il manuale della marca

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IL MANUALE DELLA MARCA Laura Minestroni I. Il senso della marca oggi 1.1. La marca nella società dei consumi La società occidentale è definita “dei consumi” proprio ad indicare la centralità che l’azione di consumo riveste nelle dinamiche sociali. La marca oggi non è più soltanto una garanzia o la firma di un produttore, ma rappresenta un veicolo e uno strumento per costruire la nostra identità, indicare la nostra postura sociale, i nostri gusti, i nostri valori. Sono state sviluppate diverse teorie sul consumismo che spesso è anche stato additato. La differenza vene fatta tra homo oeconomicus che secondo Keynes “in media gli uomini sono disposti ad accrescere il loro consumo con l’aumentare del reddito ma non tanto quanto è l’aumento del reddito”. Dall’altra parte abbiamo l’individuo passivo, one dimentional e alienato, facilmente manipolabile dalle forze di mercato. Secondo Marx gli uomini si riconoscono nei prodotti del loro lavoro, secondo Marcuse si riconoscono nel prodotto delle loro merci. La conseguenza di questa polarizzazione di veduta è stata il diffondersi di un luogo comune secondo il quale per “società dei consumi” si intende l’età del libero mercato, dello shopping e dell’iperconsumismo. Un approccio dal quale ancora oggi ci stiamo liberando con fatica. Nella società postindustriale contemporanea è più corretto assumere la prospettiva di una “centralità del consumo o dei consumi”. Il consumo è quell’agire sociale dotato di senso di cui parlava Max Weber. Esso va dunque analizzato alla luce di comportamenti collettivi. 1.2. Marca, consumo, identità

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IL MANUALE DELLA MARCALaura Minestroni

I. Il senso della marca oggi1.1. La marca nella società dei consumi

La società occidentale è definita “dei consumi” proprio ad indicare la centralità che l’azione di consumo riveste nelle dinamiche sociali.La marca oggi non è più soltanto una garanzia o la firma di un produttore, ma rappresenta un veicolo e uno strumento per costruire la nostra identità, indicare la nostra postura sociale, i nostri gusti, i nostri valori.

Sono state sviluppate diverse teorie sul consumismo che spesso è anche stato additato. La differenza vene fatta tra homo oeconomicus che secondo Keynes “in media gli uomini sono disposti ad accrescere il loro consumo con l’aumentare del reddito ma non tanto quanto è l’aumento del reddito”.

Dall’altra parte abbiamo l’individuo passivo, one dimentional e alienato, facilmente manipolabile dalle forze di mercato. Secondo Marx gli uomini si riconoscono nei prodotti del loro lavoro, secondo Marcuse si riconoscono nel prodotto delle loro merci.

La conseguenza di questa polarizzazione di veduta è stata il diffondersi di un luogo comune secondo il quale per “società dei consumi” si intende l’età del libero mercato, dello shopping e dell’iperconsumismo. Un approccio dal quale ancora oggi ci stiamo liberando con fatica.

Nella società postindustriale contemporanea è più corretto assumere la prospettiva di una “centralità del consumo o dei consumi”. Il consumo è quell’agire sociale dotato di senso di cui parlava Max Weber. Esso va dunque analizzato alla luce di comportamenti collettivi.

1.2. Marca, consumo, identità

Il consumo, così com’è inteso nella sociologia è “un’azione o un comportamento sociale che include l’acquisizione, l’uso, il godimento, la fruizione dei beni e dei servizi, in modo che questi risultano con la sparizione fisica dell’oggetto in quel luogo e in quel momento, sottratti ad altri.”

Questa visione è chiaramente riduttiva visto che oggi l’acquisto di un bene è un’attività routinaria che si configura con una vera e propria funzione identitaria. Scegliamo una marca che meglio ci rappresenta e decidiamo di essere suoi adepti, condividendone sul web la passione con altri individui. Tuttavia i nostri gusti sono in continuo mutamento e così siamo infedeli, ci sconnettiamo e mutiamo identità ogni volta che lo desideriamo.

La differenza intesa come appartenenza a strati sociali diversi non rappresenta più un dato rilevante per la costruzione dell’identità. L’individuo-consumatore si auto-costituisce si autorappresenta, attingendo alle possibilità aperte al sistema sociale, dai consumi del mercato.

Nel 2001, Aakerof, premio nobel per l’economia ha definito un nuovo paradigma, quello dell’homo reciprocans: la reciprocità è un’attitudine mentale dei soggetti che giustifica il sacrificio di risorse materiali per contraccambiare il favore ricevuto. Emerge dunque la nozione di “dono”.

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Godbound considera la società come composta da insieme di individui che tentano in continuazione di sedursi e addomesticarsi a vicenda rompendo e ristabilendo legami. Il dono, in questo senso, è una “prestazione di beni e servizi effettuata senza garanzia di restituzione, al fine di ricercare legame sociale tra le persone”-

1.3. La relazione individuo-marca

Più che di “consumatore” oggi si dovrebbe parlare di “individuo-consumatore” o più semplicemente di individuo.

Il consumatore è stato definito come una “unità economica” che compie acquisti di beni e servizi sul mercato. Eppure, prima ancora di acquistare, egli agisce socialmente. Dunque è e rimane un “attore sociale”.

Ci troviamo senza dubbio alle prese con un consumatore di Nuova Generazione: soggetto evoluto, pragmatico, creativo, proattivo, innovativo. E eclettico e apparentemente contradditorio nelle sue scelte di consumo. Spesso è fortemente interessato a ripartire per il maggior numero di beni e servizi il reddito che ha a disp.

Certamente è attento al risparmio. Non a caso s’è parlato di una filosofia di consumo low cost. Questo nuovo consumatore è sensibile al value of money e al value for me.

Gli ultimi sviluppi della ricerca vedono un filone che prende le distanze dal concetto di “atteggiamento” per abbracciare il concetto di “attaccamento” (brand attachment) che misura il gradi di apprezzamento , attenzione e attrazione del consumatore nei confronti della marca.

Il concetto di attaccamento di è poi ulteriormente sviluppato fino a diventare bonding, uno stretto legame che si instaura tra consumatore e alcune marche particolarmente influenti e capaci di cementare relazioni durevoli. Infine si è parlato anche di brand resonance, cioé la risonanza come l punto supremo di una relazione intensa, attiva e fedele tra marca e consumatore.

La marca non è solo una proprietà dell’azienda, ma svolge funzioni importanti per gli individui se riesce a produrre significazione. Sebbene la definizione più accreditata di marca sia quella di un insieme di attributi, tangibili e intangibili, simbolizzati da un marchio, che creano valore e influenza il dibattito sulla tangibilità è ancora aperto.Ritzer è estremo, chiama “non-cose” le scarpe Nike e “non-luoghi” i negozi Niketown.

Diversi autori hanno sostenuto, che la marca esiste solo se esiste nel pensiero e nelle percezioni del consumatore. In effetti, questa è la chiave che può trasformare una semplice marca in una marca di successo. La marca non è il prodotto, i macchinari per produrlo, la tecnologia ecc. Una marca si realizza nella mente della gente.

1.4. La relazione prodotto-marca

Ancora oggi, come ha osservato Semprini “il pensiero economico da prova di una difficoltà di fondo a pensare correttamente la relazione che si stabilisce tra prodotto e marca”. Esso infatti, considera queste due entità come fondamentalmente separate.

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Il prodotto appartiene all’universo della sostanza reale, tangibile. La marca al contrario, appartiene al mondo dell’esperienza soggettiva, cioè una costruzione immateriale.

Dunque, il punto della questione è di individuare l’essenza della marca. Dove risiede in senso il valore del branding contemporaneo? Nel prodotto? In nessun prodotto?La marca è difficilmente iscrivibile un luogo fisico, materiale. Non è l’etichetta, neppure il logo o il simbolo dell’azienda.Si tratta di un luogo che produce e attribuisce significazione. Possiamo paragonarla a un potente mezzo di comunicazione.Nel largo consumo, anche se marca e prodotti sono due facce di una stessa medaglia, interconnesse da una costante dialettica, il prodotto sta diventando fatto centrale come organizzatore psichico e pratico del vissuto del consumatore. È nel rapporto con i prodotto che gli valuta il valore della marca, il vantaggio del prezzo, la credibilità della comunicazione pubblicitaria.

La marca non è più il sole ma una dei pianeti che orbitano intorno al sole-prodotto.

1.5. Il passaggio di status: da commodity a brand (e ritorno?)

Commodity: prodotti allo stato grezzo, materie prime trattate sui mercati (oro, petrolio, cereali ecc.)L’uniformità dei beni sul mercato fa sì che a prevalere sia sempre il prezzo rispetto alle atre variabili del marketing mix.Nel mercato finanziario le commodity sono le materie prime quotate in borsa e di suddividono in:

- Metalli (oro, argento, rame)- Energetici (petrolio, benzina, gas naturale ecc.)- Agricoli (soia, olio di soia, frumento, mais, avena)- Coloniali (cacao, caffè, succo d’arancia, zucchero, cotone)- Carni (bovini, maiali)

La benzina è una commodity che è stata brandizzata da Agip, Shell, IP ecc. Stessa cosa con Intel che ha brandizzato un microprocessore, l’industria farmaceutica ha brandizzato le molecole (Przac e Viagra).

Tutto ciò significa dare un significato culturale e un’identità competitiva a un prodotto che in origine non ne ha.

La banana Chiquita uitlizza il concetto di “dieci e lode” come proposizione di vendita proprio a significare il ruolo del brand nel settore della frutta: identificare l’eccellenza.

Lo straordinario peso della marca in categorie di prodotto in cui questa dovrebbe avere scarso rilievo dimostra che il branding è riuscito nel difficile compito di traghettare il bene dalla categoria convenience a quella degli specialità goods.

Altro esempio Parmacotto che crea il prosciutto cotto di marca. Il prodotto che prima era commodity viene finalmente nobilitato. È un passaggio decisivo che in Italia avenne già negli anni 50 e 60: i primi metodi di confezionamento riescono a innestare l’identità del “fabbricante”. Le lsite della spesa generiche si arricchiscono via via di nomi propri, nomi di marca, appunto.

Osserviamo ora lo stato inverso, vale a dire la “regressione” da brand a commodity. Questa è il processo che si verifica quando la marca non è o non è più percepita al consumatore come

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realmente diversa dalle marche concorrenti. La marca è sentita come un semplice prodotto: quel che conta è il prezzo.

Può essere devastante per le marche e può dipendere da tre ordini di motivi:- Il ricorso alle promozioni: guerre di scaffale a colpi di sconti e offerte speciali banalizzano

la marca e ne appannano il valore- Il disinvestimento in comunicazione: causa distanziamento del consumatore, indebolimento

semantico del brand- L’imitazione sistematica da parte dei competitor: avviene quando la marca non è più l’unica

a presidiare un attributo.

1.6. La marca come generatore di aura

Nel panorama commerciale di oggi pressoché ogni prodotto è riproducibile o clonabile. Per Bemjamin la scomparsa dell’aura è una caratteristica dell’epoca delle masse, un’epoca in cu persino l’opera d’arte è moltiplicabile.Ribaltando questa teoria, può emergere il compito della marca contemporanea: riprodurre l’aura perduta e l’unicità dei beni che essa identifica. La marca contemporanea è condannata a tenere in vita quest’aura che è a sua forza commerciale e anche semiotica. È dunque condannata ad investire incessantemente in ricerca e innovazione, ma anche in pubblicità e attività finalizzate a stabilire un patto comunicativo col consumatore.Essa deve proporre benefici davvero significativi e darsi un posizionamento distintivo risetto agli altri attori del mercato.

In epoca di riproducibilità tecnica il compito della marca è farsi irriproducibile. Persino la Coca cola con il suo ingrediente segreto trova degli eccellenti cloni nelle marche private della grande distribuzione: Esselunga Cola, Pepsi Cola, Virgin Cola ecc.

In particolare tra Coca Cola e Pepsi lo scontro non avviene sugli ingredienti, ma dal punto di vista ideologico tramite pubblicità o slogan: Coke domestica e casalinga, Pepsi di strada, Coke buonista, Pepsi cinica e rivoluzionaria ecc.

1.7 La questione del prezzo oggi

La sensibilità al prezzo di questi ultimi tempi non trova precedenti nemmeno in altri periodi storici di grande recessione. La marca è per definizione un insieme di caratteristiche che danno valore aggiunto a un bene o un servizio al di là dei suoi benefit tangibili. La differenza di prezzo rispetto al un altro prodotto indica proprio questo valore aggiunto.

Prezzo alto non è più sinonimo di elevata qualità e viceversa.

Da una ricerca effettuata nel 2007 dall’Università San Raffaele per Centromarca (Associazione delle industrie italiane di marca) è emerso come, per reagire al cambiamento, il brand dovrebbe:

Riappropriarsi la centralità del prodotto, attraverso lo sviluppo di reason why oggettive e tangibili e mediante l’innovazione costante a 360°.

Soffermarsi sul concetto di qualità Proporre un nuovo statuto epistemologico di qualità.

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Valorizzare i valori della Corporate, perché solo lo marca industriale possiede una propria storia e una propria cultura. Identità, mission e vision vanno costantemente implementate.

Investire nel legame e nella relazione con il consumatore. Lavorare concretamente nell’impegno etico e sociale, facendo in modo che quest’assunzione

di responsabilità sia un tratto fondativo del proprio essere marca

II. Approcci alla marca

2.1. Marchio e marca: una fondamentale distinzione

Nell’uso comune italiano, marchio e marca sono (o meglio sembrano) sinonimi perfetti. Un vezzo molto recente è quello di cooptare nel gruppo anche l’espressione griffe.

In realtà si tratta di termini confinanti che esprimono fenomeni diversi. In tedesco e francese è la stessa parola marque o Marke, in inglese invece no: marchio è trademark e marca è brand.

Marchio: parola tecnino-giuridica, statico. È un segno distintivo, un oggetto identificabile. L’accezione più comune è quella grafica, è quasi sinonimo di logo. È qualcosa che si percepisce attraverso i sensi (vista, tatto, udito ecc.). Il marchio è anche la parte costitutiva e fondativa della marca, nel senso che è un significante al quale si aggancia un discorso, un significato. Il termine indica più semplicemente l’azienda.

Marca: parola fenomenologica, dimanico. La marca è un soggetto che rappresenta una serie di valori e che tra linfa vitale dalla relazione con il consumatore. Il prodotto di marca ha dunque un valore aggiunto: tangibile e razionale oppure intangibile e simbolico. Inoltre, la marca può essere un mix di elementi tangibili e intangibili.

2.2. L’approccio giuridico e la disciplina dei marchi

La parola marchio o trademark indica l’esistenza di un diritto giuridico a usare una certa forma, colore, grafia, parola.Il marchio è un segno, rappresentato graficamente, idoneo a distinguere e a difendere legalmente i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre. Esso riguarda la proprietà intellettuale, legalmente protetta.

Il marchio registrato in virtù del processo di registrazione dinanzi all’UIMB (Ufficio italiano marchi e brevetti) gode di una protezione rafforzata. La registrazione dura 10 anni e può essere rinnovata.

Il simbolo ™ che compare alle volte dopo un logo, significa trademark, marchio registrato. Da non confondere con il simbolo © che si rifà al titolo giuridico di copyright o con ® che indica “diritti riservati”.

La bottiglia di Coca-Cola è un trademark, il rombo del motore delle Harley Davidson, la ricetta di un alimento, una superficie di un mobile ecc. Essi vengono brevettati e così protetti.

Ultimamente si riflette sull’utilizzo di un profumo distintivo per rendere riconoscibile il marchio. Le persone associano agli odori un valore affettivo perché hanno la capacità di suscitare emozioni. Tuttavia ancora non è chiaro come si possa registrare un profumo come marchio d’impresa.

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In effetti, un marchio per essere registrato deve essere raffigurabile graficamente. Ovviamente molto essenze corrispondono a precise formule chimiche, ma esistono diverso combinazioni di essenze, e profumi naturali con infinite sfumature olfattive difficilmente rappresentabili. La questione resta dunque controversa.

Il marchio ha un alto grado di riconoscibilità e quindi di fidelizzazione del consumatore. Per poter validamente depositare un marchio è opportuno che il segno sia nuovo, lecito e abbia capacità distintiva.I marchi depositati possono essere di tre grandi tipologie:

1. Marchio figurativo: costituito da una o più parole in una determinata grafia o da un disegno2. Marchio verbale: costituito da una dicitura o parola, scritta in caratteri normali3. Altre tipologie di marchi: tridimensionale, di colore, sonoro, olfattivo, ologramma, musicale

2.3. L’approccio di marketing

Il marketing è stato definito come la scienza che crea valore per il cliente. Significa portare il prodotto giusto alle persone giuste, bei modi e nei tempi giusti. È un programma di investimento a lungo termine, che sviluppa prima che l’impresa faccia l’ingresso in qualsiasi mercato.

La marca costituisce, uno strumento capace di creare, presentare ed erogare un valore “superiore” per i consumatori.

Marca: uno nome, un termine, un simbolo, un design o una combinazione di questi elementi che identifica i beni o i servizi di un venditore o di un gruppo di venditori e li differenzia da quelli concorrenti.Siamo dunque di fronte a un segno caratterizzante, che, viene creatoe/o sviluppato da un’azienda essenzialmente per:- identificare se stessa- distinguere la propria offerta- offrire valori, sicurezze e garanzie ai propri acquirenti

Secondo Kotler, i significati della marca si possono ridurre a sei dimensioni:- Attributi- Benefici- Valori- Cultura- Personalità- Utilizzatori

Es.Mercedes ci fa pensare a un’auto costosa, ben costruita ecc.Red Bull ha un Energy drink che stimola la mente e anche il corpo

Questi attributi possono essere traslati in benefici funzionali e emozionali.

Mercedes – sicurezza e prestigioRed Bull – socialità e energia

La marca dice anche qualcosa circa i valori aziendali e rappresenta una certa cultura

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Mercedes – cultura tedesca, organizzata, efficiente, qualità.Red Bull – individualismo, anticonformismo, cultura della notte, degli sport estremi, del divertimento.

È la marca stessa a suggerire il tipo di consumatore che comprerà e userà il prodotto.

Red Bull – tra 15 e 39 anni

2.4. L’approccio finanziario

Numerosi studi, tra cui quelli di Aaker e Jacobson, mettono in luce una relazione strettissima tra forza del brand e valore finanziario dell’azienda. Tuttavia è praticamente impossibile identificare un valore matematico.

Alcuni autori hanno individuato quattro momenti caratteristici dell’evoluzione degli approcci finanziari alla marca.

Prima fase: in alcuni paesi europei si afferma il principio secondo cui il marchio può essere trasferito liberamente, senza necessità di trasferire con esso anche l’azienda o il ramo dell’azienda corrispondente. Da questo momento, la valutazione del marchio non deve necessariamente tener conto del valore dei beni o dei servizi correlati ad esso, ma può concentrarsi su una misurazione separata.

Seconda fase: fase di crescita delle aziende e di concentrazione delle imprese. La Procter & Gamble acquista la Gillette per un valore di transazione di ca. 47 miliardi di $.

Terza fase: tendenza alla razionalizzazione della struttura societaria di uno stesso gruppo di imprese. Fusioni.

Quarta fase: tendenza a utilizzare i marchi come oggetto delle garanzie reali che l’impresa contemporanea può e deve offrire alla banca per ottenere finanziamenti.

2.5. L’approccio semiotico

La marca è un soggetto che appartiene all’ordine del linguaggio e dei segni, cioè è in grado di comunicare.Oggi un numero crescente di imprese affida a esperti di brand e comunicazione il compito di effettuare analisi di tipo socio-semiotico sui “discorsi” generati dalle proprie marche. L’obiettivo è rilevare come globalmente l’impresa comunica la brand identity.

La semiotica compire le prime riflessioni teoriche e critiche sulla retorica della cultura e del consumo e presenta un resoconto del cosiddetto “potere ideologico delle immagini”, delle modalità strategiche che producono significato attraverso i messaggi della pubblicità e della marca.

L’analisi di Roland Barthes della pubblicità della pasta Panzani dimostra come attraverso l’immagine di una busta della spesa piena di frutta e verdura fresca l’immagine della freschezza si ripercuoteva anche sulla pasta a e sulla marca. L’annuncio pubblicitario ha come suo primo obiettivo di comunicazione, non la vendita del prodotto…ma la vendita di un modello.”

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2.6. L’approccio testuale

La marca è un potente richiamo testuale che, per essere compreso, va collocato dal punto di vista storico, sociologico, antropologico, oltre che ne suo naturale habitat economico e di mercato.Per testo di intendono:- opere letterarie- tutte le forme culturali dotati di significato: film, programmi tv, annunci stampa, spot, manifestazioni del branding ecc.

Come dice Umberto Eco, il testo è un macchina pigra o polisemica, che presuppone un lettore attivo “guai se se un testo dicesse tutto quello che il suo destinatario dovrebbe capire”.

Luogo delle metafore e sostanza capace di veicolare valori, la marca è un addensato di segni e significati, capace di generare discorsi e dunque retorica, linguaggio.

Il testo-marca non è qualcosa che consegna nelle mani del destinatario un senso concluso e compiuto, ma definisce i suoi significati in relazione al mondo che lo circonda.

La relazione marca-lettore può dunque essere intesa come un testo attivo in due direzioni:- da una parte il testo, cioè la marca, ha determinati effetti sul lettore- dall’altra il lettore ha il ruolo determinante nell’attribuire senso al testo e dunque la marca.

Il brande emette segni attraverso la comunicazione, il marketing mix, l’advertising, le sponsorizzazioni. E così facendo racconta una storia, la sua.

2.7. L’approccio metaforico

Nel significato di marca c’è l’idea della traduzione simbolica di una traccia fisica in un elemento del linguaggio.La marca è un luogo metaforico per eccellenza e sono proprio le metafore che si trasformano in formidabili strumenti di gestione e comprensione dei suoi meccanismi, che ne restituiscono il significato e la complessità.

Ecco di seguito, alcune delle principali metafore applicate e applicabili alla marca:1. La marca come specie vivente: Come gli animali, in mercati ipercompetitivi sopravvive chi è più capace di adattarsi all’ambiente, in forme di evoluzione (conglomerati, fusioni, acquisizioni, architetture di marca) e coevoluzione (alleanze, co-branding ecc.). Inoltre, scongiurare il ciclo di vita e mantenersi in uno stato di perenne constistency e attrattività per il consumatore diventa oggi un obiettivo centrale delle imprese.

2. La marca come persona: Considerare la marca come un individuo: aspetto fisico complessivo, volto, personalità, identità, sfera emozionale e razionale, cultura. Più una marca è persona e più avrà la probabilità di incontrare un’altra persona, il consumatore. A volte si gioca sulla metafora di chiedere la consumatore: se la marca fosse una persona che persona sarebbe? Molte agenzie di pubblicità ricorrono a questo tipo di pensiero per mettere a punto il carattere di una marca.

3. La marca come un racconto: come una narrazione, con una trama, un incipit, una cronologia, dei personaggi con funzioni e dinamiche ecc.

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4. La marca come un territorio: considerare la marca come una provincia di significato, una regione, una nazione è un esercizio di astrazione e di ricerca utile al management per meglio gestire la complessità nei mercati in cui opera.È possibile gestire il territorio come marca. Come nell’approccio territoriale che prevede l’utilizzo di strategie di brand management nel processo di valorizzazione del territorio.

2.8. L’approccio metonimico

Brand e prodotti di marca fanno parte della nostra cultura materiale e della nostra esperienza quotidiana. Sono intrecciato al tessuto della nostra società ed entrano nel nostro linguaggio.

Basti pensare all’uso che ci sa delle parole come: scottex, coca, aspirina, rimmel, tampax, rollerblade.

Dal punto di vista nominale le marche non s’imparentano con ciò che già esiste, ma inventano cose nuove (Walkman). Prima tutte queste parole erano nomi depositati, oggi sono nomi di cose di uso comune.

Alcuni autori a questo proposito hanno parlato di privatizzazione della di una parte della lingua, si preferisce tuttavia utilizzare il concetto di metonimia: una figura retorica di sostituzione dove una parte sta per il tutto. Un nome proprio di marca va a designare l’intera categoria merceologica, ovvero tutti i prodotti della stessa specie.

2.9. L’approccio dinamico: la marca come medium

Medium: strumento attraverso il quale avvengono processi di mediazione simbolica in una data comunità o società.

Si può affermare che la marca è un medium. Essa si configura come una rappresentazione sintetica di significati, attraverso cui gli individui mediano il proprio rapporto con i prodotti e con l’esperienza del consumo.

Jameson: medium è ciò che congiunge una specifica forma di produzione stetica a un tecnologi e un’istituzione socialeKrauss: mdium è la relazione tra supporto tecnico e le convinzioni attraverso cui un determinato genere lavora.

Lury parla di marca come interfaccia. Sostiene che certe pratiche di marketing abbiano delle profonde analogie con certe tecniche di programmazione del computer e del broadcasting.L’esempio più significativo di queste tecniche è il loop, la ripetizione circolare.

La marca sembra sembra fuzionare così. Il brand progredisce ed emerge in una serie di cicli, in un processo continuo di differenziazione dei prodotti e integrazione della marca. A ben vedere, proprio sull’interfaccia della marca avviene una sorta di interazione mediata. Consideriamo infatti il brand come un mezzo tecnico che consente la trasmissione di informazioni o di contenuti simbolici tra persone distanti nello spazio e nel tempo.

III. Storia della marca

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3.1. Il marchio delle origini

La marca ha origini anitichissime. Prima ancora di essere contrassegno visibile di prodotti industriali e aziende commerciali, il marchio è stato un segno indelebile fatto con il ferro sul corpo degli animali per attestare la proprietà o sulla pelle degli uomini colpevoli di delitti infamanti.

I marchi soddisfano un bisogno innato dell’uomo di identificazione, conoscenza, sicurezza ecc. ma anche un bisogno fondamentale di comunicazione.

Già terrecotte e vasellame dell’era precristiana riportavano segni distintivi. Così come 5000 anni fa i mattoni in Mesopotamia e i pavimenti delle tombe dei faraoni degli antichi egizi.Questi marchi sono tracce iconografiche con contenuti linguistici, che hanno la funzione di identificare chi li ha prodotti differenziandoli dagli altri.

Queste proto marche fanno parte di un passaggio importante e decisivo che va dall’oralità primaria, del tutto ignara della scrittura e della stampa, all’oralità secondaria, che imprigiona per sempre le parole e i segni grafici in un campo visivo.

Le pratiche di marchiatura venivano usate anche dalle tribù per differenziarsi, Indios, peruviani, Maori ecc. Questi marchi servono a differenziarsi dalla altre tribù, ma anche per differenziare i ranghi sociali all’interno della stessa.

Il marchio che portano i cavalieri nelle favole dopo un battaglia è il segno dell’eroe che vinto. Per Propp il marchio è segno particolare: designa l’eroe, cioè il protagonista, che dopo aver compiuto l’impresa, trionferà.

L’atto di marchiature accompagna dunque l’uomo nel suo cammino di civilità e nel suo agire sociale.

Ovviamente più in là sono stati marchiati anche oggetti e prodotti spesso con finalità commerciali. Finalità che contengono i germi e le funzioni basilari del brand moderno:

- Identficazione- Apprpriazone- Differenziazione- Garanzia (indica l’affidabilità del produttore)

3.2. La marca moderna

La marca moderna nasce con il consumo di massa.

Agli inizi del Novecento il mercato è composto da prodotti anonimi, venduti sfusi, a peso: le cosiddette commodity. Le liste della spesa sono generiche. Quella che fa la differenza sul prodotto non è la marca, ma il luogo ed il contesto nel quale sono venduti. I venditori stessi fungono da tramite per l’azienda, consigliano il cliente e lo rassicurano.Tutto ciò è molto lontano la packaging, dall’advertising, non c’è marca. Sino a questo momento la marca non parla alla gente, non comunica, non fa pubblicità.

La storia della marca moderna, quella che finalmente parla al consumatore, senza intermediari, inizia dopo la rivoluzione industriale. La produzione di massa immette sul mercato un numero crescente di beni e li rende accessibili a strati sempre più vasti della popolazione. La domanda viene

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sollecitata grazie a strumenti sempre più persuasivi: pubblicità, packaging, certi personaggi di marca che nascono proprio a cavallo tra l’800 e il 900 per rendere più familiari le merci.

L’assorbimento e la richiesta continua dei prodotti sono la premessa indispensabile per la sopravvivenza delle fabbriche e per l’espansione produttiva.Si passa dunque da un’economia caratterizzata da derrate agricole e manufatti artigianali alla produzione in serie.

Es.Ford – autoveicoliCoca-ColaMichelinScheweppes ecc.

Già alla fine del XIX secolo in Europa, si assiste all’emergere della nuova classe sociale borghese e all’avvio di un processo di forte stratificazione della società in ceti, sulla base della ricchezza posseduta, cui corrisponde una progressiva differenziazione dei comportamenti sociali: tra questo l’agire di consumo.Con l’aumento della divisione del lavoro, gli individui si fanno sempre più dipendenti gli uni dagli altri: ognuno ha bisogno di beni e servizi forniti da coloro che svolgono attività differenti dalla propria.Marx pone le basi per l’elaborazione weberiana del concetto di stile di vita, concependo il consumo come atto sociale. Fino alla battuta d’arresto della seconda guerra mondiale.

3.3. Il dopoguerra in Italia

Dopo la seconda guerra mondiale, i modelli di consumo acquisiscono una valenza non più strettamente economica. Diventano indicatori di status e strumento di integrazione sociale. All’equivalenza risparmio-valore, caratteristica della prima fase del capitalismo, si sostituisce quella del consumo-valore. Il passaggio dall’etica del risparmio alla legittimazione etica del consumo, segna, nel nostro paese, l’inizio di una nuova società.

Le marche sostituiscono gradualmente i prodotti artigianali provenienti dalla fattoria, dall’orto o dalla bottega. Adesso vengono creati i primi supermercati con delle campagne pubblicitarie che puntano a rendere più familiari i nuovi prodotti confezionati, mostra come utilizzarli, enfatizza il ruolo della marca e garantisce la qualità.

Non dobbiamo dimenticare però che per tutto il dopoguerra il bottegaio rimane una figura centrale. Anche in presenza di marche e prodotti impacchettati industrialmente, il bottegaio continua a consigliare e suggerire.

L’Esselunga di Viale Regina Giovanna introduce nel nostro paese il modello self-service in un unico luogo. Questa getta i semi per la nascita del moderno consumatore.

Gradatamente, la piccola distribuzione cede il passo alla grande. Il consumatore all’inizio è spaventato e crea resistenza perché non più sicuro del prodotto che andrà a comprare. Con il passare del tempo le resistenze diminuiscono e i timori si dissolvono, i consumatore impara anche a fare meno dei consigli del bottegaio.

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La marca appare sui cartelloni pubblicitari nel carosello in tv. I consumatori diventa più autonomi e acquisiscono progressivamente le competenze e gli strumenti critici per selezionare i prodotti migliori.

3.4. Anni Sessanta: marca, urbanizzazione e cultura del libero servizio

A partire dalla seconda metà degli anni 60, la grande distribuzione rappresenta la prima risposta , ai nuovi stili di vita che si vanno configurando nelle società industriali avanzate: una vita urbana, più frenetica, caratterizzata dall’anonimato, dalla necessità di risparmio di tempo e denaro, da una crescente autonomia e discrezionalità del consumatore.Verso la fine degli anni 60 con l’esplodere nelle piazze della contestazione giovanile che mette sotto accusa il capitalismo, i consumi privati degli italiani continuano ad aumentare a livelli oggi impensabili.

Le spese delle famiglie si orientano sempre più a soddisfare nuovi bisogni secondari. Alla nascente simbologia di status nasce l’idea di standard package o dotazione minima e ottimale di beni e che ciascuna famiglia deve possedere per sentirsi partecipe a pieno diritto della nuova cultura dei consumi.

Nella transazione dagli anni 60 agli anni 70 il marketing passa gradatamente alla vendita dei prodotti all’ascolto del mercato. Da un orientamento alla produzione a un orientamento al consumo.

Nascono le ricerche motivazionali che studiano i consumi.

3.5. Anni Settanta: la critica alla società dei consumi

Gli shock petroliferi del 1973 del 1977 segnano una battuta d’arresto nel processo di crescita delle economie industriali occidentali.È la prima rimessa in questione della società dei consumi. In particolare Baudrillard critica il sistema delle pubblicità e mette in discussione tutto il sistema.

Gli anni 70 appaiono oggi come anni complessi e pieni di chiaroscuri. Per tutto il decennio il consumo rimane una dimensione scarsamente rappresentativa della nostra società. Si criticano lo status symbol, si preferisce l’artigianato, l’arte povera, il folklore. Il jeans surclassano l’alta moda e si assiste a un interesse per l’ecologia, per l’usato e per il recupero.

La gente continua a spendere, ma quella fede incondizionata nel consumo, che aveva un sostenuto il periodo del dopoguerra, sembra incrinarsi. Le marche si accontentano di tenere un profilo basso, mentre dalla seconda metà degli anni 70 in poi, la grande distribuzione in Italia inizia a crescere sensibilmente.

Nel 1975 l’economia italiana comincia lentamente a riprendersi. Verso la fine del decennio i consumi si sviluppano in maniera nuova, abbracciando nuovi percorsi. Le pubblicità non sono solo per benzine, alimentari, automobili, elettrodomestici ecc., ma cominciano anche per tv, abbigliamento, impianti stereo, acolici, bellezza, svago, moda ecc. Si tratta dunque non solo di beni di prima necessità, ma anche secondari.

Intanto, tra la fine del 1976 e i primi mesi del 1977 avviene un passaggio epocale. Due eventi altamente significativi s’incrociano: la fine del Carosello e la nascita della televisione a colori.

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3.6. Anni Ottanta: l’autonomia della marca

A cavallo tra gli anni 70 e 80 si assiste a una decisiva trasformazione nella marca. Cresce la competitività nei mercati e aumenta il contenuto in ricerca e innovazione di beni a largo consumo. Si dilata sensibilmente il numero di prodotti all’interno di uno stesso comparto merceologico.

È proprio all’inizio degli anni 80 che i settori marketing delle aziende cominciano a guardare a società come un territorio disomogeneo e frammentato. Non più consumatore medio, ma gruppi con caratteristiche sociali e culturali ben distinte. Adesso si ragiona in termini di audience/target.

Il brand cambia ruolo: le imprese comprendono che la comunicazione può costituire vantaggio competitivo. Le aziende si accingono a instaurare rapporti diretti con i consumatori. L’attualità e la cronaca si fanno pervasive: entrano nell’immaginario individuale, alimentate dai mass media.

Grandi mutamenti sconvolgono lo scenario politico internazionale:- 1988: azione di disgelo tra USA e URSS- 1989: abbattimento del muro di Berlino

1977: sul territorio nazionale operano 246 televisioni private e 1637 stazioni radiofoniche. Nasce una nuova epoca della televisione, in cui le finalità culturali vengono subordinate a esigenze di pubblicità e di audience. Aumentano le tv private, e con il disintegrarsi del monopolio pubblico dell’audivisivo, l’offerta di supporti di comunicazione aumenta in maniera considerevole. La pubblicità si moltiplica e per la prima volta di parla delle marche come fossero delle persone.Aumento delle pubblicità che vede i suoi spettatori come clienti.

Si crea così una fusione tra logica commerciale, genetica del brand e quella spettacolare, tipica dell’entertainment, dell’infotainment, della comunicazione.

A Parigi, Jean Marie Boursicot inaugura la nut des Publivores, proiezione non stop di dodici ore di commercial da tutto il mondo. Sono gli anni di “dove c’è Barilla c’è casa”. L’Olvetti entra ance nel contesto sociale trattando temtiche come. Il razzsmo, l’immigrazione clandestina, gli handicap, la guerra ecc.

Sono anche gli anni della pubblicità spettacolare, dei grandi effetti speciali. L’intento di Jaques Séguéla è di inventare un cuore ai prodotti, sin a quel momento trattati come cose.

3.7 Anni 90: l’allargamento del raggio d’azione della marca

Il tramonto degli anni 80 segna in Italia una fase di profondo e accelerato mutamento, anche nella gestione strategica del brand e dei modelli di consumo. Si assiste a uno spostamento sugli aspetti hard e sul valore percepito nel rapporto prezzo/qualità.

La crisi economica del 1993 segna la nascita di un nuovo consumatore economy oriented e bargain oriented (orientato al risparmio e all’affare), e, sul versante distributivo, lo sviluppo quantitativo degli hard discount sul territorio.

Es.Philip Morris, multinazionale americana, annuncia la riduzione del prezzo del pacchetto di Marlboro.

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Negli anni 90 si forma un inedito consenso sociale nei confronti delle marche: liberalismo, cultura d’impresa e consumo, sembrano essere i valori dominanti. Nello stesso tempo cambia e si amplia la gamma dell’offerta.

Le nuove tecnologie e in particolar modo Internet, contribuiscono all’allargamento del raggio d’azione della marca. Grazie al www la comunicazione è ormai diventata globale: non esistono più confini per chiunque voglia comunicare con mondo intero.

Diverse multinazionali rivisitano i loro modelli di gestione del business. A livello di strategie di comunicazione si assiste a una omologazione di brand nazionali e modelli regionali o addirittura globali. Il piccolo supermercato entra a far parte di una catena, i punti vendita si affiliano a centinaia e, in alcuni casi a migliaia, a livello locale e anche internazionale.

La grande distribuzione mette in pratica un massiccio potenziamento dei prodotti con i propri marchi.Ora i consumatori sono diventati poligami, eclettici, curiosi, attenti. In particolare, oltre il concetto di fedeltà, viene messo in crisi il concetto di sensibilità alla marca e con esso il grado di risposta del consumatore alle dimensioni valoriali del prodotto riconosciute.

Alcune grandi imprese tentano di arginare l’affronto del competitor combattendo la battaglia sullo stesso fronte quello de prezzi: sconti, ribassi, promozioni e offerte ecc. Ciò a lungo andare anziché consolidare la marca finiscono per indebolirla e sgretolarne la qualità percepita.

3.8. Il nuovo millennio: marca, reciprocità, rete

L’ultima fase nelle evoluzioni storiche de brand è quella che vede il passaggio della marca moderna, industriale, fortemente ancorata al mondo della produzione e dei prodotti, alla marca postmoderna, immersa nell’universo dei servizi, della comunicazione, del linguaggio.

In questo contesto, il consumo e la marca, sono mossi, prima ancora che dalla logica dell’homo oecnomicus, da quella dell’homo reciprocano: un atteggiamento in cui giocano un ruolo determinante la fiducia, la relazione, lo scambio e il legame.

Il nuovo millennio è contrassegnato dalla crisi economica. Le marche arrivano in un situazione paradossale: da una parte sono potenti, desiderate e amate; dall’altra sono attraversate da contraddizioni e fratture che si manifestano proprio quando la congiuntura si ribalta, di fonte alle minacce e alla insidie del mercato.Queste marche saranno ancora più fragili quando la crisi economica farà apparire la corruzione e l’irresponsabilità di un certo numero di grandi aziende: Parmalat, Cirio, Enron, Worldcom ecc.

IV La marca contemporanea4.1. La nuova centralità della marca

Se il consumo è il linguaggio della società contemporanea, la marca è un elemento della sua grammatica.

Questa marca ha assunto oggi una nuova centralità. Occupa una posizione strategica all’incrocio di tre dimensioni particolarmente importanti nello spazio sociale contemporaneo: il consumo, la comunicazione e l’economia.

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Le marche si emancipano dal proprio orginiario core business e sposano l’entertainment, l’evento culturale, la comunicazione sul web, il fare comunità rilevando nuove singolari attitudini:

- Creare mondi possibili- Narrare storie- Connettere e creare legami- Parlare ai sensi- Partecipare alla costruzione dell’identità individuale- Disseminarsi socialmente- Utilizzare più media- Ibirdare le categorie merceologiche- Partecipare alla costruzione dell’immaginario- Utilizzare il linguaggio delle emozioni e dei sentimenti- Generare esperienze- Farsi attore sociale.

4.2. Creare mondi possibili: il brand-world

Quando diciamo che la marca ha la proprietà di creare mondi possibili, intendiamo che è capace di produrre un sistema di segni coerente al proprio interno e intellegibile agli individui, che si configura come un universo capace di riempire di significato il nostro agire di consumo e di organizzare la nostra esperienza quotidiana.

Non dobbiamo chiederci se i mondi possibili esistano realmente: essi sono una possibile configurazione della realtà di cui possiamo parlare o che possiamo immaginare.

Quello del mulino Bianco ad esempio, è un mondo possibile, una costruzione fantastica che però attribuisce valore, contenuto e senso al prodotto.

4.3. Narrare storie: la marca story-teller

Le marche contemporanee narrano storie come non avevano mai fatto in passato. Lo fanno attraverso il mix di comunicazione, new media, l’agire delle imprese ecc.

Significa rendersi protagonista di una vicenda in progress, ma sempre uguale a se stessa e considerare l’individuo-consumatore come il “lettore ideale” di tale vicenda.

La storia è sempre più adattata al target e rappresenta la strategia adottata dall’impresa. Le strategie sono il prodotto di una logica e di un pensiero rigorosi. Tuttavia è anche vero che le migliori strategie sono ispirate dall’immaginazione e dalla creatività. Tutte le marche leggendarie hanno costruito le proprie strategie attorno a grandi narrazioni.

La marca va considerata alla stregua di un ipertesto che ingloba ed esprime una quantità di messaggi e di linguaggi:

- le icone (etichetta, shopping bag, le immagini visive)- i suoni (jingle, il rumore del motore, la lattina che si apre della Pepsi)- le modalità d’uso del prodotto- i contenuto sensoriali- il patrimonio simbolico e valoriale

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Ma il vero e definitivo collante per l’ipertesto è la storia, l’ordine del discorso: è l’io narrante del branding.

Il racconto della marca riesce a suscitare emozioni e riflessioni in chi l’ascolta, gettando un ponte tra l’immaginario e il reale. La storia consente alla marca di raggiungere una molteplicità di obiettivi funzionali alla sua esistenza:

- La condensazione: la storia seleziona e sintetizza quelli che sono i significati.- La semplificazione: la storia è, quasi sempre, di immediato significato, accessibile a tutti

perché traduce i concetti più complessi in termini semplici- La memorizzazione: la storia è di facile memorizzazione. Il ricordo è uno dei principali

driver che genera la notorietà di marca.- Le associazioni: la storia consente di traslare sulla marca ethos e pathos.

4.4. Connettere e creare legami: il linking value della marca

La marca contemporanea possiede un valore di connessione che non conosceva sino a un recente passato.La sua abilità relazionale è potenziata dai new media, dalle possibilità offerte dalla rete, dai social network ecc. Si manifesta attraverso relazioni personalizzate e two sided:- l’individuo collabora attivamente alla costruzione di una relazione con la marca, partecipa a determinare il significato, a migliorare la qualità dei prodotti e della comunicazione.

Es.Ebay: è il prodotto venduto che crea il link tra due individui

4.5. Parlare ai sensi: il polisensualismo delle marche

La marca fa ricorso all’enfasi sul proprio lato emozionale per rendersi desiderabile e comunicare con maggiore efficacia. L’evidenza empirica rivela come le strategie di posizionamento dei brand nella mente del consumatore attingano sempre più al linguaggio delle emozioni e dei sensi.

Siamo entrati nell’era del polisensualismo, in cui il ricorso ai cinque sensi è una logica che domina il processo di acquisto e di consumo e che caratterizza la strategie di prodotto e di marketing. (vista, udito, olfatto, tatto e gusto)

Es.L’Oréal: crea una tinta per capelli dalle nuance golose ispirate alle cromie del cioccolato.Aquolina: bagni schiuma a diversi gusti LG: LG chocolate, ancora una volta la componente del cioccolato.

4.6.Partecipare alla costruzione dell’identità individuale

Nella società moderna, l’individuo ha acquisito una nuova abilità: quella di parlare di sé attraverso la mediazione di oggetti, delle marche e delle esperienze di consumo.

In breve: dimmi che marca compri e ti dirò chi sei.

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Sono una persona raffinata se vesto Ralph Lauren, sono un atleta serio se mi alleno con il cardiofrequenzimetro Polar, sono un creativo perché uso un PC Apple.

Diversi autori si chiedono se esista un rapporto diretto tra la definizione di Sé e la scelta della marca. La questione controversa, tuttavia bisogna rilevare che la scelta della marca è sensibile a certi valori della percezione del proprio sé ideale ed è direttamente connessa al tipo di stile di vita che esso esprime e la cui scelta va a rafforzare.

4.7. Disseminarsi socialmente: la logica del branding

Il concetto di disseminazione sociale della marca è esposto per la prima volta da Semprini nel 1996 per descrivere il fenomeno dell’”allargamento della logica di marca allo spazio sociale e al di là della sfera commerciale.

Es.Il Milan è una squadra di calcio, ma allo stesso tempo viene percepita come un soggetto economico che compie acquisizioni, cessioni, revisione dei costi e dei bilanci. Ha tifosi e vende i biglietti indipendentemente dall’andamento della squadra. È gestita con una logica di marketing.

Tale disseminazione sociale della marca si ritrova anche nello sfruttamento di prodotti cinematografici con la stessa logica del brand: ovvero “progetti di marca che si manifestano principalmente attraverso i film, ma che si concretizzano in una gran quantità di prodotti derivati (gadget, produzioni teatrali ecc.). Prodotti che rendono presente la marca nello spazio sociale, nella vita quotidiana dei fan e della saga.

4.8. Utilizzare più media: la marca crossmediale

Il brand oggi sperimenta nuoci territori comunicativi, simultaneamente orchestrandoli. La crossmedialità consiste nel declinare un progetto di marca su più media, distribuendo in ciascuno di questi, contenuti originali, unici tra loro e complementari.

La frammentazione dei mezzi di comunicazione pubblicitaria, l’indebolimento dei media generalisti e l’emergere di forme di comunicazione interattive e alternative (blog, sms, mms, forum, chat, gli advergames ecc.). determinano un’arena entro cui i brand più attenti e sensibili al cambiamento giocano oggi la propria partita.Il consumatore moderno si trova così di fronte a un’offerta sempre più diversificata. Stiamo assistendo al passaggio da pochi mercati di massa a una moltiplicazione di mercati di nicchia, grazie alle nuove tecnologia che facilitano l’acquisto di beni e servizi personalizzati.

La crossmedialità è strettamente connessa all’effetto web 2.0.

Es.Big Brother – Grande Fratello: è un programma ma anche una marca che si è diffusa attraverso i canali tecnologici più diversi. Gli spettatori sono passivi ma allo stesso tempo anche attivi perché hanno la possibilità di votare e cambiare il corso della trasmissione.

Questo processo di crossmedialità avviene anche attraverso la cinematografia/film.

Es.

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Coca-Cola ha creato un film pubblicitario che è stato presentato in anteprima su Second Life.

4.9. Ibridare le categorie

Grazie alla marca contemporanea, capace di unire più dimensioni del consumo, le categorie merceologiche tendono a fondersi, sino trasformarsi in mercati. La convergenza dell’offerta, delle tecnologie delle esperienze di consumo generare forme di concorrenza ibirda.

Es.Harry Potter: prima libro, poi film e in seguito firma zainetti e diari passando dalle guerre sul prezzo nella grande distribuzione al social web e al passaparola.

Birra Duff: inventata nella serie dei Simpson oggi è stata realmente commercializzata

Mascono la nutriceutica (combinazione di nutrizione e farmaceutica), i functional foddo, il fitainment (fitness ed entertainment) e l’edutainment. Questi fenomeni di ibridazione sono tipici della marca contemporanea.

Ai consolidati punti di vendita monoservizio, si stanno affiancando negozi ibridi che si distinguono per un’offerta trasversale che non rientra nella classica distinzione tra settori e categorie merceologiche. Esse sono chiamate a dare risposta alla pluralità di istanze, motivazioni e valori degli individui contemporanei.

Es.Bibliocafé letterario: Biblioteca e caffetteriaLaudromat café: servizio di lavanderia e ristorante

Il negozio diventa da point of permanence a point of meeting.

4.12. Generare esperienze: la brand experience

Consumare beni e servizi oggi è sempre più un’attività che attiene alla sfera del desiderio, dell’autorealizzazione, della partecipazione individuale, della conoscenza.Per questo la marca ha sviluppato una spiccata attitudine a generare esperienze attorno agli oggetti che firma.Un’esperienza è una sorta di conoscenza a posteriori che deriva dal coinvolgimento in una cosa o un evento, o, nello specifico, in una marca.

Locali come Planet Hollywood, Hard Rock Café, sono stati creati per offrire un’esperienza e momenti indimenticabili.La Disney fa la stessa cosa con i suoi parco giochi. Non fa altro che immergere il visitatore nel mondo della marca, con i suoi personaggi, il suo codice comunicativo e la sua lingua.

4.13 Farsi attore sociale: citizen brand

Le aziende si fanno attori sociali partecipando attivamente a cause sociali. Si chiama CRM – Cause Related Marketing e la marca diventa una citizen brand.

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Es.America Express: finanzia il restauro della Statua della Libertà di New York.

Oltre all’etica e alla responsabilità, questa indeita soluzione di cittadinanza sembra voler abbracciare un’idea allargata di “altruismo”.

V Ruoli e funzioni della marca5.1. A cosa serve la marca?

Confezioni colorate, nomi, loghi, etichette e pubblicità non sono un lusso, ma rispondono a un bisogno di riconoscimento da parte dei consumatori. La marca è un concentrato di informazioni sulle caratteristiche dell’offerta e ci aiuta nei processi decisionali.

Un brand forte ha la capacità di:- Facilitare i processi decisionali del consumatore- Ridurre i costi di ricerca, accelerare e semplificare le scelte d’acquisto- Offrire garanzie- Orientare le aspettative nei confronti dell’offerta- Arricchire prodotti e servizi di valenze simboliche e affettive- Ridurre i rischi legati a prodotto o al servizio

5.2. Il patto con la marca: la fiducia

Gli individui scelgono le marche adottando un criterio di affidabilità. La fiducia tra un consumatore e una marca è una fiducia generalizzata e sociale.Il concetto di fiducia semanticamente è vicino a quello di comunità: entrambi sono legati all’idea di aspettative intersoggettive, di dimensione non razionale dell’azione, di legami non contrattuali tra le persone.

Avere fiducia significa ridurre altri sentimenti come il disorientamento, la paura o la diffidenza.

Esistono almeno 3 diverse condizioni nelle quali gli individui concedono fiducia ad altri soggetti sociali:

- Familiarità (interazioni ripetute)- Interesse (valutazione costi/benefici)- Valori (favoriscono comportamenti di reciprocità)

Ci fidiamo delle marche con le quali abbiamo stabilito un rapporto di familiarità grazie alle interazioni ripetute; ci fidiamo della marca che offre un buon value of money; ci fidiamo della marca di cui condividiamo etica e valori.

Ma la fiducia è merce fragile e negoziabile, la si conquista e la si perde. È anche un atto di volontà.

La fiducia è l’obiettivo strategico della marca al suo affermarsi presso la società dei consumi. Ciò negli anni 60 avveniva principalmente attraverso la visibilità, più visibilità più fiducia. Oggi è diverso la fiducia si conquista attraverso standard di qualità, innovazione e servizio superiori rispetto alla concorrenza.

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Negli anni 80 la pubblicità tende a fare leva sull’emotività, tende a commuovere, a spettacolarizzarsi.

La marca on-line, ad esempio, si pensi al caso Amazon, è il paradigma dei come, in tempo di globalizzazione, i brand riesca a gestire e articolare le proprie strategie anche attorno a temi come la fiducia e la sicurezza. “Ordinazione facile e sicura”. La sicurezza viene inoltre garantita dalle informazioni e dalle cifre: oltre 3 milioni di clienti hanno già acquistato da Amazon senza essere vittime di frode o truffe.

Non essendo un atto volontario, ma un sentimento “negoziabile” la fiducia può dirsi una precondizione e una conseguenza degli acquisti.

5.3. La marca come promessa

La marca vive di acquisti ripetuti nel tempo. Per questo è “obbligata” alla lealtà verso il suo pubblico. Ogni marca contiene implicitamente una promessa che sancisce un patto di fiducia, una negoziazione di significati.

Col termine promessa ci si riferisce all’impegno a compiere una certa azione. Implica assunzione di responsabilità da un lato e affidamento dall’altro.

È evidente come il funzionamento di una marca sia quello di una promessa a lungo termine che va ogni volta negoziata e riadattata ai tempi e alle esigenze dei consumatori.

5.4. Fiducia nella marca o nelle istituzioni?

Una survey condotta qualche anno fa dall’Henley Centre di Londra aveva rvelato come il pubblico inglese ha più fiducia in marche come Kellogg’s, Heinz, Marks & Spencer piuttosto che nel Parlamento, nella polizia e nelle leggi del sistema britannico.

Se la marca disattende le promesse o le attese dei consumatori, essi possono decidere di non acquistarla più, oppure l’azienda rivedrà la propria offerta al fine di sintonizzarsi con i bisogni del consumatore.

Nel caso della politica non funziona così: una volta che gli elettori hanno dato il proprio voto, avrebbero pochissimi strumenti di controllo su chi li governa.

Molti professionisti della gestione strategica della marca sono oggi convinti che il mercato sia, in effetti, molto più democratico rispetto agli organismi politico costituzionali.Secondo questa prospettiva, il mercato, soprattutto quello del largo consumo, rappresenterebbe la manifestazione della libertà di scelta. Esprimerebbe l’opinione popolare attaraverso l’interazione di tre dimensioni: offerta, domanda, ricerche sul consumatore.

5.5. La riduzione del rischio

Ogni scelta d’acquisto comporta dei rischi. A differenza dell’incertezza, che è imponderabile e non calcolabile, il rischio è qualcosa di calcolabile e quindi controllabile.

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L’eccellenza qualitativa e performativa, l’affidabilità e la garanzia che appartengono, per definizione e statuto epistemologico alla marca, rappresentano quelli che Kapferer ha definito gli “estintori di rischio” della marca.

In genere, più il consumatore è esperto e coinvolto in un determinato mercato, più aumenta la percezione del rischio.

Es. Un viaggiatore esperto percepirà i rischi legati ala scelta di un tour operator: insidie del low cost, truffe, servizi scadenti, promesse disattese ecc.

In generale i consumatori, secondo il livello di coinvolgemmo dell’acquisto e la sensibilità alla marca nel mercato di riferimento, possono percepire una serie di rischi connessi all’acquisto di determinati prodotti:

- Rischio funzionale- Rischio fisico- Rischio finanziario- Rischio sociale- Rischio psicologico- Rischio temporale

5.5.1 Rischio funzionaleAppartengono alla categoria dei rischi funzionali: mafunzionamenti, cattiva resa, scarsa efficacia.

La grande marca è in grado di diminuire le possibilità legate ai rischi. Ci affidiamo più volentieri a una compagnia aerea nota, con un brand forte e consolidato, che a un piccolo velivolo di una piccola flotta.

5.5.2. Rischio fisicoI consumatori precepiscono un rischio fisico quando il prodotto può minacciare la salute, mettere a repentaglio la vita, quando non è sano, non è fresco, non è genuino, non è sicuro.

Nel settore food, i più recenti casi di contraffazione e contaminazione hanno innalzato la soglia di attenzione del consumatore su tematiche legate alla filiera, alle materie prime utlizzate.I produttori di marca hanno saputo gestire tali crisi alimentari comunicando e informando in maniera chiara.Alcune marche in questo settore hanno rassicurato il consumatore: eliminando i polifosfati, il glutammato ecc. e garantendo tracciabilità della filiera.

5.5.3. Rischio finanziarioI consumatori percepiscono un rischio finanziario quando temono che il valore del prodotto o del servizio non corrisponda al suo prezzo. Temono di buttar via il proprio denaro.

Ovviamente la percezione di questo tipo di rischio sarà tanto maggiore quanto l’impegno monetario sarà consistente.

Es.Investimenti bancari, E-bay, agenzie immobiliari

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Una marca forte, con i riconoscimento del pubblico di cui gode, serve a ridurre il rischio, e, soprattutto la percezione di questo.

5.5.4. Rischio socialeConsumare ha una valenza sociale: attraverso i beni che acquistiamo e le marche che scegliamo, non facciamo altro che autopresentarci.

L’individuo-consumatore può percepire un rischio sociale legato all’immagine del prodotto, che si riflette sulla propria immagine sociale. È presente nella misura in cui altri individui sono in grado di valutare la nostra decisione di acquisto.

5.5.5. Rischio psicologicoL’individuo, specie quando vi è un forte coinvolgimento nei confronti del prodotto, preferisce quella marca in grado di confortare le sue scelte, le sue opinioni, le sue attitudini e in grado di assecondare i suoi desideri.La marca affermata, grazie anche alla pubblicità e alla comunicazione, può ridurre la dissonanza che si verifica quando si manifesta un conflitto tra due i più elementi cognitivi, che abbiano per il consumatore una certa rilevaza (ad esempio prezzo e valore).

5.5.6. Rischio temporalePossibili rischi temporali: il prodotto ci fa perdere tempo, non è user friendly, non offre un servizio efficiente, bisogna montarlo, bisogna leggere le istruzioni, non si soddisfa ecc.

La marca è in grado di attutirli, di ridurne l’evenienza.

5.6. Le funzioni della marca per il consumatore

Agli inizi degli anni 90 Kapferer individua e descrive otto funzioni della marca per il consumatore. A ognuna di queste funzioni fa corrispondere altrettanti pacchetti di benefici:

1. Funzione di identificazioneGrazie alla marca il consumatore può identificare rapidamente il prodotto e distinguerlo dalla concorrenza. La marca riduce dunque i costi di ricerca.

2. Funzione di praticitàLa marca permette un risparmio di tempo e di energia in caso di riacquisto ed è strettamente legata al concetto di fedeltà. È la memoria del prodotto. Si innescano così meccanismi di fidelizzazione e attaccamento al brand.

3. Funzione di garanziaLa marca s’impegna pubblicamente: è una promessa di buone prestazioni. Garantisce livelli di qualità e performance costanti

4. Funzione di ottimizzazione5. Funzione di personalizzazione

La marca offre all’individuo un confronto nella definizione dell’immagine di sé in un contesto sociale. È uno strumento con cui il consumatore può avanzare pretese circa una particolare immagine che vuole restituire agli altri

6. Funzione di permanenza

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La marca assicura la permanenza di un legame che si protrae nel tempo e va di pari passo con la fedeltà dei consumatori. La soddisfazione del consumatore genera fedeltà la fedeltà genera familiarità, la familiarità genera, infine, una relazione stabile e duratura.

7. Funzione edonisticaLa marca è fonte di piacere, soprattutto grazie al suo polisensualismo o alla sua estetica. Il momento dell’acquisto è simile a un gioco. Ogni punto vendita offre oggi uno spettacolo della merce.

8. Funzione etica

5.7. Le funzioni della marca per il produttore

Alle operazioni di branding l’impresa destina ungenti investimenti finanziari, perché la marca per il prduttore assolve una serie di importanti funzioni:

- Attiva un canale di comunicazione con gli individui- Crea differenze significative all’interno del mercato- Determina la cultura d’impresa- Arricchisce l’azienda di risorse intellettuali- Consente una più elevata capillarità distributiva- Aumenta le performance finanziarie aziendali

Nonostante questa serie di vantaggi, la marca troppo spesso è vista come un semplice strumenti tattico, invece che come una strategia di business.

5.8. Le funzioni della marca per il distributore

Per i rivenditori al dettaglio o altri membri del canale distributivo, le marche svolgono una serie di importanti funzioni attraendo l’interesse del pubblico e generando comportamenti di fedeltà.

La marca rappresenta l’interfaccia tra distribuzione e consumatore. Essa riempe di sgnificati gli scaffali della distribuzione. Il consumatore apprende a organizzare i significati, a caratterizzare tipologie merceologiche, a configurare modalità ed esperienze d’uso e, in definitiva, a scegliere grazie alla presenza della marca nel punto vendita.

È evidente che le marche svolgono molteplici importanti funzioni per il distributore:- Attrarre l’interesse dei consumatori- Organizzare i significati e la base cognitiva per il processo d’acquisto- Generare comportamenti di fedeltà- Creare l’immagine dell’insegna e del punto vendita- Dare senso alle private label- Garantire margini di guadagno più ampi- Garantire volumi di vendita più elevati

5.9. La private label

Le private label sono le marche private del distributore. Le prime in Italia sono state quelle di Giesse, Coop, Esselunga ecc, spesso commercializzate sotto il marchio-ombrello del dettagliante, in altri casi con dei nomi propri di fantasia.

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Si tratta di prodotti solitamente realizzati o forniti da società terze per esser commercializzati con il marchio della società che vende. Il prezzo di solito è inferiore a quello delle grandi marche con una qualità piuttosto competitiva.

La segmentazione del brand portfolio, struttare l’offerta e le private label e si possono suddividere in diverse tipologie, a seconda del posizionamento e del prezzo:- Marca di primo prezzo: prodotti con il minor prezzo della categoria, meno 50% rispetto alla marca industriale leader- Marca premium: prodotti con un prezzo maggiore di quello della marca industriale (anche 30%) caratterizzati da alta qualità.- Marca insegna: prodotti con il marchi dell’insegna commerciale con un prezzo in media inferiore del 25%- Marca bio: prodotti biologici con un prezzo equivalente o maggiore fino al 15% della marca industriale leader.

Es.Esselunga: va da prodotti a primo prezzo a quelli di altissima qualità per i clienti più raffinati. Inoltre, Esselunga ha altre marche commerciali con tre linee di orientamento: Esselunga Bio, Esselunga Ecolabel, Esseluna Naturama (prodotti controllati in ogni fase).

VI L’identità della marca6.1. Brand identity

Quello del brand identity non è un concetto nuovo, ma lo si inizia studiare in profondità solo negli ultimi tempi.

La gestione della marca, per lungo tempo, è stata affidata ad approcci legati all’immagine, alla notorietà, alla visibilità, senza concentrarsi su un vero e proprio concetto di identità.

A partire dagli anni 90 anche Kapferer riconosce che i problemi che si pongono oggi sono più complessi di quelli di dieci o venti anni fa. Servono dunque dei concetti più affinati per consentire una migliore presa sulla realtà.

In effetti, nell’ultimo decennio del 900 si è assistito a un importante processo di cambiamento: moltiplicazione dei prodotti, fenomeni di me too (imitazione sistematica), nascita della marche private, saturazione di molti mercati ecc. Il volume di pubblicità è aumentato in maniera talmente esponenziale da raggiungere uno stato di ipercomunicazione.

Non era dunque più sufficiente emettere messaggi, ma bisognava emettere messaggi efficaci. Senza un’identità chiara e definita, la marca rischia di mettere segnali incongrui, di polverizzare i suoi sforzi comunicativi.

Secondo Aaker e Joachimsthaler la marca dovrebbe riuscire a:- Creare risonanza con il consumatore- Differenziare la marca rispetto ai concorrenti- Rappresentare ciò che l’azienda può fare (vision) e farà nel tempo (mission)

L’identità permette alla marca di tracciare una linea-guida, un contenuto, un progetto.

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Un’identità chiara e fficace svolge importanti funzioni:- Definisce il carattere e la proposta di valore del prodotto o del servizio- Propone questo carattere in modo distinto rispetto alla concorrenza- Trasmette un potere emotivo capace di andare al di là dell’immagine

L’identità esprime ciò che la marca è, e ciò che vuole essere, ma anche ciò che deve arrivare al consumatore. Lo deve fare in tutte le sue forme: simboli, colori, slogan, atmosfere eventi e con il comportamento dei dipendenti.

Non si parla solo di un’immagine di coordinata, ma significa configurare un progetto di senso, una serie di valori e segni di riconoscimento.

6.2. I contenuti dell’identità

Esistono essenzialmente 4 grandi contenuti che entrano significativamente a comporre e strutturare l’identità della marca:

1. Valori di prodottoProdotti, servizi, posizionamento, attributi e benefici. Uno degli elementi centrali dell’identità di una marca è di solito il suo prodotto di punta (Nutella per Ferrero, iPod per Apple, moka per Bialetti ecc.) Esso determina il tipo di associazioni auspicabili e realizzabili per la marca.I contributi del prodotto/servizio possono creare un valore aggiunto, l’offerta di qualcosa in più o di meglio che determina l’identità del brand.

2. Contenuti emotiviPersonalità della marca, attributi simbolici e emozionali, relazione tra consumatore e marca). Il brand, come le persone può essere percepito come una personalità unica. Attraverso l’attribuzione di contenuti emotivi, caratteriali, umani all’identità della marca è possibile creare un vantaggio auto espressivo che diventa un veicolo per consentire ai consumatori di raccontare la propria personalità attraverso il brand. Inoltre, i contenuti emotivi costituiscono la base di un rapporto di lunga durata tra marca e consumatore. Es. coccolino contiene nella sua identità la tenerezza, la morbidezza, l’affettività.

3. Valori socialiSignificato sociale dei prodotti e del brand, agire sociale delle imprese.

4. Cultura d’impresaStoria dell’azienda, contesto produttivo, vocazione produttiva, core business, cultura aziendale, capitale umano, mission, vision ecc.

6.4. La brand identity secondo D.A. Aaker

Secondo Aaker l’identità di marca è un insieme di connotazioni che chi ha il compito di curare la strategia, dovrebbe cercare di costruire o conservare.

Già in Building Strong Brands Aaker sosteneva che gli elementi dell’identità di marca fanno capo a 4 prospettive diverse:- La marca come prodotto (gamma di prodotti, articoli, attributi, rapporto qualità/valore ecc.)- La marca come organizzazione (connotazioni istituzionali, natura locale o globale)

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- La marca come persona (personalità della marca, relazione tra consumatore e marca)- La marca come simbolo (metafore, iconografia ed eredità culturale della marca)

Ognuno di queste prospettive permette di attribuire elementi identitari al brand.

Aaker definisce la struttura dell’identità di marca e lo fa graficamente proponendo un sistema composto da due cerchi concentrici: core identity e extended identity.

La core identity dovrebbe rimanere immutata anche se il brand si estende a nuovi prodotti o penetra nuovi mercati.

L’extended identity comprende tutti gli elementi che non rientrano nell’identità centrale. Vi si trovano la personalità della amrca, i suoi benefici emotivi o di auto espressione e l’immagine dell’utilizzatore ideale, ovvero tutto ciò che simboleggia la relazione individuo marca.

6.5. Il prisma di J.N Kapferer

Nella prima metà degli anni 90, Kapferer propone un modello per illustrare il concetto di brand identity:un prisma ideale che rappresenta tutte le facce della marca. Graficamente è un esagono. I sei lati sono composti da altrettante dimensioni che si influenzano reciprocamente e formano un unicum indissolubile:- luogo fisico- personalità- cultura- relazione- riflesso- mentalizzazione

Questo approccio considera la marca, in prima istanza, come un luogo fisico, un pacchetto di attributi tangibili. È quello che Lombardi definisce il “piumaggio”. Può essere un simbolo grafico, un personaggio di marca, o in generale una caratteristica che viene subito alla mente: il cioccolato per Ferrero, la sicurezza per Volvo, il blu per Barilla. Non si tratta solo di un mero criterio estetico, ma di un punto di forza.

La personalità: la marca acquisisce un carattere nel momento in cui inizia a comunicare. La rendono simile a una persona: Telecom simpatica, Omnitel dinamica, Apple amichevole ecc. La più agile per conferire un carattere di personalià è quella di prendere un testimonial divo dello star system.

La marca ha una terza dimensione: la cultura. È l’incarnazione di un storia imprenditoriale. Il volto culturale della marca è quello dei suoi principi fondamentali, delle due origini, delle sue espressioni, delle sue manifestazioni.

La marca è anche relazione: un legame simbolico, uno scambio di contenuti e di significati tra persone. L’invito di Nike è “Just do it!, l’Oréal “Perché voi valete”.

Il riflesso: l’immagine esteriore che la marca restituisce del proprio utilizzatore ideale. La marca è l’incarnazione del consumatore-tipo e produce, quasi di rimbalzo, un’immagine del tipo do

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persona che la sceglierà. Attentzione, però: il riflesso non va confuso con il target. Si tratta di sue ordini di pubblico differente: uno ideale e l’altro reale.

Infine la mentalizzazione. Se il riflesso è lo specchio esteriore del target, la rappresentazione mentale è il suo specchi interno, è la relazione che il consumatore intrattiene con se stesso attraverso il consumo della marca.Kapferer riporta il caso di Porsche, brand che restituisce la mentalizzazione di un acquirente teso a dimostrare a se stesso di potercela fare.

Il prisma dell’identità non fa altro che ribadire l’assoluta complessità della marca, la sua natura polisemica, la sua essenza relazionale e discorsiva.

6.6. Le Enciclopedie di Semprini

L’autore considera l’identità della marca come frutto dell’incastro di tre grandi sottosistemi in constante trasformazione e relazione dialettica. Li chiama Eciclopedie.

Semprini designa dunque l’identità della marca, come figlia di tre sottosistemi:- Enciclopedia della produzione- Contesto- Enciclopedia della ricezione

A formare l’Enciclopedia della produzione concorrono: cultura, valori dell’azienda, obiettivi a corto e lungo termine, visione del contesto del mercato, visione del contesto socio-culturale, piano di lancio della marca.

Il Contesto è determinato dall’ambiente sociale, culturale, politico e economico in sui la marca si trova a operare.

L’Enciclopedia di ricezione è a sua volta composta da: atteggiamenti e motivazioni, valori, sensibilità socio-culturali, pratiche di consumo, interpretazione dell’Enciclopedia della produzione.

6.9. Il caso Dash: la luce e il sé ideale

Nel 2006 Dash, brand leader nel settore dei detersivi per bucato decide mi mettere da parte il famoso claim “più bianco non si può “ per passare a “più luce alla tua vita”. Quello di sostituire il bianco con la luce, si rivelerà in meno di 2 anni un vero “passo falso”: le vendite si contraggono e l’identità di Dash si indebolisce.

La consumatrice si era fatta l’idea che se un prodotto sbianca allora è aggressivo ed efficace. L’azienda ha voluto cambiare proprio in vista del fatto che creava nuovi prodotti per colorati, delicati ecc.

Dash ha voluto comunicare un messaggio più ampio, capace di superare lo stretto funzionalismo del prodotto che rimuove le macchie ostinate a nuovi valori intangibili, risultati alla fine troppo astratti e aulici per essere funzionali alla comunicazione.

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Il bianco di Dash nel tempo avevo acquisito tutta una serie di significati: il pulito, l’igiene, la perfezione, le tradizioni, la fedeltà, il matrimoni, la casa, il corredo ecc.

Con il concetto di luce dash si è elevata a nuove suggestioni: candore, purezza, serenità, armonia, equilibrio, piacere, femminilità, vita. Perdendo di vista la sua identità e la concretezza.

6.10. Il caso Yorkie: identità di genere della marca

Osserviamo il caso di un prodotto Nestlé, una barretta al cioccolato per il mercato britannico. Uno snack a cui è stata attribuita una precisa identità di genere. Infatti comunicando ciò che non è “un prodotto per ragazze”, il prodotto e con esso il brand assume tratti di virilità e attributi maschili.

Concetto: It’s not for Girls. Compare anche sul packaging del prodotto.

L’idea di marketing è quella che uomini e donne mangiano in maniera diversa.

6.11 L’unicità della marca tra materiale e immateriale

Alcune marche sono riuscite a costruire vantaggio competitivo attraverso la perfomance tagibile di un prodotto.

Dash: lava così bianco che più bianco non si puòGillette Fusion: innovazione delle 5 lameParmacotto: il primo prosciutto cotto senza polifosfati

Altre, come la moda o i profumi hanno creato vantaggio grazie ad elementi intangibili.

Levi’s. idea di libertàChanel n°5: femminilità senza tempoMulino Bianco: ritorno alla natura

Il prodotto veicola i valori immateriali della marca, mentre l’identità si arricchisce progressivamente di quegli aspetti che si aggiungono alla sua presenza fisica: personalità, attributi tangibili ecc.

Molte ricerche hanno dimostrato come la combinazione di un beneficio emozionale, simbolico e di un materiale tangibile possa essere ottenuto considerando singolarmente uno dei due benefici.

6.12. Unique Selling Proposition

Da una ricerca svolta nei primi anni 40 si scopre che le pubblicità che hanno più successo e che convincono i consumatori a comprare la marca sono quelle che comunicano delle promesse uniche.

Tale promessa nasce dal prodotto stesso, dai suoi attributi performativi, dai suoi benefit. È la prima formulazione della USP (Unique Selling Proposition).

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Reeves, grande protagonista della storia della pubblicità, ne individua i tre comandamenti:- Ogni campagna pubblicitaria deve proporre un beneficio per il consumatore- Deve essere un beneficio che la concorrenza non può offrire o che, di fatto, non offre- Il beneficio deve essere così forte da poter spingere milioni di consumatori all’acquisto

Il concetto successivo è quello del posizionamento. Sebbene i due approcci siano sostanzialmente differenti, Reeves nel segnalare la presenza, nel prodotto, di un vantaggio unico, non fa altro che collocare la marca nella mente del consumatore.

L’USP ha dei limiti: non prende in considerazione l’ambiente socio culturale del consumatore. Tuttavia quando Reeves metteva in pratica le sue teorie, il martellamento pubblicitario del singolo beneficio risultava sufficiente.

Oggi il discorso sull’USP è piuttosto controverso, dato che è difficile per una marca avere un elemento distintivo così forte, non ancora clonato o presidiato da follower. Esistono più probabilità di costruire une diversità rilevante che un unicità.

6.13. Unique Emotional Plus

Agli antipodi della comunicazione razionale di Rosser Reeves si collocano le teorizzazioni del pubblicitario Burnett.

Unique Emotional Plus: creazione di miti e personaggi ispirati all’immaginario americano e capaci di formare brand personality e brand identity.

Burnett pensa che ogni prodotto abbia un contenuto emozionale. Attraverso la comunicazione il brand può rivelare questo pathos.

Tony la tigre di kellog’s, il cowboy della Marlboro sono sue creazioni.

Pur essendo stato teorizzato più di 50 anni fa, l’UEP è un concetto non del tutto estinto. L’emotional branding, la lovemark e il marketing esperienziale possono considerarsi derivazioni dell’idea di Burnett: la marca che emoziona stabilisce relazioni positive e durature con il gli individui.

6.14. Branded Differentiator

Una funzione, una caratteristica, un servizio, un programma o un ingrediente che sia davvero significativo per i consumatori e di cui le aziende abbiano consapevolezza strategica.

Secondo l’autore posso dirsi differenziatori di marca:1. Una funzione specifica della marca (Gatorade: reintegrare i Sali minerali)2. Una caratteristica di marca (Riso Gallo “pronto in 5 min” – beneficio per consumatore)3. Un ingrediente o una tecnologia di marca: fa parte dell’offerta e implica un beneficio o un

senso di fiducia per il consumatore (Activia con Bifidus Essens)4. Un servizio di marca: potenzia l’offerta attraverso un contenuto di servizio (Amazon:

sistema Pay Pal)5. Un programma di marca: migliora l’offerta e rafforza il brand attraverso attività

promozionale

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Grazie al branded differentiator, la marca sarà percepita come l’unica soluzione praticabile in grado di soddisfare i suoi bisogni e desideri.

Il branded differentiator dovrebbe essere:- Un attributo molto importante per il target- Una dimensione supportata da punti di forza organizzativa- Un beneficio non presidiato dalla concorrenza

Il branded differentiator ha sia dei benefici razionali che emotivi.I benefici razionali sono quelli che sono un risultato di un ragionamento logico: migliore rapporto qualità prezzo, la marca che lava a fondo senza strap la marca che non scuoce mai ecc.

I benefici emotivi o di auto espressione sono quelli che soddisfano cuore e anima: la marca che si prende cura del tuo bambino, la marca della passione, la marca di cui ti puoi fidare ecc.

VII. I significati della marca7.1. La perennità del nome

Il nome della marca è qualcosa di essenziale, unico e perenne. Se lettering, confezione, packaging e pubblicità possono essere soggetti a evoluzioni nel corso degli anni, per il nome è sempre auspicabile costanza e lunga durata.

L’ideazione del marchio commerciale viene sviluppata a partire dalla sua definizione verbale (verbal branding), ovvero dalla scrittura del nome, che in seguito verrà interpretata a livello grafico (visual branding).

Il compito principale del brand name è quello di permettere al consumatore di distingue il prodotto. Il nome vincente è quello in grado di richiamare posizionamento e valori della marca, in modo originale, unico e distintivo.

Il nome di marca è composto in genere da una parola. Tuttavia esistono anche nomu composti da più parole, da brevi frasi, da combinazioni alfanumeriche. Il nome di marca fidelizza, crea una relazione con il consumatore.

7.2. Le funzioni del nome di marca

- Identificare la proposta commerciale- Differenziare dalla concorrenza- Personalizzare in modo specifico- Facilitare la comunicazione- Proteggere dalla contraffazione- Capitalizzare gli investimenti negli anni

Le principali caratteristiche di un nome di marca. Esso dovrebbe essere:- Semplice- Familiare- Distintivo- Memorizzabile

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- Significativo- Piacevole- Trasferibile- Adattabile- Tutelabile

7.3. Tipologie di brand name

I nomi di marca si possono classificare in due principali famiglie:

- Nomi descrittivi: detti anche esplicativi o denotativi, descrivono le qualità fisiche e funzionali dell’offerta. Non danno luogo a interpretazioni soggettive. Sono i più adatti a ottimizzare le performance commerciali.Es. Pagine utili, Poltronesofà

- Nomi evocativi: detti anche simbolici o connotativi, richiamano l’universo semantico dell’offerta attraverso il suono, lo stile il significato. Cioè rimandano ad altri significati, arricchendosi di associazioni. Possono dare luogo a diverse interpretazioni.Es. Apple, mela può far venire in mente tantissime immagini: mela di Adamo ed Eva, dunque il paradiso perduto; la freschezza, la semplicità, la natura, la mela di Biancaneve ecc.

7.4. La naming strategy

La naming strategy è un approccio strategico legato allo sviluppo dei nomi di prodotti, dei servizi o delle marche nel loto contesto competitivo aziendale. Si tratta di stabilire la funzione a lungo termine dei nomi commerciali,in relazione agli attori del mercato, ma anche in relazioni a tutte le marche e i prodotti dello stesso gruppo.

Per fare questo è necessario definire un territorio semantico coerente: insieme di significati, delle connotazioni e delle associazioni presenti nei nomi utilizzati dall’azienda.Es.Danone ha adottato una precisa strategia che consiste nel declinare il nome della Corporate sui singoli prodotti: Danacol, Danito, DanetteMulino Bianco nella linea panetti ha creato: granetti, rugotti, michetti ecc.

7.5. L’analisi linguistica del brand name

L’approccio linguistico considera il nome come l’insieme di tre dimensioni: suono, forma, significato.

Il primo impatto del brand name è fonetico, ma a seguire viene il significato espresso da questi suoni, così come la loro facilità di pronuncia.

Studiare un nome equivale a definire la sua forma grammaticale:- sostantivo (Trésor, Apple, Ralf Lauren ecc.)- aggettivo (Magnifique)- avverbio (Presto…)- verbo (Essere…)

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Consente inoltre di determinare l’origine linguistica. Nike – greco, Clinique – francese

È sempre importante valutare i possibili significati che determinate parole assumono nei diversi paesi.

Es. Pallor: additivo sbiancante tedesco. In Italia non funzionerebbe perché connotazione negativa.

7.6. La difendibilità del brand name

Difendibilità legale di un nome. Bisogna verificare che nessun altro lo abbia già utilizzato e registrato prima e che nessuno ne faccia un uso inappropriato.

Qualsiasi parole, numero, o loro combinazione può essere difeso come marchio denominativo di proprietà. A patto, però, che non si utilizzi esclusivamente una parola necessaria alla descrizione del prodotto.

Es.Computer

Uno stesso brand name può identificare prodotti diversi: Fiorucci-salume e moda; Beretta-salumi e armi da fuoco

In teoria, volendo estendere la tutela del nome si può estendere il deposito a tutte le classi di prodotti.

Il brand name deve essere libero da qualunque similitudine che potrebbe renderlo a rischio contraffazione. Di fatto la similitudine può essere ortografica, visuale, fonetica, intellettuale (Trésor/Bijou).

7.7. Visual brand-naming

Una volta scelto il nome si procede con la sua interpretazione visuale, cioè grafica. Si sceglie il carattere tipografico, il colore ecc.

L’obiettivo è quello di comunicare i valori del brand, ma anche di esprimere coerenza con il posizionamento del prodotto.

L’insieme di nome, lettering e logo, è il marchio.

7.8. Re-naming

Ribattezzare aziende o prodotti con nomi nuovi non è mai un’operazione auspicabile. Tuttavia spesso è necessaria.La globalizzazione ad esempio ha constretto molte Corporation a concentrare la comunicazioni in un unico nome e simbolo, anziché avere per ogni paese brand name diversi.

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L’operazione di cambiare il nome è sempre delicatissima e pericolosa. Il nome già affermato è anche già riconosciuto dai consumatori. Procedere al re-naming vuol dire fare un investimento massiccio nella comunicazione.

Es.Adersen Consulting – Accenture: causa di un divorzio societario con Andersen InternationalOmnitel – Vodafone: dopo acquisto

Preferibilmente il cambiamento dovrebbe avvenire per tappe, attraverso una comunicazioni mirata a informare.

7.9. Il logo

Il logo è, insieme al nome, la prima forma di comunicazione della marca.

Logo viene dal greco “logos”, che significa parola. È la forma abbreviata per definire il logotipo, termine oramai in disuso che indica una rappresentazione grafica atta a indicare un prodotto o un marchio di fabbrica.

Il logo può avere un’articolazione significante di tipo complesso (lettering+simbolo) o semplice (solo lettering o solo simbolo). Le sue funzioni sono principalmente quelle di:- Indetificazione- Differenziazione- Trasmissione di messaggi e valori- Granzia- Memotizzazione

Elementi da considerare al momento della creazione del logo sono:- La marca/il prodotto- Il target- Il brand name

Il logo di successo è in genere un segno permanente, duraturo e stabile.

7.10 Il simbolo

Il simbolo è un’immagine, un segno grafico, un’icona, un personaggio che ha la capacità di farci affezionare al brand. Quando è efficace e memorabile può essere percepito come “la marca” tout court.

Es.Cavallino di FerrariConchiglia di ShellMela di Apple

I simboli di marca sono di varia natura. Classi e tipologie a seconda del tipo di rappresentazione di cui si fanno portaori:

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1. Rappresentazione di tipo figurativo: figure stilizzate, sagome di oggetti, personaggi, animali ecc.

2. Segno astratto (Swoosh di Nike, losanga di Renault)3. Personaggio (Mastro Lindo, Tony Tiger di Kellogg’s)

7.11 Il packaging

Il packaging contiene, protegge, conserva. I primi prodotti di marca, venduti sfusi, si differenziavano dai concorrenti proprio grazie all’involucro esterno con cui venivano confezionati.

Affinché un packaging di prodotto possa dirsi davvero efficace dovrebbero sussistere almeno cinque condizioni:

1. Chiarezza (si deve capire di che prodotto si tratta)2. Distintività3. Esperienza (connessione emozionale e polisensoriale tra consumatore e marca)4. Innovazione (nuove soluzioni in termini di praticità, tecnologia ecc.)5. Funzionalità

Da un lato il packaging serve a conservare il prodotto, dall’altra a mostralo nella sua luce migliore.

7.12 Il pay-off

Il pay-off è la sintetica elaborazione verbale che, attraverso la comunicazione e i messaggi pubblicitari racconta la marca. È definito da un enunciato rivolto al consumatore e al pubblico.

È una frase, un motto, che condensa il posizionamento, la missione, i valori ecc. Un tempo si chiamava slogan

Es.Nike - Just do it!: una filosofia dell’azione, dell’engagement, della sfidaNokia-connecting people: linking valueMc Donald’s- I’m lovin’it: idea di un sentimento che continua, che c’è sempre stato. Lifelong relationship. Tradotto in diverse lingue.

L’oréal è passata da Perché io valgo a Perché voi valete, segno di nuova estroversione della marca, di un’apertura alla relazione con i suoi consumatori.

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VIII Percezione e vissuto della marca8.1. L’immagine di marca

L’immagine di marca è l’insieme delle percezioni su una marca presenti nella memoria del consumatore. Sono informazioni che provengono dal prodotto, da esperienza e vissuto di consumo, dalla pubblicità, dal packaging, dalla comunicazione, dai mass media ecc.

I comportamenti comunicativi sono per l’impresa una questione di coerenza. Stabiliscono un patto col consumatore che non può essere disatteso, anche a fronte dell’evoluzione del brand, delle sue trasformazioni, dei suoi riposizionamenti. Per questo l’immagine di marca potrebbe risultare confuso e opaca quando:- La comunicazione è incoerente- La comunicazione è debole e sfocata- La comunicazione non è distintiva rispetto i competitor- Avvengono continui cambi di strategia e di linguaggio

Il testo della marca, quindi, produce senso solo se sussiste una continuità di senso, vale a dire una relazione coerente, fra gli enunciati che lo compongono, fra le espressioni testuali e i meccanismi di riconoscimento, identificazione, decodifica che attiva.

8.2. Danni d’immagine per la marca

Quali sono le cause che possono determinare danni all’immagine di una marca. Le cause sono endogene e esogene. Alcune sotto la diretta responsabilità dell’azienda, altre indipendenti da questa, impreviste e incontrollabili.

1. Fatti di cronaca in cui il nome dell’impresa sia negativamente implicato per responsabilità diretta legata a comportamenti non etici (Nestlé e il caso Tetrapack tossico, Nestlé e il caso del latte in polvere nel terzo mondo, Nike e lo sfruttamento del lavoro minorile nel sudest asiatico)

2. Bassa soddisfazione del consumatore3. Deficit de prodotto: defaillance qualitativa del prodotto. Perrieri, partita d’acqua al

benzene. 4. Deficit di servizio5. Contraffazione

L’immagine di marca potrebbe non essere in linea con il desiderio dell’azienda e tuttavia essere fortemente radicata nella mente della gente. Prodotta e elaborata dal consumatore, essa tende a sfuggire al controllo del brand management. Ecco perché l’impresa dovrebbe costantemente monitorare l’immagine della propria marca e lavorare a partire da questa, facendo ricerca sulla percezione e sul vissuto del consumatore.

8.3. Strategie di cambiamento dell’immagine

In alcuni casi, quando l’impresa verifica che la brand image è debole, oppure connotata negativamente, può essere necessario lavorare sulle percezioni dei consumatori, con strategie di comunicazione e prodotto.

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- Diversificare l’offerta attraverso l’immissione sul mercato di prototipi: nuovi prodotti con un posizionamento differente.

Es.Mercedes: simbolo di eleganza, negli anni 90 viene percepita come ostentativa e per anziani. Con il lancio della Classe A muta radicalmente diventando sobria, giovane e dinamica

Louis Vuitton: danno irreparabile con la contraffazione

8.4. Le fonti parassite

L’immagine di una marca può essere intaccata da fonti parassite. Dalla biologia sappiamo che il parassita è un organismo che vive sopra o dentro un altro organismo e trae da esso i mezzi per la sussistenza, con proprio beneficio e danno per l’ospite.

L’immagine è un decodifica, una interpretazione di segni. Questi segni possono provenire dalla stessa brand identity o da altri fattori che in nome della marca la allontanano dalla sua vera natura, generando così un nuovo senso, indesiderato, fuorviante.

Secondo Kapferer esistono 3 grandi fonti parassite per la marca:- Il mimetismo- La corsa alla seduzion- L’identità fantasma

Alle quali a nostro avviso vanno aggiunte:- Il testimonial cannibale- L’estensione-flop- Il brand stretching dissennato- Il brand licensing senza strategia

8.4.1 Il mimetismo

La pratica di mimetismo consiste in comportamenti da me too o look alike, cioè imitazione sistematica dei competitor da parte di un altro brand.Le marche che praticano il mimetismo replicano l’aspetto esteriore, i temi chiave della pubblicità, i benefici distintivi ecc.Ciò conduce a un significato appannato dell’immagine, che risulterà poco distintiva e priva di una reale rappresentativitàEs.Orzo Pupo è mimetico rispetto a Orzo Bimbo.

8.4.2. La corsa alla seduzioneLa corsa alla seduzione è una preoccupazione unicamente centrata sulla necessità di acquisire un’immagine che piace. La marca seduttrice surfa continuamente sull’onda delle mode e delle tendenze, senza avere una propria coerenza e identità.

Es.Settore della moda.

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8.4.3. L’identità fantasmaL’identità fantasma è quella che comunica un sé ideale ma non reale, si svela nel tempo, dopo che la comunicazione è risultata troppo distante dalla verità.

Es.Windows Vista. Il prodotto che era una brand extension non è riuscito a soddisfare i consumatori e l’immagine di marca ne ha sofferto. Sistema troppo complesso imposto agli utenti perché pre-installato nei PC. I consumatori si sono sentiti ingannati e loro aspettative sono state disattese.

8.4.4 Il testimonial cannibaleAnche il testimonial può rivelarsi un parassita, se la sua identità finisce per cannibalizzare quella della marca sovrapponendosi a essa. Lavazza è divenuta sinonimo di Nino Manfredi per molti anni.

8.4.5. L’estensione-flopQuando i brand decide di intraprendere una strategia di prodotto in un comparto merceologico nuovo, distante dal proprio business. Ma se il salto di territorio è incongruo, la brand image ne risentirà negativamente.

Es.Chiquita: lancio di sorbetti alla banana e poi lancio di succhi esotici e della frutta fresca. L’extension è stata fatta proprio quando il mercato delle banane attraversava una crisi. L’esperimento di chiquita frozen juice bars è stata definita un totale disastro. Chiquita exotic juices idem. La marca era tradizionalmente legata al prodotto banana dal 1940. L’identità storica risultava difficile da mettere in disparte.

8.4.6. IL brand stretching dissennatoCasi in cui la marca che storicamente produce attacchi da sci inizia a commercializzare biciclette da corsa ecc.

Infatti, se da una parte la marca può diventare un reale moltiplicatore di valore, dall’altra essa non trasforma automaticamente in business ogni cosa.

Come nell’attività fisica lo stretching deve essere seguito con cautela quando il corpo è riscaldato.

8.4.7. Il brand licensing senza strategiaConsiste nel cedere l’uso di un marchio a un’altra impresa, dietro pagamento di royalties. Il licenziante, cioè il proprietario del marchio è responsabile del mantenimento di un trattamento uniforme della proprietà della licenza. Il che significa stabilire dei canoni di immagine e di qualità che serviranno da guida per coloro che andranno ad applicarli ad altre categorie merceologiche.

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È una fase gestibile correttamente solo se l’azienda ha un’idea molto precisa della propria identità e ha formalizzato questa identità in parametri fissi e repetibili.

Rischio di parassitismo.

8.5. Dalla brand image alla brand reputation

La reputazione è la credibilità che riconosciamo a un individuo o a un’isttuzione per le sue azioni passate.

Gambetta e Bacharach distinguono 2 problemi in questa prospettiva:- Problema primario della fiducia: sulla base di quali segnali reputazionali diamo fiducia agli

altri?- Problema secondario della fiducia: a partire da questi segnali, in che circostanze ci

impegniamo in relazioni di fiducia?

La buona reputazione è un obiettivo strategico delle aziende di successo. C’è anche un senso differente nel quale possiamo intendere la reputazione, è quello morale.

Che uso fanno gli individui della reputazione? La reputazione è un segnale di status che serve a orientare e nostre scelte in situazioni di incertezza conoscitiva.

La componente maggiore de concetto di reputazione è l’insieme delle percezioni delle principali categorie di stakeholder. L’importanza della relazione lega il concetto di reputazione con quello di cittadinanza sociale.

Nell’era del web 2.0 la marca si mette a nudo, si rende visibile. Gli utenti possono esprimere le propre opinioni sulla marca e quindi creare la reputazione attraverso i blog e le aziende devono dare grande importanza a questi mezzi di comunicazione.

Troppo aziende hanno pagato sulla propria pelle attività di buzz negativo che si erano largamente diffuse.

Le aziende devono monitorare costantemente le opinioni dei consumatori al fine di evitare queste spiacevoli situazione dalle quali difficilmente ci si rialza.

8.6. Notorietà di marca

Capacità di un acquirente potenziale di riconoscere o ricordare che la marca è presente in una certa classe di prodotto, stabilendo così un legame fra classe di prodotto e marca. La notorietà indica il grado di conoscenza di un determinato brand da parte del consumatore. Si conquista attraverso la comunicazione, il marketing mix, l’esperienza d’uso e il passaparola.

La componente ricordo entra in gioco in maniera significativa, secondo un duplice criterio di selezione:

- Spontaneo: misura la percentuale di individui che spontaneamente citano il brand quando viene chiesto loro di nominare una marca in una certa categoria merceologica

- Aiutato: misura la percentuale di individui che riconoscono il brand quando viene mostrata loro una lista di marche. Detta anche notorietà suggerita.

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La notorietà di marca si sviluppa secondo una piramide che va da un sentimento d’incertezza relativo al riconoscimento della marca, sino alla convinzione che la marca sia l’unica nella classe di prodotto o servizio.

Alla base della piramide c’è la marca sconosciuta poi salendo si articola nella maniera seguente:

- Riconoscimento della marca: si basa su un test di ricordo aiutato (aided recall). Si legge una lista di marche appartenenti allo stesso settore e si chiede di indicare quelle conosciute. Livello minimo di notorietà.

- Ricordo spontaneo della marca: si basa sulla richiesta fatta all’intervistato di citare marche di una specifica categoria di riferimento attraverso il test dell’unaided recall.

- Top of mind: è la prima marca citata all’interno di un dato comparto merceologico in un test di ricordo spontaneo.

- Dominanza: unica marca ricordata spontaneamente dal consumatore nella categoria di riferimento.

Notorietà significa per la marca capacità di evocare col nomi il proprio universo e il proprio mondo: fatto di prodotti, servizi, promesse, linguaggio, vissuto e immaginario.

8.7. Sensibilità di marca

La sensibilità della marca è l’importanza del fattore marca nel processo d’acquisto o più in generale nell’atteggiamento di consumo.

Per arrivare a un scelta tra prodotti analoghi, gli individui possono utilizzare criteri differenti, che variano da persona a persona. Possono scegliere in base al prezzo, al formato, alla pubblicità, alla reperibilità o alla distribuzione. E non da ultimo, possono prendere in considerazione la marca, cioè considerarla come elemento significativo ai fini della decisione d’acquisto.

Kapferer e Laurent fondano la loro teoria sull’idea che la sensibilità vari da mercato a mercato, da individuo e individuo, da un periodo all’altro. Occorre dunque considerare la situazione d’acquisto e in particolare:

- Il grado di interesse del consumatore verso quel particolare mercato- La percezione del rischio nell’acquisto di quel particolare prodotto- I valori sociali attributi dal consumatore a quel prodotto- I valori emotivi/affettivi attribuiti dal consumatore a quel prodotto- La percezione di differenze significative tra prodotti nella stessa categoria- La competenza del consumatore rispetto a quel mercato o a quella categoria

Ecco le principali variabili che influenzano o determinano la sensibilità alla marca:- Variabili psicologiche: livello di coinvolgimento verso il prodotto, autostima, percezione del

rischio- Variabili socio-culturali: importanza della marca per il gruppo di riferimento- Variabili socio-economiche: reddito- Biografia individuale: età del consumatore, esperienze d’uso- Categoria di prodotto: conoscenza, competenza

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Una recente ricerca ha messo in luce come la sensibilità degli adolescenti rispetto al settore dell’abbigliamento dipenda, in larga misura dall’influenza dei “pari”, dall’innovatività della moda, dalla competenza del consumatore, dall’età ecc.

La sensibilità alla marca è misurabile. Kapferer e Laurent hanno fatto una ricerca in Francia nel 1992. Attraverso ricerche quali quantitative gli autori hanno elaborato un indice sintetico di sensibilità alla marca, utilizzabile nella stessa forma per prodotti assai diversi tra loro. La ricerca offre valido spunto per capire come la sensibilità alla marca dipenda in larga misura anche dalle epoche e dalle culture.

8.8 Dominanza

Una marca fortemente associata a una categoria di prodotti o servizi ha un vantaggio: nella mente dei consumatori riesce a isolarsi dai concorrenti e guadagnare un margine di distacco di tipo percettivo. Questa marca è detta dominante.

Alcuni autori articolano il concetto di dominanza di una marca distinguendo tra:- Category dominance: forza dell’associazione tra categoria e marca (quanto la categoria

scarpe spotive è in grado di evocare Nike)- Instance dominance: forza dell’associazione inversa, cioè tra marca e categoria in cui

compete (quanto Nike è in grado di evocare la categoria scarpe sportive)

Osservando i casi eccellenti è possibile rilevare con grande chiarezza che le marche acquisiscono questo grado di dominanza quando:

- Sono innovative, cioè creano prodotti che prima non c’erano (Post-it, Tampax, Nescafé)- Creano una categoria merceologica che prima non esisteva (Red Bull, Rollerblade) oppure

fanno nascere brand in mercati che erano territorio di commodity (Chiquita, Melinda, Intel)- Investono in comunicazione molto più dei competitor (Ferrero, Mulino Bianco, Duracell)- Hanno un’elevata brand awarness o notorietà di marca (Nike, Ikea, Colgate, Mercedes ecc.)

8.9. Dalla fedeltà al commitment

Creare custode loyality e quindi fedeltà dovrebbe essere l’obiettivo finale il significato ultimo del valore di un brand. Tuttavia, ci troviamo oggi di fronte ad un orientamento di sistematica infedeltà da parte degli individui nei confronti della marca, nella maggior parte dei settori del consumo, dettato da diversi fattori:

- Crisi economica e propensione al risparmio- Vastità e varietà dell’offerta- Promozioni e politiche di prezo- Marche del distributore e non marche

Il consumatore oggi si costituisce, per ciascun comparto, una shopping list di marche, una sorta di paniere selettivo con un ristretto numero di marche- in genere non più di tre- per poi scegliere all’interno di queste, con grande discrezionalità.

Aaker individua diversi livelli di fedeltà alla marca, che rappresentano segmenti di consumatori, con stili di vita, abitudini e esigenze diverse.

Nella sua piramide di fedeltà il livello più basso è:

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- acquirente infedele: sceglie solo in base al prezzo- acquirenti abituali soddisfatti: non hanno motivi di insoddisfazione e quindi di

cambiamento. Questo elemento diventa vulnerabile non appena la concorrenza propone un evidente benefit particolare o un vantaggio competitivo.

- Acquirenti soddisfatti con costi di cambiamento: i fedeli che riacquistano una determinata marca e non hanno intenzione di passare alla concorrenza: cambiare comprterebbe loro costi e rischi.

- Amore per la marca: dovuto probabilmente a esperienze d’uso positive. - Acquirente coinvolto: scelgono il brand per soddisfare sia aspetti funzionali che di

immagine.

Dobbiamo riconoscere che la piramide di Aaker risulta essere sempre più anacronistica, o, perlomeno, difficilmente applicabile alla realtà odierna.

In tempi di recessione economica, di forte sensibilità al prezzo, ogni teorema sulla fedeltà sembra crollare inesorabilmente.

La fedeltà alla marca dipende anche dalle modalità con cui viene progettata la spesa. Per esempio nel settore dei prodotti convenience è possibile individuare almeno 4 diverse modalità:

- Chi ha pianificato l’acquisto del prodotto e della marca- Chi ha pianificato in anticipo il prodotto ma non la marca- Chi compra una marca diversa da quella pianificata- Chi acquista d’impulso

Solo per la prima modalità, che riguarda il 20% degli acquisti si potrebbe parlare di fedeltà alla marca.

Il Brand Commitment indica il grado di coinvolgimento/impegno/partecipazione degli individui-consumatori dei confronti di una particolare marca. Può essere misurato attraverso interviste e questionari.Affinché si possa parlare di commitment, dovrebbero verificarsi le seguenti condizioni:

- Tendenza al riacquisto e all’utilizzo frequente della marca- Attitudini favorevoli verso il brand portfolio- Disposizione a sostenere cos di ricerca- Disposizione a sostenere una differenziale di prezzo- Elevati indici di custode satisfaction- Sensibilità alla marca nella categoria merceologica- Percezione di una positiva branda image- Sensibilità alla comunicazione della marca

8.9.1. La carta fedeltàUn grande strumento di fidelizzazione della clientela nella grande distribuzione è la carta fedeltà: una carta personale che permette di registrare i punti ottenuti ad ogni acquisto.

La carta fidelizza attraverso la cosiddetta promozione differita. Essa permette inoltre di monitorare gli acquisti, raccogliere dati e informazioni di diversa natura: permette di conoscere gli stili di vita, i gusti, le preferenze alimentari, la sensibilità ecologica ecc.

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Sono anche questi gli elementi sui quali si basano le aziende per realizzare strategie di micro marketing. Si è dimostrato che il cliente fedele spende di più perché acquistano con più regolarità.

Per un corretto uso dei dati personali dei clienti da parte delle società che rilasciano le fidelity card, il Garante della privacy ha fissato alcune linee guida per i programmi di fidelizzazione con un provvedimento del 24 febbraio 2005:

- Le società devono informare i clienti in maniera chiara e completa del’uso che verrà fatto de dati che li riguardano,

- Le aziende devono ridurre al minimo l’uso della informazioni personali- Il tempo di conservazione dei dati personali dei clienti non può superare un anno per i dati

raccolti a fini di proliferazione, mentre quelli raccolti ai fini di marketing non può superare i due anni.

- È obbligatorio, infine, adottare le necessarie misure di sicurezza per evitare rischi di manomissione, furto o perdita dei dati.

IX. Il posizionamento9.1. Posizionare una marca

Il termine posizionamento è stato introdotto per la prima volta nel vocabolario del branding e del marketing da Ries e Trout nel loro libro Positoning: the battle for your mind.

Il posizionamento non è il modo di collocare i prodotto sullo scaffale, ma è il modo di collocare la marca nella mente del potenziale consumatore. È il discorso attraverso cui la marca sostiene di essere differente e migliore rispetto a qualsiasi altra marca del suo stesso comparto merceologico, sotto diversi aspetti.

Il posizionamento consente di gestire correttamente ogni elemento del marketing mix e di impostare coerentemente alle aspettative ai desideri del target il “discorso di marca”.

Per decidere il posizionamento di un brand la lanciare sul mercato o per valutarlo a posteriori è necessario dunque analizzare le attese e le percezioni del pubblico. In particolare:

- Gli attributi ricercati nel prodotto e l’importanza che rivestono nella decisione dell’acquisto- La presenza percepita di tali attributi nelle diverse marche del comparto di riferimento- I fattori che determinano la percezione di tali attributi

9.2. Il posizionamento come atto comunicativo

Ries e Trout considerano il posizionamento della marca come un atto eminentemente comunicativo.Posizionare una marca significa:

- Collocare la marca in un’area precisa all’interno dello scenario competitivo. Affinché avvenga la marca deve proporre attributi e benefici unici e distintivi.

- Individuare il tipo di pubblico a cui rivolgersi, ossia il target. Affinché questo avvenga occorre che gli attributi e i benefici siano rilevanti, desiderabili e significativi per il segmenti di individui a cui la marca è rivolta.

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Esistono alcune marche che sono talmente trasversali e di culto da configurarsi come interclassiste e trans generazionali. Si pensi alla Nutella.

- Occupare uno spazio definito nell’immaginario del consumatore. Il brand deve dunque comunicare con chiarezza il suo discorso, la sua personalità, il suo stile, il suo mondo possibile.

Per ottenere questo risultato ci deve essere la massima congruenza tra le performance del prodotto, il nome, il marchio, la confezione, il tipo di punto-vendita, il prezzo, la comunicazione pubblicitaria.

9.3. Leve di posizionamento

Sono le caratteristiche base alle quali è possibile collocare una marca nella mente del pubblico e dei consumatori. Esse cambiano a seconda delle classi di prodotto o servizio, della categoria di consumo ecc.

Alcune tra le principali e più diffuse leve del posizionamento sono rappresentate da:- Attributi fisici e simbolici- Benefici e servizi offerti- Occasioni d’uso o specifiche funzioni associate al prodotto- Caratteristiche degli utilizzatori- Categoria di prodotti/servizi- Risorse immateriali- Prezzo- Paese d’origine- Identificazione con un testimonial o un opinion leader

Il posizionamento può far leva su valori, sulle dimensioni intangibili o sulle prestazioni di prodotto. L’importante è che riesca a configurare la marca come qualcosa di particolarmente significativo nella mente del potenziale consumatore. Affinché tale condizione si verifichi, gli attributi dovrebbero essere:

- Coerenti- Credibili- Congrui- Rilevanti ai fini della motivazione di aqcuisto- Caratterizzanti

Il posizionamento dovrebbe considerare almeno quattro elementi che contribuiscono a definire la collocazione della marca nel mercato e della mente dei consumatori:

- Destinatari: Le attitudini, i valori, i caratteri socio-demografici- Scenario competitivo: La categoria in cui il marchio compete- Benefici distintivi: i benefici della marca più avvincenti e motivanti nei cuori e nelle menti

dei consumatori rispetto alla concorrenza.- Reason to Believe: la prova che il marchio offre ciò che promette

9.4. Reason to believe

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La Reason to Believe è quell’argomento che prova la credibilità della marca. Essa aggiunge sostanza alla brand promise e definisce un campo di precise aspettative presso il consumatore.

Es.Un brand di automobili promette che il modello X è una scelta intelligente per i guidatori seri. Cosa lo rende una scelta intelligente? Il costruttore potrebbe incorniciare la sua promessa attraverso due Reason to believe: prestazioni sportive e sicurezza.

La Reason to believe può essere di ordine tecninco-razionale o funzionale-affettivo:- Tecnico-razionale: la prova del bucato before after dimostra che Dash lava più bianco come

promette di fare.- Funzionale-affettivo: conto Arancio offre un tasso netto del 4,75 quindi sono un

risparmiatore intelligente che usa la zucca.

9.5. Triangolo e quadrilatero del posizionamento

Diversi autori contemporanei hanno fornito importanti contributi teorici in merito al concetto di posizionamento. Il tratto che accomuna i vari punti di vista è l’idea che il posizionamento risulterebbe dal gioco combinatorio di una serie di quesiti o dimensioni necessarie.

Variot e Kapferer, agli inizi degli anni 80, considera uno schema triangolare in cui il posizionamento è generato dall’area circoscritta da tre segmenti: Pourquoi? A qui? Quand?

Questo primo modello trova una prima evoluzione quando Kapferer aggiunge la quarta dimensione. È il famoso quadrilatero del posizionamento:

- La marca perché?È la Reason to believe, ovvero la dimensione della promessa. Acqua Lete con la minor presenza di sodio, Kit Kat per un break gustoso ecc.

- La marca per chi?È la dimensione del destinatario. Significa definire il target.

- La marca quando?In quale momento della giornata, stagione e situazione ha senso il brand? Kinder Bueno per i fuori pasto. Ferrero Rocher per i mitici ricevimenti dell’Ambasciatore ecc.

- La marca contro chi?È necessario compiere un’attenta analisi dello scenario competitivo, per definire i confini della marca. È possibile individuare due tipi di soglie: confini con diretti competitor (Dixan e Dash) e con prodotti fungibili (pasta e riso, biscotti e merendine).

9.6. Altri modelli di posizionamento

Lombardi, riprendendo lo studio condotto da Rossier e Percy, analizza il posizionamento sulla base di tre ordini di scelte:

- Il territorio

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- Il target- Il beneficio

Anche qui ritorna la metodologia degli interrogativi. Posizionare la marca significa, in sintesi, rispondere a tre domande fondamentali:

- Che cos’è il prodotto?- Per chi esiste la marca?- Che cosa offre la marca?

X. La Corporate e il brand10.1. La Corporate

Con il termine Corporate si indica l’impresa a monte della marca. Essa rappresenta la figura istituzionale di riferimento.

Le sue funzioni sono molteplici: dal coordinamento alle economie di scala, dallo sviluppo di valori comuni a centro finanziario. Può rappresentare il vero asset competitivo, il biglietto da visita del brand. E qui entra in gioco il “comportamento” delle aziende. Se la Corporate agisce in maniera non responsabile, se la sua reputazione è minata, la prima a risentirne sfavorevolmente è la marca.

Pertanto il Capitale Corporate s’intreccia indissolubilmente col Capitale Marca nella costruzione del valore e della reputazione di un’impresa. È quello che Kapferer chiama l’effetto della fonte.

10.2. Strategie di gestione della Corporate e del brand: i modelli occidentale e giapponese

Modello occidentale:La Corporate costituiva un soggetto prevalentemente finanziario, che non comunicava, non parlava di sé al grande pubblico. Erano le marche a rivolgersi alla gente, ai consumatori. Nate per differenziarsi dai competitor, le marche hanno assunto una propria autonomia e personalità senza alcun riferimento alla casa madre o Corporate.Es.Procter & Gamble (Pampers, Ariel, Gillettem Braun, Swiffer) ha divulgato il concetto di marca-prodotto. Lo ha fatto firmandosi in maniera molto discreta, quasi invisibile sul retro delle confezioni enfatizzando il carattere unico di ogni brand nel proprio mercato di riferimento.

Modello giapponese:Kapferer contrappone il modello orientale a quello occidentale, in particolare quello giapponese. Esso uso la Corporate per inglobare, mettere in comune risorse, creare legami tra ciò che è separato.In Giappone le grandi marche sono “marche ombrello” di vaste dimensioni.Es.Yamaha utilizza lo stesso marchio per le motociclette, la motonautica, i pianoforti, violini ecc. Idem per Toshiba, Sony ecc.

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Per queste Corporate, la reputazione dell’impresa ha la precedenza sulla reputazione del prodotto. Il modello di comportamento d’acquisto che prevarrebbe in Giappone è quello della fedeltà alla marca, prima ancora che ai prodotti.

Tuttavia, nell’ultimo decennio, questo tipo di atteggiamento nipponico ha iniziato a diffondersi anche nei paesi occidentali. In particolare nel 1008n è successo qualcosa che seconda Kapferer ha modificato il modo si fare brand management in occidente.

L’Oréal interrompe una lunga tradizione di marketing delle singole marche e ha iniziato a firmarsi come Corporate utilizzando solo un pay-off “Perché voi valete”.

Tale cambiamento è frutto del mutamento sociale e del nuovo ruolo assunto dalle imprese nei confronti dei pubblici con cui deve confrontarsi. È la fonte prima ancora del prodotto a determinare il patto di fiducia con l’individuo-consumatore. L’impresa diventa un attore sociale.

Oggi tutte le grandi marche sentono il bisogno di definire la propria missione, la propria ragion d’essere e i propri grandi valori di fondo, al pari della gradi Corporate. Si gestiscono marche come imprese e imprese come marche in un’inedita convergenza tra i sue paradigmi.

Anche le imprese giapponesi ha ripreso il modello occidentale in alcuni settori, riconoscendo che a volte è necessario seguire il modello dell’appropriazione dell’oggetto.

10.3. Le funzioni della Corporate

Le relazioni tra Corporate e brand, ma anche tra Corporate e subsidiary, cioè imprese sussidiarie, sono state a lungo studiate come vere e proprie architetture, alberi genealogici.

A seconda della natura e delle interdipendenze tra Corporate e imprese sussidiarie, è possibile individuare 4 ruoli principali svolti dalla Corporate:1. CoordinamentoLa Corporate coordina le attività svolte dalle sussidiarie nei mercati geografici di riferimento con l’obiettivo di creare sinergie tra le varie unità del gruppo. Esso si accompagna spesso all’azione di connessione tra le diverse unità organizzative per lo sviluppo di valori culturali comuni.

2. Economie di scalaLa Corporate si occupa di fornire servizi a valore aggiunto a favore delle unità locali che presidiano i vari mercati o dei singoli brand. Le economie di scala posso derivare dalla condivisione di risorse tecnologiche, di produzione, commerciali ecc. Il ruolo della Corporate non dovrebbe limitare l’autonomia delle singole unità ma creare le migliori condizioni per la loro operatività e per il successo.

3. Sviluppo e comunicazione di valori culturali comuniComunicazione e valori culturali comuni risultano essere elementi particolarmente efficaci per la creazione di un linguaggio e sentire condiviso in grado di mantenere coesione tra brand e sussidiarie o business unit. I core values fondano i brand values della marca, ne rappresentano i principi ispiratori.

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4. Centro finanziarioLa Corporate riceve le risorse finanziarie dagli azionisti e dai finanziatori e le rialloca presso le sussidiarie, secondo una prospettiva di gestione del portafoglio, ottimizzando impieghi e fonti a livello globale.

10.4. Core business

Il core business è un set di capacità (in genere una, massimo tre) in grado di dare vantaggio strategico all’impresa. È ciò che l’azienda sa fare meglio, cioè la sua vocazione imprenditoriale. Può esse anche ciò che l’azienda fa da sempre, cioè il settore che storicamente la contraddistingue.

Tuttavia, oggi, in un’epoca di acquisizioni e fusioni, il core business può anche essere ciò cge l’azienda sa vendere meglio e quindi contribuisce maggiormente al suo fatturato complessivo.

Es.Gruppo LVMH: il suo core business è il lusso. Ossia un termine ampio che riesce a inglobare i numerosissimi prodotti di proprietà del gruppo (Dior, Sephora, Dom Perignon, Zenith ecc.)Heineken: il suo core business è la birra

10.5. Brand portfolio strategy

La strategia di brand portfolio è il risultato di una sistematizzazione dei ruoli e delle relazioni tra marche di una stessa azienda al fine di garantire che queste siano chiaramente posizionate nella mente del pubblico e collocate nel mercato di riferimento.

Esistono 3 principali sistemi di architetture di marca, a cui corrispondono i modelli per sistematizzare le relazioni gerarchiche tra Corporate, brand e prodotti:

- Master brand o architettura monolitica:Il Corporate nome è utilizzato su tutti i prodotti e servizi offerti dall’impresa. È l’approccio giapponese.

- Endorsed brandTutte le sub-brands sono collegate gerarchicamente alla Corporate che funge da garante. Questo collegamento è comunicato e reso manifesto attraverso un sistema di significati e segni (Kit Kat e Nestlé, Mulino Bianco e Barilla, Elvive e l’Oréal Paris).

- Freestanding o product-brandLa Corporate opera come proprietaria dei marchi e ogni prodotto e servizio ha un proprio brand, una propria identità e un proprio target di riferimento. È l’approccio occidentale.

La pianificazione strategica prevede interventi in tre ambiti distinti:- la gestione del business dell’impresa come portafoglio di investimenti- la valutazione dei punti forza di ciascun business considerando il tasso di crescita del

mercato- il posizionamento dell’impresa e la sua sintonia con il mercato

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- la definizione di una strategia

Inoltre, molte grandi imprese sono costruire da più livelli organizzativi, in genere 4:- livello d’impresa i Corporate- livello di divisione- livello di unità d’affari o business unit- livello di responsabile della progettazione di un piano strategico

La Corporate deve occuparsi di 4 attività di pianificazione:- Definizione della mission della vision- Identificazione del core business e delle strategie di business unit- Assegnazione delle risorse alla business unit- Valutazione delle opportunità di crescita

10.6. Mission

La mission è quell’enunciato definito e formulato dall’impresa che si rivolge a tutti i suoi pubblici o stakeholder per comunicare le finalità e gli obiettivi del brand o delle Corporate.

All’inizio dell’attività di un’impresa lo scopo o la missione è ben preciso. Ma col tempo, con l’evoluzione dell’organizzazione, dei mercati e del contesto socioculturale, esso può risultare meno chiaro.

Quando il management avverte che la Corporate o la marca sta perdendo di vista le proprie finalità, dovrebbe riconsiderare gli obiettivi aziendali ponendosi le seguenti domande:

- Chi siamo?- Cosa vogliamo fare?- Per chi lo facciamo?- Perché lo facciamo?

Questi interrogativi, a prima vista banali, sono in realtà i più critici e difficili per l’impresa. È stato osservato come il Brand Mission Statement dovrebbe configurarsi come un proposizione abbastanza ampia da motivare la crescita dei dipendenti. Non dovrebbe tuttavia essere troppo generico e universale, cosa che succede spesso:

- Ikea: “Creare un vita quotidiana migliore per la maggior parte della gente”- Disney: “Creare sogni”- Nestlé “Crediamo che la ricerca possa aiutarci a fare cibi migliori, così che la gente possa

vivere una vita migliore”.

Altre volte il Brand Mission Statement si riduce a uno slogan.

10.7 Vision

Il termine vision indica la proiezione di una scenario futuro che rispecchia gli ideali, i valori, le aspirazioni di chi fissa gli obiettivi. “il sogno che solo le persone all’interno della società credono sia realizzabile”.

Solo grazie a una visione coraggiosa, molte aziende allo stato nascente hanno raggiunto straordinari successi commerciali. Il Brand Vision Statement è quella semplice frase che

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descrive il traguardo che la Corporate o la marca intende raggiungere. La sua funzione è quella di ispirare i soggetti coinvolti.

Uno degli errori maggiori delle aziende è quello di concentrarsi su obiettivi a breve termine come i miglioramenti della redditività o di un processo. L’obiettivo dovrebbe essere proiettato verso il lontano futuro e dovrebbe e tenere conto degli eventuali cambiamenti culturali, sociali, tecnologici ecc.

Es.- Apple: Man is the creator of change in this world. As such, he should be above systems and structures, and not subordinate to them.- Orange: At orange we believe that together we can do more

10.8. Corporate image

Una Corporate image è la totalità delle immagini, delle idee, delle valutazioni su un’azienda, che si formano nella mente di coloro che entrano in contatto con essa. Spesso nel linguaggio comune si parla di “immagine coordinata”, intendendo il coordinamento degli aspetti grafici nella comunicazione dell’identità dell’impresa. Tale definizione non è del tutto corretta.La brand image non si stabilisce a tavolino, ma si autogenera nella mente del pubblico. Vi convergono la comunicazione d’impresa, mission e vision, il comportamento dell’azienda ecc.

Altri fattori esterni contribuiscono alla formazione di una Corporate image: mezzi di info, giornalisti, sindacati, blog, forum, passaparola ecc.

La Corporate identity partecipa alla costruzione della Corporate image. Questa a sua volta, attraverso la Corporate reputation positiva rafforza l’equity della marca. Il circolo è virtuoso.

10.9. Corporate reputation

Per la Corporate reputation valgono gran parte delle riflessioni sulla Brand reputation. Se la Corporate image è una fotografia mentale dell’impresa, la Corporate reputation si configura come l’insieme di giudizi di valore espressi dai diversi stakeholder circa i comportamenti di un organizzazione e la sua affidabilità nel corso del tempo.

Mentre l’immagine si forma rapidamente per la reputazione sono necessari comportamenti ripetuti e coerenti. Gli elementi che influenzano la reputazione di un’impresa sono diversi:

- comunicazione e trasparenza- reputazione personale del CEO/management- mass media/opinion leader- azionisti- dipendenti- consumatori- analisti finanziari- ambiente online

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Oggi, il concetto di Corporate reputation online è nel web marketing uno dei più discussi e controversi.

Il rischio più serio per le imprese è quello di diventare oggetto di critiche attraverso forum, blog e altre piattaforme virtuali. In genere questo tipo di attacchi può essere di 4 tipi:

1. Attacco alla serietà della Corporate: il sito di X non è mai aggiornato, non c’è da fidarsi”2. Attacco ai prodotti o ai brand che fanno capi alla Corporate3. Attacco alla professionalità “il numero verde è sempre occupato, poca gentilezza, scarsi

servizi”4. Attacco all’etica e alla responsabilità della Corporate “lavoro minorile, Nestlé ecc.”

10.10 Corporate citizenship

Si indica la consapevolezza da parte dell’impresa del suo ruolo come attore sociale, cioè come membro responsabile e significativo della comunità in cui è inserita.

La Corporate citizenship indica l’impegno a:- Collocare i principi etici nel cuore della strategia d’impresa- Compiere continui sforzi per il miglioramento di prodotti, servizi e customer satisfaction- Assicurarsi che ogni decisione o operazione relativa al business aziendale promuova il benessere della società- Migliorare la qualità della vita dei propri collaboratori e delle loro famiglie- Avere a cuore il futuro del pianeta e delle prossime generazioni

Vedi libro di Fumagalli.

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XI. Il valore della marca11.1. Misurare il valore del brand

Col termine brand equity s’intende comunemente il valore aggiunto che una marca conferisce a un prodotto o a un servizio.

Questo valore si riflette nelle percezioni e nei comportamenti d’acquisto dei consumatori rispetto alla marca, ma anche le quota di mercato, nel valore azionario e nella profittabilità della marca per l’impresa.

Nello studio del valore della marca i ricercatori e gli operatori di marketing assumono varie prospettive:- Approcci consumer based- Asset based: prendono in considerazione risorse tangibili e intangibili della marca- Business oriented: considerano il valore monetario

Oggi misurare il valore di una marca può essere indispensabile in uno di questi casi:- nelle acquisizioni e fusioni- nel brand licensing- nel fund rasising- nelle sponsorizzazioni- per il brand management- nei bilanci aziendali

11.2. Brand equity (Aaker)

Uno dei paradigmi più noti di misurazione del valore del brand è quello di Aaker, pioniere delle riflessioni sulle marche e sulla loro identità. Il valore della marca, secondo Aaker, si basa su una serie di attività e passività a essa associate che aggiungono o sottraggono valore al prodotto o servizio.

Perché attività e passività influiscano sul valore della marca, è necessario che siano strettamente associate al nome o al marchio e rientrano in 5 categorie:- fedeltà alla marca- notorietà del nome- qualità percepita- altri valori associati alla marca- altre risorse esclusive della marca

Il metodo di Aaker è indubbiamente consumer oriented.

11.3. Consumer Based Brand Equity-CBBE (Keller)

Analizza il valore del brand la punto di vista del consumatore, partendo dal presupposto che il successo di una marca è determinato dalla comprensione dei bisogni e desideri del pubblico e dalla sua capacità di soddisfarli.

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La forza di una marca si baserebbe su ciò che gli individui hanno appreso, visto, sentito, percepito e sperimentato personalmente nel tempo, a proposito di tale marca. Tale modello è utilizzato oggi per mettere a punto marche forti.

La teoria di Keller si basa sui 3 elementi chiave seguenti:- La conoscenza del brand- L’effetto differenziale- La risposta del consumatore alle attività di marketing

Il valore del brand deriverebbe dunque dall’esistenza di differenze nelle reazioni dei consumatori. In assenza di tali differenze il prodotto si classificherebbe tra le commodity.

La conoscenza del brand determina l’effetto differenziale e si articola attraverso due componenti:- Consapevolezza del brand: capacità di identificare il brand in condizioni diverse- Immagine del brand

I vantaggi di una consapevolezza del consumatore nei confronti del brand sono essenzialmente di 3 tipi:

1. Vantaggi di apprendimento: consentono che, nella memoria degli individui, si formi un “nodo” informativo relativo alla marca attraverso gli elementi di riconoscimento del brand.

2. Vantaggi di considerazione: fanno sì che il consumatore pensi al brand come qualcosa che soddisfa i suoi bisogni.

3. Vantaggi di scelta: la consapevolezza del brand influenza la scelta tra più prodotti.

La creazione di consapevolezza di un brand avviene accrescendo il grado di familiarità presso il pubblico mediante un’esposizione ripetuta: consumo ripetuto, manifestazioni, sistema comunicativo ecc.Essa è un passaggio necessario ma non sufficiente nella costruzione del suo valore. Infatti, entra in gioco la brand image, cioè l’insieme delle percezioni su una marca presenti nella memoria dei consumatori.

11.3.1. La piramide CBBEIl modello CBBE propone un processo concepito come una sequenza di fasi che conducono alla generazione di una marca forte capace di produrre valore per il consumatore.

I passaggi che prevedono il raggiungimento di determinati obiettivi rispetto al target attuale o potenziale, si possono riassumere così:

- Far sì che i consumatori identifichino la marca e l’associno con una specifica categoria merceologica

- Imprimere nella mente dei consumatori il significato della marca nella sua totalità, stabilendo un legame strategico

- Suscitare una risposta opportuna all’identificazione e alle associazioni create- Trasformare questa risposta in una relazione- Consumatore-marca fondata su una fedeltà intensa, attiva e partecipata

Secondo Keller, le 4 fasi corrispondono ad altrettanti quesiti che i consumatori si pongono di fronte al brand:- Chi sei

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- Cosa sei?- Cosa penso di te?- Quale relazione può esserci tra te e me?

La piramide CBBE è il modello generativo del valore di una marca. Essa è attraversata da 4 stadi a salire:

1. ProminenzaÈ il primo stadio, quello della consapevolezza che i consumatori hanno del brand. Fa riferimento alla capacità degli individui di riconoscere la marca e richiamarla alla memoria.

2. Performance/ImmagineImmagine:Fase in cui una serie di associazioni relative alla marca possono formarsi direttamente o indirettamente nella mente del consumatore.Performance: Modalità in cui il prodotto o servizio soddisfa i bisogni di natura funzionale e razionale dei consumatori.

3. Giudizi/SensazioniGiudizi: opinioni e valutazioni personali dei consumatori.Sensazioni: reazioni emotive alla marca e dipendono dal valore sociale e affettivo evocato.

4. RisonanzaFa riferimento all’intensità del legame psicologico/affettivo tra individuo e marca. Si manifesta tramite il tasso di ripetizione dell’acquisto. C’è risonanza quando c’è: fedeltà, attaccamento alla marca, impegno attivo.

11.4. Brand Asset Valuator (Young & Rubicam)

Il Brand Asset Valuato (BAV) è uno strumento di misurazione del valore della marca messo a punto dall’agenzia di pubblicità Young & Rubicam. Ricerca su quasi 200.000 consumatori di 40 paesi. Il BAV fornisce indicatori comparativi di migliaia di brand in centinaia di categorie. Attraverso il BAV è possibile misurare lo stato di salute e i significati del brand; verificare la validità della strategia utilizzata, individuare il posizionamento, rapportarsi ai competitor, esaminare opportunità di partnership ecc.

Siamo di nuovo di fronte a un approccio di tipo generativo. Il BAV conferma che la costruzione di una marca di successo passa attraverso una successione precisa di percezioni del consumatore:

- DiversitàPeculiarità percepita di una determinata marca. Ciò che la distingue.

- RilevanzaDeve essere percepito un reale beneficio della diversità.

La combinazione dei due primi pilastri rappresenta il potenziale di crescita del futuro. Oggi la difficoltà maggiore di una marca è proprio quella di raggiungere una diversità rilevante.

- Stima

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Considerazione in cui è tenuta la marca da parte dei consumatori. Se i primi due step sono riempiti di solito segue la stima.

- FamiliaritàPiù profondo e radicato nel consumatore. Non significa solo conoscere la marca, ma comprendere a pieno quello che rappresenta fino a considerarla parte integrante del proprio ambiente.

La combinazione familiarità e stima rappresenta la statura che misura la grandezza attuaale della marca rispetto a quanto costruito in passato. Marche con Stima> a Familiarità sono di solito le più nuove. Le marche con Familiarità> a Stima sono generalmente percepite di bassa qualità.

Negli ultimi 14 anni, le rilevazioni BAV hanno dimostrato che le dimensioni Diversità, Rilevanza, Stima e Familiarità sono coerentemente collegate alla capacità di ciascun brand di produrre ricchezza e profitti.

XII. La personalità della marca e il consumatore12.1. La centralità consumatore

I modelli più recentemente accreditati indicano che il processo psicologico profondo delle scelte del consumatore sta nel tentativo di ridurre – attraverso il significato dell’acquisto e le associazioni interiorizzate sull’oggetto o brand acquistato – la distanza tra il proprio sé attuale e il proprio sé aspitazionale.

Questo processo fondamentale ha una serie di corollari:- Affinché il brand sia desiderabile il consumatore dovrebbe percepire una somiglianza tra la

personalità propria e quella della marca- È necessario inoltre che si stabilisca il vissuto di una relazione affettiva, di empatia e di

conferma. Questo spiega il grande ritorno di umanizzazioni dei prodotti (Michelin con il Bibendum).

- La marca è altamente rilevante sul piano emotivo: il consumatore sperimenta un rapporto affettivo con il prodotto/brand a tutti i suoi derivati (logo, icone, packaging ecc.)

Il brand è rilevante per l’autostima e la fiducia del sé. L’importanza della Corporate cresce perché, all’approfondirsi del legame col prodotto, il consumatore esige un’ulteriore rassicurazione, un impegno “garantito” e serio.

12.2. Brand personality

Per rimanere in cita la marca deve evolvesi rimanendo uguale a se stessa. Ciò che rende davvero unica la marca è la sua capacità di tradursi in persona.

È stato scritto che se Nutella fosse una persona sarebbe una splendida quarantenne sempre seducente e seduttiva, incredibilmente desiderabile, mai fuori moda.Coca-cola ha chiarito a tutto il mondo che per vincere e conquistare il cuore del consumatore bisogna avere una personalità. È stata probabilmente la prima.

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Pepsi si è intestardita a voler dimostrare che non era vero e che era tutta una questione di gusto facendo il blind test. Pepsi è più buona? Può darsi, ma gli americani amavano Coke.

I grandi media, le grandi agenzie di pubblicità non potranno più dominare nel nuovo sistema della comunicazione di marca. Siamo dunque di fronte a uno scenario mai visto prima.

La personalità della marca appare come la naturale evoluzione di un concetto classico del brand management: il posizionamento. Posizionare una marca in un mercato significa stabilirne le le differenze rispetto ai competitor, i confini territoriali, le performance distintive. A differenza del posizionamento destinato a evolvere nel tempo, una personalità di marca piena, strategica e ben costruita rimane perché possiede coerenza nel mutamento.

Ecco alcuni vantaggi a lungo termine di una consistente brand personality.

- stabilità- coerenza: la marca evolve rimanendo fedele a se stessa- credibilità- leadership: ruolo guida- top of mind status- fiducia-unicità- intimità- appeal: attraente

Oggi la rotta è cambiata anche per Apple: l’identità è rimasta forte, ma si è umanizzata. “Apple fit customers’ expectations”.

12.3. Il caso di Apple e IBM

Sono oramai spot di culto, quelli in cui Apple racconta la propria identità mettendo in scena la diffrenza tra Mac e OC, rispettivamente un ragazzo cool ed easy a un signore anziano col riporto.

Apple dal 2006 ha impostato la sua battaglia commerciale con IBM costruendo i messaggi pubblicitari attorni alla metafora della persona. Gli spot raccontano i dialoghi tra 2 uomini: il signor Apple e il signor IBM. L’uno giovane e l’altro vecchio. Uno che soffre di obesità e è in tenuta da ospedale quando si scaricano gli aggiornamenti.

12.4. La metafora della persona

I grandi player dei mercati globali assomigliano sempre più a persone. Red Bull è individualista, professionale, creativo, autoironico, innovativo e persino mistico- Hello Kitty è tenera e infantile. Nike è vincente ecc.

Provare a immaginare la marca sotto spoglie di un essere umano è certamente un’utile simulazione in pratica dagli anni 70.

È evidente che la marca-persona è destinata ad assomigliare in maniera significativa al proprio utilizzatore: se il consumatore di Nike è giovane, dinamico, sportivo la personalità

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del brand corrispondente incarnerà difficilmente tratti di tradizionalismo, maturità, lentezza ecc.

12.5. Le dimensioni della brand-persona

Il modello più strutturato e forse più classico di brand personalità è quello di Aaker. La marca come luogo in cui si declinano e vengono rappresentate cinque importanti dimensioni di un sé ideale:

- sincerity- excitement- competence- sophistication- ruggedness

Si tratta di uno schema classico per certi versi sin troppo simbolico, pertanto vincolante, ovvero stretto,

Certo è che, al pari di ognuno di noi, le marche uniscono un versante visibile, estetico che appartiene all’ordine dell’immagine a un lato intangibile, astratto che appartiene all’ordine dell’identità.

La marca possiede:- un volto: Logo, slogan, packaging- l’età: giovani e vecchie marche- il ruolo di genere: maschio o femmina (Marlboro, Chanel)- il carattere- la cultura: condensato di esperienze e di saperi, di tecnologie e di competenze- la professione: missione, incarico da svolgere- la biografia: la storia della marca.

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XIII. Il territorio della marca13.1. Estensioni di marca

L’estensione di marca è una pratica crescente de brand management contemporaneo. È anche una delle operazioni più discusse e controverse.

Estendere una marca significa allargare il suo raggio d’azione a nuovi prodotti, più meno affini e coerenti al core business.

Es.Barilla- pasta e sughi

Utilizza il nome di una delle sue marche già esistenti, piuttosto che un nuovo brand name e fa un’economia di scala. Questa pratica esplode negli anni 80. Le prime a muoversi in questa direzione sono le griffe d’haute couture che dalla moda e i beni di lusso hanno raggiunto il settore degli accessori, dell’orologeria, dei profumi e della cosmetica.

Sviluppare e lanciare una nuova marca appare sempre più rischioso e difficile.

13.1.1. Estensione e streching

Line extension, brand extension, brand stretching sono le tre modalità che qui di seguito analizzeremo.

1. Line extension: la marca propone nuove varianti dello stesso prodottoEcco alcune tipologie di line extension:

- lo stesso prodotto un nuovo gusto/aroma/ingrediente (Grand Soleil)- lo stesso prodotto, un diverso posizionamento e design (Mercedes classe A, C, E ecc.)- lo stesso prodotto, un nuovo formato (Dash e Dash tablets)

2. Brand extension: la marca va verso nuovi comparti merceologici, sebbene contibui e coerenti alla produzione originaria e al core business.

- un nuovo prodotto, lo stesso beneficio distintivo (mars da bere, ringo biscotto gelato)- un nuovo prodotto complementare o accessorio (mentadent dentifricio e spazzolino)- un nuovo prodotto, stessa esperienza imprenditoriale (Parmalat si è estsa ai succhi

freschi sfruttando l’esperienza nella pastorizzazione e nel tetrapack)- un nuovo prodotto, stesso designer o stilista, stessa celebrity

3. Brand streching: la marca s’allontana dal proprio territorio e dal core business. È un’opera rischiosa e pochi sono i casi si successo (Virgin).

13.1.2. Line extension

Quelch e Kenny ritengono che le imprese abbiano perseguito la pratica delle line extension per tre ragioni fondamentali:

- Sono un metodo low cost e low risk per rispondere ai bisogni di vari segmenti di consumatori

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- Possono soddisfare le differenti richieste del consumatore attraverso un’ampia varietà di beni sotto una singola marca

- Sono un espediente competitivo a breve termine per incrementare il controllo della marca sugli spazi limitati degli scaffali.

La line extension è un tappa necessaria nell’evoluzione della marca nel tempo. È evidente che l’estensione di linea rinforza la marca allargandone la consumer base, espandendone il mercato.

Tuttavia, la logica della line extension non è definitivamente immune da rischi. Un’eccessiva proliferazione di prodotti con la stessa etichetta può comportare:

- aumenti incontrollabili dei costi- indebolimento dell’immagine di marca- relazioni perturbate tra distributori e retailer

Potremmo concludere, che non esistono strategie perfette. La line extension dovrebbe essere contenuta, limitata, focalizzata e ben gestita.

13.2. Le alleanze di marca

Il contesto socioculturale e di mercato in cui oggi operano le imprese è caratterizzato da elevata complessità ambientale. Turbolenza e imprevedibilità sono le parole chiave.

A livello teorica, il primo a proporre il concetto di alleanze di marketing è stato Adler, che ha parlato di symbiotic marketing quale alleanza di risorse o programmi tra due organizzazioni indipendenti per aumentare il potenziale di mercato di ciascuno. Tale studio apre la strasa a quello che in anni successivi è stato definito il co-marketing, all’interno del quale le alleanze di marca possono essere non sono collocate, ma considerate la massima espressione.

13.2.1. Co-branding

Le strategie di co-branding fanno parte di quegli “accordi tra imprese in cui i partner convengono l’utilizzo, congiunto o disgiunto, delle rispettive marche, in vista del perseguimento di obiettivi comuni o autonomi, ma tra loro compatibili”.

Si tratta di una strategia per:- allargare il raggio d’azione del brand- incrementare la reputazione del brand- entrare in nuovi mercati- comprendere e presidiare nuove frontiere tecnologiche- ridurre i costi attraverso economie di scala- intervenire sulla propria immagine e sulla percezione del brand da parte del consumatore- rafforzare il posizionamento del brand e riposizionarlo- intercettare nuovi pubblici o essere ancora più convincenti con la propria consumer base- generare ulteriori ricavi in termini economici

Per Aaker un’alleanza di marca efficace dovrebbe offrire ai consumatori una proposta convincente, in grado di trasformarsi in un vantaggio competitivo.

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13.2.2. Tipologie di co-branding

In passato, le operazioni di co-branding riguardavano relazioni tra imprese di tipo verticale (tra produttore e intermediari della distribuzione, franchising o cessione di vendita) e di tipo orizzontale (imprese operanti nello stesso settore: licensing, marchi collettivi).

Oggi si assiste all’aumento di accordi di tipo laterale in cui la relazione si instaura tra imprese che operano in settori merceologici diversi tra loro.

Queste diverse relazioni cooperative assumono varie forme e possono suddividersi in tre grandi tipologie:

1. Merchandising dei marchi:Il marchio viene ceduto in licenza ad aziende che operano in settori diversi. Es. accordi riguardanti l’uso in licenza di marchi relativi a personaggi di fumetti, dei cartoni animati o delle opere letterarie. (Hello Kitty).

2. La comunicazione coopertiva:Le imprese mettono insieme i rispettivi marchi nell’ambito di iniziative pubblicitarie, o in generale in attività di comunicazione congiunte. (Mc Donald’s e Disney con l’happy Meal, Pringles e Blockbuster)

3. La co-denominazione:Associazione tra una marca “ospitante” e una marca “ospitat”. Tale relazione collaborativa implica:- Co-definizione di benefit funzionali e/o simbolici da parte delle marche coinvolte- Co-firma del prodotto da parte delle marche coinvolte

Il co-branding può essere di tipo funzionale o simbolico:

1. Co-branding funzionale:Indicazione di due o più marche coinvolte nella realizzazione del medesimo prodotto, in modo da rendere esplicita la collaborazione tra i brand. È il caso di Intel che fornisce microprocessori ai produttori di computer concedendo di apporre il marchio Intel-inside.

2. Co-branding simbolico: associare alla marca del produttore “ospitante” una marca portatrice di attributi simbolici, sociali, psicologici o esperienziali ch siano affini o funzionaku alla brabd identuty e positivi per la brand image di entrambi i soggetti. (Coca-Cola e Roberto Cavalli, Twingo e Kenzo)

13.2.3. Rischi e pericoli del co-branding

Le alleanze tra marche presentano dei rischi significativi specie se coinvolgono brand forti e di elevata notorietà.

Secondo Aaker uno dei rischi principali è legato alle strategie di lungo termine. In effetti, se uno dei partner nel tempo dovesse indebolirsi, perdere smalto o subire un danno di

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immagine ecc. l’altro otterrebbe i benefici attesi e nella peggiore delle ipotesi, ne uscirebbe danneggiato.

Keller, Busaca e Ostillio individuano i principali svantaggi del co-branding:- Perdita del controllo- Rischio diluzione del valore di marca- Effetti di feedback negativi- Perdita di concentrazione e chiarezza- Distrazione organizzativa

Aaker fornisce alcune regole di buona condotta per le marche coinvolte in un co-branding di successo:

1. Deve esserci una solida base in termini di apporto di valore reciproco, che deve garantire continuità

2. L’alleanza deve assumere una valenza strategica per entrambe le parti3. Deve esserci un valido team integrato, cioè una squadra mista in grado di operare in maniera

sinergica.

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14. La marca e il tempo14.1. Ciclo di vita della marca

IL concetto di ciclo di vita ha a lungo predominato negli approcci teorici al consumo a all’impresa. Si pensava che la marca fosse soggetta a un destino inevitabile, come quello degli esseri umani: nascita, maturità, declino e scomparsa.

In realtà numerose big-brand sono riuscite a mantenere inalterate la loro leadership. American Express, Bayer, Budweiser, Coca-Cola: sono marche nate tra la seconda metà dell’800 e i primi del 900. Sono state capaci di cambiare rimanendo fedeli a se stesse.

Se andiamo a vedere le strategie adottate dalle marche ultracentenarie emerge una significativa abilità di gestire il mutamento, declinata in tre fondamentali dimensioni:

- Capacità di leggere alcuni cambiamenti allo stato nascente in atto nella società, nel mercato e nello stesso consumatore

- Capacità di mantenere constante sintonia con questi tre principali soggetti (società, mercato e consumatore)

- Capacità di mutare incessantemente senza perdere la propria fisionomia

14.2. Consistency e cambiamento

Conistency significa coerenza, compattezza, armonia. La Consistency della marca è la sua coerenza nel tempo. La continuità dei segni emessi, unita alla loto incessante attualizzazione, consente al brand di durare a lungo e occupare uno spazio distintivo nella mente degli individui.

Tanti autori hanno descritto questo genere di marche , come quelle che vivono un percorso speciale, fatto da tre grandi periodi:

- Eroismo (ingresso trionfale nel mercato)- Saggezza (la conquista della fiducia del pubblico)- Mito (la coscienza dei propri valori, il raggiungimento della consistency)

Alcune caratteristiche della marca generano consistency più di altre:- Attualità: costante sintonia con valori e tendenze in atto nella società- Rilevanza: proposta di vantaggi e benefici sempre significativi e attrattivi per il target- Serialità: coerenza nel mutamento, senza tradire il DNA e l’identità storica della marca

Assecondare i cambiamenti del consumatore, del mercato e della società richiede un notevole sforzo predittivo. Tale sforzo si esprime a livello tecnologico o di prodotto, con l’orientamento alla ricerca e la tensione all’innovazione. A livello finanziario, attraverso analisi del valore e proiezioni di scenari microeconomici. A livello socioculturale, indagando il cambiamento e il trend. A livello comunicativo, attraverso lo studio dei nuovi linguaggi e dei nuovi mezzi.

14.3. I fattori critici dell’invecchiamento

Diversi autori si sono occupati del rapporto tra marca e tempo. Nella marca esistono delle dimensioni sensibili all’effetto del tempo. Si tratta di aspetti strutturali che tendono ad

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arrugginire e che il management dovrebbe conoscere e monitorare, al fine di prevenire l’obsolescenza o reagirvi prontamente.

Le principali aree critiche sono rappresentate da:

- ProdottoTanto più il prodotto sarà sofisticato, cioè evoluto rispetto al prodotto base, quanto più esso sarà a rischio d’invecchiamento. Un alto contenuto di tecnologia e innovazione renderà il bene obsoleto se la ricerca e sviluppo non metteranno a punto nuove varianti, nuove soluzioni per il consumatore in tempo reale.

- MercatoL’invecchiamento tocca in particolare i beni di largo consumo la logica si fonda su un marketing della domanda. Meno soggetti sono i beni di lusso che spesso corrispondono a un marketing dell’fferta, I beni di largo consumo ad acquisto ricorrente come alimentari, pulizia ecc. sono quelli che avvertono maggiormente la pressione del tempo.

- TargetPiù il target è ristretto, più è omogeneo. In questo caso, se la marca invecchia, l’azione negativa toccherà tutto il target. In caso di un target largo, invece i diversi segmenti reagiranno in maniera differente all’invecchiamento.

- Core businessPiù il core business è legato all’innovazione più i rischi di invecchiamento sono elevati. La marca in questo caso è obbligata ad aggiornarsi costantemente, pena l’obsolescenza.

- Market shareLa posizione di mercato. Una marca leader dovrà aggiornare e rinnovare sistematicamente la propria offerta al fine di evitare gli effeti dell’invecchiamento. Aziende come Nike, Apple, l’Oréal non possono permettersi di non rinnovarsi.

- Età cronologicaPiù la marca è anziana più il processo d’invecchiamento di sconterà con la sua identità. Spesso la storia di un brand può diventare un ricordo indelebile nella mente dei consumatori e rendere particolarmente impegnativa la strategia anti-age. In una marca giovane invece l’età cronologica può costituire un vantaggio utile a preparare serenamente il piano di reazione agli attacchi nel tempo.

- TecnologiaPiù l’attività dell’impresa è legata alla tecnologia, più la marca avvertirà la pressione del tempo. In certi settori la giovinezza della marca è subordinata all’evoluzione costante della tecnologia. (informatica, elettronica, biotecnologie)

- CompetitorPiù la marca è costretta ad affrontare la concorrenza più sarà soggetta all’invecchiamento.

- ComunicazioneLa quantità della comunicazione, così come la sua qualità, determinano il grado di reattività necessaria per affrontare il passare degli anni. Quasi paradossalmente il rischio è maggiore all’aumentare dell’esposizione. È minore per quelle marche ove la comunicazione sia più discreta. Come sempre, non è solo un fatto di quantità. La natura della comunicazione incide

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sul ciclo di vita della marca. Il brand che utilizza cosidic comunicativi legati alle nuove tecnologie, ai nuovi linguaggio e media sarà maggiormente soggetta all’invecchiamento rispetto a quello che utilizza codici tradizionali.

14.4. Valutare l’invecchiamento

Le marche invecchiano per diversi e numerosi motivi. Alcuni oggettivi legati alle caratteristiche tangibili del prodotto o del servizio, alla quote di mercato, agli investimenti in ricerca e sviluppo ecc. Altri soggettivi legati alla percezione del consumatore, il vissuto del prodotto, la sintonia della marca con le trasformazioni sociali.

Secondo Contour e Lehu, una marca che fondi la propria relazione con i consumatori sulla sola base cognitiva della promessa, rischia di essere in preda a una spirale di rilanci e sorpassi continui. Se invece sviluppa un legame emozionale abbastanza potente con il consumatore, avrà un’arma invisibile capace di rafforzarne l’identità.

14.4.1. Valutare le dimensioni oggettive dell’invecchiamento

I segni del tempo sono misurabili. Le dimensioni oggettive che consentono la valutazione dell’invecchiamento di una marca hanno a che fare con gli aspetti tangibili del prodotto e del mercato. Tali dimensioni riguardano:

- Tecnologia e prodottoUn brand invecchia quando riceve scarsi investimenti in ricerca e sviluppo oppure quando la sua tecnologia è sorpassata.

- Caratteristiche di prodottoUn brand invecchia quando offre una qualità dei prodotti inferiore ai concorrenti, quando l’innovazione del prodotto è rallentata, quando il design è sorpassato.

- Posizione rispetto allo scenario concorrenzialeDiminuzione del valore economico-finanziario della marca, diminuzione delle quote di mercato, sorpasso dei follower. Arrivo di nuovi competitor possono determinare l’obsolescenza del brand.

- PubblicoUn sensibile calo della fedeltà del cliente, la diminuzione degli acquisti, l’aumento dell’età media dei consumatori sono fattori critici di invecchiamento per la marca.

14.4.2. Valutare le dimensioni soggettive dell’invecchiamento

L’invecchiamento è anche un fatto di percezione: sono gli altri che ci attribuiscono un’età. Alcune marche possono essere percepite come perennemente giovani (Coca-Cola). Altre, per quanto giovani, possiedono nel vissuto del consumatore, un’esperienza e una solidità che le fanno sembrare più mature di quanto effettivamente non siano.

Come può un’impresa capire come viene percepito il suo brand da parte del consumatore? Possiamo sintetizzare la valutazione con i parametri seguenti:

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- Età percepita dalla marcaLe cause della percezione di tale invecchiamento sono molteplici: diminuzione della copertura mediatica, associazioni inappropriate e penalizzanti rispetto al nome della marca, arrivo di numerosi giovani concorrenti ecc.

- Percezione del prodottoContinui cambi si strategia, posizionamento alterato o senza effetti, sovrabbondanza di prodotti commercializzati in licenza, disaffezione da parte degli opinion leader sono solo alcune delle situazioni in cui una percezione negativa del prodotto genera un’obsolescenza della marca.

- Percezione della comunicazioneContinui cambi dell’agenzia pubblicitaria, calo degli investimenti, tono di voce considerato superato, packaging obsoleto ecc. sono alcuni dei casi di comunicazione incoerente che indeboliscono la Consistency della marca e la rende, agli occhi del pubblico, invecchiata.

14.5. Il ringiovanimento e lo Zeitgeist della marca

È possibile in molti casi ringiovanire una marca agendo al momento giusto sulle dimensioni più sensibili al passare del tempo.

Occorre innanzitutto constatare i degni dell’invecchiamento. Un approccio strategico dovrà garantire un’attenta vigilanza e una pronta capacità di reazione al minimo segnale. Lo sviluppo di un piano preventivo contro l’invecchiamento è meno costoso dell’identificazione metodica della cause che l’hanno generato e dell’intervento tattico su uno o più fattori di ringiovanimento.

Si tratta di affrontare un problema di immagine non di notorietà. Se la notorietà può essere associata alla rapidità, l’immagine necessita di tempo, di permanenza, affinché si configuri in maniera chiara e duratura nella mente del consumatore.

Le marche che cavalcano il successo con pienezza di sgnificati e consistency cono quelle che abbracciano lo Zeitgeist, cioè lo spirito prevalente di un’epoca e di una società.

Zeitgeist: il clima generale intellettuale, morale e culturale di un’era. Lo zeitgeist per la marca è “qui e ora” e significa:- La consistency- L’attualità culturale- Lo spirito che caratterizza l’epoca in corso- La sintonia- La vicinanza al sentire comune a all’ethos prevalente- Lo sguardo alle tendenze emergenti- Lo sguardo ai segnali del cambiamento- La lettura, interpretazione e adozione di linguaggi e i codici del target di riferimento- L’aggiornamento incessante dei significati periferici; l’intensità della relazione con il

consumatore

Ecco alcune marche che oggi incarnano lo Zeitgeist più di alte: Apple iPod, Zara, Ryanair, eBay.

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XV. Le emozioni15.1. La marca e il linguaggio delle emozioni

Il linguaggio delle emozioni appartiene alla marca.

Il vecchio mantra del marketing suggeriva alle imprese di ottenere vantaggio competitivo attraverso un beneficio razionale e di promuoverlo: Volvo è l’auto più sicura, “Esselunga prezzi corti” ecc. Ma nella complessità dei mercati contemporanei, a fronte di un consumatore sempre più esigente, selettivo ed esigente, un simile approccio appare riduttivo. Soprattutto perché qualsiasi vantaggio rischia di essere imitato dai concorrenti in tempi brevi.

Per questo oggi le imprese cercano di sviluppare brand identity e messaggi che coinvolgano il cuore prima ancora che la mente.

Le emozioni sono connaturate alla nostra esperienza. Esistono delle emozioni fondamentali, essenziali - gioia, sorpresa, rabbia, disgusto e interesse - dalle quali scienziati ritengono derivino tutte le altre. Le emozioni sono degli straordinari canali di comunicazione. Ci informano in maniera elementare e immediata, di quanto sta accadendo dentro e fuori di noi.

Il rilievo della componente emotiva negli atti di acquisto non rappresenta certo una novità. Ma da qua a sottolineare, come adesso accade, l’assoluta centralità nella costruzione e nell’identità della marca, la differenza è davvero significativa. Negli ultimi anni si è infatti registrato un incremento del consumo di beni e servizi di tipo edonistico, in cui le componenti multisensoriali, fantastiche e emotive dell’esperienza individuale svolgono una funzione centrale e decisiva.

La pubblicità descrive le modalità di consumo del prodotto attraverso immagini che parlano di momenti di piacere intenso e coinvolgimenti ludici.

Es.Le auto sono luoghi da vivere intensamente.Persino per gli sms si utilizzano gli emoticons.

15.2. Le basi neurologiche del rapporto tra consumatore e marca

Soltanto a partire dai primi anni 2000 si assiste a un crescente interesse verso il neuro marketing, inteso come l’applicazione delle tecniche neuro-scientifiche allo studio del comportamento umano in relazione al mercato. Numerose ricerche hanno indicato che la marca eserciterebbe una certa azione sui processi di scelta individuali e nei compiti di valutazione ed espressione delle proprie preferenze provocando una reazione neurale di tipo affettivo, emozionale e mnemonico.

Uno degli studio più noti in questo senso è quello di McLure, finalizzato a indagare le motivazioni alla base della scelta tra Coca-Cola e Pepsi Cola.

Nel blind test, dove prevale la risposta sensoriale al gusti, si osserva l’attivazione della corteccia prefrontale ventromediale che è deputata alla gestione delle preferenze.

Nel test con marche visibili invece, le informazioni sensoriali influivano in misura modesta nella determinazione del comportamento. La vista della marca condizionava,

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infatti, la decisione, stimolando altre aree celebrali, quelle legate alla memoria e all’emotività.

I consumatori preferivano i bicchieri con le marche nonostante nei bicchieri anonimi fosse presente la stessa bevanda.

Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che esistono particolari stimoli a livello celebrale quanto il soggetto è un consumatore fedele in presenza della sua marca preferita.

15.3. Emotional equity

Molta della letteratura più recente che ha affrontato il tema del brand e della sua comunicazione, s’è dedicata al tema delle emozioni. Si è parlato spesso di Emotional Branding e numerosi autori hanno introdotto il concetto di Emotional Equity: la capacità della marca di emozionare i consumatori.

Il potere del brand nasce dalla sua capacità di generare associazioni simboliche e affettive che si trasformano in sentimenti profondi. Sebbene esistano delle motivazioni razionali nella scelta di una marca, quasi sempre queste verranno tradotte in preferenze emozionali.

In linea di massima, le emozioni positive prodotte dalla marca dipendono da stimoli di varia natura: sensoriale, relazionale o simbolica.

Stimoli di natura sensoriale:- I colori, la grafica, le immagini piacevoli- Gli odori, i profumi, le sensazioni olfattive- I suoni- Il design- I sapori e il gusto

Stimoli di natura relazionale:- Il linguaggio della marca (modo di comunicare, di fare pubblicità)- La soddisfazione del consumatore- L’interattività della marca attraverso i new media- La prossimità e la vicinanza fisica della marca (presenza del punto vendita, nelle case e nelle

dispense della gente)

Stimoli di natura simbolica- La personalità della marca- La capacità della marca di ispirare- La capacità immaginifica, della marca (costruzione di mondi possibili, regressione

all’infanzia ecc.)- La continuità della marca nelle esistenze individuali- L’innovazione come gratificazione e come risposta ai bisogni e alle aspettative

15.4. Emotional branding

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Sviluppato nel 2001 dal Desgrippes Gobé group e teorizzato da Marc Gobé, questo approccio si fonda su un assioma fondamentale: è il consumatore, e non il prodotto, a essere in prima linea nelle strategie di marca.

L’Emotional branding è finalizzato ad esplorare in maniera strategica tutte le modalità attraverso cui le marche sono in grado di connettersi con le persone.

Gobé indica alcune linee di condotta capaci di trasformare un semplice brand in un brand emozionale. Ecco i dieci comandamenti dell’Emotional branding:

1. Dal consumatore all’individuoNella società contemporanea il termine consumatore è diventato anacronistico. Il destinatario è prima di tutto un individuo che oltre ad acquistare vive e che non ha solo dei bisogni ma anche dei desideri

2. Dal prodotto all’esperienzaIl canale dell’esperienza diventa una modalità di accesso ai desideri della gente.

3. Dall’onestà all’affidabilitàL’onestà è un’aspettativa dei consumatori e un dovere delle imprese, cioè un obbligo giuridico ed è oramai un prerequisito per le marche. La fiducia, invece, è un patto silenzioso, un’intima relazione tra individuo e brand: qualcosa da conquistare.

4. Dalla qualità alla preferenzaAnche la qualità è oramai un prerequisito. Cioè un’offerta necessaria per rimanere competitivi. Gobé introduce il concetto di preferenza, una reale connection tra consumatori e brand un’adesione incondizionata.

5. Dalla notorietà alla desiderabilitàEssere conosciuta ed essere desiderata.

6. Dall’identità alla personalitàNon è più sufficiente comunicare l’unicità e la desiderabilità. L’identità senza personalità risulta oggi fredda e sterile. L’identità esprime la differenza con i competitor. La personalità, invece, riguarda l’umanità della marca:il suo carattere e il suo carisma

7. Dalla funzionalità alla sensorialità

8. Dall’ubiquità alla presenzaL’ubiquità, che garantisce visibilità, non assicura quella connessione emozionale in grado di motivare il consumatore contemporaneo. È una dimensione quantitativa. La presenza, al contrario è qualitativa: è una dimensione sentita, cioè percepita in maniera emotiva e affettiva.

9. Dalla comunicazione al dialogoNon solo verso l’esterno ma anche feedback.

10. Dal servizio alla relazioneUn ristorante che oltre ad offrire un buon servizio aggiunge anche un benvenuto personalizzato al cliente, il quale viene salutato per nome, accolto affettuosamente è sicuramente un ristorante eccellente.

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15.5. La marca esperenziale

Hoolbrook e Hirschman collocano per la prima volta la nozione di esperienza nell’ambito delle teorie del consumo. L’obiettivo dell’approccio esperienziale è immergere l’individuo in un contesto capace di generare emozioni positive e piacere estetico.

L’Experimental marketing, approccio teorizzato del 1999 dal Schmitt, per la prima volta definisce l’esperienza di consumo attraverso:

- Aspetti sensoriali (Sense)Primo e più basso livello di esperienza. Esperienze sensoriali utilizzando il gusto, l’olfatto, il tatto, l’udito e la vista. L’obiettivo è di ottenere un impatto sensoriale sui consumatori per aggiungere valore all’identità della marca.

- Aspetti affettivi (Feel)Esperienze affettive e interiori del consumatore. L’obiettivo è quello di suscitare emozioni.

- Aspetti cognitivi (Think)Obiettivo di creare stimoli ed esperienze per la mente. Fa appello alle abilità di problem solving, voglia di scoprire, capire e apprendere sempre cose nuove del consumatore.

- Aspetti comportamentali (Act)Suggerire una o più azioni al consumatore, coinvolgendoli attraverso promesse di nuovi stili di vita e nuove esperienze di consumo in grado di arricchire e migliorare l’esistenza.

- Aspetti relazionali (Relate)Ingloba al suo interno tutti i moduli precedenti. Va oltre l’esperienza personale del consumatore perché lo inserisce in un contesto sociale più ampio. L’esperienza mette l’individuo in relazione con si sé ideale, altri individui e con altri gruppi.

15.6. Lovemark: la relazione d’amore con la marca

Il rapporto con la marca è spesso riducibile a una relazione d’amore. L’acquisto come dono rappresenta la capacità degli individui di usare beni come ponti comunicativi. Baudrillard afferma che lo scambio simbolico è una rituale di socializzazione che avviene attraverso dei segni.

Idem Roberts secondo cui l’ultima frontiera del marketing è il Lovemark: quella marca che riesce ad instuarare con il consumatore un rapporto quasi amoroso.

Se in passato si trattava di un sentimento spontaneo, oggi diventa una vera e propria strategia de brand management. Siamo passati da una attention economy a una attraction economy.

I tre ingredienti per costruire da zero una Lovemark sono: Mistero, Sensualità e Intimità. Essa colpisce dunque la sfera sensoriale attraverso un uso sapiente degli elementi del design, ma anche risvegliando i 5 sensi.

Es. Google, Tabasco, Burberry, Uhu, Lego.

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XVI. Brand e imprese globali16.1 La globalizzazione della marca

Il tema della globalizzazione si è polarizzato attorno a due pensieri unici e dominanti:- Pensiero economico e liberista: vede questo processo come libera produzione e circolazione delle merci, quasi un sinonimo di democratizzazione.- Pensiero No Global: una vera ideologia antiglobalizzazione fondata sul rifiuto della logica di mercato; il rifiuto della concentrazione economico-finanziaria nei paesi occidentali avanzati ecc.

L’affermarsi di nuovi sistemi di comunicazione sta trasformando il legame tra luogo fisico e ambiente sociale. Sta alterando la geografia della vita politica, culturale, relazionale. Si assiste allo sradicamento delle relazioni umane dai contest di interazione; al passaggio dalla comunità tradizionale ai social network centrati sull’individuo.

In questo scenario la marca da un lato risponde alle logiche economiche di internazionalizzazione, dall’altro asseconda quel processo di globalizzazione della cultura e dell’immaginario che è alimentato dai nuovi media.

16.2. Il caso di Hello Kitty

Hello Kitty è un brand di proprietà della Sanrio, colosso giapponese dell’industria dell’entertainement. Il successo globale di questa marca, ribalta il luogo comune secondo cui la globalizzazione della cultura è made in USA.

La gattina senza bocca con il suo soft power incarna i valori tipici della cultura giapponese e li esporta in tutto il mondo.

Carino, small, soft, infantile, without arms and mouth, non sexual, mute, insecure sono questi gli aggettivi che si associano a questo brand. Si tratta della cultura kawaii, una subcultura giovanile giapponese che è insieme un modo di pensare, di essere, di parlare, di scrivere e di atteggiarsi: è uno stile e un’estetica.

Per comprendere e radici del suo successo globale bisogna dunque guardare oltre il marketing tradizionale, oltre agli stereotipi sulla globalizzazione omologante e iniziare a pensare a come la cultura possa essere trasmessa attraverso valori, e non soltanto attraverso oggetti.

16.3. Le strategie del marketing globale

A partire dalla seconda metà degli anni 50 del secolo scorso, numerose imprese attive sul piano internazionale hanno cominciato ad assumere una morfologia di tipo policentrico. Hanno cioè, creato filiali o sussidiarie all’estero. Talo aziende sussidiarie erano in grado di far fronte alle esigenze di consumatori e mercati molto diversi e lontani tra loro. Sfruttando il know how della casa madre, analizzavano i bisogni del consumatore locale.

Dalla metà degli anni 60 l’evoluzione sociale e politica, gli sviluppi della comunicazione e una crescente circolazione delle informazioni hanno favorito un’omogeneizzazione dei mercati. Le

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imprese internazionali hanno creato dei coordinamenti su base regionale (regioni del mondo). Si fabbricavano prodotti ad hoc per ogni regione.Allo stesso tempo si è centralizzata l’attività di ricerca, di studio e analisi dei bisogni del consumatore.

A partire dagli anni 90 i grandi gruppo internazionali si sono orientati sempre più verso l’offerta di un prodotto omogeneo per un consumatore considerato omogeneo nei differenti mercati geografici. Cioè un prodotto globale. Hanno dunque sempre più centralizzato le funzioni aziendali.

Oggi l’impresa procede verso la razionalizzazione della sua posizione produttiva e commerciale nelle diverse zone del mondo, cui corrisponde una differenziazione strategica, comunicativa, economica e organizzativa. Il processo di internazionalizzazione della marca è stato definito un “meta-processo” in quanto è articolato in più fasi.

16.4. Standardizzazione e adattamento

L’obiettivo del marketing globale è quello di creare e mettere a punto marche e prodotti capaci di avere successo ovunque, e dunque in grado di rispondere alle esigenze dei consumatori nel mondo. Questo obiettivo dovrebbe tradursi in politiche di prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione.

Quante marche e quanti consumatori posso dirsi davvero globali?La questione è controversa oltre che retorica. Ciò che si dimentica, è che i consumi dipendono sempre dal contesto sociale di un paese e possiedono un significato culturale, antropologico e semiotico.

È vero che oggi la nostra personale mappa del mondo è fatta di un immaginario globale, nutrito dai media che rendono universali i mega-brand, le mode e gli stili ecc. Ogni ragazzo del mondo ha un paio di Nike, ha mangiato una volta un Big Mac ecc.

Ma è anche vero che le differenze locali, in fatto di valori culturali, sono all’origine di fondamentali divergenze nel comportamento del consumatore. Ad esempio i francesi consumano 4 volte più yogurt degli inglesi, i greci usano ketchup su pasta, uova e carne.

Diversi manuali di brand management sostengono che, affinché il marketing globale possa avere successo è necessario che si verifichino 3 condizioni:

- Che esista un consumatore globale- Che esista un linguaggio globale- Che esista un contesto competitivo globale (che il prodotto globale competa con

concorrenti globali in tutti i paesi del mondo)

16.5. Pensare globalmente, agire localmente

Globalizzare una marca significa, posizionarla in maniera efficace e coerente nei vari paesi, ma non necessariamente utilizzare ovunque lo stesso nome, lo stesso prodotto, lo stesso programma di marketing e di comunicazione. Occorre infatti tenere conto di alcune importanti differenze oggettive e soggettive che variano da individuo a individuo, da paese a paese. Vediamo quali:

- Differenze culturali, etiche, religiose- Differenze di atteggiamento generale verso la pubblicità

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- Differenze nella sensibilità alla marca in riferimento a specifici mercati- Differenze di sensibilità di prezzo- Differenze nella reattività alle promozioni- Diversa forza delle sponsorizzazioni- Fasi differenti del ciclo di vita della marca o del prodotto nei vari paesi- Differenze normative nei diversi paesi

16.6. Il caso del caffè

Sebbene consumato in quasi tutto il mondo, l caffè rappresenta il paradigma di un prodotto non facilmente globalizzabile.

Il caffè si può fare in maniera completamente diversa a seconda del paese. Gli italiani lo vogliono corto e concentrato. Il claim di Lavazza “più lo mandi giù e più ti tira su”, ben descrive ciò che gli italiano cercano. I tedeschi lo bevono lungo per rilassarsi.

Sono numerosi i marchi che hanno rinunciato a globalizzarsi, oppure sono dovuti ricorrere a strategie di adattamento culturale della marca e del prodotto.

Il caso si Nescafé dimostra come globalizzare una marca di caffè richieda specifici adattamenti culturali: del prodotto e della comunicazione. Nescafé è un brand attraverso il quale il concetto think globally, act locally ha trovato applicazione concreta.

Nescafé inventa la Red Cup, un nuovo modo di consumare il caffè per gli italiani. Noi beviamo il caffè spesso di mattina e soli per svegliarci un po’. Red Cup, invece, è stato posizionato come caffè lungo, da bere nella tazza rossa brandizzata, magari nel pomeriggio. Da sorseggiare in compagnia rilassandosi. Nestlé è riuscita a creare una nuova abitudine per i giovani italiani.

Es. Illy con tazzine di artisti. (vedi libro Martino).

16.7. Il caso dei detersivi compatti

Esistono diversi settori del consumo dove lo sviluppo di un prodotto globale presenta seri limiti dovuti all’atteggiamento e alle abitudini degli individui. Uno di questi è il mercato dei detersivi per lavatrice.

Negli anni 90, il settore Ricerca & Sviluppo di alcune multinazionali creò il detersivo monodose da inserire in lavatrice. Questa soluzione innovativa, però, non riscosse il medesimo successo in ogni angolo del globo. Anzi, in alcuni paesi risultò un flop, come in Italia.

Le resistenze culturali all’innovazione, unite a un vissuto del bucato molto tradizionalista e matriarcale, tipiche del nostro paese, hanno fatto sì che la donna italiana non abbia accettato l’imposizione del quantitativo predosato.

Ha avuto molto successo il giappone e nord europa.

16.8. La mcdonaldizzazione della società

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Ritzer, parla di mcdnalodizzazione, cioè di un processo che allarga i principi della ristorazione fast food a molti settori della società americana e del resto del mondo e alle principali istituzioni sociali (scuola, sport, politica, sanità, ecc.)

La mcdonaldizzazione con le sue regole immutabili e ordinate, la sua gerarchia inesorabile, il suo assetto codificato e indeformabile, rappresenterebbe un’estensione della teoria weberiana.

Come osserva Ritzer, oggi molti settori della società hanno dovuto cambiare o svilupparsi per adeguarsi alle modalità efficientistiche pretese da chi ha fatto l’abitudine alla corsia di sorpasso del ristorante fast food.

Secondo Weber l’occidente moderno è arrivato ad essere governato da:- Efficienza: Mc Donalad’s è efficiente. Si riesce a ordinare e consumare un pasto nel giro di

pochi minuti. La natura degli ingredienti permette rapidità e semplicità di cucina e confezionamento.

- Prevedibilità: Mc Donald’s, uniformità e standardizzazione.- Calcolabilità: Da Mc tutto è quantificato.Il numero delle calorie, la temperatura e cottura

ideale, il tempo di preparazione, il costo e le dimensioni di ogni singola voce del menu.- Controllo: la sostituzione della tecnologia umana con quella delle macchine garantisce una

maggiore possibilità di controllo.

16.9. La globalizzazione del nulla (Ritzer)

Nella globalizzazione del nulla, l’autore getta una luce nuova sul concetto di globalizzazione dividendolo in due parti:

- Glocalization: l’interazione globale-locale produce il glocale. Tuttavia il termine ignora i processi globali che tendono a sopraffare il locale. Per questo conia un altro termine: grobalization, che indica il processo per cui gli imperativi di crescita spingono organizzazione a espandersi globalmente e a estendersi sul locale.

- Globalization

La globalizzazione conterrebbe, un conflitto profondo tra questi due sottoprocessi, glocale e globale: entrambi porterebbero la morte del “puramente locale”.

Questa perdita de puramente locale è al centro del ragionamento critico sviluppato da Ritzer. Ciò che è concepito e controllato localmente avrebbe contenuto distintivo, mentre ciò che o è centralmente o globalmente no. È molto più facile globalizzare forme vuote cioè il nulla che forme piene di contenuto, cioè il qualcosa.

Ritzer utilizza il concetto di nulla come “forme sociali generalmente concepite e controllate centralmente che sono relativamente prive di contenuto sostanziale e distintivo”. Egli afferma che il protagonista assoluto della globalizzazione è il nulla, inteso come ogni cosa priva di elementi distintivi perché pensata e prodotta in modo centralizzato per essere imposta nel resto del mondo.

Ritzer analizza 4 tipi di nulla per osservare l’influenza delle grandi Corporation globali nell’imporre consumi e comportamenti:

1. Non-luoghi (ipermercati, centri commerciali, Casinò di Las Vegas…)2. Non-cose (vestiti Dolce&Gabbana, lingerie Victoria’s Secret, magliette Hard Rock Cafè)3. Non-persone (commessi dei fast food e dei centri commerciali, televenditori)

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4. Non-servizi (quelli forniti dal bancomat, grandi siti internet dedicati al consumo come Amazon.com, il telepass, la pompa di benzina self-service)

XVII. Nuovi linguaggi e nuovi media per la marca17.1. Il cambiamento di scenario

A partire dalla metà degli anni 90 si verifica un radicale cambiamento nei mezzi di comunicazione e nell’agire del consumatore.

Bassa tecnologia Alta TecnologiaMonomedia MultimediaGeneralista PluralistaMonolitico FrammentatoPassivo AttivoPoche Scelte Infinite OpzioniRidondanza Ingaggio

17.2. La marca e i contenuti generati dagli utenti (il consum-autore)

Sta cambiando qualcosa nel mondo della marca. La marca fino a un recente passato di era imposta un imperativo categorico: be interesting! Oggi è mutato in: be intertested! Ovvero sii interessata a ciò che dicono, pensano e fanno i tuoi consumatori.

Alucne marche chiedono ai propri consumatori di fargli da consulenti sottoponendogli la scelta della visual identity del nuovo prodotto. Il consumatore diventa dunque un consum-autore, in grado di re-inventare gli annunci, i messaggi, i segni della marca e i prodotti creati per lui.

Nuovi consumatori, nuove agenzie e new media sono i protagonisti di questo mutato scenario. Procter & Gamble ha deciso di utilizzare meno TV e pubblicità stampa e più web e iniziative nn convenzionali: operazione di street marketing attuata a Times Square per pubblicizzare la carta igienica Charmin con la sponsorizzazione di un bagno pubblico.

La marca è passata da:Parla di séAscolta l’altroSubitaPartecipataArroganzaCuriositàRegalare mondi possibiliFornire supportino evidenceStorytellerContent creatorAffabulatriceProblem solvingNarcisistaEmpaticaSuperstarUna di noiProporre gli intangibileLegittimare gli intangibile

17.3. Brand site

Il sito web può davvero incarnare l’essenza e le missioni della marca, la sua identità, il suo spirito e i suoi valori: è una sorta di nuova piattaforma comunicativa.

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È a partire dalla presenza nel mercato reale, quello off-line, che l’impresa può identificare quei valori e quegli attributi identitari che guidano il brand verso la propria strategia on-line. Solo se il feedback della presenza del brand sul sito integra la presenza off-line, consolidandola, allora l’intero meccanismo comunicativo si autoalimenta e funziona.

Si sono individuati 4 fattori critici di successo in grado di fare del sito di marca il luogo elettivo, nella Rete, in cui si rafforzi il rapporto tra brand e individui:

1. Personalizzazione del brand site attraverso servizi e contenuti ad hoc in grado di realizzare il flusso comunicativo “su misura”. Anche se molti criticano Internet perché lo ritengono impersonale, in realtà ha delle funzioni che permettono di personalizzare l’offerta e la comunicazione. Es. riconosce l’utente e lo saluta per nome, crea pacchetti e offerte su misura già apprezzati da clienti con lo stesso profilo ecc.

2. Specializzazione tematica del brand site quale luogo virtuale verticalmente sviluppato a partire da un argomento che possa godere di enorme portata informativa, costituire un punto di riferimento per professionisti, appassionati e curiosi ecc.L’internauta è attivo, svolge più attività allo stesso tempo su diversi siti e si espone intenzionalmente alla comunicazione. Nel web il consumatore, affrancato dalla possibilità di disconnettersi o di uscire dal sito, pare non avere nessun obbligo. La specializzazione tematica del sito può dunque offrire un supporto alla motivazione degli individui.

3. Iniziative d’intrattenimento, che per mezzo di giochi, applicazioni ludiche stimolino il coinvolgimento esperienziale e relazioni emotive con la marca.Es. Axe deodorante

4. Stimolazione di comodità on-line. La rete organizzare comunità virtuali di consumatori, acquirenti coinvolti o potenziali. Crea dinamiche di scambio e d’incontro capaci di sensibilizzare e fidelizzare il pubblico attorno alla marca, ai suoi valori, ai suoi significati.

17.5. Internet per le imprese

Internet offre occasioni del tutto inedite per gestire il business e la marca i modo efficiente. AAttraverso il web è infatti possibile:

- Comunicare la marca in un’area geografica più estesa- Svolgere ricerche più efficienti sul consumatore e sui mercati- Personalizzare offerte, servizi e messaggi per i singoli consumatori- Inviare annunci, comunicazioni, buoni, campioni omaggio ai consumatori che ne fanno

richiesta o altri- Migliorare la logistica e tutte le operazioni di condivisione delle informazioni e di

comunicazione interna ed esterna- Informare e preparare meglio i dipendenti e rivenditori- Creare una rete Intranet per facilitare la comunicazione tra dipendenti- Emettere ordini, effettuare transazioni e pagamenti con i fornitori

17.6. I media emergenti per la marca

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Le nuove opportunità generate dal sistema dei new media si muovono verso la costruzione di vere relazioni individuo-marca. Se ne avvantaggeranno le imprese che, per prime, riusciranno a capire il nuovo sistema e le marche che riusciranno a sfruttare le enormi possibilità offerte da quelli che oggi sono i media emergenti. Eccone alcuni:

- Eventi a carattere territoriale e locale: Nike organizza il corso di corsa, un programma di avvicinamento al running, nei capoluoghi italiani, sponsorizza inoltre tornei di basket negli USA. Coca-Cola presenta The Media Running Challenge, cinque chilometri a piedi non competitivi a scopo benefico.

- Promozioni: Nestlé lancia Fitness Dance Workout, programma di allenamento video legato alla’acquisto dei cereali.

- Grande distribuzione: concorso Pepsi per il film 007 con oltre 200 gadget e 1500 palet box nei super e ipermercati)

- Punto vendita monomarca: Apple Store e Nike Store- Temporary store: Durex a Milano- Hotel: yahoo sponsorizza la catena Sheraton von postazioni internet nei principali hotel.- Ristorazione- Palestre- Blog- Alleanze tra marche

Le marche sono destinate a comunicare diversamente attraverso i new media. A fronte del nuovo sistema, vinceranno quelle che lo faranno mediante un vero e proprio poligono i comunicazione.

Attraverso i nuovi media e i nuovi linguaggi la marca oggi dovrebbe:- Costruire vere relazioni con il consumatore- Saper innovare in ambiti nuovi- Ottenere il consenso del consumatore poter istaurare relazioni basate sulla reciprocità- Promuovere comunità di “like-minded individuls” (iPod party organizzati da Apple)- Parlare la consumatore attraverso più media- Avere rilevanza nella vita e nelle passioni de consumatore- Creare esperienze- Riuscire a risolvere i problemi del consumatore- Trovare partner con cui creare valore per il consumatore

17.7. Product placamento

Il product placement è unna forma di comunicazione commerciale in cui un prodotto, un servizio, un marchio, un packaging, un brand name, logo ecc. è intenzionalmente posizionato in un contesto narrativo come film per il cinema, telefilm, fiction, programma televisivo, video musicale, programma ecc.

Si tratta di un messaggio ibirido a metà tra quello pubblicitario e quello scenografico/creativo.

La prima pellicola della storia dei fratelli Lumière, in cui gli operai escono dall’omonima fabbrica, è stata indicata da molti come il primo esempio del product placement. Ma è soprattutto dalla seconda metà degli anni 20 e poi con l’introduzione del sonoro che negli Usa il grande schermo inizia a sfruttare questa possibilità in termini pubblicitari.

Es.

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Nel 1953, grazie al film “Quando la moglie è in vacanza”, le patatine sgranocchiate da Marylin Monroe escono dalla nicchia per diventare in breve tempo leader del mercato.Risale al 1973 la comparsa del brand Coca-Cola sulla maglietta di uno dei protagonisti di “Jesus Christ Superstar”.

Guardato con grande diffidenza, in certi casi additato come messaggio subliminale, il product palcement ha subito successivamente un iter legislativo complesso e controverso. Oggi è diventato un forma legale di comunicazione. Da qui in poi, il cinema si è evoluto e marchi, loghi e simboli del brand sono oggi ben evidenziati nelle inquadrature. Entrano nelle sceneggiature e nei dialoghi.

17.7.1 Tipologie di product placement

Il product placement può essere realizzat in varie forme e secondo diverse modalità:- Verbale: all’interno dei dialoghi- Visivo: come set decoration- Integrato: nella costruzione della sceneggiatura attorno alla marca che acquisisce in tal modo

un ruolo sostanziale nello sviluppo della storia (Il diavolo veste Prada, Herbie il maggiolino tutto matto…)

17.7.2. Vantaggi e rischi del product placementRispetto ad altri media, il product placement offre diversi vantaggi per un’azienda e il suo brand.

- I film, le fiction, i video musicali, i videogiochi entro cui si inserisce il product placamento consentono di raggiungere target specifici

- L’associazione del brand al contesto narrativo facilita una risonanza di significati tra marca e personaggi/storia/valori che rafforzano la brand image$

- L’associazione del brand a un personaggio famoso genera l’effetto testimonial, riverberando la notorietà del personaggio sulla marca

Le operazioni di product palcement non sono immuni da rischi. È possibile definire la ex-ante e ex-post la riuscita del posizionamento in termini qualitativi.

Alcune dimensioni suggestive per valutare e misurare le potenzialità di un’operazione di product placamento sono quelle relative a:

1. Il livello di esposizione: quante volte o quanti minuti la marca appare nel corso del film.2. Il livello di integrazione della marca nel plot narrativo: indica la capacità della marca di essere parte

della storia. Se tale livello è basso, cioè se la marca è poco più di scenografia e attrezzeria, si parla di placement commerciale. Se è alto, cioè se la marca partecipa alla costruzione dell’identità dei personaggi, si parla di placement culturale.

17.8. Il blog

Il blog o weblog è un sito web strutturalmente votata all’interattività. È nato come strumento di pubblicazione di contenuti informativi personali, una specie di diario on-line.

Sebbene dia una degli strumenti più maturi del web 2.0., è ancora poco diffuso nella strategia di marca d’impresa, dove invece potrebbe garantire una forte accelerazione alla comunicazione interna ed esterna.

Un blog aziendale a uso interno consente l’immediata rintracciabilità dell’informazione, il coordinamento in tempo reale dei dipendenti/blogger, la partecipazione diffusa del personale dell’azienda ecc.

Un blog di marca rivolto al pubblico non presenta differenze strutturali rispetto ai blog interni. Il blog permette di aprire un dialogo alla pari con i consumatori. L’azienda non fa più marketing tradizionale, ma apre una conversazione continua con chiunque apra la pagina e legga i contenuto pubblicati.

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Il blog si caratterizza dunque per una componente tecnologica e una sociale. L’azienda che vi ricorre per dialogare col pubblico deve seguire determinate linee di comportamento, convenzionali nella blogosfera: condivisione delle informazioni, sincerità, apertura, rispetto degli interlocutori ecc.

Ma la blogosfera è un ambiente che le imprese più sensibili all’attualità socioculturale non dovrebbero sottovalutare: molti consumatori spesso commentano la comunicazione di marca, i disservizi dei prodotti, gli spot pubblicitari e l’esperienza d’uso e il vissuto di consumo.

Ogni articolo è legato a un thread (il filo del discorso). È anche accompagnato da un blogroll, cioè una sezione che contiene link ad altri blog, attinenti a quei contenuti. I feed aggregatore citano il sito periodicamente.

17.8.1. Il caso KryptoniteIl caso Kryptonite, azienda produttrice di lucchetti, è un buon esempio dell’importanza che ricopre oggi la blogosfera per la comunicazione di marca.

Nel 1992 negli Usa una rivista di ciclismo descrive come i lucchetti in forma di U, tipo Kryptonite, possano essere facilmente scassinati con una penna Bic. Per lungo tempo questa notizia ebbe un impatto molto modesto sull’opinione pubblico. Kryptonite non ritenne opportuno reagire, nemmeno apportare modifiche al design.

Dodici anni dopo, un video pubblicato su un blog mostrava come aprire i lucchetti Kryptonite in 30 sec. La notizia si diffuse rapidamente attraverso la rete fino ad arrivare alla TV.

Questo portò l’azienda a una grande crisi, nonostante l’informazioni circolasse già da anni. Si sono subito premuniti e dopo dieci mesi di no comment, Kryptonite provvede alla sostituzione dei prodotti, senza annunci, senza alcuna comunicazione ufficiale. Non lo fecero perché non potevano dire che avrebbero sostituito tutti i lucchetti difettosi senza avere la certezza dell’esito finale.

Nonostante l’azienda avesse sostituito tutti i lucchetti difettosi, per molto tempo, digitando Kryptonite su Google, in cima alla lista comparivano gli articoli critici sulla vicenda.

17.9. Le tribù della marca: dal valore d’uso al valore di connessione

Una delle caratteristiche della marca contemporanea è proprio quella di riuscire ad aggregare più individui in comunità. Ovvero facilitare esperienze condivisibile dai consumatori.

La tribù di marca è un insieme di individui con caratteristiche socio-demografiche molto diverse, ma collegati da una stessa soggettività, avvicinati da attività elettive, caratterizzati da passioni condivise (iPod party).

È possibile che nel territorio socioculturale del clan o della neo-tribù s’iscrivano più marche, che condividono valori e significati, linguaggi e segni. La tribù diventa allora multi totemica. Alcune marche hanno afferrato il vantaggio di questo tipo di link. Nike con l’iPod collegato alle sue running shoe e a une comunità virtuale.

L’iter della marca, nella mente del consumatore segue una serie di step che vanno dalla presenza alla relazione, fino al bonding (attaccamento):

- Presenza della marca- Rilevanza della marca- Performance della marca- Vantaggio della marca- Attaccamento- Empatia- Commitment- Indetificazione- Comunicazione two-sway- Sense of community- Active engagement- Brand resonance- Brand relationship- Bonding

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17.10.1. Brand community Nutella

Dopo i siti-vetrina istituzionali inaugurati nel 2001 in Italia, Germania, Austria e Francia, nel 2002 Ferrero decide di ospitare gli appassionati in un sito dedicato. Si tratta del sito www.mynutella.it. È uno spazio in cui convergono decina di fan club. È un media indipendente e laterale all’azienda.

Grazie alla creazione di questa comunità, passione per Nutella ü divenuta un motivo di aggregazione e conoscenza, di connessione e incontro. È divenuta, cioè, linking value.

Ogni utente può gestire il proprio spazio personale con foto, messaggi, esperienze, hobby e sensazioni legate alla Nutella. C’è anche una newsletter mensile che contiene notizie relative ai fatti di cronaca in cui è stata coinvolta Nutella, ricette, informazioni sulle promozioni Ferreo ecc.

Nutella è l’esempio paradigmatica, tutto italiano ,a alla fine globale, di come una marca riesca ad aggregare per sintonia.

17.11. Il marketing virale

La pubblicità generalista sta vivendo da alcuni decenni una fase di profonda crisi.Accade così che le grandi aziende, anche le più globali, si vadano appropriando di uno strumento antico ed efficacissimo: il passaparola.

Kapferer parla del “marketing du bouche à oreille” e lo definisce il più vecchio media del mondo. Occorre però fare una distinzione tra il passaparola e il viral marketing.

Il passaparola è un processo di divulgazione delle informazioni da parte di uno o più individui verso una cerchia ristretta di persone. Nel viral marketing la diffusione avviene da uno a molti.

Il marketing virale è una strategia di comunicazione a basso costo che, se funziona, ha effetti positivi difficilmente raggiungibili con altri mezzi.

Hotmail.com è stato uno dei primi a offrire gratuitamente una servizio di posta elettronica gratuita. Il fatto che siano diventati leader del settore si deve alla strategia di mareketing ciralee che consiste nel far seguire ogni messaggio e-mail dell’utente da un messaggio, non invasivo, che dice: “ottieni la tua casella e-mail provata e gratis con www.hotmail.com.

17.11.1 Il caso Dove: evoluzione della bellezza o evoluzione dei media?

Il Grand Prix del Festival della Pubblicità a Cannes 2007 è stato assegnato a Evolution. Lo spot descrive, con ironia, l’evoluzione dell’idea di bellezza e la sua fatale riduzione a stereotipo.

Si tratta di una campagna promossa da The Dove Self Esteem Fund. Obiettivo: diffondere un concetto di Real Beauty, vera bellezza. Educare le donne a una sana autostima.

Un premio controverso, perché Evolution era stato inizialmente inserito nella categoria Fundraising. È stato successivamente dislocato dalla giuria in Corporate image.

L’aspetto interessante di questa vittoria è che Evolution nasce e vive come un filmato virale. Su youtube sono apparse le parodie di Evolution.

17.12. Il guerrilla marketing

Termine usato per la prima volta da Levinson. È una forma di comunicazione non convenzionale che utilizza creatività, immaginazione, ed energia in luogo di grandi investimenti economici.

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Si tratta di un attacco a sorpresa del consumatore, come in una guerrilla. Il guerilla marketing ribalta la tecnica di attirare l’attenzione del consumatore aumentando la quantità di diffusione di una pubblicità. Non si tratta di colpire un destinatario passivo, ma di incuriosire e coinvolgerlo. La sorpresa innesca passaparola, il passaparola si propaga in maniera virale producendo notorietà.

Il passaggio è quello dalla ridondanza all’ingaggio. Si tratta di rendere partecipe un attore sociale del proprio controllo.

17.12.1. Le regole per una guerrilla vincente

- La tipologia di prodotto: non tutti i prodotti e servizi sono adatti a una campagna di guerrilla marketing. Sono più adatti prodotti innovativi, quelli destinati a un target giovane.

- L’idea che si intende trasmettere. Deve essere originale, in grado di suscitare attenzione, curiosità e sorpresa.

- Il teaser. Occorre agganciare e intrigare il pubblico con un messaggio allusivo ed evocativo che colpisca senza essere diretto.

- L’affetto virale- Se il teaser funziona si innesca l’effetto virale.

- La gestione del successo. Quando la campagna raggiunge il culmine, il teaser va svelato. L’effetto virale si trasforma in un effetto community.

17.3. Suvertising, culture jamming, mega brand

Subvertising: sovvertire, dissacrare, parodiare, ribaltare. Oggi accade che l’individuo risponda al mondo della marca e ai suoi annunci per mezzo di racconti, storie e progetti comunicativi finalizzati alla ridicolizzazione o al contrasto editoriale a un brand commerciale o politico.

Siamo di fronte a un’anti-pubblicità. Il suo obiettivo è far riflettere, introdurre un dubbio, attraverso il sorriso.Alcune modalità e forme retoriche utilizzate sono quelle del detournement (annunci pubblicitari, pay-off, marchi e prodotti conosciuti,, vengono strappati dal loro contesto abituale e inseriti un una nuova relazione); fake (sostituzione dei contenuti dei cartelloni pubblicitari); camouflage (travestimento dell’out-fit formale); sniping (manipolazione dei contenuti con bombolette spray, pennarelli ecc.); site cloning (clonazione dei siti).

In particolare, tra i contenuti ricorrenti delle operazioni di subvertising troviamo:

- lo strapotere delle multinazionali- le sperimentazioni sugli animali- il nucleare- l’ambiente, il clima- la violazione dei diritti umani- l’oppressione e la tortura- gli stereotipi- gli Ogm- il consumismo

Es.Mc Donald’s: grande accusato in relazione al problema dell’obesità infantile. Pubblicità con bambini grassi.Shell, impresa petrolifera. Critica della struttura del messaggio con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinion e pubblica sui temi dell’inquinamento.