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Incontro di studio “Il contenzioso in materia immobiliare” Materiali giurisprudenziali per il gruppo di lavoro su “La vendita immobiliare anche in riferimento al contratto preliminare” – a cura di Alberto Giusti, consigliere della Corte di cassazione - Sulla distinzione tra contratto preliminare e definitivo - Se sia ammissibile il preliminare di preliminare - Sul contratto preliminare di vendita di immobile esistente soltanto sulla carta - I rapporti preliminare-definitivo - Il preliminare ad effetti anticipati: sulla qualificazione della relazione del promissario acquirente con la cosa promessa in vendita e già consegnatagli - Il preliminare di vendita di cosa altrui - Il preliminare di vendita di bene in comunione ordinaria - Preliminare e comunione legale - Il conflitto tra il privilegio ex art. 2775-bis cod. civ. ed il creditore ipotecario - Esecuzione in forma specifica e modificabilità, da parte del giudice, del rapporto nascente dal preliminare - Il presupposto dell’azione ex art. 2932 cod. civ.: l’offerta di eseguire la propria prestazione - Sulla distinzione tra contratto preliminare e definitivo - Sul requisito della possibilità dell’attuazione coattiva - Azione di esecuzione in forma specifica e termine per la stipulazione del definitivo - Sulla decorrenza di effetti della sentenza ex art. 2932 cod. civ. - Sulla regolarità urbanistica dell’immobile - Preliminare ed attestazione di certificazione energetica - Preliminare e mutatio libelli - Sentenza ex art. 2932 cod. civ. e accertamento dell’appartenenza del bene promesso in vendita

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Page 1: GIUSTI - Raccolta Giurisprudenziale

Incontro di studio “Il contenzioso in materia immobiliare”

Materiali giurisprudenziali per il gruppo di lavoro su “La vendita immobiliare anche in riferimento al contratto preliminare” – a cura di Alberto Giusti, consigliere della Corte di cassazione

- Sulla distinzione tra contratto preliminare e definitivo- Se sia ammissibile il preliminare di preliminare- Sul contratto preliminare di vendita di immobile esistente soltanto sulla carta- I rapporti preliminare-definitivo- Il preliminare ad effetti anticipati: sulla qualificazione della relazione del promissario acquirente con la cosa promessa in vendita e già consegnatagli- Il preliminare di vendita di cosa altrui- Il preliminare di vendita di bene in comunione ordinaria- Preliminare e comunione legale- Il conflitto tra il privilegio ex art. 2775-bis cod. civ. ed il creditore ipotecario- Esecuzione in forma specifica e modificabilità, da parte del giudice, del rapporto nascente dal preliminare - Il presupposto dell’azione ex art. 2932 cod. civ.: l’offerta di eseguire la propria prestazione- Sulla distinzione tra contratto preliminare e definitivo- Sul requisito della possibilità dell’attuazione coattiva- Azione di esecuzione in forma specifica e termine per la stipulazione del definitivo- Sulla decorrenza di effetti della sentenza ex art. 2932 cod. civ.- Sulla regolarità urbanistica dell’immobile- Preliminare ed attestazione di certificazione energetica- Preliminare e mutatio libelli- Sentenza ex art. 2932 cod. civ. e accertamento dell’appartenenza del bene promesso in vendita- Preliminare, inadempimento e risarcimento del danno- Domanda ex art. 2932 cod. civ. e contrapposta domanda di risoluzione- Domanda ex art. 2932 cod. civ. e subordinata domanda di risoluzione- La garanzia per i vizi nella vendita- L’aliud pro alio nella vendita immobiliare e la mancanza del certificato di abitabilità

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Sulla distinzione tra contratto preliminare e definitivo

Sez. 1, Sentenza n. 564 del 17/01/2001

Presidente: Annunziata M.  Estensore: Losavio G.  P.M. Martone A. (Conf.)

Bianchini ed altro (Petroni ed altro) contro Fall. Andromeda Costr.ni Srl (Cuccia)

(Rigetta, App. Roma, 16 febbraio 1998).

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Qualificazione del contratto come preliminare o definitivo - Valutazione rimessa al giudice di merito - Incensurabilità in Cassazione - Limiti.

Lo stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo o dar vita ad un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l'effetto traslativo ad una successiva manifestazione di consenso, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito; tale accertamento è incensurabile in Cassazione se è sorretto da una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori giuridici, e sia il risultato di un'interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 ss. cod. civ.. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva accertato che le parti avevano dato vita ad un contratto preliminare sul rilievo che le espressioni usate, univoche nel senso della non definitività della vendita, erano confermate dal concreto regolamento del rapporto, in particolare dalla natura del bene oggetto del contratto - un villino ancora in corso di costruzione - e dal differimento del trasferimento del possesso al momento della stipula notarile, essendo prevista la concessione della detenzione, a titolo precario, al termine dei lavori eseguiti secondo progetto; ed aveva escluso che l'integrale pagamento del prezzo prima del definitivo contraddicesse la natura di contratto preliminare in considerazione dell'interesse rispettivo dalle parti, consistente nel finanziamento del progetto edificatorio e nel beneficio di evitare la lievitazione dei prezzi).

Testo (Omissis) Con il terzo profilo di censura i ricorrenti genericamente prospettano l'inosservanza del criterio di ermeneutica contrattuale secondo cui la indagine sulla intenzione delle parti non è vincolata al "senso letterale delle parole" impiegate, ma poi totalmente prescindono dall'esame in concreto della diffusa e articolata discussione del tema contenuta nelle pagine da 15 a 19 della sentenza. dove la Corte di merito ha argomentato le molteplici ragioni per cui le espressioni lessicali di significato

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inequivoco ("la parte promittente venditrice promette di vendere alla parte promissaria acquirente che promette di acquistare per sè,...") trovavano conferma nel regolamento del rapporto e in particolare nella natura del bene oggetto del contratto, un edificio (un "villino" compreso in un vasto "complesso residenziale" con organizzazione di servizi comuni su aree di comune proprietà) in corso di costruzione, sicché all'atto della scrittura dalle parti definita "preliminare di compravendita" non sussistevano "tutti gli elementi essenziali per il trasferimento del bene al momento ancora non realizzato" e trovava giustificazione "rinviare il regolamento definitivo degli interessi in gioco al momento della edificazione definitiva".Nè a qualificare il contratto come definitivo poteva valere la clausola secondo cui il prezzo sarebbe stato integralmente pagato "anteriormente alla stipula del rogito" (entro l'anno 1985) e il trasferimento del possesso sarebbe avvenuto, ma a titolo "precario", prima del verificarsi delle condizioni cui era subordinato "l'atto definitivo", poiché, come ancora argomenta sul punto la sentenza impugnata, secondo le "usuali pattuizioni delle compravendite immobiliari con le ditte costruttrici", un simile regolamento registra la convergenza degli interessi delle parti, acquisendo il venditore le disponibilità finanziarie necessarie per portare a conclusione il progetto edificatorio e ponendosi l'acquirente al riparo dalla "lievitazione dei prezzi dell'immobile di futuro acquisto" (fenomeno che nella specie si era verificato in misura macroscopica, come era stato verificato attraverso la indagine tecnica che aveva posto a confronto i valori di mercato del 1984 e del 1988).Il convincimento dei giudici di appello è dunque sostenuto da analitica, compiuta motivazione che i ricorrenti non fanno oggetto di specifici rilievi-critici, rimproverando alla Corte di merito di avere trascurato "circostanze quali il pagamento dell'intero prezzo entro il 1985" (invece, come si è constatato, esplicitamente considerate) e di avere "interpretato letteralmente il contratto in esame": come se l'operazione ermeneutica dovesse totalmente prescindere dalle espressioni lessicali impiegate dalle parti (con il capovolgimento della regola posta dall'art. 1362, primo comma, c.c.) e non invece da esse muovere per pervenire alla necessaria verifica attraverso doverosi riscontri sugli altri elementi sintomatici della "comune intenzione delle parti". Riscontri che la Corte di merito ha scrupolosamente compiuto, trovando nella applicazione delle regole di interpretazione globale, funzionale e sistematica la sicura conferma del significato pregnante di espressioni testuali (come "contratto preliminare"; "la parte promittente venditrice promette di vendere alla parte promissaria acquirente che promette di acquistare").

Sez. 2, Sentenza n. 5132 del 19/04/2000 (Rv. 535880)

Presidente: Baldassarre V.  Estensore: Spagna Musso E.  P.M. Nardi D. (Conf.)

Golia (Asta) contro Di Bello (Palermo)

(Rigetta, App. Potenza, 20 dicembre 1996).

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058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Contratto preliminare e contratto definitivo (cosiddetto "compromesso") - Caratteri distintivi - Pattuizioni relative alla consegna del bene ed all'integrale pagamento del prezzo - Valore decisivo al fine della qualificazione del contratto come definitivo - Esclusione.

Al fine di attribuire ad una convenzione negoziale la natura giuridica di contratto di compravendita ovvero di semplice preliminare, è determinante l'identificazione del comune intento delle parti, diretto, nel primo caso, al trasferimento della proprietà della "res" verso la corresponsione di un certo prezzo conformemente alla causa negoziale sancita dall'art. 1470 cod. civ., e, nel secondo, all'insorgenza di un particolare rapporto obbligatorio che impegni le parti stesse ad un'ulteriore manifestazione di volontà alla quale sono rimessi il trasferimento del diritto dominicale sul bene e l'assunzione dell'obbligo di pagamento del prezzo. Nell'esaminare la stipulazione nel suo complesso onde accertare la comune volontà dei contraenti in un senso o nell'altro, il giudice di merito deve tener presente, peraltro, che la previsione della "traditio" del bene e/o del pagamento, anche totale, del prezzo convenuto non sono vicende assolutamente incompatibili con l'intento di stipulare un semplice preliminare di vendita, potendo le parti, con tali pattuizioni, manifestare null'altro che l'intento di anticipare le prestazioni del futuro contratto definitivo.

Testo (Omissis) Con il primo motivo, in relazione ai nn. 3 e 5 dell'art.360 c.p.c., il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 1362 c.c. nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte.La corte di merito sostiene il Golia - dopo aver enunciato la concreta esaustività, nell'operazione ermeneutica concernente il contenuto negoziale comunemente attribuito dalle parti alla stipulazione del 19 dicembre 1989, dell'impiego del criterio legale fornito dall'art. 1362 c.c., ha valorizzato il tenore letterale e non quello logico dell'atto negoziale.Non ha in proposito considerato il giudice dell'appello, pretermettendo così specifici rilievi dell'odierno ricorrente, che con la sottoscrizione del contratto le parti avevano adempiuto le rispettive obbligazioni e che, in particolare, l'effetto traslativo del diritto dominicale, la consegna del bene ed il pagamento del prezzo si erano "già perfezionati" così che gli stipulanti non avevano alcuna ragione di impegnarsi ad un'ulteriore manifestazione di volontà di diretta a porre in essere quanto si era già compiuto. Il motivo di doglianza va disatteso.L'accertamento del contenuto di un contratto si traduce in un indagine di "fatto", anche sotto il profilo della valutazione degli elementi qualificanti l'assetto giuridico del rapporto negoziale, riservata al giudice del merito e, pertanto, censurabile in sede di legittimità per i casi di insufficienza della motivazione e di inosservanza delle regole ermeneutiche (artt. 1362 - 1371 c.c.) nonché di quelle qualificanti la fattispecie negoziale di riferimento.

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In particolare, al fine di attribuire ad una stipulazione il contenuto di contratto di compravendita o di preliminare di compravendita, è determinante l'identificazione del comune intento delle parti diretto, nel primo caso, al trasferimento della proprietà della "res" verso la corresponsione di un certo prezzo, conformemente alla causa negoziale dell'art. 1470 c.c., e, nel secondo caso, all'insorgenza di un particolare rapporto obbligatorio che le impegni ad un'ulteriore manifestazione di volontà alla quale sono rimessi il trasferimento del diritto dominicale sulla "res" e l'assunzione dell'obbligazione del pagamento del prezzo. Il giudice del merito deve, pertanto, esaminare la stipulazione nel suo complesso al fine di accertare la comune volontà delle parti in un senso o nell'altro; tenendo presente, in questa indagine, che le previsione della "traditio" della "res", e/o del pagamento, anche totale, del prezzo non sono assolutamente incompatibili con l'intento di stipulare il contratto preliminare di vendita.Con queste pattuizione, infatti, le parti potrebbero manifestare l'intento di anticipare le prestazioni del contratto di vendita, che si sono ripromesse di stipulare: in particolare, quelle della consegna della "res" e del pagamento del prezzo che gli artt. 1476 e 1498 c.c. riferiscono alle obbligazioni del venditore e del compratore.Da questi principi non si è affatto discostata la corte territoriale.Il giudice del merito ha compiutamente esposto le ragioni dell'aver identificato, in relazione alla fattispecie di riferimento del contratto preliminare di compravendita immobiliare, il comune intento delle parti, manifesto in tutte le locuzioni impiegate nella scrittura privata del 18 dicembre 1989, di dar vita ad un rapporto obbligatorio che le vincolasse ad un'ulteriore manifestazione, in forma pubblica, della volontà di trasferire ed acquistare, verso il pagamento di un certo prezzo, la proprietà dell'immobile "compromesso".Quel giudice ha questo comune intento rinvenuto nelle locuzioni di reciproca "promessa" di "vendita" e di "acquisto" dell'immobile in questione ed ulteriormente palese in quelle successive di attribuire alla stipula dell'atto pubblico di compravendita l'effetto del trasferimento del diritto dominicale dell'immobile consegnato, secondo quanto convenuto, al promissario acquirente. Avendo attribuito alle parti la comune volontà di obbligarsi ad un'ulteriore prestazione del consenso avente l'efficacia traslativa della proprietà, e non di questa ricollegare alla stipulazione attuale, quel giudice ha correttamente ritenuto che non potessero rilevare in contrario la "traditio" della "res" ed il pagamento immediato di parte del prezzo, con l'assunzione dell'obbligo di soddisfare la parte residua mediante l'accollo di un debito del promittente venditore, poiché, a fronte del chiaro intento di obbligarsi reciprocamente a "vendere "e ad "acquistare", quegli elementi non potevano che essere rivelatori della comune intenzione di anticipare l'esecuzione del contratto di compravendita essendosi infatti questo le parti obbligate a stipulare.

Sez. 1, Sentenza n. 4863 del 01/03/2010 (Rv. 612335)

Presidente: Proto V.  Estensore: Bernabai R.  Relatore: Bernabai R.  P.M. Apice U. (Conf.)

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Alfa Srl ed altri (Di Biase) contro Rapposelli (Durante)

(Cassa con rinvio, App. L'Aquila, 03/09/2004)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Consegna della cosa e pagamento del prezzo prima del contratto definitivo - Anticipazione dell'effetto traslativo - Esclusione - Conseguenze - Posizione del promissario acquirente - Detentore qualificato - Configurabilità - Possesso "ad usucapionem" - Esclusione.

Nella promessa di vendita, la consegna del bene (nella specie, immobile) e l'anticipato pagamento del prezzo, prima del perfezionamento del contratto definitivo, non sono indice della natura definitiva della compravendita, atteso che - quale che ne sia la giustificazione causale (clausola atipica introduttiva di un'obbligazione aggiuntiva o collegamento negoziale) - è sempre il contratto definitivo a produrre l'effetto traslativo reale; conseguentemente, la disponibilità del bene conseguita dal promissario acquirente, in quanto esercitata nel proprio, interesse, ma "alieno nomine", in assenza dell'"animus possidendi", ha natura di detenzione qualificata e non di possesso utile "ad usucapionem", salvo la dimostrazione di una sopraggiunta "interversio possessionis" nei modi previsti dall'art. 1141, secondo comma, cod. civ.

Sez. 2, Sentenza n. 1553 del 23/01/2013 (Rv. 624673)

Presidente: Felicetti F.  Estensore: Carrato A.  Relatore: Carrato A.  P.M. Capasso L. (Conf.)

Inzerillo (Galasso) contro Lo Piccolo (Mocciaro)

(Rigetta, App. Palermo, 08/03/2006)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  181 DA SCRITTURA PRIVATA IN ATTO PUBBLICO

CONTRATTI IN GENERE - REQUISITI (ELEMENTI DEL CONTRATTO) - FORMA - RIPRODUZIONE DEL CONTRATTO IN FORMA DIVERSA DALL'ORIGINARIA - DA SCRITTURA PRIVATA IN ATTO PUBBLICO - Contratto definitivo di compravendita per scrittura privata non autenticata - Interesse della parte alla formazione del titolo per la trascrizione - Azione ex art. 2932 cod. civ. - Esperibilità - Esclusione - Azione di accertamento dell'autenticità delle sottoscrizioni - Esperibilità - Fondamento.

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Quando è stato concluso un contratto definitivo di compravendita con scrittura privata non autenticata, l'interesse della parte alla documentazione del negozio nella forma necessaria per la trascrizione non trova tutela nel rimedio previsto dall'art. 2932 cod. civ. - che concerne l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto e presuppone, quindi, la stipula di un preliminare -, potendo essere soddisfatto, invece, con la pronuncia di una sentenza di mero accertamento dell'autenticità delle sottoscrizioni.

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Se sia ammissibile il preliminare di preliminare

Sez. 2, Sentenza n. 8038 del 02/04/2009 (Rv. 607773)

Presidente: Rovelli LA.  Estensore: Bucciante E.  Relatore: Bucciante E.  P.M. Marinelli V. (Conf.)

Baruzzi ed altro (Melotti ed altro) contro Inversini (Alciati ed altro)

(Rigetta, App. Milano, 14/03/2003)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Contratto preliminare di preliminare - Difetto di causa - Validità - Esclusione - Fattispecie.

Il contratto in virtù del quale le parti si obblighino a stipulare un successivo contratto ad effetti obbligatori (ovvero un contratto preliminare di preliminare) è nullo per difetto di causa, non essendo meritevole di tutela l'interesse di obbligarsi ad obbligarsi, in quanto produttivo di una inutile complicazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che - in relazione ad una proposta irrevocabile di acquisto di un immobile, con la quale il proponente si era obbligato alla stipulazione di un successivo contratto preliminare - aveva ritenuto che tale proposta fosse priva di effetti giuridici vincolanti).

Testo. La controversia è insorta tra le parti con riferimento a una scrittura del 25 luglio 1985, con la quale Clara Inversini aveva formulato una proposta irrevocabile di acquisto di un immobile - posto in vendita da Mariella Baruzzi, per il tramite dell'agenzia immobiliare "Studio Boezio" di Carlo Wagner - per il prezzo di L. 140.000.000, di cui L. 14.000.000 da versare a titolo di caparra e il resto come meglio specificato nel successivo preliminare, che avrebbe dovuto essere stipulato entro trenta giorni: Mariella Baruzzi e Carlo Wagner, deducendo che Clara Inversini aveva rifiutato di adempiere, dopo che le era stata comunicata l'avvenuta accettazione della proposta, la citarono davanti al Tribunale di Pavia, con atto notificato il 13 novembre 1985, chiedendo che fosse pronunciata la risoluzione del contratto e che comunque la convenuta fosse condannata al pagamento di L. 14.000.000 a Mariella Baruzzi e di L. 12.500.000 per provvigioni e spese a Carlo Wagner. Inversini Clara si costituì in giudizio contestando la fondatezza di tali domande e in particolare deducendo che la sottoscrizione da parte sua della proposta era stata effetto di dolo.All'esito dell'istruzione della causa, con sentenza del 18 novembre 1988 il Tribunale accolse la domanda di Mariella Baruzzi e respinse quella di Carlo Wagner.Impugnata in via principale da Clara Inversini e in via incidentale da Carlo Wagner, la decisione fu parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Milano, che con sentenza

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del 6 febbraio 1996, accolto il primo gravame e rigettato l'altro, respinse anche la domanda proposta da Mariella Baruzzi.Adita dai soccombenti, con sentenza del 20 luglio 1999 questa Corte ha cassato con rinvio la pronuncia di secondo grado, rilevando che "la Corte di merito non solo si è astenuta dall'esaminare l'intero contenuto della scrittura interpretandola secondo i criteri legali di ermeneutica negoziale e attribuendo ad essa la qualificazione giuridica che le competeva, ma non ha neppure addotto a sostegno del giudizio sulla sua sostanziale improduttività di effetti giuridici una motivazione sufficiente e logica, che tenesse conto anche della dichiarazione di accettazione resa dalla Baruzzi e che consentisse di identificare il procedimento logico-giuridico seguito per pervenire al convincimento circa l'inesistente assunzione di obblighi da parte della Inversini e la necessità di rigettare le domande proposte contro di lei".Il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte d'appello di Milano con sentenza del 14 marzo 2003, con cui la causa è stata decisa in conformità con la precedente pronuncia di secondo grado, essendosi ritenuto: che le parti non avevano inteso concludere ne' un contratto definitivo di vendita ne' un preliminare, ma semmai un "preliminare del preliminare", come tale nullo per difetto di causa;che si era trattato in ipotesi di una "puntazione", improduttiva di effetti vincolanti; che nella pattuizione relativa alla caparra non era configurabile una clausola penale, non compatibile in una fase precontrattuale e comportante un arricchimento senza causa; che comunque tale pattuizione era stata configurata dalle parti come avente natura reale, sicché non poteva considerarsi perfezionata in mancanza della dazione del denaro; che nulla competeva a Wagner Carlo, non essendo stato l'affare concluso.Contro tale sentenza Mariella Baruzzi e Carlo Wagner hanno proposto ricorso per cassazione, in base a sei motivi, poi illustrati anche con memoria. Clara Inversini si è costituita con controricorso. I ricorrenti hanno presentato osservazioni per iscritto sulle conclusioni del Pubblico Ministero. MOTIVI DELLA DECISIONECon il primo dei motivi addotti a sostegno del ricorso Baruzzi Mariella e Carlo Wagner lamentano che il giudice di rinvio non si è uniformato a quanto era stato deciso con la pronuncia di cassazione, le cui premesse logico giuridiche implicavano che un contratto fosse stato concluso dalle parti, sicché occorreva soltanto statuire sulle sue concrete conseguenze economiche, al più estendendo l'esame alla corretta qualificazione giuridica che competeva al negozio.La doglianza non è fondata.Questa Corte, come risulta chiaro dal testo della sua sentenza, che si è sopra trascritto nell'esposizione dello svolgimento del processo, non ha affatto statuito che un qualche accordo fosse stato validamente raggiunto dalle parti, salva la determinazione della sua natura e dei suoi effetti, da individuare in sede di rinvio. Si è invece limitata a constatare che il giudice a quo aveva omesso di prendere in considerazione nella sua interezza l'atto in questione, di interpretarlo secondo i criteri legali di ermeneutica negoziale, di inquadrarlo sub specie iuris, di tenere conto della dichiarazione di accettazione di Mariella Baruzzi, e nonostante tali carenze aveva concluso, senza adeguata spiegazione, nel senso della mancata assunzione di obbligazioni da parte di Clara Inversini. Stabilire non solo quali esse potessero essere, ma anche se fossero configurabili, era pertanto questione rimessa al giudice di rinvio, al quale non era stato indicato alcun principio di diritto cui dovesse attenersi. Tale essendo il contenuto della sentenza di cassazione, è

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ininfluente la circostanza, su cui insistono i ricorrenti, che nel motivo di impugnazione accolto fosse stata prospettata la "violazione degli artt. 1325 e 1326 c.c.", oltre al "difetto di motivazione".Con il secondo motivo di ricorso Mariella Baruzzi e Wagner Carlo deducono che ingiustificatamente il giudice di rinvio ha opinato che il Tribunale avesse omesso di qualificare il contratto come preliminare o definitivo e avesse escluso questa seconda ipotesi, riconosciuta peraltro sussistente dalla stessa Inversini Clara, la quale in primo grado si era difesa soltanto eccependo il vizio del consenso da cui sarebbe stata affetta la propria manifestazione di volontà.Anche questa censura va disattesa.Che in ipotesi il Tribunale avesse ritenuto effettivamente concluso un qualche negozio, e in particolare una vendita definitiva, è circostanza ininfluente, dato che il compito di pronunciare sul punto - già controverso in appello, in seguito al gravame proposto da Clara Inversini - è stato demandato con la sentenza di cassazione, come si è rilevato a proposito del primo motivo di ricorso, al giudice di rinvio.Con il terzo motivo di impugnazione Mariella Baruzzi e Wagner Carlo si dolgono dell'interpretazione, a loro dire erronea, data dal giudice di rinvio alla scrittura in questione in difformità dal suo tenore letterale.Neppure questa censura può essere accolta.Preclude il suo esame la mancanza di "autosufficienza" da cui è affetta: si deduce che nella sentenza impugnata è stata presa in considerazione soltanto una delle clausole del documento, ma non vengono trascritte, in maniera completa e precisa, le altre, del cui contenuto si fa sommariamente cenno, per concludere con un vago "ecc."; della stessa pattuizione prima menzionata non viene riportato il testo integrale; si parla di un modulo a stampa con aggiunta a mano dell'impegno a pagare la somma di L. 14.000.000, impegno prevalente su altre previsioni asseritamente incompatibili, delle quali non viene specificato il tenore; si afferma essere intervenuto l'accordo per la vendita definitiva del bene, mediante l'accettazione della proprietaria, di cui non sono indicati il contenuto e le modalità.Deve pertanto restare fermo che si è trattato, come ha ritenuto il giudice di rinvio, di un "preliminare di preliminare": le parti si erano impegnate a concludere in futuro un contratto con effetti obbligatori, che le avrebbe vincolate a stipulare successivamente la vendita definitiva.Il quarto motivo di ricorso attiene appunto al "preliminare di preliminare", del quale Mariella Baruzzi e Carlo Wagner, in contrasto con la tesi della nullità per mancanza di causa affermata nella sentenza impugnata, sostengono la piena validità. La questione, che la giurisprudenza di legittimità, per quanto consta, non ancora avuto occasione di affrontare, deve essere risolta in senso opposto a quello propugnato dai ricorrenti. L'art. 2932 c.c., instaura un diretto e necessario collegamento strumentale tra il contratto preliminare e quello definitivo, destinato a realizzare effettivamente il risultato finale perseguito dalle parti. Riconoscere come possibile funzione del primo anche quella di obbligarsi ... ad obbligarsi a ottenere quell'effetto, darebbe luogo a una inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ben potendo l'impegno essere assunto immediatamente: non ha senso pratico il promettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché

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prometterlo subito.Nè sono pertinenti i contrari argomenti esposti dai ricorrenti: in parte non attengono al reciproco rapporto tra le parti del futuro contratto definitivo, ma a quelli tra ognuna di loro e l'intermediario che le ha messe in relazione, sicché non riguardano il tema in discussione; per il resto prospettano l'ipotesi di un preliminare già riferentesi al definitivo e da rinnovare poi con un altro analogo negozio "formale", il che rappresenta una fattispecie diversa da quella del "pre-preliminare", di cui si è ritenuta in sede di merito l'avvenuta realizzazione nella specie. Correttamente, quindi, nella sentenza impugnata, esclusa la validità dell'accordo raggiunto dalle parti, ha ritenuto che esse si trovassero, in relazione al futuro contratto preliminare, nella fase delle trattative, sia pure nello stato avanzato della "puntuazione", destinata a fissare, ma senza alcun effetto vincolante, il contenuto del successivo negozio. (…)

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Sul contratto preliminare di vendita di immobile esistente soltanto sulla carta

Sez. 2, Sentenza n. 5749 del 10/03/2011 (Rv. 616566)

Presidente: Triola RM.  Estensore: Giusti A.  Relatore: Giusti A.  P.M. Fucci C. (Diff.)

Cocchetti Srl (Profeta Alfredo ed altro) contro Monzani ed altri (Segreto F.)

(Cassa con rinvio, App. Milano, 17/12/2009)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  097 NULLITA' DEL CONTRATTO - IN GENERE

CONTRATTI IN GENERE - INVALIDITÀ - NULLITÀ DEL CONTRATTO - IN GENERE - Contratto preliminare di vendita di immobili esistenti "sulla carta" - Disciplina recata dal d.lgs. n. 122 del 2005 - Applicabilità - Esclusione - Fondamento - Nullità di detti contatti per illiceità dell'oggetto - Esclusione - Fondamento - Fattispecie.

Il d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 detta una disciplina di tutela dell'acquirente o del promissario acquirente di immobili da costruire in ragione dell'elevato rischio di inadempienze della parte alienante ovvero del pericolo di sottoposizione del costruttore ad esecuzione immobiliare o a procedura concorsuale, trovando però applicazione, in forza del contenuto definitorio di cui all'art. 1, comma 1, lettera d), soltanto riguardo agli immobili per cui, da un lato, sia stato già richiesto il permesso di costruire (o, se del caso, sia già stata presentata la denuncia di inizio attività, ex art. 22, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) e che, dall'altro lato, non siano stati oggetto di completamento e, dunque, non sia stato ancora richiesto il relativo certificato di agibilità. Ne consegue che i contratti preliminari di compravendita di immobili esistenti soltanto "sulla carta", ossia per i quali sussista un progetto, ma non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire o un titolo equipollente, si collocano fuori dell'ambito applicativo della speciale disciplina recata dal citato d.lgs. n. 122 del 2005 e la chiara lettera della legge non consente di pervenire, a tutela dell'acquirente o promissario acquirente di immobile esistente "sulla carta", ad una interpretazione adeguatrice che ne permetta invece l'applicazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullità di un contratto preliminare di compravendita di immobile esistente "sulla carta" in assenza della indicazione, imposta dall'art. 6, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 122 del 2005, della richiesta del permesso di costruire; la S.C. ha, peraltro, escluso che il dubbio di costituzionalità di detta norma - per contrasto con l'art. 3 Cost., in ragione della irragionevole disparità di trattamento della situazione relativa alla compravendita degli immobili esistenti "sulla carta" - quanto alle conseguenze

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derivanti dall'osservanza della sua prescrizione, potesse, nella specie, avere rilevanza, giacché la relativa disciplina presuppone, e si giustifica, solo in presenza di un preliminare avente ad oggetto un edificio per il quale sia stato almeno richiesto il permesso di costruire).

Testo. Nel giudizio per l’esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., del preliminare, sottoscritto in data 11 agosto 2006, di vendita di un terreno edificabile con sovrastante corpo accessorio sito in Roncello e di parziale permuta, per tale immobile promesso in vendita, di porzioni immobiliari da costruire sullo stesso terreno, promosso dalla impresa edile Cocchetti s.r.l., promissaria acquirente del terreno edificabile, nei confronti dei promittenti venditori Albinia Monzani, Carlo Rocca e Sala Rosella Anna Maria, il Tribunale di Monza, con sentenza in data 19 marzo 2008, ha rigettato la domanda di pronuncia costitutiva e dichiarato la nullita’ del contratto, per violazione del D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122, art. 2 (Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della L. 2 agosto 2004, n. 210), a causa del mancato rilascio della fideiussione da parte della societa’ costruttrice. 2. - La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 17 dicembre 2009, ha rigettato il gravame esperito dalla s.r.l. Cocchetti, dichiarando la nullita’ del contratto preliminare per una ragione diversa da quella ravvisata dal primo giudice.La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la violazione, non del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2 bensi’ dello stesso decreto, art. 6, comma 1, lett. i), (disposizione anch’essa invocata, sia in primo grado che in appello, dalla difesa dei promittenti venditori), a causa della mancata indicazione, nel contratto preliminare, degli estremi del titolo che abilitava a costruire o della sua richiesta, ed ha ritenuto quest’ultima disposizione applicabile anche al contratto preliminare «avente ad oggetto un immobile sulla carta. Dalla lettura del contratto preliminare dell’11 agosto 2006 - afferma la sentenza della Corte di Milano - e’ dato evincere ... che a tale data sicuramente il permesso di costruire non era stato richiesto e, dunque, ha errato il primo giudice quando ha accolto la prima eccezione di nullita’ del contratto preliminare sollevata dai convenuti tempestivamente in sede di comparsa di risposta. Avrebbe dovuto, invece, accogliere la seconda eccezione, pregiudiziale al merito, quella di nullita’ del contratto preliminare per violazione del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 6 la quale, riproposta tale e quale nel presente giudizio dalla difesa degli appellati, deve ora essere accolta.3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la s.r.l. Cocchetti ha proposto ricorso, con atto notificato il 23 marzo 2010, sulla base di un motivo.Gli intimati hanno resistito con controricorso.CONSIDERATO IN DIRITTO1. - Nel denunciare violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 122 del 2005, artt. 1, 2 e 6 (Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della L. 2 agosto 2004, n. 210), nonche’ motivazione insufficiente su un punto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la societa’ ricorrente, con l’unico mezzo, si duole che l’art. 6 del citato D.Lgs. sia stato applicato oltre il suo ambito di operativita’. Si sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la speciale normativa di tutela dei diritti

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patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire in tanto opera, in quanto sia stato almeno richiesto il permesso di costruire. La Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare la peculiarita’ della fattispecie in esame, caratterizzata dal fatto che la societa’ costruttrice, promittente la cessione dei due appartamenti, non era proprietaria dell’area edificabile, essendo questa, a sua volta, oggetto della promessa di cessione sancita dal preliminare. Ad avviso della ricorrente, la speciale previsione normativa sarebbe applicabile solo al costruttore che, proprietario dell’area da edificare, abbia gia’ progettato la costruzione e, essendovi legittimato, abbia chiesto il permesso di costruire, sostenendo i relativi oneri e ricercando gli eventuali acquirenti. Non sarebbe, invece, applicabile al futuro acquirente dell’area da edificare che debba ancora acquisirla e raggiungere l’accordo con i cedenti sulle condizioni di contratto, in vista della quale non sarebbe ipotizzabile che egli possa o debba attivarsi chiedendo il permesso di costruire.2. – Il motivo e’ fondato.2.1. – Il D.Lgs. n. 122 del 2005 si propone di assicurare protezione alla persona fisica che, in qualita’ di acquirente o promissaria acquirente, stipula contratti aventi ad oggetto immobili da costruire o in costruzione, e introduce nuovi strumenti di tutela in un settore ove e’ statisticamente elevato sia il rischio di abusi o di gravi inadempienze da parte chi aliena, sia il pericolo che per il costruttore sopravvenga una situazione di crisi, che comporti la sua sottoposizione ad esecuzione immobiliare o ad una procedura concorsuale.A tal fine, il legislatore delegato, tra l’altro: (a) mette a disposizione (artt. 2, 3 e 4) gli strumenti negoziali accessori della garanzia fideiussoria e dell’assicurazione, resi obbligatori per preservare le ragioni dell’acquirente nei casi, rispettivamente, di crisi dell’imprenditore e di danni derivanti da rovina o da gravi difetti costruttivi dell’immobile; (b) prescrive (art. 6) una serie di contenuti necessari del contratto; (c) riconosce (art. 9), a favore dell’acquirente che sia gia’ entrato nel possesso dell’immobile e lo abbia destinato ad abitazione principale propria o di un parente di primo grado, anche nel caso in cui abbia escusso la fideiussione, un diritto di prelazione nell’acquisto dell’immobile, in precedenza negoziato, che venga fatto oggetto di vendita forzata;(d) limita (art. 10) l’ambito di esperibilita’ dell’azione revocatoria fallimentare in relazione agli atti di alienazione di immobili da costruire nei quali l’acquirente si impegni a stabilire, entro dodici mesi dall’acquisto o dall’ultimazione degli stessi, la residenza propria o di suoi parenti o affini entro il terzo grado. 2.2. – Il perimetro di applicazione della nuova disciplina di tutela introdotta dal D.Lgs. n. 122 del 2005 si trova delineato nell’art. 1. Per quello che qui rileva, gli acquisti protetti - ai quali si applicano le regole sopra indicate - sono quelli aventi ad oggetto immobili da costruire, per tali intendendosi (art. 1, comma 1, lett. d) gli immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilita’. In base alla definizione fornita dal decreto legislativo, possono ritenersi immobili da costruire tutti quegli immobili che si trovano in uno stadio di costruzione che si colloca tra i seguenti due momenti temporali della fase progettuale - edificatoria: dal lato iniziale, dopo l’avvenuta richiesta del permesso di costruire o (ricorrendo le condizioni di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 22, comma 3, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)

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l’avvenuta presentazione della denuncia di inizio attivita’; dal lato finale, prima del completamento delle finiture e della conseguente richiesta del certificato di agibilita’ (il cui rilascio, ai sensi dell’art. 25 del citato testo unico, va domandato entro quindici giorni dall’ultimazione, appunto, dei lavori di finitura dell’intervento). Il riferimento alla presentazione del permesso di costruire come elemento iniziale del predetto arco temporale esclude dall’ambito di applicazione della disciplina di tutela il contratto preliminare avente ad oggetto edifici esistenti soltanto "sulla carta", ossia gia’ allo stato di progetto ma per i quali non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire o un titolo equipollente. 2.3. - Tale e’, appunto, la situazione verificatasi nel caso di specie.Come risulta dagli atti di causa, Albina Monzani, Carlo Rocca e Rosella Anna Maria Sala hanno "promesso di vendere" all’impresa edile s.r.l. Rocchetti un terreno edificabile, con soprastante corpo accessorio, e la parte promissaria acquirente si e’ impegnata a realizzare e a cedere ai promittenti venditori, in permuta parziale, due appartamenti del progettato edificio da costruire (un bilocale composto da soggiorno - cottura, camera da letto, disimpegno e bagno posto a piano terra, con portici e giardino privato con accesso indipendente; altro bilocale composto da soggiorno - cottura, camera da letto, disimpegno e bagno posto a piano terra, con relativo sottotetto, cantina e box singolo di pertinenza posti a piano interrato, portici e giardino privato, ingresso indipendente tramite ampio portico privato).E’ altresi’ pacifico che, al momento della stipulazione, nessuna richiesta di titolo abilitativo per la progettata attivita’ costruttiva era gia’ stata avanzata, essendo soltanto previsti l’obbligo della societa’ promissaria acquirente di "presentare, a propria cura e spese, al Comune di Roncello i progetti edilizi per l’ottenimento dei necessari permessi relativi a tutti gli immobili realizzabili sul terreno oggetto di compravendita, il tutto nel rispetto delle normative urbanistiche vigenti", nonche’ l’impegno di entrambe le parti di procedere alla stipulazione dell’atto pubblico definitivo "entro e non oltre quindici giorni dal rilascio del primo permesso di costruire o denuncia di inizio attivita’ relativi al progetto, in modo che alla parte promissaria acquirente sia consentito subentrare alla parte promittente venditrice negli obblighi nei confronti del Comune prima del rilascio del permesso di costruire medesimo, o dell’efficacia della denuncia di inizio attivita’".2.4. - La sentenza impugnata, nel giungere alla censurata soluzione, sottolinea l’esigenza di pervenire ad una "tutela forte e completa", che ponga il promissario, destinatario della vicenda traslativa non immediata di un diritto reale su un immobile da costruire, "al riparo da ogni sorpresa".La sentenza impugnata evidenzia, in effetti, un profilo di criticita’ del decreto delegato.L’edificio esistente soltanto "sulla carta", ossia gia’ allo stato di progetto ma per il quale non sia stato ancora richiesto il titolo abilitativo, e’ anch’esso un immobile da considerare in una prospettiva dinamica, ossia rispetto al quale e’ prevista una successiva attivita’ edificatoria ad opera del venditore. Ed anche in una contrattazione "sulla carta" di un immobile da costruire per il quale non sia stato neppure richiesto il permesso di costruire o presentata la denuncia di inizio di attivita’, si pongono esigenze di tutela dell’acquirente, del tutto analoghe a quelle che, a salvaguardia della sicurezza dell’acquisto dell’immobile in costruzione, ricorrono allorche’ la negoziazione si sviluppi in una vicenda nella quale l’iter urbanistico e’ gia’ iniziato. L’esclusione del promissario acquirente di immobili "sulla carta" dal raggio di applicazione del decreto delegato per un verso comporta che le misure di protezione da esso previste sono

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destinate a non operare proprio la’ dove il rischio per l’acquirente e’ ancora piu’ accentuato, potendo l’immobile da costruire essere destinato a rimanere tale solo nelle intenzioni del costruttore; per l’altro, offre a quest’ultimo un facile strumento di elusione per sottrarsi agli oneri, anche economici, che vengono posti a suo carico dal decreto delegato, potendo questi essere indotto a preferire la stipulazione del preliminare prima di richiedere il provvedimento abilitativo, cosi’ evitando di dover offrire la fideiussione e l’assicurazione fideiussoria.2.5. - A tale riguardo, il Collegio non conviene con la tesi, prospettata da una parte della dottrina, secondo cui dalla regola che limita l’applicazione della nuova normativa di tutela ai soli immobili per i quali sia gia’ stato richiesto il permesso di costruire, si dovrebbe desumere, a contrario, l’illiceita’ del contratto preliminare che programmi il trasferimento di un immobile esistente soltanto "sulla carta".Questa soluzione e’ stata avanzata sul rilievo che la delimitazione dell’ambito di applicazione della nuova normativa ai soli casi in cui e’ stato richiesto il provvedimento abilitativo troverebbe giustificazione nell’intento legislativo di contrastare l’abusivismo edilizio: ratio pubblicistica, quest’ultima, dalla quale dovrebbe desumersi, per ragioni attinenti al regolare funzionamento del mercato immobiliare, la nullita’ - non gia’ relativa, ma assoluta per illiceita’ dell’oggetto - del contratto preliminare riguardante un’immobile da costruire, nel caso in cui il relativo permesso non sia stato ancora domandato.Questa Corte osserva, in senso contrario, come il D.Lgs. n. 122 del 2005 non giustifica affatto l’interpretazione secondo cui una norma, qual e’ l’art. 1, comma 1, lett. d), dettata con valenza puramente definitoria al fine di delimitare l’ambito di applicazione delle nuove misure, possa costituire un limite di siffatta portata all’autonomia contrattuale nei rapporti tra costruttore e promissario acquirente.E’ poi da escludere - come la dottrina piu’ avvertita non ha mancato di sottolineare - che la ratio della nuova normativa protettiva dell’acquirente sia quella di contrastare l’abusivismo edilizio. Se l’intento primario del decreto delegato fosse stato quello di predisporre un ulteriore strumento civilistico per la repressione dell’abusivismo edilizio, da affiancare a quello discendente dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 (che sanziona con la previsione della nullita’ gli atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali su edifici la cui costruzione sia iniziata dopo il 17 marzo 1985, ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria), allora il legislatore avrebbe dovuto, per coerenza sistematica, esigere, come presupposto dell’applicabilita’ della disciplina, non gia’ la presentazione della richiesta del permesso di costruire, ma l’ottenimento del titolo edilizio. D’altra parte, la circostanza che il titolo abilitativo non sia stato ancora protocollato agli atti del Comune al momento della stipula del preliminare avente ad oggetto un edificio progettato "sulla carta", ma la cui costruzione non sia ancora iniziata, non significa che le parti vogliano poi trasferire un bene abusivo: in quel momento, se la costruzione del fabbricato non e’ stata ancora iniziata, non e’ stato commesso alcun abuso e non e’ stata violata alcuna disposizione urbanistico - edilizia.La tesi della incommerciabilita’ degli edifici da costruire prima della richiesta del permesso non e’ priva , infine, di inconvenienti. Essa, infatti, comporterebbe la nullita’ di un contratto preliminare di permuta del suolo in cambio di un edificio che il costruttore si obbliga a costruire sul terreno che lo vede destinatario della promessa di

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acquisto (costruttore al quale, tra l’altro, prima della stipulazione, non potrebbe essere rilasciato il permesso di costruire, giacche’ questo, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 11 puo’ essere dato esclusivamente al proprietario del suolo o a chi abbia titolo per richiederlo: cfr. Cons. Stato, Sez. 4^, 18 gennaio 2010, n. 144); e la comporterebbe anche in caso, come quello di specie, nel quale le parti non hanno inteso programmare la costruzione e l’acquisto di un immobile abusivo, ma hanno soltanto inteso differire ad un momento successivo l’attivazione delle pratiche per l’ottenimento del titolo edilizio e per la realizzazione di un edificio "nel rispetto delle normative urbanistiche vigenti". 2.6. - Escluso, dunque, che dal D.Lgs. n. 122 del 2005 discenda, in mancanza di una previsione espressa di divieto, l’impossibilita’ di stipulare contratti - con effetti meramente obbligatori - aventi ad oggetto edifici "sulla carta", per i quali non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire, il Collegio ritiene, peraltro, che non vi siano spazi per un’interpretazione estensiva che, in nome dei principi costituzionali, ricomprenda nell’ambito definitorio, e quindi applicativo, del citato decreto legislativo il preliminare di vendita di edifici soltanto progettati.La chiarezza testuale della formula adoperata del D.Lgs. n. 122 del 2005, dall’art. 1, comma 1, lett. d), tra l’altro corrispondente alle indicazioni contenute nella L. 2 agosto 2004, n. 210, il cui art. 1, comma 1, delegava il Governo ad adottare uno o piu’ decreti legislativi recanti norme per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilita’ - preclude la possibilita’ di un’interpretazione adeguatrice. L’univoco tenore letterale di una norma segna, infatti , il confine in presenza del quale il tentativo di ermeneusi costituzionalmente orientata deve cedere il passo al sindacato di legittimita’ costituzionale (cfr. Corte cost., sentenze n. 219 del 2008 e n. 26 del 2010).2.7. - Sennonche’, un dubbio di legittimita’ costituzionale che - in relazione alla omogeneita’ delle fattispecie poste a raffronto e alla ratio complessiva dell’intervento legislativo - mirasse a denunciare, sotto il profilo del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), l’ingiustificato riferimento limitante alla richiesta del permesso di costruire come presupposto per l’attivazione della tutela, non sarebbe nella specie rilevante.Invero, cio’ di cui si controverte e’ quali siano le conseguenze derivanti dall’inosservanza della prescrizione (di cui al cit. D.Lgs., art. 6, comma 1, lett. i) che impone - a fini di chiarezza, completezza e precisione del contenuto contrattuale - l’indicazione degli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta o di ogni altro titolo abilitativo.E’ evidente che una tale prescrizione ha un senso in quanto il preliminare abbia ad oggetto un edificio per il quale, nel momento in cui viene stipulato il contratto, sia gia’ stato richiesto il permesso di costruire, mentre sarebbe priva di ratio la’ dove, appunto, l’edificio oggetto della contrattazione sia soltanto progettato "sulla carta", prima della richiesta del permesso. 2.8. - Sussiste, in conclusione, l’error in iudicando denunciato dalla ricorrente.Poiche’, infatti, al momento della stipulazione del preliminare l’immobile da costruire era esistente soltanto "sulla carta", ma non era ancora stato neppure richiesto il permesso di costruire o presentata la denuncia di inizio di attivita’, l’immobile negoziato non rientra tra quelli oggetto del presente decreto (per usare l’espressione

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contenuta nell’incipit dell’art. 6, comma 1), perche’ non ricade nell’intervallo temporale che consente di intenderlo "da costruire" ai fini dell’applicazione della normativa introdotta dal D.Lgs. n. 122 del 2005.Alla Corte d’appello era pertanto precluso, versandosi al di fuori dell’ambito oggettivo di operativita’ del decreto legislativo, interrogarsi sulle conseguenze derivanti dall’inosservanza della norma (art. 6, comma 1, lett. i) che, con riguardo al contenuto minimo del contratto avente ad oggetto un immobile da costruire, prescrive che esso “deve contenere ...gli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta se non ancora rilasciato, nonche’ di ogni altro titolo, denuncia o provvedimento abilitativo alla costruzione”.3. - La sentenza impugnata e’ cassata.

I rapporti preliminare-definitivo

Sez. 2, Sentenza n. 9063 del 05/06/2012 (Rv. 622654)

Presidente: Felicetti F.  Estensore: Matera L.  Relatore: Matera L.  P.M. Del Core S. (Conf.)

Pandolfi (De Bellis Sciarra ed altri) contro Bernacchia ed altri (De Luca)

(Rigetta, App. Perugia, 19/07/2005)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  040 FORMA E VALORE

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - FORMA E VALORE - Contratto definitivo - Natura - Fonte unica dei diritti e delle obbligazioni per le parti - Fondamento - Disciplina del rapporto difforme da quella prevista nel preliminare - Presunzione di conformità alla volontà dei contraenti - Configurabilità - Limiti - Sopravvivenza delle pattuizioni contenute nel preliminare - Condizioni - Stipula di distinto accordo contestuale al definitivo - Necessità - Onere della relativa prova - Spettanza.

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Contratto definitivo - Natura - Fonte unica dei diritti e delle obbligazioni per le parti - Fondamento - Disciplina del rapporto difforme da quella prevista nel preliminare - Presunzione di conformità alla volontà dei contraenti - Configurabilità - Limiti - Sopravvivenza delle pattuizioni contenute nel preliminare - Condizioni - Stipula di distinto accordo contestuale al definitivo - Necessità - Onere della relativa prova - Spettanza.

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Qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l'adempimento di detto distinto accordo.

Testo. Con atto di citazione ritualmente notificato Pandolfi Patrizia e Pandolfi Flavia convenivano in giudizio Bernacchia Marina, Bernacchia Giovanni, Pandolfi Gianluca e Pandolfi Feliciana, affermando che Pandolfi Ermanno, deceduto il 1-3-1996 e del quale le attrici erano uniche eredi insieme a Pandolfi Gianluca e Pandolfi Feliciana, con scrittura privata priva di data, ma sicuramente anteriore al 18-5-1989, aveva promesso di vendere a Bernacchia Marina e Bernacchia Giovanni, che avevano promesso di comprare, un appezzamento di terreno agricolo con sovrastante fabbricato rurale sito nel Comune di Terni, distinto in catasto al foglio 142, particelle 26, 27, 28, 29, 56, 57, 97/A, 100, 101, 121, 168, 169, 170, 311, 376, 99/B. Le attrici deducevano che nel successivo atto notarile di compravendita non era stata indicata la particella 170, e che tale omissione era stata involontaria, come si ricavava, in particolare, dal fatto che la predetta particella era ricompresa nell'area evidenziata dal contorno in colore giallo nella planimetria allegata al contratto, il quale, peraltro, non conteneva alcuna clausola che facesse pensare ad una modifica della volontà delle parti. Le istanti chiedevano, pertanto, in via principale che venisse dichiarato che la particella 170 era di proprietà dei Bernacchia, con conseguente correzione materiale nell'atto pubblico e, in via subordinata, che venisse pronunciata sentenza che, tenendo luogo del contratto non concluso, trasferisse ai promittenti acquirenti la particella in questione.Nel costituirsi, i Bernacchia chiedevano il rigetto delle domande attoree, deducendo che la mancata indicazione della particella 170 nell'atto di compravendita del 3-12-1990 corrispondeva alla effettiva volontà delle parti in quella sede, come si ricavava dal fatto che l'indicazione della superficie complessiva del terreno venduto corrispondeva esattamente al terreno compravenduto, con esclusione, cioè, della particella in questione. Sostenevano che la volontà delle parti era mutata rispetto al preliminare, in quanto il promittente venditore non aveva consegnato la promessa polizza assicurativa che avrebbe dovuto garantire gli acquirenti dalla eventuale responsabilità per danni a terzi derivanti da detta particella, trattandosi di un dirupo dal quale potevano cadere dei massi. Rilevavano, pertanto, che non poteva parlarsi di inadempimento del preliminare, ben potendo le parti, in sede di stipula del definitivo, modificare l'oggetto del contratto rispetto agli impegni assunti col preliminare.Si costituivano anche Pandolfi Gianluca e Pandolfi Feliciana, aderendo alla domanda attrice. Con sentenza del 5-3-2001 il Tribunale di Terni rigettava la domanda principale, accogliendo invece la domanda subordinata. Avverso tale sentenza proponevano appello i Bernacchia. Pandolfi Patrizia

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e Flavia si costituivano resistendo al gravame. Pandolfi Feliciana e Gianluca rimanevano, invece, contumaci. Con sentenza depositata il 19-7-2005 la Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della decisione di primo grado, rigettava anche la domanda subordinata ex art. 2932 c.c. proposta dalle attrici. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso Pandolfi Patrizia e Flavia, sulla base di tre motivi.Bernacchia Marina e Bernacchia Giovanni hanno resistito con controricorso.All'udienza del 6-10-2011 questa Corte ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Pandolfi Gianluca e Pandolfi Feliciana.

MOTIVI DELLA DECISIONE

(…) Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2697, 2722 e 2729 c.c. e l'omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia. Sostengono che la Corte di Appello non poteva far ricorso alla prova per presunzioni per fondare il proprio convincimento circa la positiva volontà delle parti di eliminare, in sede di stipula, la compravendita della particella 170, in quanto, ai sensi degli artt. 2722 e 2729 c.c., un simile patto non può costituire oggetto di prova presuntiva. Deducono che, qualora si volesse ravvisare, nella specie, un patto intervenuto tra le parti successivamente alla stipula del preliminare, rientrante nel paradigma dell'art. 2723 c.c., i giudici del gravame sarebbero comunque incorsi nella violazione dei criteri che presiedono alla prova per presunzioni. Rilevano, infatti, che gli elementi indiziari presi in considerazione quali fatti noti dalla Corte di merito non erano univoci, in quanto da essi ben si sarebbe potuta trarre la diversa conseguenza che le parti, considerata la mancanza della polizza, si erano accordate per rinviare ad un momento successivo ed all'esito dell'adempimento la stipula relativa all'area in questione. Con il terzo motivo le ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 1321 e 1372 c.c. e della contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia. Deducono che la premessa da cui è partita la Corte di Appello, secondo cui le pattuizioni contenute nel definitivo non assorbono quelle del preliminare (che può rimanere parzialmente attuato), contrasta con la conclusione cui la stessa Corte è pervenuta, secondo cui un contratto definitivo di contenuto parziale rispetto ad un precedente preliminare implica comunque la volontà delle parti di regolamentare nel definitivo stesso tutti i loro rapporti. Sostengono che la parte parzialmente inadempiente agli obblighi assunti con il preliminare è tenuta a fornire la prova positiva che, in sede di definitivo, sia intervenuta, nella estrinsecazione dell'autonomia negoziale delle parti, una manifestazione di volontà diretta a modificare i patti già raggiunti e convenzionalmente predefiniti. Nella specie, pertanto, in assenza di prova di una diversa volontà delle parti contraenti, i giudici di merito non potevano ritenere caducato, in base alla mera difformità riscontrata tra il contratto preliminare ed il contratto definitivo, l'obbligo di acquistare anche l'appezzamento di terreno in questione, che, al pari degli altri lotti, costituiva oggetto degli obblighi assunti dalle parti con il preliminare.4) I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, dal quale non vi è motivo di dissentire, nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest'ultimo costituisce

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l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l'obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (Cass. 11-7-2007 n. 15585; Cass. 18-7-2003 n. 11262; Cass. 25-2-2003 n. 2824; Cass. 18-4-2002 n. 5635; Cass. 29-4-1998 n. 4354). È stato ulteriormente puntualizzato che la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - che deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo; e che tale prova, secondo le regole generali del processo, va data dall'attore, trattandosi di fatto costitutivo della domanda con la quale egli chiede l'adempimento di un obbligo che, pur riportato nel contratto preliminare, egli può far valere in forza del distinto accordo intervenuto fra le parti all'atto della stipula del contratto definitivo (Cass. 10-1-2007 n. 233).Non appare condivisibile, invero, il diverso indirizzo giurisprudenziale invocato dalle ricorrenti e richiamato nella sentenza impugnata (Cass. 18-11-1987 n. 8486), secondo cui la stipula del contratto definitivo costituirebbe soltanto l'adempimento delle obbligazioni assunte con il preliminare; dal che conseguirebbe che questo e non il contratto definitivo sarebbe l'unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti, con l'ulteriore corollario che l'eventuale modifica degli accordi stabiliti col preliminare dovrebbe essere accertata in concreto e non sarebbe deducibile, in caso di preliminare di vendita di una pluralità di beni, dalla sola circostanza che il contratto definitivo abbia avuto ad oggetto soltanto alcuni di essi.Così argomentando, infatti, da un lato verrebbe a negarsi il valore di "nuovo" accordo alla manifestazione di volontà delle parti consacrata nel definitivo, che assurgerebbe, quindi, a mera ripetizione del preliminare, ponendosi in tal modo un limite ingiustificato all'autonomia privata; e, dall'altro, si attribuirebbe natura negoziale all'adempimento, in contrasto con la concezione, ormai dominante, che vede in esso il "fatto" dell'attuazione del contenuto dell'obbligazione e non un atto di volontà (Cass. 10-1- 2007 n. 233).Ciò posto, si osserva che, nella specie, non vi è prova (la circostanza non è stata nemmeno dedotta dalle ricorrenti) che le parti, pur avendo escluso da contratto definitivo di vendita la particella 170, in occasione della stipula di tale atto abbiano manifestato per iscritto la volontà di rimanere vincolate all'obbligo di trasferimento assunto con il preliminare in relazione al predetto mappale.Tanto è sufficiente - in applicazione dei principi di diritto innanzi enunciati -, a giustificare il rigetto della domanda attrice di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. in relazione alla particella in questione; sicché in tali termini deve correggersi la motivazione della sentenza impugnata.In ogni caso, si osserva che la Corte di Appello, nell'interpretare il contratto definitivo di vendita, ha accertato, in concreto, sulla base di elementi presuntivi (quali le caratteristiche di dirupo della particella in questione, che forniscono una spiegazione al rifiuto degli appellanti di acquistarla, altrimenti incomprensibile; il fatto che la

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superficie complessiva dei terreni oggetto della compravendita si ottiene non considerando la particella per cui è causa), che con esso le parti hanno inteso derogare al contratto preliminare precedentemente stipulato, escludendo il trasferimento della particella 170.L'apprezzamento espresso al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, essendo supportato da argomentazioni plausibili sotto il profilo logico e corrette sul piano giuridico. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, infatti, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, incensurabile in cassazione se sorretta, come nel caso in esame, da una motivazione immune da vizi logici e rispettosa dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. (tra le tante v. Cass. 31-5-2010 n. 13242; Cass. 29-8-2004 n. 15381; Cass. 25-2-2004 n. 3772).Allo stesso modo, l'apprezzamento del giudice di merito circa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, costituisce accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se la motivazione adottata al riguardo risulti congrua dal punto di vista logico e immune da errori di diritto (Cass. 1-5-2005 n. 10135; Cass. 16-7-2004 n. 13169; Cass. 10-11-2003 n. 16831; Cass. 4-11-2002 n. 15399).

Contrariamente a quanto dedotto dalle ricorrenti, d'altro canto, nel far ricorso alla prova presuntiva, il giudice di appello non è incorso nella violazione degli artt. 2722 e 2729 c.c. in quanto tale prova non era diretta a dimostrare patti aggiunti al contratto preliminare, bensì, come esattamente rilevato nella sentenza impugnata, ad interpretare la volontà manifestata dalle parti in occasione della stipula del contratto definitivo. Si richiama, al riguardo, il principio (estensibile anche alla prova per presunzioni a norma dell'art. 2729 c.c., comma 2), più volte affermato da questa Corte, secondo cui il divieto di prova testimoniale, sancito dall'art. 2722 c.c., si riferisce soltanto ai patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento e riguarda, quindi, quei soli accordi di volontà diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto di un negozio consacrato nell'atto scritto. Tale divieto, pertanto, non opera, e la prova testimoniale è ammissibile, allorché la stessa non miri ad ampliare, modificare o alterare la disciplina obiettiva prevista nel contratto stipulato per iscritto, ma abbia ad oggetto elementi di mera integrazione e chiarificazione del contenuto della volontà negoziale (Cass. 5-3- 2007 n. 5071; Cass. 30-6-2005 n. 14024; Cass. 16-7-2003 n. 11141;Cass. 28-6-2001 n. 8853) (…)

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Il preliminare ad effetti anticipati: sulla qualificazione della relazione del promissario acquirente con la cosa promessa in vendita e già consegnatagli

Sez. U, Sentenza n. 7930 del 27/03/2008 (Rv. 602815)

Presidente: Carbone V.  Estensore: Settimj G.  Relatore: Settimj G.  P.M. Iannelli D. (Parz. Diff.)

Ice Snei Spa (Palmeri) contro Orefice

(Rigetta, App. Napoli, 27 Gennaio 2003)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Preliminare di vendita - Consegna della cosa prima del contratto definitivo - Anticipazione dell' effetto traslativo - Esclusione - Contratto di comodato collegato al preliminare - Configurabilità - Conseguenze - Posizione del promissario acquirente - Possessore "ad usucapionem" - Esclusione - Detentore qualificato - Sussistenza.

Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile "ad usucapionem", salvo la dimostrazione di un'intervenuta "interversio possessionis" nei modi previsti dall'art. 1141 cod. civ..

Testo. Enrico Orefice, con citazione del 27.4.95, conviene la S.p.A. Ice- Snei innanzi al Tribunale di Napoli e, sulla premessa del possesso esclusivo ed ininterrotto dal 5.1.68 d'un appartamento e pertinente box nell'edificio alla traversa 2 della via Lazio in Napoli, catastalmente intestato alla convenuta, chiede dichiararsi l'intervenuto suo acquisto della proprietà dell'immobile per usucapione.Costituendosi, la convenuta S.p.A. Ice-Snei si oppone alla domanda, deducendo che l'attore aveva avuto la mera detenzione dell'immobile, consegnatogli in esecuzione d'un preliminare di vendita inter partes, appunto del 5.1.68, e chiede, in via riconvenzionale, dichiararsi la risoluzione del detto preliminare per grave inadempimento della controparte, questa avendo corrisposto sul prezzo di vendita soltanto un anticipo di L. 42.815, e, quindi, condannarsi la stessa controparte alla restituzione del bene ed al risarcimento dei danni. Decidendo delle contrapposte domande con sentenza del 2.3.00,

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il tribunale adito, in accoglimento della principale, dichiara acquisita dall'attore la proprietà dell'immobile.Tale decisione, impugnata dalla S.p.A. Ice-Snei, viene riformata con sentenza del 27.1.03 dalla Corte di Appello di Napoli, che rigetta sia la domanda principale sia quelle riconvenzionali sulla considerazione: da un lato, che l'Orefice, a seguito del preliminare di vendita, avesse acquisito la sola detenzione dell'immobile e che i successivi comportamenti tenuti dallo stesso non fossero stati idonei a mutare detta detenzione in un possesso utile all'usucapione; dall'altro, che non avendo la S.p.A. Ice-Snei rivolto l'invito a stipulare l'atto definitivo di trasferimento a termini di contratto alla controparte, a quest'ultima non fosse addebitabile un inadempimento al preliminare neppure in relazione al mancato pagamento del prezzo convenuto.Avverso la sentenza di secondo grado la S.p.A. Ice-Snei propone ricorso per cassazione, con atto notificato il 5.4.03, affidato a due motivi; l'Orefice, a sua volta, propone ricorso per Cassazione, con atto notificato il 7.4.03, affidato anch'esso a due motivi; al primo ricorso l'Orefice resiste con controricorso del 14.5.03, contestualmente proponendo ricorso incidentale nel quale si riporta al proprio precedente ricorso; la S.p.A. Ice-Snei, a sua volta, con atto del 16.5.03, propone controricorso e contestuale ricorso incidentale, nel quale anch'essa si riporta al già proposto ricorso. Entrambe le parti fanno seguire memoria.La Seconda Sezione, disposta ex art. 335 c.p.c. all'udienza 13.6.06 la riunione dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale avverso la medesima sentenza, con ordinanza 19.7.06 evidenzia come la questione relativa alla qualificazione, in termini di possesso piuttosto che di detenzione, della disponibilità del bene conseguita dal promissario d'una vendita immobiliare in forza di clausola del contratto preliminare questione ritenuta propedeutica anche rispetto a quella, sollevata dal medesimo ricorrente con il secondo motivo, relativa al difetto d'integrità del contraddittorio quanto alla domanda di risoluzione del contratto, proposta in via riconvenzionale dalla controparte ed oggetto del ricorso per cassazione di quest'ultima abbia avuto soluzioni difformi nella giurisprudenza di legittimità, anche all'interno della stessa Sezione, e rimette, quindi, la causa al Primo presidente, dal quale è disposta la trattazione della questione stessa da parte di queste Sezioni Unite per la composizione del contrasto.MOTIVI DELLA DECISIONE(…) L'Orefice - denunziando con il primo motivo del ricorso n. 10431/03 la violazione dell'art. 1158 c.c. e art. 116 c.p.c., nonché omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione - oltre a dolersi dell'inadeguatezza delle argomentazioni svolte dalla corte territoriale, laddove ha escluso l'interversione della sua detenzione sull'immobile de quo in un possesso utile all'usucapione, contesta, anzi tutto, la stessa qualificazione come detenzione, anziché come possesso, data da quel giudice alla materiale disponibilità del bene quale da lui conseguita in esecuzione di specifica clausola del contratto preliminare; assume, al riguardo, che, tale pattuizione avendo avuto la funzione di anticipare gli effetti del trasferimento del diritto di proprietà, oggetto del contratto cui era intesa la volontà delle parti, e, quindi, anche l'effetto dell'immissione nel possesso e non nella detenzione dell'immobile, non fosse conseguentemente necessario alcun atto d'interversione perché ne avesse luogo l'usucapione con il decorso del termine ventennale di prescrizione acquisitiva dall'immissione nel godimento dello stesso. In tal senso svolgendo le proprie tesi, l'Orefice contrappone alla soluzione adottata dal giudice

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a quo - che, come ricordato nell'ordinanza di rimessione, si è conformato alla giurisprudenza di legittimità prevalente - la difforme soluzione adottata da un indirizzo giurisprudenziale minoritario e, tuttavia, a tratti riemergente in alcune pronunzie, anche relativamente recenti, di questa Corte.La motivazione della maggior parte delle quali si traduce in affermazioni apodittiche, riproduttive di massime tralaticie, mentre, nelle poche obiettivamente argomentate, l'iter logico dell'adottata soluzione prende le mosse dalla considerazione per cui il possesso non è escluso dalla conoscenza del diritto altrui, ne' è subordinato all'esistenza della correlativa situazione giuridica, dacché esso è ricollegato, sia sotto il profilo materiale (corpus) sia sotto quello psicologico (animus), ad una situazione di fatto, che si concretizza nell'esercizio di un potere oggettivo sulla cosa manifestantesi in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale e distinguentesi dalla detenzione solo per l'atteggiamento psicologico del soggetto che lo esercita, caratterizzato, nel possesso, dal cd. animus rem sibi habendi (ossia, l'intenzione o il volere di esercitare la signoria che è propria del proprietario o del titolare del diritto reale) e, nella detenzione, dal cd. animus detinendi (che implica il riconoscimento della signoria altrui).Soggiungendosi, poi, che tale principio di carattere generale non soffre deroga nei casi in cui il soggetto che assume d'essere possessore abbia ricevuto il godimento dell'immobile per effetto d'una convenzione negoziale, con la precisazione che, se la convenzione ha effetti obbligatori, perché diretta ad assicurare il mero godimento della cosa, senza alcun trasferimento immediato o differito del bene, colui che, avendo ricevuto la consegna per questo solo scopo, si è immesso, nomine alieno, nel godimento del bene, necessariamente stabilisce con la cosa un rapporto di mera detenzione che gli consente di mutare il titolo originario di questo rapporto con la cosa solo attraverso un atto di interversione del possesso, ai sensi dell'art. 1141 c.c., comma 2.Vi si evidenzia, quindi, che ciò spiega la ragione del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale "per stabilire se in conseguenza di una convenzione con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia un possesso idoneo alla usucapione o una mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o un contratto ad effetti obbligatori, dato che solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare nel predetto soggetto l'animus possidendi (sent. n. 4819 del 1981; sent. n. 4698 del 1987; sent. n. 741 del 1983)"; che, tuttavia, proprio la ragione del principio di diritto ora enunciato ne fissa anche il limite, escludendone l'applicazione alle convenzioni con le quali, per quanto con effetti solo obbligatori, le parti tendano a realizzare il trasferimento della proprietà del bene o di un diritto reale su di esso quando ad esse si aggiunga un patto accessorio d'immediato effetto traslativo del possesso, sostanzialmente anticipatore degli effetti traslativi del diritto che, con la convenzione, le parti stesse si sono ripromesse di realizzare.Vi si perviene, così, alla conclusione per cui nelle ipotesi predette, tra le quali rientra quella più diffusa del contratto preliminare di compravendita, la convenzione non tende solo ad attribuire il godimento del bene (che si realizza, appunto, attraverso il trasferimento della mera detenzione, caratterizzando coerentemen-te la consegna della cosa) ma è in funzione di un comune proposito di trasferimento della proprietà o di un diritto reale, alla quale è coerente il passaggio immediato del possesso, che costituisce

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solo un'anticipazione dell'effetto giuridico finale perseguito; onde il patto di immediato trasferimento del possesso che eventualmente acceda a queste convenzioni, con le quali è perfettamente compatibile, caratterizza, dunque, anche la consegna che ad esso faccia seguito, conferendole effetti attributivi della disponibilità possessoria e non della mera detenzione, anche in mancanza dell'immediato effetto reale del contratto cui il patto accede, tenuto anche conto che la consegna, essendo il possesso un fenomeno che prescinde dal fondamento giustificativo, è atto neutro, o negozio astratto, per il quale non si richiede affatto il requisito del fondamento causale.Tali essendo le ragioni giustificative delle esaminate decisioni, devesi considerare che, sfrondate dei superflui richiami ai principi generali, che si dichiarano condivisi, esse si riducono, in buona sostanza, alla sola affermazione per cui, nonostante la natura esclusivamente obbligatoria del preliminare, con il prevedervi anche l'immediata consegna del bene verso la contestuale corresponsione, in tutto od in parte, del prezzo, i contraenti intendono anticipare "l'effetto traslativo del diritto" proprio del definitivo. Tesi siffatta non può trovare adesione, sia che della fattispecie in esame si consideri l'aspetto possessorio, in quanto il possesso non è suscettibile di trasferimento disgiuntamente dal diritto reale del quale costituisce l'esercizio, sia che se ne consideri quello contrattuale, in quanto la disponibilità della res conseguita dal promissario acquirente deriva da un contratto di comodato collegato al preliminare per il quale al comodatario è attribuita la detenzione e non il possesso; ciò per le ragioni che di seguito si espongono.In primis, è lo stesso invocato intento delle parti ad esservi erroneamente individuato e/o travisato, in quanto, con lo stipulare un preliminare, sono per l'appunto gli effetti reali traslativi, propri del definitivo, che le parti non vogliono si verifichino per effetto immediato e diretto della conclusa convenzione. La situazione giuridica in esame, come evidenziato anche in dottrina, è, in vero, il portato d'una prassi contrattuale sviluppatasi, essenzialmente nel settore immobiliare, in ragione della sua attitudine a fornire uno strumento idoneo a soddisfare sollecitamente determinate esigenze delle parti, principalmente la disponibilità del bene per l'una e del denaro per l'altra ma ulteriori se ne possono agevolmente ipotizzare, pur contestualmente garantendone i rispettivi diritti sui beni oggetto delle reciproche attribuzioni, indipendentemente dalla sorte della convenzione, per il tempo necessario a che si realizzino quelle condizioni oggettive e/o soggettive, agevolmente ipotizzabili anch'esse nella loro molteplicità, in ragione delle quali - tanto che siano rimaste del tutto estranee alla convenzione, eppertanto giuridicamente irrilevati anche a solo livello di presupposizione, quanto che, invece, sianvi espressamente previste come condizioni sospensive o risolutive - le parti stesse non hanno voluto o potuto addivenire ad un contratto definitivo.Sono usuali, al riguardo, particolarmente nella materia delle compravendite immobiliari - che è quella più interessata dal fenomeno - le ipotesi in cui il promittente venditore debba portare a termine procedimenti amministrativi di regolarizzazione dell'edificio od opere di completamento dell'edificio stesso o delle infrastrut- ture accessorie od estinguere ipoteche o mutui, in difetto di che non sussiste l'interesse e conseguentemente la volontà di perfezionare l'acquisto da parte del promissario acquirente; o quelle in cui quest'ultimo debba, a sua volta,

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procurarsi, anche in più riprese, le disponibilità necessarie alla corresponsione integrale del prezzo, il conseguimento del quale condiziona parimenti interesse e volontà del promittente venditore alla realizzazione della vendita. Dottrina e giurisprudenza, quando - sulla considerazione per cui la terminologia "promette di vendere o di acquistare" non è automaticamente indicativa d'una semplice promessa e la cosiddetta anticipazione degli effetti della vendita può essere indice dell'intento di porre in essere un contratto definitivo se il differimento della manifestazione di volontà non risulti chiaramente dal contratto - affermano che, al fine di attribuire ad una stipulazione il contenuto del contratto di compravendita o piuttosto quello del preliminare di compravendita, è determinante l'identificazione del comune intento delle parti - diretto, nel primo caso, al trasferimento della proprietà della res verso la corresponsione di un certo prezzo, conformemente alla causa negoziale dell'art. 1470 c.c., e, nel secondo caso, all'insorgenza di un particolare rapporto obbligatorio che impegni ad un'ulteriore manifestazione di volontà, alla quale sono rimessi il trasferimento del diritto dominicale sulla res e l'adempimento dell'obbligazione del pagamento del prezzo - onde il giudice del merito deve esaminare la stipulazione nel suo complesso al fine di accertare la comune volontà delle parti nell'un senso piuttosto che nell'altro, compiono, in verità, solo un primo approccio alla questione in esame, che, evidentemente, più non si porrebbe ove l'accertamento demandato al giudice si risolvesse nel senso del contratto ad effetti reali, dacché, in tal caso, non vi sarebbe, evidentemente, luogo a parlare di preliminare, dacché le prestazioni rese avrebbero già realizzato gli effetti del definitivo.Viceversa, se l'accertamento compiuto dal giudice dovesse approdare al preliminare, è da escludere in re ipsa, come si è già sottolineato, che le parti intendessero realizzare qualsiasi effetto del definitivo, eppertanto, ai fini della soluzione della questione in esame, si rende necessaria un'indagine ulteriore e diversa in ordine alla volontà delle parti, onde identificare quali effetti, differenti da quelli propri del definitivo ma aggiuntivi rispetto a quelli ordinari del preliminare, le parti stesse avessero inteso far derivare dalla convenzione, in attuazione della quale ed in particolare delle pattuizioni aggiuntive hanno, di seguito, operato alcune prestazioni corrispondenti a quelle proprie del definitivo. Al fine della qual ulteriore indagine, devesi preliminarmente considerare come la previsione e l'esecuzione della traditio della res e/o del pagamento, anche totale, del prezzo non siano affatto, di per se stessi, incompatibili con l'intento di stipulare un contratto solo preliminare di compravendita, dacché, in tal guisa operando, le parti manifestano e concretamente realizzano esclusivamente l'intento d'anticipare non gli effetti del contratto di compravendita - l'impegno alla cui futura stipulazione costituisce l'oggetto delle obbligazioni assunte con la convenzione stipulata nella prescelta forma del preliminare, mentre tali effetti rappresentano, per contro, proprio quel risultato cui le parti stesse non hanno inteso, al momento, pervenire - ma solo quelle prestazioni che delle obbligazioni nascenti dalla compravendita costituiscono l'oggetto, id est la consegna della res ed il pagamento del prezzo, quali, ex artt. 1476 e 1498 c.c., sono poste a carico, rispettivamente, del venditore e del compratore (nel tempo, Cass. 19.4.00 n. 5132, 7.4.90 n. 2916, 3.11.88 n. 5962, ma già 1.12.62 n. 3250).

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Escluso che con la stipulazione del preliminare, sia pure con previsione, ed esecuzione, della consegna della res e/o del pagamento del prezzo, le parti debbano avere necessariamente inteso che si verificassero gli effetti della compravendita - nel qual caso, d'altronde, come si è già evidenziato, si sarebbe in presenza d'un definitivo e non d'un preliminare - devesi anche escludere che, in virtù di tale esecuzione, possa essersi trasmesso dal promittente venditore al promissario acquirente il possesso della res. In vero, come questa Corte ha già avuto occasione d'evidenziare - richiamando anche accreditata dottrina, per la quale "ciò che si trasferisce è solo l'oggetto del possesso, il quale, invece, non si compra e non si vende, non si cede e non si riceve per l'effetto di un negozio", e, perciò, "l'acquisto a titolo derivativo del possesso è un'espressione da usarsi solo in senso empirico e traslato" - dalla stessa nozione del possesso, definito dall'art. 1140 cod. civ. come "il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale", si evince ch'esso non può essere trasferito per contratto separatamente dal diritto del quale esso costituisca l'esercizio, considerato che un'attività non è mai trasmissibile, ma può solo essere intrapresa, e l'intrasmissibilità è maggiormente evidente in ordine al possesso, in quanto l'attività che lo contraddistingue deve essere accompagnata dall'animus possidendi (volontà di esercitare sulla cosa una signoria corrispondente alla proprietà o ad altro diritto reale), cioè da un elemento che, per la sua soggettività, può essere proprio soltanto di colui che attualmente possiede e non di chi ha posseduto in precedenza. (Cass. 27.9.96 n. 8528).Quindi esattamente si è affermato in dottrina che, essendo il possesso uno stato di fatto, l'acquisto ne è in ogni caso originario, sì che anche chi propende per la tesi contraria riconosce che di acquisto derivativo possa parlarsi "soltanto per sottolineare che l'acquisto del possesso ha luogo con l'assenso e la partecipazione del precedente possessore e non con il solo contegno di colui che acquista il possesso, come accade nell'apprensione". L'unica eccezione a questa regola si ha nella successione universale, ma è un'eccezione espressamente prevista e regolata dal legislatore che, in forza dell'elaborata fictio legis, ha consentito la continuazione nell'erede del possesso esercitato dal de cuius, con effetto dall'apertura della successione, indipendentemente dalla verificazione dei suoi presupposti di fatto, ma, appunto perché di diritto singolare ed eccezionale, l'istituto non può essere utilizzato onde pervenire ad una soluzione diversa da quella indicata con la richiamata regola generale.Nè, a sostegno della tesi della possibilità d'una trasmissione contrattuale del possesso, può richiamarsi l'art. 1146 c.c., comma 2, perché per tale norma l'accessio possessionis, da essa prevista, ha, per presupposto indispensabile, l'esistenza di un titolo, anche viziato, idoneo in astratto, alla cessione del diritto di proprietà (o di altro diritto reale) del bene formante oggetto del possesso (Cass. 6552/81, 3876/76, 3369/72, 936/70, 1378/64, 1044/62); inoltre, la norma non prevede affatto la trasmissione del possesso da un soggetto all'altro, ma soltanto la possibilità per il successore a titolo particolare (acquirente o legatario) di unire al proprio possesso quello distinto e diverso del dante causa per goderne gli effetti sostanziali e processuali.Per altro verso, devesi considerare che il preliminare di compravendita con il quale

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siano contestualmente pattuite anche la consegna anticipata della res e la corresponsione del pari anticipata del prezzo in una o più soluzioni non è un contratto atipico, almeno se con tale termine s'intende definire un contratto caratterizzato da una funzione economico-sociale non riconducibile agli schemi normativamente predeterminati e tuttavia suscettibile di riconoscimento e di tutela, sul presupposto dell'autonomia contrattuale che l'ordinamento riconosce ai privati, in ragione della sua liceità e della sua meritevolezza.Nella fattispecie in esame va ravvisata, infatti, la convergenza, in un'unica convenzione, degli elementi costitutivi di più contratti tipici, nel qual caso resta escluso che la convenzione stessa possa essere qualificata come atipica, dal momento che, sia pure considerata nelle sue plurime articolazioni, non è intesa a realizzare una funzione economico-sociale nuova e diversa rispetto a quelle dei singoli contratti tipici che in essa sono confluiti. Pertanto, considerato che le parti, nell'esplicazione della loro autonomia negoziale, possono, con manifestazioni di volontà espresse in un unico contesto, dar vita a più negozi tra loro del tutto distinti ed indipendenti, come pure a più negozi variamente interconnessi, la qualificazione della fattispecie va, piuttosto, effettuata con riguardo alla sua riconducibilità nell'ambito d'una delle categorie, elaborate da dottrina e giurisprudenza nell'esame delle fattispecie congeneri, dei contratti misti o complessi, o dei contratti collegati.I contratti misti o complessi sono quelli maggiormente assimilabili al contratto atipico, se pur se ne differenziano per non essere intesi alla realizzazione d'una funzione economico-sociale nuova e diversa rispetto a quelle dei contratti tipici che vi confluiscono, dacché in essi la pluralità degli schemi contrattuali tipici u- tilizzati si combina in guisa che, per la fusione delle cause, gli elementi costitutivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi costitutivi di un negozio rispetto a ciascun d'essi autonomo e distinto caratterizzato dall'unicità della causa; con la precisazione, evidenziata da alcuna parte della dottrina, per cui, nei contratti misti, si ha un solo schema negoziale, al quale vengono apportate alcune variazioni mediante l'inserimento di clausole assunte da uno o più diversi schemi, mentre, in quelli complessi, si ha la convergenza di tutti gli elementi costitutivi tratti da più schemi negoziali tipici nella regolamentazione dell'unico negozio risultantene.Nell'una ipotesi come nell'altra, la disciplina del contratto è unitaria, come unitaria ne è la causa, e va ravvisata in quella del negozio di maggior rilievo, questo da individuarsi, quanto al contratto misto, nell'unico contratto cui sono stati aggiunti singoli elementi tratti da altri e che in esso si fondono (teoria dell'assorbimento), e, quanto al contratto complesso, in quello, tra i più contratti integralmente confluiti nell'unica convenzione, cui, all'esame della volontà quale in concreto manifestata dalle parti, risulti essere stato conferito rispetto agli altri il maggior rilievo in considerazione della finalità perseguita (teoria della prevalenza).Minor seguito ha, in dottrina, la tesi per cui, nell'ipotesi del contratto complesso, i vari profili della convenzione andrebbero singolarmente disciplinati con riferimento allo schema contrattuale corrispondente (teoria della combinazione); ed, in effetti, tesi siffatta non consente, poi, a differenza dalla teoria della prevalenza, un'adeguata differenziazione di disciplina tra la fattispecie del contratto complesso e quella dei contratti collegati. La quale ricorre ove più contratti autonomi, ciascuno caratterizzato

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dalla propria causa, formino oggetto di stipulazioni coordinate, nell'intenzione delle parti, alla realizzazione di uno scopo pratico unitario, costituito, di norma, dall'agevolare la realizzazione della funzione economico-sociale dell'un d'essi.Il collegamento contrattuale, come è stato ripetutamente evidenziato dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, nei suoi aspetti generali non da luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto, bensì attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi.Ond'è che il criterio distintivo fra contratto unico, se pur misto o complesso, e contratto collegato non va ravvisato in elementi formali - quali l'unità o la pluralità dei documenti contrattuali (un contratto può essere unico anche se ricavabile da più testi, mentre un unico testo può riunire più contratti) o la mera contestualità delle stipulazioni (i contratti posso essere stipulati anche in momenti diversi in relazione ad esigenze sopravvenute) - ma nell'elemento sostanziale dell'unicità o pluralità degli interessi perseguiti, dacché il "contratto collegato" non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamentazione degli interessi economici delle parti caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull'altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all'altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio.Pertanto, affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorrano sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale.Tanto considerato, risulta evidente come la fattispecie in discussione debba essere ricondotta alla categoria dei contratti collegati.In essa, infatti, le parti, onde agevolare, per le plurime ragioni quali in precedenza accennate, la realizzazione delle finalità perseguite con la stipulazione del preliminare di compravendita, stipulano altresì - e, come del pari si è già evidenziato, ciò può aver luogo contemporaneamente e contestualmente al preliminare ma anche in tempi e con atti diversi, a seconda che le circostanze lo richiedano - dei contratti accessori, al preliminare necessariamente perché funzionalmente connessi e, tuttavia, autonomi rispetto ad esso, rispondendo ciascuno ad una precisa tipica funzione economico- sociale eppertanto disciplinati ciascuno dalla pertinente normativa sostanziale.Contratti con i quali le parti pervengono ad una regolamentazione, se pur provvisoria tuttavia ben definita, dei rapporti accessori funzionalmente collegati al principale e nei quali, secondo un'autorevole opinione dottrinaria meritevole d'esser condivisa, vanno ravvisati, quanto alla concessione dell'utilizzazione della res da parte del promittente venditore al promissario acquirente, un comodato e,

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quanto alla corresponsione di somme da parte del promissario acquirente al promittente venditore, un mutuo gratuito. Ne consegue, con riferimento al primo dei considerati contratti, che la materiale disponibilità della res nella quale il promissario acquirente viene immesso, in esecuzione del contratto di comodato, ha natura di detenzione qualificata esercitata nel proprio interesse ma alieno nomine e non di possesso.Possesso che il promissario acquirente può, dunque, opporre al promittente venditore solo nei modi previsti dall'art. 1141 c.c., in particolare assumendo e dimostrando un'intervenuta interversio possessionis.Questa, come ha correttamente ricordato il giudice a quo, non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore ha cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine alieno ed ha iniziato ad esercitarlo esclusivamente nomine proprio ed, inoltre, manifestazione siffatta dev'essere non solo tale da palesare inequivocabilmente l'intenzione del soggetto di sostituire al precedente animus detinendi un nuovo animus rem sibi habendi, ma anche essere specificamente rivolta contro il possessore, in guisa che questi sia posto in condizione di rendersi conto dell'avvenuto mutamento, quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere della concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte del possessore stesso; tra tali atti, ove non accompagnati da altra manifestazione dotata degli indicati connotati dell'opposizione, non possono ricomprendersi ne' quelli che si traducano in una inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi in tal caso un'ordinaria ipotesi d'inadempimento contrattuale, ne' quelli che si traducano in ordinari atti d'esercizio del possesso, verificandosi in tal caso una mera ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (…)

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Il preliminare di vendita di cosa altrui

Sez. U, Sentenza n. 11624 del 18/05/2006 (Rv. 588777)

Presidente: Carbone V.  Estensore: Bucciante E.  Relatore: Bucciante E.  P.M. Iannelli D. (Conf.)

La Gamba ed altro (Tonfoni ed altri) contro Profeti (Magrini ed altri)

(Rigetta, App. Firenze, 21 Marzo 2000)

187 VENDITA  -  121 DI COSA ALTRUI - IN GENERE

VENDITA - SINGOLE SPECIE DI VENDITA - DI COSA ALTRUI - IN GENERE - Preliminare di vendita di cosa altrui - Obbligazione del promittente venditore - Esecuzione del suo adempimento anche in caso di buona fede del promissario - Ammissibilità - Modalità di realizzazione di detto adempimento - Impegno a procurare l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario - Legittimità - Azione di risoluzione del contratto, da parte del promissario acquirente per assunto inadempimento del promittente venditore prima della scadenza del termine per la stipulazione del definitivo - Configurabilità - Esclusione - Fondamento.

In tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario. Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all'atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela.

Testo. Con sentenza del 18 marzo 1998 il Tribunale di Pistoia ha pronunciato la risoluzione, per inadempimento di Mirella Profeti, di un contratto preliminare con il quale costei si era obbligata a vendere a Wladimiro La Gamba e Teresa Virdò un podere con casa colonica sito in Larciano, e ha condannato la promittente alienante alla restituzione degli acconti ricevuti, nella misura di L. 17.000.000, nonché al rimborso delle spese di giudizio.Impugnata in via principale da Wladimiro La Gamba e Virdò Teresa, incidentalmente da Mirella Profeti, la decisione è stata riformata dalla Corte di appello di Firenze, che con sentenza del 21 marzo 2000, in parziale accoglimento di entrambi i gravami, ha dichiarato il contratto risolto per inadempimento del La Gamba e della Virdò, ha

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rideterminato in L. 16.000.000 la somma che doveva essere loro rimborsata, ha confermato il rigetto della domanda di risarcimento di danni formulata dalla Profeti, ha posto a carico degli appellanti principali metà delle spese di entrambi i gradi di giudizio, compensandole tra le parti per l'altra metà. A queste pronunce il giudice di secondo grado è pervenuto ritenendo: che "unica ragione della mancata stipula va ricondotta alla mancata proprietà del bene da parte della promittente venditrice, ma appare pacifico che in realtà anche tale questione era stata risolta precedentemente (il che assorbe ogni rilievo relativo all'effettiva conoscenza di tale altruità da parte dei La Gamba) essendosi la Profeti presentata munita di procura a vendere del tutto rituale, relativa al bene de quo e rilasciata dai proprietari due giorni prima e davanti allo stesso notaio"; che "è d'altronde indiscusso che in caso di preliminare di vendita l'obbligo del promittente venditore è quello di procurarsi la proprietà del bene o di ottenere dal proprietario il consenso o l'autorizzazione alla vendita - Cass. 18.4.96 n. 3677;14.2.77 n. 367; 11.8.90 n. 8228 - per cui non è dato vedere cosa possa imputarsi alla Profeti che era perfettamente in grado di vendere il bene alla data prefissata"; che "nè può sostenersi - come sembrano fare i La Gamba - che essi acquistando da "altri" potevano risultare meno garantiti, rispetto alla Profeti: invero nei loro confronti e in relazione alle garanzie loro spettanti per legge, unico interlocutore era e restava la Profeti personalmente e direttamente, per cui solo sulla Profeti continuavano a ricadere tutte le garanzie in materia di vizi o di evizione - v. Cass. 6.7.84 n. 3963"; che "non vi è alcuna prova (che la Profeti nemmeno ha chiesto di fornire)", in ordine ai danni da lei lamentati. Wladimiro La Gamba e Teresa Virdò hanno proposto ricorso per cassazione, in base a un motivo. Mirella Profeti si è costituita con controricorso, formulando a sua volta due motivi di impugnazione in via incidentale, e ha depositato una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

(…) Con il motivo addotto a sostegno del ricorso principale La Gamba Wladimiro e Teresa Virdò lamentano che la Corte di appello "ha applicato il disposto dell'art. 1478 c.c. anziché quanto previsto dall'art. 1479 c.c.", pur se "al momento della sottoscrizione del contratto preliminare di compravendita la sig.ra Profeti Mirella non aveva messo a conoscenza i promittenti acquirenti che l'immobile fosse di proprietà di altri" e in tali casi "è possibile per il compratore chiedere la risoluzione del contratto salvo che il venditore non abbia, nel frattempo, acquistato la proprietà della cosa", mentre "nella fattispecie ciò era tanto più importante perché esistevano, come è stato riconosciuto da tutti i testi, problemi di esercizio del diritto di prelazione da parte di terzi, con la conseguenza che i ricorrenti non avrebbero più avuto la garanzia da parte del loro originale contraddittore e promittente venditore". Secondo i ricorrenti principali, pertanto, Profeti Mirella avrebbe dovuto acquistare lei stessa l'immobile in questione e poi trasferirlo a loro, sicché legittimamente avevano rifiutato di farselo alienare direttamente dagli effettivi proprietari, per il tramite della stessa Profeti in veste di loro procuratrice. In ordine alle modalità di adempimento dell'obbligazione assunta dal promittente venditore di una cosa altrui, nella giurisprudenza di legittimità è insorto un contrasto, per la cui composizione la causa è stata assegnata alle sezioni unite.In prevalenza, questa Corte si è orientata nel senso che la prestazione può essere eseguita, indifferentemente, acquistando il bene e ritrasmettendolo al promissario,

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oppure facendoglielo alienare direttamente dal reale proprietario, in quanto l'art. 1478 c.c. - relativo al contratto definitivo di vendita di cosa altrui, ma applicabile per analogia anche al preliminare - dispone che il venditore "è obbligato a procurarne l'acquisto al compratore", il che può ben avvenire anche facendo sì che il terzo, al quale il bene appartiene, lo ceda egli stesso al promissario (v., tra le più recenti, Cass. 6 ottobre 2000 n. 13330, 23 febbraio 2001 n. 2656, 27 novembre 2001 n. 15035, 5 novembre 2004 n. 21179, 24 novembre 2005 n. 24782). Talvolta si è però deciso che l'obbligazione in questione deve invece essere adempiuta acquistando il bene e ritrasferendolo, in particolare nel caso in cui l'altra parte non fosse stata consapevole dell'altruità, poiché l'art. 1479 c.c. - anch'esso dettato per la vendita definitiva, ma estensibile a quella preliminare - abilita il compratore a "chiedere la risoluzione del contratto, se, quando l'ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà" (v. Cass. 5 luglio 1990 n. 7054, 10 marzo 1999 n. 2091, relative, rispettivamente, a un contratto definitivo e a uno preliminare di vendita di cosa altrui).

Ritiene il collegio che debba essere seguito l'indirizzo giurisprudenziale maggioritario.Stante la latitudine delle citate previsioni normative, non vi è ragione per escludere che la prestazione possa essere eseguita "procurando" il trasferimento del bene direttamente dall'effettivo proprietario, senza necessità di un doppio trapasso; il 2 comma dell'art. 1478 c.c., menziona bensì l'acquisto che eventualmente compia l'alienante, nel caso di vendita (definitiva) di cosa altrui, ma come una particolare modalità di adempimento, alla quale eccezionalmente riconnette l'effetto di far diventare senz'altro proprietario il compratore.Nè una diversa soluzione può essere adottata per il caso in cui il promissario avesse ignorato, al momento della conclusione del preliminare, la non appartenenza del bene al promittente. Il disposto dell'art. 1479 c.c., che consente al compratore in "buona fede" di chiedere la risoluzione del contratto, è coerente con la natura - di vendita definitiva - del negozio cui si riferisce, destinato, nell'intenzione delle parti, a esplicare quell'immediato effetto traslativo che è stabilito dall'art. 1376 c.c., ma è impedito dall'altruità della cosa: altruità che invece non incide sul sinallagma instaurato con il contratto preliminare, il quale ha comunque efficacia soltanto obbligatoria, essendo quella reale differita alla stipulazione del definitivo, sicché nessun nocumento, fino alla scadenza del relativo termine, ne deriva per il promissario. Dall'art. 1479 c.c., pertanto, non può desumersi che egli sia abilitato ad agire per la risoluzione - e quindi ad opporre l'exceptio inadimpleti contractus - se l'altra parte, nel momento in cui vi è tenuta, è comunque in grado di fargli ottenere l'acquisto, direttamente dal proprietario.D'altra parte, il ritenere esatta tale modalità di adempimento è in sintonia con l'essenza e la funzione del contratto preliminare di vendita, quali sono state individuate nelle più recenti elaborazioni dottrinali, che hanno superato la concezione tradizionale dell'istituto e che qualche riflesso hanno avuto anche in giurisprudenza.Il contratto preliminare non è più visto come un semplice pactum de contrahendo,

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ma come un negozio destinato già a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il definitivo, sicché il suo oggetto è non solo e non tanto un facere, consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto un sia pure futuro dare: la trasmissione della proprietà, che costituisce il risultato pratico avuto di mira dai contraenti. Se il bene già appartiene al promittente, i due aspetti coincidono, pur senza confondersi, ma nel caso dell'altruità rimangono distinti, appunto perché lo scopo può essere raggiunto anche mediante il trasferimento diretto della cosa dal terzo al promissario, il quale ottiene comunque ciò che gli era dovuto, indipendentemente dall'essere stato - o non - a conoscenza della non appartenenza della cosa a chi si era obbligato ad alienargliela. Nè vale obiettare che l'identità del venditore, come i ricorrenti principali deducono, non è indifferente per il compratore, il quale può risultare meno tutelato, relativamente all'evizione e ai vizi. In proposito, in consonanza con le menzionate opinioni dottrinali, la giurisprudenza si è orientata nel senso che la conclusione del definitivo, per tali profili, non assorbe ne' esaurisce gli effetti del preliminare, il quale continua a regolare i rapporti tra le parti, sicché il promittente alienante resta responsabile per le garanzie di cui si tratta (v., da ultimo, Cass. 27 novembre 2001 n. 15035).Si deve quindi affermare che il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario. Alla stregua di questo principio, il ricorso principale va rigettato, dovendosi riconoscere che la Corte di appello correttamente ha ritenuto superfluo accertare se Wladimiro La Gamba e Virdò Teresa fossero stati inizialmente ignari dell'altruità dell'immobile in questione, essendo anche in tale ipotesi ingiustificato il loro rifiuto di addivenire alla conclusione del contratto definitivo, dato che Mirella Profeti si era munita di una procura rilasciatale dagli effettivi proprietari del bene, che la abilitava a effettuarne la vendita in nome loro. (. . .).

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Il preliminare di vendita di bene in comunione ordinaria

Sez. U, Sentenza n. 7481 del 08/07/1993 (Rv. 483048)

Presidente: Brancaccio A.  Estensore: Triola RM.  P.M. Di Renzo M. (Conf)

Boffa (Cersosimo e Mela) contro Giracca (Villani e Goglino)

(Cassa con rinvio, App. Torino, 5 maggio 1990).

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

Contratti in genere - Contratto preliminare (compromesso) - Esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto - Promessa di vendita di un bene in comunione - Formazione di una unica parte complessa costituita dai singoli comproprietari e di una unica volontà negoziale - Configurabilità - Limiti - Mancanza o invalidità di una delle dichiarazioni dei comproprietari - Conseguenze - Possibilità del promissario acquirente di ottenere la sentenza esecutiva ex art. 2932 cod. civ. nei confronti dei soli comproprietari promittenti - Esclusione.

La promessa di vendita di un bene in comunione è, di norma, considerata dalle parti attinente al bene medesimo come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari, di guisa che questi ultimi - salvo che l'unico documento predisposto per il detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente, con esclusione di forme di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi all'inadempimento di uno di essi - costituiscono un'unica parte complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un'unica volontà negoziale. Ne consegue che, quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare, escludendosi, pertanto, in toto la possibilità del promissario acquirente di ottenere la sentenza costitutiva di cui all'art. 2932 cod. civ. nei confronti dei soli comproprietari promittenti, sull'assunto di una mera inefficacia del contratto stesso rispetto a quelli rimasti estranei.

Testo. Con atto notificato il 28 aprile 1984 Giuseppe Buffa conveniva davanti al Tribunale di Alessandria Giancarlo Giracca ed esponeva:

- che in data 6 gennaio 1974 aveva concluso un accordo con Mario Scianca, qualificatosi procuratore degli eredi di Giovanni Battista Giracca e cioè di Giancarlo

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Giracca, Giuseppina Giracca e Agostina Lanzone, per l'acquisto di un complesso immobiliare già appartenente al predetto Giovanni Battista Giracca:

- che l'accordo, che non era stato sottoscritto dalle parti stipulanti, prevedeva l'impegno delle stesse ad incontrarsi la sera del 9 gennaio 1974 per formalizzare il consenso:- che effettivamente in tale ultima data si erano riuniti esso attore, Giancarlo Giracca e Mario Scianca (questi sempre nella asserita qualità di procuratore di Giuseppina Giracca) e sullo stesso foglio utilizzato il 6 gennaio 1974 era stata apposta la dicitura "assenso definitivo di accettazione del compromesso del 6 gennaio 1974 alle condizioni già pattuite":- che il documento era stato sottoscritto da Giancarlo Giracca sul bordo della terza pagina "per sè e altri eredi" e in calce alla quarta pagina con l'aggiunta "e eredi":- che successivamente gli eredi di Giovanni Battista Giracca si erano rifiutati di procedere alla stipula dell'atto pubblico:

tanto premesso, l'attore chiedeva, in via principale, che venisse accertata l'autenticità delle scritture private del 6 gennaio 1974 e 9 gennaio 1974 e che venisse dichiarato che Giancarlo Giracca era tenuto a fargli acquistare la proprietà dei beni oggetti del contratto: in via subordinata chiedeva che venisse dichiarato che il convenuto era tenuto a fargli acquistare la proprietà della sua quota.Giancarlo Giracca, costituitosi, deduceva che il contratto preliminare del 6 gennaio 1974 era stato sottoposto alla condizione sospensiva della ratifica parte dei titolari del diritto di proprietà e di usufrutto entro il 9 gennaio 1974, condizione non verificatasi.Subordinatamente, in via riconvenzionale, Giancarlo Giracca chiedeva, tra l'altro, che venisse pronunciata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità.Nel giudizio interveniva Giuseppina Giracca, la quale, per l'ipotesi in cui Giancarlo Giracca si fosse impegnato a trasferire la propria quota, dichiarava di voler esercitare il diritto di prelazione di cui all'art. 732 cod. civ.

Con sentenza in data 27 marzo 1987 il Tribunale rigettava la domanda principale e dichiarava che a Giuseppina Giracca spettava il diritto di prelazione sulla quota di Giancarlo Giracca. Il Buffa proponeva appello principale.

Giancarlo Giracca e Giuseppina Giracca proponevano separati appelli incidentali, dolendosi rispettivamente del riconoscimento del diritto di prelazione e del regolamento delle spese. Con sentenza in data 9 maggio 1990 la Corte di appello di Torino rigettava gli appelli di Giuseppe Buffa e di Giancarlo Giracca ed accoglieva l'appello di Giuseppina Giracca.Il giudice di secondo grado riteneva, innanzitutto, che infondatamente Giancarlo Giracca sosteneva che il contratto era stato subordinato all'assenso di tutti gli aventi diritto sul complesso immobiliare che ne costituiva l'oggetto, per cui, non essendo stato sottoscritto dagli altri coeredi i legatari ex lege, era diventato inefficace.

Secondo la corte di appello era esatto il rilievo che oggetto del contratto era l'intero complesso immobiliare e che la sua efficacia era stata subordinata al consenso di tutti

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gli aventi diritto: tutto ciò, tuttavia, non consentiva di affermare che nel contratto era stata dedotta una condizione che subordinava la efficacia, della promessa di vendita al consenso di tutti i comproprietari, non risultando tale clausola espressa nel contratto, in quanto esso, nel fare generico riferimento alle parti che avrebbero dovuto riunirsi il 9 gennaio 1974, non escludeva che l'assenso fosse prestato ex parte venditoris da uno soltanto del comproprietari dell'immobile, eventualmente anche per conto degli altri.Ne conseguiva che la sottoscrizione di Giancarlo Giracca era idonea a far assumere allo stesso l'impegno a trasferire la sua quota.

Il giudice di secondo grado escludeva, poi, che sussistessero le condizioni per pronunciare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità e affermava che Giuseppina Giracca, non essendosi maturata la prescrizione, aveva efficacemente esercitato il diritto di prelazione, pur in assenza di una apposita denuntiatio. Secondo la Corte di appello andavano, infine, respinte le domande del Buffa diretta alla declaratoria dell'autenticità della sottoscrizione di Giancarlo Giracca apposta sulla scrittura privata del 6-9 gennaio 1974 ed alla condanna di Giancarlo Giracca all'adempimento del contratto, in quanto intese a far valere un diritto incompatibile con quelle vantato ed esercitato da Giuseppe Giracca.

Giuseppe Buffa ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi.Altro ricorso, con quattro motivi, ha proposto Gian Carlo Giracca, al quale resistono Giuseppe Buffa e Giuseppina Baracca con controricorso.Le parti hanno depositato memoria.MOTIVI DELLA DECISIONE

(…) Con il primo motivo del suo ricorso Giancarlo Giracca, denunciando violazione degli art. 1362 e 1367 cod. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione, propone due distinte censure. La prima investe l'affermazione della Corte di appello secondo la quale la condizione prevista nel documento redatto il 6 gennaio 1974 si sarebbe realizzata con la sottoscrizione del contratto preliminare in data 9 gennaio 1974 da parte di uno solo degli eredi. Osserva in proposito Giancarlo Giracca che tale affermazione è del tutto immotivata, se si tiene presente che le parti il 6 gennaio 1974 avevano rinviato la stipulazione del contratto preliminare proprio per consentire la manifestazione di un valido consenso alla vendita da parte di tutti gli eredi.La doglianza è sostanzialmente fondata, ma ciò non porta alla cessazione della sentenza impugnata.Occorre in proposito rilevare che (come risulta dall'atto di citazione, senza che la circostanza sia stata mai contestata dalle controparti) il documento redatto il 16 gennaio 1974 non era stato sottoscritto dalle parti.

La promessa di vendita in esso risultante era, pertanto, nulla per difetto della necessaria forma scritta. Tale nullità, che può essere rilevata anche in questa sede, travolge anche la clausola contenente la condizione di cui si discute e quindi il vizio di motivazione della sentenza impugnata diventa ininfluente. La controversia, va, pertanto, decisa sulla base della sola scrittura privata datata 9 gennaio 1974 e la seconda censura contenuta nel primo motivo del ricorso di Giancarlo Giracca investe l'affermazione della sentenza

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impugnata, secondo la quale, pur non essendo stato sottoscritto da tutti i comproprietari-coeredi, il contratto preliminare era comunque efficace per la quota di esso Giancarlo Giracca.

Nella giurisprudenza di questa S.C. vi è contrasto in ordine agli effetti del contratto preliminare di vendita di un bene considerato nella sua interezza da parte di alcuni soltanto dei comproprietari in previsione della prestazione del consenso anche da parte degli altri titolari di quote (la stessa problematica vale nella ipotesi in cui il consenso sia stato invalidamente prestato da alcuno dei comproprietari o sia stato prestato per essi da un falsus procurator).Secondo alcune decisioni - a meno che la vendita non sia stata espressamente condizionata al consenso di tutti i comproprietari - ricorre una ipotesi di inefficacia relativa del contratto, nel senso che soltanto l'acquirente può farla valere e non anche i comproprietari venditori validamente intervenuti nell'atto, i quali non hanno un interesse giuridicamente apprezzabile a che la cosa sia venduta per intero (cfr. in tal senso sent.: 17 maggio 1965 n. 941;14 agosto 1986 n. 5047; 9 novembre 1988 n. 3029).Una posizione in un certo senso simile è stata assunta da alcune decisioni di questa S.C. in campo tributario, le quali hanno affermato che, con riguardo ad un contratto avente ad oggetto la vendita di una cosa comune indivisa, ma sottoscritta da uno soltanto dei comproprietari che non abbia speso anche il nome degli altri, non è invocabile la figura del negotium in itinere, proprie della dichiarazione resa dal rappresentante senza potere, trattandosi invece di una vendita che, mentre è inidonea a produrre l'effetto traslativo dell'intero bene - per nullità discendente dalla incompletezza delle firme - può tuttavia determinare il trasferimento della quota del sottoscrittore, qualora l'acquirente non faccia valere la totale inefficacia dell'atto nei propri confronti: ne consegue che, ove tale inefficacia relativa non risulti dichiara ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 634 del 1972, il contratto suddetto è assoggettabile ad imposta di registro relativa al trasferimento della quota (sent. 5 marzo 1991 n. 2313; 5 maggio 1988 n. 3327).Secondo altre decisioni, invece, qualora un contratto preliminare avente ad oggetto un immobile indiviso non giunga a perfezione a seguito della mancata accettazione della relativa proposta da parte di tutti i comproprietari promessi venditori, vi è l'impossibilità di pretendere, attivamente o passivamente, la sua esecuzione specifica limitatamente ad una o ad alcun soltanto delle quote di comproprietà in cui risulta frazionata la proprietà dell'intero immobile, e che possa quindi procedersi ad una realizzazione soltanto parziale e frazionata degli effetti e del risultato, globalmente e unitariamente considerati, che avrebbero dovuto seguire e che furono tenuti presenti dalle parti contraenti nel corso delle trattative e durante la formazione del contratto preliminare: in tal caso, invero, mutando l'entità di una delle prestazioni, dovrebbe, correlativamente, modificarsi anche la controprestazione pattuita e tale modifica, essendo l'equilibrio fra le prestazioni una scelta autonoma delle parti, non potrebbe essere attuata dal giudice, in quanto la sentenza costitutiva prevista dall'art. 2932 cod. civ. deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, in luogo del contratto definitivo non concluso, il medesimo assetto di interessi assunto delle parti quale

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contenuto del contratto preliminare, senza possibilità alcuna di introdurvi modifiche (sent. 24 febbraio 1979 n. 1224; 14 novembre 1979 n. 5922;22 aprile 1981 n. 2363; 29 gennaio 1983 n. 7749; 1 febbraio 1993 n. 1219).Una posizione in un certo senso intermedia è stata assunta dalla sentenza 18 settembre 1991 n. 9749, per la quale non può essere elevato a regola generale il principio secondo il quale il comproprietario che sottoscrive un contratto di vendita di un immobile unitariamente considerato, in assenza degli altri comproprietari, esprime implicitamente la volontà di vendere la propria quota e non ha interesse ad eccepire il mancato perfezionamento del negozio, trattandosi di un semplice criterio di massima, che deve essere verificato e controllato nei singoli casi, in quanto il contratto in itinere può essere sottoscritto dalle parti nel comune presupposto (o "condizione tacita") dell'adesione successiva degli altri contitolari del bene, con la conseguenza che il negozio rimane inefficace, e non si trasforma in un diverso contratto di vendita di quota indivisa, qualora gli altri legittimati non esprimano il loro consenso; non vi è dubbio, infatti, che il singolo comproprietario possa avere interesse a vendere il bene solo congiuntamente agli altri aventi diritto (specialmente se questi sono stretti parenti o persone alle quali comunque non vuole recare danno) e non occorre che inserisca nella scrittura una specifica clausola in tal senso, quando il negozio è chiaramente predisposto come vendita unitaria. Nella indagine diretta ad accertare la volontà delle parti, oltre che dell'elemento letterale, si deve tener conto della proporzione delle rispettive quote, in quanto il principio favorevole alla tesi del compratore è stato applicato prevalentemente nei casi in cui la quota del comproprietario non aderente alla vendita era di scarsa entità, nonché del comportamento successivo delle parti e di ogni altro eventuale elemento utile ai sensi degli art. 1362 ss. cod. civ..Ad avviso del collegio il primo degli orientamenti esposti, secondo il quale nelle ipotesi di cui si discute è individuabile una "inefficacia relativa" del contratto preliminare, non può essere condiviso.Di inefficacia relativa, infatti, può parlarsi in presenza di un contratto validamente concluso il quale non possa trovare esecuzione per l'intero.Nel caso in cui, invece, con riferimento alla vendita di un bene in comunione, il consenso non sia stato manifestato da tutti i comproprietari, o sia stato validamente manifestato da alcuni soltanto di essi, non di inefficacia, ma di inesistenza (per mancato perfezionamento del suo iter formativo) o di invalidità del contratto si dovrà parlare, non essendosi formato (o non essendo stato validamente manifestato) il consenso di una delle parti. Quando, infatti, l'oggetto di una promessa di vendita sia un bene in comunione, di regola le parti considerano tale bene come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari e correlativamente questi ultimi costituiscono un'unica parte complessa, per cui le loro dichiarazioni di volontà di voler promettere in vendita non hanno autonomia, ma si fondono in un'unica volontà negoziale (quella della parte promittente venditrice).Ne consegue che quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida) non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare, il quale non viene ad esistenza (o è nullo).Non si può, pertanto, parlare di una semplice inefficacia relativa, che può essere

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fatta valere soltanto dal promittente compratore quale esclusivo titolare dell'interesse all'acquisto dell'immobile per intero, mentre il comproprietario che ha manifestato il suo consenso non ha un interesse giuridicamente apprezzabile a che la cosa indivisa sia venduta per intero. A prescindere dalla dubbia esattezza di tale ultima affermazione, una volta chiarito che la vendita non si è conclusa o è invalida, da un lato, non è configurabile un interesse alla sua esecuzione parziale da parte del promissario acquirente (per mancanza del diritto su cui tale interesse si dovrebbe fondare) e, dall'altro, il comproprietario promittente venditore che ha espresso il suo consenso (o lo ha espresso validamente) non oppone un semplice interesse contrario (giuridicamente apprezzabile o meno) alla sua richiesta di esecuzione parziale, ma invoca la insussistenza stessa del diritto vantato dalla controparte.Naturalmente nulla esclude che un documento sia formulato in modo tale che risulti in esso la riproduzione di più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente:in tal caso, a meno della previsione di una condizione (risolutiva o sospensiva) o della ricorrenza di una ipotesi di collegamento negoziale, la mancata conclusione (o la eventuale invalidità) di uno dei contratti non si ripercuoterà sugli altri per cui il promissario acquirente potrà pretendere la stipulazione del contratto definitivo dai comproprietari stipulanti relativamente alle quote di cui gli stessi sono titolari.Va chiarito, però, che in tale ipotesi non si potrà parlare di esecuzione parziale di un unico contratto, ma di esecuzione di una parte dei distinti contratti contenuti in un unico documento. Si potrebbe a tal punto porre il problema della indicazione dei criteri da utilizzare per stabilire, in presenza di un documento predisposto per la vendita di un bene comune per intero, se esso contenga un unico contratto (con una parte soggettivamente complessa) o se, invece, contenga più negozi ognuno dei quali ha ad oggetto una quota del bene.Ad avviso del collegio assumono valore decisivo (in favore della ricorrenza della prima ipotesi) la indicazione dell'oggetto del contratto come un bene unitario e soprattutto la previsione di un prezzo globale.Non sembra, invece, che possa far propendere per la seconda ipotesi la inserzione del contratto della clausola secondo la quale i comproprietari, ciascuno per la propria quota, promettono di vendere l'intero bene (od altre simili) trattandosi di clausola di stile intesa semplicemente a ribadire il principio pacifico che ciascun proprietario può disporre del bene solo nei limiti della propria quota.Per le considerazioni in precedenza svolte, con riferimento all'orientamento che nega la c.d. esecuzione parziale, se può condividersi la conclusione cui esso giunge, non altrettanto può farsi in ordine all'argomento che viene addotto a sostegno della stessa e desunto dal fatto che la sentenza ex art. 2932 cod. civ. deve necessariamente riprodurre il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche.Una volta, infatti, chiarito che nella ipotesi di cui si discute il contratto non si è mai concluso (o si è invalidamente concluso) viene a perdere ogni rilevanza la questione dei rapporti tra sentenza ex art. 2932 cod. civ. e contratto preliminare. (…)

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Preliminare e comunione legale

Sez. U, Sentenza n. 17952 del 24/08/2007 (Rv. 598342)

Presidente: Carbone V.  Estensore: Settimj G.  Relatore: Settimj G.  P.M. Iannelli D. (Conf.)

Luccioli (Conte ed altri) contro Luccioli (Non Cost.)

(Risolve il contrasto, App. Firenze, 28 Settembre 2002)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto - Preliminare concluso con promittente venditore coniugato in regime di comunione legale e senza il consenso del coniuge - Litisconsorzio necessario con l'altro coniuge - Configurabilità - Omessa integrazione del contraddittorio - Conseguenza - Nullità del giudizio.

082 FAMIGLIA  -  209 COMUNIONE LEGALE - IN GENERE

FAMIGLIA - MATRIMONIO - RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI - COMUNIONE LEGALE - IN GENERE - Domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto - Preliminare concluso con promittente venditore coniugato in regime di comunione legale senza il consenso del coniuge - Litisconsorzio necessario con l'altro coniuge - Configurabilità - Omessa integrazione del contraddittorio - Conseguenza - Nullità del giudizio.

Nell'azione prevista dall'art. 2932 cod. civ. promossa dal promissario acquirente, per l'adempimento in forma specifica o per i danni da inadempimento contrattuale, nei confronti del promittente venditore che, coniugato in regime di comunione dei beni, abbia stipulato il preliminare senza il consenso dell'altro coniuge, quest'ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del relativo giudizio, con la conseguenza che, qualora non sia stato integrato il contraddittorio nei suoi confronti, il processo svoltosi è da ritenersi nullo e deve essere nuovamente celebrato a contraddittorio integro. (Con l'affermazione di questo principio, le Sezioni unite hanno risolto il contrasto insorto in seno alle sezioni semplici sulla necessità o meno di detto litisconsorzio con riferimento alla specificata azione e, nel caso concreto, hanno dichiarato la nullità delle sentenze di primo e secondo grado, rinviando la causa, nella quale era stato pretermesso il coniuge

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litisconsorte necessario, dinanzi al primo giudice, ai sensi dell'art. 383, comma terzo, cod. proc. civ.).

Testo. Giuliano Massimo Luccioli ha convenuto il fratello Luccioli Cesare innanzi al tribunale di Firenze chiedendone, ex art. 2932 c.c., la condanna al trasferimento in proprio favore dell'unità immobiliare costituita da un appartamento al quarto ed ultimo piano dell'edificio sito alla via Cavour n. 37 di quella città ed, in subordine, al risarcimento dei danni, sulla premessa: che per contratto preliminare 28.7.89, Galliano Boldrini gli aveva promesso in vendita l'intero edificio al concordato prezzo di L. tre miliardi; che il 13.10.89 il nominato fratello gli aveva proposto di sostituirsi a lui nell'acquisto, promettendogli la cessione dell'unità immobiliare in questione, a compenso della svolta attività di mediazione, ove quel preliminare, subordinato al mancato acquisto del medesimo intero immobile da parte della Sovrintendenza, avesse avuto esecuzione, - che, in seguito, acquistato definitivamente l'immobile, il fratello, sottraendosi all'obbligazione assunta, aveva, invece, rifiutato di trasferirgli la proprietà della detta unità immobiliare. A tale domanda Cesare Luccioli si è opposto eccependo, preliminarmente in rito, il proprio difetto di legittimazione passiva, per essere stato l'edificio acquistato in comunione di beni con la propria moglie, non convenuta in giudizio, e quindi, nel merito, sia l'inefficacia della propria dichiarazione 13.10.89, in quanto promessa unilaterale cui la legge non riconosceva tale effetto, sia la nullità della dichiarazione stessa, non essendo la controparte iscritta all'albo dei mediatori, sia, in fine, essere l'obbligazione assunta limitata al trasferimento del solo usufrutto e non della proprietà, come ex adverso preteso, giusta la contemporanea dichiarazione in tal senso sottoscritta dalla controparte nel medesimo contesto.

Accoltasi la domanda ex art. 2932 c.c. dall'adito tribunale con sentenza 11.7.00, questa Cesare Luccioli ha impugnato con appello cui si è opposto Giuliano Massimo Luccioli.Decidendone con sentenza 28.9.02, la corte d'appello di Firenze ha accolto l'impugnazione ed, in totale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato entrambe le originarie domande, principale d'adempimento coattivo e subordinata di risarcimento, sulla considerazione in ordine alla prima - unico argomento rimesso alla decisione in questa sede - che l'eccezione riproposta dall'appellante, relativa alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della propria moglie comproprietaria in comunione dei beni dell'immobile controverso, fosse infondata, in quanto l'azione ex art. 2932 c.c. può essere promossa anche solo nei confronti del promittente, pur essendo il bene promesso oggetto di comunione di beni con il coniuge dello stesso, ove l'attore intenda conseguire una pronunzia limitata al trasferimento della quota del promittente medesimo; che, tuttavia, dacché nella specie l'originario attore non aveva limitato la pretesa alla sola quota dell'obbligato ma aveva chiesto il trasferimento dell'intera porzione immobiliare, costituente un unicum inscindibile del quale l'uno dei comproprietari non poteva disporre senza il consenso dell'altro, il giudizio sarebbe stato da promuovere anche nei confronti di quest'ultimo e, ciò non essendosi fatto, la domanda andava, appunto, rigettata.Avverso tale decisione Giuliano Massimo Luccioli ha proposto ricorso per cassazione,

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affidato a cinque motivi, cui resiste Luccioli Cesare con controricorso, anche contestualmente proponendo ricorso incidentale condizionato, cui, a sua volta, il ricorrente principale resiste con controricorso.Entrambe le parti hanno depositato memorie.Passata la causa in decisione, la 2^ Sezione Civile, esaminando il primo motivo del ricorso principale, con il quale è denunziato un vizio dell'impugnata sentenza per non essersi ravvisata nella specie un'ipotesi di litisconsorzio necessario, ha rilevato la sussistenza d'una divergenza d'opinioni, nella giurisprudenza di legittimità ed in seno alla stessa Sezione, in ordine alla necessità o meno della partecipazione del coniuge in comunione dei beni al giudizio nel quale si chieda il trasferimento coattivo d'un immobile ricompreso nella comunione familiare; donde la trasmissione degli atti al Primo Presidente, che ha assegnato a queste Sezioni Unite la soluzione del segnalato contrasto.MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, i due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza e tra loro connessi, vanno riuniti ex art. 335 c.p.c.. Va, poi, esaminata la questione sollevata dal controricorrente, con la memoria 27.12.06, relativamente alla ritenuta necessità d'esaminare preliminarmente il terzo motivo del ricorso principale, con il quale l'impugnata pronunzia è censurata nel capo in cui, decidendo della subordinata domanda risarcitoria, il giudice a quo ha escluso che dal rapporto inter partes, valutatene le varie possibili qualificazioni, potessero derivare gli effetti giuridici pretesi dall'originario attore; sostiene il controricorrente che, ove tale censura venisse disattesa, verrebbe meno l'interesse alla decisione sulla necessità o meno dell'integrazione del contraddittorio nel giudizio di merito.

La questione, anche a voler prescindere dalla non consentita tardiva proposizione in memoria, va comunque disattesa, in quanto, attenendo al merito della controversia, è essa necessariamente condizionata alla previa soluzione della questione posta sull'integrità del contraddittorio ab origine e non viceversa.

Con il motivo da esaminare in questa sede, si duole il ricorrente - denunziando violazione degli artt. 2932, 177, 184, 189 c.c., art. 354 c.p.c. - che il giudice a quo erroneamente abbia escluso la sussistenza del litisconsorzio necessario tra i coniugi in comunione dei beni nel giudizio ex art. 2932 c.c. che il promissario acquirente del bene oggetto di comunione, promessogli in vendita non da entrambi ma da uno soltanto dei coniugi comproprietari, abbia promosso nei soli confronti di quest'ultimo e, pur avendo riconosciuto che detta azione, ove intesa ad ottenere il trasferimento non della sola quota del promittente ma dell'intero bene, debba essere promossa nei confronti d'entrambi i coniugi, abbia tuttavia rigettato la domanda invece di rimettere la causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c. per l'integrazione del contraddittorio.

La censura è fondata: per la contestata esclusione del contraddittorio, oltre che per l'evidenziata contraddizione in termini.

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La comunione ordinaria, quale regolata dagli artt. 1100 e 1116 c.c., si configura come comunione pro indiviso o proprietà plurima parziaria, nella quale il diritto di proprietà è unico ed ha ad oggetto il bene nella sua interezza e, tuttavia, il diritto di ciascuno dei partecipanti non ha per oggetto ne' il bene nella sua interezza, ne' una parte fisicamente individuata di esso, bensì una quota ideale, proporzionata al suo diritto di partecipazione, del quale costituisce la misura.In tale situazione, la promessa di vendita di un bene in comunione (come hanno evidenziato queste SS.UU. con la sentenza 8.7.93 n. 7481) è, di norma, considerata dalle parti attinente al bene medesimo come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo a ciascuno dei comproprietari - salvo che l'unico documento predisposto per il detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari s'impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente, con esclusione di forme di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi all'inadempimento di uno di essi - di guisa che i detti comproprietari costituiscono un'unica parte complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un'unica volontà negoziale; onde, quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare, escludendosi, pertanto, in toto la possibilità per il promissario acquirente d'ottenere la sentenza costitutiva di cui all'art. 2932 c.c. nei confronti dei soli comproprietari promittenti, sull'assunto di una mera inefficacia del contratto stesso rispetto a quelli rimasti estranei, dacché, da un lato, non è configurabile un interesse alla sua esecuzione parziale da parte del promissario acquirente (per mancanza del diritto su cui tale interesse si dovrebbe fondare) e, dall'altro, il comproprietario promittente venditore che ha espresso il suo consenso (o lo ha espresso validamente) non oppone un semplice interesse contrario (giuridicamente apprezzabile o meno) all'avversa richiesta d'esecuzione parziale, ma invoca l'insussistenza stessa del diritto vantato dalla controparte.

La situazione è diversa ove si verta in tema di comunione legale tra coniugi, quale regolata dagli artt. 177 e 197 c.c..

Fondamentale è stata, al riguardo, la ricostruzione che dell'istituto ha operato la Corte costituzionale con la sentenza 17.3.88 n. 311, nella quale si è evidenziata la netta distinzione tra comunione ordinaria e comunione legale tra coniugi, questa configurata come una proprietà plurima parziaria, per più versi analoga alla classica communio ercto non cito, sulla considerazione:che trattasi di comunione senza quote; che i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione; che la quota non è un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari, la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione, la proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo debbono essere ripartiti tra i coniugi od i loro eredi. Configurazione cui consegue che, nei rapporti con i terzi,

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ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione e che il consenso dell'altro, richiesto dal modulo dell'amministrazione congiuntiva adottato dall'art. 180 c.c., comma 2 per gli atti di straordinaria amministrazione, non è un negozio unilaterale autorizzativo, nel senso d'atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso, secondo la nota teoria formulata dalla giuspubblicistica, di atto che rimuove un limite all'esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio, onde l'ipotesi regolata dall'art. 184 c.c., comma 1 tecnicamente si riferisce non ad un caso d'acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso d'acquisto a domino in base ad un titolo viziato. Per il che, nella comunione legale tra coniugi, la mancanza del consenso d'uno dei condomini al negozio avente ad oggetto diritti reali su immobili o mobili registrati non determina, come nella comunione ordinaria, l'invalidità assoluta del negozio, ma solo la sua annullabilità nello stabilito termine di prescrizione annuale (e tuttavia, come affermato nella massima CCos. 0010600, la prevista annullabilità dell'atto non costituisce deroga al generale principio d'inefficacia degli atti di disposizione posti in essere da alienante non legittimato, onde da parte della dottrina anche si sostiene che l'atto posto in essere dal singolo coniuge è colpito dalla sanzione generale dell'inefficacia dell'atto compiuto dal non legittimato nei confronti del coniuge pretermesso, e che in favore di quest'ultimo si aggiunge la possibilità d'esperire altresì l'azione speciale d'annullamento ex art. 184 c.c. al fine d'evitare di rimanere personalmente obbligato per l'inadempimento verso il terzo). La riportata metodologia ricostruttiva dell'istituto non ha trovato larghi consensi in dottrina - dalla quale se n'è anche evidenziata l'incoerenza con la ratio della comunione legale, quale introdotta dalla novella n. 151/1975, come intesa al superamento della discriminazione del coniuge più debole, insita nel precedente regime della separazione dei beni, ed alla maggiore tutela patrimoniale della famiglia - e tuttavia ha costituito la base delle pronunzie adottate in materia dalla successiva giurisprudenza di legittimità che, non di meno, pur partendo da tale comune presupposto, sulla questione che ne occupa è pervenuta, come si è visto, a soluzioni diametralmente opposte.

In particolare, la recente Cass. 28.10.04 n. 20867 - ponendosi in consapevole contrasto con la prevalente giurisprudenza anteriore, in ordine alla quale rileva come l'inevitabile coinvolgimento nel giudizio ex art. 2932 c.c. del coniuge rimasto estraneo al preliminare vi fosse stato asserito in modo generico - sulla considerazione che i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota ma solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni della comunione, che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione, che l'azione ex art. 2932 c.c. non ha natura reale ma personale, perviene alla conclusione per cui in quest'ultima non sia ravvisabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario, non vertendosi in situazione sostanziale caratterizzata da un rapporto unico ed inscindibile con pluralità di soggetti e non rivestendo, quindi, il coniuge rimasto estraneo al preliminare, del quale si chiede l'esecuzione in forma specifica, la qualità di parte la cui presenza in giudizio sia condizione essenziale affinché la sentenza non venga inutiliter data.

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In realtà, di quest'ultimo asserto - che non costituisce affatto una logica conseguenza delle premesse, atteso anche il carattere di specialità con il quale si pone la normativa regolatrice dell'istituto della comunione familiare - l'esaminata sentenza non fornisce dimostrazione alcuna, a differenza dai disattesi precedenti che, affatto generici al riguardo, la contraria opinione fondano su una pluralità d'argomenti validi, condivisi ed integrati dalla prevalente dottrina.Non appare, in vero, conclusiva la ragione - mutuata dalle remote Cass. 27.4.82 n. 2635 e 28.12.88 n. 7081 - addotta in considerazione della natura obbligatoria e non reale del preliminare. Va, infatti, considerato che i richiamati precedenti pervenivano a tale affermazione in funzione della ritenuta esperibilità dell'azione ex art. 2932 c.c. limitatamente alla quota del coniuge promittente venditore, tesi disattesa dalla giurisprudenza successiva, con espresso richiamo ai principi posti dal Giudice delle leggi con la richiamata sentenza 311/88, sulla considerazione dell'inconciliabilità dell'ingresso d'un estraneo nella comunione familiare con la natura e la disciplina peculiari dell'istituto (Cass. 2.2.95 n. 1252, 14.1.97 n. 284, 11.4.02 n. 5191, 19.3.03 n. 4033); d'altro canto, stante il pacifico principio per cui, in tema d'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c., la sentenza che tenga luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto d'interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche (e pluribus, Cass. 29.3.06 n. 7273, 25.2.03 n. 2824, 7.8.02 n. 11874, in tema di comunione Cass. 1.3.95 n. 2319, 3 0.12.94 n. 11358, 8.7.93 n. 7481, 2.8.90 n. 7749 e, nello specifico, Cass. 19.5.88 n. 3483), una volta che il preliminare abbia avuto ad oggetto l'obbligazione di trasferire l'intero bene, neppure potrebbe il promissario acquirente agire per il trasferimento della sola quota del promittente venditore.

La tesi in discussione, d'altronde, può giustificare, al più, il difetto di legittimazione attiva del coniuge rimasto estraneo all'atto compiuto dall'altro senza il suo consenso quando trattisi di diritti d'obbligazione, in quanto la comunione legale fra i coniugi, di cui all'art. 177 c.c., attiene agli "acquisti", id est agli atti implicanti l'effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all'acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione (Cass. 1.4.03 n. 4959, 4.3.03 n. 3185, 13.12.99 n. 13941, 18.2.99 n. 1363, 27.1.95 n. 987, 11.9.91 n. 9513); ma tali ragioni, peraltro fortemente criticate in dottrina, non possono valere nel caso inverso, laddove, come meglio in seguito, l'obbligazione del coniuge che ha agito senza il consenso dell'altro è fatta valere dal terzo e l'adempimento coattivo comporta l'aggressione al patrimonio familiare in generale ed al diritto di comproprietà del coniuge pretermesso in particolare.Inoltre, dalla giurisprudenza e da parte della dottrina si è anche evidenziato come, stante il disposto dell'art. 184 c.c., comma 1, la categoria dei negozi immobiliari, per i quali è previsto il consenso congiunto dei coniugi, sia da identificare in base alla natura del bene sul quale cadono gli effetti del contratto, ricomprendendo, quindi, tanto i negozi ad effetti reali quanto quelli ad effetti obbligatori; come debbasi, ancora, fare riferimento al regime degli effetti, reale o personale che sia l'azione, ai fini dell'affermazione o meno

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della necessità del litisconsorzio (Cass. 31.3.06 n. 7698, 6.7.04 n. 12313, 14.5.03 n. 7404, 5.7.01 n. 9083, 1.7.97 n. 5895 SS.UU.).È, piuttosto, evidente che l'essere ciascun coniuge titolare del bene per l'intero, e dell'intero poter disporre, non può implicare, di per sè, che debba escludersi la necessaria partecipazione dell'altro coniuge al giudizio nel quale si discuta della traslazione del bene stesso, evento rispetto al quale non può negarsi l'interesse ad interloquire del detto altro coniuge, pur sempre comproprietario del bene stesso.Partire, infatti, dal presupposto che, al momento dell'introduzione del giudizio ex art. 2932 c.c., il coniuge promittente venditore abbia già efficacemente alienato il bene, così che il coniuge rimasto estraneo al negozio abbia perso, contestualmente alla stipulazione del preliminare, la propria contitolarità sul bene e non possa fare ricorso se non all'azione d'annullamento, oltre ad essere in palese contrasto con la lettera dello stesso art. 184 c.c., comma 1, che prevede una possibilità di convalida successiva inconciliabile con una già intervenuta perdita della titolarità del bene, implica una non condivisibile attribuzione a tale tipo di contratto d'un effetto traslativo, estraneo alla sua funzione ed alla sua natura, che non gli è riconosciuto neppure da quella parte della dottrina per la quale esso sarebbe configurabile come una sorta di vendita obbligatoria ed il definitivo come un semplice atto esecutivo o ripetitivo.

Vero è, per contro, che, stipulato il preliminare, nel momento in cui il coniuge promittente venditore si rende inadempiente e costringe il promissario acquirente all'azione d'esecuzione specifica, l'altro coniuge, che non abbia partecipato al negozio ne' vi abbia prestato altrimenti il proprio consenso, è ancora contitolare del bene e su di esso legittimato ad esercitare i suoi poteri d'amministrazione congiunta; atteso l'effetto solo obbligatorio del preliminare, l'attività negoziale posta in essere dal coniuge promittente con l'impegnarsi ad alienare non ha prodotto ancora l'effetto di sottrarre il bene al patrimonio comune ed alla contitolarità su di esso d'entrambi i comproprietari, onde il coniuge rimasto estraneo al preliminare è ancora titolare d'una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio d'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre.È, infatti, ancora sul piano degli effetti della promossa azione ex art. 2932 c.c. che occorre muoversi ai fini della soluzione del problema che ne occupa.Come evidenziato dalla dottrina prevalente e da quella parte della giurisprudenza che si ritiene qui di confermare, ove dal preliminare scaturiscano controversie, non può disconoscersi al coniuge rimasto estraneo al negozio l'interesse a partecipare ai relativi giudizi, in quanto, pur se non è rimasto personalmente obbligato e se non è corresponsabile assieme al coniuge stipulante, unico obbligato, tuttavia l'impegno assunto da quest'ultimo e la responsabilità personale del medesimo sono comunque tali da incidere sul patrimonio comune e sul tenore di vita della famiglia, giacché, ex art. 189 c.c., espongono all'altrui azione esecutiva non solo i beni del promittente ma anche quelli della comunione, essendo, infatti, la richiesta pronunzia ex art. 2932 c.c., o l'alternativa pronunzia risarcitoria quanto meno per responsabilità precontrattuale, destinate ad incidere anche sul diritto del coniuge comproprietario o contitolare non stipulante e sulla consistenza del patrimonio

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familiare.Ne consegue l'ineludibile presenza in giudizio del coniuge rimasto estraneo al preliminare, dacché, come questa Corte ha ripetutamente evidenziato, si ha litisconsorzio necessario, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, allorquando la decisione richiesta, indipendentemente dalla sua natura (di condanna, d'accertamento o costitutiva), sia di per sè inidonea a spiegare i propri effetti, cioè a produrre un risultato utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile, sia in senso sostanziale, sia, alle volte, in senso solo processuale, del rapporto dedotto in giudizio, nel quale i nessi fra i diversi soggetti, e tra questi e l'oggetto comune, costituiscono un insieme unitario, con conseguente immutabilità del rapporto medesimo ove non vi sia la partecipazione di tutti i suoi titolari (da ultimo, Cass. 7.3.06 n. 4890, 6.7.04 n. 12313, 23.9.03 n. 14102, 5.7.01 n. 9083, 11.4.00 n. 4593 e 1.7.97 n. 5895 a SS.UU.).

Per altro verso, la necessaria partecipazione del coniuge rimasto estraneo al preliminare va affermata anche in applicazione dell'art. 180 c.c., dal quale, coerentemente alla ratio della novella che riconosce quale principio informatore del diritto di famiglia la parità di diritti e doveri tra i coniugi, si stabilisce che l'amministrazione dei beni della comunione spettano disgiuntamente a ciascuno di essi per gli atti d'ordinaria amministrazione ma congiuntamente ad entrambi per quelli di straordinaria amministrazione e per la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento nonché la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi. Un valido criterio discretivo tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione generalmente accolto è quello della normalità dell'atto di gestione, che viene travalicata ove questo comporti un rischio di pregiudizio sulla consistenza del patrimonio o la possibilità d'alterazione della sua struttura, per il che a determinare il discrimine non è tanto il contenuto, modesto o rilevante, dell'atto, quanto piuttosto la sua finalità ed il suo effetto; onde può dirsi che, in linea di massima e rapportando comunque il criterio a ciascun singolo caso concreto, ove il negozio sia per sua natura intrinsecamente idoneo ad alterare la consistenza del patrimonio, a pregiudicarne le potenzialità economiche, a sottrarne o modificarne elementi costitutivi, esso è di straordinaria amministrazione, mentre è di ordinaria amministrazione ove sia tendenzialmente idoneo a conservare la consistenza quantitativa del patrimonio pur se rischioso.Alla luce di tale criterio, non si può non riconoscere carattere pregiudizievole al contratto anche solo ad efficacia obbligatoria, in quanto potenzialmente idoneo ad incidere sulla consistenza del patrimonio dello stipulante; in particolare, carattere siffatto va riconosciuto al contratto preliminare di vendita, che, come è stato evidenziato in dottrina ed in giurisprudenza, si pone quale momento originario d'una serie obbligatoria consequenziale e successiva, il cui esito finale necessitato è il trasferimento della proprietà del bene promesso in vendita, sì che, in ragione dell'effetto conclusivo della sequenza, tale contratto, che alla serie obbligatoria da inizio, va considerato atto eccedente l'ordinaria amministrazione. Anche il contratto preliminare può avere, dunque, una rilevanza pregiudizievole sulla consistenza patrimoniale della comunione e sulle condizioni di vita della famiglia, in considerazione dell'obbligazione assunta dal disponente, che pur vincola unicamente costui, e della responsabilità dello stesso per l'inadempimento;

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onde il contratto preliminare di vendita di bene immobile in regime di comunione legale costituisce negozio eccedente l'ordinaria amministrazione e, per il richiamato espresso disposto dell'art. 180 c.c., comma 2, le azioni che da esso traggono origine richiedono la presenza in giudizio d'entrambi i coniugi.In definitiva, per tutte le esposte ragioni, devesi ritenere che nell'azione ex art. 2932 c.c. promossa dal promissario acquirente, per l'adempimento in forma specifica o per i danni da inadempimento precontrattuale, nei confronti del promittente venditore che, coniugato in regime di comunione dei beni, abbia stipulato senza il consenso dell'altro coniuge, quest'ultimo sia litisconsorte necessario; che, di conseguenza, ove il coniuge rimasto estraneo alla stipulazione del preliminare non sia stato convenuto in giudizio unitamente al coniuge stipulante e nei suoi confronti non sia stato integrato il contraddittorio, il giudizio svoltosi sia nullo e debba essere, pertanto, nuovamente celebrato a contraddittorio integro. (…)

Sez. 2, Sentenza n. 1548 del 24/01/2008 (Rv. 601814)

Presidente: Spadone M.  Estensore: Mazzacane V.  Relatore: Mazzacane V.  P.M. Marinelli V. (Conf.)

Orlando (Torrese ed altri) contro Lanzatella ed altro (Saltalamacchia ed altro)

(Cassa con rinvio, App. Napoli, 28 Maggio 2002)

082 FAMIGLIA  -  216 ACQUISTI

FAMIGLIA - MATRIMONIO - RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI - COMUNIONE LEGALE - OGGETTO - ACQUISTI - Diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno soltanto dei coniugi - Esclusione - Preliminare di compravendita - Domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. - Legittimazione dell'altro coniuge - Esclusione - Fattispecie riguardante il coniuge di promissario acquirente.

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Acquisto di un bene da parte soltanto di un coniuge in regime di comunione dei beni - Legittimazione dell'altro coniuge a proporre domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. - Esclusione - Fattispecie riguardante il coniuge di promissario acquirente.

La comunione legale fra i coniugi, di cui all'art. 177 cod. civ., riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l'effettivo trasferimento della proprietà della "res" o la costituzione di

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diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all'acquisizione di una "res", non sono suscettibili di cadere in comunione, con la conseguenza che, nel caso di contratto preliminare di vendita stipulato da uno solo dei coniugi, l'altro coniuge non può vantare alcun diritto, non essendo neppure legittimato a proporre la domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 cod. civ. (Nella specie, la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso il compossesso in capo al coniuge del promissario acquirente a seguito dell'anticipata immissione in possesso di quest'ultimo nell'immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita).

Testo. (Omissis) Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver escluso la necessità della integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge dell'esponente Rosa Vitagliano in regime di comunione legale con il marito sul rilievo che alla Vitagliano non era stato trasferito il compossesso dell'immobile oggetto del preliminare; il ricorrente assume che in realtà l'acquisizione del compossesso in favore della moglie derivava automaticamente dal trasferimento del possesso al marito.La censura è infondata.La Corte territoriale, premesso che il contratto preliminare produce soltanto effetti obbligatori e non reali, ha rilevato che l'eventuale immissione anticipata nel possesso da parte del promissario acquirente non determina l'acquisto dello "ius possidendi" anche in capo al coniuge ai sensi dell'art. 177 c.c., perché non connesso ad un acquisto.In effetti occorre rilevare, ai fini di escludere la necessità della integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge dell'Orlando in regime di comunione legale con quest'ultimo, che la comunione legale tra i coniugi di cui all'art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, ovvero gli atti implicanti l'effettivo trasferimento della proprietà della "res" o la costituzione di diritti reali sulla medesima e non quindi i diritti di crediti sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all'acquisizione di una "res", non sono suscettibili di cadere in comunione, con la conseguenza che, nel caso di contratto preliminare stipulato da uno solo dei coniugi, nessun diritto può accampare l'altro coniuge, il quale non è neppure legittimato a proporre domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. (Cass. 27.1.1995 n. 987; Cass. 18.2.1999 n. 1363; Cass. 22.9.2000 n. 12554). (…)

Sez. 2, Sentenza n. 12923 del 24/07/2012 (Rv. 623429)

Presidente: Schettino O.  Estensore: Proto CA.  Relatore: Proto CA.  P.M. Fucci C. (Diff.)

Provitali (Nardo) contro Provitali ed altri (Di Ciollo)

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(Cassa con rinvio, App. Roma, 06/06/2007)

082 FAMIGLIA  -  212 ATTI COMPIUTI SENZA IL NECESSARIO CONSENSO - ANNULLABILITA'

FAMIGLIA - MATRIMONIO - RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI - COMUNIONE LEGALE - AMMINISTRAZIONE - ATTI COMPIUTI SENZA IL NECESSARIO CONSENSO - ANNULLABILITÀ - Domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. - Contratto preliminare di vendita di un bene immobile rientrante nella comunione legale - Stipulazione da parte di uno soltanto dei coniugi - Consenso del coniuge non stipulante - Sufficienza - Mancato consenso - Conseguenze - Azione di annullamento - Limiti - Buona fede ed affidamento - Configurabilità - Prescrizione - Termine - Decorrenza - Momento iniziale.

082 FAMIGLIA  -  216 ACQUISTI

FAMIGLIA - MATRIMONIO - RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI - COMUNIONE LEGALE - OGGETTO - ACQUISTI - Domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. - Contratto preliminare di vendita di un bene immobile rientrante nella comunione legale - Stipulazione da parte di uno soltanto dei coniugi - Consenso del coniuge non stipulante - Sufficienza - Mancato consenso - Conseguenze - Azione di annullamento - Limiti - Buona fede ed affidamento - Configurabilità - Prescrizione - Termine - Decorrenza - Momento iniziale.

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. - Contratto preliminare di vendita di un bene immobile rientrante nella comunione legale - Stipulazione da parte di uno soltanto dei coniugi - Consenso del coniuge non stipulante - Sufficienza - Mancato consenso - Conseguenze - Azione di annullamento - Limiti - Buona fede ed affidamento - Configurabilità - Prescrizione - Termine - Decorrenza - Momento iniziale.

Per l'esecuzione in forma specifica, a norma dell'art. 2932 cod. civ., di un preliminare di vendita di un bene immobile rientrante nella comunione legale dei coniugi, non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i promittenti venditori, ma è sufficiente il consenso del coniuge non stipulante, traducendosi la mancanza di detto consenso in un vizio di annullabilità, da far valere, ai sensi dell'art. 184 cod. civ., nel rispetto del principio generale della buona fede e dell'affidamento, entro il termine di un anno, decorrente dalla conoscenza dell'atto o dalla trascrizione.

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Testo. Con il primo motivo la ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 180, 184 e 2932 c.c."; essa censura il rigetto del proprio appello incidentale con il quale aveva chiesto la sentenza costitutiva del trasferimento dell'immobile di via Regilla oggetto del preliminare del 18/7/1989; al riguardo rileva che la domanda era stata rigettata sull'erroneo presupposto dell'ineseguibilità del preliminare perché stipulato da uno solo dei due coniugi che erano comproprietari del bene in quanto acquistato dal coniuge Provitali in regime di comunione legale. La ricorrente richiama principi affermati da questa Corte secondo i quali ciascun coniuge non può disporre della propria quota di bene in comunione familiare, ma può disporre dell'intero e il consenso dell'altro coniuge, richiesto dall'art. 180 c.c., per gli atti di straordinaria amministrazione costituisce un negozio autorizzativo che rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo;l'eventuale mancanza di consenso avrebbe esposto essa contraente, soltanto all'azione di annullamento da parte del coniuge dissenziente, decorrente dalla conoscenza dell'atto, ma, nella fattispecie, il coniuge asseritamente pretermesso era presente alla stipulazione dell'atto e, quindi, con il proprio silenzio aveva manifestato un tacito assenso; inoltre dal giorno della sottoscrizione delle scritture, avvenuta alla presenza del coniuge, era decorso il termine prescrizionale annuale per l'esercizio dell'azione di annullamento ex art. 184 c.p.c..1.1 Occorre premettere che nel motivo si afferma (oltre a quanto sopra esposto) anche (incidentalmente) che non sarebbe necessaria nell'azione ex art. 2932 c.c., promossa dal promissario acquirente nei confronti del promittente venditore, l'integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge del promittente venditore in regime di comunione dei beni.L'affermazione, pur non rilevante in quanto il coniuge pretermesso si è costituito in giudizio sin dal primo grado, deve comunque essere corretta ricordandosi che le sezioni unite, risolvendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici, hanno affermato che in caso di contratto preliminare stipulato senza il consenso dell'altro coniuge, quest'ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del giudizio per l'esecuzione specifica del contratto (Cass. S.U. 24/8/2007 n. 17952) proprio perché detto coniuge è ancora titolare d'una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio d'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre e l'eventuale decisione in assenza di contraddittorio sarebbe inidonea a spiegare i propri effetti, cioè a produrre un risultato utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile del rapporto. Ciò premesso, si deve rilevare che la domanda (reiterata con l'appello incidentale) di esecuzione in forma specifica del contratto è stata respinta dalla Corte di Appello senza alcuna pronuncia di annullamento del contratto preliminare per mancanza del consenso del coniuge (domanda che pur risulterebbe proposta dalla Monti: v. pag. 4 della sentenza di appello), ma semplicemente sulla base dell'affermazione per la quale "la circostanza che la Monti non abbia sottoscritto il preliminare di vendita dell'immobile...del quale era divenuta proprietaria per essere stato acquistato in regime di comunione dei beni... esclude... che il promissario acquirente abbia diritto ad ottenere l'esecuzione coattiva del preliminare stipulato da un solo dei coniugi, non potendo, questi, disporre della quota".Nella sentenza si sostiene, in sostanza, che per il trasferimento del bene occorrerebbe il formarsi di un'unica volontà negoziale in capo ad una (in questo

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caso la parte costituita dai due coniugi in comunione dei beni) delle parti del contratto, data l'unicità e la inscindibilità del bene in comunione e che, quindi, il coniuge stipulante avrebbe potuto cedere la propria quota, ma non cedere anche quella del coniuge non stipulante; nel caso concreto, non poteva essere trasferita con sentenza costitutiva la sola quota del coniuge stipulante in quanto si sarebbe modificata la volontà negoziale (principio effettivamente affermato in giurisprudenza, ma relativamente alla comunione ordinaria: v. Cass. 10/3/2008 n. 6308). Risulta pertanto evidente la violazione dei principi di cui agli artt. 180 e 184 c.p.c., e, in generale, dei principi relativi agli atti di disposizione di beni della comunione legale perché la Corte territoriale ha applicato alla comunione legale i diversi principi che regolano la comunione ordinaria e che non si applicano nell'ipotesi di comunione legale tra coniugi.La Corte di Appello non ha considerato che la comunione legale tra coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei; ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non può disporre della propria quota, ben può disporre dell'intero bene comune (contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata), mentre il consenso dell'altro coniuge si configura come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo sul bene e si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell'art. 184 c.c., nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell'atto o dalla data di trascrizione (Cass. 14/1/1997 n. 284; Cass. 21/12/2001 n. 16177; Cass. 11/6/2010 n. 14093). In particolare, come ha avuto occasione di chiarire questa Corte a S.U. (Cass. S.U. 24/8/2007 n. 17952 cit.) il consenso del coniuge pretermesso non è atto autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all'esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l'ipotesi regolata dall'art. 184 c.c., comma 1, dunque, si riferisce non ad un caso d'acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso d'acquisto a domino in base ad un titolo viziato.Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del coniuge non era sufficiente per la declaratoria di nullità del contratto, dovendosi esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell'atto.L'art. 184 c.c., infatti, per l'esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace ne' nei confronti dei terzi, ne' nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell'art. 184 c.c., comma 1, ed è solamente esposto all'azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l'esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell'atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione (Cass.

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21/12/2001 n. 16177; Cass. 11/6/2010 n. 14093; Cass. 31/1/2012 n. 1385).In conclusione si deve annullare tale decisione affermandosi il principio che per l'esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell'altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell'art. 184 c.c., (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell'affidamento) nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell'atto o dalla data di trascrizione.Entro questi limiti il primo motivo deve essere accolto con cassazione della sentenza e rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che si uniformerà al principio di diritto sopra enunciato. (…)

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Il conflitto tra il privilegio ex art. 2775- bis cod. civ. ed il creditore ipotecario

Sez. U, Sentenza n. 21045 del 01/10/2009 (Rv. 609335)  

Presidente: Carbone V.  Estensore: Spirito A.  Relatore: Spirito A.  P.M. Iannelli D. (Conf.)

Bandini (Winkler ed altro) contro Cassa Risp. Forli' ed altri (Stella Richter ed altro)

(Rigetta, Trib. Forli', 07/04/2004)

149 RESPONSABILITA' PATRIMONIALE  -  175 EFFICACIA - IN GENERE - DEL PRIVILEGIO SPECIALE RISPETTO AL PEGNO ED ALLE IPOTECHE

RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE - CAUSE DI PRELAZIONE - PRIVILEGI - EFFICACIA - IN GENERE - DEL PRIVILEGIO SPECIALE RISPETTO AL PEGNO ED ALLE IPOTECHE - Contratto preliminare trascritto - Mancata esecuzione - Privilegio speciale sul bene immobile in favore del credito del promissario acquirente - Prevalenza sull'ipoteca, ai sensi dell'art. 2748, secondo comma, cod. civ. - Esclusione - Fondamento - Conseguenze in caso di fallimento del promittente venditore e di risoluzione del contratto ad opera del curatore fallimentare - Credito assistito da ipoteca iscritta prima della trascrizione del preliminare - Prevalenza.

Il privilegio speciale sul bene immobile, che assiste (ai sensi dell'art. 2775-bis cod. civ.) i crediti del promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis cod. civ., siccome subordinato ad una particolare forma di pubblicità costitutiva (come previsto dall'ultima parte dell'art. 2745 cod. civ.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull'ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dal secondo comma dell'art. 2748 cod. civ., e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti. Ne consegue che, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell'immobile scelga lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell'art. 72 della legge fall.), il conseguente credito del promissario acquirente - nella specie, avente ad oggetto la restituzione della caparra versata contestualmente alla stipula del contratto preliminare - benché assistito da privilegio speciale, deve essere collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell'istituto di credito che, precedentemente alla trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull'immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice.

Testo. Nel fallimento della Nu.Na. S.n.c. di Ficara Concetto Paolo & C., pendente dinanzi al Tribunale di Forlì, la Cassa dei Risparmi di Forlì propose opposizione ad un

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piano di riparto parziale dichiarato esecutivo dal giudice delegato. Premesso che la somma distribuita costituiva il ricavato della vendita di un appartamento sul quale risultava iscritta ipoteca a garanzia del credito dalla Cassa stessa vantato in virtù di un mutuo fondiario concesso alla società costruttrice dell'immobile, l'opponente sosteneva che erroneamente tale credito era stato collocato con grado inferiore a quello vantato dal Bandini per il rimborso della caparra da questo versata contestualmente alla stipulazione di un contratto preliminare di acquisto del medesimo appartamento, trascritto in data successiva all'iscrizione dell'ipoteca e scioltosi ai sensi della L. Fall., art. 72.Ad avviso dell'opponente, infatti, l'ipoteca concessa a garanzia del finanziamento di un intervento edilizio ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38, prevalendo sulla trascrizione anteriore del contratto preliminare, a norma dell'art. 2825 bis c.c., doveva prevalere, a maggior ragione, sulla trascrizione posteriore. Il Tribunale accolse la domanda, osservando, anzitutto, che la particolare causa di prelazione accordata al promissario acquirente dall'art. 2775 bis c.c., comma 1, non si sottrae al principio generale enunciato dall'art. 2748 c.c., comma 2, in forza del quale i crediti muniti di privilegio speciale immobiliare prevalgono su quelli ipotecari, se la legge non dispone diversamente. Ha, tuttavia, ravvisato una tale diversa disposizione (idonea, appunto, ad invertire l'anzidetto criterio di priorità) nel combinato disposto degli artt. 2775 bis e 2825 bis c.c., reputando che dette norme siano da interpretare nel senso della prevalenza delle ipoteche iscritte a garanzia di mutui fondiari erogati a norma del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 38 e ss., T.U. bancario, rispetto al privilegio immobiliare accordato al promissario acquirente, indipendentemente dall'esservi stato o meno accollo del mutuo da parte dell'acquirente. Così ragionando ha, dunque, ritenuto irrilevante nella fattispecie la precedente affermazione resa sul tema da questa Corte (Cass. 14 novembre 2003, n. 17197, della quale si dirà in seguito), considerando che questa non decidesse riguardo ad un istituto di credito garantito da ipoteca ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 38 e segg., ovvero in altro modo garantito da ipoteca.Avverso il decreto del Tribunale di Forlì il Bandini ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso la Cassa dei Risparmi, la quale ha depositato successivamente memoria. Non ha svolto difese la curatela del fallimento.Con ordinanza interlocutoria del 20 ottobre 2008, la Prima Sezione Civile, ritenuta la sussistenza di una questione di massima di particolare importanza, avente ad oggetto la prevalenza del privilegio di cui all'art. 2775 bis c.c., sulle ipoteche per mutui fondiari iscritte anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, il quale ha disposto l'assegnazione della causa alle Sezioni Unite. MOTIVI DELLA DECISIONE1. - PREMESSA - IL RICORSO E LA QUESTIONE SOTTOPOSTA ALL'ESAME DELLE SEZIONI UNITE.Il ricorrente, nel dedurre la violazione dell'art. 2645 bis c.c., art. 2775 bis c.c., art. 2748 c.c., comma 2, e art. 2825 bis c.c., sostiene che dell'art. 2775 bis c.c., comma 2, individua due soli casi di ipoteche che non soccombono al privilegio di cui al comma 1, e precisamente quelle iscritte a garanzia del mutuo erogato al promissario acquirente per l'acquisto dell'immobile e quelle iscritte a garanzia del credito edilizio nei limiti della quota che il promissario stesso si sia accollato; benché l'art. 2825 bis c.c., faccia riferimento esclusivamente alle ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del

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preliminare, è ovvia la prevalenza anche di quelle iscritte in epoca anteriore, ma sempre nei limiti della quota di debito che il promissario si sia accollato, non avendo egli altrimenti alcun ruolo nel rapporto tra il finanziatore ed il costruttore.Secondo il ricorrente, il decreto impugnato contrasta, oltre che con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, che subordina la prevalenza dell'ipoteca all'accollo da parte del promissario del debito contratto dal costruttore, anche con lo spirito della legge, che mira a tutelare i promissari acquirenti di fabbricati in corso di costruzione in caso di mancata esecuzione del preliminare o fallimento del promittente venditore .Nella specie, pertanto, non essendo intervenuto l'accollo della quota di mutuo gravante sull'immobile promesso in vendita, troverebbe applicazione il principio generale di cui all'art. 2748 c.c., comma 2, secondo cui il privilegio immobiliare prevale sulle ipoteche iscritte anche anteriormente, non potendo individuarsi nell'art. 2825 bis c.c., la diversa disposizione di legge che, ai sensi dell'ultimo inciso dell'art. 2748 c.c., comma 2, consente di derogare a tale principio.Preliminare rispetto al vaglio delle doglianze prospettate nel ricorso è l'esame della premessa giuridica dalla quale muove l'impugnato provvedimento, secondo cui il privilegio del credito del promissario acquirente per mancata esecuzione del contratto preliminare prevale, ai sensi dell'art. 2748 c.c., comma 2, sui crediti ipotecari, anche se l'ipoteca è stata iscritta prima della trascrizione del preliminare, salvo soltanto che si tratti di ipoteche relative a mutui erogati per l'acquisto del medesimo immobile promesso in vendita o iscritte a favore dei creditori garantiti ai sensi dell'art. 2825 bis c.c.Solo ove, infatti, tale premessa fosse da condividere occorrerebbe valutare se reggono o meno alla critica le conseguenti considerazioni in base alle quali il tribunale ha ravvisato la prevalenza sul privilegio speciale spettante al promissario acquirente dell'ipoteca iscritta a garanzia del mutuo fondiario erogato dalla cassa di risparmio; qualora, viceversa, quella premessa fosse da disattendere, s'imporrebbe la correzione della motivazione del provvedimento impugnato, ma il ricorso dovrebbe essere rigettato. La suaccennata premessa, dalla quale il tribunale prende le mosse (e la cui fondatezza è contestata dalla controricorrente), è in effetti conforme a quanto affermato nel già menzionato precedente di questa Corte (Cass. n. 17197 del 2003), secondo cui, appunto, in forza del disposto dell'art. 2748 c.c., comma 2, (per il quale i creditori che hanno privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecali, se la legge non dispone diversamente), anche il privilegio speciale immobiliare, previsto dal citato art. 2775 bis c.c., prevale rispetto alle ipoteche gravanti sullo stesso immobile, pur se trascritte anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare da cui il privilegio scaturisce, non rilevando in contrario la natura "iscrizionale" (o "trascrisionale") di siffatto privilegio, giacché questa non basta a rendere applicabile, in simili casi, il principio della prevalenza dei diritti secondo l'ordine delle trascrizioni e delle iscrizioni dal quale è regolata la pubblicità immobiliare.L'ordinanza che ha rimesso la soluzione della questione alle sezioni unite ritiene che le conclusioni alle quali è pervenuta la citata sentenza n. 17197 del 2003 non abbiano placato il dibattito che già prima era insorto in dottrina in ordine alla corretta interpretazione da dare alle disposizioni dettate dal codice a tutela del promissario acquirente di immobili (introdotte, com'è noto, con il D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30). Dibattito che, piuttosto,

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ne è stato rinfocolato. Viene, allora, chiesto l'approfondimento dei seguenti punti:a) il privilegio accordato al promissario acquirente non si ricollega esclusivamente alla causa del credito, ma presuppone necessariamente la trascrizione del contratto preliminare, alla quale pare pertanto ragionevole assegnare, in ragione della sua efficacia costitutiva, anche la funzione, ad essa connaturata, di risolvere i possibili conflitti tra titolari di diritti assoggettati al medesimo regime di pubblicità;b) poiché nella graduazione prevista dall'art. 2780 c.c., il privilegio in questione è collocato dopo quelli che assistono i crediti per concessione di acque e per tributi indiretti, i quali non possono essere esercitati in pregiudizio dei diritti anteriormente acquisiti dai terzi sui medesimi immobili, la prevalenza di tale privilegio sulle ipoteche iscritte anteriormente renderebbe impossibile stabilire l'ordine di collocazione dei crediti;c) detta prevalenza risulterebbe inoltre scarsamente razionale, dal momento che le ipoteche iscritte anteriormente sono certamente opponibili all'acquirente, in caso di perfezionamento del contratto definitivo di acquisto dell'immobile;d) l'art. 2825 bis c.c., prevedendo eccezionalmente che, in caso di accollo del mutuo fondiario da parte del promissario acquirente, l'ipoteca iscritta a garanzia dello stesso prevalga sulla trascrizione anteriore del contratta preliminare, fa supporre, a maggior ragione, l'operatività del medesimo criterio in presenza di una trascrizione posteriore di tale contratto, trovando applicazione, in tal caso, i principi generali in materia di pubblicità immobiliare.In conclusione, la questione sottoposta alle Sezioni Unite consiste nello stabilire se, ai fini della distribuzione del ricavato della vendita, disposta in sede fallimentare, di un immobile già promesso in vendita dal fallito con contratto preliminare trascritto, il privilegio che, a norma dell'art. 2775 bis c.c., assiste il credito del promissario acquirente per la mancata esecuzione del preliminare prevalga (o meno), ai sensi dell'art. 2748 c.c., comma 2, sulle ipoteche iscritte sul medesimo immobile in data anteriore alla trascrizione del contratto preliminare.2. - LA TRASCRIVIBILITA DEL CONTRATTO PRELIMINARE ED IL PRIVILEGIO CHE ASSISTE I CREDITI DEL PROMISSARIO ACQUIRENTE.La trascrivibilità del preliminare, non prevista dal testo originario del codice civile, in ragione della natura meramente obbligatoria di tale contratto, è stata introdotta dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 3, (convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30), che ha modificato il titolo 1^ del libro 6^ del codice, inserendo nel capo 1^ l'art. 2645 bis c.c.. Questo ammette la possibilità di procedere alla trascrizione dei contratti preliminari, ancorché sottoposti a condizione o relativi ad edifici da costruire o in corso di costruzione, purché essi: a) abbiano ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 dell'art. 2643 c.c.; b) risultino da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. La ratio della disciplina consiste nel tutelare il promissario, che, all'atto della stipulazione del preliminare o comunque nelle more della stipulazione del contratto definitivo, abbia corrisposto in tutto o in parte il corrispettivo dovuto, contro l'eventualità che il promittente si sottragga all'adempimento dell'obbligazione assunta, ponendo in essere atti di disposizione del bene promesso, tali da rendere impossibile il successivo trasferimento dell'immobile.

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Essa muove dalla presa d'atto che, nella pratica commerciale, la stipulazione di un contratto preliminare costituisce ormai una fase pressoché imprescindibile del procedimento negoziale che conduce al trasferimento dei diritti reali immobiliari, la quale trova per lo più giustificazione nell'esigenza delle parti di consacrare provvisoriamente l'accordo raggiunto, al fine di consentire, in vista della stipulazione del contratto definitivo, la verifica dell'esatta consistenza dell'immobile, della sua conformità alle norme urbanistiche e degli oneri tributari connessi al trasferimento. A questa prassi fa riscontro, talvolta, la consegna anticipata dell'immobile e, più spesso, il versamento di uno o più acconti sul prezzo pattuito, il quale trova giustificazione, nel caso di vendita di beni ancora da edificare o in corso di costruzione, nei convergenti interessi del venditore ad autofinanziarsi mediante l'anticipata riscossione del corrispettivo e dell'acquirente a spuntare un prezzo più vantaggioso attraverso l'acquisto su progetto.Nella vigenza del testo originario del codice civile, l'impossibilità di procedere alla trascrizione del preliminare, dovuta all'inidoneità di tale contratto a determinare il trasferimento del diritto reale, esponeva il promissario, che avesse in tutto o in parte adempiuto la propria obbligazione, al rischio dell'inadempimento della controparte, dovendo egli soccombere di fronte ad atti dispositivi eventualmente posti in essere da quest'ultima, ovvero ad atti compiuti da terzi in danno della medesima controparte; la trascrizione di questi atti, se intervenuta anteriormente al contratto definitivo, ne rendeva infatti impossibile la stipulazione, precludendo anche l'accoglimento di un'eventuale domanda giudiziale ex art. 2932 c.c..A tale rischio, riconducibile alla normale alea contrattuale, si aggiungeva, nel caso in cui il promittente venditore fosse un imprenditore, quello proprio dell'attività d'impresa, che aumenta notevolmente il pericolo dell'aggressione dei beni da parte di terzi, fino all'ipotesi estrema del fallimento, che, consentendo al curatore di sciogliersi dal vincolo contrattuale (come è avvenuto nella fattispecie in trattazione), costringe il promissario acquirente ad insinuarsi al passivo per ottenere la restituzione delle somme versate e quindi ad assoggettarsi alle regole del concorso, con scarse speranze di ottenere la soddisfazione del proprio diritto, avuto riguardo alla natura chirografaria del credito. Per evitare questi inconvenienti (ai quali, in passato, poteva ovviarsi esclusivamente attraverso la tempestiva trascrizione di una domanda di esecuzione in forma specifica) è ora riconosciuta la possibilità di tutelare il proprio diritto all'acquisto direttamente mediante la trascrizione del contratto preliminare. L'efficacia di tale adempimento pubblicitario è disciplinata dai commi secondo e terzo dell'art. 2645 bis c.c., i quali prevedono che, ove entro un anno dalla data convenuta tra le parti, e comunque entro tre anni dalla trascrizione del preliminare, segua la trascrizione del contratto definitivo o di un altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare, ovvero della domanda giudiziale di cui all'art. 2652 c.c., comma 1, n. 2, gli effetti di tale trascrizione o di quella della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare retroagiscono fino alla data della trascrizione di quest'ultimo, prevalendo sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite in data successiva contro il promittente alienante.Tale efficacia è stata definita di "prenotazione" degli effetti tipici della trascrizione del contratto definitivo, e consiste nel fatto che, ove seguita da quest'ultima, la trascrizione

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del preliminare rende inopponibili al promissario acquirente tutte le iscrizioni o trascrizioni eseguite medio tempore nei confronti del promittente.È tuttavia controverso se l'effetto prenotativo renda inopponibili al promissario acquirente le sole formalità pubblicitarie eseguite successivamente nei confronti del promittente alienante in virtù di titoli da lui voluti, ovvero abbia portata generale, estendendosi anche alle trascrizioni di pignoramenti o sequestri ed alle iscrizioni di ipoteche giudiziali.In riferimento all'ipotesi di fallimento del promittente, la L. Fall., art. 72, comma 3, anch'esso introdotto dal D.L. n. 669 del 1996, art. 3, esclude infatti la prevalenza del preliminare, confermando la facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, e disponendo che in caso di esercizio di tale facoltà l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno, e gode del privilegio di cui all'art. 2775 bis c.c., a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.Approssimandoci alla questione in esame, occorre ricordare che, oltre all'efficacia prenotativa, il D.L. n. 669 del 1996, art. 3, ha attribuito alla trascrizione del contratto preliminare una peculiare efficacia costitutiva, introducendo nel titolo 3^ del libro 6^ del codice civile, alla sezione 3^ del capo 2^, l'art. 2775 bis c.c., il quale, al fine di tutelare i crediti del promissario acquirente derivanti dalla mancata esecuzione del contratto preliminare, dispone al comma 1 che essi "hanno privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa, ovvero al momento della domanda giudiziale di risoluzione del contratto o di condanna al pagamento, ovvero al momento della trascrizione del pignoramento o al momento dell'intervento nella esecuzione promossa da terzi". La trascrizione del preliminare fa sorgere pertanto, a favore dei crediti del promissario, un privilegio speciale immobiliare, subordinato alla condizione che gli effetti della trascrizione siano ancora in atto al momento in cui si verificano gli eventi che costituiscono causa del credito. Tale privilegio è collocato al n. 5 dell'ordine stabilito dall'art. 2780 c.c., in particolare dopo quelli che assistono i crediti dello Stato per concessioni di acque (art. 2774 c.c.) e per tributi indiretti (art. 2772).L'art. 2775 c.c., comma 2. Me prevede che esso "non è opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l'acquisto del bene immobile nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell'art. 2825 bis c.c.";ossia, ai creditori che abbiano iscritto ipoteca su un edificio o complesso condominiale, anche da costruire o in corso di costruzione, a garanzia di finanziamento dell'intervento edilizio ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 38 e segg.: tale ipoteca, peraltro, prevale sulla trascrizione anteriore del contratto preliminare "limitatamente alla quota di debito derivante dal suddetto finanziamento che il promissario acquirente si sia accollata con il contratto preliminare o con altro atto successivo eventualmente adeguata ai sensi dell'art. 39, comma. 3, del citato decreto legislativo n. 385 del 1993", con l'ulteriore precisazione che "se l'accollo risulta da atto successivo, questo è annotato in

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margine alla trascrizione del contratto preliminare". Quest'ultima disposizione mira a contemperare la tutela del terzo acquirente con quella dei terzi che abbiano concesso finanziamenti per l'acquisto o la costruzione dell'immobile promesso in vendita, in conformità con le finalità perseguite dalla D.L. n. 669 del 1996, art. 3, che consistono tra l'altro nel promuovere la realizzazione e l'acquisto della prima casa di abitazione.Nella prima parte, essa sembra fare riferimento all'ipotesi (piuttosto marginale) in cui il promittente venditore abbia prestato il proprio consenso, prima della stipulazione del contratto definitivo, all'iscrizione di ipoteca sull'immobile promesso in vendita, a garanzia del credito derivante da un mutuo concesso al promissario acquirente: diversamente, infatti, non si spiegherebbe come quest'ultimo possa concedere ipoteca su di un bene del quale non è ancora divenuto proprietario.Nella seconda parte, invece, la norma si riferisce alle ipoteche concesse dal promittente venditore a garanzia di crediti derivanti dai mutui fondiari accordati da banche concedenti finanziamenti a medio e lungo termine, garantiti da ipoteca di primo grado su immobili, ovvero da ipoteche di grado ulteriore nei casi consentiti dalla Banca d'Italia; in tal caso, la prevalenza dell'ipoteca è subordinata alla condizione che il promissario acquirente si sia accollato il relativo debito, nello stesso preliminare o con atto successivo annotato a margine della trascrizione, ed opera limitatamente alla quota gravante sull'immobile promesso in vendita. Tale condizione trova fondamento nella considerazione che l'opponibilità al promissario dell'ipoteca iscritta successivamente al preliminare è giustificata solo in caso di accollo del mutuo, in quanto egli diviene parte del rapporto derivante dal finanziamento, giovandosi della relativa rateazione ai fini del pagamento del prezzo; qualora invece acquisti senza accollo, pagando il prezzo direttamente al promittente, il promissario rimane estraneo al rapporto tra finanziatore e finanziato, con la conseguenza che l'ipoteca, iscritta successivamente alla trascrizione dei preliminare, non gli è opponibile.Il privilegio in esame prevale, pertanto, ai sensi dell'art. 2645 bis c.c., sulle ipoteche iscritte in data successiva alla trascrizione del preliminare, escluse quelle previste dall'art. 2825 bis c.c., in quanto tale disposizione stabilisce eccezionalmente la prevalenza delle ipoteche relative a mutui erogati al promissario acquirente, nonché di quelle relative a mutui fondiari erogati al promittente venditore, che il promissario acquirente si sia accollato. 3. - GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO E DELLA DOTTRINA.L'orientamento quasi unanime affermatosi nella giurisprudenza di merito sostiene che le ipoteche delle quali s'e detto siano comunque destinate a cedere in caso di concorso con il privilegio spettante al promissario acquirente.Esso muove dal rilievo secondo cui il concorso tra privilegi ed ipoteche sarebbe regolato esclusivamente dall'art. 2748 c.c., comma 2, non potendo trovare applicazione l'art. 2644 c.c., il quale disciplinerebbe, invece, il conflitto tra cause di prelazione e diritti reali di godimento; ciò posto, esso afferma che al principio della prevalenza dei privilegi, sancito dalla predetta disposizione, potrebbe derogarsi soltanto in presenza di un dato normativo chiaro ed inequivocabile, non ravvisabile ne' nell'art. 2775 bis c.c., (il quale, nella parte in cui subordina la nascita del privilegio del promissario acquirente alla trascrizione del preliminare, non introdurrebbe elementi di novità rispetto ad altre

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fattispecie previste dalla normativa vigente), ne' nell'art. 2825 bis c.c., (il quale, riferendosi alle sole ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del preliminare, non sarebbe applicabile a quelle iscritte in data anteriore).L'indirizzo in esame riflette l'opinione espressa dai primi commentatori del D.L. n. 669 del 1996, i quali avevano ritenuto insuperabile il dato normativo emergente dall'interpretazione letterale dell'artt. 2748 c.c., comma 2, e art. 2825 bis c.c., escludendo così che le ipoteche iscritte in epoca anteriore alla trascrizione del contratto preliminare potessero prevalere sul privilegio che assiste il credito del promissario acquirente. All'obiezione secondo cui l'ipoteca prevale sui diritti dei terzi trascritti in epoca successiva all'iscrizione, essi replicavano che ciò accade perché il rapporto tra le cause di prelazione e i diritti reali di godimento è regolato dal principio prior in tempore, potior in jure, esaltato, nel caso di immobili, dalla priorità della relativa pubblicità; nella fattispecie in esame, tutta via, non vi è un conflitto tra il diritto del promissario di ottenere l'esecuzione specifica del contratto e l'ipoteca del terzo sullo stesso bene oggetto del preliminare, ma un conflitto tra il privilegio speciale del promissario (conseguente alla risoluzione o allo scioglimento del contratto preliminare) e l'ipoteca iscritta sullo stesso bene: si tratterebbe di un conflitto tra cause di prelazione, la cui prevalenza sarebbe disciplinata dalla legge in base ad un principio diverso da quello della priorità cronologica. Ciò spiegherebbe, tra l'altro, perché le ipoteche iscritte in data anteriore alla trascrizione del preliminare siano opponibili all'acquirente in caso di stipulazione del contratto definitivo, mentre risultano inopponibili in caso di mancata esecuzione del preliminare.Secondo tale orientamento, la deroga al principio della prevalenza dei privilegi, richiesta dall'art. 2748 c.c., comma 2, ai fini dell'opponibilità dell'ipoteca al creditore privilegiato, non può essere desunta dall'art. 2825 bis c.c.: tale disposizione, infatti, non ha nulla a che fare con il privilegio di cui all'art. 2775 bis c.c., previsto per il caso di mancata esecuzione del preliminare, in quanto si limita a regolare gli effetti dell'ipoteca fondiaria edilizia sulla trascrizione del preliminare che venga regolarmente eseguito; l'art. 2775 bis c.c., comma 2, inoltre, limitando la prevalenza delle ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del preliminare a quelle concesse a garanzia di mutui contratti per la costruzione o per l'acquisto dell'immobile, presupporrebbe che, al di fuori di tali ipotesi, dette ipoteche siano destinate a cedere nel concorso con il privilegio, e sarebbe quindi applicabile, a maggior ragione, alle ipoteche iscritte in data anteriore.All'obiezione secondo cui tale opinione, favorendo il promissario acquirente a scapito degli interessi dei creditori ipotecari, si sarebbe ripercossa negativamente sui rapporti tra le imprese costruttrici e le aziende di credito, scoraggiando queste ultime dal concedere finanziamenti per la costruzione di immobili, in contrasto con lo finalità che in legge intendeva perseguire, si replica che il senso della nuova disciplina consisteva anche nel responsabilizzare il ceto bancario, dissuadendolo da un'eccessiva disinvoltura nell'erogazione del credito fondiario. Troppo spesso, infatti, le banche, nel concedere finanziamenti per la costruzione di immobili, fanno affidamento, ai fini della restituzione, più sui valore dei beni concessi. in garanzia che sulla solidità complessiva dell'impresa mutuataria, confidando di poter agevolmente procedere al recupero del credito anche in caso di fallimento della stessa, con evidente pregiudizio per le ragioni degli altri creditori. La postergazione dei crediti ipotecari a quello del promissario acquirente le costringerebbe invece a verificare preventivamente la capacità dell'impresa

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di far fronte alle proprie obbligazioni, avvalendosi di quegli strumenti di controllo di cui esse dispongono in misura più ampia ed incisiva di ogni altro creditore. Sotto un diverso profilo, si riconosce che, una volta ovviatosi, mediante la previsione della trascrivibilità del preliminare, al pericolo che il diritto al trasferimento dell'immobile sia vanificato da atti dispositivi compiuti dal promittente venditore o da atti di aggressione del suo patrimonio posti in essere da terzi prima della stipulazione del definitivo, l'attribuzione di un rango privilegiato ai crediti del promissario nascenti dalla mancata esecuzione del coni, ratio si traduce in una tutela eccessiva, quanto meno in riferimento all'ipotesi in cui, pur potendo ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, egli abbia optato per la tutela risarcitoria.In ogni caso, anche coloro i quali sono disposti ad ammettere che la prevalenza del privilegio determina un'ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei creditori che abbiano iscritto ipoteca in data anteriore alla trascrizione del preliminare, ritengono che a tale inconveniente possa ovviarsi esclusivamente attraverso una declaratoria di incostituzionalità della norma in esame, o mediante un intervento chiarificatore del legislatore.La dottrina più recente ritiene invece che la questione possa essere risolta anche in via interpretativa, avvalendosi dei principi sui cui si. fonda la pubblicità immobiliare e di una pluralità di elementi emergenti dalla stessa disciplina in materia. Essa sottolinea la natura "iscrizionale" o "trascrizionale" del privilegio in questione, il cui concorso con le ipoteche iscritte sull'immobile promesso in vendita deve considerarsi disciplinato dall'art. 2644 c.c., non essendo il privilegio accordato esclusivamente in ragione della causa del credito, ma essendo condizionato alla trascrizione del contratto preliminare ed alla sua perdurante efficacia. A sostegno di tale orientamento, sono state sottolineate anche le anomalie che l'opposta tesi introdurrebbe nel sistema delle cause di prelazione, osservandosi da un lato che in caso di stipulazione del contratto definitivo le ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del preliminare sono opponibili all'acquirente, dall'altro che nell'ordine dei privilegi quello previsto dell'art. 2775 bis c.c., è collocato successivamente a quelli di cui agli artt. 2772 e 2774 c.c., i quali non sono esercitabili in pregiudizio dei diritti precedentemente acquisiti dai terzi. Sono stati infine evidenziati i gravi abusi cui potrebbe condurre una rigida applicazione dell'art. 2748 cit., la quale consentirebbe al promittente venditore di sottrarre l'immobile alla garanzia dei propri creditori ipotecali, mediante la simulazione di un preliminare di compravendita con un promissario compiacente, cui potrebbe far seguito la risoluzione del contratto, con la conseguenza che, in sede di esecuzione forzala, i crediti restitutori e risarcitori del promissario dovrebbero essere soddisfatti con precedenza rispetto a quelli dei creditori ipotecari. Alle medesime conclusioni un'autorevolissima dottrina è pervenuta sulla base di un diverso percorso argomentativo, che muove dalla qualificazione del preliminare di compravendita come vendita ad effetti obbligatori, dalla quale sorge a carico del promittente un' obbligazione di dare e dall'affermazione dell'autonomia di tale contratto rispetto al definitivo, ricollegando alla sua trascrizione l'efficacia tipica di cui all'art. 2644 c.c., per sostenere che tale efficacia si estende anche al privilegio che assiste i crediti del promissario acquirente, il cui concorso con le ipoteche iscritte in data anteriore deve pertanto ritenersi disciplinato dal principio della priorità cronologica. L'aspetto più suggestivo di questa dottrina è rinvenibile nell'attribuzione al promissario

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acquirente di un jus ad rem (non di un mero jus in persona) e nella riconduzione del rapporto tra preliminare e definitivo (non come rapporto tra due contratti distinti ed autonomi, ciascuno dotato di una propria causa) al modello tedesco della distinzione tra titulus e modus adquirendi, con la conseguenza che la stipulazione del definitivo non comporta l'assorbimento del preliminare ne' rende irrilevanti i vizi che lo inficiano, i quali risultano anzi idonei ad incidere, attraverso la caducazione del contratto cui afferiscono, sulla stessa trascrizione del contratto definitivo. La riprova sarebbe costituita proprio dalla trascrivibilità del preliminare, il cui effetto di opponibilità trova giustificazione nella natura del diritto che da esso scaturisce per il promissario acquirente, mentre la limitazione temporale di tale effetto si giustificherebbe con l'efficacia obbligatoria del contratto.4. - LA SOLUZIONE DELLA QUESTIONE.Sulla scorta di tutto quanto premesso è ora possibile passare alla soluzione del quesito, subito anticipando che le sezioni unite intendono disattendere il precedente orientamento espresso dalla menzionata Cass. n. 17197 del 2003, attraverso una trattazione concernente il generale problema della regola di conflitto tra cause di prelazione, al di là della specifica ipotesi (della quale pure si dirà) del credito fondiario, disciplinata dagli artt. 2775 bis c.c., comma 2, e art. 2825 bis c.c..Il ragionamento parte dalla premessa che l'art. 2748 c.c., allorquando nel secondo comma stabilisce che i creditori muniti di privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecar "se la legge non dispone diversamente", fa riferimento ad una deroga non necessariamente contenuta in un esplicito precetto, ma che può o deve essere individuata nell'ordinamento nel suo complesso, attraverso la lettura e l'interpretazione normativa che tenda all'armonioso coordinamento dello specifico istituto in trattazione con l'intero sistema; così da evitare applicazione ermeneutiche settoriali che, sebbene compatibili con il microsistema nel quale le disposizioni sono inserite, finiscano con lo stridere rispetto al complesso della materia nelle quali le norme stesse esplicano il proprio effetto. Siffatto sforzo interpretativo si impone con ancora maggior impegno quando (come nel caso di specie) le norme esaminate non appartengono all'originaria impostazione codicistica, ma sono frutto di una successiva interpolazione legislativa, mossa da esigenze sociali ed economiche via via emerse nella realtà giuridica dei commerci. Espresse norme derogatrici alla regola dell'art. 2748 c.c., comma 2, sono rinvenibili dell'art. 2772 c.c., comma 4, e nell'art. 2774 c.c., comma 2: il privilegio che assiste i crediti dello Stato per tributi indiretti o per canoni di concessione di acque non si può esercitare in pregiudizio dei diritti che i terzi hanno anteriormente acquistato sugli immobili. Deroga ispirata, dunque, alla diversa regola della prevalenza in base alla data di trascrizione o di iscrizione.Nel nostro caso una espressa norma derogatoria al precetto stabilito dalla prima parte dell'art. 2748 c.c., comma 2, non esiste, ma, come si vedrà, l'organica analisi dell'intero quadro normativo disciplinante la materia consente di affermare che i creditori muniti dello speciale privilegio del quale trattiamo non sono preferiti ai creditori muniti di ipoteca iscritta precedentemente al sorgere del privilegio stesso, secondo una ricostruzione che, come s'è detto, prescinde dalla specifica ipotesi (disciplinata dell'art. 2275 bis c.c., comma 2, in relazione all'art. 2825 bis c.c.) del privilegio che assiste il credito per il finanziamento dell' intervento edilizio.

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Occorre innanzitutto porre nel giusto rilievo che il privilegio che assiste il credito del promissario acquirente, conseguente alla (eventuale) mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto, non si ricollega esclusivamente alla causa del credito (come prescrive la prima parte dell'art. 2745 c.c.) ma la sua costituzione necessariamente presuppone la trascrizione del contratto preliminare ai sensi dell'art. 2645 bis c.c.; rientrando, dunque, nella categoria dei privilegi la cui costituzione, come consentito dalla seconda parte dell'art. 2745 c.c., è subordinata ad una particolare forma di pubblicità. Peraltro, esso assiste il credito a condizione che gli effetti della menzionata trascrizione non siano cessati a determinati momenti (quello della risoluzione del contratto, oppure della domanda giudiziale della risoluzione, oppure della trascrizione del pignoramento, oppure ancora dell'intervento nell'esecuzione promossa da terzi).Siffatto privilegio (come molti altri introdotti nel tempo dal legislatore in specifici settori) si aggi unge ai privilegi speciali immobiliari previsti dal codice agli artt. da 2770 a 2775, ma se ne differenzia perché non è posto, come questi, a tutela di interessi pubblici, bensì a tutela dell'interesse meramente privato del promissario acquirente.Occorre a riguardo ricordare che gli originari privilegi speciali codicistici costituiscono il retaggio delle antiche ipoteche privilegiate, le quali venivano preferite alle ipoteche normali in ragione della particolare natura pubblica degli interessi protetti in via preferenziale. Di qui la regola di conflitto secondo cui siffatti privilegi prevalgono sulle ipoteche, anche se iscritte prima del loro sorgere. Regola oggi consacrata dell'art. 2748 c.c., comma 2, e già contenuta nell'art. 1953 del codice del 1865 (benché senza l'espressa riserva che prevede il vigente testo normativo). Autorevolissima dottrina spiega che la via scelta dal legislatore nel dell'art. 2748 c.c., comma 2, è la più conforme all'indole del privilegio, che, assistendo crediti normalmente incidenti sul processo di produzione o di valorizzazione di una cosa, deve necessariamente essere anteposto all'ipoteca. In altri termini, la ragione della maggior parte dei privilegi va ricercata nella particolare inerenza economica di alcuni crediti alla cosa gravata, la quale spiega anche la preferenza dei creditori privilegiati sui creditori forniti di garanzia reale: poiché questi ultimi acquistano un diritto al valore di scambi o della cosa, sono necessariamente posposti a coloro i quali, mediante l'erogazione di energie di lavoro o di utilità dal cui corrispettivo sorge il credito, hanno contribuito alla creazione, alla conservazione o all'incremento del valore medesimo.La stessa dottrina avvisa pure che queste considerazioni rilevano ai fini interpretativi della concreta applicazione delle norme positive e che sarebbe assurdo escludere dal novero dei privilegi le figure che hanno il presupposto in forme di pubblicità, solo perché ad esse non si applica il brocardo secondo cui privilegia non ex tempora estimantur (ossia la regola trasfusa nell'art. 2748 c.c., comma 2). Ponendo, così, in evidenza che, per un verso, la qualifica di "privilegio" non necessariamente comporta l'applicazione del principio secondo cui esso prevale sull'ipoteca precedentemente iscritta e che, per altro verso, l'applicazione delle ordinarie regole sulla pubblicità non consente di escludere la particolare qualifica di "privilegio" al tipo di prelazione trattato. Il privilegio del quale si discute esplica i suoi effetti in una vicenda specularmente opposta a quella summenzionata. Esso non assiste un credito che incide sul processo di produzione o di valorizzazione della cosa (piuttosto, siffatta incidenza appartiene al

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credito dei finanziatore dell'opera), bensì il credito del promissario acquirente che acquista il diritto al valore di scambio della cosa, e la sua costituzione è subordinata ad un preciso onere pubblicitario, così come la sua esistenza è collegata al perdurare degli effetti della pubblicità.Ne consegue che, relativamente ad esso, non vige la regola della prevalenza dei privilegi sulle ipoteche, bensì quella del prior tempore potior in jure che pervade di sè l'intero sistema della pubblicità, facendone conseguire che l'ipoteca trascritta prima della costituzione del privilegio debba su quest'ultimo prevalere. Alcuni autori hanno rilevato l'assimilabilità di siffatto tipo di prelazione all'ipoteca legale, ponendo in evidenza che, nella materia trattata, sarebbe stato preferibile che il legislatore avesse previsto non un privilegio speciale, bensì un'ipoteca legale;tant'è che in altre esperienze normative (come quella francese: cfr. l'art. 2106 c.c.) è previsto che i privilegi speciali sugli immobili sono opponibili agli altri creditori solo dopo che siano stati iscritti nella conservatoria delle ipoteche e secondo le modalità previste per quella forma di pubblicità.Le caratteristiche del privilegio in esame assumono un rilievo determinante, distinguendolo tanto dagli altri privilegi speciali immobiliari, la cui nascita non è condizionata ad un adempimento pubblicitario avente efficacia costitutiva, quanto dagli altri privilegi iscrizionali, che hanno ad oggetto beni mobili; rispetto a questi ultimi, ovviamente, il problema del concorso con altre cause di prelazione aventi natura trascrizionale non si pone, ma per il caso in cui concorrano più privilegi la legge prevede espressamente che il conflitto vada risolto in base alla regola della priorità della trascrizione (art. 2762 c.c., u.c.); per i primi, invece, pur valendo la regola secondo cui il privilegio prevale sulle ipoteche, la legge stabilisce, in riferimento a casi in cui la prelazione è accordata per un interesse non individuale.che essa non possa essere esercitata in pregiudizio de i diritti che i terzi hanno anteriormente acquistato sugli immobili (si tratta dei già menzionati artt. 2772 c.c., comma 4, e art. 2774 c.c., comma 2). A maggior ragione deve, quindi, affermarsi che un privilegio accordato in funzione di un interesse individuale, la cui nascita è subordinata all'adempimento di una formalità pubblicitaria, sia destinato a cedere, nel concorso con cause di prelazione precedentemente iscritte.In quest'ordine di idee è riduttivo ed avulso dalla visione sistematica dell'istituto fare una formalistica applicazione della regola di conflitto dettata dell'art. 2748 c.c., comma 2, per ammettere categoricamente che qualunque genere di privilegio speciale immobiliare (compreso quello previsto a favore del promissario acquirente) prevalga sull'ipoteca (qualunque ipoteca, non solo quella che assisto il credito del finanziatore), benché questa sia stata iscritta prima del nascere del privilegio.A questo punto occorre fare alcune precisazioni in ordine ad una serie di ricostruzioni che sono state operate per pervenire al medesimo risultato al quale qui si perviene.In primo luogo occorre chiarire che la regola di conflitto tra privilegi o ed ipoteca precedentemente iscritta non può essere rinvenuta nell'art. 2645 bis c.c., comma 2, il quale stabilisce; la prevalenza del contratto definitivo sulle trascrizioni e le iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare.

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Espressione, questa, del già menzionato effetto prenotativo della trascrizione del contratto preliminare ed attuazione della generalissima regola dell'art. 2644 c.c..Neppure giova il richiamo alla specifica regola di conflitto tra cause di prelazione contenuta dell'art. 2775 bis c.c., comma 2, il quale prevede due categorie di creditori ai quali il privilegio concesso in favore del promissario acquirente non è opponibile: a) quelli garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l'acquisto del bene immobile; b) quelli garanti ti da ipoteca ai sensi dell'art. 2825 bis c.c..Quanto all'ipotea i sub a) non è il caso di dilungarsi, pur dovendosi segnalare che tutti i commentatori hanno rilevato l'oscurità di una disposizione che sembrerebbe ammettere che il promissario, per effetto del preliminare, possa iscrivere ipoteca a garanzia dei suoi debiti su un bene non ancora di sua proprietà, in deroga dunque all'art. 2822 c.c.. Sta di fatto, comunque, che, nell'ipotesi delineata, il conflitto è risolto nel senso che l'ipoteca a favore del mutuante prevale sul privilegio a favore del promissario acquirente, a prescindere dalla circostanza che la garanzia reale sia stata iscritta prima o dopo la costituzione del privilegio.Quanto alla ipotesi sub b) - quella che maggiormente ci interessa - occorre tener conto della disposizione dell'art. 2825 bis c.c., richiamata dall'art. 2775 bis c.c.. Essa prevede (come s'è già visto in precedenza) che l'ipoteca iscritta sull'edificio (costruito o costruendo) a garanzia del finanziamento dell'intervento edilizio (ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 38 e segg.) prevale sulla trascrizione anteriore del contratto preliminare, limitatamente alla quota accollatasi dal promissario acquirente. In altri termini, benché iscritta successivamente alla trascrizione del preliminare, siffatta ipoteca prevale sul privilegio concesso a garanzia dei crediti vantati dal promissario acquirente nei confronti del promittente venditore. Risultando, così, risolto il problema del frazionamento del credito fondiario assistito da ipoteca che s'era posto nella precedente giurisprudenza ed attuato il favore del legislatore (del quale prima s'è detto) per i crediti incidenti sul processo di produzione o di valorizzazione della cosa. Ora, le disposizioni correlate costituiscono un ulteriore sottosistema nell'ambito del sottosistema della trascrizione del contratto preliminare. Nel senso che l'art. 2775 bis c.c., comma 2, non si occupa del problema di ordine generale del rapporto tra privilegio e favore del promissario ed ipoteca iscritta contro il promittente, ma solo del rapporto tra privilegio ed ipoteca Inerenti all'operazione di credito fondiario, disponendo l'inopponibilità del privilegio a due specifiche categorie di creditori ipotecari. Ne consegue che il richiamo a queste disposizioni non è utile a fondare la più generale regola di conflitto della quale s'è detto e che, soprattutto, le disposizioni stesse non possono essere indicate nè come la deroga al principio dell'art. 2748 c.c., comma 2, (da parte di chi ritiene che l'inopponibilità del privilegio alle ipoteche successive presuppone, a maggior ragione, l'inopponibilità a quelle precedenti), ne come la conferma al principio stesso (da parte di chi ritiene che il legislatore abbia voluto limitare l'inopponibilità del privilegi o alle sole ipoteche successive e non anche alle precedenti).L'interpretazione sin qui offerta, nel ricondurre la normativa speciale nell'alveo del sistema, risolve anche una serie di discrasie segnalate da quella dottrina che ha contrastato l'opposta soluzione. Affermare la prevalenza del privilegio sulle ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare comporterebbe, infatti,

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un'ingiustificata disparità di trattamento a seconda che il preliminare abbia o meno esecuzione: tali ipoteche, che in caso di stipulazione del contratto definitivo sono opponibili all'acquirente (in base al principio dell'anteriorità stabilito dall'art. 2644 c.c.), in caso di inadempimento dell'obbligo di contrarre diverrebbero a lui inopponibili, per effetto de privilegio nascente dalla stessa trascrizione del preliminare, con evidente sovvertimento della regola posta dall'ultima menzionata disposizione. Tenuto, altresì, conto di un'altra praticissima ma per nulla irrilevante considerazione: ossia, che il promissario, nel momento in cui stipula il preliminare ha contezza dell'esistenza dell'iscrizione ipotecaria sul bene che va ad acquistare; diversamente, il creditore (nel caso nostro il finanziatore) che abbia sin dall'inizio dell'operazione iscritto ipoteca a garanzia del suo credito sul medesimo immobile finirebbe (seguendo l'opposta tesi) con il vedere il suo credito posposto rispetto ad una serie indefinita ed indefinibile di crediti di promissari acquirenti (muniti di crediti privilegiati) susseguitisi nel commercio dello stesso bene.Tant'è che non è infondato l'allarme lanciato da chi ha rilevato che l'asserita prevalenza del privilegio sulle ipoteche isoritte anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare potrebbe costituire fonte di gravi abusi e di accordi fraudolenti tra il promittente venditore e il promissario acquirente, volti a vanificare la possibilità di soddisfacimento dei crediti garantiti dalle predette ipoteche. il proprietario di un immobile gravato da ipoteca potrebbe, infatti, agevolmente sottrarre il bene alla garanzia del propri o creditore, simulando un preliminare di compravendita con un soggetto compiacente, dichiarando di aver ricevuto l'intero corrispettivo e poi risolvendo il contratto, in quanto in sede di esecuzione forzata il credito del promissario acquirente per la restituzione del prezzo versato sarebbe collocato con grado porzione rispetto a quello ipotecario del creditore, che rimarrebbe pertanto insoddisfatto.Infine, essendo il privilegio in questione collocato all'ultimo posto nell'ordine stabilito dall'art. 2780 c.c., (e quindi dopo quelli riconosciuti ai crediti dello Stato per concessioni di acque e tributi indiretti, i quali non possono essere esercitati in pregiudizio delle Ipoteche precedentemente iscritte da terzi), l'accoglimento della diversa opinione determinerebbe un circolo vizioso, rendendo impossibile stabilire l'ordine delle cause di prelazione in caso di concorso dei privilegi di cui agli artt. 2772 e 277 c.c., con quello di cui all'art. 2775 bis c.c., e con ipoteche anteriori.5 - LE CONCLUSIONI.In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio:Il privilegio speciale sul bene immobile, che assiste (ai sensi dell'art. 2775 bis c.c.) i crediti del promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645 bis c.c. siccome subordinato ad una particolare forma di pubblicità costitutiva (come previsto dall'ultima parte dell'art. 2745 c.c.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull'ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dell'art. 2748 c.c., comma 2, e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti.Ne consegue che, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell'immobile scelga (come nella specie) lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi della L. Fall., art. 72), il conseguente credito del promissario acquirente (nella specie, per la restituzione della caparra versata contestualmente alla stipula

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del contratto preliminare), benché assistito da privilegio speciale, deve essere collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell'istituto di credito che, precedentemente alla trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull'immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice.Siccome il dispositivo del provvedimento impugnato risulta conforme a diritto, correttane la motivazione nei sensi sopra enunciati (art. 384 c.p.c.), il ricorsa deve essere respinto. (…)

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Esecuzione in forma specifica e modificabilità, da parte del giudice, del rapporto nascente dal preliminare

Sez. U, Sentenza n. 1720 del 27/02/1985 (Rv. 439679)

Presidente: MIRABELLI G.  Estensore: IANNOTTA A.  P.M. TAMBURRINO G. (CONF)

PRISCO contro SOC PALUMBO

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

439679 CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE - DI IMMOBILE DA COSTRUIRE - REALIZZAZIONE DELL'IMMOBILE CON VIZI E DIFFORMITÀ - AZIONE PER L'ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - CONTESTUALE AZIONE PER LA RIDUZIONE DEL PREZZO - AMMISSIBILITÀ.*

Con riguardo al preliminare di vendita di immobile da costruire, e per il caso in cui detto bene venga realizzato con vizi o difformità, che non lo rendano oggettivamente diverso, per struttura e funzione, ma incidano solo sul suo valore, ovvero su secondarie modalità di godimento, deve ritenersi che il promissario acquirente, a fronte dell'inadempimento del promittente venditore, non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell'accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell'pbbligo di concludere il contratto definitivo, a norma dell'art. 2932 cod. civ., chiedendo, contestualmente e cumulativamente, la riduzione del prezzo, tenuto conto che il particolare rimedio offerto dal citato art. 2932 cod. civ. non esaurisce la tutela della parte adempiente, secondo i principi generali dei contratti a prestazioni corrispettive, e che una pronuncia del giudice, che tenga luogo del contratto non concluso, fissando un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare, configura un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni, rivolto ad assicurare che l'interesse del promissario alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente. ( Conf 4442/82, mass n 422437; ( Conf 6671/81, mass n 417535; ( Conf 2679/80, mass n 406455; ( Conf 2268/80, mass n 405940; ( Conf 3560/77, mass n 387160; ( Conf 4478/76, mass n 383199; ( contra 6730/82, mass n 424370; ( contra 3722/81, mass n 414359; ( contra 3412/80, mass n 407241; ( contra 222/73, mass n 362052; ( contra 4081/68, mass n 337731).*

Sez. 2, Sentenza n. 1562 del 26/01/2010 (Rv. 611227)

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Presidente: Triola RM.  Estensore: Mazziotti Di Celso L.  Relatore: Mazziotti Di Celso L.  P.M. Marinelli V. (Conf.)

Carofiglio (Violante Andrea ed altro) contro De Robertis (Sisto ed altri)

(Rigetta, App. Bari, 20/07/2004)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Difformità non sostanziali del bene da trasferire rispetto a quello oggetto del preliminare - Esperibilità dell'azione ex art. 2932 cod. civ. - Contestuale richiesta di eliminazione delle difformità o di riduzione del prezzo - Ammissibilità.

In materia di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto, la condizione di identità della cosa oggetto del trasferimento con quella prevista nel preliminare non va intesa nel senso di una rigorosa corrispondenza, ma nel senso che deve essere rispettata l'esigenza che il bene da trasferire non sia oggettivamente diverso, per struttura e funzione, da quello considerato e promesso; pertanto, in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull'effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell'accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l'azione di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell'art. 2932 cod. civ., chiedendo cumulativamente e contestualmente l'eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo.

Sez. 2, Sentenza n. 477 del 14/01/2010 (Rv. 612378)

Presidente: Triola RM.  Estensore: Mazziotti Di Celso L.  Relatore: Mazziotti Di Celso L.  P.M. Golia A. (Conf.)

Seiti (Romano Luigi ed altro) contro Casati (Ribaudo)

(Rigetta, App. Brescia, 20/07/2004)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Preliminare di vendita -

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Consegna del bene promesso anteriormente alla stipula del contratto definitivo - Inidoneità del bene consegnato o mancanza nello stesso delle qualità promesse - Disciplina relativa alla garanzia per vizi - Inapplicabilità - Tutela del promittente compratore - Azione di risoluzione del preliminare - Ammissibilità - Azione ex art. 2932 cod. civ. ed azione di riduzione del prezzo - Ammissibilità in via alternativa.

In tema di contratto preliminare, la consegna dell'immobile oggetto dell'accordo effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti né comunque di quello di prescrizione, perché l’onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto. Ne consegue che, nel caso del promissario acquirente che sia stato anticipatamente immesso nella disponibilità materiale del bene, l’esistenza di vizi non considerati al momento della stipula del preliminare consente al predetto di agire in risoluzione dello stesso preliminare, perché l'obbligo assunto dal promittente venditore è quello di trasferire l'immobile esente da vizi che lo rendano inidoneo all'uso o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore; inoltre, il promissario acquirente ben può, a fronte del rifiuto del venditore a stipulare, optare per l'adempimento in forma specifica del preliminare ex art. 2932 cod. civ. agendo contemporaneamente con l'azione "quanti minoris" per la diminuzione del corrispettivo, senza che a detta facoltà possa essere opposta la decadenza o la prescrizione.

Sez. 2, Sentenza n. 5066 del 29/04/1993 (Rv. 482161)

Presidente: Vela A.  Estensore: Vella A.  P.M. Viale R. (Conf.)

Contaldo (Improta) contro Russo (Belsito)

(Cassa con rinvio, App. Potenza, 11 maggio 1991).

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

Contratti in genere - Contratto preliminare (compromesso) - Esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto - Preliminare di compravendita - Domanda ex art. 2932 cod. civ. proposta dalla parte non inadempiente - Sopravvenuta ineseguibilità di parte della prestazione promessa - Conseguenza - Limitazione della pretesa alla porzione residua del bene - Condizioni - Domanda di risoluzione per la parte di prestazione divenuta impossibile - Ammissibilità.

La parte non inadempiente del contratto preliminare di compravendita che abbia proposto la domanda ex art. 2932 cod. civ., in caso di sopravvenuta ineseguibilità di parte della prestazione promessa, può limitare la sua pretesa alla porzione residua del bene, purché questo non debba considerarsi, a motivo della sua riduzione, diverso da quello pattuito in contratto ed abbia perciò conservato la sua struttura e la sua funzione,

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e proporre contemporaneamente la domanda di risoluzione per la parte della prestazione divenuta impossibile.

Testo. (Omissis) Con l'unico motivo del ricorso incidentale, da esaminare preliminarmente dipendendo dalla sua decisione la sorte della maggiore parte dei motivi del ricorso principale, si censura la sentenza impugnata per avere la Corte d'appello erroneamente accolto la domanda subordinata di risoluzione dell'intero contratto preliminare di compravendita, mentre avrebbe dovuto accogliere le domande, entrambe proposte in via principale, di esecuzione specifica di detto contratto per la porzione di terreno non occupata dalla costruzione eseguita dal Comune, e di risoluzione per la parte di suolo residua, che, essendo stata occupata dall'opera pubblica, non era più trasferibile. E, in proposito si rileva che tali istanze sono state dichiarate improponibili sul presupposto che non sia possibile pronunciare la risoluzione parziale del contratto per inadempimento, e che, per l'incompatibilità che ne deriva, non sia esperibile nemmeno la azione di cui all'art. 2932 del codice civile, laddove si sarebbe dovuto aderire alla tesi contraria del promissario acquirente, considerando che il principio dell'improponibilità della domanda di risoluzione parziale non è applicabile nella specie, dovendo essere coordinato con la disciplina propria dell'azione di esecuzione specifica del contratto secondo cui, in caso di semplice modifica dell'oggetto, la sentenza può disporre il suo trasferimento.Il ricorso è fondato.

L'inadempimento del contratto preliminare di compravendita da parte del promittente alienante legittima il promissario a proporre la domanda di risoluzione (art. 1453 cod. civ.) e quella di esecuzione specifica del contratto (art. 2932 cod. civ.). E, qualora sia scelta quest'ultima domanda e nel corso del processo sia impossibile insistere per il suo accoglimento integrale per essere venuta meno una parte dell'oggetto del contratto, il promissario può limitare la richiesta di esecuzione alla porzione residua, e il giudice di merito deve disporre in conformità, salvo il caso in cui ritenga, con suo apprezzamento incensurabile, che il bene sia divenuto radicalmente diverso da quello pattuito. In proposito, va osservato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno risolto (v. sent. n. 1720 del 1985), nel senso favorevole all'indirizzo di ampia tutela del promissario, il contrasto formatosi tra le pronunce delle sezioni semplici circa la possibilità o meno di sperimentare l'azione di cui all'art. 2932 del cod. civ., qualora la sentenza debba prevedere condizioni diverse da quelle contenute nel contratto preliminare. Per le sezioni unite la pronuncia giudiziale non può operare il trasferimento di un bene diverso da quello su cui si sia formato il consenso delle parti, ma perché si abbia diversità dell'oggetto non è sufficiente qualsiasi difformità o vizio, essendo necessaria una modifica tale da incidere sulla struttura e sulla funzione del bene e sulla possibilità di utilizzarlo secondo l'uso convenuto. Solo in quest'ultima ipotesi la sentenza prevista dall'art. 2932 cod. civ. modificherebbe e sostituirebbe inammissibilmente la volontà manifestata dalle parti nel contratto preliminare.Nella specie, la Corte di rinvio ha ammesso, in applicazione di tale principio, l'astratta esperibilità in una situazione come quella sottoposta al suo esame, della domanda di cui

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all'art. 2932, ma ne ha escluso la proponibilità in concreto per la sua incompatibilità con l'azione di risoluzione parziale del contratto preliminare, promossa per la parte di suolo divenuta di proprietà pubblica, e quindi, intrasferibile per effetto della costruzione su di essa compiuta dell'immobile ad opera del Comune, in base al rilievo che, per il costante orientamento della Corte di Cassazione, è inconcepibile la risoluzione parziale del contratto di compravendita per inadempimento relativo al suo oggetto, non potendosi verificare in tal caso la completa remissione in pristino cui detta azione è per sua stessa natura diretta (sent. nn. 4762 del 1991, 1874 del 1985, 6935 del 1982 e 420 del 1981).Tale indirizzo si è, però, formato in tema di contratto definitivo di compravendita in ordine al quale la risoluzione parziale non consentirebbe il ripristino della situazione originaria realizzabile solo mediante il ritrasferimento del diritto di proprietà dell'intero bene dall'acquirente all'alienante. Nell'ipotesi di contratto preliminare, invece, questo ostacolo alla configurabilità della risoluzione parziale non sussiste, perché da essa deriva soltanto lo scioglimento del vincolo obbligatorio e, quindi, il venire meno degli impegni rispettivi ad alienare e ad acquistare con riferimento alla parte del bene promesso in vendita e non più trasferibile, il che non comporta alcun problema di remissione in pristino del diritto reale sul bene. Inoltre, contrariamente a quel che ha ritenuto il giudice di rinvio, è la disciplina della risoluzione per inadempimento che deve essere coordinata con quella dell'azione prevista dall'art. 2932 del cod. civ. Se alla parte non inadempiente è stato concesso di promuovere a sua scelta l'una o l'altra delle menzionate azioni, deve ritenersi che, nel caso in cui sia divenuto impossibile nel corso del processo ottenere la sentenza di esecuzione specifica del contratto preliminare per l'intero bene promesso, la stessa parte sia abilitata a sperimentare la azione risolutoria per la prestazione non più eseguibile. In caso contrario la parte che abbia scelto l'azione di esecuzione specifica e che ad essa abbia ancora interesse, anche in presenza di una riduzione del suo oggetto, potrebbe chiedere il solo accoglimento di tale domanda, certamente proponibile per le anzidette ragioni, mentre le sarebbe precluso l'esercizio congiunto dell'azione di risoluzione per la prestazione divenuta inesigibile, il cui esperimento comporterebbe addirittura l'improponibilità non solo di tale domanda, ma anche di quella prevista dall'art. 2932 del cod. civ. per un'incompatibilità di cui non si rinvengono elementi di riscontro oggettivi. E l'unico rimedio apprestato alla parte senza alcuna limitazione sarebbe, quindi, costituito dall'azione di risoluzione dell'intero contratto preliminare alla quale, in assenza di più estesa tutela, la medesima sarebbe costretta a fare ricorso, eventualmente anche in contrasto con il suo interesse al simultaneo parziale accoglimento delle due pretese giudiziali. Pertanto, la Corte d'appello è incorsa in errore non avendo applicato il principio secondo cui la parte, non inadempiente del contratto preliminare di compravendita che abbia proposto la domanda di cui all'art. 2932 del cod. civ., in caso di sopravvenuta eseguibilità solo parziale della prestazione, può limitare la sua pretesa alla porzione residua del bene, purché questo non sia divenuto diverso, abbia, cioè conservato la sua struttura e la sua funzione, e proporre contemporaneamente la domanda di risoluzione per la prestazione divenuta impossibile.

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Sez. 2, Sentenza n. 3176 del 09/02/2011 (Rv. 616778)

Presidente: Oddo M.  Estensore: Manna F.  Relatore: Manna F.  P.M. Fucci C. (Conf.)

Lombardi ed altro (Catalisano) contro Ognissanto (La Porta)

(Cassa con rinvio, App. Bari, 28/02/2005)

187 VENDITA  -  095 PROMESSA DI VENDITA

VENDITA - PROMESSA DI VENDITA - Immobile gravato da ipoteca - Esecuzione specifica chiesta dal promissario acquirente - Poteri del giudice - Pagamento del prezzo condizionato alla liberazione da parte del promettente dell'ipoteca gravante sull'immobile - Ammissibilità.

Il giudice adito per l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto preliminare chiesta dal promissario acquirente, nello stabilire le modalità e i termini entro i quali l'attore deve adempiere l'obbligazione di pagare il residuo prezzo, può - per l'esigenza di salvaguardare l'equilibrio sinallagmatico dei contrapposti interessi - subordinare tale pagamento all'estinzione, da parte del promittente alienante, dell'ipoteca.

Sez. 2, Sentenza n. 937 del 20/01/2010 (Rv. 611232)

Presidente: Schettino O.  Estensore: Piccialli L.  Relatore: Piccialli L.  P.M. Ciccolo PPM. (Conf.)

Di Lecce (Gentile ed altro) contro Ricchiuti ed altro

(Rigetta, App. Bari, 28/10/2003)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. - Regolamentazione del medesimo assetto di interessi - Necessità - Conseguenze - Pluralità di promissari acquirenti di immobile - Assenza di specificazione delle quote loro spettanti - Attribuzione del bene, in sede di esecuzione in forma specifica, in parti uguali ed indivise - Necessità - Patti di diversa ripartizione intervenuti tra i soli promissari acquirenti - Rilevanza ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 2932 - Esclusione.

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In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., posto che la sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo, la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche. Ne consegue che, in assenza di specificazione delle quote spettanti a più promissari acquirenti di un immobile, l'esecuzione in forma specifica del relativo contratto preliminare di compravendita comporta l'attribuzione del bene in parti uguali ed indivise, in virtù dell'applicazione, in via analogica, del principio generale espresso dal primo comma dell'art. 1101 cod. civ., mentre eventuali pattuizioni estranee al contenuto del contratto preliminare intervenute tra i promissari acquirenti circa una eventuale diversa ripartizione del bene assumono esclusivo rilievo nei loro rapporti interni, senza spiegare effetti in sede di esecuzione in forma specifica.

Sez. 2, Sentenza n. 12155 del 10/12/1993 (Rv. 484649)

Presidente: Anglani F.  Estensore: Carnevale V.  P.M. Viale R. (Conf)

Severino (Marini) contro Cosco (Mannino)

(Cassa con rinvio, App. Roma, 20 settembre 1989).

187 VENDITA  -  095 PROMESSA DI VENDITA

Vendita - Promessa di vendita - Avente ad oggetto la nuda proprietà di un immobile - Riserva di usufrutto a favore del promittente venditore - Morte del medesimo sopravvenuta alla sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. emessa in primo grado - Conseguenze - Conferma della sentenza in appello nei confronti degli eredi del promittente venditore - Ammissibilità.

Con riguardo ad un contratto preliminare di vendita, che abbia ad oggetto la nuda proprietà di un immobile, con riserva dell'usufrutto al promittente venditore, la morte di detto contraente intervenuta dopo la pronuncia, in primo grado, di sentenza costitutiva a norma dell'art. 2932 cod. civ. non comporta ostacolo alla conferma della sentenza medesima nel giudizio di gravame e nei confronti degli eredi del promittente venditore, in quanto non configura una situazione di sopravvenuta impossibilità di adempimento del detto preliminare, ma comporta soltanto l'automatica variante del trasferimento della piena proprietà del bene.

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Testo. (Omissis) Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1351, 2932, 978, 979, 1014, 1362, 1367, 1419 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Sostiene:che - se ha compreso il pensiero dell'estensore della sentenza - questa ha affermato che, ove stipulato un contratto preliminare di vendita della nuda proprietà di un bene, il contratto, in caso di morte dell'usufruttuario, diventa nullo per impossibilità sopravvenuta dell'oggetto;che il consolidamento dell'usufrutto è vicenda relativa al diritto e non al bene ed è pertanto inidonea a modificare la condizione "sia giuridica che fattuale" del bene;che - ove intesa la sentenza nel senso del riferimento della impossibilità di esecuzione del preliminare al fatto che il trasferimento della sola quota di nuda proprietà di Clara Cosco non costituiva oggetto di una espressa previsione contrattuale - a parte la totale assenza di motivazione sul punto, andava ritenuto che il contratto includeva anche il trasferimento della quota della nuda proprietà, data, tra l'altro, l'applicabilità del principio di conservazione del negozio.Il motivo è fondato, in base ai rilievi che seguono.

La Corte di Appello non ha preso in esame i motivi (v."svolgimento del processo") dedotti dall'appellante ed ha rigettato la domanda proposta dall'attore ritenendo la "impossibilità" della esecuzione del contratto preliminare in quanto - per la morte dell'usufruttuario Donato Cosco avvenuta il 19 agosto 1987 - ritenuta "la condizione fattuale e giuridica del bene oggetto del contratto mutata nella sostanza".È evidente che la Corte ha affermato la cennata impossibilità oggettiva in relazione all'art. 2932 c.c. primo comma che subordina al requisito della "possibilità" ("qualora sia possibile") l'eseguibilità in via specifica dell'obbligo di concludere un contratto.Il ricorrente contesta la ritenuta impossibilità denunciando appunto la violazione della norma dell'art. 2932.La "impossibilità" prevista dal primo comma dell'art. 2932 c.c. può essere rappresentata da impedimenti di fatto o di diritto (es. sopravvenuta distruzione del bene; alienazione dello stesso a terzi). Con recente decisione questa Corte (sent. 9.6.1990 n. 5618 in Giust. civ., 1991, I, 2149) in senso contrario ad altra precedente decisione (sent. 20.1.1976 n. 167 in Giust. civ. 1976, I, 917), in analoga fattispecie - contratto preliminare di vendita ad oggetto la nuda proprietà di un immobile con riserva di usufrutto al promittente venditore; morte del promittente venditore (nelle more del tempo stabilito per la stipulazione del contratto definitivo - sent. 1976-n. 167; prima della stipulazione del contratto definitivo sent. 1990-n. 5618) - escludeva la impossibilità in questione. La massima ufficiale tratta dalla sent. 1990-n. 5618 è la seguente: "Con riguardo ad un contratto preliminare di vendita, che abbia ad oggetto la nuda proprietà di un immobile, con riserva dell'usufrutto al promittente venditore, la morte di detto contraente intervenuta prima della stipulazione del contratto definitivo, non preclude al promittente compratore tale stipulazione con gli eredi del promittente venditore e, in mancanza della prestazione del consenso da parte di questi ultimi, di ottenere la pronuncia della

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sentenza costitutiva a norma dell'art. 2932 c.c., non derivandone al riguardo alcuna impossibilità con riferimento alle pattuizioni del preliminare, salva l'automatica variante del trasferimento della piena proprietà all'acquirente".Riteneva la Corte - ed è quanto interessa rilevare e confermare in questa sede - che, nella emanazione della sentenza ex art. 2932 c.c., era consentito al giudice di tenere presenti anche "i comportamenti inadempienti delle parti successivi alla domanda che siano in rapporto col mutarsi della situazione prevista dai contraenti, nel corso del processo (per gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e per un principio generale di diritto, per cui la durata del processo non deve andare a danno di chi ha ragione, per cui anche la sentenza costitutiva avente effetti ex nunc - qual'è quella ex art. 2932 c.c. - deve attuare la legge ed accertare il diritto in conformità della situazione giuridica esistente alla data in cui la domanda venga proposta)". "Se l'originaria convenuta avesse adempiuto" osservava conclusivamente la Corte "avrebbe consentito la costituzione di usufrutto a suo favore e successivamente i suoi eredi non avevano alcuna valida giustificazione ad opporsi alla stipulazione del contratto definitivo, con il quale essi avrebbero trasferito non un diritto reale diverso, bensì lo stesso previsto diritto di proprietà virtualmente suscettibile di espandersi in piena proprietà".Tanto premesso in via generale, è sufficiente rilevare nella specie che la morte dell'usufruttuario Donato Cosco avvenne - come ha precisato la corte di appello senza però trarne le debite conseguenze - il 19 agosto 1987 e pertanto "successivamente" alla sentenza 14.2.1986, con la quale il Tribunale, in esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. del contratto preliminare stipulato fra le parti (insussistenti "impossibilità" qualsiasi) aveva trasferito dalla Clara Cosco in favore di Pasquale Severino la quota pari alla metà della nuda proprietà del fondo, subordinando detto trasferimento al versamento da parte dell'attore alla Cosco della somma di lire 13.333.333, da compiersi entro tre mesi dalla pronuncia (del Tribunale medesimo).La sentenza va cassata per nuovo esame. (…)

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Il presupposto dell’azione ex art. 2932 cod. civ.: l’offerta di eseguire la propria prestazione

Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 29849 del 29/12/2011 (Rv. 620833)

Presidente: Goldoni U.  Estensore: Matera L.  Relatore: Matera L.  P.M. Zeno I. (Conf.)

Lilium Iniziative Immobiliari Srl (Germinetti ed altro) contro Saibene

(Rigetta, App. Milano, 29/09/2009)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Preliminare di vendita immobiliare - Domanda ex art. 2932, primo comma, cod. civ. - Implicita offerta ex art. 2932, secondo comma, cod. civ. - Sussistenza - Clausola di accollo del mutuo fondiario - Sentenza ex art. 2932 cod. civ. - Effetto traslativo condizionato all'accollo - Extrapetizione - Esclusione.

Nel caso in cui le parti di un preliminare di vendita immobiliare abbiano convenuto che il pagamento del prezzo debba essere effettuato alla stipulazione del definitivo, il requisito dell'offerta di cui al secondo comma dell'art. 2932 cod. civ. è da ritenersi soddisfatto con la proposizione della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre, essendo tale offerta necessariamente implicita nella domanda, sicché, in tale ipotesi, deve senz'altro essere emessa la sentenza produttrice degli effetti del contratto non concluso e il pagamento del prezzo deve essere imposto come condizione per il verificarsi dell'effetto traslativo derivante dalla pronuncia del giudice. Ne consegue che, ove la prestazione del promissario acquirente di pagamento del prezzo residuo dell'immobile sia da adempiersi, secondo il preliminare, mediante accollo di mutuo fondiario, non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, nella sentenza costitutiva, subordini l'effetto traslativo all'accollo anzidetto.

Sez. 2, Sentenza n. 16881 del 31/07/2007 (Rv. 600207)

Presidente: Elefante A.  Estensore: Piccialli L.  Relatore: Piccialli L.  P.M. Uccella F. (Diff.)

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Imm. 4 M Srl (De Zio ed altro) contro Bellomo (Iannone ed altri)

(Cassa con rinvio, App. Bari, 19 Settembre 2002)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Preliminare di vendita - Pagamento del prezzo - Offerta ex articolo 2932 secondo comma cod. civ. - Implicita inclusione nella domanda di esecuzione specifica - Configurabilità .

In tema di contratto preliminare di compravendita, l'offerta della prestazione, richiesta dal secondo comma dell'articolo 2932 cod. civ., può ritenersi implicita nella domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto, considerato che la verificazione degli effetti traslativi della sentenza di accoglimento sostitutiva del non concluso contratto definitivo, deve essere necessariamente condizionata dal giudice all'adempimento della controprestazione.

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Sul requisito della possibilità dell’attuazione coattiva

Sez. 3, Sentenza n. 13282 del 16/12/1992 (Rv. 480031)

Presidente: Taddeucci M.  Estensore: Nicastro G.  P.M. Martinelli A. (Conf)

Rivolta (Zerbi) contro Manetti (Gentile)

(Rigetta, App. Milano, 4 ottobre 1988).

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

Contratti in genere - Contratto preliminare (compromesso) - Esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto - Domanda relativa - Accoglibilità - Limiti - Alienazione a terzi del bene promesso - Trascrizione della domanda di esecuzione specifica anteriormente alla vendita - Effetti - Prevalenza della domanda sulla vendita.

L'art. 2932 cod. civ. consente l'emanazione di una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso soltanto "qualora sia possibile" onde la domanda di esecuzione specifica, ancorché la relativa trascrizione ai sensi dell'art. 2652 n. 2 cod. civ. non costituisca condizione per la pronuncia della sentenza costitutiva, trova un limite nell'alienazione a terzi del bene promesso - il cui onere probatorio spetta a chi si oppone alla domanda - salvo che detta domanda sia stata trascritta anteriormente alla vendita, atteso che i suoi effetti prevalgono su quelli degli atti di disposizione del proprietario trascritti successivamente, e viene conseguentemente meno l'impossibilità giuridica derivante dall'alienazione a terzi del bene medesimo.

Testo. (…) La seconda parte del motivo, pur mancando di qualsiasi specifico richiamo, ripropone il problema della "possibilità", cui la norma citata subordina la pronuncia della sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.Va anzitutto rilevato che la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica, contemplata dall'art. 2652 n. 2 c.c., non costituisce condizione per la pronuncia della sentenza ex art. 2932 c.c., riversando i suoi effetti esclusivamente su quei terzi che abbiano acquistato diritti dal promittente del contratto preliminare ed abbiano, a loro volta, trascritto il loro diritto: la trascrizione della sentenza che accolga la domanda prevale, infatti, sulle trascrizioni e sulle iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda stessa.Questa Corte ha avuto, tuttavia, modo di precisare, che "l'art. 2932 c.c. consente al giudice di emanare una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso soltanto "qualora sia possibile" e così la relativa domanda di esecuzione specifica trova

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limite nell'alienazione a terzi del bene promesso, salvo che tale domanda sia trascritta anteriormente alla detta vendita, atteso che i suoi effetti prevalgono su quelli degli atti di disposizione del proprietario trascritti successivamente e viene di conseguenza meno l'impossibilità giuridica derivante dall'alienazione a terzi del bene medesimo" (Cass. 2.2.1983, n. 915; arg. anche da Cass. 30.11.88, n. 6506; Cass. 24.11.1983 n. 7047. Rimane isolata la più restrittivas, anche se recente, Cass. 8.5.1991, n. 5110, che esclude, in tali casi, la rilevanza della trascrizione). Compete, peraltro, a chi si oppone alla domanda di esecuzione in forma specifica di un preliminare l'onere di dimostrare che il bene che ne forma oggetto sia stato venduto a terzi mediante un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda stessa (art. 2697 c.c.). In proposito (in particolare in ordine alla trascrizione dell'atto di compravendita stipulato dagli attuali ricorrenti con i terzi) non si fa riferimento ad alcuna prova specifica, affidandosi a semplici affermazioni sicché legittimamente la Corte di merito ha dichiarato trasferita la proprietà delle quote al Brunero Manetti, sullo specifico rilievo che nulla risultava in proposito. (. . . )

Sez. 2, Sentenza n. 7252 del 29/03/2006 (Rv. 588941)

Presidente: Vella A.  Estensore: Trombetta F.  Relatore: Trombetta F.  P.M. Marinelli V. (Conf.)

Curatela Fall. Capomaccio (Malinconico ed altro) contro Vagnati ed altri

(Rigetta, App. Roma, 4 Aprile 2000)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Preliminare avente ad oggetto immobili futuri - Subordinazione della stipula del definitivo alla venuta ad esistenza degli immobili - Sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. prima della costruzione degli immobili - Inammissibilità.

Non può ottenersi la pronuncia di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto, qualora le parti del contratto preliminare di vendita di cosa futura (nella specie, tre appartamenti ancora da costruirsi) abbiano espressamente subordinato la stipula del contratto definitivo alla avvenuta edificazione degli immobili oggetto dello stesso.

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Sez. 2, Sentenza n. 6166 del 20/03/2006 (Rv. 587469)

Presidente: Corona R.  Estensore: Oddo M.  Relatore: Oddo M.  P.M. Fedeli M. (Conf.)

Volonte' (Mingione ed altri) contro Tognoni ed altri (Porcu)

(Rigetta, App. Milano, 12 Settembre 2003)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Preliminare avente ad oggetto un terreno - Intervenuto mutamento della destinazione urbanistica del bene - Sentenza costitutiva ex art.2932 cod. civ. - Ammissibilità - Fondamento - Condizioni.

In tema di esecuzione specifica di un contratto preliminare, il mutamento della destinazione urbanistica del terreno promesso in vendita (nella specie, da agricola a edificatoria e residenziale) incidendo unicamente, senza mutarne la natura, sulla attitudine del bene ad una diversa utilizzazione o sfruttamento e, quindi, sulla utilità che da esso intende trarre il futuro proprietario, non costituisce ostacolo alla pronuncia ex art.2932 cod. civ., a meno che non sia il promissario acquirente a dolersi della modifica.

Testo. Tognoni Enrico con atto notificato il 15 gennaio 1987 convenne davanti al Tribunale di Busto Arsizio le sorelle Volontè Adele e Maria e, rinunciando alla condizione apposta dell'ottenimento del nulla osta alla costruzione di un opificio industriale, domandò l'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare per persona da nominare, con il quale il 15 novembre 1982 le convenute gli avevano promesso la vendita di un terreno di mq. 5600 in agro di Caronno Pertusella al prezzo di L. 180,000.000, di cui 30.000.000 già versate quale caparra.Alla domanda si oppose Volontè Adele, mentre non si costituì in giudizio la sorella Maria, e, intervenuta nel processo la S.r.l. Calzificio Tognoni, nella qualità di nominato acquirente, il Tribunale con sentenza del 2 aprile 1992, ritenuta tardiva la nomina della società, accolse la domanda dell'attore e trasferì in suo favore la proprietà del terreno, previo pagamento della parte residua del prezzo. La decisione, impugnata da Volontè Adele, venne annullata il 20 marzo 1996 dalla Corte di Appello, che rimise la causa al primo giudice per la mancata indicazione dell'udienza di comparizione nella citazione introduttiva notificata a Volontè Maria, nel frattempo deceduta, eccepita dalla sua erede Cazzani Emilia.I ricorsi per la cassazione della sentenza vennero rigettati il 6 febbraio 1999 e Volontè Adele ed Cazzani Emilia, riassunta la causa il 16 maggio 1999 dal Tognoni davanti al Tribunale di Busto Arsizio, resisterono alla domanda di esecuzione dell'obbligo di

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contrarre, eccependo la prescrizione del diritto azionato e, nel merito, l'inefficacia del preliminare, non "essendosi verificata alcuna valida rinuncia alla condizione" appostavi, e la Volontè anche la nullità del contratto per l'indeterminatezza dell'oggetto e/o la sostanziale differenza tra il bene promesso in vendita e quello esistente; chiesero, altresì, in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità e la sola Volontè il suo annullamento per vizio di consenso e rescissione per lesione ultra dimidium, nonché la condanna del Tognoni al risarcimento dei danni. Il Tribunale, respinte le eccezioni di tardività della riassunzione della causa e di prescrizione del diritto azionato dall'attore, con sentenza del 4 luglio 200, rigettò la domanda del Rognoni, assumendo che la stessa era "da ritenersi inammissibile" per la "ontologica modificazione" del bene oggetto del compromesso, che "da terreno agricolo è divenuto edificabile ad uso residenziale", e, accogliendo una delle domande riconvenzionali, dichiarò risolto il preliminare per sopravvenuta eccessiva onerosità, essendosi decuplicato nelle more il valore del bene promesso in vendita.La decisione, appellata dal Rognoni e, in via incidentale, da Volontè Maria, venne riformata il 12 settembre 2003 dalla Corte di Appello di Milano, che trasferì all'attore la proprietà del terreno oggetto del preliminare, previo pagamento alla Volontè ed alla Cazzani del prezzo ancora dovuto.Osservò il giudice di secondo grado che:doveva considerarsi definitivamente respinta l'eccezione di prescrizione del diritto azionato dall'attore, non avendo la Volontè censurato la motivazione in base alla quale il tribunale l'aveva rigettata, ed era infondata quella di nullità del contratto per indeterminatezza dell'oggetto, essendo stato il medesimo esattamente indicato nel preliminare;- non vi era prova dell'esistenza al momento della stipula del contratto delle condizioni richieste dall'art. 1448 c.c., per l'azione generale di rescissione per lesione e dell'asserito vizio di volontà delle promittenti, della sua essenzialità e della sua riconoscibilità, e la genericità dei capitoli articolati non consentiva l'assunzione dei mezzi articolati su di esso;la necessità di una rinuncia anche delle promittenti ad avvalersi della condizione dell'ottenimento del nulla osta a costruire un opificio era esclusa dalla natura unilaterale della medesima e l'attore non era decaduto dal diritto alla rinuncia, essendo il tempo trascorso prima del suo esercizio oggettivamente proporzionato al risultato da raggiungere ed agli ostacoli burocratici da superare;l'eccessiva onerosità si era manifestata successivamente all'invito a stipulare il contratto definitivo rivolto dal promissario alle convenute nel giugno 1986 ed il mancato tempestivo adempimento all'obbligo di trasferire l'immobile poneva il rischio del suo vetrificarsi a carico delle promittenti;- l'edificabilità del terreno sopravvenuta nelle more del giudizio non aveva modificato l'identità del bene, ma incideva unicamente sulle modalità del suo sfruttamento.La Volontè è ricorsa per la cassazione della sentenza con quattordici motivi di cui uno articolato in altri quattro sottomotivi, illustrati con memoria, il Tognoni ha resistito con controricorso notificato il 29 gennaio 2004, proponendo contestale ricorso incidentale condizionato e depositando il 24 gennaio 2006 il certificato di destinazione urbanistica

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del terreno, e gli intimati Cazzani e società Calzificio Tognoni Enrico non hanno resistito in giudizio.

(…) Infondati sono i motivi sub g), h) ed l), che attengono sotto diversi profili alle questioni della (im)possibilità di trasferire coattivamente all'attore la proprietà del terreno, che per il mutamento degli strumenti urbanistici aveva perso nelle more del giudizio la destinazione agricola che lo caratterizzava al momento della stipula del preliminare ed era divenuto suolo edificatorio residenziale, e dei riflessi di tale mutamento sull'efficacia della condizione apposta dalle parti, sulla causa del contratto e sull'interesse del promissario.Dal mutamento della destinazione urbanistica non deriva, invero, la attribuzione ad un terreno di una natura oggettivamente diversa da quella originaria, ma unicamente l'attitudine del bene ad una diversa modalità di sfruttamento e questa, interferendo soltanto nella vicenda economia del rapporto, non rende impossibile la pronuncia di una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso ove non sia l'acquirente a dolersi della completa diversità del bene, per genere o capacità funzionali, rispetto a quello contrattato. Tanto più che, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, la possibilità che la superficie divenisse edificabile era stata espressamente prevista dalle parti e, anzi, all'edificabilità, sia pure a fini industriali, era stata condizionata la stipula del contratto definitivo. L'impossibilità giuridica dell'avveramento della condizione sospensiva unilaterale apposta al preliminare, inoltre, non incide di per sé e non ha inciso sulla causa o sull'interesse al contratto, non solo perché arbitro dell'interesse in tale caso era il solo attore e lo stesso ha rinunciato alla condizione prima che detta impossibilità si manifestasse definitivamente, ma anche perché, come ripetutamente affermato da questa Corte, la parte, ove non sia fissato un termine può rinunciare alla condizione sospensiva unilaterale stabilita in suo favore anche dopo che è certo che essa non si avvererà (cfr.: Cass. Civ., sez. 3^, sent. 6 novembre 1993, n. 11001; Cass. civ., sez. 2^, sent. 23 marzo 1991, n. 3185).Inammissibili sono i motivi sub i) e sub m), con i quali è censurata l'omessa pronuncia della sentenza sulle eccezioni di violazione del principio inadimplenti non est adimplendum e della natura meramente potestativa della condizione apposta al contratto, perché, trattandosi di eccezioni non rilevabili d'ufficio e non risultando dalla sentenza che le stesse siano state proposte nel corso del giudizio, costituiva onere della ricorrente, al fine di consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, la specificazione in quale atto o verbale di udienza le avesse anteriormente formulate. Infondato è il motivo sub n), giacché l'esame della domanda di condanna dell'attore al risarcimento del danno era assorbito dal riconoscimento dell'inadempimento delle convenute e della fondatezza della sua domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo da loro assunto di stipulare il contratto definitivo.Infondati sono i motivi sub o) e p), che attengono al malgoverno della prova in ordine all'inadempimento delle ricorrenti ed alle conseguenze che ne sono state tratte.La sentenza impugnata ha affermato che qualora l'efficacia di un preliminare sia sottoposto a condizione sospensiva mista, in quanto il suo verificarsi dipenda dal comportamento di uno dei contraenti e da quello discrezionale dell'amministrazione, la messa in mora della parte nel cui interesse tale condizione è stata pattuita è subordinata

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o all'essersi verificata la condizione ovvero, in mancanza della indicazione di un termine entro il quale la condizione doveva verificarsi, all'inerzia del soggetto onerato od all'essere trascorso un tempo oggettivamente sproporzionato rispetto al risultato da raggiungere ed agli ostacoli burocratici da superare. In coerenza con tale corretto principio ha ritenuto che, risultando dai documenti prodotti che l'attore si era attivato per ottenere il nulla osta ed essendo amministrativamente giustificato il tempo trascorso sino al momento in cui nell'anno 1986 aveva rinunciando alla condizione e dichiarato alle promittenti che non intendeva più insistere nei tentativi di ottenere detto nulla osta, non era ravvisabile un suo inadempimento alle obbligazioni assunte nonostante le due lettere inviategli in precedenza da una delle convenute. Ha osservato, quindi, che era illegittimo il rifiuto a contrarre opposto all'attore da una delle promittenti, e, successivamente, dall'erede dell'altra e che il medesimo non poteva trovare utile motivo neppure nell'assunto che un incremento di valore del terreno aveva reso inadeguato il prezzo nei tre anni trascorsi dal preliminare, giacché la stima di L. 30.000 al mq. era notevolmente superiore a quello corrente all'epoca per i terreni agricoli e scontava già la possibilità di edificazione alla quale era stato condizionato il contratto definitivo, e, in ogni caso, essendo nell'anno 1982, come lamentato dalle convenute, l'inflazione "già a due cifre", l'aumento del prezzo in costanza dell'inedificabilità non costituiva un evento straordinario ed imprevedibile. Tali argomenti, oltre a non essere stati specificamente censurati, integrano una motivazione, che siccome oggettivamente adeguata alle valutazioni operate e priva di carenze logico-giuridiche, si sottrae ai vizi denunciati e resiste ai motivi di censura. (…)

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Azione di esecuzione in forma specifica e termine per la stipulazione del definitivo

Sez. 2, Sentenza n. 10687 del 13/05/2011 (Rv. 618129)

Presidente: Piccialli L. Estensore: Piccialli L. Relatore: Piccialli L. P.M. Apice U. (Diff.)

Cei ed altro (Tortorella Fabrizio ed altro) contro Bolognesi (Capone A. ed altro)

(Cassa con rinvio, App. Firenze, 08/07/2005)

058 CONTRATTI IN GENERE - 038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Termine per la stipulazione del definitivo - Indicazione espressa nel preliminare - Avvenuta scadenza - Azione di esecuzione in forma specifica - Condizioni - Previa diffida ad adempiere esercitabile dalla parte non inadempiente - Necessità - Esclusione - Fondamento.

113 OBBLIGAZIONI IN GENERE - 067 TEMPO DELL'ADEMPIMENTO - IN GENERE

OBBLIGAZIONI IN GENERE - ADEMPIMENTO - TEMPO DELL'ADEMPIMENTO - IN GENERE - Contratto preliminare di vendita immobiliare - Scadenza del termine pattuito per la stipula del definitivo - Azione di esecuzione in forma specifica - Condizioni - Previa diffida ad adempiere intimata dalla parte non inadempiente - Necessità - Esclusione - Fondamento.

In tema di inadempimento del contratto preliminare di compravendita immobiliare contenente un termine, non rispettato alla scadenza, per la stipulazione del definitivo, l'esercizio dell'azione di esecuzione in forma specifica, ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., dell'obbligo di concludere il medesimo, non presuppone necessariamente la natura essenziale di detto termine, né la previa intimazione di una diffida ad adempiere alla controparte, essendo sufficiente la sola condizione oggettiva dell'omessa stipulazione del negozio definitivo che determina di per sé l'interesse alla pronunzia costitutiva, a prescindere da un inadempimento imputabile alla controparte stessa.

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Sulla decorrenza di effetti della sentenza ex art. 2932 cod. civ.

Sez. 3, Sentenza n. 18512 del 03/09/2007 (Rv. 600485)

Presidente: Varrone M.  Estensore: Frasca R.  Relatore: Frasca R.  P.M. Destro C. (Conf.)

Langher (Cardarelli) contro Idrogross Ceramiche Srl ed altro (Sabatini ed altro)

(Cassa con rinvio, Trib. Roma, 27 Settembre 2006)

140 PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE CIVILE  -  045 ESECUZIONE PROVVISORIA (DELLA) - IN GENERE

PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE CIVILE - SENTENZA - ESECUZIONE PROVVISORIA (DELLA) - IN GENERE - Pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c. - Statuizioni di condanna consequenziali - Immediata esecutività - Sussistenza - Applicabilità alla condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo.

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c. - Statuizioni di condanna consequenziali - Immediata esecutività - Sussistenza - Applicabilità alla condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo.

Nel caso di pronuncia della sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive dell'adempimento delle prestazioni a carico delle parti fra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da ritenere immediatamente esecutive ai sensi dell'art. 282 cod. proc. civ., di modo che, qualora l'azione ai sensi dell'art. 2932 c.c. sia stata proposta dal promittente venditore, la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo è da considerare immediatamente esecutiva.

Sez. U, Sentenza n. 4059 del 22/02/2010 (Rv. 611643)  

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Presidente: Vittoria P.  Estensore: Mazziotti Di Celso L.  Relatore: Mazziotti Di Celso L.  P.M. Iannelli D. (Conf.)

Mgl Fashion Srl (Biasiello) contro Sgi Di Bartolucci Sas ed altro (Serafino)

(Rigetta, App. Campobasso, 02/10/2008)

140 PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE CIVILE  -  045 ESECUZIONE PROVVISORIA (DELLA) - IN GENERE

PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE CIVILE - SENTENZA - ESECUZIONE PROVVISORIA (DELLA) - IN GENERE - Contratto preliminare di compravendita - Esecuzione in forma specifica - Pronuncia costitutiva di primo grado ex art. 2932 cod. civ. - Esecutività provvisoria del capo decisorio relativo al trasferimento dell'immobile - Esclusione - Fondamento - Riconducibilità dell'effetto traslativo al passaggio in giudicato della statuizione - Necessità - Conseguenza - Inammissibilità del riconoscimento dell'esecutività provvisoria alla correlata e dipendente condanna implicita al rilascio dell'immobile - Fattispecie.

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Pronuncia costitutiva di primo grado ex art. 2932 cod. civ. - Esecutività provvisoria del capo decisorio relativo al trasferimento dell'immobile - Esclusione - Fondamento - Riconducibilità dell'effetto traslativo al passaggio in giudicato della statuizione - Necessità - Conseguenza - Inammissibilità del riconoscimento dell'esecutività provvisoria alla correlata e dipendente condanna implicita al rilascio dell'immobile - Fattispecie.

Nell'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita, l'esecutività provvisoria, ex art. 282 cod. proc. civ., della sentenza costitutiva emessa ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., è limitata ai capi della decisione che sono compatibili con la produzione dell'effetto costitutivo in un momento successivo, e non si estende a quelli che si collocano in rapporto di stretta sinallagmaticità con i capi costitutivi relativi alle modificazione giuridica sostanziale. Essa, pertanto, non può essere riconosciuta al capo decisorio relativo al trasferimento dell'immobile contenuto nella sentenza di primo grado, né alla condanna implicita al rilascio dell'immobile in danno del promittente venditore, poiché l'effetto traslativo della proprietà del bene scaturente dalla stessa sentenza si produce solo dal momento del passaggio in giudicato, con la contemporanea acquisizione dell'immobile al patrimonio del promissario acquirente destinatario della pronuncia. (Nella specie, le Sezioni unite hanno confermato - con riferimento ad un giudizio di sfratto per morosità - la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la provvisoria esecutività della condanna implicita al rilascio dell'immobile, in danno del promittente venditore, nel caso di

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domanda di esecuzione in forma specifica diretta al trasferimento del bene proposta dal promissario acquirente).

Con il primo motivo di ricorso la società MGL denuncia violazione degli artt. 282 e 474 c.p.c. e art. 2932 c.c. assumendo l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha considerato immediatamente esecutive le sentenze ex art. 2932 cod. civ. limitatamente alle statuizioni di condanna in esse contenute, dimenticando che integra il concetto di "condanna" anche quella implicitamente contenuta nell'accoglimento della domanda ex art. 2932 cod. civ. proposta dal promissario acquirente e diretta al trasferimento del bene in suo favore, sicché il promittente venditore, per l'effetto della pronuncia del trasferimento, è "obbligato al rilascio del bene". In altri termini, la Corte di appello ha omesso di considerare che la statuizione di trasferimento del bene, contenuta nella sentenza costitutiva prevista dall'art. 2932 cod. civ., implica una vera e propria "condanna" del promittente venditore ad un "facere", alla stessa stregua della condanna del proprietario del fondo servente a consentire l'esercizio della servitù coattiva di passaggio (come statuito con la sentenza n. 1619 del 2005 della 3 sez. della Corte di cassazione): infatti, nel caso di condanna implicita, l'esigenza di esecuzione della sentenza deriva dalla stessa funzione che il titolo è destinato a svolgere. Pertanto, in applicazione di tale principio, vertendosi in tema di sentenza costitutiva, la funzione della stessa è da intendersi caratterizzata da un'esigenza di esecuzione, che non avrebbe potuto trovare altra alternativa se non nel ritenere che la sentenza contenesse - per la struttura del diritto sostanziale azionato - una condanna implicita al rilascio del bene, previa, naturalmente, la pronuncia di trasferimento dell'immobile stesso. Evidenzia al riguardo la ricorrente che gli effetti consequenziali all'esecuzione di una sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. si presentano assolutamente reversibili, ben potendosi, in caso di riforma di tale pronuncia, ripristinare la pregressa situazione, con la restituzione, anch'essa attuabile nelle forme dell'esecuzione forzata, dell'immobile oggetto del contratto preliminare, trasferito al promissario acquirente dopo l'emanazione sentenza di cui al citato art. 2932 cod. civ.. La società MGL censura l'impugnata pronuncia anche con riferimento al discutibile richiamo dei principi espressi con la sentenza della S.C. n. 18512 del 2007 intervenuta sull'argomento con la quale non era stata operata alcuna distinzione tra il promittente venditore - cui età stata riconosciuta la possibilità di agire immediatamente per il recupero del prezzo della vendita (possibilità prevista anche nella sentenza oggetto di ricorso) - e il promissario acquirente, titolare del diritto di conseguire il rilascio dell'immobile compravenduto, quale diretta ed immediata conseguenza - pur se implicita - della pronuncia di trasferimento dell'immobile contenuta nella sentenza emessa ai sensi del più volte menzionato art. 2932 cod. civ.. Da ciò si sarebbe dovuto inferire che, in concreto, una volta ottenuta siffatta sentenza costitutiva, la tutela accordata al promissario acquirente sarebbe rimasta monca ove non fossero stati apprestati adeguati strumenti per consentirgli l'esercizio immediato dei diritto di proprietà e, tra questi strumenti, particolare rilievo avrebbe dovuto assumere l'istituto della provvisoria esecutività ex art. 282 cod. proc. civ., per la sua attitudine ad assicurare l'anticipazione dell'efficacia propria del giudicato, volta ad evitare che la durata del processo possa pregiudicare l'attore

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vittorioso in primo grado. Del resto proprio in considerazione di questa esigenza pratica, sottesa al richiamato istituto dell'esecuzione provvisoria disciplinata dal citato art. 282 cod. proc. civ., si era ritenuto da parte della più avveduta dottrina, di poterne estendere l'applicazione anche al di fuori dei tradizionali confini della tutela condannatoria, con la conseguenza che anche le sentenze costitutive potrebbero beneficiare della indicata provvisoria esecutorietà.La corte di appello ha in definitiva errato nel ritenere che la pubblicazione deLla sentenza n. 357 del 2005 adottata in primo grado dal Tribunale di Isernia non avesse esplicato effetti giuridici tra la S.G.I. e la Tetti. Diversamente opinando, invece, al cospetto della immediata e completa esecutività della sentenza di primo grado emessa ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., il giudice del gravame avrebbe dovuto ritenere il contratto di locazione stipulato dalla S.G.I., oramai non più proprietaria, risolto di diritto, con rutti i derivanti effetti del caso, anche in ordine al pagamento dei canoni, non più dovuti alla S.G.I., bensì alla riconosciuta proprietaria Tetti Roberta, sin dalla data in cui era stata pubblicata la predetta sentenza del Tribunale di Isernia con la quale era stato trasferito l'immobile oggetto del contratto di locazione in questione.Con riguardo al primo complesso motivo la ricorrente ha formulato i seguenti quesiti di diritto:- "se sia conforme all'ordinamento l'affermata non esecutività ex art. 282 cod. proc. civ. del capo di trasferimento dell'immobile contenuto nella sentenza resa ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., ove la domanda di esecuzione in forma specifica diretta al trasferimento del bene sia stata proposta dal promissario acquirente";- "se sia conforme all'ordinamento la non ravvisata condanna implicita al rilascio dell'immobile, in danno del promittente venditore, immediatamente eseguibile nelle forme dell'espropriazione forzata, nella sentenza resa ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. nella parte che dispone il trasferimento dell'immobile, ove la domanda di esecuzione in forma specifica diretta al trasferimento del bene sia stata proposta dal promissario acquirente".Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione del principio di ragionevolezza e/o di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge di cui all'art. 3 Cost. e/o del principio della parità delle parti nel processo di cui all'art. 111 Cost., comma 2 e/o del principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all'art. 111 Cost. e/o del principio dell'azionabilità dei propri diritti e dell'effettività delle garanzie processuali di cui all'art. 24 Cost.. Deduce la ricorrente che, ragionando nel solco tracciato dall'impugnata sentenza e nella piena consapevolezza dell'assenza di tutela immediata per il promissario acquirente, un soggetto può stipulare un preliminare di compravendita e sottrarsi alla stipula del definitivo per, poi, ritardare quanto più a lungo possibile la consegna del bene, attraverso la proposizione dei rimedi impugnatori esperibili avverso la sentenza che decide sull'azione ex art. 2932 cod. civ., intrapresa dal promissario acquirente dopo la mancata stipula del contratto definitivo di vendita: e tutto ciò nonostante che egli possa, ancor prima del passaggio in giudicato di tale sentenza, aver ottenuto (o aver agito per ottenere) l'intero prezzo della vendita. Di qui l'innegabile esigenza di riconoscere, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., contrariamente a quanto operato dalla Corte di appello (che non si è posta affatto la problematica degli effetti devastanti derivanti dall'applicazione del criterio del "doppio binario di tutela"), una sollecita tutela al promissario acquirente, sottoposto al più che concreto rischio di dover

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attendere lunghissimi anni per conseguire l'immobile, malgrado abbia potuto corrispondere interamente il residuo del prezzo. senza che possa fungere da ostacolo, al riconoscimento in discorso, la questione della reversibilità (comunque sicura) degli effetti in caso di caducazione della sentenza di primo o secondo grado. Si deve pertanto escludere che alla sentenza decisa ex art. 2932 cod. civ. si possa attribuire (come l'impugnata sentenza ha stabilito), sul piano del diritto sostanziale, un'efficacia limitata ai soli profili obbligatori, senza estendersi a quello reale. Ne consegue che deve essere necessario, sotto ogni angolazione, giuridica e sociale, consentire, a ciascuna parte, di potersi avvalere della generale regola della immediata esecutività delle sentenze di primo grado di cui all'art. 282 cod. proc. civ., pur se pronunciate ex art. 2932 cod. civ., sin dal loro deposito, in aderenza al diritto vigente, necessariamente condizionata, ma per entrambe le parti, dall'accettazione del rischio dell'attendibilità della prima o della seconda pronuncia.Con riguardo al secondo proposto motivo, quindi, è stato formulato il seguente quesito di diritto:"se sia conforme al principio di ragionevolezza e/o di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge di cui all'art. 3 Cost. e/o del principio della parità delle parti nel processo di cui all'art. 111 Cost., comma 2 e/o del principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all'art. 111 Cost. e/o del principio dell'azionabilità dei propri diritti e dell'effettività delle garanzie processuali di cui all'art. 24 Cost., in tema di sentenza pronunciata ex art. 2932 cod. civ., la riconosciuta immediata esecutività ex art. 282 c.p.c. al diritto del promittente venditore di esigere il prezzo della vendita e l'affermato differimento, al momento del passaggio in giudicato di tale sentenza, del trasferimento del diritto di proprietà del promissario acquirente e dell'esercizio delle facoltà a questi spettanti".Le dette numerose censure possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte, quale più quale meno, sia pur sotto aspetti e profili diversi, le stesse collegate questioni - ritenute di particolare importanza e per il cui esame il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni Unite - che possono essere così sintetizzate:dicano le Sezioni unite se sia riconoscibile l'esecutività provvisoria, ex art. 282 cod. proc. civ., del capo decisorio relativo al trasferimento dell'immobile contenuto nella sentenza di primo grado resa ai sensi dell'art. 2932 c.c. e, inoltre, se possa ravvisarsi, tenendo conto anche dei principi di ragionevole e di tutela del diritto di anione, previsti rispettivamente dagli artt. 3 e 24 Cost., l'esecutività provvisoria della condanna implicita al rilascio dell'immobile, in danno del promittente venditore, scaturente dalla suddetta sentenza mila parte in cui dispone il trasferimento dell'immobile, ove la domanda di esecuzione in forma specifica diretta all'ottenimento di una statuizione produttiva degli effetti del contratto definitivo di compravendita non concluso sia stata proposta dal promissario acquirente.Ai detti quesiti va data risposta negativa così come ritenuto dalla sentenza impugnata dalla MGL per cui i primi due motivi di ricorso devono essere rigettati.Occorre osservare che - con riferimento alla peculiarità dell'azione personale e non reale prevista dall'art. 2932 c.c. e della sua correlata sentenza - questa Corte ha ripetutamente affermato che la detta sentenza ha natura costituitiva e spiega la sua efficacia solo con decorrenza "ex nunc" al momento del suo passaggio in giudicato, con conseguente

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necessità della sussistenza delle condizioni dell'azione al momento dell'intervento della pronuncia. In particolare questa Corte in proposito ha avuto modo di affermare i seguenti principi:- nell'ipotesi in cui la sentenza emessa ai sensi dell'art. 2932 c.c. imponga all'acquirente di versare il prezzo della compravendita, l'obbligo diviene attuale al momento del passaggio in giudicato della sentenza che trasferisce il bene o allo spirare del termine ulteriore da essa eventualmente stabilito (sentenza 16/1/2006 n. 690);- la pronuncia ex art. 2932 c.c. produce gli effetti del contratto di compravendita non concluso soltanto dal momento del suo passaggio in giudicato (sentenza 2/12/2005 n. 26233);- ai fini della sospensione necessaria del giudizio di cui all'art. 295 c.p.c., è indispensabile la esistenza di un rapporto di pregiudizialità giuridica che ricorre nel solo caso in cui la definizione di una controversia costituisca, rispetto all'altra, un indispensabile antecedente logico - giuridico. Non ricorre il detto rapporto di pregiudizialità necessaria nel caso di una controversia relativa ad uno sfratto per morosità e quella attinente all'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di compravendita stipulato tra locatore e conduttore. Infatti, attesa la natura costitutiva della sentenza che dispone il trasferimento coattivo, destinata a produrre effetti solo alla data del passaggio in giudicato della relativa pronuncia, permanendo nelle more l'obbligo di corrispondere il canone al locatore, gli esiti del giudizio instaurato con la domanda di adempimento del contratto preliminare non possono interferire con quelli del procedimento di sfratto per morosità ( ordinanza 3/8/2005 n. 16216);- poiché nel caso di contratto preliminare di compravendita l'effetto traslativo è determinato soltanto dal contratto definitivo, sicché la ricorrenza dei requisiti di forma e sostanza necessari ai fini della validità del contratto traslativo non possono che fare riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo, la sopravvenienza, rispetto al momento di formazione del preliminare, della disposizione di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18, comma 2, con cui il legislatore aveva allora sancito il divieto di lottizzazione abusiva, opera non come causa di nullità del contratto preliminare bensì come impossibilità oggettiva di concludere il contratto definitivo, e precludendo la stipulazione di questo, è ugualmente di impedimento all'emissione della sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., che allo stesso si sostituisce (sentenza 21/2/2008 n. 4522);- la sentenza che dispone l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, ex art. 2932 c.c., produce i propri effetti solo dal momento de passaggio in giudicato; ne consegue che, quando detta sentenza abbia subordinato l'effetto traslativo al pagamento del residuo prezzo, l'obbligo di pagamento in capo al promissario acquirente non diventa attuale primadell'irretrattabilità della pronuncia giudiziale, essendo tale pagamento la prestazione corrispettiva destinata ad attuare il sinallagma contrattuale (sentenza 6/4/2009 n. 8250);- in tema di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, l'art. 2932 c.c. consente l'emanazione di una sentenza che abbia gli effetti del contratto non concluso soltanto "qualora sia possibile", situazione che non si verifica se, prima che la pronuncia abbia acquistato piena efficacia esecutiva, il promittente venditore perde la proprietà del bene (sentenza 10/3/2006 n. 5162);- la domanda di reintegra nel possesso di un bene è proponibile anche nei confronti del

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promissario acquirente di questo che abbia ottenuto la sentenza di cui all'art. 2932 c.c., purché non passata in giudicato. Invero tale sentenza essendo costitutiva ed avendo efficacia ex nunc, solo con il passaggio in giudicato produce gli effetti del contratto preliminare e trasferisce la proprietà del bene, sicché sino a tale data il promittente venditore è proprietario e possessore (sentenza 10/3/1999 n. 2522);

- poiché nel caso di contratto preliminare di compravendita l'effetto traslativo è determinato soltanto dal contratto definitivo, sicché la ricorrenza dei requisiti di forma e sostanza necessari ai fini della validità del contratto traslativo non possono che fare riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo, la sopravvenienza, rispetto al momento di formazione del preliminare, della disposizione di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18, comma 2, con cui il legislatore aveva allora sancito il divieto di lottizzazione abusiva, opera non come causa di nullità del contratto preliminare bensì come impossibilità oggettiva di concludere il contratto definitivo, e precludendo la stipulazione di questo, è ugualmente di impedimento all'emissione della sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., che allo stesso si sostituisce (sentenza 21/2/2008 n. 4522). Pertanto, secondo il riportato orientamento giurisprudenziale, le sentenze emesse ex art. 2932 c.c. non possono conoscere un'efficacia esecutiva anticipata rispetto al momento della formazione del giudicato perché l'effetto traslativo della compravendita è condizionato dall'irretrattabilità della pronuncia con la quale viene determinato l'effetto sostitutivo del contratto definitivo non stipulato.Un mutamento di indirizzo si è però avuto con la sentenza 3/9/2007 n. 18512 (più volte richiamata dalla ricorrente a sostegno della propria tesi) con la quale è stato affermato il principio secondo cui nel caso di pronuncia della sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive dell'adempimento delle prestazioni a carico delle parti tra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da ritenere immediatamente esecutive ai sensi dell'art. 282 c.p.c., di modo che qualora l'azione ai sensi dell'art. 2932 c.c. sia stata proposta dal promittente venditore, la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo è da considerare immediatamente esecutiva.In particolare nella citata sentenza si afferma testualmente che "in relazione alla sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 2932 c.c., la legge non prevede alcunché che possa giustificare l'esclusione della immediata esecutività delle statuizioni condannatorie consequenziali alla statuizione di accertamento del modo di essere dell'ordinamento in relazione alla vicenda dedotta nel senso della sussistenza delle condizioni che avrebbero dovuto giustificare la conclusione del contratto in adempimento del contratto preliminare con la prestazione dei relativi consensi, e, quindi, all'ulteriore statuizione, in via consequenziale, degli effetti costitutivi del vincolo contrattuale, che di tale consenso tengono luogo. Ciò, sia per quanto attiene all'ipotesi che si tratti di statuizioni a favore del promissario acquirente, sia - come nella specie - quando si tratti di statuizioni a favore del promissario venditore."La detta innovativa sentenza - rispetto al riportato costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte - è stata variamente commentata in dottrina.Alcuni autori hanno analizzato le implicazioni della menzionata sentenza sotto il

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profilo del diritto sostanziale sottolineandone gli aspetti discutibili in rapporto alla specifica tematica del preliminare di compravendita inadempiuto rilevando che la parziale anticipazione degli effetti obbligatori ricollegabili alla pronuncia giudiziale determina l'alterazione del sinallagma contrattuale e concludendo che rispetto alla sentenza ex art. 2932 c.c. - in tema di contratto preliminare di compravendita - non vi è spazio per ipotizzare un'immediata efficacia delle statuizioni propriamente costitutive con conseguente impossibilità di un'esecuzione coattiva anticipata delle obbligazioni derivanti da dette statuizioni. Secondo questo orientamento dottrinale critico, aderendo alla decisione in questione al regolamento di interessi in cui l'obbligo di pagare il prezzo è contestuale al trasferimento di proprietà ed al conseguente passaggio dei rischi, se ne sostituirebbe un altro in cui l'effetto reale viene differito fino al passaggio in giudicato della sentenza mentre l'attuazione immediata degli obblighi di pagamento del prezzo e di consegna del bene assegnerebbe all'esecuzione provvisoria una funzione anche cautelare che non le sarebbe propria. Peraltro il problema non consiste nello stabilire se l'accertamento della pretesa azionata per addivenire alla modificazione della realtà giuridica abbia un rilievo a qualche effetto per l'ordinamento prima del giudicato, quanto nell'accertare se quella rilevanza porti in sè anche quella capacità di innovare la realtà giuridica nelle relazioni interprivate in cui l'efficacia costitutiva si concreta. La rilevanza giuridica, sul terreno sostanziale, della sentenza costitutiva di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. ancora assoggettabile ad impugnazione può valere solo a radicare in capo all'attore un'aspettativa in ordine alla modificazione della realtà giuridica verificabile esclusivamente con il passaggio in giudicato della sentenza. Non è poi pertinente il richiamo operato nella sentenza alla pronunce con le quali è stata riconosciuta l'esecutività del capo concernente le spese della sentenza costitutiva posto che la pronuncia sulle spese costituisce una statuizione a sè stante e non autenticamente accessoria. Altri autori, invece, si solo allineati alla sentenza in esame rilevando che l'art. 282 c.p.c. va interpretato nel senso che, venga esercitata un'azione di condanna o esperita un'azione costitutiva, è possibile utilizzare la sentenza come titolo esecutivo se all'accoglimento della domanda si accompagni, come complemento della protezione sostanziale richiesta, una statuizione condannatoria, fatte salve le disposizioni ostative previste dalla legge. Pertanto è consentita l'immediata esecutività delle statuizioni condannatorie consequenziali alla statuizione di accertamento del diritto alla conclusione del contratto definitivo non sussistendo alcuna norma che escluda tale esecutività con riferimento alla sentenza pronunciata ex art. 2932 c.c..Altra parte della dottrina - dopo aver posto in evidenza che le relazioni che si pongono reciprocamente tra capi di condanna e capi costitutivi non sono omogenee nelle diverse fattispecie - rileva che nell'ipotesi di azione ex art. 2932 c.c. non ci si trova in presenza di reciproche pronunce di condanna in quanto l'attore deve offrire la prestazione alla quale è tenuto per cui questa non viene fatta oggetto di una pronuncia di condanna, ma viene dedotta quale condizione dell'effetto traslativo della proprietà: ne consegue che si fa luogo solo alla condanna alla consegna o al rilascio del bene o al pagamento del prezzo e, in ogni caso, rimane l'impossibilità della produzione immediata dell'effetto traslativo della proprietà

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sino al passaggio in giudicato della sentenza. Può quindi verificarsi un'alterazione del sinallagma contrattuale o, comunque, della reciprocità delle attribuzioni che conseguono alla decisione. Proprio il caso esaminato nella sentenza di questa Corte n. 18512/2007 costituisce un esempio di questa alterazione della corrispettività delle obbligazioni ove agisca il promittente venditore e si abbia condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo senza che questi possa contare sul contemporaneo trasferimento della proprietà a suo favore.Tanto rilevato, con riferimento agli orientamenti dottrinali successivi alla più volte richiamata sentenza 18512/2007, va evidenziato che i principi affermati nella detta sentenza non hanno trovato successiva conferma nella giurisprudenza di legittimità la quale è rimasta nel complesso ferma nel propendere per la soluzione negativa in ordine all'ammissibilità della provvisoria esecutività delle sentenze costitutive ex art. 2932 c.c..In particolare, con la pronuncia 6/4/2009 n. 8250, questa Corte ha ribadito e confermato che la sentenza che dispone l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, ex art. 2932 c.c., produce i propri effetti solo dal momento del passaggio in giudicato; ne consegue che, quando detta sentenza abbia subordinato l'effetto traslativo al pagamento del residuo prezzo, l'obbligo di pagamento in capo al promissario acquirente non diventa attuale prima dell'irretrattabilità della pronuncia giudiziale, essendo tale pagamento la prestazione corrispettiva destinata ad attuare il sinallagma contrattuale.Queste Sezioni Unite, tenuto conto del descritto complesso quadro dottrinale e giurisprudenziale, ritengono di dover dare continuità al prevalente orientamento ravvisabile nella giurisprudenza di legittimità e di condividere sostanzialmente molti degli argomenti sviluppati dalla dottrina maggioritaria, sopra riportati, a sostegno della tesi secondo cui, nel caso di preliminare di compravendita e di pronuncia ex art. 2932 c.c. l'effetto traslativo della proprietà del bene si produce solo con l'irretroattività della sentenza che determina l'effetto sostitutivo del contratto definitivo. La sentenza di primo grado di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. non può pertanto produrre, prima del passaggio in giudicato, proprio quegli effetti del contratto definitivo che è destinato a surrogare:non è possibile dare esecuzione ad obblighi che sul piano sostanziale non sono ancora sorti.Da ciò la conseguente impossibilità di scissione, nelle sentenze ex art. 2932 c.c. in tema di contratto preliminare di compravendita, tra capi costitutivi principali e capi condannatori consequenziali, con riferimento specifico a quelli cc.dd. sinallagmatici le cui relative statuizioni fanno parte integrante della pronuncia costitutiva nel suo complesso.Va precisato che la possibilità di anticipare l'esecuzione delle statuizioni condannatorie contenute nella sentenza costitutiva va riconosciuta in concreto volta a volta a seconda del tipo di rapporto tra l'effetto accessivo condannatorio da anticipare e l'effetto costitutivo producibile solo con il giudicato. A tal fine occorre differenziare le statuizioni condannatorie meramente dipendenti dal detto effetto costitutivo, dalle statuizioni che invece sono a tale effetto legate da un vero e proprio nesso sinallagmatico ponendosi come parte - talvolta "corrispettiva" del nuovo rapporto oggetto della domanda costitutiva.

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Così, ad esempio, nel caso di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo della vendita, non è possibile riconoscere effetti esecutivi a tale condanna altrimenti si verrebbe a spezzare il nesso tra il trasferimento della proprietà derivante in virtù della pronuncia costitutiva ed il pagamento del prezzo della vendita. L'effetto traslativo della proprietà del bene si produce solo con l'irretrattabilità della sentenza per cui è da escludere che prima del passaggio in giudicato della sentenza sia configurabile un'efficacia anticipata dell'obbligo di pagare il prezzo: si verificherebbe un'alterazione del sinallagma. Ritenere diversamente consentirebbe alla parte promittente venditrice - ancora titolare del diritto di proprietà del bene oggetto del preliminare - di incassare il prezzo prima ancora del verificarsi dell'effetto, verificabile solo con il giudicato, del trasferimento di proprietà. Possono quindi ritenersi anticipabili i soli effetti esecutivi dei capi che sono compatibili con la produzione dell'effetto costitutivo in un momento temporale successivo, ossia all'atto del passaggio in giudicato del capo di sentenza propriamente costitutivo. Così la condanna al pagamento delle spese processuali contenuta nella sentenza che accoglie la domanda. La provvisoria esecutività non può invece riguardare quei capi condannatori che si collocano in un rapporto di stretta sinallagmaticità con i capi costitutivi relativi alla modificazione giuridica sostanziale.La soluzione adottata - che non è riferita al tipo di sentenza costitutiva, ma alla sentenza pronunziata su contratto preliminare di compravendita -non si pone in contrasto con "i parametri della ragionevole durata del processo - di cui all'art. 111 Cost., comma 2, e art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo - e del principio della azionabilità dei diritti di cui all'art. 24 Cost." posto che, come precisato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza 232 del 2004, "il preteso incentivo a proporre appelli dilatori e la possibilità di subire opposizioni all'esecuzione in caso di esercizio dell'azione esecutiva costituiscono, a tutto concedere alla loro plausibilità, inconvenienti di mero fatto e non certamente indici della violazione delle invocate norme costituzionali".Da quanto precede deriva che correttamente la corte di appello, nella decisione impugnata, ha escluso la ravvisabilità di effetti traslativi immediati alla sentenza del tribunale di Isernia 28/5/2005 n. 357 - di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. proposta da Roberta Tetti nei confronti della società SGI - potendosi produrre tali effetti solo dopo il passaggio in giudicato di detta sentenza.Le ragioni per escludere che la situazione di fatto debba poter essere adeguata a quella di diritto, accertata da sentenza non passata in giudicato, affondano nella stessa scelta delle parti di differire ad un accordo successivo il trasferimento della proprietà, accordo successivo che può essere surrogato dalla sentenza che deve però avere i caratteri della irretrattabilità.Ha quindi errato la conduttrice società MGL ad accogliere (prima del passaggio in giudicato della citata sentenza del tribunale di Isernia 357/2005) le richieste avanzate nei suoi confronti dalla Tetti volte ad ottenere il pagamento dei canoni di locazione, la risoluzione del rapporto di locazione e il rilascio dell'immobile locato e ciò perché al momento di tali richieste - come al momento della notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado nonché alla data della sentenza impugnata - il rapporto di locazione tra la locatrice SGI e la conduttrice MGL era ancora in corso permanendo in capo alla SGI il diritto di proprietà ed il possesso dell'immobile oggetto del contratto di

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locazione in questione. In definitiva i motivi di ricorso in esame devono essere rigettati in quanto - al contrario di quanto sostenuto dalla società ricorrente - la sentenza impugnata è conforme al seguente principio di diritto:non è riconoscibile l'esecutività provvisoria, ex art. 282 cod. proc. civ., del capo decisorio relativo al trasferimento dell'immobile contenuto nella sentenza di primo grado resa ai sensi dell'art. 2932 c.c, ne' è ravvisabile l'esecutività provvisoria della condanna implicita al rilascio dell'immobile, in danno del promittente venditore, scaturente dalla suddetta sentenza nella parte in cui dispone il trasferimento dell'immobile producendosi l'effetto traslativo della proprietà del bene solo dal momento del passaggio in giudicato di detta sentenza con la contemporanea acquisizione al patrimonio del soggetto destinatario della pronuncia. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. deducendo che essa società, in primo grado, aveva proposto domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna alla restituzione, in favore di M.G.L., dell'importo versato a titolo di deposito cauzionale e di quello dovuto per la perdita dell'indennità di avviamento commerciale, oltre al risarcimento di tutti i danni patiti, con interessi e rivalutazione, senza che, con riferimento alla suo rigetto, il tribunale di Isernia avesse adottato un'apposita motivazione. Senonché, a fronte del gravame interposto dalla M.G.L., la Corte di appello, pur attestando sul punto che il giudice di primo grado aveva omesso di adottare la prescritta motivazione, ha operato un malgoverno delle disposizioni di legge applicabili in materia, fornendo una propria motivazione rispetto all'omesso "decisum" del primo giudice, così mancando di rilevare la nullità della decisione impugnata malgrado fosse stata dedotta con l'atto di appello. La ricorrente ha formulato, in ordine a tale motivo, il seguente quesito di diritto: "se sia conforme all'ordinamento, in relazione all'obbligo del giudice di pronunciare su tutta la domanda ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ., l'aver il giudice di secondo grado omesso di esaminare la dedotta nullità della sentenza di prime cure per essere la stessa priva di motivazione in ordine al rigetto delle proposte domande riconvenzionali".

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Sulla regolarità urbanistica dell’immobile

Sez. U, Sentenza n. 23825 del 11/11/2009 (Rv. 609753)

Presidente: Carbone V.  Estensore: Mazziotti Di Celso L.  Relatore: Mazziotti Di Celso L.  P.M. Pivetti M. (Conf.)

D'Anna ed altro (Ricca ed altro) contro Cannavo'

(Rigetta, App. Catania, 25/09/2003)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Preliminare di compravendita - Produzione dei documenti attestanti la regolarità urbanistica dell'immobile ovvero effettuazione della dichiarazione di cui all'art. 40 legge n. 47 del 1985 - Inadempienza del promittente alienante - Conseguenze - Produzione documentale ovvero effettuazione della dichiarazione da parte del promissario acquirente - Ammissibilità - Fondamento.

In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, nel caso in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti attestanti la regolarità urbanistica dell'immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all'art. 40 legge 28 febbraio 1985, n. 47, deve essere consentito al promissario acquirente di provvedere a tale produzione o di rendere detta dichiarazione al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 cod. civ., dovendo prevalere la tutela di quest'ultimo a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di lotta all'abusivismo, sussistendo di fatto la regolarità urbanistica dell'immobile oggetto del preliminare di compravendita.

Testo. CANNAVÒ Alfio conveniva in giudizio Carmela D'Anna e D'Anna Angela, quali eredi della sorella D'Anna Angela, esponendo che il 18/1/1992 aveva stipulato con quest'ultima un contratto preliminare in virtù del quale la D'Anna si era impegnata a vendergli un immobile sito in Aci Castello per il corrispettivo di L. 400.000.000 di cui 100 milioni versati in contanti al momento della stipulazione del preliminare, a titolo di acconto prezzo e di caparra confirmatoria, 100 milioni pagati mediante restituzione di effetti cambiari rilasciati a favore di esso Cannavò da D'Anna Carmela ed Angela, 40 milioni in contanti dopo un mese dal preliminare, 60 milioni alla stipula del definitivo e 100 milioni imputando al detto prezzo l'equivalente ammontare dovuto ad esso attore da

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D'Anna Maria a titolo di corrispettivo dell'appalto riguardante la sistemazione di altro immobile di proprietà di D'Anna Carmela. Deduceva il Cannavò di aver adempiuto alle proprie obbligazioni mentre la D'Anna, contrattualmente obbligata a trasmettergli il possesso dell'immobile, l'aveva locato a terzi e gli aveva dichiarato che il bene era libero e franco da pesi ed oneri mentre sullo stesso gravava un sequestro conservativo per 100 milioni.Tanto Maria D'Anna che le convenute avevano ritardato il compimento dei lavori appaltati impedendogli di consegnare l'opera. L'attore chiedeva quindi che gli fosse trasferito in proprietà, ex art. 2932 c.c., l'immobile oggetto del compromesso con disposizione di immissione in possesso e con la condanna delle convenute, tra l'altro, alla restituzione dei frutti relativi al detto bene. Le D'Anna, costituitesi, chiedevano il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la pronuncia di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del Cannavò.Con sentenza 9/3/2000 l'adito tribunale di Catania rigettava le domande di entrambe le parti.Avverso la detta sentenza proponevano appello principale il Cannavò e incidentale le D'Anna.Con sentenza 25/9/2003 la corte di appello di Catania rigettava l'appello incidentale e, in parziale accoglimento di quello principale, accoglieva la domanda proposta ex art. 2932 c.c., disponendo il trasferimento dell'immobile oggetto del preliminare. Osservava la corte di merito: che il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di trasferimento dell'immobile promesso in vendita perché non era stata acquisita la documentazione attestante la liceità della costruzione come richiesto dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, applicabile anche ai trasferimenti ex art. 2932 c.c.; che il Cannavò nel giudizio di appello aveva prodotto una dichiarazione giurata da lui sottoscritta attestante l'avvenuta costruzione dell'immobile prima dell'1/9/1967 rimuovendo in tal modo l'ostacolo giuridico che aveva giustificato il rigetto della domanda proposta in primo grado; che l'appellante ben poteva produrre in sede di gravame nuovi mezzi di prova trattandosi nella specie di prove c.d. precostituite, cioè di documenti; (…)

La seconda sezione civile di questa Corte, con ordinanza 25/11/2008 n. 28132, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle sezioni unite sulla questione di particolare importanza relativa all'individuazione, nell'ambito del giudizio di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita immobiliare ex art. 2932 c.c., del soggetto (solo promettente venditore o anche promissario acquirente) onerato della prova della situazione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, con riferimento all'ipotesi di costruzione iniziata prima dell'1/9/1967. Il Primo Presidente ha quindi disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite.Le parti hanno depositato memoria.MOTIVI DELLA DECISIONEIl ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c..Con il primo motivo del ricorso principale Carmela ed D'Anna Angela denunciano violazione della L. n. 47 del 1985, art. 17 e art. 40, commi 2 e 3, in relazione agli artt. 1418 e 2932 c.c. ed agli artt. 100, 112 e 345 c.p.c., nonché vizi di motivazione. Sostengono le ricorrenti principali che la dichiarazione giurata prodotta nel giudizio di appello, in quanto proveniente da soggetto diverso dal "proprietario o altro avente titolo,

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è stata erroneamente considerata idonea a rimuovere l'impedimento alla trasmissione del bene immobile in questione.(…)Con la prima parte del motivo del ricorso principale in esame le D'Anna pongono la questione - ritenuta di particolare importanza dalla citata ordinanza delle secondo sezione civile di questa Corte - se, nell'ambito del giudizio di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita di immobile ex art. 2932 c.c., la prova della sussistenza della situazione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, con riferimento all'ipotesi di costruzione iniziata prima dell'1/9/1967 possa essere fornita anche dal promissario acquirente oltre che dal promettente venditore. A detto quesito va data risposta positiva.Il quadro normativo di riferimento è il seguente:- L. n. 47 del 1985, art. 40, commi 2 e 3: Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell'art. 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione di cui dell'art. 35, comma 6.Per le opere iniziate anteriormente al 1^ settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 4, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1^ settembre 1967.Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all'atto medesimo. Per gli edifici di proprietà comunale, in luogo degli estremi della licenza edilizia o della concessione di edificare, possono essere prodotti quelli della deliberazione con la quale il progetto è stato approvato o l'opera autorizzata.Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1 settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente. - L. n. 47 del 1985, art. 17:Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l'entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell'art. 13. Tali disposizioni non si applicano

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agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.Nel caso in cui sia prevista, ai sensi del presente art. 11, l'irrogazione di una sanzione soltanto pecuniaria, ma non il rilascio della concessione in sanatoria, agli atti di cui al comma 1 deve essere allegata la prova dell'integrale pagamento della sanzione medesima.La sentenza che accerta la nullità degli atti di cui al comma 1 non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti. Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza della concessione al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa.Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivami da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni di cui all'art. 13 della presente legge, dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria.Ciò posto va osservato che nel caso in esame la domanda di adempimento in forma specifica proposta dal promissario acquirente Cannavò è stata respinta dal tribunale per la mancata acquisizione della documentazione prescritta dalla L. 47 del 1985, art. 40.La corte di appello ha invece accolto la domanda avendo il Cannavò prodotto una propria dichiarazione giurata attestante che l'immobile in questione era stato costruito prima dell'1/9/1967. Secondo le ricorrenti principali la dichiarazione giurata prodotta nel giudizio di appello, in quanto proveniente da soggetto diverso dal "proprietario o altro avente titolo", è inidonea a rimuovere l'impedimento alla trasmissione del bene immobile in questione. L'ordinanza di rimessione pone in evidenza che nella giurisprudenza di legittimità e pacifico che la pronunzia della sentenza di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. è condizionata all'osservanza delle prescrizioni di cui si tratta e che il della cit. L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 3, - in base al quale è consentito ad una delle parti di confermare l'atto carente integrandolo con i documenti mancanti o con la dichiarazione omessa e con effetto sanante del vizio del negozio - non si applica nell'ipotesi di contratto preliminare il quale ha effetti solo obbligatori e non trasferisce diritti.Va aggiunto che è del pari pacifico il principio giurisprudenziale secondo cui il contratto preliminare privo dei riferimenti circa la regolarità urbanistica dell'immobile o della dichiarazione della data di costruzione non è nullo, solo che non può dar luogo ad una pronuncia di sentenza costitutiva di trasferimento ex art. 2932 c.c., posto che la sentenza non può realizzare un effetto precluso alle parti: il giudice non può trasferire un immobile non commerciabile per omesso rispetto dei requisiti di cui alla L. n. 47 del 1985. La sentenza ex art. 2932 c.c., avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore o diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti o un effetto che eluda la legge.Se esistono però le condizioni richieste dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, è possibile la verifica circa la sussistenza di tali condizioni prima della pronuncia ex art. 2932

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c.c..Occorre però sia individuare il soggetto sul quale incombe l'onere di provare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge in relazione alla necessaria produzione della documentazione occorrente a dimostrare la regolarità urbanistica dell'immobile, sia stabilire se, per gli immobili costruiti prima dell'1/9/1967, la relativa dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà prevista dalla legge possa essere resa anche dal promissorio acquirente oltre che dal promettente alienante.Nell'ordinanza di rimessione si afferma che nella giurisprudenza di legittimità non è stata espressamente e specificamente esaminata la questione se la prova di detti presupposti possa essere data in giudizio anche dal promissario acquirente nell'ipotesi di non collaborazione da parte del promettente venditore. Per la soluzione della questione è opportuno sottolineare che le dichiarazioni dei contraenti sul regime urbanistico dell'immobile oggetto del contratto si connettono ad una possibile illiceità del contratto e conseguente nullità del negozio, nullità che tutela l'acquirente inconsapevole dell'irregolarità urbanistica dell'immobile.La funzione delle dichiarazioni in parola è anche "informativa" ed è volta altresì a contenere il fenomeno dell'abusivismo edilizio. La finalità delle richieste formalità è sia di prevenzione, sia di protezione del soggetto che contratta con chi costruisce abusivamente. Tale seconda finalità non può essere sacrificata da un'applicazione rigorosa del rimedio invalidatorio. La legge stessa ammette che "se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza della concessione ai tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa" (citato L. n. 47 del 1985, art. 17 sopra riportato).Non può ritenersi coerente e rispondente alla finalità della legge impedire al promissario acquirente - a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di lotta all'abusivismo sussistendo di fatto la regolarità urbanistica dell'immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita - la possibilità di ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso fornendo in giudizio la prova della detta regolarità urbanistica nell'ipotesi in cui il promettente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti e di rendere la dichiarazione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40.In caso di non collaborazione da parte del promettente venditore, come è consentita a una delle parti di un contratto definitivo di confermare l'atto carente integrandolo con i documenti mancanti o con la dichiarazione omessa, al promissario acquirente deve essere consentito produrre i documenti circa la regolarità urbanistica dell'immobile o rendere la prevista dichiarazione circa la data di costruzione dell'immobile al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c., che il giudice potrà emettere dopo aver acquisito i detti documenti o la detta dichiarazione proveniente da una qualsiasi delle parti.Pertanto vanno tutelate le ragioni del promissario acquirente e non va lasciata nelle sole mani del promettente venditore la possibilità di concludere il contratto definitivo o di emettere sentenza ex art. 2532 c.c.. Consegue che i documenti relativi alla regolarità urbanistica o la dichiarazione circa la data della costruzione possono

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essere prodotti in giudizio dal promissario acquirente con conseguente pronuncia ex art. 2932 ex. e produzione degli effetti che le parti avrebbero potuto conseguire con il definitivo.Va peraltro segnalato che questa Corte - oltre ad affermare più volte che è possibile produrre in giudizio ex art. 2932 c.c., gli estremi della concessione edilizia in essenza della relativa dichiarazione contenuta nel preliminare (sentenze 22/5/2008 n. 13225;20/3/2006 n. 6162; 4/1/2002 n. 59; 8/2/1997 n. 1199) - ha avuto modo di chiarire (implicitamente o indirettamente nella citata sentenza 1199/97 nella quale non viene operata alcuna distinzione tra una o altra parte contrattuale) che successivamente alla stipulazione del preliminare può intervenire "dichiarazione del promissario acquirente ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 3" con conseguente possibilità di emettere sentenza ex art. 2032 c.c., (sentenza 11/7/2005 n. 14489).Nella sentenza 27/4/2006 n. 9647 è stato altresì precisato che la dichiarazione sostitutiva di notorietà e imposta dalla legge "la quale in materia non prevede alternativa alcuna".Va infine evidenziato che altra questione è quella relativa alla valutazione da parte del giudice dei documenti prodotti e della dichiarazione del promissario acquirente e della veridicità del contenuto dei detti documenti e della detta dichiarazione con riferimento alla regolarità urbanistica dell'immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita stipulato dalle parti. Tate questione non risulta essere stata prospettata nella controversia in esame, non essendo mai stata posta in discussione dalle parti e dai giudici del merito la sussistenza della detta veridicità.In definitiva il primo motivo del ricorso principale deve essere rigettato. (Omissis)

Sez. 2, Sentenza n. 20258 del 18/09/2009 (Rv. 609669)

Presidente: Rovelli LA.  Estensore: Giusti A.  Relatore: Giusti A.  P.M. Marinelli V. (Conf.)

Viviano ed altro (Bellieni) contro Buccheri ed altri

(Cassa con rinvio, App. Roma, 04/10/2004)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Contratto preliminare avente ad oggetto immobile costruito senza licenza o concessione edilizia ovvero caratterizzato da totale difformità - Mancanza della prescritta documentazione alternativa - Pronuncia di sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. - Configurabilità - Esclusione - Contratto preliminare avente ad oggetto immobile munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità ma avente un vizio di regolarità urbanistica - Preclusione all'emanazione della sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. - Esclusione - Condizioni - Fondamento - Fattispecie.

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In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi dell'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ. non solo qualora l'immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione), ma anche quando l'immobile sia caratterizzato da totale difformità della concessione e manchi la sanatoria. Nel caso in cui, invece, l'immobile, munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati né revocati, abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione (nella specie, per la presenza di un aumento, non consistente, della volumetria fuori terra realizzata, non risolventesi in un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile), non sussiste alcuna preclusione all'emanazione della sentenza costitutiva, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo ed è, pertanto, illegittimo il rifiuto del promittente venditore (nella specie, a sua volta acquirente dello stesso immobile in base a precedente rogito notarile) di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dal promittente acquirente.

Testo. Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale adesiva devono essere riuniti, a norma dell'art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni relative alla stessa sentenza. 2. - Con il primo motivo del ricorso principale, i ricorrenti, denunciando contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, rilevano che - essendo stato l'immobile oggetto del preliminare costruito in base a regolare concessione edilizia e munito di certificato di abitabilità ed avendo la c.t.u. escluso l'esistenza di una totale difformità dell'edificio - non era tecnicamente necessaria alcuna domanda di condono per rendere commerciale il bene, non avendo l'autorità amministrativa mai accertato alcuna difformità totale, e quindi non essendo mai stati revocati permessi e licenze edilizie. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40. Il giudice d'appello avrebbe erroneamente fatto applicazione di questa disposizione, che riguarda esclusivamente la totale mancanza di ogni licenza o concessione o la loro sopravvenuta inefficacia per totale difformità del realizzato rispetto al progetto assentito. Nella specie la villa quadrifamiliare della quale fa parte la porzione oggetto del compromesso non era stata costruita in totale difformità; inoltre, la medesima porzione immobiliare era stata già oggetto, all'atto del preliminare, di due successivi passaggi di proprietà. Tutte le difformità riscontrate in sede di c.t.u., essendo limitate e parziali, erano suscettibili di ricadere nella disciplina della L. n. 47 del 1985, artt. 12 e 13, e quindi sanabili.Con il terzo motivo (carente e contraddittoria motivazione) si censura che il giudice d'appello non abbia considerato che l'immobile de quo era stato costruito sulla base di regolare concessione edilizia, dando invece importanza a documenti (quali lettere, pareri informali ed informative endoprocessuali) non in grado di ledere la vigenza degli atti autorizzativi formali ed ipotizzando una volontà negativa di concessione in sanatoria da parte dell'amministrazione comunale, smentita dallo stesso difensore del Comune, presente in causa.

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3. - Il primo mezzo del ricorso incidentale adesivo (contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia) rileva, al pari del primo motivo del ricorso principale, che, avendo la c.t.u. dimostrato l'inesistenza di totale difformità dell'edificio, si versava al di fuori dell'ipotesi di assenza di concessione o del vizio di totale difformità, il che non impediva la valida circolazione giuridica dell'immobile oggetto del preliminare.Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40) si afferma, analogamente a quanto prospettato dai ricorrenti in via principale, che erroneamente la Corte di merito non avrebbe considerato che le difformità riscontrate in sede di c.t.u., essendo limitate e parziali, erano suscettibili di ricadere nella disciplina della L. n. 47 del 1985, artt. 12 e 13, e quindi sanabili. Il terzo mezzo del ricorso incidentale adesivo denuncia carente e contraddittoria motivazione, con movenze analoghe alla censura articolata con il terzo motivo del ricorso principale. Con il quarto motivo i ricorrenti in via incidentale, deducendo omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, si dolgono che la Corte d'appello abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla domanda proposta dal Maddalena e dalla Becarelli, tendente a dichiarare il costruttore ed il Comune tenuti a manlevare gli stessi da ogni responsabilità in ordine al pagamento di qualsiasi somma conseguente e relativa agli abusi riscontrati nella unità immobiliare in questione.4. - I motivi del ricorso principale ed i primi tre motivi del ricorso incidentale adesivo - i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono fondati, nei termini di seguito precisati.4.1. - Sono pacifici - e risultano dagli atti del processo presi in considerazione dai giudici del merito - i seguenti dati di fatto:l'immobile in questione - costituente porzione di una costruzione composta di quattro unità immobiliari - è stato realizzato a seguito di licenza di costruzione n. 2334 del 15 novembre 1976 e di successiva concessione edilizia n. 110 del 5 ottobre 1979; e dopo la sua edificazione è stato dichiarato abitabile con certificato rilasciato dal Comune di Cerveteri in data 12 dicembre 1980;rispetto alla costruzione iniziale, all'immobile in questione non sono state apportate successivamente modificazioni;- l'immobile presenta, rispetto al progetto approvato ed assentito, difformità - esistenti fin dalla realizzazione della costruzione e quindi allorché venne rilasciato il certificato di abitabilità - riguardanti l'altezza fuori terra del fabbricato e la volumetria, con una eccedenza complessiva di circa 74 metri cubi (essendo stati realizzati fuori terra 1.556 metri cubi anziché 1.482 metri cubi previsti dal progetto);- l'Amministrazione comunale non ha annullato ne' revocato la licenza edilizia, la concessione ad edificandum o il certificato di abitabilità, ne' ha proceduto ad ingiungere la demolizione delle opere eseguite in difformità dalla concessione; il c.t.u. ha qualificato la parte abusiva come un'opera realizzata in parziale difformità dalla concessione edilizia;- prima di essere oggetto del contratto preliminare di compravendita oggetto della presente controversia, la porzione immobiliare de qua, nell'identica situazione di fatto, è stata oggetto di due trasferimenti di proprietà con atti pubblici notarili (rispettivamente in data 22 luglio 1981 ed in data 13 novembre 1989). 4.2. - La giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito (Sez. 2^, 17 giugno 1999, n. 6018; Sez. 2^, 11 luglio 2005, n.

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14489; Sez. 2^, 24 aprile 2007, n. 9849) che la sanzione di nullità, prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, con riferimento ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria (ovvero della concessione rilasciata in sanatoria o della copia conforme della relativa domandar corredata della prova dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione), trova applicazione ai soli contratti ad effetti reali, mentre le relative previsioni non possono essere estese ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, quali i preliminari di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi, con la conseguenza che, in questa ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto di vendita, ovvero si può far luogo alla pronuncia di sentenza ex art. 2932 cod. civ.. Peraltro, poiché la procedura di cui all'art. 2932 cod. civ., opera in funzione sostitutiva della volontà del contraente inadempiente, se fosse consentita l'emanazione di tale sentenza senza l'osservanza della L. n. 47 del 1985, art. 40, l'indicata disciplina imperativa verrebbe di fatto elusa, dato che, tramite il provvedimento dell'autorità giudiziaria, sarebbe possibile l'ottenimento di un effetto maggiore o diverso da quello raggiungibile con un atto negoziale.Per tale motivo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2^, 9 dicembre 1992, n. 13024; Sez. 2^, 27 aprile 2006, n. 9647; Sez. 2^, 22 maggio 2008, n. 13225) ha affermato che, in assenza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia o della allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione, il giudice non può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall'art. 2932 cod. civ., perché l'art. 40, comma 2, legge cit., che richiede la predetta dichiarazione o allegazione, a pena di nullità, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (che non siano di servitù o di garanzia) relativi ad edifici o loro parti, indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di cui all'art. 2932 cod. civ., che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l'autonomia negoziale delle parti. E tale limite non può essere superato dalla astratta possibilità della successiva sanatoria della nullità, prevista per i contratti, dell'art. 40, comma 3 (che espressamente consente la successiva "conferma", con efficacia sanante, del negozio viziato), attesa l'evidente incompatibilità tra l'istituto della conferma dell'atto nullo previsto dalla predetta disposizione e le peculiari caratteristiche della sentenza e l'autorità del giudicato che questa è destinata ad acquistare.4.3, - Tanto premesso, se è corretto il quesito che la Corte territoriale si è posta preliminarmente in ordine alla possibilità per gli attori di ottenere una pronuncia costitutiva del trasferimento della proprietà ex art. 2932 cod. civ., errata è la conclusione che ad esso nella specie è stata data.E ciò per le seguenti ragioni.Va ricordato che questa Corte ha più volte precisato (tra le tante, Sez. 2^, 15 giugno 2000, n. 8147) che, derivando semplicemente dalla mancata indicazione nell'atto, da parte dell'alienante, degli estremi della concessione (ad edificare o in sanatoria), la nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, al pari di quella contemplata dal precedente art. 17, rappresenta una nullità formale, riconducibile, nel sistema generale

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dell'invalidità, dell'art. 1418 cod. civ., u.c.. La legge eleva a requisito formale del contratto la presenza in esso di alcune dichiarazioni ed è la loro assenza che di per sè comporta la nullità dell'atto, a prescindere cioè dalla regolarità dell'immobile che ne costituisce l'oggetto.In questa prospettiva, si è affermato: (a) che, in tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita, non osta all'emissione della sentenza sostitutiva della manifestazione della volontà della parte la mancanza di certificazione di conformità alla concessione edilizia, in quanto la L. n. 47 del 1985, art. 40, commina la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove non contengano la dichiarazione degli estremi della licenza o della concessione, mentre non prende in considerazione l'ipotesi della conformità o meno della realizzazione rispetto alle dette licenza o concessione (Sez. 2^, 14 dicembre 1999, n. 14025); (b) che il citato art. 40 commina la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove essi non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell'immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l'acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato o di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene stesso attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia, ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria, mentre nessuna invalidità deriva al contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche (Sez. 2^, 24 marzo 2004, n. 5898;Sez. 2^, 7 dicembre 2005, n. 26970).Occorre peraltro precisare che la strumentazione prevista dalla L. n. 47 del 1985, ha lo scopo di garantire che il bene nasca e si trasmetta nella contrattazione soltanto se privo di determinati caratteri di abusivismo.La legge si preoccupa che la licenza o la concessione edilizia (ovvero la documentazione alternativa, rappresentata dalla concessione in sanatoria) siano dichiarate in atto, ma sul presupposto che detta documentazione vi sia effettivamente (v. Cass., Sez. 2^, 27 aprile 2006, n. 9647, la quale, proprio in fattispecie di sentenza sostitutiva dell'obbligo di concludere il contratto definitivo ex art. 2932 cod. civ., ha rilevato che la nullità assoluta ai sensi dell'art. 1418 cod. civ., stabilita dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, riguarda gli atti di trasferimento immobiliari relativi a costruzioni risultanti non in regola con la normativa edilizia per "mancanza della concessione edilizia ovvero della concessione in sanatoria"); e - poiché la presenza o la mancanza della licenza non possono essere affermate in astratto, ma devono esserlo in relazione ad una concreta opera - essa mira ad attrarre nella comminatoria di nullità (o, trattandosi di giudizio volto ad ottenere una sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ., nell'impedimento alla pronuncia sostitutiva del negozio non concluso) i casi riguardanti immobili costruiti in maniera così diversa dalla previsione contenuta nella licenza o nella concessione da non potere essere ricondotti alla stessa.Quindi - attesa la tutela di un interesse generale sotteso alla previsione della sanzione della nullità - detta comminatoria riguarda i casi di immobili costruiti non solo in assenza della licenza o della concessione, ma anche in totale difformità da essa, come è

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reso sistematicamente palese, tra l'altro, dal fatto che la L. n. 47 del 1985, accomuna, anche sotto il profilo delle sanzioni amministrative e penali (rispettivamente, artt. 7 e 20, contenuti nel Capo 1^, a sua volta richiamato dall'art. 40, comma 1), l'una e l'altra tipologia di opere abusive.Nel caso di specie la previsione della nullità - e,corrispondentemente, la preclusione alla emanazione della sentenza costitutiva - non era però applicabile, perché si trattava di immobile (per di più oggetto, nell'identica ed immutata situazione di fatto, già di due precedenti passaggi di proprietà con atto notarile) costruito sulla base di una regolare concessione edilizia e non in totale difformità dalla stessa, ma avente una parziale difformità rispetto al permesso di costruire, per la presenza di un aumento non consistente della volumetria realizzata che, pur superando i limiti del progetto approvato, non consta che si sia risolta o che abbia dato luogo ad un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile.E ciò impediva ai promittenti venditori di rifiutarsi di prestare il consenso alla stipulazione del definitivo per una asserita incommerciabilità del bene.5. - Per effetto dell'accoglimento, nei termini di cui in motivazione, del ricorso principale e dei primi tre motivi del ricorso incidentale adesivo resta assorbito l'esame del quarto motivo di quest'ultimo ricorso.La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata alla Corte d'appello di Roma, che, in diversa composizione, la deciderà attenendosi al seguente principio di diritto: "In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ., non solo allorché l'immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione), ma anche quando l'immobile sia caratterizzato da totale difformità dalla concessione (e manchi la sanatoria). Ove, invece, l'immobile - munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati ne' revocati - abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione (nella specie, per la presenza di un aumento, non consistente, della volumetria fuori terra realizzata, non risolventesi in un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile), non sussiste alcuna preclusione all'emanazione della sentenza costitutiva, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo, ed è pertanto illegittimo il rifiuto del promittente venditore (a sua volta acquirente dello stesso immobile in base a rogito notarile) di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dal promissario acquirente".Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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Preliminare ed attestazione di certificazione energetica

Sez. 2, Sentenza n. 12260 del 17/07/2012 (Rv. 623238)

Presidente: Schettino O. Estensore: Scalisi A. Relatore: Scalisi A. P.M. Sgroi C. (Conf.)

Pettigiani (Ghia ed altro) contro Racca ed altri (Carena)

(Rigetta, App. Torino, 03/03/2010)

187 VENDITA - 030 TITOLI E DOCUMENTI RELATIVI ALLA PROPRIETA' ED ALL'USO

VENDITA - OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE - CONSEGNA DELLA COSA - TITOLI E DOCUMENTI RELATIVI ALLA PROPRIETÀ ED ALL'USO - Sentenza di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un preliminare relativo alla compravendita di un immobile - Mancanza dell'attestazione di certificazione energetica, di cui all'art. 5 della legge Regione Piemonte n. 13 del 2007, nonché all'art. 6, d.lgs. n. 192 del 2005 - Causa ostativa all'emissione della sentenza ex art.2932 cod. civ. - Esclusione - Fondamento.

058 CONTRATTI IN GENERE - 039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Sentenza di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un preliminare relativo alla compravendita di un immobile - Mancanza dell'attestazione di certificazione energetica, di cui all'art. 5 della legge Regione Piemonte n. 13 del 2007, nonché all'art. 6, d. lgs. n. 192 del 2005 - Causa ostativa all'emissione della sentenza ex art.2932 cod. civ. - Esclusione - Fondamento.

In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, non osta all'emissione della sentenza ex art. 2932 cod. civ. la mancanza dell'allegazione dell'attestato di certificazione energetica, di cui all'art. 5 della legge regionale Piemonte 28 maggio 2007, n. 13, nonché all'art. 6, d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192, potendo le parti stipulare il contratto e rinviare, tacitamente o esplicitamente, ad un momento successivo la consegna dell'attestato, cui per legge il venditore è obbligato e che il compratore può richiedere, in quanto rientrante tra i documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa venduta ai sensi dell'art. 1477, ultimo comma, cod. civ..

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Testo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 25 febbraio 2008, Giorgio Pettigiani interponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Torino, avverso la sentenza n. 124 del 2007, con la quale il Tribunale di Torino respingeva le domande di Livio Racca e Franca Rocci, proposte ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. per il trasferimento in proprietà di un immobile promesso in vendita con contratto preliminare del 18 aprile 1988; nonché ai sensi dell'art. 1478 cod. civ. per la parte dei beni che erano ancora nella titolarità di terzi; riduceva il prezzo di vendita di Euro 152.354,79 pattuito nel preliminare di vendita in ragione della ritenuta arbitraria contrazione, ad opera del venditore, delle parti comuni che erano state promesse, nonché per altre voci relative a vizi e incompletezza delle opere per complessive Euro 9.168,50. Tenuto conto delle operate riduzioni, il prezzo della vendita, era, pertanto, rideterminato dal primo giudice in Euro 143.186,29, oltre Iva al lordo degli acconti versati per Euro 121.367,37. Considerato che parte dell'immobile oggetto della promessa era intestato alla Nefertari ss., la stessa veniva chiamata in causa e si costituiva eccependo il proprio difetto di legittimazione, essendo estranea al rapporto contrattuale oggetto di controversia in quanto non aveva intrattenuto alcun rapporto con i sigg. Racca e Pettigiani.Con il proposto appello, Giorgio Pettigiani lamentava l'evidente incongruenza della decisione laddove il primo giudice, dopo aver ritenuto infondata la domanda principale di trasferimento degli immobili, aveva, egualmente, provveduto sulla domanda di riduzione del prezzo che doveva invece, ritenersi assorbita dal rigetto della domanda principale di trasferimento.Si costituivano gli appellati Racca e Rocci chiedendo il rigetto dell'appello e, in via di appello incidentale, pronunciarsi la sentenza ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. di trasferimento (a favore degli appellati,) di tutti gli immobili oggetto del contratto preliminare, dichiarando contestualmente tenuto Pettigiani a procurare ai suddetti acquirenti l'acquisto delle parti e delle unità immobiliari promesse, tuttora, di proprietà di altro soggetto.La Corte di Appello di Torino, con sentenza n, 302 del 2010, in parziale riforma della sentenza di primo grado, pronunciava il trasferimento dei beni indicati nel contratto preliminare del 18 aprile 1988, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2932 cod. civ., dichiarava Racca e Rocci tenuti al pagamento del residuo prezzo netto

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determinato in Euro 28.871,96, oltre l'Iva, già dedotti gli acconti versati e le riduzioni di cui in motivazione. Subordinava l'efficacia del presente trasferimento al pagamento dell'indicato prezzo netto residuo. A sostegno di questa decisione, la Corte torinese, osservava: a) che non vi era ragione per escludere che la prestazione del promittente venditore potesse essere eseguita procurando il trasferimento del bene direttamente dall'effettivo proprietario. Per altro il Pettigiani in virtù della procura irrevocabile, rilasciagli da Nefertari, era sin dall'inizio della presente controversia nell'effettiva possibilità di stipulare l'atto definitivo, b) che andava, altresì, esclusa la decurtazione del prezzo effettuata dal Tribunale e riconosciuta, invece, quella più ridotta pari ad Euro 2.119,00.

La cassazione della sentenza della Corte di Appello di Torino è stata chiesta da Pettigiani con ricorso affidato a tre motivi. Racca Livio e Rocci Franca hanno resistito con controricorso. Marcolongo Graziano, Clara e Manuela, Bauce Giuliana , nella loro qualità di soci della disciolta ss. Nefertari regolarmente intimati, in questa sede, non hanno svolto alcuna attività processuale. MOTIVI DELLA DECISIONE1.= Con il primo motivo, il ricorrente Pettigiani lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2932 cod. civ. e della L.R. Piemonte 28 maggio 2007, n. 13 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello di Torino non avrebbe fatto corretta applicazione del disposto di cui all'art. 2932 cod. civ. perché nell'ipotesi in esame il venditore non aveva consegnato la certificazione energetica relativa agli immobili promessi in vendita, così come richiesta dalla legislazione nazionale e, per quanto di interesse, dalla L.R. Piemonte n. 13 del 2007. La mancata allegazione del certificato di attestazione energetica - sostiene il ricorrente - influirebbe sui presupposti della sentenza di trasferimento perché, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti o un effetto che ,comunque, eluda le norme che governano l'autonomia negoziale delle parti. Per altro il contratto preliminare di compravendita del 18 aprile 1988 non conteneva alcun riferimento al certificato di conformità o di qualificazione energetica ne' era stata allegata una tale certificazione.1.1.= La censura non è fondata e non può essere accolta perché la Corte torinese ha correttamente applicato la

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normativa e i principi giuridici in tema di allegazione, al contratto di vendita e al contratto preliminare di vendita, della certificazione energetica. 1.1.a).= Va qui precisato che il D.Lgs. n. 192 del 2005, art. 6, comma 1-bis, lett. c come successivamente modificato dal D.Lgs. n. 112 del 2008, aveva introdotto l'obbligo per i venditori di immobili di consegnare ai compratori, al momento del rogito, l'attestato di certificazione energetica (ACE) dell'immobile compravenduto. A sua volta, il D.Lgs. n. 192 del 2005, art. 15, comma 8, stabiliva che:"In caso di violazione dell'obbligo previsto dall'art. 6, comma 3, il contratto è nullo. La nullità può essere fatta valere solo dall'acquirente". Tuttavia, l'intera disciplina ha subito nel tempo profonde modifiche (da ultimo modificata dal D.Lgs. n. 28 del 2011) ma, soprattutto, la L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 35 - cui fa riferimento lo stesso ricorrente - ha abrogato i commi 8 e 9 del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, art. 15 e, cioè, la norma che disponeva la nullità del contratto nell'ipotesi in cui allo stesso non fosse stata allegata la certificazione energetica. Ciò posto è da ritenere che il certificato cui si fa riferimento (tralasciando di considerare la normativa di cui al D.Lgs. n. 28 del 2011, la quale per altro non richiede più la certificazione di efficienza energetica, ma semplicemente un'attestazione resa dal venditore) andava ad ampliare il novero dei documenti (permesso di costruire, certificato di abitabilità), relativi alla proprietà ed all'uso della cosa venduta che, ai sensi dell'art. 1477 cod. civ., il venditore doveva consegnare al compratore. Pertanto, la mancata consegna dell'ACE non rendeva la vendita invalida, ovvero, nulla, piuttosto legittimava l'acquirente a domandare la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1477 - 1453 - 1455 cod. civ., in quanto era interesse del compratore acquisire la proprietà di un bene conforme alla normativa vigente, anche in materia di efficienza energetica. E di più, considerato che la mancata consegna della certificazione energetica (ACE) non comportava l'invalidità dell'atto, la stessa poteva essere consegnata anche, successivamente, o in ragione di un preventivo accordo delle parti o su semplice richiesta del compratore, anche dopo la vendita del bene.1.1.a.1).= Non sembra -come emerge anche da quel che afferma lo stesso ricorrente - che la L.R. Piemonte n. 13 del 2007 abbia modificato la normativa nazionale tanto più che l'art. 5, comma 1 di detta legge prescrive semplicemente che "nel caso di compravendita di un intero

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immobile o di singole unità immobiliari, l'attestato di certificazione energetica è allegato al contratto, in originale o in copia autenticata, a cura del venditore". Insomma, anche la legge della regione piemontese si è limitata ad ampliare il novero dei documenti (permesso di costruire, certificato di abitabilità), relativi alla proprietà ed all'uso della cosa venduta, che il venditore deve consegnare al compratore. Tuttavia, la consegna di cui si dice, anche per la legge piemontese, non integra gli estremi di una condizione di validità o di efficacia dell'atto di compravendita, ma comporta un inadempimento da parte del venditore che può legittimare il compratore alla risoluzione del contratto. 1.2.= Pertanto, nel caso specifico, anche in mancanza dell'allegazione della certificazione energetica, il giudice del merito poteva emettere, come ha fatto, sentenza di trasferimento del bene promesso in vendita ex art. 2932 cod. civ. proprio perché le stesse parti avrebbero potuto stipulare il contratto di compravendita e rinviare, tacitamente o esplicitamente, la consegna ad un tempo successivo alla stipula del contratto di compravendita. Nell'ipotesi specifica, e alla luce di quanto si è detto, successivamente alla vendita: il venditore per legge ha obbligo di far pervenire (ovvero di consegnare) al compratore la certificazione di efficienza energetica e il compratore potrà, per forza di legge, richiedere la stessa documentazione.(…)

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Preliminare e mutatio libelli

Sez. 2, Sentenza n. 13003 del 27/05/2010 (Rv. 613142)

Presidente: Piccialli L.  Estensore: D'Ascola P.  Relatore: D'Ascola P.  P.M. Sgroi C. (Conf.)

Durante (Parisi ed altro) contro Agemac Italia Srl

(Cassa con rinvio, App. Messina, 03/12/2003)

058 CONTRATTI IN GENERE  -  257 PER INADEMPIMENTO - IN GENERE - RAPPORTO TRA DOMANDA DI ADEMPIMENTO E DOMANDA DI RISOLUZIONE - IMPUTABILITA' DELL'INADEMPIMENTO, COLPA O DOLO

CONTRATTI IN GENERE - SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO - RISOLUZIONE DEL CONTRATTO - PER INADEMPIMENTO - IN GENERE - RAPPORTO TRA DOMANDA DI ADEMPIMENTO E DOMANDA DI RISOLUZIONE - IMPUTABILITÀ DELL'INADEMPIMENTO, COLPA O DOLO - Preliminare di compravendita - Domanda di adempimento - Mutamento della domanda in quella di risoluzione - Richiesta di restituzione della somma versata a titolo di prezzo - Ammissibilità - Accettazione del contraddittorio - Necessità - Esclusione.

La facoltà, di cui all'art. 1453, secondo comma, cod. civ., di poter mutare nel corso del giudizio di primo grado, nonché in appello, e persino in sede di rinvio la domanda di adempimento in quella di risoluzione in deroga al divieto di "mutatio libelli" sancito dagli artt. 183, 184 e 345 cod. proc. civ., sempreché si resti nell'ambito dei fatti posti a base della inadempienza originariamente dedotta, senza introdurre un nuovo tema di indagine, comporta che, in tema di contratto preliminare di compravendita, qualora sia sostituita la domanda di adempimento con quella di risoluzione, possa essere chiesta la restituzione della somma versata a titolo di prezzo, quale domanda consequenziale a quella di risoluzione, implicando l'accoglimento di questa, per l'effetto retroattivo espressamente previsto dall'art. 1458 cod. civ., l'obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, onde di tale domanda il giudice può decidere anche se su di essa non vi sia stata accettazione del contraddittorio.

Testo. (Omissis) Il terzo motivo espone violazione dell’art. 183 c.p.c. in relazione agli artt. 1453 e 1458 c.c. e vizi di motivazione. Il ricorrente lamenta che la domanda di restituzione delle somme versate al promittente venditore sia stata ritenuta nuova - e

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percio’ inammissibile - sebbene fosse stata gia’ formulata nell’atto di citazione e costituisse manifestazione delle facolta’ previste dall’art 1453 c.c.. La censura coglie nel segno.La sentenza d’appello riferisce che gia’ in citazione l’attore aveva formulato espressa riserva di mutare la domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto con richiesta di risarcimento del danno e di restituzione di quanto fino ad allora pagato; reputa pero’ inammissibile la domanda, perche’ estesa alla restituzione di quanto pagato fino alla data delle conclusioni, non provata quanto all’effettivo ammontare del pagamento e infine priva della salvifica accettazione del contraddittorio. Tale statuizione e’ contraddetta dalla giurisprudenza di legittimita’. Questa Corte insegna infatti che, fermi i fatti posti a base dell’inadempimento, l’art. 1453 c.c., comma 2, secondo il quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora uno dei contraenti non adempia la propria obbligazione, l’altro puo’ chiedere la risoluzione anche se abbia gia’ promosso il giudizio per ottenere l’adempimento, introduce una deroga al divieto della "mutatio libelli" nel corso del procedimento (Cass. 1003/08). Spiega inoltre che "la facolta’ ex art. 1453 cc., comma 2 di poter mutare nel corso del giudizio di primo grado, nonche’ in appello, e persino in sede di rinvio la domanda di adempimento in quella di risoluzione in deroga al divieto di "mutatio libelli" sancito dagli articoli 183, 184 e 35 c.p.c., sempreche’ si resti nell’ambito dei fatti posti a base della inadempienza originariamente dedotta, senza introdurre un nuovo tema di indagine, comporta che, in tema di contratto preliminare di compravendita, qualora sia sostituita la domanda di adempimento con quella di risoluzione, possa essere chiesta la restituzione della somma versata a titolo di prezzo, quale domanda consequenziale a quella di risoluzione, implicando l’accoglimento di questa, per l’effetto retroattivo espressamente previsto dall’art. 1458 c.c. l’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, onde di tale domanda il giudice puo’ decidere anche se su di essa non vi sia stata accettazione delcontraddittorio" (Cass 10506/96). Aggiunge infine che la facolta’ di mutare la domanda di adempimento in quella di risoluzione comprende, oltre la domanda di restituzione del prezzo, anche la conseguente domanda di risarcimento del danno, quali domande accessorie alla domanda sia di risoluzione che di adempimento (Cass. 26325/08). Va chiarito che l’estensione della domanda alle somme pagate in corso di causa non era rilevante ai fini della inammissibilita’, costituendo un ampliamento consentito in sede di precisazione delle conclusioni. Ne’ rilevava la mancanza di prova del quantum effettivamente pagato, questione che concerneva l’eventuale parziale fondatezza della pretesa, ma non la sua abusiva introduzione. La Corte messinese ha pertanto errato nel ritenere inammissibile la domanda restitutoria, che doveva invece essere esaminata. Cio’ dovra’ fare il giudice di rinvio. (…)

Sez. 2, Sentenza n. 2723 del 08/02/2010 (Rv. 611736)

Presidente: Elefante A.  Estensore: Giusti A.  Relatore: Giusti A.  P.M. Leccisi G. (Conf.)

Agresta A. ed altri (Patrizi) contro Agresta F. ed altri (Papa)

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(Rigetta, App. Roma, 20/09/2005)

133 PROCEDIMENTO CIVILE  -  105 NUOVA DOMANDA

PROCEDIMENTO CIVILE - DOMANDA GIUDIZIALE - NUOVA DOMANDA - Domanda di accertamento del contratto di compravendita del diritto di proprietà - Sostituzione in corso di causa con la domanda di esecuzione coattiva di un contratto preliminare - Novità della seconda domanda - Sussistenza - Fondamento - Conseguenze - Inammissibilità.

Costituisce domanda nuova - come tale vietata e, perciò, inammissibile sia in primo grado che in appello - quella conseguente al sopravvenuto mutamento della pretesa di accertamento del contratto di compravendita del diritto di proprietà in quella di esecuzione coattiva di un contratto preliminare ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. (nella specie formalizzato all'udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di prima istanza), essendo le due domande diverse per "petitum" e "causa petendi": infatti, mentre la prima è diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa, fondata su un negozio con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà per effetto del consenso legittimamente manifestato, la seconda mira ad una pronuncia costitutiva, fondata su un contratto con effetti meramente obbligatori come il preliminare, avente ad oggetto l'obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.

Sez. U, Sentenza n. 1731 del 05/03/1996 (Rv. 496140)  

Presidente: Sgroi V.  Estensore: Carbone V.  P.M. Chirico C. (Conf.)

Casa 21 S.p.A. (Cascino) contro Sorrentino (Riitano)

(Rigetta, App. Firenze, 4 maggio 1992).

133 PROCEDIMENTO CIVILE  -  105 NUOVA DOMANDA

PROCEDIMENTO CIVILE - DOMANDA GIUDIZIALE - NUOVA DOMANDA - Domanda di esecuzione coattiva di un contratto preliminare - Sostituzione successiva con domanda di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo - Inammissibilità - Limiti.

100 IMPUGNAZIONI CIVILI  -  024 NUOVE - IN GENERE

IMPUGNAZIONI CIVILI - APPELLO - DOMANDE - NUOVE - IN GENERE - Domanda di esecuzione coattiva di un contratto preliminare - Sostituzione successiva con domanda di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo - Inammissibilità - Limiti.

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058 CONTRATTI IN GENERE  -  039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Domanda giudiziale - Sostituzione successiva con domanda di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo - Inammissibilità - Limiti.

Costituisce domanda nuova, vietata in appello e anche in primo grado ove manchi il consenso espresso o tacito della controparte, quella del creditore che, dopo aver invocato l'esecuzione coattiva di un contratto preliminare rimasto inadempiuto, ponendo a base dell'atto introduttivo la richiesta di pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ., sostituisce nelle conclusioni del giudizio di primo grado, ovvero nell'atto di appello, la predetta domanda con una successiva, con la quale chieda una sentenza che accerti l'avvenuto effetto traslativo, qualificando il rapporto pattizio non più come preliminare, ma come vendita per scrittura privata. Trattasi, infatti, di domande diverse sotto il profilo del "petitum" e della causa "petendi", atteso che nella prima ipotesi l'attore adduce un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente ad oggetto l'obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata dell'immobile; nella seconda un contratto con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà dell'immobile per effetto del consenso legittimamente manifestato.

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Sentenza ex art. 2932 cod. civ. e accertamento dell’appartenenza del bene promesso in vendita

Cass., Sez. II, 14 aprile 2011, n. 8519 – Triola, pres. ed est.

La domanda di costituzione degli effetti del contratto definitivo ex art. 2932 cod. civ. presuppone necessariamente l’accertamento della proprietà del bene in capo al promittente venditore. L’accertamento della proprietà del bene in capo al promittente venditore, che è presupposto per l’accoglimento della domanda ex art. 2932 cod. civ., può essere conosciuta incidenter tantum e non comporta la necessità del litisconsorzio e dell’integrazione del contraddittorio nei confronti dei terzi che si pretendono titolari della proprietà sul bene.

Testo. Con atto notificato il 20 ottobre Sergio Spagnoli conveniva la SO.FI Coop s.r.l. davanti al Tribunale di Napoli, chiedendo che fosse emessa in suo favore la sentenza ex art. 2932 c.c. in relazione ad un contratto preliminare con il quale la convenuta le aveva promesso in vendita un appartamento realizzato su terreno alla stessa concesso in proprieta’ dal Comune di Somma Vesuviana a seguito di convenzione stipulata ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35;La convenuta, costituitasi, deduceva le la mancata stipula del contratto definitivo era da imputare all’inadempimento dell’attrice, per cui chiedeva la risoluzione del contratto preliminare. Con sentenza in data 30 settembre 2003 il Tribunale di Napoli rigettava la domanda ex art. 2932 c.c. sia la domanda riconvenzionale. La SO.FI Coop s.r.l. proponeva appello, dolendosi, in primo luogo, del mancato accoglimento della domanda riconvenzionale.Sergio Spagnoli proponeva appello incidentale, chiedendo la dichiarazione di nullita’ del contratto preliminare. Con sentenza in data 2 ottobre 2008 la Corte di appello di Napoli dichiarava la nullita’ del giudizio di primo grado ex art. 354 cod. proc. civ., rimettendo la causa al Tribunale di Napoli, sul presupposto che il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato nei confronti dei proprietari delle aree sulle quali era stato realizzato il complesso immobiliare di cui faceva parte l’appartamento all’origine della controversia e l’ente espropriante, in base alla seguente motivazione:va in primo luogo esaminato l’assunto difensivo del Testa mediante il quale il predetto, denunciando la violazione del principio dell’integrita’ del contraddittorio, ha richiesto la declaratoria della nullita’ della sentenza impugnata.Le argomentazioni dell’appellato, come sopra esposte, sono fondate e vanno accolte per quanto di ragione.Al riguardo, il contratto preliminare di vendita in favore dell’appellato venne dichiaratamente stipulato dalla Soficoop in attuazione della convenzione intercorsa in data 14 dicembre 79 ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 35 con il predetto Comune. Con l’atto introduttivo del giudizio, il Testa ebbe a proporre una domanda diretta ad

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ottenere che fosse emessa sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c., produttiva degli stessi effetti del contratto non concluso trasferendo cosi la proprieta’ dei beni immobili in oggetto.Una tale domanda evidentemente prevedeva, quale suo naturale presupposto, l’accertamento della titolarita’ del diritto di proprieta’ dell’area occupata dall’edificio in cui e’ sito l’appartamento compromesso.E’ noto, infatti, che la pronuncia di trasferimento ai sensi del citato art. 2932 c.c. e’ ammissibile e, comunque, produce reali effetti traslativi solo se il bene oggetto del contratto preliminare di vendita appartenga al promittente venditore, ovvero questi possa determinare gli effetti stessi; tant’e’ che "nei casi in cui il bene promesso in vendita appartenga a terzi, l’acquisto della relativa proprieta’ da parte del promittente venditore costituisce condizione dell’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.". (Cass. 11.572/04). Ne’ puo’ dubitarsi, alla luce degli sessi scritti difensivi delle parti, che nel caso di specie la questione si pone concretamente in modo del tutto evidente, emergendo in modo chiaro dal sostanziale conflitto esistente in ordine al diritto di proprieta’ dell’area in questione tra gli originar proprietari, l’Ente pubblico espropriante e la Soficoop, delegata all’espropriazione e cessionaria, per patto espresso, del diritto di proprieta’ ad aedificandum solo all’esito del procedimento ablativo e delle correlative trascrizioni.Orbene, la decisione della questione pregiudiziale in ordine all’accennato conflitto postula, con ogni evidenza, la necessaria partecipazione al giudizio di tutte le parti interessate e, cio’, perche’ occorre accertare nei confronti delle parti stesse se si siano prodotti o meno gli effetti dell’espropriazione o, comunque, della definitiva ed irreversibile trasformazione del suolo e, altresi’, se si siano verificate o meno, a vantaggio della Soficoop, gli effetti traslativi previsti dalla ripetuta Convenzione stipulata con il Comune di Somma Vesuviana.L’accertamento stesso inerisce - e cio’ e’ indiscutibile - ad una situazione giuridica unitaria ed inscindibile e puo’, pertanto, conseguire un risultato utile agli effetti reali solo se ed in quanto la relativa decisione venga pronunciata in contraddittorio di tutti i soggetti destinati ad essere avvantaggiati o pregiudicati dalla decisione in ordine al conflitto dei rispettivi titoli di proprieta’ emergenti dagli atti.In sintesi, nel giudizio di primo grado non e’ stato integrato il contraddittorio nei sensi sopra specificati e, pertanto, la conseguente nullita’ impone la pronuncia prevista dall’art. 354 c.p.c., comma 1.Infatti la domanda a suo tempo proposta dal Testa dinanzi al Tribunale presupponeva necessariamente l’accertamento in ordine all’appartenenza della succitata area, tuttavia l’intima connessione esistente tra tale pronuncia e tutte le altre consequenziali comporta la caducazione dell’intera decisione : non e’ invero revocabile in dubbio che, a seconda dell’accertamento indicato, puo’ farsi, o meno, luogo al trasferimento dell’appartamento oggetto del contratto preliminare ovvero alla pronuncia di risoluzione ed a quelle risarcitorie o agli ulteriori profili dipendenti e subordinati. Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione, la SO.FI Coop. s.r.l. e la Citta’ del Mare s.r.l., alla quale la prima ha venduto l’appartamento oggetto del giudizio con atto in data 13 febbraio 2006.Sergio Spagnoli resiste con controricorso.MOTIVI DELLA DECISIONE

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Con il primo motivo le ricorrenti deducono, in primo luogo, l’erroneita’ dalla affermazione contenuta nella motivazione della sentenza impugnata secondo la quale la domanda diretta ad ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c. presupponeva logicamente l’accertamento della titolarita’ del diritto di proprieta’ dell’area occupata dall’edificio in cui e’ sito l’appartamento oggetto del contratto preliminare, con la conseguenza che il contraddittorio andava integrato nei confronti degli originari proprietari di tale terreno e del Comune di Somma Vesuviana. Una tale domanda, infatti, non era stata proposta con l’atto introduttivo del giudizio. Soltanto in grado di appello l’originario attore aveva chiesto che venisse dichiarata la nullita’ del contratto preliminare per non avere la SO.FI s.r.l. acquisito la proprieta’ dell’area in questione, ma si trattava di domanda inammissibile.La doglianza e’ fondata, in quanto la Corte di appello di Napoli ha ritenuto, di ufficio, e quindi a prescindere da una espressa domanda in tal senso, che la richiesta di emissione di una sentenza ex art. 2932 c.c. contenesse necessariamente anche la domanda di accertamento della proprieta’ di tale area e su tale presupposto ha ritenuto che il contraddittorio andava integrato nei confronti degli espropriati e dell’ente espropriante.Deducono, poi, le ricorrenti che comunque non sussisteva una ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo la questione della proprieta’ dell’area essere oggetto di accertamento incidentale e portare al rigetto della domanda principale nel caso in cui fosse emerso che l’area sulla quale era stato realizzato l’edificio oggetto del contratto preliminare era mai pervenuto in proprieta’ alla SO.FI Coop s.r.l., conformemente a quanto deciso da questa S.C. con sentenza in data 26 luglio 2006 n. 17027 (erroneamente indicata con il numero 10927 nel ricorso), emessa in una controversia analoga, in cui era parte la SO. FI Coop s.r.l. e che ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva escluso che l’accertamento in via incidentale della proprieta’ del bene in capo al promittente venditore desse luogo da una ipotesi di litisconsorzio necessario, affermando il seguente principio: Al di fuori dei casi in cui la legge espressamente impone la partecipazione di piu’ soggetti al giudizio instaurato nei confronti di uno di essi, vi e’ litisconsorzio necessario solo allorquando l’azione tenda alla costituzione o alla modifica di un rapporto plurisoggettivo unico, ovvero all’adempimento di una prestazione inscindibile comune a piu’ soggetti; pertanto non ricorre litisconsorzio necessario allorche’ il giudice proceda, in via meramente incidentale, ad accertare una situazione giuridica che riguardi anche un terzo, dal momento che gli effetti di tale accertamento non si estendono a quest’ultimo ma restano limitati alle parti in causa.L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo, con il quale si censura la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento dell’attrice, domanda in relazione alla quale non era prospettabile la partecipazione al giudizio di altri eventuali litisconsorti necessari.In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli ( . . .).

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Preliminare, inadempimento e risarcimento del danno

Sez. 2, Sentenza n. 14714 del 30/08/2012 (Rv. 624195)

Presidente: Oddo M. Estensore: Proto CA. Relatore: Proto CA. P.M. Sgroi C. (Conf.)

Lezzi (Licchetta ed altro) contro Lupo ed altri

(Rigetta, App. Lecce, 21/06/2005)

058 CONTRATTI IN GENERE - 038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Inadempimento del promittente venditore di un beni immobile - Risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente - Liquidazione - Criteri.

Il risarcimento del danno, imputabile al promittente venditore per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento in cui l'inadempimento è divenuto definitivo (che, in caso di vendita a terzi, coincide con la trascrizione dell'atto) ed il prezzo pattuito

Sez. 2, Sentenza n. 1298 del 07/02/1998 (Rv. 512371)

Presidente: Favara F. Estensore: Elefante A. P.M. Delli Priscoli M. (Parz. Diff.)

Peroni ed altro (Barone) contro Sisti ed altro (Gagliardini)

(Rigetta, App. Roma, 25 luglio 1995).

058 CONTRATTI IN GENERE - 038 CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Mancata stipula del contratto

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definitivo di vendita immobiliare - Imputabilità al promittente venditore - Risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente - Determinazione - Criteri.

Il risarcimento del danno, imputabile al promittente venditore, per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (cioè al tempo in cui l'inadempimento è divenuto definitivo) ed il prezzo pattuito.

Sez. 2, Sentenza n. 9367 del 08/06/2012 (Rv. 622647)

Presidente: Felicetti F. Estensore: Giusti A. Relatore: Giusti A. P.M. Golia A. (Conf.)

Toscolaniera Spa (Vettori ed altri) contro Marsili ed altro (Salvi ed altro)

(Rigetta, App. Firenze, 28/02/2006)

058 CONTRATTI IN GENERE - 006 CONFIRMATORIA

CONTRATTI IN GENERE - CAPARRA - CONFIRMATORIA - Preliminare di compravendita - Recesso per inadempimento del promissario acquirente - Ritenzione della caparra - Danni per l'illegittima occupazione del bene - Risarcibilità in via autonoma - Dalla data di immissione nella detenzione del bene - Configurabilità - Fondamento.

La somma di denaro che, all'atto della conclusione di un contratto preliminare di compravendita, il promissario acquirente consegna al promittente venditore a titolo di caparra confirmatoria, assolve la funzione, in caso di successiva risoluzione del contratto per inadempimento, di preventiva liquidazione del danno per il mancato pagamento del prezzo, mentre il danno da illegittima occupazione dell'immobile, frattanto consegnato al promissario, discendendo da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente, legittima quest'ultimo a richiedere un autonomo risarcimento. Ne consegue che il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto ed ad incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario acquirente inadempiente il pagamento dell'indennità di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l'efficacia retroattiva del recesso tra le parti.

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Domanda ex art. 2932 cod. civ. e contrapposta domanda di risoluzione

Sez. 2, Sentenza n. 13739 del 31/07/2012 (Rv. 623634)

Presidente: Felicetti F. Estensore: Vincenti E. Relatore: Vincenti E. P.M. Del Core S. (Conf.)

Ciaramella (Panepinto ed altro) contro Guerreri ed altri

(Rigetta, App. Caltanissetta, 07/07/2005)

058 CONTRATTI IN GENERE - 039 ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO

CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE IL CONTRATTO - Domanda del promissario acquirente - Contrapposta domanda di risoluzione del preliminare per inadempimento proposta dal promittente venditore - Criterio di priorità logica - Conseguenze - Inutilità dell'esame della domanda di risoluzione - Configurabilità.

Ove alla domanda di esecuzione specifica del contratto preliminare di vendita, proposta dal promissario acquirente, si contrapponga quella del promittente venditore diretta ad ottenere la risoluzione dello stesso contratto per inadempimento della controparte, il giudice deve, secondo un criterio di priorità logica, esaminare quest'ultima, in quanto l'eventuale positività dell'accertamento in ordine alle condizioni della risoluzione rende inutile l'ulteriore esame di una domanda che abbia come obiettivo il relativo adempimento, se pur coattivo.

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Domanda ex art. 2932 cod. civ. e subordinata domanda di risoluzione

Sez. 2, Sentenza n. 5805 del 12/04/2012 (Rv. 622291)

Presidente: Schettino O. Estensore: Bertuzzi M. Relatore: Bertuzzi M. P.M. Capasso L. (Diff.)

Minervini (Boccardi) contro Damiano Belgiovine & C Sas ed altri

(Cassa con rinvio, App. Bari, 28/12/2009)

100 IMPUGNAZIONI CIVILI - 023 NON RIPROPOSTE (DECADENZA)

IMPUGNAZIONI CIVILI - APPELLO - DOMANDE - NON RIPROPOSTE (DECADENZA) - Domanda principale e domanda subordinata incompatibili - Accoglimento in primo grado della domanda subordinata - Riproposizione in appello della domanda principale - Ammissibilità - Sussistenza - Fondamento - Fattispecie.

100 IMPUGNAZIONI CIVILI - 219 INTERESSE ALL'IMPUGNAZIONE

IMPUGNAZIONI CIVILI - IMPUGNAZIONI IN GENERALE - INTERESSE ALL'IMPUGNAZIONE - Domanda principale e domanda subordinata incompatibili - Accoglimento in primo grado della domanda subordinata - Riproposizione in appello della domanda principale - Ammissibilità - Sussistenza - Fondamento - Fattispecie.

100 IMPUGNAZIONI CIVILI - 019 DOMANDE - IN GENERE

IMPUGNAZIONI CIVILI - APPELLO - DOMANDE - IN GENERE - Domanda principale e domanda subordinata incompatibili - Accoglimento in primo grado della domanda subordinata - Riproposizione in appello della domanda principale - Ammissibilità - Sussistenza - Fondamento - Fattispecie.

In tema di impugnazioni, qualora vi sia incompatibilità tra la domanda principale e la domanda subordinata proposte in primo grado (nella specie, rispettivamente, di esecuzione specifica di contratto preliminare, ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., e di risoluzione dello stesso per inadempimento del promittente venditore), il rigetto della prima e l'accoglimento della seconda non preclude alla parte di riproporre nel giudizio di impugnazione la propria domanda principale, atteso che il vincolo di subordinazione rimane pienamente efficace per tutto il corso del giudizio, finché la domanda principale non venga respinta con sentenza passata in giudicato. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza d'appello che aveva

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dichiarato inammissibile la domanda ex art. 2932 cod. civ., per essere divenuta definitiva la statuizione di risoluzione per inadempimento dei relativi contratti resa nello stesso giudizio, in quanto non oggetto di impugnazione ad opera dell'attrice).

Testo. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dei principi di diritto in materia di interpretazione della domanda, omessa, insufficiente o carente motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ., lamentando che la decisone impugnata abbia dichiarato inammissibile la domanda della Minervini diretta all'adempimento del contratto preliminare per non avere la parte impugnato anche il capo della decisione di primo grado che lo dichiarava risolto. La statuizione, ad avviso del ricorso, è palesemente errata in quanto non ha considerato che la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento era stata proposta dalla stessa appellante in via subordinata, sicché essa non poteva ritenersi passata in giudicato fino a quando la statuizione di rigetto della domanda principale non era divenuta definitiva. Affermare poi che la statuizione di risoluzione avrebbe dovuto essere impugnata dall'appellante non ha senso, atteso che la domanda era stata avanzata da quest'ultima ed essa era stata accolta, sicché difettava del tutto il requisito della soccombenza. Il giudice a quo, inoltre, si è contraddetto, laddove ha prima ha dichiarato che l'appellante aveva proposto censure nei confronti del capo della decisione che aveva disposto al risoluzione e poi ha affermato che esso non era stato investito da impugnazione.Preliminarmente va precisato che il motivo non può considerarsi assorbito in ragione dell'esito delle censure che hanno investito la statuizione di rigetto della domanda avanzata in via surrogatoria, tenuto conto che, non essendo noto l'esito del diverso giudizio, pendente in fase di impugnazione, tra la società Belgiovine ed il Roscini, nel quale questi aveva chiesto il trasferimento dei beni ex art. 2932 cod. civ., la parte ricorrente conserva interesse al mantenimento della sua azione di adempimento nei confronti del proprio promittente venditore.Tanto precisato, il mezzo è manifestamente fondato. L'affermazione della Corte di appello, che ha dichiarato la domanda ex art. 2932 cod. civ. proposta dalla Minervini inammissibile per essere stati i relativi contratti preliminari risolti, nello stesso giudizio, per inadempimento del Roscini, non appare condivisibile. Il giudice di merito ha invero del tutto trascurato il dato, da esso stesso riconosciuto, che la domanda di risoluzione era stata proposta dall'attrice solo in via subordinata rispetto a quella di adempimento. In particolare, appare pretermesso il rapporto di ordine logico prima che giuridico che è dato rinvenire tra la domanda principale e la domanda subordinata, in forza del quale quest'ultima è avanzata soltanto a condizione che la prima non risulti accolta. La relazione impressa dall'attore alle proprie domande fa sì, in questi casi, che la domanda principale resti pienamente efficace finché essa non sia stata rigettata, nel corso del giudizio di merito, con sentenza passata in giudicato. La subordinazione tra le due domande va infatti logicamente riferita all'evenienza che la domanda principale sia respinta ed il relativo vincolo di subordinazione deve ritenersi rimanga impresso finché tale rigetto sia divenuto definitivo. Nel caso, pertanto, in cui vi sia incompatibilità tra domanda principale e domanda subordinata, il rigetto della prima e l'accoglimento della

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seconda non preclude alla parte di riproporre nel giudizio di impugnazione la propria domanda principale, atteso che il vincolo di subordinazione rimane pienamente efficace per tutto il corso del giudizio. La debolezza del ragionamento svolto dal giudice di merito appare del resto evidente nell'argomentazione della sentenza secondo cui la statuizione che avrebbe risolto il contratto sarebbe divenuta ormai definitiva, precludendo ogni altra decisione sul punto, per non essere stata oggetto di impugnazione ad opera della parte medesima. Non ci si è avveduti in tal modo che, come esattamente rilevato dal ricorso, tale impugnazione non avrebbe mai potuto essere proposta e, se proposta, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse, non potendosi l'attrice considerare, rispetto ad essa, soccombente. In realtà la relazione che, in caso di accoglimento in appello della domanda principale, è dato riscontrare tra tale statuizione e quella di primo grado che ha accolto la domanda subordinata trova soluzione nello stesso rapporto di subordinazione impresso tra l'una e l'altra, che, tenuto conto della prevalenza data alla prima, fa sì che il suo accoglimento determini anche la caducazione della statuizione che ha accolto la domanda subordinata, in modo non dissimile dal fenomeno descritto dall'art. 336 cod. proc. civ., secondo cui la riforma di una decisione in sede di impugnazione estende i suoi effetti anche ai capi non impugnati, ma da essa dipendenti. (…)

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La garanzia per i vizi nella vendita

Sez. U, Sentenza n. 2565 del 25/03/1988 (Rv. 458303)

Presidente: BRANCACCIO A.  Estensore: IANNOTTA A.  P.M. MINETTI E. (CONF)

FORMICOLA contro PAPA

187 VENDITA  -  052 SCELTA TRA RIDUZIONE DEL PREZZO E RISOLUZIONE

458303 VENDITA - OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE - GARANZIA PER I VIZI DELLA COSA VENDUTA - EFFETTI DELLA GARANZIA - SCELTA TRA RIDUZIONE DEL PREZZO E RISOLUZIONE - DOMANDA DI RISOLUZIONE - DOMANDA SUBORDINATA DI RIDUZIONE DEL PREZZO - INAMMISSIBILITÀ.*

In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, e per il caso in cui l'Azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non in via esclusiva (art. 1492 terzo comma cod. civ.), ma in via concorrente con l'Azione di risoluzione (art. 1492 citato, primo comma), deve negarsi l'ammissibilità della domanda di riduzione in modo subordinato, rispetto alla proposizione a titolo principale dell'Azione di risoluzione, atteso che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall'art. 1490 cod. civ. (il quale detta una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell'art. 1455 cod. civ. sull'importanza dello inadempimento), restando radicalmente esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l'una o l'altra. ( V 582/82, mass n 418323; ( V 3992/80, mass n 407896; ( Conf 4980/83, mass n 429850; ( contra 4462/78, mass n 394128; ( contra 2757/60).*

Sez. U, Sentenza n. 19702 del 13/11/2012 (Rv. 624019)

Presidente: Preden R.  Estensore: Bucciante E.  Relatore: Bucciante E.  P.M. Ceniccola R. (Parz. Diff.)

Gamma Srl (Gadaleta ed altro) contro Sargiani Spa (Laforgia)

(Cassa con rinvio, App. Bari, 31/05/2010)

187 VENDITA  -  043 GARANZIA PER I VIZI DELLA COSA VENDUTA - IN GENERE (NOZIONE, DISTINZIONI)

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VENDITA - OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE - GARANZIA PER I VIZI DELLA COSA VENDUTA - IN GENERE (NOZIONE, DISTINZIONI) - Esaustività dei rimedi ex artt. 1490 ss. cod. civ. - Conseguenze - Azione "di esatto adempimento" - Spettanza - Esclusione - Eccezioni.

In tema di compravendita, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. cod. civ., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l'esperimento, rispettivamente, della "actio quanti minoris" o della "actio redhibitoria". Ne consegue che il compratore non dispone - neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica - di un'azione "di esatto adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene.

Sez. U, Sentenza n. 19702 del 13/11/2012 (Rv. 624018)  

Presidente: Preden R.  Estensore: Bucciante E.  Relatore: Bucciante E.  P.M. Ceniccola R. (Parz. Diff.)

Gamma Srl (Gadaleta ed altro) contro Sargiani Spa (Laforgia)

(Cassa con rinvio, App. Bari, 31/05/2010)

187 VENDITA  -  065 PRESCRIZIONE DELL'AZIONE - IN GENERE

VENDITA - OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE - GARANZIA PER I VIZI DELLA COSA VENDUTA - TERMINI E CONDIZIONI DELL'AZIONE - PRESCRIZIONE DELL'AZIONE - IN GENERE - Impegno del venditore ad eliminare i vizi - Accettazione del compratore - Effetti - Insorgenza di un'autonoma obbligazione di fare - Conseguenze.

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all'art. 1490 cod. civ., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l'impegno sia accettato dal compratore, sorge un'autonoma obbligazione di "facere", che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall'art. 2936 cod. civ., l'originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all'art. 1495 cod. civ., mentre l'ulteriore suo diritto all'eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale.

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Testo.  (…) Con sentenza del 13 aprile 2005 il Tribunale di Bari - adito dalla s.p.a. (OMISSIS) nei confronti della s.r.l. (OMISSIS), rispettivamente alienante e acquirente di un macchinario - condanno' la convenuta a pagare all'attrice il corrispettivo residuo della vendita; respinse le riconvenzionali di riduzione dei prezzo, di risarcimento di danni e di condanna dell'altra parte a riparare il bene, formulate nel presupposto che in esso fossero presenti vizi di funzionamento.

 Impugnata dalla soccombente, la decisione e' stata confermata dalla Corte d'appello di Bari, che con sentenza dei 31 maggio 2010 ha rigettato il gravame, ritenendo prescritto ai sensi dell'articolo 1495 c.c. il diritto di garanzia fatto valere dalla compratrice ed escludendo la ravvisabilita' nella specie di una ipotesi di aliud pro alio.

 La s.r.l. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. La s.p.a. (OMISSIS) si e' costituita con controricorso. Sono state presentate memorie dall'una parte e dall'altra.

 MOTIVI DELLA DECISIONE

 Con il primo motivo di ricorso la s.r.l. (OMISSIS) lamenta che la Corte d'appello ha erroneamente e ingiustificatamente disconosciute che il macchinario consegnatole era totalmente diverso da quello previsto nel contratto di vendita, poiche' operava in maniera manuale anziche' automatica e comportava quindi uno snaturamento del processo produttivo nella catena di montaggio nel quale era inserito.

 La doglianza va disattesa.

 Il giudice a quo non ha affatto negato, in diritto, l'esattezza dei principi giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, tratti dalle norme di cui viene denunciata la violazione, ma ha escluso, in fatto, la loro pertinenza alla vicenda oggetto della causa. Si verte dunque nel campo di apprezzamenti eminentemente di merito, insindacabili in questa sede so non setto il profilo dell'omissione, insufficienza o contraddittorieta' della motivazione. Da questi vizi, la sentenza impugnata, risulta immune, poiche' il giudice a quo ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione sul punto, osservando sia che gia' stragiudizialmente la compratrice aveva segnalato difetti incidenti semmai sulla qualita' del macchinario, sia che queste comunque era funzionante e la relativa modalita' incideva in ipotesi soltanto sulla resa quantitativa, sicche' non si era rivelato del tutto inidoneo ad assolvere la funzione economico-sociale della res promessa e quindi a fornire l'utilita' richiesta. I contrari assunti della s.r.l. (OMISSIS) - oltre ad essere incoerenti con la natura dell'azione quanti minoris da essa esercitata in via riconvenzionale, che presuppone la presenza di semplici vizi redibitori - si risolvono nei demandare a questa Corte una valutazione delle risultanze istruttorie diversa da quella motivatamente compiuta dal giudice del merito: il che non puo' costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimita'.

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 Con il secondo motivo di ricorso la s.r.l. (OMISSIS) deduce di non essersi limitata - contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d'appello - a opporre solo fatti impeditivi del preteso diritto dell'attrice, ma di aver anche contestato la sussistenza di quelli costitutivi, i quali a suo dire erano venuti meno in seguito all'impegno di eliminare i vizi del bene, che la s.p.a. (OMISSIS) aveva assunto.

 La censura e' in conferente, poiche' il giudice di secondo grado non ha mancato di prendere in considerazione la tesi di cui si tratta, che era stata posta a base della domanda riconvenzionale della convenuta, della quale sia confermata la decisione di rigetto gia' adottata dal Tribunale, ritenendo prescritto il diritto alla garanzia fatto valere dalla s.r.l. (OMISSIS).

 Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole dell'affermazione della Corre d'appello, secondo cui era incontroverso tra le parti, che non vi fosse sesta una novazione dell'obbligazione di garanzia e la sua sostituzione con quella ai riparazione del bene, soggetta a prescrizione decennale anziche' annuale.

 Neppure questa censura puo' essere accolta.

 Anch'essa, come quella formulata con il primo motivo di ricorso, difetta di pertinenza rispetto al petitum delle domande riconvenzionali, ribadite in appello, con le quali era stato chiesta non soltanto la condanna della s.p.a. (OMISSIS) all'eliminazione dei vizi, ma anche la riduzione del prezzo della vendita, in adempimento quindi dell'obbligazione di garanzia, che invece sarebbe rimasta estinta, ove vi fosse stata novazione. D'altra parte, La stessa s.r.l. (OMISSIS) ha escluso di aver aderito all'offerta di riparazione, in quanto era stata condizionata all'invio del macchinario allo stabilimento della societa' venditrice. Ne' l'avvenuta sostituzione dell'originaria obbligazione con l'altra puo' desumersi dalla frase dell'atto introduttivo del giudizio riportata nel ricorso, nella quale si menziona soltanto una proposta transattiva rimasta senza esito, perche' non accentata.

 Con il quarto motivo di ricorso si sostiene che il riconoscimento dei vizi e l'impegno a eliminarli, da parte della s.p.a. (OMISSIS), seppure non avesse comportato una novazione, avrebbe avuto comunque l'effetto di assoggettare alla prescrizione ordinaria decennale, anziche' a quella annuale, il diritto di garanzia fatto valere dalla s.r.l. (OMISSIS) mediante l'azione quanti minoris.

 Per la soluzione di tale questione di massima, reputata di particolare importanza, la seconda sezione di questa Corte con ordinanza del 26 marzo 2012, ha prospettato l'opportunita' dell'assegnazione del ricorso alle sezioni unite, che in effetti e' stata poi discosta dal Primo Presidente.

 La giurisprudenza di legittimita' e' univocamente orientata nel senso che l'impegno del venditore a riparare il bene implica il riconoscimento del vizio da cui esso e' affetto e impedisce quindi la decadenza comminata al compratore dall'articolo 1495 c.c. per il caso di mancata tempestiva denuncia; l'obbligazione assunta e' autonoma e distinta della

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garanzia che legittima l'esercizio delle azioni di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto, soggette alla prescrizione di un anno dalla consegna, stabilita dalle stesso articolo 1495 c.c.; il consenso del compratore (che puo' essere dato eventualmente per facta concludentia, ma e' comunque necessario, trattandosi di operare su un bene ormai di sua proprieta') fa sorgere quindi un nuovo e differente diritto, la cui prescrizione, appunto in ragione di tale diversita', non e disciplinata dalla norma sopra citata e si compie pertanto nel termine ordinario di dieci anni (v., per tutte, Cass. 2, sez. 12 maggio 2000 n. 6089).

 E' stato altresi' precisare, da Cass. sez. un. 21 giugno 2005 n. 132 94, che l'impegno a eliminare i vizi non determina ai per se' la sostituzione della nuova obbligazione alla precedente e l'estinzione di questa, poiche' un tale effetto novativo, per il disposto dell'articolo 1230 c.c., conseguire soltanto a una espressa volonta' manifestata in tal senso dalle parti, sicche' di regola le due obbligazioni coesistono. Con riferimento a questa ipotesi, con la stessa sentenza, si e' altresi' affermato - ma il tema era estraneo alla materia del contendero' devoluta in quella sede "che il termine di prescrizione decennale si applica anche alle azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione del contratto, poiche' "si tratta di assegnare un significato, ai fini dell'esercizio delle azioni edilizie e del relativo termine prescrizionale, alla circostanza che fra le parti e' in corso, un tentativo di far ottenere dal compratore il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di compravendita. E altro significato non puo' essere che quello di svincolare il compratore dai termini e condizioni per l'esercizio delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli interventi del venditore finalizzati all'eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di frapporre ostacoli, secondo le regole della correttezza (articolo 1175 c.c.), alla realizzazione della prestazione cui il venditore e' tenuto".

 Alla stessa conclusione e' poi pervenuta anche Cass. sez. 3, 14 gennaio 2011 n. 747 u' ugualmente in via di obiter dictum - ma per ragioni diverse: sulla scorta di una concezione procedimentale della garanzia dei vizi, caratterizzata "da un suo momento genetico (la stipula della convenzione negoziale di compravendita), da un suo (eventuale) momento attuativo/correttivo (l'offerta/richiesta sostitutivo/riparatoria), da un suo momento "processuale attuativo/risarcitorio/caduca torio (richiesta di esatto adempimento/riduzione del prezzo/risoluzione speciale)", si e' ritenuto "evidente come il riconoscimento operoso del venditore sia idoneo ad esaurire definitivamente, sul piano funzionale, una fase del rapporto inter partes, ivi comprese le limitazioni temporali, affatto eccezionali, connesse con le esigenze di stabilita' negoziale..., onde la sostituzione, a quegli originari termini iugulatori, dell'ordinanza regula iuris della prescrizione ordinaria, una volta emersa, in via definitiva e con l'accordo delle parti, la nuova e reale giustapposizione di diritti e obblighi (alla riparazione/sostituzione) del compratore e del venditore", con conseguente esclusione della "perdurante operativita' dei limiti (decadenziali e) prescrizionali stabiliti, in via eccezionalmente derogativa, dall'articolo 1495 c.c. per tutte le azioni "di garanzia", e dunque tanto per le azioni edilizie che per quella di esatto adempimento".

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 Da questi precedenti "invocati l'uno nel ricorso, l'altro nella memoria dalla s.r.l. (OMISSIS), a sostegno della sua tesi" ritiene il collegio di doversi discostare. Il contenuto dell'obbligazione "di garantire il compratore ... da vizi di cosa", che nell'articolo 1476 n. 3 c.c. e' inserita tra quelle "principali del venditore", e' precisato dagli articoli 1492, 1493 e 1494, i quali attribuiscono al compratore (salve le esclusioni stabilite dagli articoli 1490 e 1491) sia la facolta' di "domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione", sia le restituzioni e i rimborsi conseguenti alla risoluzione, sia il "risarcimento del danno", se il venditore "non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa", e comunque per i "danni derivati dai vizi" stessi.

 In queste disposizioni si esaurisce la regolamentazione dell'istituto, che pone quindi il venditore in una situazione non tanto di "obbligazione", quanto piuttosto di "soggezione", esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l'esperimento rispettivamente dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria. Il venditore deve subire tali effetti, che si verificato nella sua sfera giuridica ope iudicis, senza essere tenuto ad eseguire alcuna prestazione, a parte il dare il solvere derivanti dai doveri di restituzione e di risarcimento. La diversa obbligazione di facere, che egli assume impegnandosi a eliminare i vizi della cosa, se non da' luogo all'estinzione per novazione della garanzia apprestata dagli articoli 1490 ss. c.c., sicche' non vi e' spazio per ritenere che possa influire sulla sua disciplina, in particolare trasformando da annuale in decennale il termine di prescrizione previsto dall'articolo 1495 c.c., che e' insuscettibile di modificazioni per volonta' delle parti, stante il divieto sancito dall'articolo 2936 c.c.. Dunque l'ulteriore diritto, che il compratore acquisisce, e' soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, in quanto e' estraneo alla previsione degli articoli 1490 s. c.c., ma proprio per questa stessa ragione resta applicabile alle azioni edilizie, che al compratore stesso gia' competevano, la prescrizione annuale che per esse specificamente e' stabilita.

 Non appaiono idonei a inficiare questa conclusione gli argomenti esposti nelle citate Cass. 13294/2005 e 747/2011. il pericolo che le azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione si prescrivano nel periodo in cui il compratore si astiene dall'esercitarle, essendo in corso gli interventi del venditore per l'eliminazione dei vizi, e' agevolmente evitabile ponendo in essere atti interruttivi. Non ha riscontro nella disciplina della garanzia per vizi, la quale non prevede l'obbligo di eliminarli, l'assunto secondo cui il momento attuativo/correttivo, originato dall'accordo per la riparazione del bene, possa avere effetto su quello risarcitorio/caduca torio, rappresentato dalle azioni edilizie, tanto da far assimilare il termine di prescrizione previsto per il secondo a quello operante per il primo.

 Un analogo effetto espansivo di una "obbligazione" verso l'altra, era stato ritenuto operante, ma in senso inverso, da Cass. sez. 2, 29 dicembre 1994 n. 11281, secondo cui "il riconoscimento dei vizi della cosa venduta ed il contestuale impegno del venditore ad eliminarli in sede di esecuzione del contratto non e' che uno dei modi con cui il venditore, che ha l'obbligo di consegnare una cosa immune da vizi di cui all'articolo 1490 c.c., assicura ed attua, l'esatto adempimento della sua prestazione, e, di per se', non

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da' luogo, pertanto, ad un accordo novativo se non sia in concreto provata la volonta' delle parti di sostituire al rapporto originario un nuovo rapporto con diverso oggetto o titolo, cosi' come richiesto per la novazione dell'articolo 1230 c.c. e dell'articolo 1231 c.c., che estesamente chiarisce come non si abbia novazione nel caso di mera modifica degli elementi accessori della obbligazione; conseguentemente, in mancanza della predetta prova, il riconoscimento dei vizi della cosa venduta e l'impegno a ripararla determina solo l'interruzione del termine di prescrizione annuale di cui all'articolo 1495 c.c., e non la sostituzione di questo termine con il nuovo e diverso termine di prescrizione ordinaria".

 Neppure questa tesi "adombrata anche nell'ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente" appare condivisibile.

 Il suo presupposto e' che il compratore disponga di una azione "di esatto adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa: azione compresa tra quelle edilizie e quindi soggetta anch'essa al termine di prescrizione annuale stabilito dall'articolo 1495 c.c..

 Invece un tale rimedio, come gia' si e' detto, non e' apprestato dalla disciplina della garanzia per vizi, che attribuisce al compratore la scelta soltanto tra la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto. Il diritto di ottenere, in alternativa, la riparazione del bene, infatti, e' riconosciuto soltanto in particolari ipotesi: limitatamente ai beni mobili, quando "il venditore ha garantito per un tempo determinato il buon funzionamento della cosa venduta", oppure "gli usi ... stabiliscono che la garanzia di buon funzionamento e' dovuta anche in mancanza di patto espresso" (articolo 1512 c.c., che fissa in sei mesi dalla scoperta il termine di prescrizione); sempre limitatamente ai mobili, "per qualsiasi difetto di conformita' esistente al momento della consegna del bene", se il venditore e' un "professionista" e il compratore un "consumatore" (articoli 128 ss. del codice del consumo, adottato con il Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, che fissano in ventisei mesi dalla consegna il termine di prescrizione).

 Che il compratore possa chiedere, indipendentemente da un impegno in tal senso del venditore, la condanna di costui all'eliminazione dei vizi, e' stato talora ipotizzato in dottrina anche sotto il profilo del risarcimento del danno in forma specifica: si tratterebbe quindi di un'azione insita nel diritto di garanzia e in quanto tale soggetta anch'essa alla prescrizione annuale. L'assunto appare incompatibile con il disposto dell'articolo 1494 c.c., che configura come risarcimento "per equivalente" quello che compete al compratore, poiche' lo collega alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto, che presuppongono la mancata riparazione del bene.

 Si deve quindi concludere nel senso che l'impegno del venditore all'eliminazione dei vizi, accettato dal compratore, fa sorgere il corrispondente diritto, che e' soggetto alla prescrizione decennale, mentre i diritti alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto restano soggetti alla prescrizione annuale.

 Non ne consegue tuttavia, che il ricorso vada rigettato in toto.

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 Essendo stata comunque investita della questione relativa all'avvenuta estinzione "o non" per prescrizione delle azioni di riduzione del presso e di risarcimento del danno esercitate in via riconvenzionale dalla s.r.l. (OMISSIS), questa Corte puo' e deve risolverla secondo diritto, indipendentemente dalle argomentazioni svolte in proposito dalle parti. Va allora rilevato che la causa e' stata promossa dalla s.p.a. (OMISSIS) con domanda di condanna della convenuta al pagamento del prezzo residuo del macchinario vendutole. Si verte dunque nell'ipotesi prevista dall'articolo 1495 c.c., nella parte in cui dispone che il compratore convenuto per l'esecuzione del contratto, anche dopo il decorso del termine annuale di prescrizione "puo' sempre far valere la garanzia".

 Ne' la norma puo' intendersi limitata al caso delle eccezioni; riguarda invece proprio le azioni (riconvenzionali) poiche' la garanzia che il compratore puo' "far valere" implica una pronuncia costitutiva del giudice di riduzione del prezzo o di risoluzione, comportante la modificazione o la caducazione del contratto di vendita.

 In questi limiti il ricorso viene pertanto accolto.

 Non sussistono le condizioni perche' la causa possa essere decisa nel merito, come la s.r.l. (OMISSIS) ha richiesto.

 La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d'appello di Bari, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimita' (…)

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L’ aliud pro alio nella vendita immobiliare e la mancanza del certificato di abitabilità

Sez. 2, Sentenza n. 24786 del 22/11/2006 (Rv. 593886)

Presidente: Elefante A.  Estensore: Mazzacane V.  Relatore: Mazzacane V.  P.M. Marinelli V. (Conf.)

Bagnasco (Bissocoli ed altro) contro De Rosa (Borghetto ed altro)

(Rigetta, App. Genova, 2 Luglio 2001)

187 VENDITA  -  028 COSA DIVERSA DALLA PATTUITA ("ALIUD PRO ALIO") - IN GENERE

VENDITA - OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE - CONSEGNA DELLA COSA - COSA DIVERSA DALLA PATTUITA ("ALIUD PRO ALIO") - IN GENERE - Vendita di immobile destinato ad abitazione - Licenza di abitabilità - Mancato rilascio - Motivazione - Rilevanza - Conseguenze - Risoluzione del contratto - Necessità - Esclusione - Fattispecie.

Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancata consegna della licenza di abitabilità impone una indagine tendente ad accertare la causa effettiva di tale situazione, posto che il suo omesso rilascio può dipendere da molteplici cause, quali una grave violazione urbanistica, la necessità di interventi edilizi oppure dall'esistenza di meri impedimenti o ritardi burocratici che non attengono alla oggettiva attitudine del bene ad assolvere la sua funzione economico-sociale. Pertanto l'eventuale relativo inadempimento del venditore può assumere connotazioni di diversa gravità senza necessariamente esser tale da dare luogo a risoluzione del contratto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato una ipotesi di consegna di "aliud pro alio" in relazione alla circostanza che il rilascio del certificato, di cui l'immobile mancava, avrebbe comportato la ristrutturazione completa del tetto, con una spesa pari a trenta milioni di lire, equivalente a quasi la metà del prezzo di vendita dell'immobile).

Testo. (…) Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1453 - 1455 - 1477 - 1490 e 1497 c.c. nonché omessa ed insufficiente motivazione, rileva che erroneamente la sentenza impugnata ha accolto la domanda di risoluzione contrattuale ex art. 1453 c.c., e seguenti, proposta dal De Rosa, posto che nella specie il rilascio del certificato di abitabilità era subordinato unicamente alla esecuzione di lavori di ristrutturazione del tetto per il costo di L. 30.000.000, cosicché tale circostanza escludeva escludeva la ricorrenza di una ipotesi di "aliud pro alio" riconducibile nell'ambito della domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento della

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controparte. La censura è infondata.Il Giudice di appello, accertato che l'immobile oggetto di compravendita tra le parti era privo della licenza di abitabilità e che il rilascio di tale certificato avrebbe richiesto la ristrutturazione completa del tetto con una spesa di L. 30.000.000, come dedotto dal De Rosa e come ammesso in questa sede dalla stessa ricorrente, ha affermato che tale circostanza configurava una ipotesi di consegna di "aliud pro alio" tale da legittimare la domanda di risoluzione del Contratto per inadempimento del venditore; in proposito è evidente che tale convincimento è conseguenza della valutazione in ordine alla rilevanza dell'importo di spesa necessario al fine di acquisire il certificato di abitabilità, e conseguire quindi un requisito essenziale per il legittimo godimento e per la commerciabilità del bene, posto che il costo relativo ammontante a L. 30.000.000 era pari a quasi la metà del prezzo di vendita dell'immobile. Pertanto la sentenza impugnata, contrariamente all'assunto della ricorrente, ha offerto sufficienti e logiche argomentazioni del proprio convincimento alla luce degli elementi probatori acquisiti agli atti, ed è giunta ad una statuizione conformeall'orientamento espresso da questa Corte in proposito. Infatti la mancata consegna della licenza di abitabilità in ordine ad un bene immobile destinato ad abitazione esige una indagine tendente ad accertare la causa effettiva di tale situazione, posto che l'omesso rilascio di tale certificato può dipendere ad esempio da una grave ed insanabile violazione urbanistica, ovvero dalla necessità di eseguire determinati interventi edilizi oppure da meri impedimenti o ritardi burocratici che quindi non attengono alla oggettiva attitudine del bene a realizzare la sua funzione economico - sociale. Pertanto il mancato rilascio del certificato di abitabilità può essere ricondotto ad una articolata gamma di ipotesi nell'ambito della quale l'eventuale inadempimento del venditore può assumere connotazioni di diversa gravità e dunque può essere tale da non dare necessariamente luogo alla risoluzione del Contratto (Cass. 19.7.1999 n. 7681; Cass. 3.7.2000 n. 8880), come quando il Giudice ritenga di scarsa importanza l'inadempimento, essendo provato che l'immobile presenta tutte le caratteristiche necessarie per l'uso che gli è proprio e che la licenza possa essere agevolmente ottenuta (Cass. 29.3.1995 n. 3687).Orbene nella fattispecie la sentenza impugnata è immune dalle censure sollevate dalla ricorrente, avendo ritenuto, alla luce del notevole costo delle opere necessarie per ottenere la licenza di abitabilità riguardo all'immobile compravenduto, che l'inadempimento del venditore all'obbligo di dotare il bene del certificato in questione era di gravità tale da legittimare la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c., giungendo quindi a tale conclusione all'esito di un apprezzamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede.

Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009 (Rv. 606409)

Presidente: Fantacchiotti M.  Estensore: Amatucci A.  Relatore: Amatucci A.  P.M. Fucci C. (Conf.)

D'Appollonio (Riccio) contro Sciarretta ed altri (Annecchino)

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(Cassa e decide nel merito, App. Roma, 26/05/2004)

187 VENDITA  -  028 COSA DIVERSA DALLA PATTUITA ("ALIUD PRO ALIO") - IN GENERE

VENDITA - OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE - CONSEGNA DELLA COSA - COSA DIVERSA DALLA PATTUITA ("ALIUD PRO ALIO") - IN GENERE - Vendita di immobile privo di licenza di abitabilità - Conseguenze - Inadempimento del venditore - Configurabilità - Effetti - Esperibilità dell'azione di risoluzione, della domanda risarcitoria o formulabilità dell'eccezione di inadempimento - Sussistenza - Allegazione della presentazione di istanza di condono - Rilevanza - Esclusione.

Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile. La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento della stipula, avesse già presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità amministrativa dell'immobile.

Sez. 2, Sentenza n. 6548 del 18/03/2010 (Rv. 611804)

Presidente: Elefante A.  Estensore: Petitti S.  Relatore: Petitti S.  P.M. Leccisi G. (Diff.)

Colosimo (Barba) contro De Bellis

(Cassa con rinvio, App. Catanzaro, 17/10/2006)

187 VENDITA  -  028 COSA DIVERSA DALLA PATTUITA ("ALIUD PRO ALIO") - IN GENERE

VENDITA - OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE - CONSEGNA DELLA COSA - COSA DIVERSA DALLA PATTUITA ("ALIUD PRO ALIO") - IN GENERE - Vendita di immobile privo di certificato di abitabilità - Successivo rilascio del medesimo - Vendita di "aliud pro alio" - Configurabilità - Esclusione - Conseguenze.

Nel caso di compravendita di una unità immobiliare per la quale, al momento della conclusione del contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di abitabilità, il successivo rilascio di tale certificato esclude la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di vendita di "aliud pro alio" e di ritenere l'originaria mancanza di per sé sola fonte di danni risarcibili.

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Testo. Con sentenza n. 410 del 2001, il Tribunale di Lamezia Terme accoglieva la domanda proposta da Cinzia e Sonia De Bellis nei confronti di Francesco Colosimo, volta ad ottenere la condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni conseguenti alla vendita, nel marzo 1991, di due unità immobiliari prive del certificato di abitabilità, e condannava il Colosimo al pagamento, in favore delle attrici, della somma di L. 30.000.000, oltre interessi e spese di lite. Il Tribunale rigettava altresì la domanda riconvenzionale proposta dal Colosimo, volta ad ottenere la condanna delle attrici al pagamento della somma di L. 1.300.00, che egli assumeva di avere anticipato per l'allaccio delle condutture energetiche. Proponeva appello il Colosimo e la Corte d'appello di Catanzaro, in parziale accoglimento del gravame, condannava il Colosimo al pagamento degli interessi sulla somma di L. 190.000.000 per il periodo 1^ gennaio 1993 - 6 ottobre 2004, calcolati al tasso legale vigente in detto periodo, confermando per il resto la sentenza di primo grado.La Corte rigettava innanzitutto il motivo di gravame con il quale l'appellante aveva censurato la statuizione di primo grado relativa al suo inadempimento per il mancato rilascio del certificato di abitabilità. In proposito, la Corte d'appello richiamava la sentenza della Corte di Cassazione n. 2729 del 2002, secondo cui "Nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità. Pertanto, il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra inadempimento del venditore per consegna di aliud pro allo, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità o esonerato comunque il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza".La Corte territoriale riteneva quindi infondato il rilievo dell'appellante secondo cui egli non era tenuto contrattualmente a fornire il predetto certificato alle acquirenti, mentre non era stata offerta alcuna prova che queste ultime si fossero determinate ad acquistare gli immobili anche se privi del requisito in esame. La prova testimoniale articolata dall'appellante in fase di gravame doveva invero ritenersi inammissibile per la mancata indicazione delle generalità dei testi da escutere.Quanto alla eccezione di decadenza e prescrizione ex art. 1495 cod. civ., formulata dall'appellante, la stessa, ad avviso della Corte, pur se ammissibile, trovando applicazione l'art. 345 cod. proc. civ., nella vecchia formulazione, era infondata atteso che, integrando la mancata consegna del certificato di abitabilità una ipotesi di aliud pro alio, l'azione di risoluzione o quella di risarcimento danni dovevano ritenersi svincolate dai termini di cui alla citata disposizione.Con riferimento, infine, alla quantificazione del danno, la Corte riteneva che lo stesso dovesse essere contenuto nei limiti degli interessi legali sulla somma che le attrici avrebbero potuto ricavare dalla vendita degli immobili (L. 190.000.000) dal 1^ gennaio 1993 al 6 ottobre 1994, data di rilascio del certificato di abitabilità. La Corte d'appello compensava infine per metà le spese di lite e condannava le appellate alla rifusione della restante metà. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione Francesco Colosimo sulla base di cinque motivi; le intimate non hanno resistito con controricorso.

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Avviato il procedimento per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio, la Corte, all'udienza del 24 marzo 2009, accertata la tempestività della notificazione del ricorso e ritenuta la complessità delle questioni poste, ha disposto la trattazione del ricorso in pubblica udienza, in vista della quale il ricorrente ha depositato memoria.MOTIVI DELLA DECISIONECon il primo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 1218, 1453, 2056 cod. civ.; artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; D.L. n. 398 del 1993, art. 4 e D.P.R. n. 425 del 1994, art. 4, nonché vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria. Richiamata la giurisprudenza di legittimità in tema di certificato di abitabilità e di rilevanza della mancanza dello stesso ai fini della configurazione della ipotesi di aliud pro alio, il ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe immotivatamente omesso di ponderare e di motivare sulla decisiva circostanza che per gli immobili oggetto del giudizio il certificato di abitabilità era stato richiesto il 17 novembre 1992 e rilasciato il 6 ottobre 1994, con conseguente non configurabilità della ritenuta ipotesi di vendita di aliud pro alio. Gli atti di vendita erano infatti stati stipulati nel 1991, prima della entrata in vigore dell'obbligo, per il venditore, di preventivo ottenimento e rilascio del certificato di abitabilità e gli immobili erano abitabili e di fatto erano stati abitati dalle acquirenti nelle more del rilascio del certificato di abitabilità, dovendosi peraltro escludere che il ritardo nel rilascio di tale certificato fosse dipeso da inadempimento di esso ricorrente.Il ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se in materia di vendita di immobili destinati ad abitazione stipulata nell'anno 1991 esisteva l'obbligo normativo del preventivo rilascio del certificato di abitabilità e se, ottenuto siffatto certificato da parte del venditore nel corso del giudizio, tale conseguimento esclude sia l'ipotesi di consegna di aliud pro alio, sia l'inadempimento grave del venditore e sia i presupposti per l'esercizio dell'azione di risarcimento danni dell'acquirente. Inoltre, dica altresì la Suprema Corte se nella vendita di immobili destinati ad abitazione ad integrare l'ipotesi di consegna di aliud pro alio è sufficiente il ritardo nella richiesta e/o nel rilascio del certificato di abitabilità o, piuttosto, se è necessario che l'immobile manchi in maniera assoluta della licenza di abitabilità o che non sussistano le condizioni ed i requisiti di natura urbanistica ed igienco-sanitari per ottenerla; se l'inadempimento del venditore diviene definitivo in caso di ritardo nella richiesta e/o rilascio del certificato di abitabilità o, piuttosto, nell'ipotesi in cui il relativo rilascio risulti definitivamente negato e se la mancata consegna della licenza di abitabilità impone un'indagine tendente ad accertare la causa effettiva di tale situazione".Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione, sotto altro profilo degli artt. 1218, 1453, 2056 cod. civ.; artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria.La Corte d'appello, sostiene il ricorrente, avrebbe omesso ogni motivazione e valutazione sulla dedotta insussistenza di qualsiasi inadempimento del venditore in ordine al ritardo nel rilascio del certificato di abitabilità, richiesto il 17 novembre 1992 e rilasciato il 6 ottobre 1994, e cioè appena tre mesi dopo l'inizio del giudizio. Gli immobili in questione, contrariamente all'assunto delle attrici, non erano stati ultimati nel 1989, ma successivamente;non era quindi configurabile il preteso inadempimento, fonte di asseriti danni nei

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confronti delle acquirenti; sul punto, in ogni caso, la sentenza impugnata non conterrebbe alcuna motivazione. La Corte d'appello non avrebbe poi neanche considerato che la circostanza della mancanza del certificato non era stata occultata da esso venditore, ne' avrebbe valutato il comportamento processuale delle acquirenti che mai avevano dedotto di avere ignorato la detta circostanza e la mancata presentazione delle stesse per rispondere all'interrogatorio formale deferito sulla circostanza che erano state loro a volere comunque la stipulazione dell'atto, pur essendo consapevoli della mancanza del certificato (circostanza, quest'ultima, confermata anche dalle dichiarazioni testimoniali datate 19 ottobre 1992).Sotto altro profilo, la Corte d'appello non avrebbe considerato che la consapevolezza delle acquirenti sulla mancanza del certificato all'atto della stipula del contratto rileva nel senso che la comune volontà delle parti si è formata sull'accordo di vendere e acquistare un immobile privo del certificato di abitabilità. E non avrebbe neanche apprezzato adeguatamente la rilevanza sul comportamento delle parti della circostanza che il certificato è stato effettivamente rilasciato. Dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado emergeva poi che il ritardo nel rilascio del certificato era addebitabile alla ASL che aveva impiegato oltre un anno per effettuare il richiesto sopralluogo sanitario; fatto, questo, che avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello ad accertare le cause del ritardo e a valutarle di conseguenza.Il ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se in materia di vendita di immobili destinati ad abitazione l'avvenuta presentazione della domanda per il rilascio del certificato di abitabilità e di tutta la documentazione necessaria escludono l'inadempimento grave del venditore agli effetti dell'azione di risarcimento danni da parte del venditore (recte:dell'acquirente) in ipotesi di ritardo del rilascio del certificato di abitabilità inerente ad immobile in possesso dei requisiti di natura urbanistica ed igienco-sanitari e poi effettivamente ottenuto in corso di giudizio risarcitorio instaurato da parte dell'acquirente".Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1218, 1453, 2056 cod. civ.; artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché difetto di motivazione sul nesso causale. La Corte d'appello, sostiene il ricorrente, non avrebbe motivato sulla decisiva circostanza che il preteso danno sofferto e rivendicato dalle acquirenti non era collegabile eziologicamente al ritenuto inadempimento del venditore, ma esclusivamente e direttamente alla personale determinazione assunta dalle acquirenti medesime di non effettuare il trasferimento definitivo degli immobili. Inoltre, nella individuazione del periodo cui rapportare gli interessi legali sulla somma di L. 190.000.000 (pari all'importo del valore dei due immobili che le acquirenti avrebbero potuto ricavare dalla vendita definitiva degli immobili, per la quale erano già stati sottoscritti due preliminari), sarebbe stato arbitrariamente fatto decorrere dal 1^ gennaio 1993, laddove le risultanze istruttorie sul punto escludevano in un caso tale decorrenza (preliminare dell'aprile 1993) ovvero non consentivano di stabilire con esattezza detto momento iniziale (generico riferimento al 1993). Il ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se in materia di vendita di immobili destinati ad abitazione la mancata rivendita del bene a terzi da parte dell'acquirente per determinazione personale di quest'ultimo prima dell'ottenimento del certificato di abitabilità da parte del costruttore-venditore originario e poi ottenuto nel corso del

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giudizio esclude sia l'inadempimento grave del costruttore- venditore originario e sia il nesso causale per l'esercizio dell'azione di risarcimento danni dell'acquirente". Con il quarto motivo, il Colosimo denuncia violazione, sotto altro profilo degli artt. 1218, 1453, 2056 cod. civ.; artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria. La Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che non operavano, nel caso di specie, la prescrizione e la decadenza previste dall'art. 1495 cod. civ., in quanto non si verteva, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, in ipotesi di vendita di aliud pro alio e comunque in quanto l'azione di inadempimento del contratto di compravendita non è regolata dalla disciplina generale di cui all'art. 1453 cod. civ., ma dalle norme speciali di cui agli artt. 1492 e segg. cod. civ. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se l'azione di risarcimento danni per inadempimento del contratto di compravendita di immobili destinati ad abitazione è regolata dalla disciplina generale dettata dagli artt. 1453 e ss. cod. civ. o, piuttosto, dalle norme speciali di cui agli artt. 1492 e ss. cod. civ., soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 cod. civ.".Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 91 cod. proc. civ.. Ove la Corte d'appello avesse correttamente valutato la controversia, certamente non sarebbe esistita la soccombenza e quindi la condanna alle spese risulta illegittima. Formula in proposito il seguente quesito: "Dica la Suprema Corte se esclude la ravvisabilità della soccombenza agli effetti dell'art. 91 c.p.c., in danno di una delle parti del giudizio la distorta valutazione e applicazione nella sentenza di condanna dei principi che governano la materia e delle risultanze probatorie acquisite ove la relativa condanna giudiziale venga riformata nei successivi gradi di giudizio".I primi tre motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.Questa Corte ha avuto modo di affermare che "Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della normale commerciabilità del bene, la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide necessariamente in modo dirimente sull'equilibrio delle reciproche prestazioni delle parti comportando l'inidoneità del contratto a realizzare la funzione economico- sociale che gli è propria ed escludendo rilievo alla causa effettiva dell'omissione, giacché la mancata consegna può anche dipendere da circostanze che non escludano in modo significativo la oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative dell'acquirente. Infatti, soltanto nel caso in cui non ricorrano le condizioni per l'ottenimento del certificato in ragione di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche può ipotizzarsi nella mancata consegna del documento un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita, mentre nelle altre ipotesi l'omissione del venditore non si sottrae a tale fine ad una verifica dell'importanza e gravità dell'inadempimento in relazione alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione diretta od indiretta dell'immobile" (Cass., n. 3851 del 2008; Cass., n. 17140 del 2006; Cass., n. 24786 del 2006). Con riferimento ad un giudizio avente ad oggetto la domanda di risoluzione del contratto, si è poi precisato che non può negarsi rilievo al rilascio della certificazione predetta in tale giudizio, promosso dal compratore, nonostante l'irrilevanza dell'adempimento successivo alla domanda di risoluzione stabilita dall'art. 1453 cod. civ., comma 3, perché si tratta di circostanza che evidenzia l'inesistenza originaria di impedimenti

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assoluti al rilascio della certificazione e l'effettiva conformità dell'immobile alle norme urbanistiche.

Il rilascio del certificato di abitabilità, infatti, costituisce una circostanza che, essendo sintomatica dell'insussistenza di un impedimento assoluto al suo rilascio e documentando la conformità dell'immobile alle norme igienico-sanitarie ed urbanistiche e alle prescrizioni della concessione, deve essere esaminata dal giudice, unitamente alle altre prospettate dalle parti, nella valutazione della gravità, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, dell'inadempimento costituito dalla mancata consegna del detto certificato al compratore.In sostanza, il successivo rilascio del certificato di abitabilità esclude che la vendita dell'immobile che al momento del contratto ne sia privo possa essere configurata come una ipotesi di vendita di aliud pro alio.La Corte d'appello di Catanzaro ha viceversa del tutto omesso di valutare la rilevanza, nel caso di specie, dell'avvenuto rilascio del certificato di abitabilità, la quale, nella sentenza impugnata, rileva ai soli fini della individuazione del risarcimento del danno, nel senso che, avendo la Corte d'appello ritenuto che detta liquidazione dovesse avvenire nella misura degli interessi legali sulla somma della quale le appellate non avrebbero avuto la disponibilità per effetto della indisponibilità della detta certificazione, la data di rilascio del certificato rappresenta unicamente il termine finale dell'indicato obbligo. Nulla la Corte d'appello ha invece rilevato in ordine alle circostanze, che il ricorrente ha puntualmente dedotto di avere indicato nel giudizio di appello in ordine sia al procedimento per il rilascio del certificato di abitabilità, sia e soprattutto al comportamento delle acquirenti, le quali non hanno risposto all'interrogatorio formale loro deferito dal ricorrente sulla circostanza che ad esse venne rappresentata la temporanea assenza del certificato di abitabilità ed ebbero esse stesse a sollecitare la conclusione del contratto pur in assenza di detta certificazione.Ma l'errore nel quale è incorsa la Corte d'appello risulta evidente laddove essa, pur in presenza della prova dell'avvenuto rilascio del certificato d'abitabilità sin dal giudizio di primo grado, ha ritenuto ravvisabile una ipotesi di vendita di aliud pro alio, e laddove ha ritenuto infondate le censure proposte dall'appellante con riferimento alla decadenza e alla prescrizione della domanda di danni proposta dalle acquirenti proprio perché, trattandosi, nel caso di specie, di una ipotesi di aliud pro alio, l'azione di danni ex artt. 1453 e 1218 cod. civ., sarebbe stata svincolata dai termini di prescrizione e di decadenza di cui all'art. 1495 cod. civ.. I primi tre motivi di ricorso devono quindi essere accolti per i profili opra indicati, non avendo la Corte d'appello tenuto conto che il successivo rilascio del certificato di abitabilità esclude la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di vendita di aliud pro alio, ed avendo quindi deciso la controversia facendo applicazione di un principio di diritto errato, sia con riferimento alla valutazione dell'inadempimento, sia con riferimento alla reiezione del motivo di gravame con cui era stata eccepita la decadenza e la prescrizione ex art. 1495 cod. civ., sia, infine, con riferimento alla mancata valutazione, ai fini della corretta ricostruzione del comportamento delle parti, della mancata risposta delle appellate all'interrogatorio loro deferito su una circostanza dotata del carattere della decisività, e cioè l'avere esse sollecitato la stipulazione del contratto di vendita pur essendo consapevoli della temporanea indisponibilità del certificato di abitabilità. L'accoglimento dei primi tre

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motivi di gravame assorbe il quarto, concernente la valutazione del nesso causale tra l'inadempimento addebitato al venditore e il danno subito dalle acquirenti, e il quinto motivo, relativo alla statuizione sulle spese. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con rinvio a una diversa sezione della Corte d'appello di Catanzaro, la quale provvedere a nuovo esame del gravame, emendando le rilevate lacune motivazionali, alla luce del seguente principio di diritto: "in tema di compravendita immobiliare avente ad oggetto una unità immobiliare per la quale, al momento della conclusione del contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di abitabilità, il successivo rilascio di tale certificato esclude la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di vendita di aliud pro alio e di ritenere l'originaria mancanza di per sè sola fonte di danni risarcibili".