inaugurazione dell’anno giudiziario 2017 · procura regionale per il molise - campobasso 1 1. ......

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2017 Procuratore Regionale Stefano Grossi SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL MOLISE CAMPOBASSO, 17 FEBBRAIO 2017

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INAUGURAZIONEDELL’ANNO GIUDIZIARIO

2017

Procuratore Regionale

Stefano Grossi

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL MOLISE

CAMPOBASSO, 17 FEBBRAIO 2017

PROCURA REGIONALE PER IL MOLISE

INAUGURAZIONE

DELL’ANNO GIUDIZIARIO

2017

Relazione

del Procuratore Regionale

Stefano GROSSI

CAMPOBASSO, 17 FEBBRAIO 2017

Memoria disponibile sul sito web della Corte dei conti all’indirizzo www.corteconti.it

“La Costituzione non è una macchina che

una volta messa in moto va avanti da sé. La

Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non

si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno

rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro

l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse,

la propria responsabilità.”

-Pietro Calamandrei-

Discorso sulla Costituzione agli studenti di Milano.

INDICE

1. Premessa pag. 1

2. La Giurisdizione della Corte dei conti nella realtà odierna pag. 2

3. Le innovazioni legislative intervenute di recente nelle materie di interesse della Corte

dei conti

pag. 11

4. Le novità giurisprudenziali in tema di giurisdizione contabile pag. 17

5. L’attività della Procura pag. 21

5.1. Breve riepilogo statistico pag. 21

5.2. Principali tipologie di danno dedotte in giudizio pag. 22

5.2.1. Danni derivanti dalla commissione di reati ed all’immagine della

Pubblica Amministrazione

pag. 22

5.2.2. Danni da illecito utilizzo di contributi e finanziamenti pubblici pag. 25

5.2.3. Danni causati a terzi pag. 28

5.2.4. Danni conseguenti a comportamenti omissivi o negligenti dei

pubblici dipendenti

pag. 29

5.2.5. Danni nel settore dei lavori, delle forniture e dei servizi pag. 33

5.2.6. Danni derivanti in materia di contributi erogati ai gruppi consiliari

regionali

pag. 38

5.2.7. Danni da illecito utilizzo di contributi e finanziamenti pubblici

anche comunitari

pag. 40

5.2.8. Danni derivanti da illecito conferimento di incarichi di consulenza e

di collaborazione

pag. 41

5.2.9. Danni in materia di personale pag. 47

5.2.10. Altre fattispecie di danno non sussumibili nelle precedenti

classificazioni

pag. 48

5.2.11. Misure cautelari ed iniziative a tutela del credito

dell’amministrazione

pag. 49

5.2.12. La C.D. “riparazione spontanea” pag. 50

5.3. Giudizi di conto e per resa del conto pag. 50

Corte dei Conti

Procura Regionale per il Molise - Campobasso

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1. PREMESSA

Sig. Presidente,

Nell'aprire, insieme a tutti i magistrati e al personale della Corte dei Conti della Regione

Molise, la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2017, desidero salutare le

Autorità, i magistrati degli altri ordini giudiziari presenti, i rappresentanti del mondo

accademico, gli avvocati del libero Foro, della Avvocatura dello Stato e degli enti pubblici.

Un cordiale saluto al rappresentante del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti e al

rappresentante della Associazione Nazionale Magistrati Contabili.

E’ questa la mia prima inaugurazione dell’anno giudiziario come Procuratore Regionale e

perdonerete perciò una certa emozione.

L'inaugurazione dell'anno giudiziario costituisce un momento di verifica dello stato della

giustizia contabile con particolare riguardo al territorio di competenza; stato della giustizia

che sottoponiamo alla attenzione di coloro che, per motivi istituzionali o professionali, hanno

interesse ad essere informati, ma anche alla riflessione dei cittadini ai quali vogliamo dare il

rendiconto dell’attività svolta, dei risultati conseguiti e dei problemi dibattuti.

La giustizia contabile costituisce infatti un’importante risposta alla domanda di legalità e di

efficienza che viene dalla società civile e risolve situazioni complesse interpretando, con senso

pratico, normative di non sempre facile comprensione e derivanti da una legislazione che

potremmo definire alluvionale e non sistematica.

Corte dei Conti

Procura Regionale per il Molise - Campobasso

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2. LA GIURISDIZIONE DELLA CORTE

DEI CONTI NELLA REALTA’ ODIERNA.

In quest’ottica, la Corte dei Conti- organo a rilevanza costituzionale (ex art. 100 e 103 Cost.)

svolge la propria funzione di ausiliarietà sia nei confronti del Parlamento che del Governo,

in maniera equidistante, attraverso la sua attività di controllo, specifica e puntuale, di

legittimità e sulla gestione, con particolare riferimento alla regolarità amministrativa

contabile, alla rispondenza agli obiettivi dell’azione amministrativa, alle modalità e alla

tempistica dello svolgimento dell’attività medesima.

La sensibilità sociale ormai non ammette più sprechi e distrazioni di risorse pubbliche e, a

tal fine, l’azione della Procura contabile è diventata sempre più penetrante, anche grazie

all’impegno dei suoi magistrati e del personale amministrativo, della Guardia di Finanza e

delle altre Forze di Polizia.

Mi piace in particolar modo ricordare che quest’Ufficio persegue, come è noto, i soggetti che

abbiano prodotto un danno erariale con la loro condotta commissiva ed omissiva, violando

i loro obblighi di servizio nell’esercizio di funzioni istituzionali legate da rapporto di

occasionalità necessaria con la stessa.

Considerato che l’Amministrazione opera oggi attraverso diversi modelli comportamentali

in costante trasformazione e che le sue aree d’intervento sono sempre più variegate e

complesse, il concetto di rapporto di servizio, presupposto dell’azione di danno, si è andato

gradualmente evolvendo, in connessione con le trasformazioni della realtà sociale, economica

e giuridica, anche per merito della funzione interpretativa della giurisprudenza, sempre

attenta alle trasformazioni socio – economiche della collettività organizzata, pronta a

tutelare l’utilizzo, per finalità pubbliche, delle risorse finanziarie della collettività, nei

confronti del fruitore, sia pubblico, sia privato.

La Suprema Corte di Cassazione ha, infatti, più volte chiarito come non sia sufficiente, per

affermare la giurisdizione della Corte dei Conti, la qualità pubblica del denaro impiegato, ma

occorre che assuma rilevanza anche la gestione pubblicistica dello stesso, la finalizzazione

cioè a scopi e programmi pubblici, come criterio di collegamento per la sussistenza della

Corte dei Conti

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stessa giurisdizione.

Ed, invero, la giurisprudenza ha notevolmente ampliato l’area di incidenza del rapporto di

servizio fino a ricomprendervi anche soggetti, diversamente estranei alla Pubblica

Amministrazione, incaricati di svolgere, al suo posto, una determinata attività, senza che

venga in rilievo” né la natura giuridica dell’atto di investitura, provvedimento, convenzione

o contratto, né quella del soggetto che la riceve, altra persona giuridica o fisica, privata o

pubblica”.

E’ ormai pacificamente acclarato che sussista la giurisdizione della Corte dei Conti

nell’ipotesi in cui il danno venga arrecato da un privato, destinatario di fondi pubblici a

destinazione vincolata o da una società privata utilizzatrice, attraverso i suoi

amministratori, di pubblici finanziamenti in modo illecito ed indebito, nonché dal privato

concessionario di un servizio pubblico o di un’opera pubblica, quando la concessione investe

l’esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, essendo elemento qualificante e rilevante

che si tratti di individui che gestiscono risorse pubbliche vincolate all’impiego preventivato,

dovendosi poi configurare responsabilità erariale sia nei confronti della società beneficiaria

privata, sia nei riguardi dei soggetti che li abbiano distratti, avendone avuto la disponibilità,

posto che il tratto caratterizzante della responsabilità è la distrazione di fondi pubblici.

Non a caso, e sarà ampiamente descritto nell’odierna relazione, come presso questa Procura

Contabile numerose siano state le chiamate a giudizio riguardanti proprio l’utilizzo indebito

da parte di soggetti privati di denaro qualificato come pubblico.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, sensibile all’evoluzione dell’ordinamento,

proprio in ragione di questo espandersi del concetto di rapporto di servizio, si è pronunciata

più volte sul limite esterno della giurisdizione della Corte dei Conti, che ha rilievo

costituzionale, discendendo dall’art. 103, comma 2, Cost.

Assottigliatosi, definitivamente, quindi, il confine tra attività privata e attività pubblica nel

senso che questa utilizza ormai istituzionalmente, anche ai sensi della L. n. 241/1990, e

successive modificazioni ed integrazioni, strumenti privatistici per il perseguimento

dell’interesse pubblico, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, si è orientata, come

abbiamo detto, nel senso di privilegiare l’aspetto sostanziale fondato sulla natura pubblica

dei poteri esercitati e dei mezzi finanziari impiegati, rispetto al profilo soggettivo incentrato

sulla “condizione giuridica pubblica dell’agente”, ai fini di individuare i limiti esterni della

giurisdizione, pervenendo all’allargamento del concetto di rapporto di servizio come sopra

Corte dei Conti

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delineato, fino a ricomprendere nella giurisdizione della Corte dei Conti anche la relazione

funzionale determinatasi a seguito dell’affidamento della gestione, da parte di un ente

pubblico ad un soggetto esterno da esso controllato, di un pubblico servizio.

Occorre notare poi che al progressivo espandersi delle esternalizzazioni di funzioni e servizi

operate dalle pubbliche amministrazioni, al fine di conseguire una presunta riduzione dei

costi unitamente ad una fluidità di gestione, realizzata attraverso le istituzioni di società a

partecipazione pubblica, essenzialmente preposte alla gestione di servizi pubblici, è seguito

un ampliamento dei confini della giurisdizione contabile, che ha incluso, a far tempo dalla

nota ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 19667/2003, anche gli enti pubblici

economici, non solo per quanto riguarda la responsabilità dei funzionari di detti enti per il

danno prodotto nello svolgimento dei pubblici poteri (da sempre riconosciuta), ma anche per

quello arrecato nell’esecuzione della normale attività imprenditoriale.

Acclarato che tale impostazione ha trovato generale applicazione per gli enti pubblici

economici, i quali agiscono nell’ambito dell’Amministrazione pubblica pur quando operano

con strumenti di diritto privato a livello imprenditoriale, è emerso anche il problema di

verificare se ad analoghe conclusioni sia possibile giungere nella differente ipotesi di

responsabilità di amministratori di società di diritto privato partecipate da enti pubblici, le

quali restano private anche quando il loro capitale sociale si avvalga di conferimenti da parte

di enti pubblici.

Nella sentenza n. 5491, depositata il 10/03/2014, la Corte di Cassazione stigmatizza differenti

conclusioni a seconda che ricorra l’ipotesi di una semplice partecipazione pubblica rispetto a

quella di un controllo analogo dell’ente conferente (c.d. società in house). Nella stessa

sentenza si legge che: "Sul tema della giurisdizione contabile in materia di responsabilità di

gestori ed organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici queste Sezioni Unite hanno

ripetutamente affermato il principio secondo cui ‘spetta al giudice ordinario la giurisdizione in

ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per

effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, non essendo in tal caso

configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di

servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente

arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti.

Sussiste invece la giurisdizione di quest'ultima quando l'azione di responsabilità trovi

fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque

Corte dei Conti

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titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti

di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli

amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale

dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di

risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio “(v. Cass. S.U. 19-12-

2009 n. 26806, nonché Cass. S.U. 519/2010, 4309/2010, 14655/2011, 20940/2011, 20941/2011,

7374/2013, 10299/2013, 20075/2013)”;

"... queste Sezioni Unite hanno da ultimo evidenziato la necessità di una ulteriore riflessione con

riferimento all'ipotesi in cui ci si trovi in presenza di quel particolare fenomeno giuridico che va

sotto il nome di “in house providing”, e, sulla base della direttiva 2006/123/CE e delle

indicazioni della Corte di Giustizia Europea recepite in ambito nazionale (v., fra l'altro, Corte

Cost. n. 46/2013, Cass. S.U. n. 8352/2013 e n. 10299/2013), hanno affermato il principio in

base al quale ‘la Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla

Procura della Repubblica presso la Corte quando tale azione sia diretta a far valere la

responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società in

house, così dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di

pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente

esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per

statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri

uffici “(v. Cass. S.U. 25-11-2013 n. 26283)”.

La giurisprudenza, al riguardo, sembrerebbe pervenuta alla conclusione che, nell’ipotesi di

danno patrimoniale direttamente cagionato all’ente pubblico conferente, sussista la

giurisdizione della Corte dei Conti; nella diversa fattispecie di danno al patrimonio societario,

non vi sarebbe la giurisdizione della Corte dei Conti, bensì del giudice ordinario, perché

comunque il patrimonio è privato ed, essendo tale, non sussiste un danno erariale, bensì un

danno patrimoniale societario (non dei singoli soci, pubblici o privati, meramente titolari

delle diverse quote di partecipazione), per il ristoro del quale gli organi societari potranno

proporre, ricorrendone le condizioni, azione di responsabilità ai sensi delle disposizioni del

codice civile.

Il suddetto orientamento è stato confermato e meglio delineato in numerose sentenze e/o

ordinanze della Corte di Cassazione che si sono avute nell’anno 2016 e ha trovato anche il

suo fondamento normativo nel Decreto Legislativo 19 Agosto 2016 n. 175, intitolato Testo

Corte dei Conti

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unico in materia di società a partecipazione pubblica.

Merita una particolare menzione la recente sentenza del 27 ottobre 2016, n. 21692, della

Cassazione in Sezioni Unite Civili, la quale ha ribadito il principio per cui “la controversia

avente ad oggetto l’azione di responsabilità promossa dal Procuratore della Corte dei Conti per il

danno diretto, patito da una società per azioni a partecipazione pubblica e addebitato a condotte

illecite dei suoi amministratori o dipendenti, non rientra nella giurisdizione della Corte dei Conti,

non essendo configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, né un

rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, nè un danno diretto

di quest’ultimo” (Cass., ord. 1.2.2012, n. 1419; Cass. 14957/2011; conf. Cass. n. 20941/2011,

Cass.n. 14655/2011, Cass. n. 26806/2009, Cass. n. 16286/10, Cass. n. 8429/10, Cass. n. 519/10

e Cass. n. 26806/09) e ha confermato che “è devoluta alla giurisdizione del giudice contabile,

quanto alla domanda di risarcimento del danno avanzata dal Procuratore Generale della Corte

dei Conti, quando l’azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale

rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia

colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore

della partecipazione, in caso di comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da

compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al

perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l’impiego di risorse pubbliche, o da arrecare

così direttamente pregiudizio al suo patrimonio”.

Sicuramente importante, e che merita di essere anch’essa segnalata, è l'ordinanza della Cass.

Civ, SS.UU., 1 dicembre 2016, n. 2491, che, nell’affermare il principio di diritto secondo cui

“Le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci delle società a totale o

parziale partecipazione pubblica sono sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, anche

nel caso in cui le società stesse siano costituite secondo il modello del cd. in house providing”, ha

chiarito, tra l’altro, che “se è vero che le Sezioni Unite di questa Corte, nella già menzionata

sentenza n. 26283/13, hanno affermato che le società in house costituiscono in realtà articolazioni

della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici ad essa esterni e da

essa autonomi”, detta affermazione “va intesa ai limitati fini dell’attribuzione alla Corte dei

Conti della giurisdizione sull’azione di responsabilità esercitata dalla Procura contabile nei

confronti degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio della società in house”.

La decisione merita di essere evidenziata perché svolge anche una profonda riflessione sul

recente Testo Unico delle società a partecipazione pubblica azzerando, parrebbe, allo stato,

Corte dei Conti

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ogni spazio interpretativo per una estensione della giurisdizione contabile riguardo le società

pubbliche diverse da quelle in house.

Si legge a tale ultimo proposito nella sentenza sopra indicata che: “la riconduzione della

materia in questione alla disciplina civilistica è attuata oggi dal D. Lgs n. 175 del 2016 del quale

vanno particolarmente segnalate tre disposizioni. Quella del terzo comma dell’art. 1, secondo cui:

Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a

partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali del

diritto privato. Quella dell’art. 12 (Responsabilità degli enti partecipanti e dei componenti degli

organi delle società partecipate), a norma della quale “i componenti degli organi di

amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di

responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione

della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle

società in house”. Quella dell’art. 14 (Crisi d’impresa di società a partecipazione pubblica), la

quale non solo stabilisce che “Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni

sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in

materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi”, ma, soprattutto,

testualmente menziona nell’ultimo comma la possibilità di una “dichiarazione di fallimento di

una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti”, facendo così inequivoco ed

esplicito riferimento alle società in house.

Risultano, così, legislativamente confermate le conclusioni alle quali era ormai da tempo

pervenuta la giurisprudenza di legittimità, la quale, per un verso, ha riconosciuto la

sottoponibilità a fallimento delle società partecipate (sul rilievo che la scelta del legislatore

di consentire all’ente pubblico l’esercizio di determinate attività mediante società di capitali,

e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta

che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di

uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la

necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra

quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità –

cfr. Cass. sez. I n. 22209/13) e, per altro verso, ha assoggettato amministratori e dipendenti

delle società in house alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale (sulla stregua,

dunque, della già menzionata SU n. 26283/13).

In siffatto contesto si può affermare che le società a partecipazione pubblica costituiscono,

Corte dei Conti

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in ambito societario, una categoria nella quale sono comprese, in termini di specialità, le

società, non solo partecipate, ma, controllate da enti pubblici e le società in house; sicché il

principio generale dettato dal citato 3°comma dell’art. 1 è destinato a valere anche per le

società in house, ove non vi siano disposizioni specifiche di segno diverso.

Una disposizione specifica di segno diverso per le società in house si rinviene, nell’art. 12 che,

come s’è visto, riguarda la giurisdizione in tema di azioni di responsabilità degli organi

sociali, ma non anche per quel che attiene alle controversie in materia di nomina o revoca

degli organi sociali designati dal socio pubblico. Attraverso un’ultima annotazione occorre

riconoscere che è, bensì, vero che le Sezioni Unite di questa Corte, nella già menzionata

sentenza n. 26283/13, hanno affermato che le società in house costituiscono in realtà

articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici ad

essa esterni e da essa autonomi; tuttavia, hanno, altresì, avuto cura di precisare che siffatta

affermazione va intesa ai limitati fini del riparto di giurisdizione. Precisazione, questa, che

si riferisce, ovviamente, al riparto di giurisdizione riguardante l’azione di responsabilità per

danni arrecati dall’illegittimo comportamento degli organi sociali al patrimonio della

società, che costituiva oggetto di quel giudizio. Il tipo di rapporto che lega gli organi di una

società in house all’ente pubblico da cui la società promana è, infatti, fin troppo simile a

quello che intercorre tra la medesima amministrazione ed i propri dipendenti per poter

giustificare un diverso regime di responsabilità, quanto alla giurisdizione ed ai riflessi sulle

regole che presidiano la responsabilità di quei soggetti. Ciò non implica però,

necessariamente, che, anche sotto ogni altro profilo, l’adozione del paradigma organizzativo

societario che caratterizza le società in house sia irrilevante e che le regole proprie del diritto

societario siano poste fuori gioco. Sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma

privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia

giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto naturale che quella scelta, ove

non vi siano specifiche disposizioni in contrario o ragioni ostative di sistema, comporti

l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato.

La sentenza deve, altresì, essere ricordata poiché riconosce espressamente la possibilità per

il giudice della Corte dei Conti di scrutinare ipotesi di danno erariale connesse, oltre che alla

mala gestio della società pubblica (in house), alla sua illecita costituzione in ragione di

finalità elusive di precetti normativi evidenziandosi, al riguardo, che “… la stessa scelta di un

modello societario rispetto ad un altro (società partecipata nelle sue diverse forme, società in

Corte dei Conti

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house) deve essere fatta dall’ente entro i limiti della razionalità e legittimità, limiti, ben si intenda,

sostanziali e riscontrabili anche dal giudice contabile in quanto corrispondenti ai limiti esterni

della discrezionalità amministrativa, ed entro i quali, in ipotesi, può svolgersi anche la verifica

giudiziale che detta scelta possa ragionevolmente essere funzionale all’obiettivo primario (che i

servizi affidati alla società, in relazione agli altri compiti ad essa affidati per Statuto, alle concrete

risorse finanziarie e patrimoniali e alla quantità di quelle di natura pubblica, nonché al

complessivo carico delle spese che si prevede che essa debba affrontare, anche in ragione

dell’organico ad essa necessario, possano essere svolti in maniera efficace ed economica, sì che tale

modello rappresenti, rispetto all’alternativa di svolgere i servizi all’interno dell’ente, una scelta

almeno di pari convenienza sotto il profilo dell’interesse pubblico sotteso, e quindi, in definitiva,

una scelta razionale). E’ ancor più certo che la stessa scelta di addivenire a costituire una società

partecipata deve corrispondere ad esigenze reali e legittime dell’ente partecipante - esigenze sulle

quali, come detto, va poi calibrata la scelta dello specifico modello di partecipazione, sino alla

scelta della società in house che garantisce un più stretto controllo sull’operato della gestione e non

può consentirsi che l’ente, attraverso la costituzione di una società, ed in virtù dell’esenzione della

stessa, quale soggetto privato, dai vincoli e limiti che l’ordinamento pone per l’amministrazione

pubblica, possa conseguire un risultato sostanzialmente elusivo di tali vincoli e limiti. Scopo non

solo illegittimo, ma illecito, al quale la partecipazione societaria può tecnicamente prestarsi, e che

radica sicuramente ipotesi di danno erariale quantomeno per l’entità delle risorse investite nella

società, le quali, invece che essere utilizzate per il concreto ed efficace approntamento dei servizi

da parte dell’amministrazione, sono devolute alla società al fine di coprire spese che, per le vigenti

disposizioni, l’ente non è autorizzato ad effettuare e che, pertanto, non solo non raggiungono le

finalità volute dal legislatore ma determinano anzi perdite o, comunque, spese riferibili a mala

gestio che si riverberano, comunque, sulla partecipazione societaria del Comune e, quindi, sul suo

patrimonio”.

In conclusione, è, a mio avviso, di tutta evidenza, alla luce di quanto rappresentato, che le

società a partecipazione pubblica costituiscono, in ambito societario, una categoria nella

quale sono comprese, in termini di specialità, le società, non solo partecipate, ma anche

quelle controllate da enti pubblici e le società in house; sicché il principio generale dettato

dal citato 3°comma dell’art. 1 che prevede che per tutto quanto non derogato dalle

disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme

sulle società contenute nel codice civile e le norme generali del diritto privato, è destinato a

Corte dei Conti

Procura Regionale per il Molise - Campobasso

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valere anche per le società in house, ove non vi siano disposizioni specifiche di segno diverso.

Una di queste è proprio quella che afferma che è devoluta alla giurisdizione del giudice

contabile, quanto alla domanda di risarcimento del danno avanzata dal Procuratore

Generale della Corte dei Conti, quando l’azione di responsabilità trovi fondamento nel

comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del

potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di

socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, in caso di comportamenti

degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della

partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche

ed implicante l’impiego di risorse pubbliche, o da arrecare così direttamente pregiudizio al

suo patrimonio.

Se lo stato dell’arte può essere così riassunto, rimane aperta la possibilità di un intervento

del giudice contabile per i danni che, incidendo negativamente sul valore o sulla quota della

partecipazione sociale, si ripercuotono, però, sul patrimonio dell’ente partecipante.

Infatti, se dubbi non sussistono sulla giurisdizione ordinaria nel caso il danno sia

direttamente subito dalla società pubblica partecipata, la disposizione derogatoria dell’art.

12 del D.lgs n. 175/2016 potrebbe rappresentare quella necessaria interpositio legislatoris per

legittimare l’intervento del giudice contabile, in tutte quelle ipotesi in cui l’ente locale subisce

un danno indiretto proporzionale al pregiudizio della quota di partecipazione.

Corte dei Conti

Procura Regionale per il Molise - Campobasso

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3. LE INNOVAZIONI LEGISLATIVE

INTERVENUTE DI RECENTE NELLE MATERIE

DI INTERESSE DELLA CORTE DEI CONTI

Nel 2016, come nel passato, il legislatore è intervenuto in materie di interesse della Corte dei

Conti.

La principale novità intervenuta nell’anno è stata quella relativa all’approvazione del

Decreto Legislativo 26 Agosto 2016 n. 176 concernente il riordino e la ridefinizione della

disciplina processuale riguardante tutte le tipologie di giudizi che si svolgono innanzi alla Corte

dei Conti, compresi i giudizi pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi ad istanza di parte.

Occorre preliminarmente considerare che le ragioni della suddetta codificazione muovono

dal richiamo all’articolo 103, secondo comma, della Costituzione, che attribuisce alla

giurisdizione della Corte dei Conti le materie di contabilità pubblica e le altre specificate dalla

legge.

Come generalmente conosciuto, le attribuzioni, parlo di quelle giurisdizionali della Corte dei

conti, risalgono a norme preunitarie, dalle quali sono derivate le norme prerepubblicane vale

a dire: la L. n.800/ 1861, la legge di contabilità generale dello Stato del 1923, il T.U. della

Corte dei conti del 1934, che hanno segnato il perimetro della giurisdizione contabile.

Questo è stato rivisto e rimodulato negli anni successivi da sporadici e frammentari

interventi normativi.

Tale quadro normativo, nel corso degli anni, è stato interessato dalla giurisprudenza

costituzionale, dagli interventi della Suprema Corte di Cassazione – in tema di riparto delle

giurisdizioni – e della stessa magistratura contabile, che, in via interpretativa, si è impegnata

ad introdurre nel processo contabile i principi del cosiddetto “giusto processo”, pur se le

relative norme erano antecedenti al novellato articolo 111 della Costituzione.

I diversi giudizi davanti alla Corte, per ciò che concerne il relativo regime processuale,

trovarono la loro disciplina con il R.D. n. 1038 del 1933, e, principalmente, nell’articolo 26 il

quale prevedeva un rinvio c.d. dinamico ai termini e alle norme del codice di procedura civile,

“in quanto applicabili”.

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Tale rinvio, però, ha determinato numerose incertezze circa l’applicabilità di istituti

processuali civili incompatibili con le opposte esigenze di certezza che devono invece

informare un ordinato assetto processuale.

Come è possibile leggere nella relazione illustrativa al Decreto Legislativo recante Codice di

Giustizia Contabile adottato ai sensi dell’art. 20 della Legge 7 Agosto 2015, n.124. “se per un

verso, dunque, il rinvio dinamico alle norme del codice di procedura civile ha consentito gli

adeguamenti recati dalle riforme che hanno riguardato nel tempo tale comparto, per altro verso,

laddove non era possibile trovare un riscontro immediato, ha finito per demandare alla prassi

operativa proprio gli istituti della fase preprocessuale, la strategicità della quale in chiave

difensiva e di ricostruzione obiettiva della realtà storica e del quadro delle responsabilità è di

agevole intuizione.

La ragione di ciò sta nel fatto che il processo civile è un processo tra parti private, retto dal

principio dispositivo, mentre l’istruttoria dei giudizi di responsabilità – che sono quelli di maggior

rilievo per la natura degli interessi pubblici coinvolti – è affidata alle Procure Regionali della

Corte dei conti che svolgono le funzioni di pubblico ministero e che esercitano pregnanti poteri

istruttori, ad esse attribuiti da specifiche norme, peraltro, molto risalenti nel tempo.

Ne è scaturito un sistema asimmetrico, nel quale la fase processuale era regolata da norme

processualcivilistiche, “in quanto applicabili”, come già detto, mentre quella istruttoria e

preprocessuale si poggiava su norme risalenti, disorganiche e lacunose, per come interpretate e,

appunto, “cristallizzate”, nelle prassi operative.

Appaiono, dunque, evidenti tutte le ragioni, sia di ordine formale che sostanziale, sottese alla

necessità di pervenire ad una codificazione che avesse, come ha avuto, l’obiettivo di dettare una

disciplina attualizzata e moderna per la tutela delle ragioni dell’erario senza, tuttavia, perdere di

vista le fondamentali esigenze difensive del presunto responsabile”.

Senza ombra di dubbio si può affermare, quindi, che ne è scaturito un vero e proprio codice

di giustizia contabile che racchiude le disposizioni processuali di tutte le tipologie dei giudizi

che si svolgono davanti alla Corte dei conti.

Ne è conseguita una semplificazione normativa attraverso la raccolta in un unico testo di

tutte le disposizioni sinora sparse in fonti varie e risalenti.

Questo codice va tuttavia oltre l’opera di mera raccolta di normazione previgente: l’obiettivo

primario, allora, è quello di individuare un insieme di principi generali applicabili alle varie

tipologie di procedimenti davanti alla Corte dei conti, senza vanificarne e disperderne le

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13

peculiarità di disciplina.

Il sopracitato testo normativo ha recepito i criteri e i principi direttivi dettati dall’art. 20

della legge delega n. 124/2015, c.d. riforma Madia.

Tali principi e criteri direttivi possono sintetizzarsi nei seguenti:

adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza costituzionale e alle giurisdizioni

superiori;

disciplinare i giudizi tenuto conto degli interessi pubblici sottesi e dei diritti soggettivi

da tutelare;

ispirare le disposizioni processuali sulle azioni del PM e sulle funzioni e attività del

giudice e delle parti;

prevedere, per una sola volta e per un massimo di 2 anni, l’interruzione – con atto di

costituzione in mora- del termine di prescrizione (di 5 anni) delle azioni esperibili dal

Procuratore Regionale;

elevare il limite attuale (di 5.000,00 euro) per il rito monitorio;

l’introduzione di un rito abbreviato che permetta all’Erario, definendo il giudizio di

primo grado, di incamerare rapidamente una somma di denaro, a titolo di risarcimento

non superiore al 50% del danno economico imputato;

prevedere un riordino della fase istruttoria;

unificazione delle norme sull’obbligo di denuncia del danno erariale e di tutela del

dipendente pubblico denunciato;

disciplinare le procedure sulle consulenze tecniche;

riordinare le disposizioni processuali vigenti;

ridefinizione della disciplina delle impugnazioni;

riordino e ridefinizione delle norme sul deferimento alle Sezioni Riunite della Corte dei

Conti;

riordino e ridefinizione delle disposizioni sull’esecuzione di sentenze di condanna

definitive al risarcimento del danno;

disciplinare chiaramente le connessioni tra risultanze ed esiti accertativi raggiunti

dalla Corte in sede di controllo ed elementi probatori riconducibili in giudizio.

Sarà quindi, come sempre, la pratica applicativa ed interpretativa a dimostrare se il

legislatore delegato abbia saputo cogliere le esigenze della collettività dettando disposizioni

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suscettibili di condurre alla realizzazione di quegli intenti di semplificazione,

razionalizzazione, ammodernamento e praticità che hanno guidato l'emanazione della legge

delega.

Altra principale novità intervenuta nell’anno appena trascorso è stata l’approvazione del

Decreto Legislativo 19 Agosto 2016 n. 175, recante Testo unico in materia di società a

partecipazione pubblica.

Tale decreto costituisce l'attuazione di alcune delle deleghe che la legge n. 124 del 7 agosto

2015, la c.d. “Riforma Madia”, aveva conferito al Governo in materia di riorganizzazione

della Pubblica Amministrazione.

In particolare, gli artt. 18 e 19 della Legge delega avevano riguardato espressamente il

settore delle società a partecipazione pubblica, delegando il Governo a mettere ordine nel

confuso e caotico scenario normativo.

Passando, adesso, ad esaminare, per sommi capi, il contenuto del decreto delegato, si può

notare come esso si strutturi in modo da prendere in considerazione l'intero fenomeno della

“vita” di una società a partecipazione pubblica (o, meglio, delle società a partecipazione

pubblica che rientrano nell'ambito di applicazione del decreto stesso).

Vengono, così, individuate le ipotesi in cui una Pubblica Amministrazione può assumere o

mantenere una partecipazione societaria ma anche le ipotesi in cui invece una Pubblica

Amministrazione sia obbligata a dismettere una partecipazione. E nel far ciò viene

introdotto uno specifico corpo di regole procedimentali che disciplinano il momento genetico

dell'assunzione della partecipazione.

Vengono dettate, poi, regole in ordine alla governance della società partecipata ed ai rapporti

fra competenze degli organi della Pubblica Amministrazione ed esercizio dei diritti societari.

Si rinvengono, inoltre, disposizioni specifiche in ordine al personale delle società partecipate

e alla vita “economico-finanziaria” di tali soggetti, disciplinando, in questo senso, anche, uno

specifico procedimento relativo alla crisi d'impresa.

Fra le novità da segnalare fin da subito vi è il superamento di due disposizioni normative che

avevano costituito, fino ad oggi, il perno attorno al quale era costruito il sistema delle società

partecipate, vale a dire l'art. 3, comma 27 e ss della L. 244/2007 e l'art. 13 del D.L. 233/2006.

Disposizioni, queste citate, che avevano posto limitazioni attorno alla possibilità di

costituire e mantenere società partecipate, oltre che limiti espressi alle attività delle società

c.d. “strumentali”.

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15

La materia è adesso regolata dall'art. 4 del Testo Unico il quale, nel ribadire gli assi portanti

dell'assetto fino ad oggi vigente, ha posto due importanti paletti normativi:

che l'“oggetto esclusivo” delle società strumentali deve essere interpretato nel senso di

ritenere legittima la sussistenza di più attività, anche fra loro eterogenee (così superando,

ad esempio, alcuni indirizzi interpretativi che avevano ritenuto incompatibile l'esercizio

di servizi pubblici con lo svolgimento di attività strumentali in house);

che le società in house, pur sottostando all'obbligo di avere un “oggetto sociale esclusivo”,

possono, conformemente al dettato comunitario ed a quanto contenuto negli artt. 5 e 192

del D.Lgs n. 50/2016, svolgere anche attività a favore di terzi (nei limiti quantitativi delle

disposizioni richiamate).

Occorre salutare infine con favore le previsioni che mirano a coordinare il regime particolare

delle società partecipate con il diritto comune: in tal senso il legislatore delegato ha

individuato una serie di possibili deroghe alle previsioni del Codice Civile, così risolvendo il

tradizionale imbarazzo degli operatori di settore che, assai spesso, vengono a trovarsi nella

difficile condizione di dover far quadrare i conti fra disposizioni pubblicistiche che mal si

conciliano con le disposizioni di diritto societario.

Più nel dettaglio, e centrando l'attenzione sul nodo principale della materia, ossia sulla

delimitazione delle società “partecipabili” si evidenzia che nel decreto sono definite le

tipologie di società nelle quali è ammessa la partecipazione pubblica:

può trattarsi solo di società (anche consortili) costituite in forma di s.p.a. o s.r.l., anche

in forma cooperativa: per le s.r.l. a controllo pubblico l'atto costitutivo o lo statuto in ogni

caso deve prevedere la nomina dell'organo di controllo o di un revisore; nelle s.p.a. a

controllo pubblico la revisione legale dei conti non può essere affidata al collegio sindacale.

Sono, poi, precisate le finalità che possono essere perseguite dalle società partecipate.

Le pp.aa. non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi

non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire

o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.

Entro questi limiti, gli scopi perseguibili sono:

a) produzione di un servizio di interesse generale (inclusa la realizzazione e gestione di reti e

impianti ad essi funzionali;

b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra

pp.aa.;

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16

c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica oppure organizzazione e gestione di un servizio

d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato (art. 180 d.lgs. n. 50/2016) con un

imprenditore selezionato;

d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti, nel

rispetto delle direttive europee e delle norme nazionali in materia di contratti pubblici;

e) servizi di committenza, incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di

enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.

Le società in house hanno come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui alle lettere

a), b), d) ed e) sopra elencate; esse operano in via prevalente con gli enti costituenti o partecipanti

o affidanti.

Ai managers delle società partecipate sono estese le regole ordinarie sulla responsabilità degli

organi sociali previste per le società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per

il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. Alla

Corte dei conti è devoluta la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale nei

limiti della quota di partecipazione pubblica.

Ai fini del T.U. si intende per "danno erariale" il danno, patrimoniale o non patrimoniale,

subito dagli enti partecipanti, compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti

degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che,

nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore

della partecipazione.

In tema di controllo giudiziario sull'amministrazione di società a controllo pubblico (anche in

forma di s.r.l.), è prevista la legittimazione di ciascuna P.A. socia, indipendentemente

dall'entità della partecipazione di cui è titolare, a presentare denunzia di gravi irregolarità al

tribunale, in deroga ai limiti previsti dall'art. 2409 c.c. per le società di capitali.

Al 23 marzo 2017 è fissato il termine entro il quale le PP.AA. dovranno redigere i piani di

razionalizzazione che decidano la chiusura o la privatizzazione delle società non in regola: in

primo luogo, le società con fatturato inferiore ad un milione di euro e quelle con numero di

dipendenti inferiore a quello degli amministratori; entro lo stesso termine le società

controllate dovranno effettuare un censimento del personale alla ricerca di esuberi.”

È certamente prematuro azzardare una qualsiasi previsione in ordine all'effettiva resistenza

del nuovo testo alle sollecitazioni a cui la viva pratica delle società partecipate sottoporranno

la sua tenuta di insieme.

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Sarà quindi, come sempre, la pratica applicativa ed interpretativa a dimostrare se il

legislatore delegato abbia saputo cogliere le esigenze della collettività dettando disposizioni

suscettibili di condurre alla realizzazione di quegli intenti di semplificazione,

razionalizzazione, incentivazione della concorrenza e risparmio per la spesa pubblica che

avevano guidato l'emanazione della legge delega.

4. LE NOVITA’ GIURISPRUDENZIALI IN TEMA

DI GIURISDIZIONE CONTABILE.

Per le novità giurisprudenziali in tema di giurisdizione contabile, appare opportuno dare

conto di alcuni significativi arresti della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione a

Sezioni Unite in materia di giurisdizione di responsabilità della Corte dei Conti emessi

nell’anno 2016.

Tra le pronunce più significative, si segnalano:

- La sentenza del 16 Dicembre 2016, n. 275, con la quale la Corte Costituzionale ha

ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2-bis, della

legge della Regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 (Interventi per l'attuazione del

diritto allo studio), aggiunto dall'art. 88, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 26

aprile 2004, n. 15, recante: «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale

2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)»,

nella parte in cui prevede, per gli interventi previsti dall'art. 5-bis della medesima legge

e, in particolare, per lo svolgimento del servizio di trasporto degli studenti portatori di

handicap o di situazioni di svantaggio, che la Giunta regionale garantisce un contributo

del 50% della spesa necessaria e documentata dalle Province solo «nei limiti della

disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul

pertinente capitolo di spesa».

Corte dei Conti

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La sentenza merita di essere segnalata perché ha fissato un principio fondamentale

contrastante con le precedenti interpretazioni costituzionali finora vigenti.

Infatti ha stabilito che: ”la natura fondamentale del diritto allo studio impone alla

discrezionalità del legislatore un limite invalicabile nel «rispetto di un nucleo indefettibile di

garanzie per gli interessati» (sentenza n. 80 del 2010), tra le quali rientra il servizio di trasporto

scolastico e di assistenza per lo studente disabile, perché per questi ultimi esso costituisce una

componente essenziale ad assicurare l'effettività del medesimo diritto”;

Prosegue affermando che “non può neppure essere condivisa l’affermazione secondo cui ogni

diritto, anche quelli incomprimibili, debba essere sempre e comunque assoggettato ad un vaglio di

sostenibilità nel quadro complessivo delle risorse disponibili; atteso che la sostenibilità può essere

verificata all'interno di risorse promiscuamente stanziate attraverso complessivi riferimenti

numerici solo per le spese correnti di natura facoltativa, ma non per quelle necessarie ad assicurare

servizi a tutela di diritti incomprimibili.

L’esigenza di pareggio di bilancio e il rispetto della discrezionalità del legislatore nel destinare le

risorse non può consentire che le risorse disponibili siano destinate in modo promiscuo a spese

facoltative piuttosto che a garantire l'attuazione di diritti incomprimibili;

Quanto all’articolo 81 della Costituzione, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere

effettivo il diritto allo studio e all'educazione degli alunni disabili non può essere

finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali; difatti è la garanzia dei diritti

incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa

erogazione;

Le scelte allocative di risorse attuate con legge sono «suscettibili di sindacato in quanto rientranti

"nella tavola complessiva dei valori costituzionali, la cui commisurazione reciproca e la cui

ragionevole valutazione sono lasciate al prudente apprezzamento del Giudice costituzionale

(sentenza n. 260 del 1990)"» (sentenza n. 10 del 2016); e “non si può ipotizzare che la legge di

approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona

franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può

essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile

garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale» (sentenza n. 260 del 1990)”; e

ciò anche se si tratti di scelte finanziarie attuate nella redazione del bilancio con semplici e

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19

aleatorie operazioni numeriche, senza alcun onere di motivazione in ordine al rispetto della scala

di valori che con le risorse si intende sorreggere.

Ho ritenuto fondamentale inserire tale pronunciamento della Corte Costituzionale in quanto

lo stesso si pone come strumento e principio per future applicazioni e, accogliendo in pieno

le censure dell’organo remittente, sembra aver introdotto il principio dell’utilizzo della scala

di valori costituzionali quale metro per un ragionevole sindacato sulle scelte discrezionali di

bilancio.

- Cass. Civ., S.U. 13 giugno 2016 n. 12086 con la quale viene ribadita la giurisdizione

della Corte dei conti per i danni causati dal privato utilizzatore di contributi pubblici

per attività svolte nell’ interesse della P.A. In tale ordinanza viene affermata la

giurisdizione della Corte nei confronti della società privata, nonostante che il

contributo pubblico (della UE) non fosse stato erogato alla stessa, ma alla Regione,

che con il privato aveva stipulato invece un mero contratto di appalto (non di

concessione). Nella decisione il privato non risultava essere il percettore del

contributo, ma semplice utilizzatore di pubbliche risorse per finalità pubbliche

nell’interesse della P.A. La giurisdizione della Corte dei Conti, secondo la Cassazione,

si estende, quindi, dalla società privata, anche, ai dirigenti che “hanno preso parte

attiva alla condotta causativa del danno”. In questa sentenza si afferma che gli

amministratori e i dipendenti del privato utilizzatore di pubbliche risorse sono in

rapporto di servizio con la P.A.

- Cass. Civ., S.U., 8 Luglio 2016 n. 14040 che ha dichiarato la giurisdizione della Corte

dei conti nei confronti di dirigenti dell'AMA, Azienda del Comune di Roma.

Nell'ordinanza citata, la Suprema Corte, nel ribadire la giurisdizione contabile per i

danni arrecati al patrimonio di una società in house da parte degli organi sociali (nello

specifico, per la stipula di contratti onerosi stipulati con un soggetto privato ed aventi

quale finalità illecita quella di “arrecare un ingiusto profitto” a quest’ultimo) parrebbe

aver “esteso” la giurisdizione della Corte dei Conti anche alla posizione del contraente

privato citato dalla Procura Regionale “…in quanto il danno senza l’azione

determinante del privato non si sarebbe verificato”

Pertanto, per giustificare l’"estensione" della giurisdizione contabile, anche, nei

confronti del soggetto privato - “controparte” negoziale della società in house - le Sezioni

Unite hanno richiamato la giurisprudenza in punto di giurisdizione contabile per i casi

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20

di indebita percezione di contributi pubblici da parte di privati.

- Cass. Civ., S.U. 28 dicembre 2016 n. 27071 con la quale si afferma che sussiste la

giurisdizione contabile sotto il profilo dell’esistenza di un sostanziale rapporto di

servizio con la P.A. riguardo alle controversie che concernono la posizione del

Direttore dei lavori di un appalto di opere pubbliche, mentre essa non sussiste se

riferita a quelle che riguardino le controversie con il Progettista dell’opera, che

concernono un rapporto di natura privatistica, originante da un contratto d’opera

professionale; in particolare sussiste la giurisdizione dell’A.G.O., quando la

responsabilità del soggetto cumulante i due incarichi venga dedotta solo per errori e

carenze progettuali. E’ stato, quindi, chiarito che non sussiste la giurisdizione

contabile, ma quella dell’A.G.O., per un’azione di responsabilità nei confronti di un

soggetto che rivesta la qualità di Progettista e, nel contempo, di Direttore dei lavori

relativi ad una opera pubblica, allorché il petitum sostanziale, anche, per la sua

genericità, non riguardi la posizione di Direzione dei lavori, ma inerisca alla posizione

di Progettista o comunque, là dove non la riguardi, non si correli a profili concernenti

la Direzione del lavori, di modo che la vocatio enunciata con riguardo sia alla

posizione di Progettista che di Direttore dei lavori risulta, in realtà, prospettata

esclusivamente come indicazione della duplice qualificazione soggettiva, ma senza il

corredo della narrazione di fatti effettivamente individuatori di comportamenti

tenuti, anche, nella direzione dei lavori .

Nella giurisprudenza della Corte dei Conti invece assumono specifico rilievo le seguenti

decisioni:

Ord. 7 Marzo 2016 N. 63 della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione

Campania. La Sezione - in composizione monocratica - ha dichiarato l'improcedibilità

per difetto assoluto di giurisdizione di un ricorso ex art. 700 c.p.c. finalizzato all'adozione

di ordini giurisdizionali ingiuntivi con funzione preventiva e propulsiva dell'azione

amministrativa, fissando il seguente principio di diritto: “E' improponibile per difetto

assolto di giurisdizione e conseguentemente deve escludersi che rientri nella giurisdizione

della Corte dei conti un'istanza cautelare ex art. 700 c.p.c. finalizzata all'adozione di

provvedimenti d'urgenza atipici ed innominati, sostanzialmente ingiuntivi, propulsivi,

preventivi ed anticipatori rispetto alla produzione di pretesi danni erariali futuri,

eventuali o ipotetici, nell'ambito di un giudizio ante causam "a parte sostanzialmente

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21

unica", che abbiano quale destinataria la Pubblica amministrazione, nel cui interesse

peraltro agisce la Procura regionale, in relazione all'esercizio di ogni tipologia di potere

pubblico (discrezionale puro, tecnico discrezionale o vincolato) o di attività privatistica

o gestionale, specie se l'Amministrazione debba contemperare gli interessi finanziari alla

riduzione della spesa pubblica con altre situazioni soggettive costituzionalmente,

comunitariamente e convenzionalmente rilevanti (quale quelle a tutela della salute

pubblica, della persona e della dignità umana)”.

sentenza della Corte dei Conti, Sez. Giur. Lombardia, 1 dicembre 2016, n. 201, che

nell’affrontare per la prima volta la problematica del danno erariale all’immagine in

rapporto alle nuove disposizioni introdotte dal Codice della Giustizia Contabile (entrato

in vigore il 7 ottobre 2016) ha stabilito - all’esito di un pregiatissimo percorso

argomentativo - il principio generale secondo cui tra i reati presupposti per l’azionabilità

della pretesa risarcitoria de qua devono ritenersi annoverati, anche, i reati

comuni contro la p.a. (e non più e soltanto i reati propri sub specie di delitti dei pubblici

ufficiali contro la p.a.) accertati con sentenza penale di condanna irrevocabile, ciò alla

luce dell’art. 51, commi 6 e 7, del nuovo Codice di Giustizia Contabile.

5. L’ATTIVITA’ DELLA PROCURA

5.1. BREVE RIEPILOGO STATISTICO

Al 31 Dicembre 2015 risultavano pendenti 1.800 fascicoli istruttori; nel corso dell’anno:

- sono stati aperti 654 nuovi fascicoli;

- sono state effettuate 300 richieste istruttorie;

- sono state disposte 215 archiviazioni;

- sono stati formulati 61 inviti a dedurre per un totale di 113 presunti responsabili;

- sono stati introdotti 63 giudizi di responsabilità;

- sono stati proposti 7 appelli;

- sono stati esaminati 588 conti giudiziali;

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- vi sono state condanne in primo grado per complessivi euro 2.104.543,25;

- e’ stata recuperata, a seguito di sentenze di condanna e di ordinanze di pagamento in

procedimenti monitori la somma di euro 300.320,99;. A questo riguardo è necessario

sottolineare il rilevante importo recuperato nell’anno appena trascorso, sensibilmente

superiore a quanto recuperato negli anni precedenti, tenuto conto sia delle dimensioni

territoriali sia della densità abitativa della Regione Molise.

- è stata recuperata, a seguito di attività istruttoria (c.d. “spontanea riparazione”), la

somma di euro 4.924,34.

- In proposito va evidenziato che il numero dei Giudizi introdotti nel 2016 è stato

superiore a quello del 2015, anno nel quale è quasi raddoppiato rispetto all’anno

precedente.

5.2. PRINCIPALI TIPOLOGIE DI DANNO DEDOTTE IN GIUDIZIO

5.2.1. Danni derivanti dalla commissione di reati ed all’immagine

della Pubblica Amministrazione

In tale ambito la scrivente Procura ha aperto alcune istruttorie a seguito dell’invio di copia

di procedimenti penali, notizie di reato e relative sentenze emesse dalle locali Procure della

Repubblica e da altri uffici giudiziari.

Relativamente ai reati di cui al capo I del titolo I del libro II del codice penale è stato

contestato, in sede penale, ad un funzionario regionale il reato di falso in atti pubblici

consistente nella creazione di false autorizzazioni amministrative afferenti atti di concessione

pluriennale a favore di alcuni privati di suolo demaniale risultato, poi, inesistente. E’

risultata, altresì, contraffatta la relativa determinazione dirigenziale di riferimento.

In realtà, per realizzare in toto la sua attività criminosa, il suddetto funzionario violava gli

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23

artt. 61, 81, 468 e 314 c.p. e c.p.v, contraffacendo il sigillo dell’ente regionale per il successivo

utilizzo nella forma di avvenuta registrazione e si appropriava dolosamente delle somme

corrisposte dai beneficiari della concessione di suolo demaniale a titolo di canone ed imposte

varie.

Dall’esame della documentazione istruttoria risultava che gli stessi concessionari

effettuavano “brevi manu” presso l’ufficio pubblico i pagamenti relativi agli oneri richiesti,

senza ottenere il rilascio di alcuna ricevuta afferente le somme versate direttamente nelle

mani del responsabile regionale che, successivamente, come si legge nella sentenza penale

emessa dal Giudice per le indagini preliminari, provvedeva alla restituzione all’ente regionale

delle somme di cui si era in prima battuta appropriato.

Il suddetto iter procedurale ha sicuramente leso il rapporto cittadino-PA. In effetti la

gestione dei beni demaniali ed il maneggio del denaro pubblico sono state piegate alla

soddisfazione di interessi economici privati, facendo venir meno i compiti specifici del

funzionario statale che deve rendere con solerzia ed attitudine il servizio a cui è stato

preposto per la tutela dei pubblici interessi richiesti dalla collettività secondo la normativa

vigente.

Il danno all’immagine deve, comunque, ritenersi ipotizzabile, anche, a prescindere dalla

diffusione a mezzo stampa della notizia dell’indagine e condanna penale (c.d. clamor fori) in

quanto la credibilità di un soggetto viene lesa, altresì, qualora la vicenda disonorevole venga

a conoscenza non di una collettività indifferenziata ma solo della cerchia delle persone più

direttamente in contatto con lui, le quali costituiscono il contesto sociale in cui tale persona

opera e vive, la stima delle quali è per il soggetto più importante di quella di sconosciuti.

Secondo l’art. 1, comma 1-sexies legge 20/94, inserito nella legge 190/12, al responsabile di

comportamenti dolosi va imputato un risarcimento pari al doppio della somma di denaro o

del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente; così, nel caso

sopra evidenziato, al dipendente pubblico è stato contestato un danno erariale pari ad euro

21.162,16, ossia il doppio della somma da lui appropriata.

Altra chiamata in giudizio, relativa al contesto in discorso, è stata mossa nei confronti di un

dirigente medico, responsabile del reato previsto e punito dall’art. 328, comma 1, c. p. (rifiuto

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24

atti d’ufficio), a seguito della ricezione di copia di una sentenza irrevocabile emessa dalla

Corte d’Appello di Campobasso.

Al dirigente medico sopra citato, in regime di reperibilità presso il nosocomio venafrano, è

stato contestato il rifiuto da lui espresso a recarsi prontamente presso il suddetto ospedale,

per la redazione di un referto, a cui era stato sottoposto un paziente, a seguito di una caduta

dalla bicicletta che lasciava presagire un’eventuale emorragia cerebrale.

La condanna nei confronti del medico radiologo da parte della Corte d’Appello di

Campobasso è stata confermata in Cassazione con la sentenza n° 206/15.

Il rapporto d’impiego con la Pubblica Amministrazione impone ai funzionari pubblici di

assolvere con scrupolo e tempestività ai doveri inerenti la loro attività funzionale, al fine di

prevenire situazioni di pericolo in materia di giustizia, sicurezza pubblica, di ordine pubblico

o di igiene e sanità. Nella vicenda di che trattasi, pertanto, l’immagine dell’Amministrazione

è stata lesa nei suoi cardini istituzionali; avendo, il Dirigente medico, violato le disposizioni

normative riguardanti il corretto espletamento delle proprie funzioni istituzionali.

Proseguendo nella disamina delle medesime fattispecie, perseguite dalla locale Procura,

risulta essere stata esercitata azione di responsabilità amministrativa nei confronti di altri

funzionari pubblici.

Nel primo caso, è stato chiamato in giudizio un operatore sanitario, in servizio presso il

Pronto Soccorso di un nosocomio regionale, condannato dalla Corte d’Appello di

Campobasso per i delitti di cui agli articoli 81 e 314, com.1, 477-482 e 319-quater c. p.

(peculato, falsità materiale in certificati o autorizzazioni amministrative ed induzione

indebita a dare o promettere utilità, in continuazione tra loro), con l’interdizione perpetua

dai pubblici uffici e l’estinzione del suo rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.

L’operatore sanitario, in servizio presso il Pronto soccorso, si appropriava di un timbro e di

carta intestata della divisione presso cui prestava servizio, predisponeva due falsi certificati

medici e, abusando della propria qualità e dei poteri a lui riconosciuti, costringeva o induceva

un malcapitato alla corresponsione indebita in suo favore della somma di euro 100,00 per il

rilascio di alcuni certificati su richiesta di privati.

Il modus operandi del suddetto dipendente ha leso il prestigio dell’amministrazione

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25

d’appartenenza; nella considerazione della collettività le PA finiscono per essere identificate

con le persone fisiche che per esse agiscono nel bene e nel male e, nel caso in esame, lo stesso

impiegato ha offerto un’immagine del tutto negativa di assistenza sanitaria al paziente, nel

dispregio dei propri doveri istituzionali e per la soddisfazione dei propri bisogni economici,

non esitando a sostituirsi nell’attività espletata dal personale medico in servizio.

Nella seconda fattispecie, a seguito dell’accertamento dei fatti sanzionati in sede penale con

la sentenza irrevocabile emessa dalla medesima Corte d’Appello di Campobasso, è stata

esercitata l’azione di responsabilità nei confronti del Comandante della stazione Carabinieri

di un comune molisano, colpevole per l’indebito rifiuto da lui opposto alla trattazione di atti

del proprio ufficio che dovevano essere espletati per ragioni di giustizia, senza ritardo,

trattandosi di indagini da compiere sul territorio di competenza, dietro delega rilasciata

dall’autorità giudiziaria del capoluogo campobassano.

La condotta omissiva del suddetto comandante ha incrinato il modus operandi dell’Arma

dei Carabinieri e compromesso il rapporto di collaborazione e di fiducia che deve intercorrere

tra il personale con funzioni di polizia giudiziaria ed il PM, nell’ambito del quale il

tempestivo espletamento delle attività delegate costituisce elemento imprescindibile per il

buon esito dell’attività requirente.

5.2.2. Danni da illecito utilizzo di contributi e finanziamenti pubblici

Anche nell’anno appena trascorso sono stati introdotti numerosi giudizi riguardanti

l’indebita percezione di contributi pubblici, POR, FERS MOLISE 2007-2013 e l’erogazione

di finanziamenti regionali a società cooperative locali.

In una fattispecie che merita di essere segnalata, l’azione di responsabilità amministrativa è

stata esercitata dopo una segnalazione del Nucleo Tributario della Guardia di Finanza e,

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26

all’esito degli accertamenti svolti, è risultata una palese violazione dell’art. 1 del

Regolamento n° 800/08 del 06/08/2008, approvato dalla Regione Molise.

Tra gli articoli inseriti nel suddetto regolamento vi era l’obbligo per la nascente società,

operante nel settore informatico e beneficiaria del contributo regionale, di aprire una sede

stabile nella regione di riferimento entro la data di avvio del programma di investimento

agevolato e di mantenerla attiva per un periodo non inferiore a 5 anni dall’ultimazione del

programma di che trattasi.

In realtà il contributo concesso, pari ad euro 363.924,53, era stato utilizzato per remunerare

gli stessi soci o amministratori, avendo la suddetta società disatteso gli obblighi previsti dal

Bando e dal disciplinare sottoscritto.

Nel Regolamento sopra indicato era previsto che l’accesso alle agevolazioni era consentito

alle imprese il cui programma di investimento fosse realizzato nel territorio regionale e

finalizzato alla introduzione di innovazioni riferite ad attività cofinanziabili dal FESR.

Nella domanda presentata l’impresa si impegnava a realizzare una piattaforma tecnologica

specifica per individuare e sperimentare strumenti di pianificazione e monitoraggio dei

processi sanitari in grado di contribuire al miglioramento della qualità delle prestazioni

erogate ed all’ottimizzazione delle risorse economiche, tecnologiche ed umane; ma, dalla

documentazione esaminata, è risultato che l’impresa non è stata mai operante in Molise e

non si è mai attenuta a quanto richiesto nel disciplinare sottoscritto con l’ente locale,

elargitore del contributo.

Sempre in tema di illecita percezione di contributi, si deve evidenziare una seconda chiamata

in giudizio concernente l’erogazione di un contributo a favore di una nota cooperativa,

partecipata dalla Regione Molise.

Alla suddetta azienda era stato erogato, per il tramite della società in house Finmolise, un

finanziamento pari ad euro 4.000.000,00 da rimborsarsi con rate mensili posticipate della

quota capitale maggiorate degli interessi maturati con costituzione irrevocabile in pegno a

favore della stessa Regione, mediante girata in garanzia, della totalità delle quote

sottoscritte dai soci privati della cooperativa in discorso per un importo di € 5.359.500,00.

Gli articoli 3, comma 11, legge n° 16 del 20/08/2010 e 3, commi 27 ss, legge 244/07, salvo

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27

quanto previsto dall’art. 2447 del Codice civile, vietano all’ente locale di effettuare aumenti

di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore di

società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi perdite di

esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite,

anche, infrannuali.

Si legge, ancora, nel testo “in ogni caso sono consentiti trasferimenti finanziari a società a

fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi

di pubblico interesse, per fronteggiare gravi pericoli per la sicurezza, l’ordine pubblico e la

sanità, su richiesta dell’amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio

dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto

con gli altri ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti”.

Nel caso particolare dagli accertamenti esperiti dal competente Nucleo Tributario, è

risultato che la summenzionata cooperativa ha presentato esercizi prettamente negativi; di

conseguenza la stessa doveva essere preclusa dalla fruizione del contributo, erogatole,

comunque, dalla locale Regione Molise.

Tale divieto veniva rafforzato dalla delibera n. 98/01, per effetto della quale la suddetta

società, diventava a tutti gli effetti una società partecipata in maggioranza della GAM, a sua

volta partecipata dalla Regione Molise per circa il 97% delle quote, con la conseguenza che

attualmente l’ente locale è proprietario della maggioranza del capitale sociale appartenente

alla anzidetta cooperativa, diventata a tutti gli effetti un’azienda partecipata regionale.

Successivamente, l’art. 3, commi 27, 28, 29 della legge finanziaria n° 244/07 riconfermato,

poi, dall’art. 14, comma 32 legge n° 122 del 30/07/2010 recante misure urgenti in materia di

stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, ha vietato la compartecipazione di

enti pubblici a società aventi ad oggetto produzione di beni o servizi non strettamente

connessi a finalità istituzionali.

Al funzionario regionale, infatti, non è stato solo contestata l’erogazione illegittima di un

contributo a favore di un’impresa partecipata dalla Regione Molise che risultava praticare,

in realtà, l’allevamento di pollame e volatili, lontana dall’esercizio di precipui fini

istituzionali così come rappresentati nella normativa vigente; ma, anche, l’adozione in

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dispregio dell’art. 4, comma 3 legge regionale n° 10/2010 e con propria autonomia di un atto

privo della delibera e del formale assenso del Presidente della Giunta regionale, giustificando

il proprio operato per motivate e giustificate ragioni d’urgenza.

5.2.3. Danni causati a terzi

Altre citazioni in giudizio di cui si è occupata, nel decorso anno, la locale Procura Regionale,

sono state intraprese a seguito della ricezione di numerose delibere di riconoscimento debiti

fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive emesse dal Giudice di pace, dal Tribunale di

Isernia e dalla Corte d’Appello di Campobasso nei confronti di alcuni funzionari in servizio

presso il Comune del capoluogo molisano nonché di alcuni tecnici che prestavano la loro

opera presso un Ente locale della provincia isernina, condannati al risarcimento dei danni

subiti da alcuni privati a causa della cattiva manutenzione di alcune strade comunali.

Del danno contestato sono stati chiamati a rispondere i funzionari comunali ed i tecnici

addetti alla manutenzione delle strade comunali per aver tenuto un’improvvida condotta e

violato il proprio dovere di servizio, vale a dire quello di ”mantenere in condizioni di

sicurezza le strade comunali, eseguendo il monitoraggio ed il presidio costante di un adeguato

stato manutentivo della rete viaria, provvedendo alla rimozione e segnalazione di pericoli

esistenti, assicurando adeguate condizioni manutentive e segnaletiche, al fine di garantire

alla popolazione lo svolgimento di un pubblico transito sia pedonale che veicolare incolume

e sicuro nonché prevedendo lo stanziamento in bilancio di appositi fondi da iscriversi nel

Piano Triennale dei Lavori Pubblici dell’ente comunale”.

Le indagini delegate al Nucleo Tributario della Guardia di Finanza hanno acclarato

l’illegittimo modus operandi dei responsabili comunali che ha determinato la soccombenza

degli enti comunali nel contenzioso giudiziario, con condanna degli stessi al risarcimento del

Corte dei Conti

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danno subito dai privati a causa della cattiva manutenzione del manto stradale.

5.2.4. Danni conseguenti a comportamenti omissivi o negligenti dei

pubblici dipendenti

Non possono non essere menzionate, inoltre, tutte quelle citazioni che vedono coinvolti

pubblici dipendenti che, con comportamenti omissivi o connotati da colpa grave, in quanto

tenuti in violazione dei fondamentali doveri di servizio ad essi facenti capo, hanno arrecato

all’Amministrazione di appartenenza un grave nocumento.

E’ il caso di evidenziare le due azioni di responsabilità, sfociate nella emissione di due distinti

atti di citazione, a seguito della ricezione di alcune delibere di riconoscimento debiti fuori

bilancio afferenti il risarcimento del danno biologico subiti da alcuni privati a causa della

cattiva manutenzione della rete viaria di competenza di alcuni Comuni molisani.

Nel contenzioso giudiziario instauratosi con i privati, il danno erariale è stato ravvisato

nell’omissivo comportamento tenuto dai suddetti responsabili comunali per non aver

ottemperato alle disposizioni impartite dall’art. 2952 del Codice Civile e, più in particolare,

per non aver comunicato in tempo utile (entro un anno dalla registrazione a protocollo delle

istanze dei privati finalizzate al risarcimento dei danni biologici subiti) alla propria

assicurazione le istanze di risarcimento a suo tempo presentate dagli aventi diritto.

Il suddetto modus operandi dei dirigenti “de quo” ha portato alla prescrizione del diritto alla

garanzia assicurativa, vantata dai comuni e non esercitata per inerzia ed omissione dei

competenti responsabili comunali che hanno disatteso alle disposizioni impartite dalla

normativa summenzionata.

Parimenti, è stato sanzionato il comportamento negligente adottato dal Dirigente Regionale

in servizio presso l’Agenzia di Protezione Civile Molise.

Corte dei Conti

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30

Al suddetto funzionario è stata contestata la mancata custodia di alcuni beni pubblici in

dotazione all’ufficio di cui era responsabile.

L’esame della documentazione istruttoria ha evidenziato lo smarrimento di alcuni tablets,

acquistati per l’attività istituzionale i cui obblighi, previsti dall’art 178 RD n° 827 del 23

maggio 1924, sono stati ampiamente disattesi.

In primo luogo non si è provveduto alla nomina di un Consegnatario dei beni mobili intestati

all’ufficio, non si è predisposto l’istituzione di un registro nel quale annotare i nomi degli

utilizzatori dei suddetti tablets, il giorno dell’avvenuta ricezione e restituzione degli stessi,

nonché la redazione dei relativi verbali di presa in carica da parte degli operatori in servizio

presso l’ufficio.

Un iter procedurale corretto avrebbe consentito al funzionario regionale di avere contezza

dei movimenti dei dispositivi acquistati e dell’identità degli stessi utilizzatori e impedito la

sottrazione o lo smarrimento dei suddetti strumenti informatici in circostanze ignote, come

in realtà è accaduto, nonché di conoscere l’eventuale immissione nella detenzione dei beni di

che trattasi da parte delle persone che gli subentreranno, successivamente, nella Direzione

dell’ufficio.

Altra citazione a giudizio ha riguardato un Responsabile Tecnico comunale per aver omesso

i dovuti controlli inerenti il mancato versamento dei contributi, le mancate entrate

pubbliche ovvero i danni emergenti connessi alle irregolarità amministrative, urbanistiche

ed ambientali, ed il mancato pagamento delle tasse e della fornitura di acqua da parte dei

proprietari di un noto complesso turistico.

Le indagini delegate al Nucleo Tributario della Guardia di Finanza hanno segnalato un

danno erariale da mancato introito di imposte e tasse dovute non inferiore ad euro 66.099,76;

danno conseguito al fatto che i proprietari del centro turistico summenzionato, con la

connivenza del tecnico comunale, hanno realizzato e gestito la struttura senza averne mai

corrisposto i relativi oneri tributari.

L’elusione fiscale perpetrata dai proprietari, legati per altro da rapporti di parentela, è stata

resa possibile grazie alle illecite omissioni di riscontri ed approfondimenti istruttori e

susseguenti provvedimenti circa la non veridicità delle autocertificazioni di proprietà e la

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31

elusione del censimento catastale del complesso immobiliare utilizzato per lo svolgimento

della redditizia attività commerciale, perpetrate dal dipendente comunale che assommava

in sé le qualifiche di Responsabile Tecnico comunale, Responsabile dello Sportello Unico

dell’edilizia e Responsabile del procedimento.

Sempre rientrante nelle fattispecie, sin qui considerate, è da annoverare la chiamata in

giudizio che ha visto coinvolto un sindaco di un comune isernino, al quale è stata contestata

la perdurante inerzia serbata a seguito della notifica della sentenza sfavorevole per

l’anzidetto comune e relativa ad un contenzioso giudiziario instauratosi con una ditta locale

per la rimozione di un impianto ripetitore e delle opere accessorie al medesimo installati su

un complesso immobiliare di proprietà dell’attrice.

In realtà non si era dato seguito né all’atto di precetto relativo al debito pecuniario, né alla

citazione e neppure al pignoramento di somme presso una banca locale; per questi motivi la

società creditrice era stata costretta ad instaurare presso il Tribunale isernino un processo di

esecuzione che registrava l’ennesima soccombenza del comune condannato al pagamento di

euro 10.357,14.

Tutto quanto rappresentato ha evidenziato un negligente comportamento del suddetto

sindaco che ha violato specifici doveri di servizio e soprattutto disatteso alle basilari regole

di buona amministrazione che esigono che ai provvedimenti giudiziari venga data

tempestiva esecuzione, sia in quanto doveroso e sia al fine di evitare i ben prevedibili aggravi

finanziari ai danni delle casse comunali.

L’osservanza alle prescrizioni dell’art. 50, commi 1 e 2, del D. lgs. n. 267/2000 che recita “la

responsabilità dell’amministrazione del comune, la direzione degli uffici, la gestione

finanziaria e l’adozione dei provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione

verso l’esterno competono al responsabile di settore o al sindaco”, avrebbe evitato un

aggravio di costo per l’ente comunale, soccombente nel contenzioso giudiziario civile.

Non si possono in questo ambito non menzionare altre due citazioni in giudizio: la prima

relativa ad una mancata corresponsione del canone annuo dovuto per l’utilizzo di un

immobile comunale destinato ad accogliere persone con gravi problemi psichiatrici.

Nello specifico, la nuova Giunta comunale, insediatosi a seguito delle intervenute elezioni,

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32

aveva concesso in comodato d’uso gratuito al centro d’accoglienza un immobile di proprietà

comunale contestualmente alla rateizzazione del canone arretrato, dietro approvazione delle

relative delibere comunali.

Le risultanze delle indagini esperite dalla Procura hanno evidenziato l’omessa pubblicazione

del Regolamento comunale delle modalità e dei criteri stabiliti per la concessione di

sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari richiesti da qualsiasi categoria di soggetti.

Recita, infatti l’art. 12, comma 1 legge 07/08/1990 n° 241 “l’attribuzione di vantaggi

economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati è subordinata alla

predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle

forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni

stesse devono attenersi; attualmente la pubblicazione degli atti nell’albo pretorio è stata

sostituita da quella sul sito WEB (art. 32 legge 69/2009).

La normativa summenzionata, in particolare il comma 3 che impone la pubblicazione degli

atti per i provvedimenti relativi ad agevolazioni e/o concessioni di importo complessivo

superiore a 1000 euro, è risultata ampiamente disattesa dai componenti della Giunta

comunale che hanno provveduto illegittimamente a concedere in comodato d’uso gratuito

un immobile di proprietà comunale su cui gravava un canone annuo, il cui importo era stato

stabilito dalla precedente Giunta comunale, dietro apposita stima redatta dal Responsabile

dell’Ufficio tecnico comunale.

Un’altra azione di responsabilità è stata intrapresa da questa Procura a seguito della

ricezione di un verbale di contestazione relativo all’omessa pubblicità applicata ai prezzi in

vigore presso una stazione di rifornimento di combustibile sita nell’Alto Molise.

Nel suddetto verbale si dava atto della mancata attuazione delle disposizioni contenute

nell’art. 51 legge n° 99 del 27/07/2009 (misure per la conoscibilità dei prezzi dei carburanti)

e delle norme contemplate nei decreti ministeriali del 15/10/2010 e 17/01/2013

(comunicazione dei prezzi attraverso la piattaforma “OSSERVATORIO PREZZI

CARBURANTI” messa a disposizione dal Ministero competente).

A seguito di reclamo presentato dalla suddetta esercente, il primo cittadino di un comune

isernino provvedeva ad annullare ed archiviare il summenzionato verbale d’infrazione,

Corte dei Conti

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33

violando la normativa vigente che, invece, impone il confronto concorrenziale a favore dei

consumatori, la maggiore conoscibilità dei prezzi e la maggiore efficienza del mercato; per di

più l’operato del sindaco ha denotato grave negligenza, trascuratezza dei propri doveri e

noncuranza dei pubblici interessi dal momento che il Ministero dell’Economia e Finanze, sin

da gennaio 2014, aveva fornito alle Amministrazioni pubbliche le informazioni relative agli

obblighi derivanti dall’attuazione degli articoli di cui ai decreti ministeriali sopracitati.

5.2.5. Danni nel settore dei lavori, delle forniture e dei servizi

Nella delicata materia contrattuale, nell’anno appena trascorso, sono stati introdotti tre

giudizi di responsabilità, di cui il primo riguardante la richiesta di risarcimento danno

vantato da una ditta partecipante ad una gara pubblica, esclusa illegittimamente

dall’aggiudicazione dell’appalto dei lavori di costruzione di un centro sociale sito in un

comune isernino.

L’annullamento della delibera consiliare da parte del TAR Molise (indizione di una gara di

pubblico incanto al massimo ribasso sui prezzi unitari per l’assegnazione dei lavori) veniva

confermato dal Consiglio di Stato a seguito dell’accoglimento dell’impugnazione proposta

dalla ditta concorrente.

Il comune soccombente in detto contenzioso giudiziario, con delibera di riconoscimento

debito fuori bilancio, liquidava euro 30.000.00 a saldo e stralcio del maggior credito vantato

dalla ditta per il mancato affidamento dei lavori.

Ai sensi dell’art. 53 della legge 142/90 il Responsabile del Servizio Tecnico avrebbe dovuto

segnalare l’illegittimità della esclusione dalla gara delle altre ditte partecipanti nel rispetto

dei principi di correttezza e di buon andamento previsti nella pubblica amministrazione.

La sua totale omissione ha causato la soccombenza del comune isernino; come, anche,

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ribadito, nella sentenza n° 103/2015 del 21/12/2015 emessa dalla locale Sezione

Giurisdizionale “è incontestabile il nesso causale tra l’illegittima aggiudicazione ed il danno

erariale indiretto (condanna risarcitoria e relativi accessori quali spese giudiziali e di difesa)

che sia scaturito dalla soccombenza della P.A. nei giudizi attivati dalla controparte per la

difesa dei suoi interessi personali ed economici”.

Ha evidenziato la Sezione Giurisdizionale del Molise che l’illegittimo operato della

Commissione di gara, nel caso di specie, poi, assentito dal Responsabile del Servizio tecnico

ed approvato dalla Giunta Comunale, non poteva non determinare un contenzioso giudiziale

dagli esiti sfavorevoli per l’Ente appaltante.

La seconda citazione in giudizio ha visto coinvolti i tecnici incaricati dei lavori relativi alla

realizzazione di una strada di collegamento tra il centro abitato di un comune molisano ed

una strada provinciale con innesto sul tratturo Lucera-Castel di Sangro.

Il passaggio dell’opera sul suindicato tracciato obbligava il comune a richiedere

l’approvazione del progetto ed il nulla-osta per l’esecuzione dei lavori alla competente

Sovrintendenza che, a tal riguardo, esprimeva parere negativo, in quanto” l’intervento

avrebbe sconvolto il tracciato in discorso che nel tratto interessato era ben conservato e

chiaramente leggibile su territorio per lungo tratto”.

Dopo l’esito riscontrato in una Conferenza dei servizi tra le Amministrazioni interessate,

veniva concesso il nulla-osta a condizione che “una volta completata la nuova strada si

dovesse procedere allo smantellamento della vecchia nel tratto interessato dal suolo

tratturale su cui verrà riportato terreno vegetale e seminato piante autoctone” e si stabiliva

che “l’inosservanza di questa disposizione comporterà la revoca immediata della concessione

assentita”.

La variante accordata successivamente dalla locale Sovrintendenza veniva snaturata e non

rispondeva ai parametri concordati; infatti, dopo apposito sopralluogo effettuato dalle

maestranze interessate, venivano sospesi i lavori; appariva fuor di dubbio la difformità del

progetto originariamente approvato e le opere in questione, ritenute “lavori illeciti”, ai sensi

dell’art. 169, comma 1, lettera a D. Lgs. n° 42/2004.

In realtà, durante l’esecuzione dei lavori di sbancamento per la realizzazione della suddetta

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arteria stradale, erano stati rinvenuti, frammisti al terriccio di riporto, numerosi reperti

archeologici consistenti in frammenti di materiale fittile antico (tegole e ceramica da fuoco,

un grande bacino di terracotta, una piccola fornace probabilmente di età ellenistica).

Proprio la salvaguardia di questo bene indirizzava il competente Dirigente Regionale ad

avviare il procedimento di vincolo che vietava da un lato la realizzazione della strada e

dall’altro gettava le basi per la creazione di un’area archeologica in cui poter restituire alla

fruizione pubblica le testimonianze del nostro lontano passato storico.

La terza citazione in giudizio ha riguardato il mancato esercizio degli atti di autotutela in

relazione ad un illegittimo bando di gara inerente la realizzazione di un complesso

polifunzionale per manifestazioni fieristiche in un comune del Basso Molise.

In realtà, l’anzidetto comune aveva redatto un bando di gara risultato illegittimo, carente

dei progetti preliminari e definitivi, ai sensi degli artt. 93 D. Lgs n. 163/06 e 15 DPR n.

207/10.

L’insufficienza progettuale è stata accertata dal Tar Molise con l’emissione, al riguardo, di

due provvedimenti cautelari, finalizzati alla sospensione del bando, privo dei requisiti

richiesti, contenente, altresì, una lacunosa descrizione dell’opera da realizzare.

L’illegittimo iter procedurale seguito dall’ente locale ha causato un danno erariale da

ascriversi alla condotta del Responsabile dei LL.PP. per la mancata adozione degli atti di

autotutela volti ad evitare l’ulteriore corso della gara (sospensione, annullamento o revoca

del bando) e, contestualmente, l’acquisizione di un idoneo progetto da porre a base della gara

stessa.

La puntuale osservanza alla normativa vigente (e non la mera affermazione della legittimità

del bando e la richiesta di parere all’Autorità di Vigilanza) avrebbe evitato l’impugnazione

del bando da parte dell’Ordine degli Architetti con aggravio di spese legali sia per il ricorrente

(Ordine degli Architetti) sia per il resistente ente locale.

Altra chiamata in giudizio, da inserire nel novero delle fattispecie sin qui esaminate, deriva

da un esposto riguardante un ingiustificato aumento tariffario per l’erogazione di

determinati servizi comunali, tra i quali quello del trasporto scolastico ed urbano.

Dalle indagini svolte è emerso che l’ente locale, dopo aver provveduto all’affidamento

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temporaneo, nelle more della predisposizione di regolare gara d’appalto, ad una società di

servizi, della gestione del trasporto scolastico, per il corrispettivo di euro 20.000.00 oltre IVA,

successivamente, su istanza dell’azienda erogatrice, ha disposto la corresponsione alla società

di una somma una tantum di euro 3.000,00 ad indennizzo dei maggiori costi sostenuti.

Con successiva delibera comunale, la Giunta, con il voto favorevole del Sindaco e di alcuni

Assessori, ha disposto l’incremento per l’esercizio 2012 degli stanziamenti in bilancio

relativamente ai capitoli afferenti il trasporto pubblico (per euro 10.000,00) e quello

scolastico (per euro 20.000,00) e l’adeguamento, nelle more dell’espletamento della nuova

gara d’appalto, con decorrenza 01/01/2012, del compenso spettante alla società erogatrice,

risultata affidataria dei suddetti servizi.

Le vicende, sin qui descritte, integrano una fattispecie di responsabilità amministrativa: né

il contributo una tantum, né l'adeguamento disposto successivamente trovano

giustificazione in alcuna delle clausole previste nella convenzione intercorsa tra il comune e

la società di che trattasi.

Come da normativa vigente, infatti "il contratto ha forza di legge tra le parti (ex art. 1372,

comma 1, c.c.)” nel senso che vincola le parti a rispettarlo e, ove non diversamente previsto,

non consente loro di risolverlo o modificarlo unilateralmente.

Sarebbe stata necessaria, a tal fine, inserire un'apposita clausola contrattuale che obbligasse

il Comune a rivedere le condizioni del servizio in conseguenza delle variazioni di costo

richieste dalla società concessionaria.

Una simile clausola, però, non era contenuta né nella convenzione approvata, né negli atti

ad essa richiamati.

Il rischio dell'aumento dei costi gravava così sull'appaltatore, il quale l'aveva liberamente

assunto: il Comune non era tenuto, pertanto, a riconoscere alla società nient'altro che il

compenso previsto in contratto, senza alcun aumento o voce aggiuntiva, comunque

denominata, volta a compensare l'aumento dei costi.

Sempre in tema di affidamento di servizi si colloca il modus operandi adottato dai

Responsabili del Servizio tecnico comunale e dai componenti della Commissione di gara per

l’appalto dei lavori di costruzione di impianti fotovoltaici su immobili comunali da

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aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

In effetti i suddetti responsabili comunali hanno reiteratamente trasgredito i fondamentali

canoni di legalità, buona amministrazione, par condicio, trasparenza, imparzialità (art.li 3,

41,97, Cost, d.l.gs n° 163/2006) nonché i fondamentali principi di matrice comunitaria ed

infranto l’art. 1337 c.c., ledendo la libertà negoziale della ditta ricorrente, con l’introduzione

di nuovi sub-criteri di valutazione delle offerte successivamente non solo all’emanazione del

bando di gara, ma addirittura all’apertura delle buste presentate dalle ditte partecipanti alla

gara d’appalto per l’affidamento dei suddetti lavori.

Il loro operato ha condotto all’annullamento in autotutela degli atti di gara da parte

dell’Amministrazione (successivamente all’intervenuta sospensione cautelare conseguita

dalla ditta ricorrente), oltre che all’esborso risarcitorio che il comune ha dovuto sopportare

a seguito della condanna riportata nella sentenza n° 208/10 emessa dal Tar Molise.

Giova ricordare, a tal proposito, le argomentazioni contenute nella sentenza n° 103/15

emessa dalla Sezione Giurisdizionale del Molise che ha ribadito ampiamente il nesso causale

tra l’illegittimo operato della Commissione di gara ed il danno erariale indiretto (condanna

risarcitoria e relativi accessori quali spese giudiziali e di difesa) che sia scaturito dalla

soccombenza della P.A. nei giudizi che la ditta partecipante sia costretta ad attivare onde

potersi difendere dagli atti amministrativi illegittimi posti in essere a suo danno dalla

Commissione di gara e dai relativi pregiudizi economici subiti.

Conclude la Sezione Giurisdizionale “l’operato illegittimo della Commissione non poteva non

determinare, come poi accaduto, l’insorgenza di un contenzioso giudiziale dagli esiti

sfavorevoli per l’ente appaltante; nel caso di specie è stato commesso un gravissimo vizio di

procedura, determinato da una introduzione di nuovi criteri di valutazione delle offerte

postuma rispetto all’apertura delle buste presentate per l’aggiudicazione dell’appalto dei

lavori in discorso”.

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5.2.6. Danni derivanti in materia di contributi erogati ai gruppi

consiliari regionali

Come nel 2015, anche, nel decorso anno, la locale Procura ha continuato ad interessarsi delle

spese erogate ai Gruppi consiliari negli anni 2007-2011.

Dagli accertamenti esperiti dal Nucleo Tributario della Guardia di Finanza di Campobasso,

in un primo giudizio, sono emerse tipologie di spese rimborsate ma non riconducibili al

funzionamento dei Gruppi consiliari come invece previsto dalla legge regionale 4 novembre

1991 n° 20; 1) spese per consumazione di pasti per un importo pari ad euro 6.510,00; 2) spese

relative ai rimborsi per missioni a Roma e per attività politica non meglio specificata per un

totale di euro 2.322,40; 3) spese riguardanti il rimborso di euro 1.160,00 per la realizzazione

di manifesti elettorali in occasione delle elezioni provinciali del 2009.

Complessivamente, quindi, il rimborso delle spese non riconducibili al funzionamento del

Gruppo consiliare ammonta ad euro 9.992,40.

E’ possibile leggere nella sentenza n° 85/2015 emessa dalla locale Sezione giurisdizionale che

”vi è la sussistenza di una culpa in vigilando per la grave carenza di qualsivoglia attività di

riscontro, pur in presenza di una evidente insufficienza della documentazione giustificativa

a sostegno della richiesta di rimborso, dei presupposti di legge nonché della non pertinenza

ai fini pubblicistici delle spese in questione”.

Analogamente alla prima chiamata in giudizio, anche la seconda evocazione ha riguardato

la stessa fattispecie di danno erariale per complessivi euro 9.087,00.

Occorre premettere che per i casi descritti trovano applicazione le disposizioni dettate dalla

legge regionale n° 20/1991, ovviamente nel testo vigente nel 2012.

La legge stabilisce due distinte forme di finanziamento:

- l’art. 3 prevede un contributo mensile per spese di funzionamento, consistente per ciascun

gruppo, in una quota fissa di euro 800,00, cui si aggiunge una quota variabile pari al prodotto

di euro 2.500,00 per il numero di consiglieri iscritti. L’Ufficio di Presidenza del Consiglio

Corte dei Conti

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regionale, con propria deliberazione, determina il riparto delle spese e dispone le assegnazioni

a ciascun Gruppo.

- Ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 3, le risorse in questione vengono erogate in tre rate

quadrimestrali anticipate. Entro il 31 gennaio dell’anno successivo è prevista la

rendicontazione delle spese, cui consegue l’obbligo di restituzione delle somme anticipate e

non impegnate. Tale obbligo viene adempiuto attraverso il riversamento alla tesoreria

regionale delle economie, che sono, poi, riassegnate alla competenza dell’anno successivo del

bilancio del Consiglio Regionale (art. 3, comma 5). Queste disposizioni consentono di

affermare che, qualora le risorse messe a disposizione dei Gruppi non dovessero essere tutte

o in parte utilizzate, esse debbano essere restituite al Consiglio Regionale con le modalità

sopradescritte.

- Gli artt.5 e seguenti regolano, poi, le spese per il personale occorrente al funzionamento del

Gruppo. A tal fine, è messa a disposizione di ciascun gruppo consiliare un’unità di personale

di categoria D/3 per ognuno dei Consiglieri regionali iscritti. Il personale in questione è scelto

dai Gruppi tra i dipendenti Regionali di ruolo o tra i dipendenti di altri enti pubblici, a tal

fine comandati presso la Regione Molise, aventi qualifica funzionale analoga a quella da

ricoprirsi.

- Ai sensi dell’art. 8, qualora il Gruppo non intenda avvalersi di tali tipologie di personale,

ovvero se ne avvalga solo per una parte del contingente numerico ad esso spettante, riceve,

per ogni altra unità di personale non assegnata, un finanziamento mensile, erogato

anticipatamente al mese di riferimento, calcolato in base alla retribuzione annua stabilita

dal Contratto Collettivo di Lavoro del Comparto Regioni ed Autonomie locali, del

dipendente regionale di pari livello non utilizzato, comprensivo della tredicesima mensilità,

del contributo dovuto dall’ente per il Comparto Regione, dell’Irap e dei contributi dovuti

all’Inail.

Il descritto quadro normativo è stato disatteso dal comportamento degli odierni evocanti in

giudizio che hanno utilizzato impropriamente le somme loro assegnate.

La consolidata giurisprudenza della Corte dei conti, in realtà ha riaffermato la

riconducibilità delle spese rimborsabili unicamente all’attività istituzionale svolta dai

Corte dei Conti

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Gruppi Consiliari nel rispetto della normativa vigente.

Nelle pronunce giurisprudenziali che si sono succedute è stato affermato che una spesa risulta

legittima se è rispondente ad un fine istituzionale e non ad esigenze personali

dell’amministratore e se è rigorosamente documentata.

Invero i comportamenti dei soggetti chiamati in giudizio sono stati, al contrario, connotati

dell’inosservanza della normativa vigente sin qui evidenziata ed agli stessi è stato contestato

il paventato danno erariale.

5.2.7. Danni da illecito utilizzo di contributi e finanziamenti pubblici

anche comunitari

Nel corso del secondo trimestre dell’anno appena trascorso, la scrivente Procura, a seguito

di numerose comunicazioni di notizie di reato da parte delle Brigate e Compagnie della

Guardia di Finanza presente sul territorio nazionale, ha introdotto venti azioni di

responsabilità afferenti l’indebita percezione di finanziamenti comunitari e nazionali.

In particolare, nell’ambito del piano d’azione denominato ”Bonifica”, ideato dal Nucleo

Speciale della G.F. di Roma-Sezione Spesa Pubblica e Repressione Frodi comunitarie, è

emersa la responsabilità di alcuni percettori di finanziamenti comunitari i quali, con

dichiarazioni non veritiere, hanno fruito di aiuti non dovuti.

In tutti i casi esaminati, i citati a giudizio hanno dichiarato, nelle rispettive domande

presentate per il tramite del Centro di Assistenza Agricola territorialmente competente:

-di condurre in affitto i terreni, riportati nei contratti di affitto verbale, di proprietà di

soggetti deceduti anche decenni prima;

-di condurre terreni appartenenti a soggetti che, però, hanno disconosciuto i contratti verbali

in questione, hanno dichiarato di non aver mai autorizzato a presentare alcuna istanza per

Corte dei Conti

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la percezione di aiuti comunitari, non hanno mai percepito i canoni di affitto dichiarati dai

convenuti.

Relativamente alle fattispecie summenzionate, dietro segnalazione del competente Nucleo

Tributario, la scrivente Procura ha proseguito, anche, nelle indagini relative all’illecita

percezione di contributi pubblici erogati per l’avviamento di attività redditizie nel territorio

molisano.

Dalle indagini di Polizia erariale è emerso che era stato concesso, dietro specifica richiesta al

competente ufficio regionale, ad una ditta della provincia isernina un contributo per la

realizzazione di un centro per la raccolta ed il confezionamento di aglio e cipolla ma la

documentazione dell’avvenuto acquisto dei relativi macchinari, esibita, dietro regolare

richiesta del Nucleo in discorso, risultava carente (limitatamente ad una copia di una fattura

di importo pari ad euro 53.973,33), ben lontana dal prezzo di vendita del macchinario

dichiarato dall’impresa pari ad euro 145.104,16.

Dall’esame della documentazione istruttoria è emerso che la ditta in discorso si era procurato

un ingiusto profitto pari ad euro 89.568,14 e per di più in totale dispregio dello scopo

mutualistico che dovrebbe connotare le società cooperative.

5.2.8. Danni derivanti da illecito conferimento di incarichi di

consulenza e di collaborazione

Nell’anno appena trascorso, questa Procura ha continuato a contrastare il fenomeno ancora

diffuso del conferimento di incarichi esterni e servizi a favore di soggetti esterni

all’Amministrazione in assenza dei presupposti legittimanti ed in violazione della normativa

in materia di gestione ed utilizzo delle risorse in organico.

Tra i vari procedimenti instaurati sono meritevoli di segnalazione quelli riguardanti

Corte dei Conti

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l’affidamento, da parte di amministrazioni locali, di incarichi, variamenti qualificati, con

ricorso, anche, alle figure dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa e a

progetto, a soggetti esterni all’Amministrazione richiedente.

La consolidata giurisprudenza della Corte, con la sentenza n° 6/2005, ha evidenziato i criteri

per valutare la legittimità degli incarichi esterni:

-rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;

-inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo

svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;

-indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;

-indicazione della durata dell’incarico;

-proporzione tra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita

dall’Amministrazione.

Con specifico riguardo al requisito della “particolare e comprovata specializzazione” il

Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha rilevato

come la legge, “ponendo l’accento sulla elevata competenza e coordinata con il presupposto

della assenza di competenze analoghe in termini qualitativi all’interno dell’Amministrazione

fa ritenete impossibile il ricorso a qualsiasi rapporto di collaborazione esterna per attività

non altamente qualificate, con la conseguente illegittimità di qualsiasi tipologia di contratto

stipulato in violazione di tali presupposti, rafforzando, pertanto, quanto già indicato alla

lettera c del comma 6 dell’art. 7, citato” (la prestazione deve essere di natura temporanea ed

altamente qualificata). In difetto dei presupposti in parola, “si dovrà ricorrere,

principalmente, alle risorse interne alle Amministrazioni o ad altri istituti, quali le

assegnazioni temporanee di personale da altre Amministrazioni, o valutare, con l’opportuna

prudenza, l’eventualità di ricorrere a strumenti diversi, quali gli appalti dei servizi” (DFP,

circ. n. 2/2008).

La stessa Sezione Giurisdizionale Lazio, nella sentenza n° 703/2013, ha precisato che “il

ricorso a prestazioni intellettuali da parte di soggetti estranei all’amministrazione”, secondo

quanto stabilito dall’art. 7 comma 6 d.lgs. n° 165/2001, può essere ritenuto legittimo se si

debbano risolvere problemi specifici di competenza dell’ente, aventi carattere contingente e

Corte dei Conti

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speciale, a fronte di accertata carenza strutturale di personale, che oggettivamente non

consente in modo adeguato l’esercizio di determinate funzioni e per di più, come ribadito

nella sentenza n° 557/2011 emessa dalla Sez. I può avvenire solo alle condizioni previste

dalla legge (art. 7 d.lgs. n° 165/2001) che esprimono principi di stretta interpretazione.

La Corte di Cassazione, con riferimento ai fini del riparto di giurisdizione, si è pronunciata

allo stesso modo, affermando che ”in tema di giurisdizione contabile, poiché

l’amministrazione, in via generale, deve provvedere ai suoi compiti con mezzi,

organizzazione e personale propri, la Corte dei conti può valutare se gli strumenti scelti dagli

amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine

pubblico da perseguire, essendo illegittimo il ricorso ad incarichi esterni riferibili ad attività

rispetto alle quali manca il presupposto del contenuto dell’alta professionalità o della

riconducibilità ad un evento straordinario al quale non si possa far fronte con la struttura

burocratica interna, così come richiesto dalla legge.

La scrivente Procura, perseguendo l’illegittimità degli incarichi esaminati, ha fatto proprio

il comma 6-bis dell’art. 7 del d.lgs. n° 165/2001, secondo il quale le Amministrazioni

pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure

comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.

Il mancato esperimento di siffatte procedure comparative e l’inosservanza ai principi

summenzionati rende illegittimi gli incarichi e, proprio in tal senso, questa Procura ha

perseguito diverse ipotesi di danno erariale in violazione della normativa vigente,

principalmente in ambito sanitario, ravvisando diversi illeciti commessi dai Dirigenti

Generali in servizio presso l’ASREM di Campobasso.

Le suddette azioni di responsabilità si sono incentrate sul reiterato affidamento a soggetti

esterni di molteplici incarichi di collaborazione coordinata e continuativa finalizzati

all’adozione di progetti tesi al miglioramento delle prestazioni sanitarie richieste dagli utenti

o per supporto, sollecitato dalle relative maestranze di settore, impegnate nell’espletamento

delle proprie funzioni come da relativo Contratto nazionale di categoria.

In realtà gli affidamenti sono stati conferiti senza una preventiva reale ricognizione circa

l’impossibilità per l’Amministrazione conferente di utilizzare le risorse disponibili al suo

Corte dei Conti

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interno, idonee allo svolgimento delle prestazioni oggetto degli incarichi; in assenza del

principale requisito richiesto per l’instaurazione di una collaborazione coordinata e

continuativa, vale a dire prestazione resa da soggetto, esperto della materia, in possesso di

particolare e comprovata esperienza e specializzazione, emergente da dati soggettivi e senza

il previo esperimento di procedure selettive/comparative.

La mancanza, anche, di una sola delle riferite condizioni, ha reso il conferimento degli

incarichi illegittimo ed illecito in quanto il compenso conseguente ha costituito ingiusto

depauperamento delle risorse pubbliche.

Non limitate unicamente all’ambito sanitario, nell’anno appena trascorso, sono state

intraprese altre azioni di responsabilità nei confronti di amministratori comunali e regionali,

responsabili per aver conferito illegittimi incarichi esterni in carenza dei presupposti

legislativi richiesti.

Il mancato esperimento di siffatte procedure comparative e l’inosservanza degli altri principi

sopra ricordati rende illegittimi gli incarichi e, proprio in tal senso, questa Procura ha

perseguito due fattispecie in violazione della normativa sopraindicata.

La prima chiamata in giudizio ha riguardato il contenzioso giudiziario instaurato da un

dipendente, in servizio presso un comune della Provincia isernina.

L'anzidetto comune era risultato soccombente a seguito della sentenza emessa dal Consiglio

di Stato che aveva disposto l'annullamento delle prove scritte del concorso per la copertura

di un posto di Dirigente del Settore Ragioneria e Finanze del comune suddetto, in quanto le

stesse sarebbero state espletate in asserito contrasto con quanto statuito dal "Regolamento

sull'ordinamento degli Uffici e dei Servizi" dell'ente comunale in discorso.

A seguito dell'annullamento "de quo" al ricorrente veniva revocato "motu proprio del

sindaco" l'incarico di Reggente dei Settori Ragioneria e Finanze, affidategli, già tempo

prima, in sostituzione del titolare, in aspettativa per malattia sia nei periodi di congedo

ordinario per ferie sia, successivamente, nel periodo di malattia e decesso dello stesso per ben

quattro anni e riconoscendogli la differenza stipendiale di cui al CCNL dell'Area della.

Dirigenza.

L'Amministrazione comunale, a seguito della revoca dal succitato incarico, nonostante la

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presenza al suo interno di numerose figure professionali idonee a ricoprire il suddetto

incarico, si avvaleva di soggetti esterni per lo svolgimento delle funzioni “de quo” che

avrebbero potuto essere svolte dal dipendente in questione ovvero dagli altri numerosi

funzionari di livello D in servizio.

L’espletamento in itinere del concorso per la copertura dell’incarico (gli scritti erano già stati

svolti) ed addirittura il ricorrente aveva ottenuto l'idoneità al concorso, è’ risultato

un'ulteriore aggravante, nonostante che tale procedura concorsuale poteva essere chiusa in

tempi rapidissimi, dal momento che gli scritti, come riconosciuto in sede giudiziale, erano

stati già svolti validamente dagli stessi partecipanti.

L'iter procedurale seguito dal primo cittadino e dai responsabili di settore comunali ha

violato le norme di cui il d.lgs n° 165/2001 ed alle sentenze richiamate, arrecando un danno

erariale di importo pari ad curo 95.898.

I rispettivi comportamenti illeciti hanno disatteso le fondamentali regole di matrice

costituzionale che presidiano allo svolgimento dei pubblici concorsi e dell'attività

amministrativa inerente l'utilizzo del personale ed alla disposizione di affidamenti esterni, la

cui osservanza si impone a tutti gli amministratori ed affidatari di incarichi pubblici, quale

minimo impegno professionale, con il quale devono adempiere ai propri obblighi e doveri di

servizio, in relazione al ruolo ricoperto nell'ambito dell'Amministrazione di appartenenza.

La seconda chiamata in giudizio è stata esercitata a seguito della trasmissione da parte della

locale Sezione Regionale di controllo di una deliberazione afferente gli atti di spesa

concernenti gli incarichi di collaborazione, studio, ricerca nonché quelli relativi ad attività

di convegni, mostre, pubblicità posti in essere dalle amministrazioni, di cui all’art. 1, comma

2, del D.L.gs n°165/2001.

In effetti, nelle more dell’Accordo di Partenariato afferente l’adesione al Progetto LIFE

finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche,

la Regione Molise, per la realizzazione del succitato progetto, aveva richiesto un supporto

tecnico all’Arsiam, con la quale aveva sottoscritto un contratto di collaborazione coordinata

e continuativa nella forma del lavoro a progetto per 12 mesi, con attribuzione di un

compenso pari ad euro 14.400,00.

Corte dei Conti

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Ma quanto evidenziato non ha costituito l’unica posta di danno perseguita dalla locale

Procura, in realtà, è stato contestato un danno erariale più consistente, ravvisato nella

realizzazione del progetto denominato “Programma di educazione alimentare come progetto

salute” per cui la Regione ha erogato un finanziamento pari ad euro 237.039,77.

In realtà in tutte e due le poste di danno evidenziate, si è ravvisata la violazione alla

normativa vigente; si è riscontrato, in realtà, una carenza dei requisiti insiti nell’alta

professionalità richiesta, l’assenza di una preventiva e reale ricognizione circa la presenza in

loco di figure professionali idonee, l’omesso previo esperimento di procedure selettive nonché

la mancata attuazione dei summenzionati progetti così come previsti nell’accordo di

programma regionale.

Altra chiamata in giudizio ha riguardato le spese sostenute da un comune isernino nel

contenzioso giudiziario instaurato da un dipendente comunale con l’incarico di Responsabile

dell’Area Tecnica Manutentiva (con percezione delle relative indennità di posizione e di

risultato).

Il suddetto funzionario era stato estromesso dalle sue funzioni apicali per scelta del sindaco

che aveva adottato nei suoi confronti la delibera n. 23/99.

In detto provvedimento gli veniva addebitata somma negligenza nello svolgimento del

proprio operato, del tutto arbitraria ed immotivata, ai danni di un dipendente nei cui

confronti l’Amministrazione non aveva mai mosso alcuna contestazione sin da quando era

stato assunto dal 1991: ma del quale aveva formalmente riconosciuto e premiato in più

occasioni l’impegno mostrato e la professionalità acquisita, riconoscendogli prima un

avanzamento di qualifica e successivamente una progressione orizzontale in esito alle

relative procedure valutative e selettive con attribuzione per lungo tempo della posizione

organizzativa di vertice dell’Area Tecnico Manutentiva.

Il modus operandi del primo cittadino (affidamento dell’incarico a soggetti esterni) ha

violato l’art. 110 TUEL e gli articoli 35, 36, 38, 39 dello Statuto che consentono e

circoscrivono il ricorso a soggetti esterni alla dotazione organica dell’ente nel caso in cui

all’interno dello stesso manchino figure analoghe o per reali e motivate esigenze di natura

temporanea e circoscritta; invece nel caso in questione all’interno dell’ente locale era

Corte dei Conti

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presente una figura dotata dei requisiti richiesti per l’espletamento delle funzioni che

successivamente sono state conferite e svolte da professionisti esterni, con relativo aggravio

di spese per il comune molisano.

5.2.9. Danni in materia di personale

Con riferimento a tale tipologia di danno merita menzione un’azione di responsabilità

amministrativa intrapresa da questa Procura nei confronti del Comandante del Distretto

Militare a seguito di un’ispezione svolta presso il suddetto Centro da parte di un funzionario

in servizio presso il Ministero della Difesa.

Le indagini svolte e la documentazione acquisita hanno fatto emergere un effettivo danno

erariale non inferiore ad euro 968,44, ascrivibile alla responsabilità del convenuto in giudizio

per l’illecita ed improvvida condotta da egli tenuta, nella sua qualità di Comandante del

Centro Militare Esercito Molise di Campobasso, in relazione alle illecite autorizzazioni di

prestazioni straordinarie da egli rilasciate al personale subordinato, nonostante detti

dipendenti fossero già in possesso di un pregresso monte ore straordinario al quale si sarebbe,

invece, potuto e dovuto attingere ”scalando le ore di permesso fruite e riducendo in tal modo

il numero di ore da remunerare a carico dell’Erario, in denaro o in natura tramite recupero

compensativo”.

In realtà il convenuto ha omesso di verificare, preventivamente, tramite l’accesso al sistema

informatico SIGE in dotazione all’Esercito, la situazione inerente lo straordinario ed il

recupero permessi del personale in servizio presso l’anzidetta struttura; il tutto in violazione

sia degli art.li 15 del DPR n° 394/15 e 20 del CCNL del 16 maggio 1995 che della Direttiva

sull’istituto dello straordinario e compensi connessi all’orario di lavoro del 6 marzo 2012

emanata, all’uopo, dal competente Stato Maggiore dell’Esercito Italiano.

Corte dei Conti

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Il Comandante, quale unico responsabile della gestione delle risorse umane, finanziarie e

strumentali affidatigli, non avrebbe dovuto accogliere tout court le richieste avanzate dal

personale in servizio, ma verificare, caso per caso, che quest’ultime fossero in linea con le

preminenti esigenze, norme e direttive di servizio sopra richiamate.

5.2.10. Altre fattispecie di danno non sussumibili nelle precedenti

classificazioni

Nel marzo 2016 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la Puglia, la Basilicata ed il Molise

ha segnalato l’omesso versamento di somme inerenti gli introiti derivanti dal gioco del lotto

da parte della titolare di una ricevitoria sita in comune della provincia isernina.

Tali omessi versamenti hanno comportato, dapprima, la sospensione e successivamente la

revoca della concessione della suddetta ricevitoria.

Un’altra chiamata in giudizio origina dalle risultanze delle indagini condotte da questa

Procura a seguito di una segnalazione del Nucleo Tributario della Guardia di Finanza circa

il mancato aggiornamento degli oneri di urbanizzazione da parte di un comune della

provincia isernina.

Il modus operandi dei Responsabili e degli Assessori all’Urbanistica ha disatteso le

disposizioni emanate dalla Giunta Regionale con propria delibera nonché l’art. 16 DPR n°

380 (ex Bucalossi) che espressamente recita: ”la quota di contributo relativo agli oneri di

urbanizzazione deve essere corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di

costruire, l’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria deve essere stabilita

con delibera consiliare comunale in base alle tabelle parametriche definite da ciascuna

regione, nel caso di mancata definizione delle stesse, i comuni devono provvedere, in via

provvisoria con delibera comunale, ogni 5 anni ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione

Corte dei Conti

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primaria e secondaria in conformità alle disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e

prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”.

L’iter procedurale seguito (ultimo aggiornamento risulta datato 2007) ha danneggiato il

comune per mancato incameramento di maggiori entrate che avrebbe potuto pretendere dai

contribuenti, se solo avesse provveduto ad un costante aggiornamento degli oneri di

urbanizzazione richiesti.

La stessa Sezione Giurisdizionale del Molise, con sentenza n° 21/13, ha ribadito che “compito

precipuo degli amministratori e responsabili del settore tecnico comunale è attivare e curare

la corretta determinazione ed acquisizione delle entrate di spettanza comunale; la sentenza

di cui trattasi era stata emessa per una fattispecie analoga a quella indicata in discorso,

riferita alla provincia isernina”.

5.2.11. Misure cautelari ed iniziative a tutela del credito

dell’Amministrazione

La Procura Contabile, nell’anno appena trascorso, con riferimento a due citazioni in giudizio

di cui si è già trattato ampiamente, ha provveduto con la predisposizione di due istanze di

sequestro a tutela del credito erariale: la prima ha riguardato gli illeciti relativi ad un

complesso turistico sito in un comune della Provincia di Isernia; la seconda riferita alla

realizzazione di un centro per la raccolta ed il confezionamento di aglio e cipolla nel Comune

di Venafro. Questo ufficio requirente, ravvisando gli estremi del fumus boni iuris e del

periculum in mora, ha richiesto alla locale Sezione Giurisdizionale il sequestro conservativo

sui beni dei dipendenti a garanzia del credito risarcitorio vantato dalle Amministrazioni

danneggiate.

Corte dei Conti

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5.2.12. La c.d. “riparazione spontanea”

Va segnalato, infine, il sempre crescente fenomeno del c.d. “riparazione spontanea”, cioè il

recupero economico a seguito di istruttoria o di notifica di invito a dedurre o dell’atto di

citazione.

Si tratta di somme modeste ma importanti per un territorio non vasto come quello molisano,

che si aggiungono alle somme recuperate in sede di esecuzione delle sentenze di condanna e

che testimoniano l’elevato livello di considerazione attribuito all’attività svolta da questa

Procura.

5.3. GIUDIZI DI CONTO E PER RESA DEL

CONTO

Un settore di rinnovato interesse per la Procura è quello relativo ai giudizi di conto e per resa

del conto. Questi ultimi sono introdotti dalla Procura nei confronti degli Agenti contabili

che non abbiano ottemperato all’obbligo di rendere il conto, mentre i primi sono aperti dalla

Ssezione Giurisdizionale a seguito della presentazione del conto giudiziale ed alle relative

Udienze partecipa il Pubblico Ministero.

Nel 2016 sono stati discussi in Udienza, con la presenza della Procura Regionale, ben n.19

giudizi di conto. Mentre non sono stati introdotti giudizi per resa del conto.

La Sezione Giurisdizionale ha altresì emesso n.15 sentenze relative a giudizi di conto, di cui

n.1 di condanna più spese di giustizia ed altre n. 2 solo per spese di giustizia.

Da segnalare che in dette sentenze gli Agenti Contabili convenuti sono stati condannati al

pagamento di complessivi euro 2.325,92 di cui euro 1.180,12 euro riferite a spese di condanna

ed euro 1.145,80 inerenti spese di giustizia.

Corte dei Conti

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RINGRAZIAMENTI

Nell’accingermi a terminare questa relazione vorrei soffermarmi sul fatto che è evidente a

tutti che ormai la Corte dei Conti, organo dello Stato – Comunità, come più volte affermato

dalla Corte costituzionale, è oggi divenuta la sede istituzionale deputata, sia a livello

centrale, sia a livello delle sue articolazioni periferiche, a verificare in modo del tutto

autonomo e indipendente il corretto uso delle risorse pubbliche, il rispetto del patto di

stabilità interno e l’utilizzo dei fondi comunitari, in uno con il continuo monitoraggio della

qualità e quantità della spesa in rapporto alle entrate.

Prima di concludere, sento il dovere di esprimere il mio ringraziamento ai colleghi di questa

Procura regionale, con i quali condivido l’esercizio della funzione requirente, per l’impegno

profuso e l’elevata professionalità, che ha permesso un risultato di lavoro particolarmente

lusinghiero.

Ringrazio il mio predecessore, il Procuratore Regionale Cons. Carlo Alberto Manfredi

Selvaggi per l’ottimo lavoro svolto presso questa Procura Regionale, i Colleghi Magistrati

V.P.G. Arturo Iadecola e V.P.G. Daniela Morgante, recentemente trasferiti e assegnati a

ricoprire prestigiosi incarichi, il primo presso la Procura Generale della Corte dei Conti e la

seconda come Procuratore Regionale per la Regione Trentino Alto Adige – sede di Bolzano,

per l’attaccamento al dovere e per il notevole impegno profuso nelle numerose istruttorie

particolarmente complesse.

Un particolare e vivo ringraziamento va al personale amministrativo che ha collaborato in

maniera encomiabile con i magistrati della Procura.

Un ringraziamento al Sig. Presidente, ai Colleghi ed al personale amministrativo della

Sezione giurisdizionale, le cui pronunce (quale che sia l’esito per le azioni introdotte dalla

Procura) formano una giurisprudenza meditata, significativa ed autorevole.

Ringrazio altresì i Colleghi ed il personale tutto della Sezione Regionale di Controllo nonché

il Dirigente del Servizio Amministrativo Unico regionale ed il suo personale per la efficace

collaborazione prestata alle attività di questa Procura.

Un saluto ed un ringraziamento ai colleghi delle Procura della Repubblica di Campobasso,

Isernia e Larino con i quali questa Procura Regionale è in continuo contatto.

Un sentito grazie va poi alla Guardia di Finanza, all’Arma dei Carabinieri ed alla Polizia di

Corte dei Conti

Procura Regionale per il Molise - Campobasso

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Stato che, con abnegazione e notevole spirito di servizio, uniti ad altrettanta passione e

professionalità, hanno contribuito ad accrescere il nostro impegno nella lotta comune contro

gli sprechi del denaro pubblico.

Uno speciale saluto desidero rivolgere ai rappresentanti della classe forense per il continuo,

leale e proficuo confronto con questa Procura.

L’informazione delle reti televisive e degli organi di stampa è sempre stata puntuale ed

apprezzata.

Nel ringraziare infine tutti i presenti per la cortese attenzione, Le chiedo, Sig. Presidente, al

termine degli interventi programmati, di dichiarare aperto l’anno giudiziario 2017 della

Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per il Molise.