerardo Di Matteo, Giuseppe Filardo, Luca Andriolo, Andrea Sessa, Sante Alessandro Altamura, Francesco Tentoni, Maurilio Marcacci, Elizaveta Kon

Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Nel recente passato il trapianto artroscopico di condrociti autologhi su scaffold (MACT) è diventato una pos-sibile soluzione nel trattamento delle lesioni condrali; a questo scopo sono state utilizzate varie tecniche e vari biomateriali, tuttavia i risultati a lungo termine non sono ancora noti. Lo scopo di questo studio è di descrivere i risultati del trapianto di condrociti autologhi messi in coltura e innestati su uno scaffold biodegradabile e biocompatibile a base di acido ialuronico (Hyalograft C) per il trattamento artroscopico delle lesioni condrali articolari del ginocchio ad un follow-up medio di 12 anni.

Metodi: Tutti i pazienti sono stati valutati prospetticamente con l’IKDC score, EQ-VAS score and Tegner score. Attualmente 130 pazienti hanno raggiunto il follow-up minimo di 10 anni (follow-up medio di 12 anni). 101 pazienti sono di sesso maschile e 29 di sesso femminile. L’età media al momento del trattamento era di 28,9 ± 10,5 anni e la dimensione media della lesione era di 2,4 ± 1,0 cm². Il condilo femorale mediale risultava coinvolto in 83 casi, il condilo femorale laterale risultava coinvolto in 38 casi e in 9 casi risultava coinvolta soltanto la troclea. Tutte le ginocchia sono state sottoposte a procedura artroscopica.

Risultati: Dopo il trattamento è stato osservato un aumento statisticamente significativo dell’IKDC subjective score medio dal valore basale al follow-up minimo di 10 anni (da 38,8 ± 14,2 a 76,9 ± 21,3, p < 0,0005). Il Tegner score medio era di 4,8 ± 2,3, significativamente più alto del valore preoperatorio (1,6 ± 1,2), ma più basso rispetto al valore precedente alla comparsa della lesione (6,6 ± 2,1). Per pazienti di sesso maschile, giovani, con eziologia non degenerativa e una minore durata dei sintomi si registra un outcome clinico migliore. La tecnica ha fallito in 13 pazienti, i quali sono stati rioperati sullo stesso sito durante il follow-up, con un tasso cumulativo di fallimenti del 10,0%.

Conclusioni: La tecnica MACT sembra avere risultati soddisfacenti in termini di outcome clinico e radiologico alla risonanza magnetica nucleare, il che conferma i risultati positivi già ottenuti al follow-up precoce.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 180

P3.10Osteotomia a cuneo sottrattivo mediale del femore distale per il ginocchio valgo degenerativo: risultati a medio termine in pazienti attiviFrancesco Castagnini, Roberto Buda, Matteo Baldassarri, Gherardo Pagliazzi, Francesca Vannini, Cesare Faldini I Clinica,Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: L’osteotomia a cuneo sottrattivo mediale del femore distale (DFMCWO) può essere un valido trattamento per i ginocchi valghi artrosici nei giovani e negli adulti attivi, con il possibile fine di procrastinare la sostituzione protesica del ginocchio. Metodi: 32 ginocchi valghi (età media: 41,4 ± 11,2) trattati con DFMCWO sono stati valutati retrospettivamente. Tutti i ginocchi avevano un’artrosi del compartimento laterale di grado I-II-III secondo la classificazione di Kellgren Lawrence. 20 ginocchi avevano lesioni osteocondrali, trattate con microfratture (8) o trapianto di cellule derivate da midollo osseo (12). I pazienti sono stati valutati clinicamente (IKDC, KOOS, NRS, Tegner) e radiologicamente. È stato raggiunto un follow-up medio di 62,12 ± 15,65 mesi. Risultati: Il KOOS ha avuto il punteggio più elevato a 24 mesi, ha mostrato una tendenza a scalare e ha raggiunto un risul-tato finale di 83,34 ± 13,56. Si è potuto evidenziare un andamento analogo per l’IKDC. Il punteggio finale per l’NRS era di 2,73 ± 1,82; il punteggio finale del Tegner era 2,65 ± 1,89. Le radiografie hanno mostrato progressione degenerativa in 5 ginocchi: 2 pazienti sono stati sottoposti a sostituzione del ginocchio al termine del follow-up.

Conclusioni: DFMCWO è un trattamento efficace per la riduzione della sintomatologia dell’osteoartosi, per ritardare la progressione della degenerazione ed evitare la sostituzione del ginocchio in ginocchi valghi entro la metà del periodo di follow-up.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 181

P3.11Le lesioni osteocondrali di ginocchio: i risultati della tecnica di riparazione one-step sono ancora soddisfacenti a mediotermine?Roberto Buda, Gherardo Pagliazzi, Francesca Vannini, Laura Ramponi, Matteo Baldassarri, Luca Perazzo, Cesare Faldini Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Il trattamento ideale delle lesioni osteocondrali del ginocchio (OLK) è ancora dibattuto. Il trapianto di cellule derivanti dal midollo osseo (BMDC), ormai ampiamente utilizzato nella riparazione della cartilagine, sia dell’articolazione della caviglia che del ginocchio, è stato proposto qualche anno fa come una soluzione in “one step” in grado di superare gli inconvenienti delle tecniche precedenti. Lo scopo di questo studio è di indagare la validità della tecnica “one step” nella riparazione delle OLK nel tempo e di presentare i risultati di una serie di 15 pazienti trattati consecutivamente ad un fol-low-up medio di 78,5 ± 14,8 mesi.

Metodi: 15 pazienti affetti da OLK sono stati trattati con trapianto BMAC in “one step”. Solo i pazienti affetti da OLK isolate sono stati inclusi nello studio. Sono stati esclusi i pazienti affetti da altre lesioni intra articolari del ginocchio, disallineamento degli arti inferiori, disordini reumatici e infezioni. Tutti i pazienti sono stati valutati prima dell’intervento con gli indici sog-gettivi IKDC e KOOS in follow-up diversi e prestabiliti. È stata effettuata a tutti i pazienti una valutazione mediante RMN prima dell’intervento, a 12 mesi e al follow-up finale. Le sequenze di imaging sono state effettuate seguendo la scala di valutazione di riparazione del tessuto cartilagineo (Mocart).

Risultati: I punteggi medi soggettivi preoperatori secondo gli indici IKDC e KOOS erano di 53,4 ± 12,6 e 42,2 ± 11,6 rispettivamente. I punteggi di IKDC e KOOS sono migliorati a 12 mesi fino a 78,9 ± 10,9 e 80,4 ± 10,4 e a 24 mesi sono stati di 80,7 ± 10,6 e 84,5 ± 9,9 rispettivamente (p < 0,005). Al follow-up fi-nale a 78,5 ± 14,8 mesi i punteggi di IKDC e KOOS erano di 84,1 ± 8,7 e 91,1 ± 5,3 rispettivamente. L’analisi alla RMN con il punteggio di Mocart ha mostrato buon riempimento della lesione, tessuti parzialmente disomoge-nei e riduzione dell’edema subcondrale. Conclusioni: La tecnica “one step” è stata in grado di fornire buoni risultati clinici e alla risonanza magnetica a una media di 78 mesi di follow-up senza alcun deterioramento del punteggio nel tempo. Ulteriori follow-up in una serie di casi più ampia sono necessari per confermare la validità di questa procedura nel tempo.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 182

P3.12Il dolore anteriore di ginocchio nel giovane sportivo. Uno sguardo alla letteratura correnteMassimiliano Borri Clinica Ortopedica e Traumatologica, Ospedale SS. Annunziata Chieti, Chieti

Introduzione: Il dolore anteriore di ginocchio è un sintomo presente in diversi quadri patologici di origine traumatica, non traumatica, o degenerativa e può essere espressione sia di patologie articolari che extrarticolari, di frequente riscontro nel giovane sportivo. Lo scopo di questo lavoro è di focalizzare, attraverso uno studio della letteratura corrente, gli aspetti clinici rilevanti suggestivi di diagnosi differenziale utili a facilitare l’iter diagnostico-terapeutico del singolo paziente.

Metodi: Abbiamo ricercato la voce «dolore anteriore di ginocchio» sui principali motori di ricerca medico-scientifici e sono emersi oltre 200 lavori che prendono in considerazione l’età, il sesso, lo sport praticato e l’anamnesi familiare dei singoli pazienti. Inoltre, viene tenuto conto delle modalità di insorgenza del dolore e della descrizione che il paziente ne fa in base alla sua soggettività.

Risultati: Da un’analisi dei Lavori è emerso che in letteratura non vi è un consenso unanime sulla condizione definita di «do-lore anteriore di ginocchio». Essa fa riferimento a vari quadri patologici tipici del giovane sportivo e non, quali le osteocon-drosi, le pliche sinoviali, la borsite pre-rotulea, la tendinite del rotuleo, o più nello specifico da patologie della femoro-rotulea che vanno dal malallineamento all’instabilità di rotula. Un’attenta anamnesi e un accurato esame obiettivo rappresentano dei punti cardine nella gestione del singolo paziente. L’approccio terapeutico è generalmente di tipo conservativo. L’artro-scopia può essere uno strumento sia diagnostico che terapeutico ma solo in casi selezionati. La chirurgia rappresenta la soluzione in caso di dolore resistente alle terapie conservative ma l’indicazione va comunque discussa caso per caso.

Conclusioni: Il dolore anteriore di ginocchio è una condizione di frequente riscontro in ambito sportivo la cui diagnosi rap-presenta una sfida per il clinico Ortopedico. La chirurgia e l’artroscopia sono determinanti solo in alcuni casi selezionati. Sono necessari studi ulteriori per una precisa individuazione delle cause al fine di un più corretto trattamento, il più possibile adatto al singolo paziente.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 183

CHIRURGIA PROTESICA

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 184

P4.1Ritorno alle attività sportive dopo protesi monocompartimentale di ginocchio: illusione o realtà concreta?Mirco Lo Presti, Giuseppe Gianluca Costa, Sergio Cialdella, Giovanni Francesco Raspugli, Maria Pia Neri,

Giuseppe Filardo, Francesco Iacono, Stefano Zaffagnini, Maurilio Marcacci Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Negli ultimi anni, la protesi di ginocchio monocompartimentale (UKA) ha acquisito sempre più rilevanza, con incremento sia in termini di percentuali di impianto, sia in termini di sopravvivenza. Lo scopo di questo lavoro è stato di valutare i risultati clinici follow up medio e soprattutto di capire se vi fosse la possibilità di ripresa delle attività sportive precedenti all’impianto di protesi monocompartimentale Metodi: Sono stati rivalutati retrospettivamente 53 pazienti “sportivi” (15 uomini e 38 donne, con un’età media di 59 anni, con range tra 46 e i 66 anni), sottoposti ad intervento di protesi moncompartimentale mediale (All Poly De Puy J and J) determinando il risultato clinico (HSS score) e la soddisfazione generale (VAS) e l’eventuale ritorno all’attività sportiva, ad un follow-up medio di 48 ± 6 mesi (range 12-56 mesi). Risultati: La maggior parte dei pazienti (90%) ha mantenuto la capacità di partecipare a sports o attività ricreative, con ritor-no all’attività sportiva dopo circa 3 mesi nel 45% dei pazienti ed entro 6 mesi nel 69%. La frequenza delle attività (sedute a settimana) era di 2,1 (± 1,1 SD) prima dell’intervento ed è rimasto più o meno costante al momento della rilevazione (1,9 ± 1,3 SD) con un decremento non significativo statisticamente della durata media del gesto sportivo (da 50 minuti a 40 minuti dopo l’intervento chirurgico). Il Valore medio HSS pre operatorio era 52 (± 5) nel gruppo degli uomini e 57 (± 3) per le donne (p = 0,0043), mentre il valore medio HSS a 48 mesi di follow up è stato rispettivamente di 94 (± 5) nel gruppo degli uomini e 86 (± 4) nel gruppo delle donne (p = 0,0019). Tutti i pazienti hanno mostrato un aumento statisticamente significativo in termini di VAS tra pre e controllo, con valore medio al follow up di 2,5.

Conclusioni: La maggior parte dei pazienti operati è tornata ad eseguire attività sportive e ricreative preceden-ti all’intervento chirurgico. Le attività sportive che prevalentemente sono state riprese dopo l’intervento chirurgico sono state attività a “basso o lieve impatto” come ciclismo, nuoto, fitness, golf; tutti i pazienti sono tornati a esegui-re suddette attività sportive dopo una rieducazione specifica e con recupero completo del ROM e della forza musco-lare. Le attività sportive più comuni dopo l’intervento sono state a basso impatto nella maggioranza dei casi, seppu-re alcuni pazienti abbiano ripreso sport ad alto impatto, come tennis (9,4%), calcio (9,4%) e arrampicata i (5,6%), sci (3,7%). Pazienti in sovrappeso e con B.M.I. alto (> 25) hanno avuto risultati lievemente inferiori, soprattutto per quan-to concerne la durata media della sessione sportiva, anche se il dato non si è mostrato statisticamente significativo. La protesi monocompartimentale può essere considerata una valida alternativa in pazienti relativamente giovani con alte richieste funzionali e con le corrette indicazioni, mettendo comunque in guardia il paziente circa i rischi di usura del polieti-lene e precoce mobilizzazione delle componenti protesiche in seguito alla ripresa di attività sportive ad alto impatto.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 185

P4.2Allineamento della componente tibiale nell’artroprotesi di ginocchio evitando errori di posizionamento causati dalla torsione tibialeFrancesca Romana Ripani, Pasquale Sessa, Gianluca Cinotti Università Sapienza, Roma

Introduzione: Una delle possibili cause di errori di posizionamento della componente tibiale nelle protesi di ginocchio (PTG) quando viene utilizzata l’asta extramidollare è insita nella morfologia tibiale che presenta una torsione longitudinale lungo il suo asse. L’extrarotazione dell’asse anteroposteriore dell’epifisi distale della tibia rispetto a quello prossimale può causare un posizionamento in varo della componente tibiale. Poiché è assai complesso valutare intraoperatoriamente l’entità della torsione tibiale di ciascun paziente, gli autori hanno utilizzato una metodica alternativa in cui l’allineamento rotazionale dell’asta extramidollare al livello della cavigliera segue quello che il chirurgo ha impostato prossimalmente.

Metodi: Sono stati analizzati 120 pazienti (134 ginocchia) sottoposti a PTG. In tutti i casi è stata utilizzata una guida tibiale extramidollare. I primi 65 pazienti (per un totale di 72 ginocchia) (gruppo 1) sono stati trattati con tecnica standard mentre il secondo gruppo di 55 pazienti (per un totale di 62 ginocchia) (gruppo 2) sono stati trattati con tecnica di allineamento dell’asta extramidollare solo prossimale. L’allineamento coronale della componente tibiale è stato valutato su radiografie in toto dell’arto inferiore effettuate 3-6 mesi dopo l’intervento.

Risultati: L’allineamento della componente tibiale sul piano coronale era in media -2,2° ± 1,7 nel gruppo 1 (range -5,3° - 2,2°) e - 0,7° ± 1,8 nel gruppo 2 (range -4° - 2,9°) (p = 0,001). Un malallineamento in varo della componente tibiale è stato riscontrato in 16 ginocchia (22%) del gruppo 1 ed in 2 ( 3.2%) del gruppo 2 (p = 0,001). Un malallineamento in valgo è stato riscontrato in 2 ginocchia (2,7%) del gruppo 1 ed in 2 (3,2%) del gruppo 2.

Conclusioni: Allineando l’asta extramidollare alla proiezione anteriore dell’asse meccanico solamente al livello della tibia prossimale, è possibile neutralizzare l’influenza della torsione tibiale sulla traslazione anteriore dell’asse meccanico e ridurre in questo modo la percentuale di malallineamenti in varo della componete tibiale.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 186

P4.3Nuovi design nella protesica di ginocchio: influenza del grado di vincolo nei risultati a breve terminePier Francesco Indelli, Nicholas Giori, William Maloney

Department of Orthopaedics and Bioengineering, Stanford University School of Medicine, Palo Alto, California - USA

Introduzione: Nuovi design protesici sono stati recentemente proposti per il trattamento della gonartrosi di ginocchio con l’intento di ricreare la normale biomeccanica articolare e di incrementare il tasso di soddisfazione del paziente. L’obiettivo di questo studio prospettico randomizzato è stato di valutare l’influenza del grado di vincolo dell’inserto in polietilene nella risposta funzionale soggettiva del paziente (“patient satisfaction”) in una serie di pazienti sottoposti ad intervento di protesi di ginocchio (PTG) di nuova generazione.

Metodi: Cento pazienti sottoposti ad intervento di PTG utilizzando impianto Persona (Zimmer, Warsaw, USA) sono stati randomizzati in due gruppi. Il gruppo A era costituito da 56 pazienti (52 uomini, 4 donne; età media 67,6 anni; BMI-bo-dy mass index medio 34.03) che hanno ricevuto un impianto Persona posterior-stabilized (PS). Il gruppo B era costituito da 44 pazienti (41 uomini, 3 donne; età media 67,3 anni; BMI medio 34,60) che hanno ricevuto un impianto Persona Medial-Congruent (MC) per la riproduzione di una biomeccanica articolare a pivot mediale. La tecnica operatoria è stata identica (rimozione di entrambi i legamenti crociati, “gap balancing in extension”, “measured resection in flexion”, alline-amento sull’asse meccanico) tranne che per il grado di “slope” tibiale scelto (5° nel PS; 3° nel MC). Sono stati esclusi casi di deformità in valgo, artrosi post-traumatica, artriti immonoreattive e artrosi post-infettive. Tutti i pazienti sono stati valutati ad un minimo di 6 mesi dall’intervento tramite un questionario di soddisfazione (Oxford Knee Score-OKS), il Knee Society Score (KSS) e in relazione al “range-of-motion” (ROM) del ginocchio protesizzato. L’analisi statistica tra i due gruppi e’ stata completata secondo il two-sample t-test.

Risultati: Tutti i pazienti sono stati valutati a 6 mesi dall’intervento ponendo particolare attenzione al grado di soddisfazione ed all’arco di movimento del ginocchio. Non sono state registrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi nei dati preoperatori: ROM medio preoperatorio (PS 112°, MC 108°; p = 0,43), KSS medio preoperatorio (PS 64.4, MC 63.7; p = 0,48), OKS medio preoperatorio (PS 19.6; MC 19.0; p = 0,0060) e BMI preoperatorio (PS 34.03, MC 34.60; p = 0,41). Al F.U. finale non sono state registrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi per quanto riguarda il OKS medio (PS 40,8; MC 41.3; p = 0,125), il KSS medio (PS 163,8, MC 167,5; p = 0,0098), il tempo chirurgico ed il tasso di complicanze postoperatorie; è stata tuttavia registrata una differenza statisticamente significativa per quanto riguarda il ROM: PS 121°, MC 124°; p = 0,0007. Nessun impianto è stato sottoposto ad intervento di revisione.

Conclusioni: Storicamente, la modularità legata all’utilizzo di inserti in polietilene di vario spessore e con grado di vincolo variabile ha permesso al chirurgo di bilanciare il ginocchio protesizzato in modo ottimale nella grande maggioranza dei casi. Questo studio ha valutato l’effetto dell’utilizzo, nello stesso design protesico, di due inserti in polietilene caratterizzati da proprietà biomeccaniche differenti: inserto postero-stabilizzato (PS) ed inserto a pivot mediale (MC). Il nostro studio ha dimostrato che la riduzione del grado di vincolo non ha influenzato negativamente i risultati (soggettivi ed oggettivi) a breve termine: la diminuzione del grado di vincolo ha altresi’ incrementato leggermente l’arco di movimento nel ginocchio prote-sizzato. Il nostro studio, seppur prospettico randomizzato, ha le importanti limitazioni di essere prevalentemente soggettivo (“soddisfazione del paziente”) e di avere un follow-up estremamente breve; quest’ultima limitazione è legata al fatto che l’inserto MC è stato approvato per l’uso clinico negli Stati Uniti solo all’inizio del 2016.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 187

P4.4Una nuova protesi di ginocchio totale disegnata per riprodurre la cinematica naturale e favorire un veloce recupero funzionaleChristian Carulli1, Massimo Innocenti1, Ian W. Barlow2, Adrian R. Harvey3

1Clinica Ortopedica, Università di Firenze, Firenze2Dorset County Hospital, NHS Foundation Trust, Dorset - United Kingdom3The Royal Bournemouth Hospital, NHS Foundation Trust, Dorset - United Kingdom

Introduzione: Le protesi convenzionali di artroplastica totale di ginocchio (TKA) non sono ancora in grado di ripristinare completamente la funzionalità naturale del ginocchio, il che può essere fonte di notevole insoddisfazione nei pazienti, specialmente in quelli più giovani ed attivi. È stata quindi disegnata una nuova protesi in grado di riprodurre la cinematica naturale del ginocchio, al fine di soddisfare le sempre più elevate aspettative dei pazienti. Le sue superfici articolari asim-metriche sono progettate per riprodurre il fisiologico roll-back del femore sulla tibia, mentre inducono allo stesso tempo la loro rotazione assiale simultanea. Si riduce così l’attrito di scorrimento nelle prime fasi della flessione del ginocchio. Inoltre, il roll-back riduce le sollecitazioni patello-femorali e ripristina la funzione fisiologica del quadricipite. L’obiettivo di questo studio multicentrico prospettico è quello di valutare il recupero funzionale ed i risultati dei pazienti a breve termine dopo l’intervento.

Metodi: 128 pazienti (132 ginocchia), affetti prevalentemente da osteoartrite primaria (98%), sono stati sottoposti a in-tervento di TKA con questo impianto Kinematic Retaining: 70 uomini, 58 donne, con un’età media di 68 (52-80) anni. I pazienti sono stati esaminati prima dell’intervento (T0), a 6 settimane (T1) e 6 mesi (T2) dopo l’intervento, usando sia diver-se schede e questionari per la valutazione clinica (Knee Society Score [KSS], Knee injury and Osteoarthritis Outcome Score [KOOS], Oxford Knee Score [OKS], VAS satisfaction) che una valutazione radiografica standard.

Risultati: I punteggi clinici e funzionali del KSS hanno riportato risultati eccellenti (≥ 80) o buoni (70-79) a T1 nel 57% e 68% dei pazienti, rispettivamente, con incrementi fino a 80% e 85% a T2. Dopo l’intervento, i pazienti hanno segnalato un sostanziale sollievo dal dolore: il 56% e 73% hanno dichiarato di non avvertire alcun dolore o di avvertirlo solo occasional-mente, rispettivamente a T1 e T2, mentre il 38% e 25% hanno riportato di avvertire un dolore moderato o lieve. Una capacità di camminare fino a 1 km è stata riportata prima dell’intervento dal 74% dei pazienti, mentre il 26% era in grado di cam-minare per più di 1 km. La capacità di percorrere grandi distanze è aumentata fino al 59% dei pazienti a T1 e al 90% in T2. Tutti i sottodomini del KOOS sono migliorati sensibilmente; a T1 e T2, l’incremento percentuale nella media dei risultati ha guadagnato il 72% e il 91% nelle Attività quotidiane (T0:46.1,T1:79.4,T2:87.8), il 129% e 278% nell’attività sportiva e ricre-ativa (T0:18.1,T1:41.6,T2:68.7), il 153% e 219% nella qualità della vita in relazione al ginocchio (T0:22.3,T1 56.5,T2:68.7). I risultati positivi dell’OKS hanno confermato questi esiti promettenti. Un alto livello di soddisfazione dei pazienti è stato anche valutato usando la VAS satisfaction, sia a T1 (76.7) che a T2 (83). Non è stato riportato nessun caso di revisione, né linee di radiolucenza, né di mobilizzazione o migrazione dell’impianto.

Conclusioni: I primi risultati clinici e radiografici di questa protesi Kinematic Retaining sono estremamente promettenti. La sua cinematica ha assicurato un rapido recupero funzionale ed un sostanziale sollievo del dolore anche in pazienti giovani ed attivi.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 188

P4.5Protesi totale di ginocchio: bendaggio compressivo o calza elastica?Gian Luigi Canata, Valentina Casale, Alfredo Chiey

Ospedale Koelliker, Torino

Introduzione: In questo studio prospettico randomizzato, sono stati confrontati i risultati conseguenti all’utilizzo del ben-daggio elastico compressivo e quelli derivati dall’uso di calze elastiche, in seguito a impianto di protesi totale di ginocchio.

Materiali: 50 pazienti, età media 73 anni (r. 55-84), operati tra il 2013 e il 2015, sono stati suddivisi in due gruppi. Nel Gruppo A (25 pazienti, 4 uomini e 21 donne) è stato eseguito un bendaggio elastico compressivo tibio-femorale, rimosso il giorno successivo all’intervento. Nel Gruppo B (25 pazienti, 7 uomini e 18 donne) sono state applicate calze elastiche bila-teralmente al termine dell’intervento e lasciate in posizione fino alla totale ripresa del carico. Per la valutazione funzionale pre- e post-operatoria sono stati utilizzati il Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score (KOOS) con follow-up medio 4 mesi (r. 2-6 mesi), la misurazione del Range of Motion (ROM) a 40 giorni dall’intervento e il Visual Analogue Scale (VAS) entro i 7 e a 40 giorni dopo l’intervento. Emoglobina ed ematocrito entro 7 giorni, VES e PCR a 40 giorni. Analisi statistica dei due gruppi eseguita con il test t di Student.

Risultati: Gruppo A: score medio KOOS preoperatorio: 40,8 (DS 19,4), postoperatorio 75,6 (DS 19,5). VAS medio 1 settimana post-in-tervento: 1,2 (r. 0-7) (DS 1,6); VAS a 40 giorni dall’intervento 2,1 (r. 0-7) (DS 2,3). ROM medio a 40 giorni dall’intervento: 0°-0°-110°. Media dei valori ematologici a 1 settimana post- intervento: HB 10.9 (r. 8,0-12,5) (DS 1,1), HCT 31,4 (r. 10,7-37,3) (DS 6,1). Media VES 40 giorni dopo l’intervento: 40,4 (r. 14-77) (DS 19,1); media PCR 5,6 (r. 0,1-36,6) (DS 9,5). Gruppo B: score medio KOOS preoperatorio: 42,1 (DS 17,8), postoperatorio 79,7 (DS 19,7). VAS medio 1 settimana post-intervento: 0,7 (r. 0-6) (DS: 1,3); VAS a 40 giorni dall’intervento 1,0 (r. 0-8) (DS 1,8). ROM medio a 40 giorni dall’in-tervento: 1°-1°-110°. Media dei valori ematologici a 1 settimana post- intervento: HB 11,8 (r. 9,4-21,1) (DS 2,3), HCT 32,8 (r. 27,5-38,1) (DS 2,9). Media VES 40 giorni dopo l’intervento: 35,3 (r. 9-93) (DS 21,3); media PCR 4,3 (r. 0,3-16) (DS 4,6).

In ciascun gruppo, un paziente sottoposto a trasfusione di emazie. Nessuna differenza significativa per i punteggi funzionali valutati e i parametri ematici.

Conclusioni: È stata dimostrata in passato l’utilità del bendaggio in termini di tempi di recupero della mobilità articolare con minore edema postoperatorio. Le calze elastiche sono utilizzate nella prevenzione degli episodi trombo-embolici, associate ad adeguata terapia farmacologica. Da questo studio risulta che l’uso di calze elastiche garantisce risultati comparabili al bendaggio elastico, semplificando la gestione postoperatoria del paziente operato di protesi di ginocchio.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 189

P4.6Protesi totale di ginocchio: componente tibiale all-poly o metal-backed?Gian Luigi Canata, Alfredo Chiey

Ospedale Koelliker, Torino

Introduzione: In letteratura è nota da tempo l’efficacia delle protesi metal-backed, tuttavia appare sempre più evidente l’assenza di significative differenze tra le componenti tibiali metalliche e quelle all-poly, con percentuali di revisioni estrema-mente basse in entrambi i casi. Esistono finora pochi studi che si occupino delle componenti tibiali in polietilene nelle protesi totali di ginocchio. In questo studio randomizzato prospettico, a partire dal 2011 sono stati considerati i risultati soggettivi dei pazienti operati per impianto di protesi totale di ginocchio (PTG) con componente tibiale interamente in polietilene (all-poly), confrontati coi risultati ottenuti con componente tibiale in metallo (metal-backed). Materiali e metodi: 41 pazienti, età media 76 anni (range, 64-85), 7 uomini e 34 donne, operati tra il 2011 e il 2012, sono stati randomizzati in due gruppi. Nel Gruppo A (18 pazienti, di cui 3 uomini e 15 donne; 10 PTG a destra e 8 PTG a sinistra), è stata inserita la componente tibiale all-poly. Nel gruppo B (23 pazienti, di cui 4 uomini e 19 donne; 17 PTG a destra e 6 PTG a sinistra), è stata impiantata la componente tibiale metal-backed con inserto in polietilene. Follow-up medio 12 mesi.Per la valutazione funzionale pre- e post-operatoria sono stati utilizzati il Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score (KOOS). Analisi statistica dei due gruppi eseguita con il test chi-quadro. Risultati: Gruppo A: score medio KOOS pre-operatorio 39 (DS 9), postoperatorio 84 (DS 6).Gruppo B: score medio KOOS pre-operatorio 42 (DS 3), postoperatorio 78 (DS8). L’analisi statistica non ha dimostrato differenze significative tra i due gruppi per i parametri funzionali valutati. I valori KOOS, infatti, sono risultati sostanzialmente sovrapponibili tra i due gruppi. Conclusioni: L’uso della componente tibiale all-poly nelle PTG non comporta sostanziali differenze rispetto alle componenti metal-backed nel breve termine.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 190

P4.7Criteri di dimissibilità in protocollo fast track dopo artroprotesi primaria di ginocchioAndrea Baldini, Marco Ponti, Dimitri Bartoli, Irene Miniati, Giovanni Balato

IFCA villa Ulivella e Glicini, Firenze

Introduzione: Negli ultimi anni, i programmi di recupero rapido Fast Track si sono dimostrati efficaci dopo procedure di chirurgia maggiore (protesi di ginocchio, PTG) in termini di riduzione dei giorni di degenza ospedaliera, morbidità e conva-lescenza. Al fine di assicurare una dimissione sicura ed evitare le riammissioni precoci, è imperativo avere criteri di dimis-sibilità ben definiti. Comunque, non c’è un consenso riguardo alla definizione di questi criteri e non c’è uno score descritto in letteratura che possano aiutare i sanitari a definire il tempo di dimissione dopo artroprotesi primaria di ginocchio. Lo scopo dello studio è sviluppare un insieme di criteri di dimissibilità (medici, di ferita e funzionali) specificatamente disegnati per procedure di PTG, che possono aiutare i professionisti a determinare il timing ottimale per una sicura dimissione dopo questa chirurgia maggiore.

Metodi: I criteri di dimissibilità si basano su 3 aspetti principali: stato medico (parametri vitali in particolare temperatura corporea e saturazione, ematoma, livello di emoglobina > 9), stato funzionale (valutato con una scala di valutazione fun-zionale) e stato della ferita chirurgica. Per quanto riguarda il livello di emoglobina, i valori risalgono da uno studio retrospet-tivo ed è stato deciso in accordo con gli autori dello studio di iniziare la raccolta del dato in modo prospettico. Centotrenta pazienti consecutivamente selezionati (52 uomini e 78 donne), sottoposti ad intervento di protesi primaria di ginocchio tra settembre 2014 e marzo 2016 sono stati reclutati in questo studio. L’età media è 67 ± 8 anni (range 40-86) mentre l’indice BMI medio è 28,4 ± 4,3 (range 19,7-45,4). Il numero medio di comorbidità è 2,1 ± 1 (range 0-5). Tutti i pazienti sono stati sottoposti allo stesso protocollo di recupero Fast Track e sono stati dimessi in accordo ai criteri precedentemente elencati. Tutti i pazienti sono stati valutati dal punto di vista clinico ai follow-up di 20 giorni e 6 mesi postoperatori. Le riammissioni e i controlli anticipati sono stati registrati.

Risultati: Tre pazienti sono stati esclusi dallo studio. Durante la degenza ospedaliera, 44 pazienti hanno sviluppato una o più complicanze minori (13 nausea, 11 secrezione della ferita abbondante oltre 72 ore postoperatorie, di cui solo in 2 casi si è prolungata fino a 10 giorni, 9 ipotensione ortostatica dopo il primo cammino, 21 modesto gonfiore, nessuna ritenzione urinaria) mentre 86 non hanno avuto complicanze. Nessun ematoma maggiore, né eventi cardiopolmonari, né insufficien-ze renali o epatiche sono state evidenziate. La degenza media è stata di 3,4 ± 1 giorni (range 2-8). Due pazienti hanno necessitato di trasfusioni ematiche (2 autologhe in seconda giornata postoperatoria). Al follow-up finale nessun paziente è stato riammesso a causa di problemi legati all’intervento. Nessuna caduta postoperatoria si è verificata per il campione di riferimento. Solo un paziente è stato riammesso in altro ospedale per nefrolitiasi. Sei pazienti hanno effettuato controllo medico ambulatoriale anticipato. Alla Oxford Knee score, scala soggettiva, si è registrato un incremento medio di circa 15 punti nei follow-up successivi.

Conclusioni: I criteri di dimissibilità rappresentano un parametro sicuro e di grande aiuto che permette una dimissione precoce del paziente dopo PTG. L’uso di questi criteri consente alla maggior parte dei pazienti di essere dimesso entro 3 giornate dopo chirurgia maggiore, in condizioni sicure e ottimali.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 191

P4.8La sostituzione osteocondrale in titanio trabecolare realizzata in prototipazione rapidaDavide Maria Donati1, Benedetta Spazzoli1, Tommaso Frisoni1, Luca Cevolani1, Donato Monopoli2

1Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna 2Istituto Tecnologico de Canaria, Gran Canaria - Spain

Introduzione: Il trattamento delle lesioni osteocondrali del ginocchio in giovani pazienti (Outerbridge tipo IV) a seconda delle dimensioni, può essere effettuato da tecniche di medicina rigenerativa, innesto osteocondrale fresco, fino alla protesi mono compartimentale. Quest’ultima soluzione in particolare quando l’età è più avanzata e si associano i primi segni di al-terazione articolare. Le metodiche rigenerative sono limitate dalla scarsa capacità meccanica, mentre le soluzioni protesiche dalla mancanza di integrazione biologica. La tecnologia della prototipazione rapida permette di realizzare impianti su misu-ra ad alta integrazione con il tessuto ospite (cartilagine e osso subcondrale) che abbia da subito caratteristiche meccaniche ideali per la ripresa della funzione e del carico, senza alterare l’anatomia articolare del soggetto.

Materiali e metodi: Abbiamo messo a punto la sostituzione del difetto osteocondrale con titanio trabecolare ricoperto da policaprolattone. A partire da TC ad alta definizione di entrambe le ginocchia si progetta il dispositivo protesico così come le guide di taglio per l’asportazione del tessuto osteo-cartilagineo corrispondente all’elemento protesico che viene inserito senza cemento ne mezzi di sintesi. Abbiamo realizzato un primo impianto su misura in una paziente di 23 anni con una lesione osteocondrale di 9,5 cmq del condilo femorale mediale del ginocchio per necrosi asettica. Il movimento passivo è iniziato in prima giornata, mentre quello attivo (cyclette) dopo 2 settimane. Il carico completo è stato concesso a 60 giorni. Abbiamo eseguito controlli a 1, 4 e 10 mesi postoperatori con Rx e TC ad alta definizione del ginocchio e nel contempo abbiamo rilevato il risultato funzionale con valutazione IKDC.

Risultati: Dalle radiografie standard abbiamo rilevato che non vi sono segni di subsidenza della protesi nelle due proiezio-ni. La TAC ha evidenziato aree di mancanza ossea nella faccia profonda della parte interna della protesi, già presenti nel postoperatorio (difetto di tecnica) che si sono mantenute tali nel tempo, senza l’evidenza di ulteriori aree di riassorbimento. Non si evidenziava reazione del tessuto sinoviale. Per quanto riguarda l’esame funzionale, al controllo ambulatoriale a 1 mese lo score era 36, a 4 mesi 54, a 10 mesi 69, dove la sola limitazione riguardava l’attività sportiva. Il movimento e la forza risultavano nella norma.

Conclusione: Il risultato fin qui ottenuto sembra essere ottimale considerando che si tratta di una lesione necrotica di grandi dimensioni in estensione e profondità. Tuttavia, aspetti problematici possono essere: l’integrazione del titanio con l’osso sottostante, l’integrazione tra cartilagine articolare e policaprolattone e l’eventuale produzione di detriti di policaprolattone con possibile reazione sinoviale infiammatoria. Un altro aspetto da verificare è il comportamento della cartilagine del piatto tibiale corrispondente all’impianto protesico. Questa soluzione rappresenta un’evoluzione rispetto all’innesto osteocondrale fresco in quanto può essere sottoposto al carico completo a partire da due mesi postoperatori risultando stabile dal punto di vista meccanico. Infine, tale soluzione non preclude la possibilità futura di eseguire una protesi standard.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 192

P4.9Efficacia di un farmaco a base di quercitina e bromelina sul versamento-edema post-operatorio in pazienti trattati con PtgMarco Bove, Daniele De Meo, Daniele Ferraro, Marco Pipitone, Ciro Villani Clinica Ortopedica, Sapienza, Roma

Introduzione: L’edema e il versamento post-operatorio rappresentano dei possibili fattori di rischio per un buon recupero dopo una Ptg. In loro presenza possono essere riscontrate complicanze correlate come l’inibizione muscolare, il dolore, la rigidità oltre che un aumentato rischio tromboembolico. Al fine di ridurre tali complicanze negli ultimi anni, in linea con la letteratura, abbiamo applicato diversi protocolli (pre-emptive terapia, ipotensione intraoperatoria, infiltrazioni intrarticolari, A. tranexamico, drenaggi, flessione del ginocchio, terapia compressiva e ghiaccio) ma anche in presenza di un buon po-sizionamento protesico, permane una percentuale di pazienti, intorno al 15%, in cui nei giorni post-operatori si evidenzia un maggior versamento-edema. L’obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare l’efficacia di un farmaco a base di quercitina e bromelina, somministrato per os 2 volte al dì dal 1° al 15° gg post-operatorio, finalizzato al ridurre l’edema-ver-samento post-operatorio.

Metodi: Abbiamo selezionato 40 pazienti candidati alla Ptg operati da singolo operatore e valutati da altro ortopedico. Criteri d’inclusione: gonartrosi in ginocchio varo;, criteri d’esclusione: artrite reumatoide, bmi > 40 deficit collaterali, deficit dell’apparato estensore, gravi deficit articolari, esiti di trombosi o insufficienza venosa-linfatica, disturbi della coagulazione. I pazienti venivano divisi in cieco in due gruppi da 20: il primo Terapia, il secondo Controllo. Venivano valutati nel preope-ratorio e al 1°-3°-5°-7°-10° giorno post-operatorio i seguenti parametri: 1) misurate le circonferenze di ginocchio in sede prossimale centrale e distale, di coscia e di polpaccio con un metro a nastro e un pennarello indelebile; 2) Rom attivo e passivo mediante un goniometro portatile estendibile; 3) dolore con scala VAS.

Risultati: L’analisi delle circonferenze ci mostrava in entrambi i gruppi un incremento del 5% nel primo giorno post-opera-torio. Un’ulteriore incremento stimato al 2% era presente dal primo al 3 giorno. Dal 3° al 5° dati stazionari per entrambi i gruppi seppur con valori più alti nel gruppo di controllo ma non statisticamente significativi. Dal 5-7° decrescita rapida e sta-tisticamente significativa nel gruppo terapia, in discesa ma più lento nel controllo. Dal 7°al 10° giorno persiste decremento del gruppo terapia come in quello controllo. Valori vicini a quelli preoperatori venivano ritrovati per il gruppo controllo a 40 giorni circa e per quello terapia a 22 giorni. Una migliore ripresa dell’articolarità e della forza veniva evidenziata, nella fase di decremento circonferenziale, tra il 5 e 7 giorno, non evidenziabile nel gruppo controllo. Il dolore misurato con la VAS può essere diviso in tre fasi, la prima più elevato nel post-operatorio decremento rapido nel 2-3 giorno e di riduzione costante dal 5 in poi, maggiore se paragonato al gruppo controllo.

Conclusioni: Nessun effetto collaterale è stato evidenziato, mentre già dai primi giorni grazie ad un riassorbimento più ra-pido abbiamo ottenuto un miglior recupero in termini di articolarità forza e dolore. Riteniamo quindi questo farmaco utile dopo una Ptg grazie alla sua provata azione di riassorbimento precoce dell’edema-versamento oltre che antinfiammatoria e anti-trombotica.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 193

P4.10Ruolo della patelloplastica nella protesi totale di ginocchio: outcome clinico e funzionalePierluigi Antinolfi1, Francesco Manfreda2, Giovanni Colleluori2, Auro Caraffa1,2

1Clinica Ortopedica, AO SM della Misericordia, Perugia2Clinica Ortopedica, Università degli Studi di Perugia, Perugia

Introduzione: La protesizzazione della rotula ha importanti evidenze di efficacia in casi di artrosi femoro rotulea conclamata ma ciononostante, nel mondo, e soprattutto in Italia, è una pratica raramente utilizzata e raramente preferita dai chirurghi. Ancor più dibattuto diventa il trattamento riservato alla rotula nei casi di artrosi femoro-rotulea modesta o di basso-medio grado. In queste condizioni, i chirurghi molto spesso si trovano davanti a due strade differenti: la patelloplastica o il rispar-mio rotuleo con la sola denervazione.

Materiali e metodi: È stata eseguita una comparazione tra due gruppi di pazienti: in particolare, pazienti che nell’intervento di protesizzazione femorale e tibiale hanno subito la plastica completa della rotula sono stati confrontati dal punto di vista funzionale con pazienti che durante l’intervento hanno subìto un trattamento pressoché conservativo, “risparmioso”, della rotula. Il nostro obiettivo è stato quello di indagare, tramite test statistici di significatività, la differenza tra queste due scelte in termini di confronto tra i miglioramenti specifici. Il confronto, ad oggi, è stato eseguito sia tramite un follow-up, a brevissi-mo termine, 3 mesi, con valutazione del KSS pre-operatoria e post-operatoria ed una valutazione nel breve-medio termine, 1 anno, facendo un calcolo di significatività tra i miglioramenti che si sono riscontrati nel corso del tempo nei 2 gruppi.

Risultati: La valutazione clinico-funzionale, eseguita tramite somministrazione del KSS-Function nel pre-operatorio, a 3 mesi e ad 1 anno ha mostrato nel complesso dei miglioramenti importanti per entrambi i gruppi; sebbene la differenza tra questi confronti non abbia dato significatività statistica, abbiamo potuto evidenziare che la patelloplastica ha mostrato una crescita più graduale rispetto al gruppo di controllo, ma progressivamente lineare nel corso dei mesi, con un risultato ad un più lungo follow-up maggiore rispetto al controllo. Invece il gruppo di controllo ha avuto una crescita non lineare con un netto miglioramento nei primi 3 mesi per poi rallentare la crescita in seguito.

Conclusioni: I risultati del nostro studio non sono in grado di redimere i dubbi riguardo il trattamento da riservare alla rotula non protesizzata nelle artroprotesi di ginocchio. Tuttavia, nonostante la mancata significatività statistica nella comparazione dei miglioramenti clinico-funzionali per pazienti sottoposti a patelloplastica rispetto ad un gruppo di controllo, abbiamo potuto osservare che probabilmente, ad un più lungo follow-up, la patelloplastica rispetto al risparmio della rotula può rappresentare una condizione favorente migliori risultati a lungo termine.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 194

P4.11La protesi di ginocchio negli esiti traumaticiClaudio Carlo Castelli, Daniele Antonio Falvo, Valerio Gotti Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo

Fra le complicanze delle fratture articolari del ginocchio certamente non va sottovalutata la possibile evoluzione artrosica. Nel trattamento di questa complicanza è possibile ricorrere ad un intervento di protesi totale di ginocchio. La difficoltà nel compiere questo tipo di intervento negli esiti traumatici può essere legata alla presenza di pregresse cicatrici, la rimozione dei mezzi di sintesi, eventuali pregresse infezioni, vizi di consolidazione, difetti ossei, rigidità o lassità articolare.

Sono stati considerati 18 pazienti trattati per protesi totale del ginocchio in esiti di frattura dal 2004 al 2014 presso l’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. L’età media all’intervento era 64 anni (48-85), il tempo intercorso fra frattura e protesizzazione è stato in media di 11 anni (1-29). In 3 casi la frattura inte-ressava il femore, in 14 casi la tibia e in un caso entrambi. Due fratture erano extra-articolari, 13 articolari e 3 sia intra che extra-articolari. I pazienti sono stati rivalutati attraverso i controlli annuali di routine, utilizzando la valutazione radiografica e le schede della Knee Score Society (KSS).

All’ultimo controllo due pazienti erano deceduti per cause non imputabili all’intervento, per i restanti il follow-up medio è stato di 76 mesi (10-123). In tutti i pazienti è stato ripristinato un corretto asse dell’arto rientrando nel range 180° ± 3°. Non si sono verificate complicanze settiche, non si sono verificate lesioni dell’apparato estensore. I risultati delle schede KSS sono stati: • per lo score clinico da 26 ± 8 a 90 ± 6 postoperatorio; • per lo score funzionale 40 ± 10 a 92 ± 7 postoperatorio. L’escursione articolare media è passato dai 102° ai 114° postoperatori.

La gestione delle deformità, nella nostra esperienza, è stata possibile mediante le resezioni ossee e il corretto release lega-mentoso, non sono state necessarie osteotomie né intra né extra articolari per la correzione delle deformità. Questo con-corda con la letteratura che indica questa tecnica utilizzabile per deformità sino a 20° di varo per il femore e a 30° di varo per la tibia. Particolare attenzione è stata riservata alla gestione della cute in relazione all’impiego della pregressa cicatrice. La letteratura, e la nostra esperienza, confermano che e la variabilità delle condizioni di ogni singolo paziente richiede una pianificazione accurata e un approccio personalizzato ad ogni singolo paziente. La tecnica è comunque complessa, con numerose variabili, che va riservata a mani esperte e centri specializzati. Il paziente va informato del possibile miglioramento della sua qualità di vita e del miglioramento funzionale del suo ginocchio. Va però anche informato che i risultati attesi sono inferiori e con più possibilità di complicanze rispetto alla PTG eseguita per osteoartrosi primaria

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6° CONGRESSO NAZIONALE 195

P4.12Valutazione del dolore postoperatorio dopo artroprotesi di anca e ginocchio in un setting di riabilitazione intensivaRaffaella Gnes, Silvia Muscari, Federica Parisini, Alessandro Zati, Carlo Bellabarba, Silvia Bonfiglioli Stagni, Maria Grazia Benedetti S.C. Medicina Fisica e Riabilitativa Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: La gestione del dolore postoperatorio a seguito di artroprotesi di anca e di ginocchio rappresenta una criticità: il dolore è severo e la popolazione di pazienti di età avanzata è affetta da comorbidità che limitano l’impiego di farmaci analgesici. La presenza di dolore limita la mobilizzazione precoce e il recupero del ROM completo, ritardando il raggiungi-mento degli obiettivi riabilitativi e la dimissione del paziente. Il danno tissutale dato da questi interventi causa alterazioni a livello del sistema nervoso centrale, periferico, simpatico ed endocrino. È di comune accordo che l’approccio più adeguato sia rappresentato dall’analgesia multimodale che inizia da una corretta gestione del paziente prima dell’ingresso in sala op-eratoria. Mentre la letteratura fornisce maggiori dati circa la gestione del dolore nelle 72 ore dopo l’intervento, scarse sono le indicazioni specifiche circa il trattamento del dolore nelle successive giornate di degenza, quando il paziente è ricoverato in un setting riabilitativo. Le linee guida OMS forniscono indicazioni sull’utilizzo degli antalgici in base all’entità del dolore.Al fine di ottimizzare la gestione del dolore presso la nostra struttura abbiamo effettuato un monitoraggio dell’andamento del sintomo dalla 4° alla 15° giornata postoperatoria.

Materiali e metodi: Sono stati raccolti i dati relativi a NRS di 35 pazienti sottoposti a protesi primaria di anca e 35 pazienti sottoposti a protesi primaria di ginocchio. Il valore di NRS è stato raccolto dalle 3 rilevazioni infermieristiche quotidiane (mattino, pomeriggio e sera) e dalla rilevazione effettuata dai fisioterapisti durante le sedute di trattamento per tutta la du-rata della degenza. I dati raccolti sono stati elaborati calcolando il valore medio di NRS e la relativa deviazione standard di tutti i pazienti per tutte le misurazioni effettuate e sottoposti ad analisi statistica.

Risultati: Dallo studio sono emerse le seguenti informazioni: 1) Il dolore medio non supera generalmente il valore di NRS 3 sia nelle protesi di anca che di ginocchio con picchi individuali e occasionali fino a 8. 2) L’andamento del dolore va riducen-dosi, tra la 4a e 15a giornata post-operatoria. In particolare: I pazienti operati di protesi anca presentano in 1a giornata NRS medio: 1,9, STD ± 1,7 e picco massimo NRS = 8, in 15a giornata NRS = 2 STD ± 1,4 e picco massimo della giornata NRS = 4. I pazienti operati di protesi di ginocchio presentano in 1a giornata NRS medio: 2, 5, STD ± 1,8, con picco massimo NRS = 7, mentre in 15a giornata NRS = 1,3, STD ± 0.8, con picco massimo di 3. 3) I pazienti, intervistati dai terapisti, non riferiscono incremento del dolore durante il trattamento, per cui è inutile, se non in pochi casi, utilizzare l’antalgico fisso prima della seduta. 4) Gli schemi di terapia analgesica, come da linee guida, sono generalmente efficaci nel controllo del dolore.

Conclusioni: Il dolore dalla 4a giornata postoperatoria in regime di riabilitazione intensiva è generalmente lieve con picchi occasionali di dolore moderato e raramente severo e non aumenta durante le sedute di riabilitazione. La terapia farma-cologica è generalmente efficace nel controllo del dolore anche se si ritiene necessaria la rilevazione del dolore a breve distanza dalla somministrazione del farmaco.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 196

P4.13Critical shoulder angle e acromion index. Due parametri utili per la pianificazione di una protesi totale di spalla?Stefano Marenco1, Lorenzo Mattei2, Michel Calò2, Lorenzo Canata1, Enrico Bellato2, Filippo Castoldi2

1II Clinica Ortopedica, CTO, Città della Salute e della Scienza, Torino2SC Ortopedia e Traumatolgia, AOU San Luigi Gonzaga, Orbassano (TO)

Scopo dello Studio: L’impianto di protesi totale inversa di spalla (RSA) e di protesi totale anatomica (TSA) sono interventi sempre più comuni ma sono ancora pochi i parametri a disposizione dei chirurghi per pianificare il corretto posizionamento delle componenti così da migliorarne l’outcome. Il critical shoulder angle (CSA) e l’acromion index (AI) sono due parametri utili per valutare l’associazione fra una determinata caratteristica anatomica individuale e la predisposizione a sviluppare una patologia degenerativa di spalla, valutandone indirettamente le caratteristiche biomeccaniche. Ci siamo chiesti se questi parametri possano essere misurati e utilizzati in fase preoperatoria per migliorare l’outcome dell’impianto protesico.

Materiali e metodi: Per il presente studio clinico retrospettivo sono stati arruolati 50 pazienti 9 sottoposti a TSA e 41 a RSA, con un follow up minimo di 12 mesi e massimo di 36, escludendo i pazienti sottoposti a impianto protesico su frattura o affetti da malattie infiammatorie croniche. Le misurazioni dell’AI e CSA sono state effettuate su RX in AP vera pre-op e post-op e in seguito correlati al Constant-Murley Score (CS) modificato compilato durante la visita di follow-up.

Risultati: Sia l’AI che il CSA nel gruppo delle TSA hanno confermato che un impianto anatomico non modifica il rapporto tra glena e acromion. Il campione in esame è stato esiguo e purtroppo non si sono dimostrati essere valori statisticamente significativi (p > 0,05). Il CSA pre-op e post-op misurato nelle RSA non ha dimostrato variazioni, statisticamente significative e senza correlazione con i diversi valori del CS rilevati. Per quanto riguarda l’AI nelle RSA è emerso in maniera statisticamen-te significativa (p < 0,05) che i pazienti con AI post op tra 0,7 e 0,6 hanno un CS post operatorio migliore di circa 11 punti rispetto ai pazienti con AI > 0,7. Se confrontati con i pazienti con AI < 0,6, non vi è purtroppo una differenza statisticamen-te significativa del CS. Inoltre, nelle RSA, un valore di AI < di 0,6 o > di 0,7 non è correlato con una miglior CS (p ≤ 0,05)

Discussione: Premettendo che ulteriori studi con campioni più numerosi dovranno essere condotti in questa direzione, ab-biamo concentrato le nostre valutazioni sul gruppo RSA in quanto per le TSA non abbiamo misurato risultati statisticamente significativi. Questo modello protesico modifica minimamente il CSA ma interviene sulla lateralizzazione dell’omero facendo quindi diminuire l’AI. Questo sembra essere correlato con una miglior funzione protesica, come confermato dal CS, ma solo all’interno di un intervallo, al di sotto e al di sopra del quale non si hanno vantaggi funzionali. I nostri dati sembrano quindi evidenziare che nelle RSA un valore di AI tra 0,7 e 0,6 porti ad una migliore funzionalità della protesi. Quindi l’incremento,o se necessario la diminuzione dell’AI in una RSA, potrebbe essere un parametro utile in fase di pianificazione della stessa, aiutando il chirurgo nel posizionamento delle componenti protesiche.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 197

P4.14Risultati clinici e radiografici delle artroprotesi primarie di ginocchio nei pazienti over 80Fabio Conteduca, Valerio Andreozzi, Piergiorgio Drogo, Raffaele Iorio, Andrea Ferretti UOC Ortopedia e Traumatologia, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Università “La Sapienza”, Roma

Introduzione: La popolazione ottuagenaria rappresenta ad oggi più dell’1% del totale della popolazione mondiale. Questo, insieme al crescente utilizzo dell’intervento di protesi totale di ginocchio, ha accresciuto l’interesse verso una più chiara conoscenza dei rischi età correlati di questo intervento di chirurgia di elezione.L’obiettivo primario del nostro studio retrospettivo è quello di valutare se e in quale misura i pazienti con più di 80 anni di età possano beneficiare dell’intervento di protesi di ginocchio e se questa procedura sia correlata con un maggior tasso di complicanze postoperatorie.

Metodi: Abbiamo valutato retrospettivamente 70 pazienti con più di 80 anni di età (range da 80 a 92 anni) sottoposti ad intervento di protesi totale di ginocchio confrontandoli con controlli di età inferiore ai 75 anni (range da 45 a 74 anni). Per ogni paziente abbiamo analizzato punteggi clinici quali il WOMAC, KSS e KSFS, il grado di articolarità, l’allineamento radiologico, la degenza ospedaliera ed il tasso di complicanze postoperatorie. L’analisi statistica è stata condotta mediante l’utilizzo di GraphPPad Prism e IBM SPSS Statistics.

Risultati: Al follow-up finale, comparandoli con i punteggi preoperatori, entrambi i gruppi di pazienti hanno presentato eccellenti miglioramenti in termini di punteggi quali WOMAC, KSS, KSFS (p < 0,0001). Tra i due gruppi nessuna differenza statisticamente significativa è stata riscontrata in merito alla degenza ospedaliera, il grado di articolarità e dei parametri di allineamento delle componenti. Le complicanze cardiovascolari postoperatorie sono risultate essere maggiori nei pazienti ottuagenari (19% contro 7%, p = 0,0749) come anche il tasso di emotrasfusioni (39% contro 14%, p = 0,0011).

Conclusioni: Le complicanze postoperatorie sono emerse esser superiori particolarmente in quei pazienti presentanti comor-bidità rilevanti antecedenti l’intervento. In accordo con la letteratura recente, descriviamo buoni outcome clinici nei pazienti ottuagenari operati di protesi totale di ginocchio. Consideriamo quindi la procedura sicura se eseguita in seguito ad una accurata analisi preoperatoria.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 198

P4.15Il ruolo dell’impianto glenoideo nella protesi inversa di spalla. Studio clinico e radiologicoAngelo De Carli, Alessandro Ciompi, Antonio Pasquale Vadalà, Lorenzo Proietti, Edoardo Gay, Riccardo Maria Lanzetti, Andrea Ferretti Ospedale Sant’Andrea, Roma

Introduzione: Nessuno studio è stato condotto sulla valutazione del posizionamento dell’impianto glenoideo e il relativo out-come clinico. Scopo di questo lavoro è stato quello di trovare delle correlazioni tra il posizionamento dell’impianto gle-noideo (misurando la medializzazione del centro di rotazione, la distalizzazione dell’omero, la versione del base-plate sul piano assiale), i risultati clinici e l’articolarità.

Metodi: Sono stati retrospettivamente reclutati 30 pazienti, sottoposti ad intervento di protesi inversa di spalla dal 2010 al 2014 (T0). Tutti erano in possesso di esami Rx e Tc prima dell’intervento e sono stati sottoposti al medesimo intervento chirurgico. Ad almeno 1 anno dopo l’intervento i pazienti sono stati sottoposti a una valutazione clinica (T1) con l’intento di valutare l’articolarità in intra- ed extra-rotazione e il loro out-come clinico attraverso Constant Score. Al tempo del follow-up tutti i pazienti sono stati sottoposti a una valutazione radiologica. La radiologia convenzionale e stata utilizzata per valutare la medializzazione del centro di rotazione (m.c.r.) e la distalizzazione dell’omero (d.l.) in mmm, mentre la Tc è stata utilizzata per valutare se il base-plate fosse posizionato in retro-/anti-versione o in posizione neutra sul piano assiale. A T1 i pazienti sono stati stratificati in base a: 1) deficit di rotazione interna (non in grado di superare il grande trocantere); 2) deficit di extrarotazione (minore di 25° a braccio addotto 3) basso out-come clinico (Constant minore di 75). Per l’analisi statistica sono stati utilizzati: χ2 tests were used for contingency tables. One-way analysis of variance and paired student t tests.

Risultati: Dopo un follow-up medio di 29 mesi (range: 12-69 mesi), vi erano 8 uomini e 22 donne, con età media a T1 di 76,8 anni (range: 68-88). Il punteggio medio del Constant Score è stato di 76. La m.c.r. media (T0-T1) è stata di 12,29 mm (p 0,015) mentre la d.l. (T0-T1) è stata di 17,23 mm (p 0,030). Il base-plate è stato posizionato: retroverso in 8 pts; in posizione neutra in 9 pts e retroverso in 10 pts. Abbiamo trovato come il 100% dei pazienti con una medializzazione compresa tra 8 e 12 mm e una distalizzazione compresa tra 15 e 20 mm abbiano avuto più di 75 punti al Constant Score, mentre i pazienti al di fuori di questo range (69%) abbiano avuto meno di 75 punti (p 0,002). Inoltre l’87% di pazienti con antiversione del base-plate ha mostrato un deficit di extrarotazione (p 0,007), il 100% dei pazienti con antiversione del base-plate ha mostrato un deficit di intrarotazione (p 0,000), mentre l’88% dei pazienti con posizionamento neutro non ha mostrato deficit di rotazione (p 0,007).

Conclusioni: In questo studio abbiamo dimostrato come una medializzazione del centro di rotazione compresa tra 8 e 12 mm e una distalizzazione dell’omero compresa tra 15 e 20 mm diano risultati clinici significativamente migliori e come la versione del base-plate sul piano assiale possa essere strettamente correlata con il successivo deficit in intra- o extra-rota-zione.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 199

P4.16La configurazione dei gaps in flessione ed estensione nelle revisioni di protesi totale di ginocchioAndrea Baldini1, Alfredo Lamberti1, Giovanni Balato1, Francesco Traverso2, Pierpaolo Summa1

1I.F.C.A., Firenze 2Istituto Clinico Humanitas, Rozzano

Introduzione: Il bilanciamento dei gaps è un momento cruciale nelle revisioni di protesi totale di ginocchio. La mancata corrispondenza dei gaps in flessione ed estensione può essere affrontata con diverse soluzioni tecniche, tra cui il ricorso a componenti protesiche modulari. L’obiettivo del presente studio è stato quantificare il mismatch dei gaps in flessione ed estensione nelle revisioni di protesi totale di ginocchio.

Metodi: Da gennaio 2006 ad aprile 2016 abbiamo misurato i gaps in flessione ed estensione, nei comparti mediale e lat-erale, in 65 revisioni di protesi totale di ginocchio. Le misurazioni sono state effettuate con apposito strumento tensionatore dopo rimozione delle componenti e debridement dei tessuti molli. Nel 26% dei casi si è trattato di revisioni settiche. In tutti i casi è stato utilizzato un approccio pararotuleo mediale standard. Sono stati esclusi i casi con insufficienza dell’apparato estensore.

Risultati: I valori medi dei gaps sono stati 27,5 mm (range: 12-52) in estensione e 31,37 mm (range: 16-55) in flessione. Nell’87% dei casi il gap in fessione è risultato maggiore del gap in estensione, in media di 5 mm (range 2-15 mm). In un solo caso il gap in estensione è risultato maggiore del gap in flessione, mentre in 5 casi è stata osservata corrispondenza dei gaps. La simmetria degli spazi in medio-laterale si è avuta solo nel 17% dei casi. Il gap mediale è risultato maggiore del laterale nel 46% dei casi, mentre nel 37% dei casi il gap laterale è risultato maggiore del mediale.

Conclusioni: Nelle revisioni di protesi totale di ginocchio, lo scenario più frequente è quello in cui si osservano gaps ampi in flessione e normali in estensione. Nel secondo scenario più frequente si osservano gaps molto ampi in flessione ed ampi in estensione. Più raramente si osservano corrispondenza dei gaps o gap in estensione maggiore di quello in flessione.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 200

RICERCA

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6° CONGRESSO NAZIONALE 201

P5.1Le onde d’urto nei postumi dolorosi di coxite settica: presentazione di un caso clinico e razionale terapeuticoMaurizio Gallo1, Tibalt Elisabetta2, Respizzi Stefano3, Antonino Michele Previtera4, D’Agostino Maria Cristina2

1Università degli Studi di Milano, 2Centro Terapia e Ricerca Onde d’Urto, Humanitas Research Hospital, Humanitas University, Rozzano (MI)3Humanitas Research Hospital, Humanitas University, Rozzano (MI)4Direttore Scuola di Specializzazione Medicina Fisica Riabilitativa, Univesità degli Studi di Milano, Milano

Le Onde d’Urto focalizzate (OUf) costituiscono un’importante risorsa terapeutica in ambito ortopedico e riabilitativo, in grado di interferire positivamente con i processi di rimodellamento e rigenerazione di molti tessuti. Trattasi di stimolazioni acustiche (energia meccanica), in grado di attivare risposte biologiche (meccanotrasduzione), che si traducono in una mo-dulazione dell’attività biochimica dei tessuti, me diata dalla componente cellulare (principalmente produzione di fattori di crescita ed attivazione enzimatica). Negli anni più recenti, oltre alle note applicazioni nelle tendinopatie e disturbi della con-solidazione ossea, le OUf hanno acquisito interessante indicazione anche nelle patologie vascolari dell’osso (osteonecrosi, edema osseo e sindromi correlate). L’eziopatogenesi dell’edema osseo è ancora argomento di speculazione scientifica; è da considerarsi una risposta aspecifica dell’osso ad una noxa esogena (traumatica, metabolica, infettiva), con conseguente attivazione anomala (up-regulation) del turnover osseo locale, caratterizzato da iperafflusso ematico midollare ed accumulo di fluidi interstiziali, con possibile evoluzione osteonecrotica. Recenti studi avrebbero evidenziato l’effetto terapeutico delle OUf in corso di edema osseo subcondrale, per possibile “reset” del turnover osseo alterato e ripristino dell’omeostasi tissu-tale, verosimilmente per azione prostaciclino-simile. Presentiamo a tale proposito il caso clinico di una paziente di 23 anni, giunta alla nostra osservazione per severa coxite settica da Brucella Melitensis (esame colturale del liquido sinoviale e siero reazione di Wright positivi). Il quadro clinico all’e-sordio era caratterizzato da grave deficit deambulatorio e funzionale, febbre e rialzo degli indici flogosi (PCR 20). La terapia antibiotica mirata (Rifampicina+Doxiciclina per 7 settimane) sortiva la guarigione dal punto di vista sierologico, con parzia-le remissione dei sintomi clinici locali. Persistendo pero’ severa coxalgia, veniva eseguita una RMN, che rivelava la presenza di edema osseo subcondrale di testa e collo femorali, versamento articolare e della loggia pelvi-trocanterica. La paziente veniva pertanto sottoposta a trattamento con OUf, sotto controllo ampliscopico e guida ecografica (Modulith SLK, StorzMe-dical), con protocollo “intensivo” (12.000 colpi/seduta su aree diverse di interesse patologico osseo, EnergyFluxDensitymax 0,60 mJ/mm2), ripetuto in due sessioni con intervallo di 35 giorni. Sono stati valutati VAS, Harris Hip Score (HHS) ed RMN, prima della terapia e dopo sette mesi di followup. Il miglioramento clinico, obbiettivato da riduzione di VAS (da 9,1 a 5,2) ed HHS (da 33,8 a 51), veniva confermato dal riassorbimento completo (RMN) dell’edema osseo e del versamento della muscolatura pelvi-trocanterica.Le OUf rappresentano un’interessante strategia terapeutica anche in casi clinici complessi, caratterizzati da sindromi do-lorose persistenti, correlate ad edema osseo subcondrale. Risultano importanti ai fini del successo terapeutico: un corretto inquadramento clinico – diagnostico e l’intervento di personale medico competente, con strumentazioni adeguate per il tipo di trattamento indicato.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 202

P5.2L’ipossia chimicamente indotta aumenta l’espressione di marker di staminalità in colture primarie di cellule staminali tendinee della cuffia dei rotatori, prevenendone il differenziamento in vitroAlessandra Menon1, Francesca Calabretto2, Pasquale Creo1, Alberto Tassi3, Luigi Anastasia1, Pietro Randelli4

1IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese 2Università degli Studi di Milano, Milano 3Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano 4Unità Ortopedia II, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese

Introduzione: Nonostante il notevole miglioramento e l’evoluzione delle tecniche chirurgiche che ha riguardato la chirurgia della spalla negli ultimi decenni, si osserva ancora un elevato numero di casi di fallimento della riparazione chirurgica della cuffia dei rotatori. Di recente la ricerca nell’ambito delle cellule staminali si è focalizzata sullo studio dei meccanismi di rigenerazione tissutale, volta all’individuazione di nuovi metodi per migliorare ed accelerare la guarigione tendinea. Tuttavia lo studio e l’impiego di cellule staminali adulte presentano dei limiti determinati dal numero esiguo di cellule che possono essere isolate da campioni bioptici e dalla difficoltà dell’espansione cellulare in vitro. Inoltre le cellule staminali adulte ten-dono a perdere rapidamente la loro capacità proliferativa con i vari passaggi, diventando senescenti. Alla luce di quanto detto, gli sforzi dei ricercatori sono volti alla ricerca di nuovi sistemi per espandere le cellule staminali in vitro senza perderne le potenzialità. L’obiettivo di questo studio è stato valutare gli effetti della Dimetiloxalilglicina (DMOG), una molecola in grado di simulare chimicamente una condizione di ipossia a livello cellulare, su cellule staminali tendinee umane (hTSCs) isolate dalla cuffia dei rotatori. Il DMOG potrebbe riprodurre una condizione simile a quella della nicchia ipossica, nella quale normalmente risiedono le cellule staminali, preservandone quindi la staminalità in vitro.

Metodi: Le hTSCs, isolate da campioni bioptici prelevati da tendine sovraspinato durante l’intervento chirurgico di ripara-zione della cuffia dei rotatori, sono state messe in coltura in un medium contenente DMOG a diverse concentrazioni e con-frontate con cellule di controllo non trattate con DMOG per studiarne la capacità di proliferazione, l’espressione dei marker tendinei e di staminalità e la capacità di differenziamento verso la linea osteogenica ed adipogenica.

Risultati: Le hTSCs trattate con DMOG presentano un aumento dell’espressione dei marker di staminalità e una riduzione dei marker di differenziamento tendineo. Inoltre, la presenza di DMOG nel mezzo di coltura inibisce in modo reversibile il differenziamento osteogenico e adipogenico delle hTSCs.

Conclusioni: Il DMOG potrebbe diventare un elemento fondamentale del medium di coltura in grado di preservare la stami-nalità cellulare durante la fase di espansione in vitro, consentendo di raggiungere facilmente un adeguato numero di cellule staminali da utilizzare nella pratica clinica, per favorire la rigenerazione tendinea della cuffia dei rotatori.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 203

P5.3Effetto dell’invecchiamento sul tendine e sui tenociti umani: implicazioni morfologiche e funzionaliNicoletta Gagliano1, Alessandra Menon2, Paola Chieppi3, Filippo Randelli4, Davide Cucchi5, Federico Cabitza6, Alberto Tassi7, Pietro Randelli5

1Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano, Milano2IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese3Università degli Studi di Milano, Milano4Unità Ortopedia V, 5Unità Ortopedia II, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese6Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Comunicazione, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Milano7Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano

Introduzione: L’aumento età-correlato dell’incidenza delle patologie tendinee ha suggerito che il processo dell’invecchia-mento potrebbe modificare la struttura e le proprietà biomeccaniche del tendine. Studi in letteratura hanno descritto una ridotta proliferazione dei tenociti e modificazioni del turnover della matrice extracellulare (ECM) nei soggetti anziani. Tutta-via, i dati sono spesso incompleti e discordanti. Scopo di questo studio è stato quello di caratterizzare l’effetto dell’invecchia-mento sul tendine e sui tenociti umani, con particolare attenzione al turnover del collagene, che rappresenta il principale componente della ECM del tendine.

Metodi: Sezioni di tendini dei muscoli gracile e semitendinoso di femmine sane adulte (età media 54,4 ± 7) e anziane (età media 73,9 ± 7,2) sono state incluse i n paraffina e colorate con ematossilina-eosina, rosso Sirius e Alcian blu. Le valutazioni molecolari sono state svolte su tenociti ottenuti dagli stessi soggetti. L’espressione della lisil idrossilasi 2b (LH2b) e dell’inibitore delle metalloproteinasi 1 (TIMP-1) è stata analizzata mediante real time PCR, mentre l’espressione del col-lagene di tipo I e III (COL-I e COL-III) e della metalloproteinasi 1 (MMP-1) è stata quantificata mediante slot blot. L’attività della metalloproteinasi 2 (MMP-2) è stata valutata mediante zimografia. Il citoscheletro e la migrazione cellulare sono stati analizzati, rispettivamente, mediante microscopia a fluorescenza e wound healing assay.

Risultati: I nostri dati mostrano che la struttura e la composizione della ECM del tendine non sono modificate dall’invecchia-mento. L’espressione di COL-I e -III, come anche i pathway di degradazione del collagene, sono risultati simili nei tenociti ottenuti da tendini di soggetti adulti ed anziani, mentre è stata evidenziata una down-regolazione età-dipendente della LH2b. Questo dato suggerisce che i meccanismi di turnover del collagene sono preservati nei soggetti anziani, ma la ridotta espressione della LH2b potrebbe essere responsabile di una minore stabilità del collagene stesso e, quindi, di un’alterazione delle proprietà biomeccaniche del tendine del soggetto anziano. L’analisi al microscopio a fluorescenza ha rivelato che i filamenti di actina nei tenociti dei soggetti anziani sono occasionalmente più corti e distribuiti in modo disordinato, sugge-rendo una ridotta capacità di formare adesioni focali e, quindi, una ridotta motilità. Tale ipotesi è supportata dal risultato del wound healing assay, che evidenzia una ridotta migrazione dei tenociti dei soggetti anziani.

Conclusioni: I risultati di questo studio suggeriscono che l’invecchiamento non modifica la struttura del tendine e i mecca-nismi responsabili del turnover del collagene. Tuttavia, le modificazioni osservate a carico dei filamenti di actina potrebbero rendere meno efficiente il meccanismo di meccanotrasduzione che permette ai tenociti di rimodellare la ECM in risposta a variazioni del carico di lavoro a cui sono sottoposti e, quindi, di adattarsi alle diverse richieste funzionali. Tali alterazioni citoscheletriche, compatibili con una ridotta motilità, potrebbero rendere i tenociti dei soggetti anziani meno efficienti nei meccanismi di riparazione del tendine, favorendo lo sviluppo di tendinopatie.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 204

P5.4Riparazione condrale con frammenti di cartilagine e ambiente ipossico intrarticolare: studio in vitroAntongiulio Marmotti1, Silvia Mattia1, Giuseppe M. Peretti2, Davide Edoardo Bonasia1, Matteo Bruzzone1, Federico Dettoni1, Davide Blonna1, Roberto Rossi1, Filippo Castoldi1

1Università degli studi di Torino, Torino2IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi, Milano

Il microambiente ipossico simile alle condizioni della superficie articolare aumenta in vitro il fenotipo condrocitario delle cellule migrate dai frammenti condrali, avvalorando il framento condrali come possibile fonte cellulare per la riparazione cartilaginea one-stage

Introduzione: I frammenti di cartilagine sono una sorgente cellulare promettente per la riparazione cartilaginea one stage. Tuttavia il microambiente intrarticolare è ipossico e in letteratura ci sono scarse evidenze riguardo al comportamento dei frammenti di cartilagine in ambiente ipossico. Lo scopo dello studio è di valutare se l’ipossia possa influenzare la migrazione di condrociti dai frammenti verso lo scaffold (a. ialuronico/ fibrina) e il comportamento delle cellule in migrazione rispetto a quello che si può osservare in ambiente normossico. Tale studio ha rilevanza clinica nella prospettiva di una applicazione di tale tecnica one-stage a livello clinico

Metodi: Costrutti con frammenti di cartilagine da 20 donatori umani sono stati preparati distribuendo i frammenti in HYAFF-11 e stabilizzandoli con colla di fibrina commerciale (Tisseel). Tali costrutti sono stati coltivati in ambiente normos-sico e ipossico (10% O2) con mezzo di coltura standard (DMEM-high-glucose - 4500 mg/l - with 10% fetal-bovine-serum). Dopo 1 mese i costrutti sono stati sezionati e colorati con ematoss./eosina e Safranin-O ed è stato eseguito il conteggio cel-lulare; mediante immunofluorescenza è stata valutata l’espressione di markers condroditari (SOX9, collagen-II, collagen-I), ipossici (HIFs) e proliferativi (beta-catenin, PCNA)

Risultati: Le cellule migrate hanno mostrato fenotipo affusolato vicino ai frammenti e più tondeggiante all’interno della matrice dello scaffold. È stata osservata una lieve diminuzione della migrazione e della proliferazione condrocitaria in am-biente ipossico, non statisticamente significativa. Al contrario, è stata osservata espressione di SOX9, beta-catenin, HIFs, collagen-II (p < 0,05) nei condrociti migrate all’interno delle colture ipossiche.

Discussione e conclusioni: La condizione ipossica sembra promuovere il fenotipo condrocitario nelle cellule migrate dai frammenti di cartilagine verso lo scaffold di HA/fibrina. L’ipossia, inoltre, non ostacola l’abilità di migrazione dei condrociti né i meccanismi biologici utilizzati dai condrociti per realizzare la migrazione cellulare e la colonizzazione dello scaffold cir-costante. Tale studio è clinicamente rilevante nell’ottica di validare la tecnica di riparazione one-stage mediante frammenti di cartilagine veicolati in scaffold composito

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6° CONGRESSO NAZIONALE 205

P5.5Cellule mesenchimali da cordone ombelicale: candidate potenziali per l’ingegneria tissutale di osso e cartilagine?Antongiulio Marmotti1, Giuseppe M. Peretti2, Davide Edoardo Bonasia1, SIlvia Mattia1, Matteo Bruzzone1, Federico Dettoni1, Davide Blonna1, Federica Rosso1, Roberto Rossi1, Filippo Castoldi1

1Università degli Studi di Torino, Torino 2IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi, Milano

Le cellule mesenchimali derivate da frammenti di stroma cordonale e coltivate in scaffold tridimensionale rappresentano un’alternativa promettente per la riparazione cartilaginea e ossea in ingegneria tissutale di ambito ortopedico.

Introduzione: Mediante un protocollo semplice e efficiente basato sulla frammentazione del cordone ombelicale (UC), è stato isolato un considerevole numero di cellule mesenchimali (MSC). Lo scopo di questo studio in vitro è indagare la pluri-potenzialità, in particolare il potenziale osteogenico e condrogenico, delle UC-MSC sia in monolayer sia su scaffold tridimen-sionale, nell’ottica di identificare una potenziale rilevanza per i pazienti che necessitano di trattamento con cellule staminali

Metodi: 10 campioni di UC sono stati recuperati durante parti cesarei, sono stati manualmente frammentati in unità da < 4 mm diametro e coltivati in MSC expansion medium. Al 14° giorno I frammenti di UC sono stati rimossi e le cellule aderenti a piastra sono state coltiva te per ulteriori 2 settimane. Al 28° giorno le cellule sono state ripiastrate fino a confluen-za (P1). È stata eseguita caratterizzazione immunofenotipica, Fluorescence In Situ Hybridization (FISH), telomere length analysis, immunosoppressione di colture di linfociti T e differenzazione multilinea su cellule a P1 o P2. Per il differenziamen-to condrogenico su scaffold, le UC-MSC a P2 sono state distribuite su hyaluronic-acid (HA) felt (Hyaff-11) o collagen-I/III membrane (Chondrogide) e stabilizzate da colla di fibrina e sono state coltivate in ambiente normossico e ipossico (10%O2). Dopo 1 mese, sulle sezioni degli scaffold, è stata eseguita immunofluorescenza per analizzare markers condrocitari (sox-9, type II collagen) e ipossici (HIFs). Per il differenziamento osteogenico le UC-MSC a P2 sono state distribuite su sostituto osseo commercial (Orthoss) e cresciute in medium osteogenico. Dopo 10, 20 e 30 giorni le sezioni sono state colorate con ematossilina/eosina e Alizarin red e in immunofluorescenza è stata valutata l’espressione di osteocalcin e RunX2.

Risultati: A P1, è stato ottenuto un valore di 0,79 (SD 0.36) x 10E6 cellule/g di UC. Le cellule erano positive per CD73, CD90, CD105, CD44, CD29 e HLA-I e negative per CD34 e HLA-II. I risultati della FISH hanno dimostrato origine fetale nel 95-100% delle UC-MSCs. La lunghezza del telomero era simile a MSC da midollo di donatore di 20-30 anni e rima-neva stabile anche dop 5 passaggi (P1-P5). A 5 gg, il supernatante delle UC-MSC esercitava azione moderatamente im-munosoppressiva su colture di linfociti T. La popolazione eterogenea di MSC da UC era capace a differenziare verso linee osteogeniche in monolayer, adipogeniche, miogeniche, tenogeniche e condrogeniche (pellet culture). Il differenziamento condrogenico su scaffold tridimensionale è stato osservato in maniera evidente e l’ipossia aumentava l’espressione dei mar-kers condrogenici. Anche il differenziamento osteogenico su scaffold tridimensionale è stato osservato in modo significativo.

Discussione e conclusioni: I risultati suggeriscono che la procedura di raccolta delle UC-MSC a P1 da frammenti di UC può ottenere una popolazione cellulare promettente con potenziale rilevante per l’ingegneria tissutale ortopedica. Tale studio ha rilevanza nell’ottica futura di ottenere una popolazione cellulare on-demand per trattamenti rigenerativi ossei e cartilaginei one-stage.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 206

P5.6Cellule da cordone ombelicale e campi magnetici pulsati: un possibile orizzonte per l’ingegneria tissutale dei tendini?Antongiulio Marmotti1, Giuseppe M. Peretti2, SIlvia Mattia1, Davide Edoardo Bonasia1, Matteo Bruzzone1, Federico Dettoni1, Federica Rosso1, Davide Blonna1, Roberto Rossi1, Filippo Castoldi1

1Università degli studi di Torino, Torino2IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi, Milano

Introduzione: La riparazione tendinea è una procedura complessa. Sia l’uso di cellule mesenchimali (MSC) sia quello dei campi magnetici pulsanti (pulsating electric magnetic field o PEMF) sono stati proposti in letteratura come strumenti in gra-do di favorire i processi riparativi. In questa prospettiva, le MSC da cordone ombelicale (UC-MSC) possono rappresentare un candidato possibile per migliorare la riparazione della cuffia dei rotatori. Lo scopo dello studio è valutare l’effetto in vitro di PEMF a bassa frequenza sul differenziamento tendineo di MSC isolate da UC, nell’ottica di ipotizzare l’uso combinato di stimoli fisici con PEMF e supplementazione cellulare mediante MSC per migliorare la riparazione tendinea (ad esempio cuffia dei rotatori, tendine di Achille).

Metodi: 10 campioni di UC sono stati recuperati durante parti cesarei, sono stati manualmente frammentati in unità da < 4 mm diametro e coltivati in MSC expansion medium. Al 14° giorno i frammenti di UC sono stati rimossi e le cellule ade-renti a piastra sono state coltivate per ulteriori 2 settimane. Al 28° giorno le cellule sono state ripiastrate fino a confluenza (P1) ed è stata eseguita caratterizzazione immunofenotipica. Per il differenziamento tenogenico, il medium era compost da DMEM, 10% FCS, 50 U/ml penicillin, 50 lg/ml streptomycin, 2 mM L-glutamine and 5 ng/ml basic fibroblast growth factor (b-FGF). Sono sotate allestite le seguenti colture:i) UC-MSCs con MSC differentiation medium + esposizione a PEMF ii) UC-MSCs con MSC differentiation medium senza esposizione a PEMFiii) UC-MSCs with MSC-grown base medium (senza b-FGF) e senza esposizione a PEMFLa stimolazione con PEMF era generata da due bobine connesse con generatore secondo parametri noti (PEMF generator system IGEA, Carpi, Italy, intensity of magnetic field = 1,5 mT, frequency = 75 Hz). Le cellule sono state sottoposte a PEMF per 4 o 8 ore al giorno. A 7, 14 e 21 giorni è stata analizzata l’apoptosi con sistema annexin V/propidium iodide ed è stata eseguita immunofluorescenza per collagen type I e scleraxis (markers di differenziamento tendineo) e PCNA (Proliferating Cell Nuclear Antigen).

Risultati: A P1 è stato ottenuto un valore di 0,79 (SD 0,36) x 10E6 cellule/g di UC. Le cellule erano positive per CD73, CD90, CD105, CD44, CD29 e HLA-I e negative per CD34 e HLA-II. Le UC-MSC in presenza di FGF-2 e PEMG hanno mostrato maggiore espressione di scleraxis e collagen type I rispetto ai controlli senza PEMF e senza PEMF e FGF-2 (p < 0,05); l’espressione di PCNA in presenza di FGF-2 era diminuita (p < 0,05) rispetto ai controlli senza PEMF e senza PEMF e FGF-2. L’esposizione a PEMF non ha influenzato la vitalità cellulare.

Discussione e conclusioni: I risultati suggeriscono che la procedura di raccolta delle UC-MSC a P1 da frammenti di UC può ottenere una popolazione cellulare promettente con potenziale rilevante per l’ingegneria tissutale del tendine. L’uso di PEMF potrebbe creare uno stimolo meccanico che sembra promuovere il differenziamento tendineo delle UC-MSC. Le osservazioni di questo studio potrebbero essere rilevanti nei confronti dell’applicazione di PEMF nella riparazione dei tendini (cuffia dei rotatori, tendine di Achille) e, in futuro, nella di stimoli fisici con PEMF e supplementazione cellulare mediante MSC come adiuvanti della riparazione tendinea.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 207

P5.7Intra-articular injection of humanized monoclonal anti-VEGF antibody in an osteoarthritis rabbit model is related to positive restorative changes on cartilageGianluca Vadalà, Fabrizio Russo, Antonino Giacalone, Rocco Papalia, Vincenzo Denaro

Department of Orthopaedic and Trauma Surgery, Campus Bio-Medico University of Rome, Rome

Introduction: Vascular endothelial growth factor (VEGF) is generally undetectable in adult human articular cartilage under physiological conditions. Upon exposure to pathological stimulation such as inflammation, hypoxia or accumulating me-chanical stress, VEGF would be up regulated in hypertrophic chondrocytes of arthritic cartilage leading to osteophyte forma-tion, disregulation of chondrocyte apoptosis and induction of catabolic factors, including matrix metalloproteinases (MMPs). This in vivo study aims to investigate the potential role of VEGF inhibition to treat Osteoarthritis (OA), through intra-articular injection of Bevacizumab, a humanized monoclonal anti-VEGF antibody, in a OA rabbit model.

Methods: OA was induced in twelve adult male New Zealand rabbits surgically by monolateral Anterior Cruciate Ligament Transection (ACLT). The rabbits were randomly divided into two equal groups (experimental and control). Intra-articular injections of Bevacizumab or saline (control) were given 4 weeks after ACLT and were administered once a week for 4 time. Animal were sacrificed at 2 and 3 month time point an knee analyzed histologically and grossly. Histopathological variables such as the number of fibroblasts and inflammatory cells, collagenous matrix deposition, synovial hyperplasia, granulation tissue formation, vascular proliferation were evaluated.

Results: The macroscopic evaluation of the knee in the experimental group revealed smooth joint surfaces of articular cartilage and no osteophyte formation compared to the control group that showed marked arthritis including synovial hy-pertrophy and osteophyte formation. Histologic assessment demonstrated, in the experimental group, significantly higher scores concerning number of microvessels, synovial hyperplasia, macrophage infiltration, collagenous matrix deposition, chondrocytes proliferation and apoptosis compared to the control group. Discussion: In conclusion, VEGF modulation via intra-articular injection of Bevacizumab in a rabbit model of knee OA, resulted in reduction of articular cartilage degeneration through setting up an appropriate environment that prevent chon-drocyte hypertrophy, apoptosis and osteophytes formation by blocking the intrinsic VEGF catabolic pathway, endochondral ossification, and the extrinsic VEGF-induced vascular invasion.

Significance: The local administration of Bevacizumab may represent a new therapeutic approach for OA.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 208

TECNOLOGIE ORTOPEDICHE

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6° CONGRESSO NAZIONALE 209

P6.1Utilizzo di un tutore elastomerico per ginocchio nelle sindromi dolorose anteriori: risultati a breve termineFrancesco Mattia Uboldi1, Paolo Ferrua2, Pietro Zedde3, Massimo Berruto2, Andrea Fabio Manunta1

1Clinica Ortopedica, AOU Sassari, Sassari 2Chirurgia del Ginocchio, I.O.G. Pini di Milano, Milano3UO Ortopedia e Traumatologia, Ospedale di Nuoro, Nuoro

L’approccio conservativo rappresenta il primo step, spesso sufficiente, al trattamento delle sindromi dolorose rotulee, per consentire il controllo del dolore e il recupero delle funzioni normali del ginocchio. A supporto del percorso riabilitativo ci si avvale spesso di bendaggi o tutori specifici. Lo scopo di questo lavoro clinico randomizzato è stato di verficare l’efficacia di una nuova ortesi attiva per il dolore anteriore a confronto con il solo percorso riabilitativo. Due gruppi di 30 pazienti, con e senza l’utilizzo della ginocchiera, sono stati valutati con follow-up massimo di 1 anno con scala specifica per la patologia (Kujala), per il dolore (VAS score), il tempo di ripresa dell’attività sportiva e nella soddisfa-zione di utilizzo dell’ortesi. Lo studio ha mostrato un miglioramento progressivo di tutti gli scores in entrambi i gruppi. La scala Kujala tra i due gruppi raggiunge una differenza statisticamente significativa (p < 0,05) a 6 mesi con 74,2 ± 7,1 punti (range 60-85) per il grup-po caso e di 70,4 ± 7,1 (56-81) per il gruppo controllo, che si annulla a 12 mesi. La scala VAS evidenzia una differenza significativa (p < 0,01) tra i due gruppi sia a 6 che 12 mesi con 0,9 ± 1,1 punti (range 0-5) per il gruppo caso e 1,9 ± 1,1 (0-5) per il gruppo controllo. Abbiamo riscontrato un più rapido ritorno allo sport nel gruppo riabilitato con la ginocchiera ed il 75% dei pazienti soddi-sfatto del suo utilizzo. Il tutore utilizzato in questo studio sembra poter rappresentare un utile ausilio nel trattamento del dolore anteriore di ginoc-chio nell’atleta permettendo un miglior controllo della sintomatologia dolorosa e un rapido ritorno alle attività.

TECNOLOGIE ORTOPEDICHE

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 210

P6.2Tecnica transibiale vs anteromediale nella ricostruzione del LCA: valutazione dei risultati a confronto con accelerometro triassiale KiRAAndrea Parente1, Paolo Ferrua1, Francesco Mattia Uboldi2, Daniele Tradati1, Eva Usellini1, Massimo Berruto1

1Chirurgia del Ginocchio, I.O.G. Pini di Milano, Milano2Clinica Ortopedica, AOU Sassari, Sassari

Obiettivo: Obiettivo dello studio è stato confrontare i risultati nella ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA) con tecnica transtibiale (TT) o tramite accesso anteromediale (AM), non solo con valutazione clinica e score funzionali ma soprattutto mediante valutazione strumentale e quantitativa tramite l’accelerometro triassiale KiRA.

Materiali e metodi: 40 pazienti sottoposti a ricostruzione del LCA con tendini gracile e semitendinoso sono stati suddivisi in due gruppi omogenei per età e sesso. Il gruppo 1 presentava un’età media di 23,6 anni mentre il gruppo 2 di 24,3 anni ed entrambi i gruppi sono stati valutati ad un follow up medio di 12 mesi (minimo 9 mesi - max 15 mesi). Nel gruppo 1 la ricostruzione è stata eseguita con tecnica transtibiale mentre nel gruppo 2 con tecnica anteromediale. I risultati sono stati valutati clinicamente (Lachman e Pivot Shift) e mediante IKDC score obiettivo e soggettivo, Tegner score ed EQ-VAS. Tali valutazioni sono state complementate dall’uso dell’accelerometro triassiale KiRA che ci ha permesso di quantificare in termini numerici il Pivot Shift.

Risultati: Ad un follow up di 12 mesi la media dello score IKDC soggettivo era nel gruppo 1 di 87.2 ± 9.1 e di 84,3 ± 8,3 nel gruppo 2. Il Tegner Activity Scale mostrava una media di 7,5 nel gruppo 1 e di 7,8 nel gruppo 2, mentre EQ-VAS era approssimabile a 0 in entrambi i gruppi. I risultati all’accelerometro triassiale KiRA mostravano un’accelerazione media di 3,1 ± 0,7 (min 1,8 max 5,1) nel gruppo 1 e di 2,9 ± 0,6 (min 2,2 max 4,4) nel gruppo 2. Le differenze nei due gruppi non sono state statisticamente significative (p > 0,05 allo Student T-test) anche se nel gruppo 2 abbiamo registrato valori numerici inferiori.

Discussione: Negli ultimi anni è stata enfatizzata la necessità, nella ricostruzione del legamento crociato anteriore di ginocchio, di una ricostruzione anatomica centrata sul footprint. Secondo la letteratura la ricostruzione tramite portale anteromediale dovrebbe consentire, rispetto alla ricostruzione transtibiale, più possibilità di una ricostruzione anatomica a prescindere dalle caratteristiche interindividuali del ginocchio, garantendo una maggiore stabilità rotazionale. Per la prima volta i risultati di due tecniche sono stati valutati sotto il profilo quantitativo mediante l’uso di un accelerometro che permette di dare un valore oggettivo al Pivot Shift e quindi alla stabilità rotatoria.

Conclusione: Il nostro studio non evidenza differenze statisticamente significative tra la tecnica AM e quella TT. Tuttavia nei pazienti operati con tecnica AM abbiamo registrato valori leggermente inferiori rispetto a quelli trattati con tecnica TT. I nostri dati consentono di concludere che i risultati delle due tecniche sono comparabili se eseguite correttamente.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 211

P6.3Il trattamento delle deviazioni assiali degli arti inferiori con fissatore esternoFabio Verdoni, Raffaele Dario D’Amato

Gaetano Pini, Milano

Le deviazioni assiali e rotatorie congenite o acquisite degli arti inferiori, se non trattate, sono causa nel tempo di danni funzionali altamente invalidanti. Molte sono le cause determinanti i difetti assiali: congenite, metaboliche, conseguenti a processi settici e tumorali, conseguenti a traumi della cartilagine di accrescimento nell’adolescente. Scopo del trattamento è non solo giungere ad un’apprezzabile risultato funzionale, ma ripristinare il corretto asse anatomico e meccanico.Negli ultimi vent’anni, si è assistito ad un progresso estremo nel campo della correzione delle deformità ossee, da Ilizarov a Paley, che circa 10 anni fa introdusse il concetto di CORA. Recente è l’introduzione di un apparato esterno circolare esapodalico, basato sull’abbinamento meccanico e informatico, dove all’ortopedico spetta la componente chirurgica, ma ad un programma software il compito di programmare le correzioni necessarie. In alternativa al trattamento con fissatore esterno, possono essere prese in considerazione tecniche chirurgiche alternative come l’epifisiodesi transitoria con cambre funzionali, l’osteotomia estemporanea e la sintesi con placche e viti. Un accurato esame clinico e strumentale è obbligatorio per definire la deformità, avvalendosi di RX, TAC e, meno frequentemente, RMN e gait analysis. La tecnica chirurgica im-piegata si basa sull’uso di sistemi di fissazione esterna assiali o circolari o anche ibridi. Tuttavia la nostra preferenza è rivolta all’uso di sistemi esterni circolari, secondo la tecnica di Ilizarov.Il primo tempo chirurgico prevede, per la gamba, l’osteotomia del perone al terzo distale e la sua fissazione mediante la transfissione con un filo di K. Nel secondo tempo si posiziona l’apparato premontato, posizionando i fili di K paralleli al piano articolari prossimale e distale. In questo modo è possibile far coincidere il punto di correzione con il CORA dove verrà eseguita l’osteotomia e, agendo sul distruttore, si effettuerà la progressiva correzione. Con fissatori assiali, dotati di morsetti regolabili, difficilmente si raggiunge lo stesso risultato, anche perché questi permettono la correzione su di un unico piano.Da circa un anno usiamo il fissatore esapodalico, evoluzione del classico fissatore circolare. È costituito da due anelli con-nessi tra di loro attraverso sei barre ed è dotato di un programma software che fornisce le istruzioni relative alla correzione, ma che possono essere in ogni momento modificate dall’ortopedico.Il trattamento delle lesioni assiali a carico degli arti inferiori negli ultimi anni ha subito un’evoluzione di procedura e di approccio tecnico. L’ortopedico ha a disposizione apparecchiature come i fissatori esterni, assiali, circolari, ibridi, che gli permettono di risolvere problematiche complesse.La nostra esperienza al riguardo è rivolta verso l’uso di fissatori circolari con metodica di Ilizarov e, più recentmente, verso quelli esapodalici che nell’insieme consentono una correzione multiplanare della deformità e la elasticità della sintesi, favo-rendo la consolidazione del sito di osteotomia e tempi ridotti di guarigione.I risultati sono sempre stati apprezzabili, non privi di complicanze, sempre risolvibili o comunque facilmente gestibili.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 212

TRAUMA SPORT

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6° CONGRESSO NAZIONALE 213

P7.1Risultati di un sondaggio on-line: modelli di pratica dei chirurghi italiani nella ricostruzione e riabilitazione del legamento crociato anterioreAlberto Vascellari1, Alberto Grassi2, Alberto Combi3, Luca Tomaello4, Gian Luigi Canata5, Stefano Zaffagnini2

1Orthopaedic and Traumatology Department, Oderzo Hospital, Oderzo22nd Orthopaedic and Traumatology Clinic, Rizzoli Orthopaedic Institute, Bologna3Orthopaedic and Traumatology Department, Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo, Pavia4Isokinetic Medical Group, Turin - Italy, 5 Centre of Sports Traumatology, Koelliker Hospital, Turin

Scopo: Lo scopo di questo studio è stato quello di riportare la scelta di gestione dei chirurghi ortopedici italiani nella ricostru-zione e nella riabilitazione del legamento crociato anteriore (LCA) e di confrontare le applicazioni chirurgiche e gli approcci riabilitativi dei chirurghi italiani agli approcci attuali dell’”ACL Study Group”. Uno scopo secondario è stato quello di con-frontare le preferenze dei sottogruppi in base alla scelta dell’innesto, delle tecniche chirurgiche ed al livello di esperienza.

Metodi: È stato sviluppato un sondaggio on-line per studiare gli atteggiamenti dei membri di una associazione nazionale specializzata in traumatologia dello sport e chirurgia del ginocchio (SIGASCOT) per quanto riguarda le tecniche chirurgi-che, le applicazioni post-operatorie di routine, gli approcci riabilitativi e il tempo di inizio di attività ed esercizi specifici dopo ricostruzione del LCA.

Risultati: Il tasso di risposta è stato del 17% (131 risposte). Il tipo di trapianto più popolare erano i tendini hamstring (81% nei pazienti di sesso maschile e 91% nei pazienti di sesso femminile). Il tasso di utilizzo del movimento continuo passivo è stato del 55%. Metà dei chirurghi utilizzava di routine un tutore (49%), generalmente articolato. Il 33% dei chirurghi ha per-messo ai pazienti di caricare quanto tollerato sul ginocchio operato entro le prime due settimane. Il 59% dei chirurghi non ha limitato la flessione completa entro le prime due settimane. La maggior parte dei chirurghi consiglia di aspettare fino a 4 mesi o più (97%) per il ritorno allo sport non di contatto e 6 mesi o più per lo sport di contatto (86%).

Conclusioni: Questa indagine dimostra chiare tendenze nella pratica della ricostruzione e della riabilitazione del LCA in Italia. I dati ottenuti dai membri SIGASCOT hanno rivelato un approccio più conservativo rispetto agli approcci dell’”ACL Study Group”.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 214

P7.2Trattamento dell’instabilità peritalare laterale: ricostruzione mini-invasiva con tendine del semitendinoso autologoCristian Indino1, Luigi Manzi2, Camilla Maccario2, Federico Usuelli2

1Università degli Studi di Pavia, Pavia 2IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano

Introduzione: L’instabilità cronica di caviglia in esiti di trauma distorsivo ha un’incidenza riportata in letteratura compresa tra il 15 e il 48%. Numerose procedure chirurgiche mirano a ripristinare la stabilità laterale della caviglia: dalla riparazione in situ del legamento peroneo-astragalico anteriore e peroneo-calcaneare alla ricostruzione con autograft o allograft. Attual-mente la ricostruzione anatomica con tissue augmentation è una metodica sempre più utilizzata. Lo scopo di questo studio retrospettivo è stato valutare i risultati di una nuova tecnica chirurgica mini-invasiva: essa prevede, attraverso 4 mini-accessi (< 1 cm) e tunnel trans-ossei peroneale, astragalico e calcaneare, la ricostruzione anatomica dei legamenti peroneo-astra-galico anteriore e peroneo-calcaneare con transfer libero di semitendinoso e fissazione del graft con vite ad interferenza.

Metodi: Tra novembre 2011 e gennaio 2014, 18 pazienti (18 caviglie) sono stati sottoposti a ricostruzione del comparto legamentoso laterale di caviglia per instabilità cronica. I pazienti sono stati valutati clinicamente preoperatoriamente e a 6 e 12 mesi dall’intervento chirurgico e, successivamente, ogni anno (range, 12-49 mesi). Lo studio imaging prevedeva una RM e radiografie standard in ortostatismo nel preoperatorio e radiografie standard in ortostatismo 3 mesi dopo l’intervento chirurgico. I risultati clinici sono stati valutati confrontando l’AOFAS ankle and hindfoot score, l’Halasi ankle activity score e il range of motion preoperatori e postoperatori.

Risultati: Tutti i pazienti (100%) sono stati arruolati e tutti hanno avuto un netto miglioramento all’esame clinico e un in-cremento statisticamente significativo dei punteggi Halasi e AOFAS al follow-up finale, a fronte dell’assenza di complicanze maggiori registrate. L’articolarità della caviglia è stata minimamente modificata dalla procedura chirurgica.

Conclusioni: In questo studio, la ricostruzione del comparto laterale di caviglia con transfer libero di tendine del semitendi-noso con tecnica mini-invasiva, ha mostrato un’alta percentuale di successo, una sensibile riduzione del dolore a fronte di una minima diminuzione del range of motion con un follow-up minimo di 12 mesi.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 215

P7.3Frattura femorale diafisaria distale da stress in calciatore di squadra professionista di 13 anni: case reportGabriele Thiébat, Giovanni Ravasio, Francesco Luceri, Paolo Capitani, Herbert Schoenhuber

Istituto Ortopedico Galeazzi - CTS, Milano

Introduzione: Questo lavoro presenta il case report di un calciatore di squadra professionistica di 13 anni che ha riportato frattura da stress della porzione distale del femore. Il lavoro specifica l’iter diagnostico e terapeutico utilizzato. Tale caso clinico viene presentato in quanto di rara osservazione in età pediatrica e non descritto frequentemente in letteratura. Materiali e metodi: Calciatore di squadra professionistica di 13 anni che lamenta, in seguito ad allenamento, comparsa di algia in regione distale mediale del femore senza una causa traumatica apparente. In seguito a controlli strumentali di primo livello, che hanno escluso patologie muscolo-tendinee, si sono eseguiti esami più mirati con i quali si è posta diagnosi di frattura da stress del terzo distale mediale di femore. In seguito sono stati eseguiti controlli al fine di escludere patologie neoplastiche dell’osso e metaboliche. Risultati: Il rientro allo sport dell’atleta è stato concesso dopo 5 mesi dalla frattura, previo esami strumentali che testimo-niassero l’avvenuta guarigione della stessa.

Conclusioni: Le fratture da stress in età pediatrica sono raramente riportate in letteratura e sono ancor più rare a livello del distretto anatomico descritto in questo case report. Il trattamento ha compreso la completa astensione dall’attività sportiva, l’utilizzo di terapie mediche strumentali e una fase di riabilitazione muscolare al fine di riportare l’atleta in squadra nel più breve tempo possibile, compatibilmente con i tempi biologici di guarigione della frattura.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 216

P7.4Tecnica anteromediale vs tecnica transtibiale per la ricostruzione del LCA: valutazione a 5 anni di follow upLuca Garro1, Alessandro Todesca2, Andrea Faini3, Luca Dei Giudici3

1Clinica Ortopedica - Università Tor Vergata, Roma2Divisione di Ortopedica - Istituto Chirurgico Ortopedico Traumatologico, ICOT, Latina3Clinica Ortopedica - DISCLIMO - Università Politecnica delle Marche, Ancona

Obiettivo: Scopo del presente studio è stato paragonare l’outcome clinico tra la tecnica transtibiale e quella anteromediale per l’esecuzione del tunnel femorale durante la ricostruzione LCA a fascio singolo, usando un innesto di hamstring fissato al femore con un sistema dedicato a sospensione.

Metodi: I pazienti candidati a ricostruzione LCA con tessuti molli tra il 2010 e il 2011 sono stati selezionati casualmente per l’inclusione in questo studio. Tutte le chirurgie sono state eseguite dallo stesso chirurgo esperto. Un totale di 140 pazienti, 70 per il gruppo transtibiale (TT) e 70 per il gruppo anteromediale (AM) rispondevano ai criteri di inclusione e sono stati selezionati. Gli outcomes sono stati valutati con il KT-1000, le schede KSS, KOOS, e Tegner; per la valutazione radiografica del posizionamento dei tunnel sono stati usati i criteri di Illingworth.

Risultati: Differenze nelle caratteristiche demografiche dei due gruppi non sono state osservate. All’analisi dei risultati non si sono rivelate differenze in termini di KT-1000 tra i due gruppi, mentre un miglioramento significativo è stato trovato in tutti gli scores utilizzati comparando i valori pre- e post-operatori, ma non confrontando i punteggi finali dei due gruppi. Significativa è stata, inoltre, la differenze tra i due gruppi in termini di posizionamento anatomico dei tunnel e del graft (p < 0,001).

Conclusione: In conclusione si può affermare l’utilità della tecnica AM nell’ottenimento di un posizionamento anatomico dei tunnel, garantendo ottimi risultati clinici; la tecnica di preferenza rimane, tuttavia, appannaggio del chirurgo, essendo necessari ulteriori studi in grado di delineare altri eventuali vantaggi di una tecnica rispetto all’altra.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 217

P7.5Menisco artificiale biodegradabile a base di poliuretano per il trattamento delle lesioni parziali di menisco: risultati a 6 anniAndrea Sessa, Giuseppe Filardo, Francesco Perdisa, Alessandro Di Martino, Maurizio Busacca, Stefano Zaffagnini, Elizaveta Kon, Maurilio Marcacci Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Lo scopo di questo studio è stato quello di documentare a un follow-up di medio termine il risultato clinico e alla risonanza magnetica di uno scaffold meniscale a base di poliuretano, impiantato per trattare la perdita parziale di menisco.

Metodi: Diciotto pazienti sono stati arruolati e trattati con impianto artroscopico di scaffold meniscale a base di poliuretano e, in caso di presenza di altre patologie concomitanti, con procedure chirurgiche associate: 16 pazienti (9 uomini e 7 donne, età media di 45 ± 12,6; BMI medio di 25 ± 3; 12 impianti mediali, 4 laterali) sono stati valutati in modo prospettico con IKDC (International Knee Document Committee’s) soggettivo e oggettivo e Tegner a 24, 36, 48, 60 e 72 mesi di follow-up. Undici pazienti sono stati sottoposti a valutazione con RMN a 1.5 T al follow-up finale.

Risultati: L’IKDC soggettivo ha mostrato un miglioramento significativo dal basale a 24 mesi (45,6 ± 17,5 e 75,3 ± 14,8, rispettivamente; p = 0.02) e i successivi risultati sono rimasti stabili nel tempo fino a 72 mesi (punteggio finale: 75,0 ± 16,8). Anche il miglioramento del punteggio Tegner tra lo stato pre-operatorio e il follow-up finale è stato significativo (p = 0,039). Tuttavia, il punteggio è rimasto significativamente inferiore rispetto al livello di attività sportiva pre-infortunio (p = 0,027). La risonanza magnetica ad alta risoluzione ha documentato la presenza di immagini alterate in termini di morfolo-gia, intensità del segnale e interfaccia tra l’impianto e il menisco nativo. Inoltre, estrusione dell’impianto ed edema osseo sono stati osservati in molti casi, anche se nessuna correlazione è stata trovata tra l’imaging e il risultato clinico.

Conclusioni: Il presente studio riporta risultati clinici soddisfacenti a un follow-up di medio termine dopo impianto di scaffold meniscale a base di poliuretano. Il trattamento è stato efficace sia in caso di lesioni meniscali parziali isolate sia in casi com-plessi che hanno richiesto la combinazione con altre procedure chirurgiche. D’altra parte, un alto tasso di immagini RMN alterate è stato documentato. Tuttavia, nessuna correlazione è stata trovata tra i parametri di imaging alterati e i risultati clinici positivi.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 218

P7.6Le lesioni isolate del legamento crociato posteriore del ginocchioVincenzo CalafioreIstituto Ortopedico F. Faggiana, Reggio Calabria

Introduzione: Il legamento crociato posteriore è il legamento più robusto del ginocchio e risulta decisivo nel garantirne la stabilità. La rottura del LCP è un evento infrequente e generalmente si accompagna ad altre lesioni, come quella del lega-mento collaterale laterale, del punto d’angolo postero-laterale, del legamento crociato anteriore. L’incidenza di lesioni del LCP riportata in letteratura varia dal 3% al 37%. L’intervento chirurgico non è sempre indicato, in quanto la lassità residua può non comportare necessariamente un’instabilità soggettiva, per cui il paziente riesce a compensare il cassetto posteriore con gli stabilizzatori secondari.

Metodi: Dal 2011 ad oggi sono stati eseguiti presso il nostro Istituto 10 interventi di ricostruzione isolata del LCP. Dei pazienti trattati chirurgicamente, tutti soggetti sportivi, 8 sono di sesso maschile e 2 di sesso femminile. Il trattamento chirurgico che abbiamo impiegato nella ricostruzione del LCP nei casi lesione isolata prevede l’utilizzo dei tendini gracile e semitendinoso quadruplicati con una fissazione a sospensione prossimalmente (endobutton) ed una vite riassorbibile distalmente (Biosure HA).

Risultati: Il risultato medio ottenuto è 90. Non abbiamo avuto complicazioni post operatorie. Il protocollo riabilitativo è stato applicato correttamente da tutti i pazienti. La ripresa delle normali attività quotidiane, quali salire e scendere le scale, guida-re la macchina, deambulare senza stampelle, è avvenuta al secondo mese circa. La ripresa dell’attività sportiva agonistica è iniziata dall’ottavo mese post operatorio.

Conclusioni: La lesione isolata del LCP è un evento molto raro sia nei soggetti sportivi che negli individui sedentari. Ancora più rara è la soluzione chirurgica, perché spesso i pazienti non avvertono un’instabilità soggettiva, riuscendo a compen-sare il deficit con gli stabilizzatori secondari. Il trattamento chirurgico è riservato a quegli individui, generalmente sportivi che, nonostante il trattamento conservativo, non sono riusciti ad ottenere un buon grado di funzionalità del ginocchio o che lamentano sintomi dolorosi. La tecnica chirurgica da noi utilizzata si avvale dell’uso dei tendini gracile e semitendi-noso quadruplicati, con fissazione a sospensione prossimale e vite ad interferenza riassorbibile distalmente. È una tecnica delicata, non priva di rischi, esteticamente gradevole, rispettosa dell’apparato estensore. La riabilitazione riveste un ruolo fondamentale per il successo dell’intervento chirurgico sotto ogni aspetto. Sono altresì molto importanti la collaborazione e la motivazione del paziente: queste devono essere valutate accuratamente dal chirurgo ortopedico prima di consigliare il trattamento chirurgico, perché sono elementi che contribuiscono al raggiungimento di un buon risultato finale.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 219

P7.7Lussazione irriducibile posterolaterale del ginocchioAlessandro Silvestro, Andrea Cozzolino, Giovanni Ciaramella, Giuseppe Coppola

Clinica Villa dei Fiori, Acerra

Introduzione: La lussazione del ginocchio è un evento raro, ma devastante, per l’articolazione. La maggior parte delle lesio-ni di questo tipo è causata da traumi ad alta energia, con interessamento plurilegamentoso. Talvolta si repertano associate lesioni vascolo-nervose, quali l’arteria poplitea ed il nervo peroniero. La lussazione necessita di un tentativo di riduzioni in urgenza, mentre la chirurgia va riservata nei casi di irriducibilità del ginocchio o di lesioni vascolo-nervose associate.

Metodi: Presentiamo il caso clinico di una donna di 45 anni fumatrice, non sportiva, con trauma in valgo del ginocchio dopo un investimento stradale. Giunta in PS si presentava alla nostra osservazione con ginocchio flesso di 15°, valgo bilaterale di ginocchio più accentuato di 10° rispetto al controlaterale, dolore ai tentativi di mobilizzazione. Ad un primo esame assenza di deficit sensitivi periferici, polso debole ma presente. All’ispezione ballottamento rotuleo positivo, termotatto negativo, ecchimosi in regione condilare mediale con invaginazione cutanea (segno della “fossetta”). La pz praticava esame radio-grafico in PS e constatata la sublussazione si procedeva ad esame eco-Doppler arti inferiori in urgenza, che escludevano danni vascolari. Si procedeva quindi a tentativo di riduzione in narcosi a circa 3 ore dal trauma in sala operatoria, ma senza successo. La pz veniva ricoverata in reparto e nel pomeriggio praticava RMN del ginocchio interessato: si apprezzava la rottura del retinacolo degli estensori, della capsula mediale e la rottura del legamento collaterale mediale al condilo con invaginazione dello stesso nell’emirima mediale del ginocchio. Si apprezzava inoltre la frattura della spina posteriore con LCP integro, una distrazione del LCA, menischi apparentemente integri, assenza di gravi lesioni muscolari. Al planning preo-peratorio si decideva di procedere alla sola riduzione cruenta del ginocchio, posticipando l’eventuale ricostruzione legamen-tosa del pivot centrale. Il giorno dopo in sala operatoria, dopo anestesia subaracnoidea, si procedeva a riduzione cruenta del ginocchio: accesso antero mediale classico, si repertava il legamento collaterale mediale con la capsula invaginata in articolazione, completamente sgusciato dal condilo femorale. Con manovra di riduzione tipo Kocher si liberava l’articola-zione dall’interposto e si procedeva a reinserire il collaterale mediale con ancoretta diametro 5 e suture a materassaio, n° 2 suture trans-aossee, e molteplici suture capsulari eseguite in varo stress. Il controllo rx grafico post operatorio evidenziava la riduzione della lussazione del ginocchio. In terza giornata la paziente veniva dimessa con tutore articolato per 6 settimane, progressivamente sbloccato e cuscinetto ad anteporre la tibia per 4 settimane. Seguiva poi un programma riabilitativo di circa 6 mesi, con potenziamento isometrico-isotonico e successiva piscina.

Risultati: Il follow-up clinico a 6 mei, supportato dalla RMN, evidenziavano un recupero completo del ROM del ginocchio, un discreto tono muscolare, una deambulazione senza zoppia. Assenza di dolore sull’emirima mediale e parzialmente posi-tivi alcuni test di instabilità articolare. La paziente si dichiarava molto soddisfatta per il risultato attenuto.

Conclusioni: La maggior parte delle lussazioni del ginocchio sono irriducibili, e necessitano della chirurgia nel breve perio-do. L’approccio consigliato, supportato da alcune ricerche bibliografiche, è in due step con riduzione cruenta della lussazioni per ripristinare la congruenza articolare, e successivo trattamento delle instabilità residue con ricostruzioni dei legamenti del pivot centrale a distanza, qualora dovesse residuare instabilità articolare. In questo tipo di situazioni risulta essere fondamentale riconoscere il segno della “fossetta” o Dimple Sign, ovvero l’invaginarsi della cute in superficie mediale del ginocchio, segno di irriducibilità del ginocchio.

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SIGASCOT 2016 FIRENZE 220

P7.8Rottura simultanea del legamento crociato anteriore e del tendine rotuleo: report su tre casi ad un anno di follow-upDavide Cucchi1, Alessandra Menon1, Alberto Aliprandi2, Alberto Tassi3, Pietro Randelli1

1UO Ortopedia II, 2UO Diagnostica per Immagini, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese 3Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano

Introduzione: La rottura simultanea del legamento crociato anteriore e del tendine rotuleo è un infortunio relativamente raro. La letteratura descrive meno di 20 casi, i quali sono stati diagnosticati e trattati con differenti approcci, conducendo a risultati variabili. Questo studio presenta tre casi di rottura simultanea del legamento crociato anteriore e del tendine rotuleo.

Metodi: Tra novembre 2014 e gennaio 2015 tre pazienti si sono rivolti al nostro centro dopo aver riportato rottura simul-tanea del legamento crociato anteriore e del tendine rotuleo: due pazienti hanno riportato la lesione dopo un trauma sciistico ed uno dopo un incidente motociclistico. Due pazienti sono stati trattati con immediata riparazione artroscopica del legamento crociato anteriore con trapianto autologo di gracile e semitendinoso unita a riparazione del tendine rotuleo. Il terzo paziente è stato sottoposto a riparazione differita a cielo aperto con re-inserzione del legamento crociato anteriore e riparazione del tendine rotuleo. Ad un anno dall’intervento tutti i tre pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica, valutazione clinica e funzionale attraverso la compilazione dei questionari International Knee Documentation Committee (IKDC), Lysholm, Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score (KOOS), Tegner, Numerical Rating Scale (NRS) e misura-zione della forza muscolare.

Risultati: La risonanza magnetica ha mostrato integrità del legamento crociato in 2 casi e segnali di disorganizzazione strutturale nel terzo; in tutti i casi l’aspetto del tendine rotuleo era normale compatibilmente con gli esiti di ricostruzione. Il punteggio medio ottenuto nella scala IKDC è stato di 59,4 punti (deviazione standard, SD: 6,4); nella scala Lysholm di 71,7 (SD: 19,7); nella scala KOOS di 74,9 (SD: 14,0; sottosezione sintomi: 71,4; dolore: 77,8; attività quotidiane 87,3; sport: 51,6; qualità della vita: 45,8); nella NRS 2,3 (SD: 2,5). Un calo di almeno un punto rispetto alla scala Tegner pre-o-peratoria è stato registrato per tutti i tre pazienti. Non sono emerse differenze statisticamente significative nella forza mu-scolare tra l’arto operato ed il controlaterale.

Conclusioni: La bassa frequenza delle rotture simultanee del legamento crociato anteriore e del tendine rotuleo rende diffi-cile stabilire un consenso sull’algoritmo ottimale per la diagnosi ed il trattamento di queste lesioni. Discreti risultati possono essere ottenuti sia con riparazione in uno che in due tempi. Futuri studi di adeguata potenza saranno necessari per stabilire la superiorità di una tecnica rispetto all’altra.

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6° CONGRESSO NAZIONALE 221

P7.9Procedura di salvataggio con allograft nelle revisioni multiple di ricostruzione del LCAGherardo Pagliazzi, Alberto Ruffilli, Simone Massimi, Silvio Caravelli, Roberto Buda, Cesare Faldini 1a Clinica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione: Le revisioni multiple nella ricostruzione del LCA rappresentano una sfida chirurgica per la presenza di tun-nel ossei precedentemente eseguiti, mezzi di sintesi, lesioni degli stabilizzatori secondari e difficoltà ad ottenere tendini autologhi. Una ricostruzione anatomica del LCA rappresenta una chirurgia estremamente impegnativa che può richiedere 2 tempi chirurgici. Il nostro studio analizza l’efficacia della ricostruzione non anatomica del LCA mediante tecnica “over the top” associata a una plastica extra-articolare utilizzando il tendine d’Achille o il tendine del tibiale posteriore di banca, in una popolazione di pazienti che abbiano già eseguito 2 precedenti interventi di ricostruzione del LCA.

Metodi: Dal 2002 al 2008 sono stati operati 24 atleti maschi con età media di 30,8 anni. 20 pazienti erano stati sottoposti a due precedenti interventi di ricostruzione del LCA, mentre 4 pazienti erano stati sottoposti a 3 precedenti interventi. La valutazione dei risultati con follow-up medio di 3,3 anni è stata eseguita con la scala IKDC e con la valutazione artrometrica mediante KT-2000.

Risultati: All’IKDC soggettivo il valore al follow-up finale è stato 81,3 ± 14,0. Con la scala IKDC oggettiva abbiamo otte-nuti valori A o B nell’83% dei casi. Con il KT-2000 la differenza “side to side” è stata in media di 3,1 ± 1,1 mm. L’arco di movimento è risultato normale, o pressoché normale, in 23 pazienti e anormale soltanto in un caso. Dei 20 risultati buoni, 17 pazienti hanno ripreso l’attività sportiva ad un livello comparabile a quello prima dell’infortunio.

Conclusioni: La ricostruzione del LCA in 2 tempi chirurgici è una procedura condivisa nei casi di revisioni del LCA con allar-gamento dei tunnel e perdita ossea, al fine di ottenere una ricostruzione anatomica. Una ricostruzione non anatomica del LCA con tecnica “over the top” + plastica extra-articolare laterale permette di evitare la creazione del tunnel femorale e di eseguire perciò una ricostruzione del LCA in un solo tempo chirurgico. I risultati complessivi ottenuti in questa serie sono comparabili a quelli ottenuti in altre casistiche pubblicate in letteratura. La maggiore incidenza di instabilità lieve osservata nella nostra casistica non sembra essere legata alla tecnica chirurgica bensì alla instabilità cronica presente in queste gi-nocchia prima dell’intervento.

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