il vento del brenta 12-2009

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Il ento del Brenta trimestrale della pro loco di campolongo sul brenta Direzione, Amministrazione, Redazione: Casella Postale n.1 - Campolongo sul Brenta (VI) C.C.P.N. 10971364 - Spedizione in abbonamento postale - Taxe percue - Tassa riscossa Ufficio Postale - PT VICENZA - PAR AVION - ART. 2 COMMA 20/C L. 662/96 anno XXVII - N° 2 DICEMBRE 2009

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trimestrale della pro loco di campolongo sul brenta anno XXVII - N° 2 DICEMBRE 2009 Direzione, Amministrazione, Redazione: Casella Postale n.1 - Campolongo sul Brenta (VI) C.C.P.N. 10971364 - Spedizione in abbonamento postale - Taxe percue - Tassa riscossa Ufficio Postale - PT VICENZA - PAR AVION - ART. 2 COMMA 20/C L. 662/96

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Page 1: IL VENTO DEL BRENTA 12-2009

Il ento del Brentatrimestrale della pro loco di campolongo sul brenta

Direzione, Amministrazione, Redazione: Casella Postale n.1 - Campolongo sul Brenta (VI) C.C.P.N. 10971364 - Spedizione in abbonamento postale - Taxe percue - Tassa riscossa Ufficio Postale - PT VICENZA - PAR AVION - ART. 2 COMMA 20/C L. 662/96

anno XXVII - N° 2 DICEMBRE 2009

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2 Il Vento del Brenta • Dicembre 2009

Natale 2009Sta indicando il calendarioche un altr’anno se n’è andatotempo è quindi di vederecosa mai ci avrà lasciato.

Con la crisi dei mercatii consumi son calatie son troppe le personeposte in cassa integrazione

tra tempeste, lampi, tuoni,terremoti ed alluvionianche il tempo s’è arrabbiatoe i raccolti ha rovinato.

Chi dovrebbe governareperde tempo a litigaree in concreto per la gentenulla cambia veramente.

Viene voglia di pensarequesto è un anno da buttare.Cosa mai potremo fareper poterlo un po’ aggiustare?

Con parola ben sicuraci risponde la scrittura:

“Pur essendo molte membraun sol corpo noi formiamoe pertanto i nostri donicoi fratelli dividiamo.

Chi presiede e chi governacon paziente diligenzaponga in essere ogni sforzoper combatter l’indigenza.

E chi i governi preparaall’impegno di domaniuna salda formazionemetta nelle loro mani.

Poi nel viver quotidianocon l’amico e col vicinocostruiamo quell’intesache ci aiuti nel cammino.

E il ricordo del Nataleporti pace in ogni cuoredissolvendo ogni discordianella luce del Signore.

Domenico Tolio

Buon Natale

e Felice Anno Nuovo

IL VENTO DEL BRENTAanno XXVII - n° 2 Dicembre 2009

Periodico di informazione e di cultura edito dalla Pro Loco di

Campolongo sul Brenta

Presidente della Pro Loco:Ruggero Rossi

Direttore responsabile:Giandomenico Cortese

Comitato di redazione:Ruggero Rossi, Fiorenzo Vialetto

Redazione: Casella Postale n°1

Campolongo sul Brenta

Autorizzazione:Tribunale di Bassano del Grappa n°1/83

Impaginazione e stampa:

Romano d’Ezzelino (VI)

Hanno collaborato: Giovanni Lovato, Valerio Bonato, Luciano

Bonato de Pompeo, Domenico Tolio, Piergiorgio Secco, Emilio Scramoncin,

Enrico, Paolo, Stefano, Mirko, Giacomo, Monica, Damiano, Alberto, Giada, Greta,

Lavinia e Lorenzo. Le foto delle pagine centrali sono di Sandro Zampieri

Questo numero è stato inviato a 1.028 famiglie, delle quali 310

residenti a Campolongo, 643 nel resto d’Italia, 75 all’estero.

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Pro loco

Il Vento del Brenta • Dicembre 2009 3

Questo numero del Vento, che sicuramente a molti giungerà inaspettato (considerato che il precedente è arrivato neanche tre mesi fa), lo abbiamo voluto

fortemente e abbiamo cercato (e trovate) disponibilità e collaborazione da parte di molti nel mettere per iscritto le loro riflessioni ed esperienze... speriamo sia di buon auspicio per il futuro!La Redazione del Vento e tutto il Consiglio della Pro Loco di Campolongo ringraziano quanti hanno collaborato a vario titolo alla attività proposte nel corso dell’anno. Oltre alle persone che si sono dedicate alla Festa in Brenta, alla festa di Carnevale, alla collaborazione nella redazione del Vento, al nostro Direttore Responsabile Giandomenico Cortese, un ringraziamento va anche all’UMCE di Bassano, che tramite il Gruppo Commercianti di Campolongo ha condiviso le nostre finalità ed impegno.Se poi guardiamo alla collaborazione con alti soggetti (Amministrazione Comunale, Parrocchia, Squadra Antincendio, Gruppo Alpini, Complesso bandistico, Scuola Materna,...) emerge un quadro d’insieme di cui non solo noi, ma tutta la

comunità di Campolongo può andare fiera: il grosso impegno è quello, ora di curare il tutto e continuamente alimentarlo.Le riflessioni che leggevo solo qualche giorno fa su un periodico locale secondo le quali in Valbrenta ognuno pensa ai fatti suoi, al suo orticello, al suo campanile,... ed educa i propri figli ad essere furbi piuttosto che intelligenti, non mi ha lasciato stupito più di tanto: probabilmente ancora a molti sfugge l’impegno di tanti (fatto di altruismo, di solidarietà, di dedizione e di coerenza) che sta dietro ad una festa, ad una sagra, ad una cerimonia. Gesti fatti da persone (adulti e giovani) capaci di guardare al di qua e anche al di là del Brenta, partendo dalla pulizia delle sue sponde o di un sentiero (utilizzati poi da tanti!), per arrivare anche al sostegno di iniziative benefiche, alle sale trasfusionali, ...... fino all’Abruzzo, al Brasile, ...Prendiamoci l’impegno di non perdere questo spirito e queste buone tradizioni.Con l’augurio di un buon Natale e un sereno nuovo anno a tutti i lettori del Vento.

s Ruggero Rossi

impegno e tradizione

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Momenti di vita

4 Il Vento del Brenta • Dicembre 2009

Un giorno di primavera, quando tutto si risveglia, ho sentito un incipiente cambiamento dell’atmosfera stagionale anche in me stesso e, spinto da un piacevole stato d’animo, sono andato a fare due passi lungo l’argine della riva destra del Brenta.Ho camminato, per due, trecento metri, lentamente, per vedere meglio e distintamente i colori e per assaporare a fondo gli odori della stagione novella. Quei colori e quegli odori mi erano naturali, normali; ma, ad un certo momento, improvvisamente ho sentito un profumo agro-dolce che, per associazione di idee, mi ha riportato alla mente qualcuno o qualcosa che avevo conosciuto ma che lì per lì non riuscivo a decifrare. Mi sono seduto su una panchina, ho chiuso gli occhi e subito ho rivisto l’attrice Silvana Mangano, che usava appunto quel tipo di profumo, e suo marito il regista Dino De Laurentis, che avevo conosciuto entrambi a New York, negli anni ’70, in casa di un collega-amico, rappresentante di una banca italiana.Strano, ho pensato, un colore o un odore o una parola o un verso o un’inflessione di voce possono richiamarti alla memoria una persona che hai conosciuto, o un momento della vita che hai vissuto tanti anni prima e a cui non hai più pensato. Il meccanismo che alimenta e regola la memoria così come quella che dalla memoria riporta a persone e fatti del passato sono meccanismi complicati e strani che spesso funzionano anche, o solo, con il concorso del caso, e non sai mai quando e per quali motivi i ricordi di certe facce e di certi incontri ti ritornano a galla. Il mezzo più semplice e più sicuro, e nello stesso tempo più efficace per farci rivivere certi momenti della nostra vita è certamente quello della fotografia. Il discorso varrà anche per il futuro ma vale soprattutto per le fotografie dei tempi passati, quando solo poche persone avevano una macchina fotografica e quando solo poche persone avevano i mezzi per andarsi fare una fotografia.Una settantina di anni fa per farsi fare una fotografia uno del paese doveva mettersi in “vestito da festa”, andare a

Bassano da un fotografo di professione e sottoporsi ad una procedura-cerimonia che allettava ma che allo stesso tempo intimidiva e turbava. Come prima cosa il fotografo ti faceva sedere su una sedia; poi andava ad armeggiare intorno alla sua macchina fotografica che era una cassetta di legno che si allungava, nella parte anteriore, con un soffietto e finiva con un grande obiettivo. Questa macchina era montata su un treppiede gigante ed era coperta da un abbondante drappo di stoffa nera. Il fotografo metteva poi la sua testa sotto quel drappo di stoffa nera e, quasi scomparso, immedesimato nella macchina fotografica, con le mani - che sembravano dei tentacoli –Metteva a posto l’obiettivo, regolava le distanze e metteva a fuoco l’immagine; quindi usciva, con la sua testa, dal drappo di stoffa nera ed andava a sistemare la posizione del busto, delle spalle, del collo e della testa del cliente; ritornava poi alla macchina fotografica e da là, prendendo in mano l’estremità di un cavo collegato con l’obiettivo della sua macchina, guardava un’ultima volta il cliente, lo invitava a sorridere e, zac, scattava la foto. Durante tutte queste operazioni del fotografo il cliente si sentiva un importante oggetto di attenzione ma si sentiva anche in una situazione di imbarazzo perché aveva la sensazione di essere un pupazzo nelle mani del fotografo. Lo scatto finale era quindi anche una liberazione, un sollievo dall’obbligo di dover fare tutto quel che diceva il fotografo. Tutto sommato quella posizione del cliente davanti alla macchina da presa poteva durare un quarto d’ora, una mezzoretta al massimo; un sacrificio che valeva la pena di fare per avere un ritratto per un documento, meglio ancora, per immortalare le proprie sembianze per i figli o per i nipoti. Gli innamorati, poi, erano disposti a sacrificarsi anche per tempi più lunghi pur di avere una foto da inviare alle loro ragazze. La loro pazienza, di fronte alla macchina fotografica, poteva durare ore, giorni, settimane; anzi, stando alle parole di una canzone, qualcuno era rimasto in posa davanti alla macchina fotografica anche per mesi; e,

infatti, secondo quella canzone:

“Anche mio nonnocaporal di fanteria

stette otto mesi in posaper mandare a Rosa

una fotografia”.

E’ possibile immaginarsi un giovane che rimanga fermo, impalato sulla sedia per mesi e mesi, per mandare alla sua ragazza una fotografia? Oggi, con i tempi che corrono, con la dinamicità e la frenesia della vita moderna, non è proprio possibile immaginarsi che un giovane sia disposto a sacrificare un giorno, ma neanche un paio di ore, per una fotografia da inviare alla sua ragazza. Allora, invece, era proprio così; altri tempi, altri sentimenti, altri amori! Quello del “nonno caporal di fanteria” quello si che era vero amore!Questi erano i pensieri che mi passavano per la testa quando ero seduto là, su quella panchina, sulla sponda della riva destra del Brenta.Ad un certo punto mi è venuto in mente che tra le vecchie fotografie che mia madre aveva raccolto e conservato ce n’erano alcune che ricordavo interessanti. Allora mi sono alzato, sono tornato a casa speditamente, spinto dalla curiosità di tirar fuori e rivedere quelle fotografie.Camminando avevo una sensazione strana, di eccitazione; sentivo che, dopo le divagazioni fatte là, seduto sulla panchina, ora avrei guardato quelle fotografie con occhi e con un interesse diversi da quelli con i quali le avevo guardate altre volte.A casa, ne ho trovato due di un grande valore di famiglia: una era la foto di mio padre, di quando era in America; e l’altra era la foto di mia sorella maggiore, di quando aveva 3 – 4 anni, che mia madre ha mandato a mio padre, in America, dopo di avervi scritto, sul retro, come se fosse stata la figlia a scrivergli: “Perché tu abbia maggiormente a ricordarmi”. Mio padre non aveva ancora visto quella sua prima figlia e posso quindi immaginarmi l’emozione con cui l’ha ricevuta e la cura con cui se l’è conservata.

Una foto di gRUppo, Una foto del paese

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Momenti di vita

Il Vento del Brenta • Dicembre 2009 5

Ma la fotografia che mi ha riportato a galla tanti ricordi è stata quella di questo articolo, che ha fissato a futura memoria un gruppo di paesani, un gruppo rappresentativo del paese di una settantina d’anni fa, una foto che ci riporta alle particolarità e alle attività della vita quotidiana di ciascuno dei componenti quel gruppo, alle loro caratteristiche individuali che, messe insieme, mi sembra facciano la caratteristica del paese.Di quel gruppo, il primo aspetto che mi salta all’occhio è quello della scomparsa di tanti dei membri che lo componevano. Il secondo aspetto è quello della presenza di vari sacerdoti e di varie suore. Allora Campolongo era un vivaio di vocazioni: c’erano vari preti (per i quali nutrivamo riverenza sia per l’abito talare che per la loro età) che, nati in paese, tornavano in parrocchia un paio di volte all’anno, in occasione di feste particolari, e partecipavano alle “messe grandi”, “in terzo”, con i paramenti delle grandi funzioni religiose.Tra le varie persone del gruppo vedo e ricordo, soprattutto per la loro attività collegate con funzioni della chiesa, Micel (Michele Volpe) e Bin Scarparoto (Bernardino Bonato), il primo perché come fabbriciere si occupava dell’amministrazione della chiesa e perché nelle processioni si vestiva e operava da “capato”; e il secondo per il suo cantare in chiesa, in particolare nella settimana di passione e soprattutto nel giorno delle palme.In questa foto di gruppo si vedono e si riconoscono molte altre persone del paese di allora, ma ricordarle tutte singolarmente sarebbe un po’ lungo e fuorviante; ma non c’è bisogno di menzionarle: ogni volto svela qualche tratto delle persone, dei paesani di oggi; ognuno di noi può trovare nella foto del paese di allora un proprio antenato;

anch’io l’ho trovato: guardando con attenzione ho visto tra le varie persone, lassù nell’ultima fila, dietro e a fianco della Margherita dei Bianchi, il viso di mia madre e nel notarlo ho sentito commozione, affetto e riconoscenza.A parte il riconoscimento di qualche persona, ciò che di questa fotografia mi preme di vedere di più è il gruppo compatto, fatto di donne e di uomini, di giovani e di vecchi, che rappresenta il paese di allora, con i suoi vari aspetti di costume, di modi di vestire e soprattutto con i suoi aspetti civili e religiosi che là, nella foto, non si vedono ma che coloro che hanno vissuto in quei tempi e che hanno conosciuto quelle persone non possono non ricordare. Quel gruppo è rappresentativo non solo delle singole persone ma anche di una comunità, di una grande famiglia. Qualcuno potrebbe pensare che ad unire le varie persone in una vera comunità fosse il fatto che tutti fossero in qualche modo imparentati. Io credo invece, che ad unire i paesani in una comunità fosse il fatto che tutti erano più o meno poveri, tutti dovevano tribolare e, come si sa, nella sofferenza si diventa solidali e ci si aiuta a vicenda; a unire tutti era, poi, il fatto che allora non c’erano strade, ponti e mezzi di comunicazione cosicché i vari membri del paese dovevano vivere insieme per forza di cose. Ma allora, ad unire tutti in una comunità, c’era senz’altro anche un forte senso religioso che impregnava di sé tutta la vita quotidiana; c’erano, sentiti, gli imperativi dei comandamenti (che venivano imparati a memoria e che venivano assorbiti col tempo e con l’esperienza) e in particolare quello che dice “ama il prossimo tuo come te stesso”, un comandamento che aiuta a superare l’egoismo, l’invidia, l’individualismo e con il quale i paesani sapevano superarsi, aiutandosi a vicenda, con un forte spirito di solidarietà. Certo, i nostri antenati non

erano tutti dei santarelli ma, mentre oggi non ci sono più né inibizioni né freni morali né, poi, esami di coscienza, allora per lo meno i paesani avevano pudore e un senso di colpa che le donne, più degli uomini, andavano spesso a scaricare nel confessionale.La cultura dei nostri nonni e dei nostri genitori era una cultura “compatta”, fatta di principi condivisi, sostenuta da un profondo senso religioso che dava loro la forza di sopportare gli stenti di questa vita e la speranza di una vita migliore nell’Aldilà.Loro, i nostri nonni e i nostri genitori, avevano pochi grilli per la testa; essi avevano piuttosto ben radicato il senso del dovere di educare i figli e i nipoti; e in questa funzione, con l’esempio quotidiano, con affetto ma anche con severità, ci hanno seguiti ed aiutati a nascere, a formarci, a trovare gli elementi essenziali, i principi della nostra vita e a percorrere con maggiore sicurezza la nostra strada.“La memoria è anche il fondamento di ogni identità si individuale che collettiva”. Con la foto di gruppo dei paesani di allora abbiamo visto e sentito anche da dove veniamo. Il nostro paese di origine non è fatto tanto dai campi, dai muretti, dalle case, dalle stradine e dai pozzi, che abbiamo conosciuto da sempre e che ricordiamo ancora (anche se in parte sono scomparsi) ma piuttosto dalla comunità dei nostri genitori, dei nostri parenti e dei nostri paesani.Soffermarsi a guardare questa “foto di gruppo, foto del paese” significa rivedere i visi, le attività quotidiane, i principi, le tradizioni e i comportamenti dei paesani di allora, e significa in definitiva ricercare e trovare le proprie origini. Pensare al passato e alle proprie origini non è tempo perso; anzi, perché – riassumendo un pensiero che Carlo Sgorlon ha espresso nel suo libro “La carrozza di rame” : “chi non sa da dove viene non può sapere dove andare”.

s giovanni lovato

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Leggendo l’ultimo Vento del Brenta, ho visto che, nei miei ricordi, non ho mai parlato delle mie maestre delle Elementari e di quel periodo glorioso e semplice che si è svolto lassù.

la scuola

Ecco, la prima scuola in assoluto è la casa. E la mia casa allora era in piazza, in quell’edificio di via Conti 35, ancora sotto il muro della piazza, che allora vedevo - e ancora è - enorme e all’ombra grande e solenne della chiesa.Poi sono andato all’asilo che era più sotto, verso Brenta. Si doveva risalire l’andio per poi discendere la valle per un po’, per poi entrare all’asilo il cui cortile era ancora più basso e il cui refettorio più basso ancora. Lì ho trascorso tre anni della mia vita di bambino.

la scuola elementare

Quand’ecco a sei anni - era il primo ottobre del 1955 - il grembiule bianco celeste dell’asilo diventa tutto nero; solo il colletto è bianco e al posto del cestino della merenda si ha la cartella nuova fiammante di finta pelle rettangolare che si porta in mano così come ora porto la mia borsa da lavoro.Povera cartella, non ho più memoria di quella prima cartella, né di quelle successive. Ricordo che ogni anno ne serviva una nuova tanto era consunta e logorata alla fine, per quanta cura le avessi comunque riservata. Ma i soldi all’epoca erano pochi e si guardava su tutto. Quel giorno non scendo verso il Brenta ma salgo verso la piazza. Ci sono quattro, se non ricordo male, scalinate di cemento con gli scalini bordati di ferro da salire per entrare nel grande cortile a ghiaia su cui troneggia la scuola - un edificio a

3+1 piani- su cui scritto - a est ed a sud - in stampatello:SCUOLE ELEMENTARIMai posizione fu più opportuna per la scuola. Alta, solenne e stagliata a significare l’onore che il Paese tutto, la nostra Gente, riservava alla scuola, allo studio e all’imparare.Sarà un caso, ma quando si è voluto fare la scuola elementare nuova sotto il livello strada, verso Brenta, in basso, la Scuola si è offesa e l’insegnamento elementare a Campolongo, di là a poco, non fu più.Entro in cortile, ci sono 4-5 maestri che parlottano tra loro e noi che attendiamo fuori. Alle 8.30 come d’incanto, puntuali, si entra. Sul campanile della Chiesa suona, difatti, la campana alta della Scuola.

inizio la prima elementare

È la maestra Fernanda. Che bella era quella maestra, magra, dolce, elegante, paziente, luminosa. Mai c’è maestra più bella per un bambino di prima elementare.Anche lei ha il grembiule nero. Si comincia con le aste. Quaderni piene di aste fatte a matita. Solo verso gennaio, come grande concessione si passava all’inchiostro. Si doveva rafforzare e raffermare la mano. E non c’erano mancini all’epoca. Ognuno doveva scrivere allora solo ed esclusivamente con la mano destra. Così che io mi trovo

a vangare con il piede sinistro, a lanciare sassi con la mano sinistra ma a scrivere sempre e tassativamente con la mano destra.Il banco era grande a due posti, con lo scrittoio inclinato e rialzabile, dotato nel ripiano di sommità di due cavità, dove si mettevano i contenitori di inchiostro - i famosi calamai - cui si attingeva col pennino, ogni volta che si era terminato il precedente attinto.E le macchie non si contavano. Ma c’era la carta assorbente. Era bianca, linda all’inizio, ma poi bastava una sola mattinata e diventava tutta macchie.Per cancellarle le macchie dal quaderno, una volta asciugato l’inchiostro con la carta assorbente, c’era la gomma; da una parte bianca per la matita, dall’altra parte blu o rossa per l’inchiostro. Quando si applicava la gomma sulla pagina bianca del quaderno macchiato, molto facile era di trapassarne il foglio ed arrivare all’altra pagina.Che pazienza la nostra maestra Fernanda. Alcuni poi arrivavano a mettere la carta assorbente nel calamaio stesso cosicché, quando vi si intingeva, si raccoglieva anche traccia di carta assorbente, e nello scrivere il pennino si “schincava”. C’erano allora i pennini di riserva, la boccetta di inchiostro nuovo. La scuola ne aveva sempre una cogoma piena, che, con beccuccio, si utilizzava per collimare i livelli dei vari calamai di banco.

le mie maestRe

Nella foto la maestra Gasparina

Il racconto

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Il racconto

Il Vento del Brenta • Dicembre 2009 7

ed eccoci in seconda elementare

C’è la maestra Carletti. Era piccolina, grassottella, con i capelli biondi, lunghi fino alla spalla, ricci. Anche lei luminosa. Mi ero subito innamorato, dopo un po’ di delusione per non aver avuto la maestra di prima. Ma tant’è. Si è imparato da subito che le cose e le relazioni più belle son le prime a lasciarti e te ne devi fare una ragione.Anche lei il solito trantran.Forse cominciano i numeri, le numerazioni in avanti e in indietro e anche qualche tabellina, forse. Il libro di riferimento è il solo libro di lettura mentre i conti si facevano con le dita e con il pallottoliere le cui palle si spostavano di qua e di là nelle diverse righe che lo costituivano. Una volta arriva un rappresentante di libri, avrà avuto 25 anni. Io allora ne avevo 7. Mostra alla maestra i libri di testo che sarebbero serviti per l’anno dopo. Parlottano volentieri, contenti, quasi confidenziali. Ad un certo punto, lui le tocca il grembiule all’altezza della pancia, così, leggermente, come un buffetto, assolutamente simpatico, innocente ma che io ricordo come un sacrilegio. Mai, ai miei occhi, poteva una maestra essere toccata. Per me era come il Santissimo Sacramento dell’Altare.Poi gli esami. C’era forse la Maestra Ilde in commissione - e autorevolissima era la Maestra Ilde - e si è subito in terza.

sono in terza elementare

Si ha otto anni, la maestra arriva. Un’altra. E’ tutta mesta, con i capelli neri brizzolati, è il dispiacere fatto persona, il lutto impersonificato. Magra, minuta, consunta. Gli occhi consumati dal pianto. Ci si dice che le era appena morto il marito. Allora si portava il lutto stretto e tutta la classe così partecipava ogni giorno al suo intimo dolore. Di quella maestra ricordo la raccomandazione che ogni giorno ci faceva: di cambiare sempre il fazzoletto di tasca,

di cambiarci ogni giorno la biancheria intima, di guardare il cielo e distinguerne - tra le nuvole - i cirri, i cumuli e i nembi.Quel nitore di maestra, quello splendore di persona, quel celeste del cielo, solo una maestra lo può insegnare. Aveva un nome difficile quella maestra che non ricordo più.Ma, come tutte le Persone che si dissolvono nel cuore costituendovi presenza, è parte a me.

nove anni, la quarta elementare

Ho avuto la grazia di due maestre. La maestra Gemma - da Solagna - giovane, radiosa, sorridente. Me ne sono subito innamorato. Ma per poco. Perché, dopo un po’, è arrivata la maestra Gasparina. Era nostra, da Campolongo, ma andava su e giù da Vicenza, mi pare. Era appena sposata. Era una Madonna. Dolce, affettuosa, paziente. Metteva amore in ogni cosa. C’era un compagno da Contarini che la faceva ammattire. Una volta è arrivato con la carabina (un flober) in classe nascosta dentro tra la giacca e i pantaloni. Serviva, durante la ricreazione, a provare quanto perfetta fosse la sua mira. Ovviamente tutto nel più perfetto segreto, nella più generale omertà. Di lui eravamo, infatti, tutti ammirati, quasi soggiogati, tanto era simpatico.Ci insegnava le frasi le maestra Gasparina.Il soggetto, il predicato verbale, il complemento oggetto. Spiega che ti rispiega, ad un certo punto venne il momento dell’esercizio, di scrivere noi una frase.Il quaderno nero era pronto, la pagina bianca, l’inchiostro non mancava, la penna con pennino a posto, la carta assorbente pure. Anche la gomma c’era. Ma il pensiero non veniva a nessuno.La maestra andava su e giù e, con discrezione, sbirciava sui quaderni per vedere se nasceva qualcosa, se qualche pensiero veniva alla luce. Se, dalle nostre testoline, scaturiva qualche riflesso al pur chiara spiegazione di lei.

Niente.Eravamo noi bravi alla foracaena, a sappar el tabacco, a parlar de giviri, conigli, galline, pulcini, di tabacco, vacche, vitelli, merli, sesìe. Sapevamo tutto di pindol e massocca, di lile , di darsea, di scalon, di mussa caravolta etc. ma il concetto di frase proprio ci era ostico.Contemplavamo ogni cosa, la facevamo anche, ma la sua astrazione formale proprio non ci entrava. Ad un certo punto, un lampo: LA MAMMA STIRA mi viene. Lo scrivo di getto. Ancora la ricordo quella frase, tanto mi si è impressa nella mente. La porto, come di un lampo, alla maestra che, accasciata, era seduta sconsolata in cattedra a domandarsi come e che cosa poteva dire ancora per spiegarci il concetto di frase.Mi vede arrivare come un fulmine. Guarda la frase. Le si illuminano gli occhi. Si commuove, quella maestra, a veder nascere un barlume tenue di luce da tanta sua grande fatica. D’impulso mi manda, insieme con il capoclasse, su dalla Maestra Ilde la quale - sovrana - regnava regina nella sua classe e nella scuola. Legge, contempla, capisce, avvalora, significa, spiega e dà il voto:10 CON LODE

segue a pag. 8

Nella foto la scala che porta allavecchia Scuola Elementare

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proprio scritto così, con penna rossa, in stampatello, grande quasi come 2 righe di pagina. Che voto, che frase, che concetto, che ricordo! Lì, da quella frase è cominciato tutto il mio scrivere successivo. Grazie, Signora Maestra!

e finalmente si è in quinta

Man mano che si saliva di età, si saliva anche di piano. Quell’anno eravamo nell’aula posta al 2° piano della Scuola nella classe rivolta a Sud. Si vedeva il Cornon dalla finestra. Tutta l’aula era piena. Saremo stati una ventina. C’era anche un nuovo compagno quell’anno era a Campolongo.Fu un anno tranquillo, ci si doveva preparare agli esami. Il maestro Donà Giuseppe ci preparava alla Licenza Elementare ai cui esami era preposta una Commissione di ben tre maestri. Italiano, Aritmetica, Storia, Geografia, Disegno. Le divisioni, i problemi, le unità di misura, il Risorgimento, le Capitali degli Stati, le Regioni e le Province d’Italia. Tutto si doveva sapere. Poco invece noi si studiava, tutti presi come eravamo da altri interessi di strada.

Il maestro si dedicava molto a noi, nel senso che ci dava molta libertà nel fare, perché in quinta - diceva - si doveva essere responsabili e si doveva cominciare ad essere autonomi. E non aveva torto.Una volta si è mancato alle attese e al Maestro gli è scappato uno scappellotto sulla testa al nuovo compagno. Il giorno dopo suo padre era sul pianerottolo di classe a chiedere spiegazioni. Mai mia madre avrebbe osato tanto. Nel caso, infatti, se glielo avessi detto, me ne avrebbe dato uno ulteriore a rinforzo e si sarebbe andata a scusare dal maestro.Era il primo caso, quello, che succedeva a Campolongo.Poi, purtroppo, criticare le maestre è diventato uno sport, un metodo, un passatempo e la scuola non ne ebbe certo vantaggio. Tanto si è che la scuola elementare a Campolongo non c’è più.

gli esami

Poi gli esami. Il maestro era teso. In piedi. C’era la maestra Ilde a presiedere la

Commissione, forse la maestra Antonia come secondo commissario. Erano sedute, al di là di tre banchetti allineati, con le spalle a Sud. Noi entravamo uno alla volta. Eravamo veramente emozionati, compresi nel momento. Capivamo che quello era l’ultimo atto di cinque anni di studio. Capivamo che quello era il primo esame dei tanti che si sarebbero succeduti. Ti domandavano di storia, di geografia, di italiano, di matematica, ma più di ogni altra cosa - nel domandarti le cose - volevano dirti bravo, dirti di non aver paura, ti volevano incoraggiare, ti volevano affidare alla strada della vita, con tutto l’amore che quelle domande volevano significare.

Sì, signore Maestre; sì, signor Maestro, quell’amore non dimenticherò mai. E’ la forza mia quotidiana. Grazie.

Raccontas Valerio Bonato

7 ottobre 2009

Cose di casa nostra

8 Il Vento del Brenta • Dicembre 2009

il RepaRto “donatoRi di sangUe” in festa

Erano in molti a volteggiare con i deltaplani quel giorno, quasi a festeggiare anche loro un importante avvenimento che ha richiamato a raccolta a Semonzo del Grappa oltre cinquanta Gruppi di Donatori di sangue provenienti da Bassano fino

a Salcedo, a Pozzoleone, a Enego e a Fonte, per una forza complessiva di seimila iscritti. L’annuale Adunata Sezionale dei Donatori di sangue era iniziata già sabato sera con l’esibizione dei cori Edelweiss ed Ezzelino ed è proseguita domenica mattina con l’assemblea dei capigruppo e con una imponente sfilata.In prima fila il vecchio labaro del reparto, tanti gagliardetti, una moltitudine di bandiere, la Fanfara Sezionale, il Coro M. Grappa e tanti donatori,

accolti dall’entusiasmo di un paese completamente imbandierato.Poi la S. Messa..... di fronte a don Giovanni Bellò non ci si poteva certo annoiare e per l’occasione ha scritto e

letto una poesia. Nei giorni successivi, dopo averla letta e riletta, alcune frasi mi hanno particolarmente colpito: “...evviva il bel Volontariato, seme di vita è il sangue donato! Donare sangue, donare midollo, donare se stessi, donare un Buon Esempio... può salvare una vita e dare un senso alla nostra! ..... chi viene qua dentro (nei Donatori) va fuori forte e più contento”. Così scriveva il prete che .... vola.Durante il pranzo, dopo vari interventi e i sinceri ringraziamenti del Primario Dott. Carla Giordano, ha preso la parola Ermando Bombieri, Presidente del Reparto Donatori di Sangue “M. Grappa”.Lui, il “vecchio” condottiero, che attorno a sé raduna una folta truppa di volontari, ha ringraziato quanti gli vogliono bene (tutti!) e quanti gli hanno dimostrato affetto anche quando ha avuto qualche

segue da pag. 7

Page 9: IL VENTO DEL BRENTA 12-2009

Il Vento del Brenta • Dicembre 2009 9

Cose di casa nostra

Viaggio sU dUe RUoteNegli ultimi anni la passione per la bici ha interessato sempre più giovani e meno giovani che hanno fatto di questo sport una delle loro attività preferite.Noi tre fratelli, Giacomo, Monica ed Enrico, accomunati dall’amore per le due ruote e la natura, abbiamo maturato durante l’estate l’idea di intraprendere un’avventura indimenticabile: Campolongo sul Brenta – Monaco.Per il nostro viaggio la diffusione di numerose piste ciclabili è stata indubbiamente fondamentale, sia per

evitare il traffico, sia per poter meglio assaporare la bellezza, i suoni e gli odori dei paesaggi circostanti.Il 19 agosto, data fissata per la nostra partenza, abbiamo voltato le spalle all’insegna del nostro paesello e, accompagnati da due splendide giornate di sole, seguendo le ciclabili lungo i fiumi Brenta, Adige e Isarco siamo giunti sino a Vipiteno.Abbandonate così le coltivazioni di meli e vigneti del Trentino ci siamo immersi nel tipico paesaggio tirolese, caratterizzato da piccole cittadine con case dai tetti spioventi e balconi fioriti.

Il giorno seguente è giunto il momento di attraversare il passo del Brennero per raggiungere, dopo una lunga discesa tra gli immensi pascoli verdi dell’Austria, la città di Innsbruck.Da qui affiancando per un breve tratto il fiume Inn e i laghetti alpini dei monti austriaci siamo giunti alle sponde dell’Isar, il fiume che ci avrebbe portato a destinazione.Scenario del quarto giorno, le immense lande tedesche coltivate a grano e orzo, le foreste di conifere ad alto fusto e gli allevamenti bovini che, nonostante la pioggia battente, ha accompagnato la nostra ultima tappa.Dopo 480 chilometri abbiamo finalmente raggiunto Marienplatz, la piazza principale di Monaco. Mancava soltanto un’ora per sentire i rintocchi del famoso orologio a cucù che attira in piazza numerosi visitatori, tuttavia il battito del nostro cuore poteva per noi sostituirlo, sintomo della fatica e dell’emozione per avercela fatta.Lo scopo di queste righe non è tuttavia solo quello di raccontare la nostra esperienza ma è soprattutto quello di incoraggiare coloro che condividono la nostra passione a intraprendere un’avventura simile, che si può capire solo vivendola.

s giacomo, monica, enrico todesco

problema di salute. Si è quasi commosso mentre chiamava i nomi dei suoi “ragazzi” premiati: ha avuto parole di stima e affetto per tutti. Anche noi, Emilio Scramoncin con 51 donazioni e Bonato Luciano con 71, abbiamo ricevuto un ambito riconoscimento, motivo di orgoglio da condividere con la nostra Associazione ma soprattutto con il nostro Capogruppo

Giovanni Negrello, perché se siamo riusciti a raggiungere questo traguardo è merito anche suo che con spirito di amicizia e grande dedizione opera in silenzio per il bene della collettività.Cari amici Donatori e Donatrici, auguriamo a tutti di arrivare e magari superare questi traguardi, perché ciò va a beneficio di chi ne ha bisogno. La salute è un bene

di fronte al quale ogni altro problema dovrebbe passare in secondo orine: ci auguriamo che un giorno ognuno di noi possa dire “ho donato qualche cosa di mio a chi ne ha bisogno!”... senza chiedere niente in cambio.

s emilio scramoncin e luciano Bonato

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Il 31 luglio siamo partiti di buon’ora con il pullman per giungere a Lourdes. Questa tappa non aveva nulla a che vedere con il cammino, è stata solo una piacevole sosta dove abbiamo potuto apprezzare le bellezze di uno dei posti di devozione più famosi al mondo. Purtroppo il tempo che avevamo a nostra disposizione era poco e di Lourdes abbiamo più che altro potuto apprezzare il clima quasi surreale e di profondissima fede che si respira attorno alla grotta dove durante tutte le ore del giorno centinaia di fedeli si raccolgono in preghiera.

La mattina successiva ci siamo rimessi in viaggio per giungere nella serata seguente alla partenza del nostro pellegrinaggio. Come la maggior parte delle persone che non hanno la possibilità di percorrere tutti gli ottocento chilometri del cammino, abbiamo deciso di partire da Sarria, l’ultima città dalla quale si può ottenere la compostela, il documento che attesta che si è fatto il cammino. Arrivando nella palestra che ci ha ospitato per la prima notte abbiamo incontrato i primi pellegrini che come noi avevano l’obbiettivo di arrivare a Santiago. Qualcuno era partito da molto distante e aveva già sulle gambe settimane di cammino ma in loro non mancava mai il sorriso e la voglia di fare due chiacchiere con delle persone che condividevano la stessa esperienza. Partendo la mattina seguente ci siamo subito accorti che le nostre ferie non erano proprio di quelle rilassanti e piene di confort, lo zaino sulle spalle pesava parecchio e dormire per terra sopra ad una stuoia non è proprio come riposare in una camera d’albergo. La prima tappa è stata piuttosto facile, la distanza percorsa abbastanza breve (poco più di 20 km) ma già alla sera abbiamo dato ragione a chi, prima di partire, ci aveva consigliato di portare con noi cerotti e tutto l’occorrente per le vesciche. Le tappe successive sono state via

via sempre più difficili ma passo dopo passo entravamo sempre più nel clima di Santiago. Non era difficile trovarsi a camminare fianco a fianco con persone che arrivavano da pesi molto distanti dall’Italia ma con tutti c’era quantomeno un saluto, qualche parola nel nostro inglese stentato e l’immancabile augurio: “buen cammino”. Percorrere il cammino riserva degli incontri straordinari. Abbiamo incontrato un uomo che qualche anno prima era partito da Padova a piedi per arrivare a Santiago come ringraziamento al Signore per un figlio nato sano e che i medici prevedevano gravemente ammalato. Questo stesso uomo adesso passa le sue vacanze estive, tutti gli anni, assieme alla famiglia in una antichissima casa per dare aiuto e ospitalità ai pellegrini di passaggio. Abbiamo incontrato anche un ragazzo canadese di 17 anni che percorreva da solo il cammino ma essendo ormai lontano da casa da molto tempo si imponeva più di 50 km al giorno per finire il prima possibile e tornare a casa.Percorrere il cammino è un esperienza faticosa. Anche noi come tanti nostri

compagni di viaggio abbiamo avuto qualche problema con i piedi doloranti e le difficoltà che riserva un percorso che giorno dopo giorno si fa sempre più duro, ma proprio questa è la particolarità e la bellezza che il cammino di Santiago regala ogni anno alle migliaia di pellegrini che decidono di affrontarlo.Arrivare a Santiago avendo superato tutti i problemi incontrati, regala una gioia ed un‘emozione stupenda da condividere con coloro che ti sono stati vicini nei momenti di difficoltà e di crisi che inevitabilmente si incontrano durante il percorso. Partecipare alla messa dove la maggior parte dei pellegrini arrivano stanchi e provati e stentano a rimanere svegli durante l’omelia regala una sensazione che forse solo Santiago sa regalare. Vedere

il grande Botafumeiro (un grandissimo turibolo) che ciondola lungo tutta la navata della grande cattedrale per salutare i pellegrini che arrivano è un cerimoniale che almeno una volta nella vita merita di essere visto.Quando prima di partire qualcuno ci diceva che una volta fatto l’ultimo pezzo rimane la voglia di partire dai Pirenei e attraversare tutta la Spagna per arrivare dov’è sepolto San Giacomo non credevamo a ciò che ci diceva. Invece Santiago sa regalare anche questo, finito il cammino viene voglia di ripartire per farlo tutto.

Come avevano detto a noi prima di metterci in marcia il cammino di Santiago non è altro che l’immagine del cammino della vita dove superando le difficoltà e condividendo le gioie con le persone che ti sono vicine si raggiungono risultati insperati. Per questo lasciamo a tutti l’augurio con cui ci siamo congedati da Santiago:” buen camino por la vida” (buon cammino per la vita).

s Enrico, Paolo, Stefano, Mirko

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Il punto

In corrispondenza di ogni dieci anni della mia vita, mi capita di fare il punto della precedente decade e impostare il cammino per quella a venire.E’ capitato quando avevo dieci anni allorché, in quel giorno, morì Don Orlandino.Avvenne pure a venti, quando mi avviai all’Università. A trenta, un po’ meno, tutto preso com’ero con il lavoro da avviare, la famiglia da impiantare, e la partenza di mio padre da elaborare.A quaranta - poi - si è percepito che si era a metà. La più bella parte della vita già trascorsa. Altrettanta, forse anche un po’ di più, da trascorrere. Ancora. Ma, a differenza di ogni altra precedente età, si sapeva ora quanti erano quarant’anni. Li si avevano, infatti, appena trascorsi.A cinquanta, infine, ci fu il grande giubileo. Ceneri, celebrazioni, cene, promesse di viaggi in Canada da sempre sognati ma impossibili da effettuare. Con una forza dentro che spaccava le montagne e pure le persone.

Or eccoci a 60

Sono arrivati in sordina, pian piano,

lentamente. Si affaccia qua e là il pensiero della pensione che mai prima di ora si era considerato.Si pensa al fondamento della vita su cui fin d’ora ci si era appoggiati. Si scopre che quella pietra su cui si puntava i piedi per ogni partenza è come un dente le cui gengive man mano si ritirano.Comincia a “scorlare”, a scuotersi, a muoversi, a dondolare, a oscillare, a piegarsi, a togliersi.Si rimane senza appoggio, si cammina senza fondamenta, si sprofonda sempre più, si scende agli Inferi,

giorno dopo giorno a trovare quel fondamento che non c’è più.E pensare che il papa vecchio ha cominciato a 60 anni a fare il papa. E mio papà, proprio a sessanta anni, si è avviato su dal Padre a completare quell’opera che qui da noi aveva avviato.

Or eccoci, dunque, a 60 anni

Una volta, quando ero piccolo e vedevo persone della mia attuale età mi dicevo: “ Che vecchi che sono. Oramai, devono sapere proprio tutto”. Li vedevo come pozzi di scienza, di sapienza, di intelletto tante erano le rughe, spessi i calli e profondo il silenzio che li caratterizzava.Persone che hanno costituito il fondamento della mia giovinezza. Le guardavo con timore e con tremore. Mi avvicinavo a loro con deferenza e rispetto e li guardavo nel loro silenzioso andare. Erano come l’acqua del Brenta che - calma e solenne - passava sotto il ponte. Lentamente. Con fiducia Imperturbabile. E il Brenta è ancora là e, se guardo bene, sono ancora là pure loro.

VERSO IL PADRE

Momenti di vita

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Momenti di vita

Or eccomi io a sessant’anni

Quest’anno abbiamo fatto una Messa di sghimbescio, una processione mancata, una cena di avvio di anno silenziosa, quasi formale, di etichetta. Tanto per farla.Le Persone - un tempo fragili virgulti di una medesima radice - sono diventati ora alberi, querce, ulivi, ciliegi, castagni, viti, fichi, susini, melograni, meli, peri, cachi ricolmi di rami, ricchi di frutti. Le foglie d’autunno cominciano, però, a cadere. Facciamo finta di niente, ma continuano a cadere. Come neve che d’inverno lentamente cade.Il pensiero intanto cammina. Si comincia a guardare il sole. E’ tanto che lo guardo. Lo vedevo un tempo proprio bene quando, di mattina presto, si andava a sappar, a dar terra al tabacco, a rabutarlo, a raccoglierlo - prima che il sole diventasse alto e, la fatica, già dura, diventasse insostenibile.L’alzo del mattino dal letto - così duro - era però ripagato dal fresco dell’aria e dalla vista del sorgere del sole.Così il tramonto. Lo scruto la sera. Lo guardo calare rosso, tondo, affettuoso, caldo.Timido si nasconde, come stanco si ritira, per recuperare lo splendore per la mattina successiva.

60 anni. Che anni sono, questi!

I dieci, i venti, i trenta, i quaranta.Si diceva anticamente, quando dai trenta si passava ai quaranta, che si era negli anni “anta” per dire di maturità piena. Non più di fanciullezza i dieci; non più di adolescenza i venti, non più di gioventù i trenta. Si era negli “anta”. Non si poteva più scherzare. Si era - lo si era sempre stati - persone affidabili. Ora però si poteva cominciare a

ironizzare di sé. Ecco che di tutti gli “anta”, i sessanta hanno una particolarità unica. Hanno la santità come possibilità.Sessanta.Sì, ancora un po’ di sesso - per usare una parola ora d’uso per dire far l’amore - ma quel “santa” e quel “se” davanti dà proprio l’idea di una possibilità, di una strada, di una modalità che - se negli anni cin-quanta evoca la quantità - negli anni se-santa indica una qualità: la più normale, la più semplice, la più naturale: la santità.

La santità

Ecco è questa una parola che deriva dal verbo latino sancire di cui santo è il participio passato. Vuol dire ordinato, convenuto, stabilito, regolamentato, pattuito, sancito, codificato.Tutte le cose che hanno un senso - cioè tutte - sono sante;tutte le persone di buona volontà - cioè tutte - sono sante;tutti gli avvenimenti della storia - in una visione provvidenziale della vita - sono santi. Tutti.Ecco questi sono gli anni - i 60 - per entrarne in consapevolezza.Ora, la santità dei miei compagni di classe non me ne hanno fatto perdere nemmeno un minuto.Quasi richiamati da un’intima radice - l’11 settembre u.s., venerdì, mio compleanno – si è, infatti, partiti.Erano le 6 di mattina. C’eravamo tutti, con i relativi consorti. Nessuno mancava all’appello. Nessuno. Tutti erano presenti! Tutti! In ispirito, di Persona e nel cuore.

La partenza

Prima in silenzio, poi timidamente, quindi sempre più spigliati, si è arrivati a San Sepolcro, passando sotto la

Madonna di San Luca, poi per La Verna, per arrivare alla sera a Perugia per la cena. Si è ripartiti il mattino dopo per le Cascate delle Marmore per arrivare poi al pomeriggio ad Assisi da Francesco. Che stupendo fu quel tramonto quella sera!Si è ripreso la mattina dopo il cammino per il centro di Perugia lassù in Santa Maria delle Grazie là dove se ne conserva l’anello sponsale.Si è ripreso, infine, la strada di casa dove si è arrivati sotto una pioggia battente e scrosciante, al riparo di Santa Maria del Carmine, la nostra chiesa di casa, natale, sorgiva.

Si era provati a scendere prima - per far presto, per non rifar la strada, per arrivare prima dai figli.Invece no! Quella pioggia a dirotto l’ha impedito, sancito, santificato.Si doveva arrivare insieme là dove tre giorni prima si era partiti. Buon viaggio.

Raccontas Valerio Bonato

15 settembre ’09

Nella foto la Chiesa e la Piazza

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Fiocchi Rosa e AzzurriIl 7 ottobre scorso è venuto alla luce Matteo Temperato, primogenito di Sebastiano e Silva. Complimenti ed auguri.

CondoglianzeIl 29 ottobre scorso è mancata Altea Vanzo vedova Zannoni di anni 78 che, per tanti anni, aveva gestito assieme al marito Piero la trattoria “Alla nave”. Ai figli ed ai parenti giungano le più sincere espressioni di condoglianza.E’ mancato, lo scorso 2 novembre, all’età di 86 anni Gaspare Vialetto “dei Becari”. Ai figli e parenti giungano le nostre più vive condoglianze.Il 20 novembre si è spenta, all’età di 96 anni, Delfina Costa vedova Bonato. Ai figli ed ai parenti giungano le più sincere espressioni di condoglianza.

Confetti RossiIl 25 settembre presso l’università degli studi di Padova si è laureato in Scienze Ambientali Michele Zannoni, figlio di Ruggero e Giuliana.

Il 30 settembre si è laureato Matteo Bisinella, figlio di Rossella Negrello, in Disegno Industriale, presso lo IUAV di Venezia.

Il 7 ottobre scorso si è laureato, presso l’Università degli Studi di Padova, Luca Bonato, figlio di Ugo ed Agnese, in Ingegneria Civile.

Martina Illesi, figlia di Mauro, il nostro sindaco, e di Renata, si è laureata presso l’Università di Padova in Scienze Psicologiche Cognitive e Psicobiologiche.

Ai neodottori ed alle loro famiglie i nostri complimenti!

Confetti d’oroIl nove agosto scorso Guido Antonio Giusto e Domenica Nilda Cavallin hanno festeggiato i loro cinquanta anni di matrimonio. Dopo la messa celebrata dal parroco don Paolo gli sposi sono stati festeggiati dai figli, dai famigliari e dagli amici. Agli sposi auguriamo un lungo e sereno futuro.

In TV con onoreNei giorni 27 e 28 ottobre Doriano Serradura, figlio di Arnaldo ed Anna, si è esibito in televisione nella popolare trasmissione “Chi vuol essere milionario” condotta da Gerry Scotti su Canale 5. L’ingegnere, che ora abita a Pove del Grappa con la sua famiglia, ha saputo brillantemente rispondere alle domande fino a guadagnare la rispettabile cifra di 30.000 Euro, sfoggiando una cultura generale molto apprezzabile. Ci complimentiamo vivamente!

La classe del ’49 festeggia i sessanta. Anche per quelli del ’49 è venuto il momento di festeggiare i sessanta anni. Tre giorni trascorsi in Umbria hanno rappresentato per tutti momenti di svago e di ammirazione per le bellezze paesaggistiche e artistiche.

Il bel tempo ha favorito il tutto facendo trascorrere questo periodo in serenità ed allegria ma, lasciando anche lo spazio a riflessioni sugli anni passati con lo sguardo rivolto verso il futuro.

Sessant’anni di matrimonioCaterina Pizzato e Germano Vialetto hanno festeggiato lo scorso 13 agosto i loro sessant’anni di matrimonio. Agli sposi auguriamo ogni bene.

W la classe del 1924 I coetanei della classe del 1924 hanno festeggiato il 19 settembre il traguardo degli 85 anni. Attorno al tavolo per il pranzo, dopo la celebrazione della S. Messa, hanno ricordato i bei tempi passati dandosi appuntamento per il prossimo anniversario.

Trofeo Volpe Si è svolto il 12 settembre scorso, presso l’impianto sportivo di Campolongo il primo Trofeo “Bortolo Volpe”.Il torneo ha visto la partecipazione di 4 squadre di esordienti, fra cui

Notizie flash

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Momenti di vita

Domenica 12 settembre durante la santa messa delle ore 10, nella chiesa di Campolongo sul Brenta, dedicata alla Madonna del Carmine, è stato commemorato il cinquantesimo anniversario della morte di don Orlando Bonato, avvenuta l’11 settembre 1959.

Alla celebrazione hanno partecipato i fratelli, le sorelle ed i famigliari di don Orlando, oltre ad una nutrita delegazione di fedeli della parrocchia di Saonara, presso la quale aveva prestato il suo servizio sacerdotale per quattro anni in qualità di Cappellano.

Il parroco di Campolongo ha celebrato la S. Messa e, durante l’omelia, ha ricordato, con toni affettuosi, il prete che non ha mai conosciuto ma che riposa nel cimitero del paese.

Mentre ascoltavamo le parole di don Paolo tornavano alla mente le occasioni di incontro con don Orlandino, durante le vacanze estive, lunghe per noi ma brevi per lui, ed alcune gite alle quali anche lui aveva partecipato.

Nelle estati di quegli anni, dal 1954 al 1958, ero solito trascorrere, dagli zii “Caile” ai Vialetti, dei periodi di vacanza, per me particolarmente felici.La gita al Monte Grappa era una consuetudine: si partiva dal paese al pomeriggio, si arrivava a Ponte S. Lorenzo e da lì in avanti si cercava una casara in cui trascorrere la notte dormendo nei fienili.

Con la partecipazione di don Orlandino ho vivi ricordi di due gite in particolare, perché ho vissuto momenti di grande serenità e di elevazione spirituale assieme a quel giovane prete che ci faceva da “Guida”.

Una prima gita ai Colli Alti la facemmo partendo a piedi da Campolongo, salendo per Solagna fino a S. Giovanni dove incontrammo il Vescovo che era lassù per un breve periodo di riposo. Ritornammo passando per S. Nazario e traghettando il Brenta in barca.Una seconda gita fino a Cima Grappa la facemmo con pochi amici: di questa alcuni momenti sono stati fissati in poche e semplici fotografie che ho ritrovato, dopo tanti anni, nella mia raccolta. In una foto è ritratto don Orlandino con il Sacrario Militare del Grappa sullo sfondo; un’altra è stata scattata durante la celebrazione della S. Messa nel piccolo Santuario della Madonnina del Grappa (l’effige della Madonna venne consacrata dal Cardinal Sarto, poi Papa Pio X); la foto di gruppo è stata scattata da un escursionista di passaggio,

mentre un’altra coglie i momenti della colazione al sacco: pan e soppressa con un po’ de formaio”.

Dei ragazzi delle foto, ormai uomini avanti negli anni, qualcuno risiede a Campolongo, altri abitano in altre città, qualcuno ci ha già lasciato.Le foto sono state scattate, forse, nel 1956.

Anche i parrocchiani di Saonara, dopo la S. Messa, ci raccontavano episodi della vita di questo giovane prete: era il loro assistente e ricordavano i momenti di spiritualità, di allegria durante le gite o le feste assieme, la sua generosità verso il prossimo, la disponibilità all’ascolto e al dialogo.Anche noi, probabilmente coetanei dei parrocchiani di Saonara, abbiamo vissuto le stesse esperienze, seppure per periodi brevi quali quelli delle vacanze estive, sperimentando la bontà e la spiritualità di don Orlandino Bonato, di cui rimane un grande ricordo.

s Piergiorgio Secco

RICORDO DI DON ORLANDO BONATO A 50 ANNI DALLA MORTE

Cose di casa nostra

Da sinistra in alto: Piergiorgio Secco, Benito Bonato, Giampietro D’Errico, Ernesto Scramoncin, Mario Vialetto “Incio”; sotto: Pierangelo Bonato, don Orlandino, Roberto Orlando “Del Posso”.

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“Speriamo di Riuscire”

Sperare, sperare, sperare sempre e comunque, anche quando ci troviamo a dover affrontare momenti bui, sapendo distinguere i sogni “positivi” da quelli che non ci potrebbero portare alla vera realizzazione di noi stessi: era questo il tema del nostro camposcuola che prevedeva come obiettivo il vivere le sfide della vita, piccole o grandi che siano, con fiducia. Ad accompagnarci la figura di Isaia, profeta della fede e della speranza che credeva fermamente che solo con Dio ci sarebbe stata l’unica possibilità di salvezza e la storia di Maddalena e dei suoi fratelli che improvvisamente si vedono catapultati all’interno di un labirinto la cui uscita prevedeva concentrazione, fiducia e il non perdersi mai d’animo. Tra le diverse “attività non obbligatorie” figurava la “posta del campo” con la quale non solo i ragazzi, ma anche gli animatori, potevano esprimere le loro idee… ed una di queste lettere era indirizzata proprio ai primi, i veri protagonisti del campo e ci vedeva come mittenti…. Rubbio, 31/07/2009Cari animati,siamo ormai arrivati alla fine di questo Camposcuola: è stata una settimana lunga e dura da preparare, ma grazie a voi è volata in un batter d’occhio. E come ogni “fine”, noi animatori siamo soliti tirare le somme. Il sole, eccetto ieri per pochi minuti, non è mai mancato, probabilmente il vostro entusiasmo e la vostra energia hanno fatto tacere fulmini e temporali come invece avevano previsto. Sono successe un sacco di cose: c’è stato

chi, accidentalmente o meno, è stato punto da vespe o insetti simili, chi non ne voleva sapere di dormire senza una trentina di baci della buonanotte (i maschietti specialmente), chi faceva il dj pur di stare davanti al microfono, chi ballava Michael Jackson, chi stravedeva per qualche animatrice e chi talvolta disprezzava le sveglie “poco delicate” di qualche animatore, ma fondamentalmente c’eravate voi, 32 ragazzi in una fase della vita che a volte noi più grandi invidiamo per il vostro modo di essere e per poter ancora essere così. Essendo il tema del campo quello della speranza, parlando di sogni e desideri, avete dimostrato di essere disposti a non tirarvi indietro di fronte alle sfide e alle diverse competizioni tra squadre. Nelle attività che richiedevano qualche riflessione avete talvolta fatto desiderare, ma siamo ugualmente fieri di voi perché crediamo che l’esperienza del campo sia un po’ a “doppio scambio”: non siamo solo noi “grandi” a darvi qualcosa,

ma anche e soprattutto viceversa. Per concludere e per rimanere in tema con quello che si è detto in questa settimana, continuate a sognare speranzosi, “finché si sogna, c’è vita” diceva una frasetta della vostra guida che abbiamo letto assieme. Non smettete mai di credere di poter realizzare i vostri desideri, credeteci e non arrendetevi mai, ricordando che, prima di tutto dentro di voi, avete un amico fedele come Gesù che non vi abbandonerà mai!II vostri animatoriBisogna anche dire, però, che esperienze come queste non prevedono solo un impegno nostro, ma anche di cuochi e sacerdoti. Pertanto ringraziamo don Paolo che ci ha fatto da assistente spirituale e i cuochi Giovanni, Angelina e Secondina per la loro gentilezza e disponibilità.

s Alberto, Damiano, Giada, Greta, Lavinia e Lorenzo

Camposcuola IA e IIA media Rubbio 26.07 – 01.08.2009

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Alle ore 3.32 del 6 Aprile 2009 un vio-lento terremoto di magnitudo 5,8 della Scala Richter colpiva l’Abruzzo e gran parte del centro Italia. L’epicentro del sisma veniva registrato a L’Aquila e pro-vincia dove i danni a cose e persone sono ingenti.È subito emergenza. La macchina dei soccorsi formata dagli uomini della Protezione Civile Nazionale si metteva immediatamente in moto e richiamava aiuti da tutte le parti d’Italia affinché si potesse intervenire in modo efficace nel disastro, lottando contro il tempo che passava su una terra che continuava a tremare.La regione Veneto dichiarava lo stato di allarme e, attraverso gli uffici pro-vinciali, allertava tutte le Associazioni di volontariato della Protezione Civile presenti nel territorio, richiedendo l’im-mediata attivazione del personale e delle attrezzature necessarie per la predispo-sizione dei campi di assistenza nelle zone colpite dal sisma.La segreteria del Coordinamento “Bren-ta- Monte Grappa” (di cui anche Campo-longo fa parte), ricevuta la segnalazione, già nella sera del 6 Aprile organizzava una squadra di volontari appartenenti ai gruppi di Romano, San Nazario e Colli-ne Bassanesi.I nostri amici, primi volontari, raggiun-gevano un paesino di montagna in pro-vincia de L’Aquila dove avevano il com-pito di allestire una tendopoli. Subito si resero conto delle difficoltà da superare: sul posto mancava praticamente tutto: l’acqua, la corrente elettrica, i bagni, il cibo!Di notte il freddo si faceva sentire e den-tro le tende si raggiungevano appena i tre gradi. La gente del paese, per lo più anziani, non poteva rientrare nelle pro-prie case e aspettava l’arrivo di questi angeli custodi con la divisa gialla e blu che rappresentavano una sicurezza, una speranza, un sollievo.Dopo questo primo immediato interven-to, durato una decina di giorni, il nostro Coordinamento ha continuato, con ca-denza settimanale, a inviare volontari.Anche la Squadra Antincendio e Pro-tezione Civile di Campolongo, guidata con impegno e dedizione dal Presiden-te Francesco Bianchin (Gilberto) e dal Segretario Alfio Mocellin, ha accolto la richiesta di solidarietà che veniva dal-la popolazione dell’Abruzzo e, in turni differenti, tre nostri componenti hanno raggiunto le zone terremotate coordinati dalla Provincia di Vicenza: ogni squadra

con le proprie attrezzature si incontrava con altre squadre al casello autostradale di Vicenza Ovest e poi a Rovigo dove era previsto l’ammassamento di tutti i vo-lontari veneti.Da qui, tutti insieme, uniti in una colon-na mobile, partiva verso la destinazione “Centro Operativo Misto 4”, struttura primaria di emergenza con sede a Pia-nola (L’Aquila), il grande gruppo di vo-lontari veneti, la mano generosa che il Veneto porgeva all’Abruzzo. Fino a metà ottobre sono andati nelle zone terremotate 960 persone dalla pro-vincia di Vicenza.Da questo campo base Floriano Bonato e Gian Franco Giusto partivano ogni giorno per raggiungere le tendopoli vi-cine, ognuno con compiti diversi: chi era addetto alla sistemazione delle tende, chi all’installazione, al controllo o alla mes-sa in sicurezza degli impianti elettrici.Il 20 giugno è iniziato anche il mio turno: il mio compito lo dovevo svolgere tra i fornelli da campo, con un gruppo guida-to magistralmente da Teresa, una cuoca di Dueville.Dovevamo preparare il cibo per circa 300 persone del campo base (colazione, pranzo, cena), oltre che per gli ospiti di due tendopoli vicine.Il compito era impegnativo ma la colla-borazione all’interno del gruppo è stata immediata e tra noi è nata anche una bella amicizia.Il tempo libero che avevamo a disposi-zione per un po’ di riposo o per visitare la zona era minimo (il pomeriggio dalle 15 alle 17).La nostra giornata iniziava al mattino alle 5.30 per terminare alle 23.00; un giorno ho voluto anch’io, assieme a due amici, visitare velocemente il centro de L’Aquila e fotografare alcuni borghi, per rendermi veramente conto della si-tuazione. Per quanto riguarda gli edifici (case, Università, chiese,...) era una vera de-solazione!... dal punto di vista umano il momento che mi ha colpito profonda-mente è stato quando, avvicinando una persona che con occhi lucidi e fissi che guardavano lontano (chi sa dove!) alla mia semplice domanda ...”come va?...come stai?” mi ha guardato e scuotendo la testa mi ha risposto, indicando un cu-mulo di macerie, “Vedi!...quella era la mia casa, e tra sei mesi, un anno o forse più ne avrò un’altra, ma le persone care che ho perso là sotto ...(un momento in-terminabile di silenzio) non le riavrò mai più”.

Immediatamente il mio pensiero è vo-lato a Campolongo, alla mia famiglia, alla mia casa e a due delle persone più care della mia vita, mamma e papà, scomparse in breve tempo anche se in forma diversa. Gli ho porto la mano e, salutandolo, sono riuscito con voce rotta dall’emozione solo a dirgli “...corajo, bi-sogna n’dar avanti”. Termino dicendo che dai pensieri di tut-ti i volontari che hanno vissuto questa indimenticabile esperienza in Abruzzo, senza far chiasso e con umiltà, è emersa la consapevolezza della grande difficoltà di operare in situazioni di emergenza, ma molto più importante è stato lo spi-rito di solidarietà, forte e vero, che tutti hanno dimostrato nei confronti di questa gente così duramente colpita.A tutti i Volontari che si sono impegnati in questa missione e anche agli altri che vi parteciperanno nei prossimi turni un grazie e ....Bravi, davvero!

Luciano Bonato (de Pompeo)

PROTEZIONE CIVILEVICINA AGLI ABRUZZESI CON GENEROSITÀ