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Settembre 2008 GASTROENTEROLOGIA QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL CORRIERE DELLA SERA NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO PATOLOGIE E CURE DELL’APPARATO DIGERENTE

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Settembre 2008

GASTROENTEROLOGIA

QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL CORRIERE DELLA SERA NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO

PATOLOGIE E CURE DELL’APPARATO DIGERENTE

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SOMMARIO

Mediaplanet with reach and focuswww.mediaplanet.com

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GASTROENTEROLOGIA - UNA PUBBLICAZIONE DI MEDIAPLANETProject Manager: Marinella Marinelli, Mediaplanet 02-36269425Production Manager: Gianluca Cò, Mediaplanet 02-36269421Produzione/Layout: Daniela Borraccino, Mediaplanet [email protected]: Massimiliano Riatti, giornalista scientificoStampa: Seregni Grafiche Srl, Paderno DugnanoDistribuzione: Corriere della Sera - MagazineFoto: istockphoto.com

La Gastroenterologia Italiana2 GASTROENTEROLOGIA

Entità del problema. Circa 10 milioni di per-sone in Italia risultano affette da Malattie dell’Apparato Digeren-te, il che colloca que-ste malattie al primo posto come causa di ricovero ed al secondo posto come causa di morte. Avanzamento delle co-noscenze. Negli ultimi

anni la ricerca ha prodotto avanzamenti delle conoscenze enormi, che hanno consentito interventi di prevenzione e terapeutici straordinari. Solo due esempi esemplificativi: - l’infezione da virus B si può prevenire nel 100% dei casi con misure igieniche, comportamentali, vaccinazione nei soggetti a rischio. Nei casi di malattia cronica da virus B le terapie antivirali consentono di controllare la replica vira-le. Nelle malattie avanzate, quando possibile, il trapianto di fegato consente alla maggioranza dei soggetti una lunga vita;- lo screening del cancro colo-rettale consente di ridurre in maniera significativa la mortalità per questa malattia. La eliminazione delle lesioni precancerose ( ad es. polipec-tomia endoscopica ) o la diagnosi precoce dei tumori del colon consente la guarigione.Spesa sanitaria. Nessun paese, per quanto ricco, può offrire ai malati tutto quello che la ricerca mette a disposizione. E l’Italia, che tanto ricca non è, sostiene con difficoltà la sua spesa sanitaria. Molti esperti pensano, ed io concordo

con loro, che è invece possibile offrire gli avanzamenti della ricerca, non aumentando la spesa sanitaria, anzi diminuen-dola. Come ? Razionalizzando le risorse. Negli ultimi anni Società scientifiche e molte Istituzioni hanno elaborato e continuamente elaborano Conferenze di Consenso, Pareri di esperti, Linee Guida, volte a offrire su ogni patologia il meglio con la minore spesa possibile. Ma quasi sempre la implementazione di una condotta virtuosa è lasciata alle “lodevoli” iniziative di singoli. Molta difficoltà a capire, in presenza di malattie ad elevato costo, ad elevata mortali-tà e complessità, la carenza nel nostro Sistema Sanitario di specialisti in Gastroenterologia, quando è documentato che le malattie del fegato, pancreas ed apparato digerente, curate da persone ad elevata specializzazione, guariscono meglio, in minor tempo e con minor costo. Ricerca nelle Malattie dell’Apparato Digerente in Italia. I ricercatori ita-liani in questo campo sono fra i migliori nel mondo. Que-sta affermazione si basa su dati inconfutabili e riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Gli autori degli articoli che seguono ne sono un esempio, ma sono solo una rappresentanza di quella che è la comunità scientifi-ca gastroenterologica italiana. Ma la formazione di questi professionisti è il frutto di anni di lavoro silenzioso in giro per il mondo, spesso a proprie spese, per acquisire espe-rienze ed internazionalizzazione; è il frutto di lavoro senza orario al punto di non distinguere bene il confine fra notte e giorno, fra giorni festivi e giorni lavorativi. Sono la Gastro-enterologia Italiana.

La malattia di Crohn è una malattia infiammatoria cronica ad eziologia sconosciuta le cui lesioni possono interessare qual-siasi tratto del canale alimentare, dalla bocca all’ano. L’esor-dio dei sintomi si osserva piu’ frequentemente nei soggetti giovani, ed è caratterizzato da sintomi quali diarrea cronica intermittente, dolori addominali e calo ponderale. Per la non specificità dei singoli segni o sintomi l’intervallo di tempo fra l’esordio del quadro clinico e la diagnosi di malattia di Crohn è spesso lungo. La malattia influisce, a volte pesantemente, sulla qualità di vita dei pazienti, influenzandone le capacità relazionali, lavorative, sociali e lo stato fisico ed emoziona-le. Per tale motivo richiede un impiego rilevante di risorse economiche, scientifiche, umane. La Malattia di Crohn è più frequente nei paesi a maggior sviluppo socioeconomico e molto rara in quelli sottosviluppati. L’incidenza della malattia mostra un trend in aumento e nei paesi a maggior prevalen-za è quasi quadruplicata negli ultimi 25 anni. Nei soggetti compresi fra i 15 e 25 anni di età la malattia di Crohn rappre-senta la causa organica più frequente di dolore addominale ricorrente. La diagnosi della malattia viene posta in oltre i 2/3 dei casi prima dei 36 anni di età, e nel 25% dei casi prima dei 20 anni. La causa della malattia è tutt’ora sconosciuta. L’insieme delle attuali conoscenze indica tuttavia che, in sog-getti geneticamente predisposti, un’inappropriata risposta immunitaria nei confronti degli antigeni normalmente pre-senti nell’intestino rapresenti un evento in gardo, se non di indurre, quantomeno di mantenere il processo infiammato-rio. La malattia di Crohn mostra una spiccata eterogeneità anatomica e clinica. Ne sono fattori le caratteristiche delle

lesioni e dell’ospite. La principale di queste variabili è la sede della malattia ma anche l’estensione delle lesioni influenza il decorso clinico della malattia. La malattia può andare incon-tro allo sviluppo di alcune complicanze che comprendono l’ostruzione intestinale, la perforazione, gli ascessi addomi-nali, la malattia perianale e le fistole, interne o esterne. Po-tenziali manifestazioni extraintestinali possono riguardare le articolazioni, la cute, gli occhi e le vie biliari. Dal punto di vista clinico la malattia può esordire in modo improvviso, simulan-do un’appendicite acuta. Nella maggioranza dei casi, vi è un periodo di sintomi caratteristici ma non specifici, quali dolore addominale, calo ponderale, episodi diarrea con o senza san-gue rosso vivo nelle feci. Il periodo di latenza medio fra esor-dio dei sintomi e diagnosi di malattia di Crohn è compreso fra 0-4 anni. L’assenza di sintomi specifici per la malattia rende essenziale applicare un procedimento diagnostico completo che includa indagini di laboratorio, esami di diagnostica per immagini, esami endoscopici. Nessuna delle indagini e pro-cedure elencate risulta di per sé specifica. In assenza di una terapia etiologica gli obiettivi della terapia medica sono: a) Controllo delle fasi di attività mediante l’attenuazione e il contenimento delle espressioni cliniche della malattia, la correzione dei deficit e il trattamento dei sintomi; b) Mantenimento della remissione; c) Gestione delle complicanzed) Prevenzione delle recidive dopo intervento chirurgico. Le forme lievi o lievi-moderate di malattia vengono trattate ambulatorialmente e seguite con controlli clinici-strumentali

a tempi definiti, mentre per la malattia in fase attiva compli-cata puo’ essere indicato il ricovero ospedaliero. Il trattamen-to appropriato dipende dalle caratteristiche dei farmaci a disposizione, dalla modalità di somministrazione, dalle dosi ottimali e dagli effetti collaterali.Nell’ambito dei farmaci efficaci nella malattia di Crohn pos-siamo identificare:

Farmaci “convenzionali”, inclusi i salicilati orali o topici, a) i corticosteroidi, gli antibiotici.Farmaci immunosoppressivi ;b)

Nuovi farmaci biologici (anti –TNF- α) c) La terapia chirurgica nella Malattia di Crohn dovrebbe esse-re riservata alla gestione delle complicanze o al trattamento dei pazienti refrattari a terapie convenzionali o steroido-dipendenti refrattari a farmaci alternativi. Quanto esposto illustra come vi sia in questo campo molto da aspettarsi dalla ricerca scientifica. Le linee di ricerca più attuali e promettenti sono quelle che stanno esplorando gli aspetti genetici della suscettibilità ad ammalare di malattia di Crohn e quelle indi-rizzate alla comprensione della risposta immunitaria intesti-nale. I dati desumibili da quest’ultima potrebbero contribu-ire allo sviluppo di nuovi farmaci capaci di sopprimere più selettivamente e stabilmente l’infiammazione intestinale.

Francesco Pallone Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma.Prof. Ordinario di Gastroenterologia presso la Cattedra di GastroenterologiaDirettore del Dipartimento di Medicina InternaResp. del Centro Specialistico di Gastroenterologiadel Policlinico Universitario Tor Vergata

La malattia di Crohn

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Prof. Nicola CaporasoOrdinario di GastroenterologiaDipartimento di Medicina Clinica e SperimentaleUniversità degli Studi di Napoli "Federico II"

• La Gastroenterologia Italiana..............................................................2• La malattia di Crohn.....................................2• Prospettive in gastroenterologia pediatrica.....................3• La celiachia.......................................................4• Gastropanel: una “biopsia sierologica....4• L’epatite C.........................................................5• HBV: evoluzione e possibilità terapeutiche...............................5• L’epatite B.........................................................5• La gastroprotezione da Fans e aspirina ed il ruolo della gastroprotezione.............................................8• La videocapsula nella diagnostica delle malattie dell’apparato digerente.....10• Tumori al colon.............................................10• La fitoterapia e gastroenterologia oggi in Italia...................................................11• Integrazione tra assistenza e ricerca per la buona pratica di cura.....................11• Le malattie infiammatorie cronoche e intestinali................................12• Nuove acquisizioni in tema di malattia da reflusso gastroesofageo......................12• La litiasi dell’albero biliare........................13• Acqua e fibra di Psyllium..........................13• Chirurgia Laparoscopica per l’obesità...................................................14• Epatocarcinoma...........................................14• Intestino e Idrocolon..................................15• La steatoepatite non alcolica..................15

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3GASTROENTEROLOGIA

La gastroenterologia pediatrica ha conosciuto recentemente uno straordinario sviluppo del-la conoscenza dei meccanismi di malattia delineando nuovi approcci clinici e identificando nuovi target terapeutici. Buona parte del successo della gastro-enterologia pediatrica si deve ad uno stretto legame tra clinici e ricercatori di base (immunolo-gi, genetisti, biologi molecolari, microbiologi) con un reciproco arricchimento, secondo il ben noto aforisma “from bench to bedside” (dal tavolo di laborato-

rio al letto del malato): in altri termini, la ricerca di base stu-diando le cause molecolari delle malattie aiuta il clinico a classificare il paziente, adattando e individualizzando le te-rapie disponibili al singolo caso; inoltre, studiando i mecca-nismi di malattia, la ricerca tende a identificare nuove e più mirate terapie che neutralizzano specifiche molecole impli-cate in questi meccanismi. Uno degli aspetti più affascinan-ti e delicati della gastroenterologia pediatrica è rappresen-tato dal fatto che ci si occupa di soggetti “in crescita”, nei quali le malattie gastroenterologiche hanno implicazioni a volte gravi, compromettendo la crescita staturale e ponde-rale, lo sviluppo sessuale, lo stato di nutrizione e la qualità

della vita (rapporti con i coetanei, tempo libero, sport, vita scolastica). Gestire un paziente pediatrico con una malattia gastroenterologica richiede non soltanto una cultura e una capacità clinica di rilievo, ma anche sensibilità e doti umane peculiari. In ciò la gastroenterologia pediatrica si differenzia da quella dell’adulto (dalla quale i gastroenterologi pediatri hanno, tuttavia, imparato tantissimo, in termini di diagno-stica strumentale e di strategie terapeutiche). Non si può non sottolineare lo sviluppo straordinario dell’endoscopia digestiva (sia diagnostica che operativa), al punto che mo-dernamente la capacità di eseguire endoscopia è parte del corredo e della formazione di un vero gastroenterologo pediatra. L’endoscopia digestiva è insostituibile in moltissi-me malattie gastroenterologiche del bambino. Non si può, inoltre, non enfatizzare il ruolo cruciale della diagnostica per immagini (ecografia, risonanza magnetica, scintigrafia) che consente un approccio al paziente pediatrico in modo non invasivoI principali campi in cui si è sviluppata recentemente la ga-stroenterologia pediatrica sono:- le malattie infiammatorie intestinali, cioè la malattia di Crohn e la colite ulcerosa: in questo ambito i progressi maggiori riguardano l’uso della cosiddetta “terapia biologi-ca” (cioè la terapia fatta di anticorpi in grado di neutralizza-re singole molecole causa della infiammazione)- i disordini funzionali gastrointestinali, cioè condizioni che de-terminano una sintomatologia importante, ma alla cui base vi è un’alterazione della funzione del sistema nervoso intestinale

- la malattia celiaca, della quale si è recentemente ricono-sciuta una straordinaria incidenza e che si manifesta in tan-tissimi casi in maniera subdola e atipica- le malattie acido-correlate (fra tutte l’infezione da Helico-bacter pylori, responsabile di gastrite cronica, e la malattia da reflusso gastroesofageo)- la allergia alimentare, che può manifestarsi con un quadro sintomatologico variegato e tende a regredire con gli anni - le malattie epatiche croniche, di natura infettiva o autoim-mune o metabolica, di difficile gestione diagnostica e te-rapeutica- le disbiosi intestinali, condizioni in cui un’alterata flora batterica intestinale e un alterato rapporto tra questa e l’in-testino stesso può determinare condizioni morbose, nelle quali l’uso di probiotici (ma soltanto di quelli per i quali vi è evidenza scientifica in letteratura !!) può essere risolutivo. Il futuro vedrà sempre più un forte legame tra clinici e ri-cercatori di base, ormai indissolubile in tempi di esplosione della biologia molecolare; inoltre saranno necessarie ener-gie notevoli nei programmi di formazione del pediatra, del medico di medicina generale e dei giovani che aspirano a diventare gastroenterologi pediatri. Sarà compito delle So-cietà Scientifiche sviluppare protocolli e di linee guida che rendano razionale in termini clinici e economici la pratica della gastroenterologia pediatrica, e, infine, promuovere la ricerca di finanziamenti per progetti di ricerca, di formazio-ne e di sostegno a giovani ricercatori.

Prospettive in gastroenterologia pediatrica

Salvatore CucchiaraProfessore Ordinario di PediatriaDirettore della Gastroenterologiae Epatologia Pediatricadella Sapienza Università di RomaPresidente della Società Italianadi Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica(SIGENP)

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4 GASTROENTEROLOGIA

E’ sempre necessario eseguire una gastroscopia per fare diagnosi di gastrite ?La diagnosi di gastrite è “per definizione” una diagno-si istologica, tuttavia dobbiamo valutare caso per caso quando tale indagine è realmente necessaria. Infatti, i disturbi a carico delle prime vie digestive sono molto co-muni e, secondo alcune stime, coinvolgono fino al 20% della popolazione. E’ quindi necessario selezionare i sog-getti da sottoporre a questo esame invasivo sulla base della storia clinica, dell’ intensità e durata dei sintomi, della presenza di segni e sintomi di allarme (perdita dell’ appetito, calo di peso, anemia ecc…). Pur con queste av-vertenze, sono ancora numerose le gastroscopie che ri-sultano negative per presenza di lesioni organiche e che indirizzano ad inquadrare i disturbi tra le forme cosiddet-te “funzionali”. Un recente studio realizzato in Italia in due differenti regioni –il Veneto e l’ Emilia- ha mostrato che

circa un terzo dei pazienti dispeptici che si sottopongono alla gastroscopia presenta un quadro di normalità. Emerge, quindi la necessità –come per altre metodiche- di migliorare l’appropriatezza dell’esame.Come si potrebbe ottenere questo risultato, sicuramente importante per evitare esami “inutili”, risparmiare risorse, sempre più preziose, ed evitare disagi ai pa-zienti ?In generale, la corretta indicazione all’esame la si ottiene con un confronto continuo tra i medici che operano sul territorio, che vedono i pazienti con i disturbi, e gli spe-cialisti che operano nelle strutture ospedaliere, e mi risulta che sforzi in questo senso

si vanno facendo in numerose aree del nostro paese. Tecnicamente, parlando della gastroscopia, è oggi possibile utilizzare un metodo non invasivo, un prelievo di san-gue, che è stato proposto per la prima volta negli anni ottanta del secolo scorso da un ricercatore americano, Micael Samloff, che lo ha chiamato, per le sue potenzialità “biopsia sierologica”. Ovviamente, si tratta di una contraddizione in termini, giacchè il termine biopsia implica l’esecuzione di una gastroscopia per prelevare i frammenti di mucosa gastrica ed il termine sierologico si riferisce ad un prelievo di sangue, ma l’importante, per ciò di cui stiamo trattando, è che questo prelievo – che si basa su 4 parametri: i pepsinogeni 1 e 2, la gastrina a 17 aminoacidi prodotta nell’ antro gastrico e gli anticorpi contro un batterio, l’helicobacter pylori correlato con varie patologie gastriche tra cui il tumore dello stomaco - si è rivelato in grado di correlare con una accuratezza diagnostica di oltre il 90% con la presenza nella mucosa gastrica di altera-zioni precancerose come la gastrite atrofica. Ciò è stato dimostrato in numerosi studi comparsi negli ultimi anni sulla letteratura scientifica ed anche nel già citato studio collaborativo italiano, dove si dimostrava che i pazienti con Gastropanel (questo è il nome del test) normale presentavano assenza di lesioni alla gastroscopia ed alla relativa istologia della mucosa gastrica. Questo test viene estensivamente usato in Estremo Oriente (Giappone e Cina), regioni in cui il cancro dello stomaco ha una larga diffusione e in cui si verifica ogni anno il maggior numero di decessi (oltre un milione) ed ha permesso di individuare su gruppi di popolazione a rischio, infettata da Helico-bacter pylori, pazienti con sviluppo di tumore gastrico in follow-up di 5-8 anni, con prelievi periodici dei pepsinogeni sierici e degli anticorpi contro il batterio. Nel corso di quest’ anno, poi è giunta l’ importante notizia che la Food and drug Amninistration, l’ente regolatorio Statunitense ha dato il claim, l’indicazione all’ utilizzo di questo test per il target “gastrite atrofica”, cioè per l’ individuazione della principale condizione precancerosa gastrica.

Gastropanel: “biopsia sierologica”

Prof. Francesco Di MarioProfessore ordinariodi gastroenterologia Università degli Studi di Parma

La CeliachiaDalle cause alle manifestazioni clinicheLa celiachia (anche denominata malattia celiaca o morbo celiaco) è un’ enteropatia causata dall’ ingestione del glutine, la componente proteica della farina di frumento, orzo, avena e segale. Si tratta di una patologia molto diffusa nel mondo, che registra in alcune aree geografiche, inclusa l’ Italia, prevalenze di 1 caso su 100 abitanti. Lo sviluppo della malattia è fortemente condizionato dall’ ’assetto genico dell’ individ-uo, come testimoniato dall’ elevata prevalenza nei parenti di primo grado (10%), nei fratelli aventi gli stessi geni del complesso maggiore di istocompatibilità HLA (30%), e nei gemelli monozigoti (75%). Quasi tutti i pazienti sono portatori di una variante del gene HLA-II codificante per l’ eterodimero DQ2 o DQ8. La positività di questi geni non è sufficiente per formulare una diagnosi di celiachia, in quanto lo stesso assetto genico può essere riscontrato nel 25-35% della popolazione generale. Tali geni sono comunque necessari affinché l’ ingestione di glutine porti all’ attivazione del sistema immunitario intestinale che, attraverso la partecipazione di diversi tipi cellulari, in-duce alcune lesioni caratteristiche della malattia. Tra queste, la distruzione dei villi intestinali, minuscole sporgenze digitiformi deputate all’ assorbimento dei nutrienti, vitamine, e minerali, rappresenta la causa principale della comparsa dei sintomi e/o segni della malattia. Le ragioni per cui il sistema immunitario dei celiaci reagisce in misura smisurata all’ ingestione del glutine rimangono da essere accertate.

Un’ intrigante possibilità è che infezioni intestinali, esempio quelle indotte da virus, possono facilitare il passaggio di maggior quantità di glutine attraverso la barriera intestinale ed innescare la risposta immunitaria locale. La celiachia può insorgere in qualunque fase della vita, manifestandosi sul piano clinico con quadri subdoli e vari-abili, e spesso con sintomi di minor entità. Frequente è il riscontro di disturbi a carico di distretti extra-intestinali (Tabella 1). La malattia può anche essere diagnosticata in pazienti asintomatici e rimanere clinicamente silente per lunghi periodi di tempo. Questo può ad esempio verificarsi in soggetti ad alto rischio di malattia (Tabella 2), sottoposti ad indagini di screening mediante dosaggio nel sangue circolante degli anticorpi antiendomisio ed anticorpi anti-transglutaminasi.

La positività anticorpale non è comunque sufficiente per formulare la diagnosi defini-tiva che deve, in ogni caso, essere affidata all’ esame microscopico dei piccoli fram-menti intestinali (biopsie) prelevati nel corso dell’ esame esofagogastroduodenoscop-ico cui il paziente deve essere sottoposto, prima ancora di iniziare una dieta agluti-

nata. Il trattamento della malattia celiaca è facilitato dalla possibilità di rimuovere il fattore causale, cioè il glutine. Pertanto, l’ esclusione dalla dieta di alimenti contenenti glutine rappresenta l’ unica terapia oggi attuabile nei celiaci, tenendo in considerazi-one che il glutine può anche essere contenuto in vari prodotti farmaceutici, così come in bevande ed alimenti commerciali presenti nella dieta occidentale, e comunemente ritenuti essere privi di glutine. La dieta glutinata consente di ottenere, nella quasi to-talità dei casi, la rapida risoluzione del processo infiammatorio intestinale, la scom-parsa delle manifestazioni sintomatiche, e la riduzione del rischio di complicanze e patologie associate.

Tabella 1. Alcuni sintomi e segni extra-intestinali con cui può manifestarsi la malattia celiaca.

Anemia sideropenia• Osteoporosi (dolori ossei, fratture patologiche)• Bassa statura• Disturbi della sfera genitale-riproduttiva (menarca tardivo, menopausa precoce, • irregolarità del ciclo mestruale, infertilità, aborti ripetuti)Alterazioni cutanee ed ungueali• Alterazioni dentali ed after buccali• Disturbi neurologici (cefalea, epilessia, neuropatie periferiche)• Aumenta livelli sierici delle transaminasi ed amilasi•

Tabella 2. Soggetti ad aumentato rischio di malattia celiacFamiliari di celiaci• Pazienti con diabete mellito insulino-dipendente• Pazienti con tiroiditi autoimmunitarie• Pazienti con Sindrome di Down•

Prof. Giovanni MonteleoneCattedra di GastroenterologiaDipartimento di Medicina InternaUniversità di Roma “Tor Vergata”

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5GASTROENTEROLOGIA

L’epatite BL’epatite B ha rappresentato in passato uno dei maggiori problemi di salute pubblica in Italia. Nella seconda metà del 900 la malattia itterica acuta era causa frequente di ricoveri e l’infezione cronica dilagava nel territorio nazio-nale; si contavano in oltre 2.000.000 i cosiddetti “portatori cronici del virus dell’epatite B” (HBV). Fortunatamente lo scenario contemporaneo è cambiato. L’endemia da HBV è drammaticamente declinata tant’è che il tasso di epatite B nei giovani, vittime allora privilegiate della malattia è cala-to da oltre 40/100.000 a 1/100.000 e si valutano ora in circa 900.000 i portatori cronici del virus.Vari fattori hanno contribuito al calo dell’epatite B ma il contributo maggiore è derivato dalla vaccinazione obbli-gatoria contro l’HBV, il cui scopo dichiarato e raggiunto è stato quello di rendere immune la nuova generazione di italiani. Il clamoroso successo nel controllo dell’epatite B non ha tuttavia sradicato la malattia. Questa permane nei residui portatori del virus contagiati quando l’infezione era endemica, si diffonde ancora nella comunità di tossi-codipendenti, ed è rinfrancata dagli afflussi migratori di extracomunitari che provengono da aree dove l’HBV rima-ne endemico, come i paesi dell’Est e del versante Africano del Mediterraneo. Mentre i portatori domestici invecchia-no progressivamente e sono “ad esaurimento”, i portatori extracomunitari sono spesso giovani, attivi socialmente e sessualmente; rappresentano dunque una fonte impor-tante ed in aumento di contagio con l’HBV. Nel nuovo con-testo epidemiologico l’HBV non viene più trasmessa dalle

trasfusioni, viene ormai ben poco trasmessa per motivi ia-trogeni (operazioni, dentista), ma si acquisisce soprattutto con contatti interpersonali, soprattutto con sesso promi-scuo e mercenario; il risultato è un aumento recente delle epatiti B soprattutto negli adulti.Quali le misure profilattiche? In primis, evitare i comporta-menti a rischio, soprattutto il sesso mercenario, l’uso intra-vena di droga, manovre come l’agopuntura ed il piercing in ambienti non qualificati nell’igiene. Da ricordare la di-sponibilità d’un vaccino sicuro ed efficace che garantisce protezione permanente senza bisogno di richiami.Come si fa la diagnosi? Nel sospetto di contagio basta fare la ricerca nel sangue dell’antigene di superficie dell’epati-te B (HBsAg). Un risultato positivo impone l’accertamento dello stato di infezione e di malattia del soggetto HBsAg-positivo, definiti dalla determinazione della viremia, cioè dell’HBV-DNA e dalla misura delle transaminasi.Sulla scorta dell’analisi virologico/clinica i portatori di HB-sAg si suddividono in portatori con infezione “attiva” (alti tassi di HBV-DNA) e con infezione “inattiva” (bassi tassi di HBV-DNA). Poiché la malattia epatica è indotta dalla repli-cazione virale, la malattia e le anormalità degli enzimi epa-tici sono presenti nei primi, ma non nei secondi; questi ul-timi venivano una volta definiti portatori sani dell’HBsAg. Le prospettive terapeutiche sono migliorate con lo svilup-po recente di farmaci antivirali, che affiancano l’Interfero-ne, introdotto sin dalla fine degli anni 80. Sono disponibili la Lamivudina, l’Adefovir, l’Entecavir, la Telbivudina e fra

breve il Tenofovir. Essi inibiscono profondamente la replica-zione virale e quindi controllano la malattia epatica causata dalla sintesi dell’HBV. Tuttavia non sono capaci di sradicare l’infezione se non in una minima parte di pazienti; nella mag-gioranza dei casi devono essere dati continuativamente per anni, forse per sempre, pena la recidiva della viremia e della malattia alla sospensione dell’antivirale. Sfortunatamente l’uso continuativo di questi farmaci può indurre l’emergen-za di varianti dell’HBV mutate nel loro assetto genetico che scappano all’attacco farmacologico e ne vanificano l’effica-cia. Le strategie terapeutiche attuali privilegiano dunque i farmaci che forniscono la combinazione ottimale di efficacia antivirale (capacità di abbattere l’HBV-DNA) ed un’alta bar-riera genetica (diminuito rischio di resistenza), Idealmente, la terapia ancor più adeguata è rappresentata dalla combina-zione di più antivirali, IFN compreso: tale approccio è tutta-via limitato dall’elevato costo intrinseco all’uso simultaneo di più farmaci. Sebbene il declino dell’infezione da HBV sia ral-lentato negli ultimi anni, i progressi terapeutici permettono ora d’affrontare il problema dell’epatite B con maggiore effi-cacia e serenità, in modo da garantire spesso buona qualità di vita e lunga sopravvivenza ai portatori di HBsAg malati. La speranza è che la prevenzione in atto e l’ulteriore migliora-mento della terapia possano finalmente eradicare l’epatite B un in futuro non lontano.

L’ epatite C è attualmente la causa più diffusa di ma-lattia cronica del fegato nel mondo occidentale ed è molto temuta, non tan-to per i sintomi, che sono molto spesso del tutto trascurabili, ma per la sua possibile evoluzione in malattie epatiche gravi quali la cirrosi e l’epatocar-cinoma. Dal 1989, anno della scoperta del virus, ad oggi molte problematiche sono state affrontate e su-perate. E’ stata identificata ed eliminata la più fre-quente via di trasmissio-ne (iatrogena ) che, specie attraverso l’utilizzo di pra-tiche medico- chirurgiche (trasfusioni, piccola chirur-gia, materiale non a per-dere, ecc.), ha contribuito alla diffusione della ma-lattia negli ultimi 40 anni. Le nuove infezioni avven-gono per la gran parte tra tossicodipendenti o per trattamenti estetici (ta-tuaggi, piercing ecc.) con-dotti con strumentazione non sterile o sterilizzata in maniera non appropriata. La trasmissione sessuale è rara e non rappresenta una via di trasmissione epidemiologicamente rilevante. Ne consegue che raramente oggi si os-servano nuove infezioni e la gran parte dei pazienti che curiamo hanno una malattia cronica conse-guenza di una infezione

avvenuta nei decenni pas-sati. La diagnosi di epatite C è molto semplice e si basa su test, eseguiti sul siero del paziente, diretti ad identificare gli anticor-pi anti-HCV e l’RNA del virus. I test in commercio sono sicuri e sensibili e danno la certezza dell’av-venuto contagio o della presenza dell’infezione nel 100 % dei casi. Nella lotta condotta a questa malattia il fronte ancora aperto è rappresentato dalla terapia. Attualmen-te la terapia delle forme acute (se iniziata nei primi 3 mesi dal contagio) porta alla guarigione del pazien-te nel 95-100% dei casi ed un fallimento terapeutico è un evento eccezionale. Per le epatiti croniche, invece, la percentuale di guarigione oscilla tra il 50 ed il 90% dei casi che affrontano la terapia per la prima volta. La diversa percentuale di guarigione è legata al genotipo vira-le che è molto sensibile alla terapia nel caso del genotipo 2, scarsamente sensibile nel genotipo 1 e mediamente sensibile nel caso del genotipo 3 e 4. I farmaci disponibili sono fondamentalmente due: l’interferone, oggi utilizzato nella sua forma peghilata a somministra-zione settimanale, e la Ribavirina, un antivirale

che, associato al primo farmaco, migliora e stabi-lizza l’eradicazione dell’in-fezione. Se l’eradicazione dell’infezione, ottenuta durante terapia, si man-tiene nel periodo post-te-rapeutico (almeno 6 mesi dopo la fine della terapia) l’ infezione è debellata ed in genere non si osserva-no recidive. In questi casi si deve comunque conti-nuare un follow-up clini-co-strumentale, in quanto sebbene l’evoluzione del-la malattia si arresti e nel lungo tempo regredisca, non è stato ancora defini-to se ed in quale misura si modifica il rischio di epa-tocarcinoma. Per i pazienti che non guariscono non esiste una strategia terapeutica codificata e le possibilità di guarigione sono legate a tentativi di trattamenti più aggressivi e/o di tipo sperimentale con diverse schedule terapeutiche o con nuovi farmaci. La ricerca sta mettendo a disposizione nuove ed interessanti molecole più potenti, che sembrano in grado di incrementare il numero di soggetti che guariscono dall’infezione.

L’epatite CSi può prevenire, curare, spesso guarire

Gentile professore, qual è il suo punto di vista in merito all’epidemiologia dell’ HBV nel nostro paese?La circolazione dell’HBV in Italia è molto di-minuita a partire dalla metà degli anni ‘80 e soprattutto con l’introduzione della vaccina-zione obbligatoria a partire dal 1991, tanto è vero che l’incidenza di epatite acuta negli adolescenti, che erano le vittime più colpite, è passata da 40 a 1 (su 100 mila). Tuttavia ne-gli ultimi tempi c’è una recrudescenza ancora limitata all’epatite B, soprattutto dovuta ai flussi migratori e alla presenza nel suolo na-zionale di immigrati dell’est europeo, dove l’HBV è ancora endemica. Inoltre segregan-dosi in ghetti metropolitani, queste persone si trasmettono facilmente la malattia stessa attraverso contatti promiscui e/o prostituzio-ne con la popolazione adulta italiana. Quali sono i rischi evolutivi della patolo-gia dell’HBV?L’infezione da HBV, una volta contratta, può assumere una forma acuta, come l’epatite acuta, oppure andare in cronica. I portatori di virus B possono essere portatori sani e pos-sono ammalarsi di epatite cronica, e quindi sviluppare la cirrosi o un carcinoma epatico. Questo è un rischio non indifferente in sog-getti che divengono infetti di virus B.Qual è l’approccio tradizionale alla malat-tia?L’interferone è stato il primo farmaco usato per l’epatite B e poi è diventato la panacea te-rapeutica perché viene usato anche nell’epa-tite C. Ha purtroppo una azione terapeutica limitata ad una minoranza di pazienti. Ha inoltre effetti collaterali notevoli. Negli ultimi dieci anni sono stati sviluppati farmaci anti-virali che si assumono per via orale che non danno effetti collaterali, che non riescono a sradicare ma solo a contenere l’infezione e la malattia. E’ come l’insulina con il glucosio, ri-chiede continuità di somministrazione. Que-sti farmaci vanno assunti per anni e anni, con il rischio che si sviluppi “resistenza” ai farmaci

stessi, rendendoli inefficaci.Che cosa si intende nello specifico per “re-sistenza” di un virus?Il virus muta il suo assetto genomico e non solo non è più sensibile a quel determinato farmaco, ma anche aumenta parzialmente la resistenza anche ad un secondo farmaco e via così, rendendo il virus, di resistenza in re-sistenza, insensibile ad alcun farmaco (si trat-ta di una ipotesi, ma il rischio è creare “mostri virali” non più attaccabili). Un paragone è rappresentato dagli antibiotici, che alla fine possono risultare non efficaci.Quali sono le nuove possibilità terapeuti-che?Le nuove possibilità sono legate proprio alla creazione di farmaci che colpiscano il virus B nella sua struttura quindi antivirali diretti che non creino resistenze. Quanto più è potente il farmaco meno induce resistenza, e tanto più viene preferito nel combattere l’epatite B.Quali sono le ultime linee guida in Italia?Le ultime linee guida lavorate l’anno scorso e pubblicate solo ad agosto 2008, compren-dono l’interferone e gli antivirali di cui ho parlato prima tra cui entecavir, la telbivudina, adefovir, lamivudina.

HBV: Evoluzionee possibilità terapeutiche

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Prof. Mario RizzettoCattedra di GastroenterologiaUniversità di Torino

Filomena MoriscoProf.ssa Associato di Gastroenterologia Università di Napoli "Federico II"

Prof. Mario RizzettoCattedra di GastroenterologiaUniversità di Torino

Le linee guida italiane per la terapia dell’epatite b cronica dicono che:

A parte l’uso di interferone, con i limiti di cui so-pra, l’uso degli analoghi nucleotidici e nucleo-sidici è la terapia d’elezione. Essa deve prevede-re una sequenza in cui il farmaco più potente viene usato per primo. In particolare entecavir e telbivudina sono gli analoghi più potenti e sono indicati come prima linea nei pazienti naive. In particolare entecavir va preferito nelle situazioni a più alta carica virale. Adefovir ha invece un ruolo secondario insieme a lamivu-dina a causa dell’alto rischio di sviluppare resi-stenze, specie nel lungo termine.

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Le lesioni gastro-duodenali da farmaci anti-infiam-matori non steroidei (FANS)o da aspirina sono con-dizioni estremamente frequenti: si calcola che negli USA oltre l’1% della popolazione usa FANS quotidia-namente, con oltre 35 milioni di prescrizioni/anno e tonnellate di aspirina vendute senza prescrizione, e che circa il 40% di tutti gli episodi di sanguinamento del tratto digestivo superiore sia attribuibile all’uso di questi farmaci [1,2]. Le complicanze gastrointestinali si verificano global-mente nel 2-5% dei casi dopo 12 mesi di utilizzo, con necessità di ospedalizzazione circa 3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale [3] ed una mortali-tà del 5-10% (circa 7000 decessi/anno in Italia) [4]. La associazione di farmaci gastrolesivi (FANS + aspirina) raddoppia il rischio di emorragia digestiva [5]. Secon-do stime di farmaco-economia, per ogni euro speso per l’acquisto di questi farmaci, ne spendiamo alme-no un altro per gli effetti collaterali da essi indotti [6]. A dispetto delle raccomandazioni cliniche diffuse dalle più importanti società scientifiche nazionali ed internazionali, la prevenzione del danno gastrointe-stinale da FANS o aspirina è sottovalutata e spesso di-sattesa nei pazienti a maggior rischio (età superiore a 70 anni, con storia di pregressa ulcera e/o emorra-gia o che assumono terapie concomitanti). Anche la stima reale del danno è ancora imprecisa in quanto nella maggior parte dei casi i pazienti lamentano sin-tomi aspecifici (bruciore, dolore di stomaco, nausea) o il danno decorre in modo asintomatico.La gastroprotezione è basata sul principio che l’im-piego di farmaci in grado di bloccare la produzione di acido nello stomaco (inibitori della pompa protonica o PPI), riduce il rischio di sviluppare lesioni gastro-

duodenali. L’evidenza scientifica disponibile indica chiaramente che, oggi, i PPI sono da considerare i far-maci anti-secretivi di scelta in virtù della loro maggior potenza ed efficacia [7,8]. Infatti, rispetto ai vecchi an-tagonisti dei recettori H2 (es. ranitidina), i PPI sono in grado di offrire un’efficace e sicura prevenzione del danno sia a livello gastrico che duodenale, con ridu-zione del rischio di complicanze del 40-50% [9]. Dal momento che la popolazione a maggior rischio è rap-presentata da pazienti anziani, cardiopatici e/o con patologie degenerative osteo-artrosiche e che assu-mono contemporaneamente altri farmaci, il farmaco antisecretivo più sicuro è risultato essere in questa popolazione il Pantoprazolo (alla dose di 20 mg/die) in quanto non interferisce con il metabolismo degli altri farmaci grazie ad un ridotto im-patto sui sistemi di de-tossificazione del fegato [10].In un recente stu-dio italiano (studio PROMETEO), nella popolazione a ri-schio meno del 20% dei pazienti riceveva una qualche forma di terapia gastro-protettiva [11], dato ancora inferiore al già deludente 27% riportato negli USA [12]. Appare dunque evi-dente che in Italia vi è la necessità di una cultura della gastro-protezione con i PPI nei pazienti a rischio di complicanze ga-strointestinali. Per tutti i pazienti che assumono FANS o aspirina è oppor-tuno ricordare che bisogna valutare le indicazioni al tratta-mento ed i fattori di rischio, limitare du-rata e dosaggio della terapia gastrolesiva, evitare associazione

con altri FANS, trattare la infezione da Helicobacter Pylori se nota (in quanto aumenta significativamente il rischio di complicanze) e, soprattutto, monitorare i pazienti per cogliere i segni clinici di un eventuale danno gastrointestinale. I pazienti anziani, con storia di pregressa ulcera e/o emorragia o che assumono terapie concomitanti (FANS, aspirina, cortisonici), come già detto, rappre-sentano i soggetti a maggior rischio per i quali la ga-stroprotezione è OBBLIGATORIA e deve essere effet-tuata esclusivamente con i PPI. Tra le varie molecole disponibili, il Pantoprazolo risponde a tutti i necessa-ri requisiti di efficacia e soprattutto di sicurezza ed il suo impiego appare dunque da raccomandare come trattamento di prima scelta.

8 GASTROENTEROLOGIA

Livio CipollettaDirettore U.O. Complessa di Gastroenterologia, Ospedale Maresca, Torre del Greco - Napoli

LA GASTROPROTEZIONE DA FANS eASPIRINA ed il ruolo della GASTROPROTEZIONE

Valutazione rischio gastrointestinale

RISCHIO ELEVATO

Rivalutare necessità di aspirina e FANSo uso di terapie alternative

Necessita FANS o aspirina o entrambi

Gastroprotezione con farmaci antisecretivi(PPI)

{• Pregresse complicazioni gastrointestinali• Storia di ulcera• Associazione di più FANS o altre dosi• Età avanzata (> 70 aa)• Uso di steroidi, anticoa-gulanti.

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9GASTROENTEROLOGIA

1. Lanas A, et al. A nationwi-de study of mortality associated with hospital admission due to severe ga-strointestinal events and those asso-ciated with nonsteroidal antiinflam-matory drug use. Am J Gastroenterol 2005;100:1685-93

2. Laine L. The role of proton pump inhibitors in NSAID-associated gastropathy and upper gastrointesti-nal symptoms.Rev Gastroenterol Dis-ord 2003;3:S30-9

3. Ray WA, et al. Risk of pep-tic ulcer hospitalizations in users of NSAIDs with gastroprotective cother-apy versus Coxibs. Gastroenterology 2007;133:790–798

4. Chevat C, et al. Healthcare resource utilisation and costs of treat-ing NSAID-associated gastrointestinal toxicity. A multinational perspective. Pharmacoeconomics 2001;19 (Suppl 1):17-32

5. Laine L. Review article: gas-trointestinal bleeding with low-dose aspirin - what’s the risk? Aliment Phar-macol Ther 2006; 24:897-908

6. Straus WL, et al. Gastrointes-tinal toxicity associated with nonster-oidal anti-inflammatory drugs. Epide-miologic and economic issues. Gastro-enterol Clin North Am 2001;30:895-920

7. Chan FK, et al. Review arti-cle: prevention of non-steroidal anti-inflammatory drug gastrointestinal complications--review and recommen-dations based on risk assessment. Ali-ment Pharmacol Ther 2004;19:1051-61

8. Wilcox CM, et al. Consensus development conference on the use of NSAIDs and Aspirin. Clin Gastroenterol Hepatol 2006;4:1082-89

9. Lanas A. Prevention and treat-ment of NSAID-induced gastroduode-nal injury. Curr Treat Options Gastroen-terol 2006;9:147-56

10. Regula J, et al. Prevention of NSAID-associated gastrointestinal le-sions: a comparison study pantopra-zole versus omeprazole. Am J Gastro-enterol 2006;101:1747-55

11. Del Piano M, et al. NSAIDs use and gastroprotective therapy in acute non-variceal upper gastrointes-tinal haemorrhages: preliminary data from “PROMETEO” study. Dig Liver Dis 2007;39 (suppl. 2): S164

12. Abraham NS, et al. National adherence to evidence-based guide-lines for the prescription of nonsteroi-dal anti-inflammatory drugs. Gastroen-terology 2005;129:1171-8

NYCOMED S.p.A. Via Libero Temolo, 4 - 20126 Milano www.nycomed.it

B I B L I O G R A F I A

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10 GASTROENTEROLOGIA

La videocapsula nella diagnosticadelle malattie dell’apparato digerente

Il Cancro del colon retto è la terza causa di cancro nel mondo e la se-conda nei paesi ad alto sviluppo industriale e pertanto costituisce un problema rilevante per i siste-mi sanitari. La prevenzione primaria (elimina-zione delle possibili cause ambien-tali che portano allo sviluppo del tumore) e la prevenzione seconda-ria ( diagnosi precoce in soggetti asintomatici: screening in lingua inglese) rappresentano la strategia più efficace per ridurre la mortalità legata a questo tumore. In Italia i dati epidemiologici provenienti dai registri dimostrano che la ma-lattia ha una incidenza(numero di casi nuovi per anno) di 75 casi per 100000 abitanti tra gli uomini e 59 casi per 100000 abitanti nelle don-ne con una tendenza all’aumento nel tempo del cancro del colon ed una riduzione del cancro del retto. Per la prevenzione primaria sem-bra rilevante lo stile di vita: dieta e fumo sono i due fattori più studiati. I dati sulla dieta sono contraddit-tori ma dati provenienti da recenti studi epidemiologici sembrano di-mostrare che la dieta ricca di carne

rossa ed alto contenuto glucidico aumenta il rischio di neoplasia mentre una dieta ricca di frutta e verdura riduce il rischio anche se questa modifica del rischio si as-sesta su valori numerici modesti. Anche il ruolo del fumo è contro-verso; dati recenti provenienti da revisioni sistematiche di studi epi-demiologici sembrano dimostrare che il fumo aumenta di circa una volta e mezzo il rischio di cancro soprattutto del retto. Anche se i dati non sono estremamente con-vincenti una modifica dello stile di vita (dieta ricca di fibre e povere di carne ) potrebbe determinare una riduzione di almeno il 20-30% dei tumori del colon nei prossimi anni.La prevenzione secondaria del tumore del colon si realizza con diversi tests: la ricerca del sangue occulto nelle feci con tests chimici ed immunochimici che permetto-no l’identificazione della presenza di sangue;la rettosigmodoscopia (una sonda che raggiunge il retto ed il sigma);la colonscopia (una sonda che esplora tutto il colon). Naturalmente l’indagine di scre-ening deve iniziare in una fascia d’età a rischio maggiore di neo-plasia che ,nel cancro del colon, è dopo i 50 anni .Nella popolazione ad alto rischio cioè quei soggetti che hanno un rischio più alto di sviluppare la ne-oplasia indipednetemente dall’età (soggetti con familiarità di cancro del colon o con malattie associate quali le malattie infiammatorie del colon) lo screening deve iniziare più precocemente e con modalità diverse. Studi controllati (confron-to tra una popolazione sottoposta a screening ed una popolazione non sottoposta a screening) con-dotti negli Stati Uniti e nel paesi

nord Europei hanno dimostrato che l’applicazione dello screening riduce la mortalità nella popo-lazione sottoposta a screening rispetto alla popolazione non sottoposta a screening . E’ dibat-tuto quale sia la migliore moda-lità di screening (sangue occulto seguita da rettoscopia in caso di positività del sangue occulto, ret-toscopia, colonscopia). Secondo le linee guida delle società scientifi-che americane tutte 3 le strategie sono accettabili anche se l’Ame-rican College dei Gastroenterologi ritiene la colonscopia la procedura preferibile. In Italia le campagne di screening del cancro del colon sono iniziate in ritardo rispetto ai paesi nord Europei ed Americani. Nel 2006 il 44% della popolazione è stata raggiunta da un program-ma di screening . Le regioni mag-giormente impegnate nella cam-pagna di screening sono le regioni del nord Italia (Lombardia;Veneto, Piemonte,Toscana ed Emilia Roma-gna). Nel sud solo la Basilicata ha a vviato un programma di scree-ning. Questa differenza tra Nord e Sud si potrebbe tradurre in futuro in aumentata mortalità per cancro del colon nel Sud . Un ultima osser-vazione importante nella strategia della prevenzione secondaria:dati dell’ultimo decennio sembrano indicare che l’aspirina e i farma-ci antinfiammatori (Farmaci An-tinfiammatori Non Steroidei e mesalazina),usati regolarmente per anni, riducono il rischio di can-cro nel colon tuttavia questi far-maci hanno effetti collaterali : è in corso una valutazione del costo/beneficio di questa strategia.

Tumori del colon

La Video Capsula, emergente tecnologia diagnostica in Gastroenterologia, ha dato l’avvio a una nuova era dell’endoscopia digestiva non invasiva, con cui è possi-bile esplorare tutto il piccolo intestino, viscere peraltro di difficile studio per la sua lunghezza e tortuosità.In pochi anni la Video Capsula ha superato tutte le aspet-tative e si è inserita come metodologia diagnostica per lo studio e la ricerca delle malattie del piccolo intestino.Il sistema per effettuare l’indagine endoscopica com-porta l’ingestione di una capsula monouso di 26mm di lunghezza e di 11 di diametro, che raccoglie un labora-torio elettronico costituito da telecamera miniaturizzata, fonte di luce, batterie, trasmettitore, antenna.Durante il suo viaggio nel piccolo intestino, spinta dal-la normale motilità intestinale, la capsula cattura in 7-8 ore, circa 55.000 immagini a colori ad alta risoluzione per essere poi espulsa per via naturale. Le immagini rac-colte in un recorder saranno successivamente valutate dallo specialista su computer dotato di idoneo software. Numerose esperienze hanno dimostrato un’alta accura-tezza diagnostica verso altre metodologie diagnostiche, con indubbi vantaggi per il paziente e riduzione dei co-sti, in quanto permette di identificare lesioni minimali, cambiamenti della superficie mucosica, identificare fon-

ti di sanguinamento.Con riferimento ai risultati di numerosi studi ed esperien-ze italiane e mondiali, l’endoscopia con Video Capsula può essere considerata metodica diagnostica di routine in gastroenterologia, particolarmente indicata nei san-guinamenti oscuri, malattia di Crohn sospetta, poliposi intestinale, tumori, celiachia, enteropatie da farmaci e altre, così da permettere diagnosi corretta e conseguen-temente mirata strategia terapeutica, sia negli adulti che in età pediatrica.Oltre alla valutazione diagnostica del piccolo intestino, oggi, con la video capsula, è possibile, dopo accurata preparazione, effettuare colonscopia come test di scree-ning per la prevenzione e la diagnosi precoce dei tumori del grosso intestino.La colonscopia diagnostica con video capsula potrà so-stituire in prima istanza la colonscopia tradizionale in-vasiva, con l’obiettivo di incrementare l’accettabilità dei pazienti a sottoporsi alla prevenzione dei tumori del ret-to colon, unica strategia utile per ridurre la mortalità.

Francesco Rossini Primario Emerito di GastroenterologiaOspedale S. Giovanni Battista– Torino

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Professore Mario CottoneOrdinario di Medicina InternaUniversità di Palermo

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11GASTROENTEROLOGIA

La conoscenza dei fenomeni naturali si fonda sull’ana-lisi delle relazioni causa effetti e la pratica medica non può essere ridotta al solo esercizio strumentale di al-goritmi probabilistici. “Dio non gioca ai dadi”, diceva Albert Einstein. Le conoscenze del genoma umano insegnano che ciascuno di noi è unico e irripetibile. La personalizzazione della cura è quindi necessaria, ma non può seguire solo la casualità del lancio dei dadi e la logica del “cieco che guida ciechi” che sono giusta-mente alla base degli studi di popolazione e verifica di efficacia degli strumenti di diagnosi e cura. Per miglio-rare il carattere scientifico della personalizzazione della cura occorre rivitalizzare la ricerca e pratica fisiopatolo-gica, intese come virtuosa sinergia tra pratica medica e tecnica. Il clinico che meglio conosce le tecniche che usa garantisce maggiore sicurezza e qualità delle cura. E’ possibile favorire tale sinergia provvedendo un’ade-guata organizzazione delle squadre e luoghi di lavoro di una moderna medicina di laboratorio che preveda l’area e centri di Fisiopatologia Clinica come strumento di razionalizzazione e integrazione delle diverse risorse economiche, strumentali ed umane coinvolte. Tale mo-dello efficacemente applicato nella Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena integra 3 livelli di attività di medicina di labo-ratorio mediante una rete fra laboratorio centrale e le

sezioni di Fisiopatologia Clinica specialistiche operanti i sinergia con UO di ricovero e cura: Area della Patologia Clinica Generale per prestazioni, consolidate nel loro utilizzo e erogate mediante sistemi ad alta automazio-ne (Core Lab) e rapida refertazione. e Area della Pato-logia Clinica Speciale per attività rese mediante meto-dologie innovative. Le prestazioni delle due aree, rese, all’interno di protocolli e linee guida definite sulla base delle richieste del medico curante e/o delle integrazio-ni apportate dal laboratorista secondo le indicazioni regionali in merito. Area della Fisio-Patologia clinica per prestazioni il cui risultato necessità di interpreta-zione medico specialistica integrata con altre indagini diagnostiche cliniche e\o risultati terapeutici. Tali pre-stazioni avvengono nel contesto di un “pacchetto” dia-gnostico – terapeutico comprensivo della consulenza medico specialistica per garantire l’appropriatezza. L’attività del Centro di Fisiopatologia Clinica è svolta in collaborazione funzionale col laboratorio centrale e il coordinamento specialistico fra la componente labora-toristica e la clinica specialistica è garantita dal referen-te laboratorista o clinico con maggiore e comprovata esperienza nel settore.

Integrazione tra assistenza e ricerca per la buona pratica di cura.

Quale è la situazione della fitoterapia in Italia allo stato attuale?La fitoterapia sta vivendo un momento di grande significato oggi nel nostro paese proprio perché l’approccio nuovo al problema attraverso lo sviluppo della ricerca e nuovi dati scien-tifici, ha permesso di dare una efficacia a questo modello terapeutico, che prima non aveva. Oggi alcune aziende e industrie hanno deciso di entrare in questo nuovo capitolo terapeu-tico, e questo ha permesso di ottenere potenziali terapeutici molto significativi. Si tratta di un nuovo strumento terapeutico per il medico di medicina generale e per lo specialista. Che rapporto c’è tra la gastroenterologia e la fitoterapia?La moderna tecnologia permette oggi di ottenere delle preparazioni derivate da prodotti di tipo vegetale e naturale di grande significato farmacologico e terapeutico perché permet-te l’estrazioni di fitocomplessi e di composti che possono essere titolati e standardizzati. Il punto è “concentrare” ovvero realizzare una quantità farmacologicamente attiva dell’estrat-to, attività non facilmente realizzabile in natura viste le minime quantità presenti all’origine. E’ possibile associare composti diversi (derivati da prodotti vegetali diversi), per garantire un determinato risultato terapeutico. L’area gastroenterologica ben si presta ai fitofarmaci perché esistono situazioni cliniche causate da sintomi o sindromi che rispondono in manie-ra significativa alla terapia con fitofarmaci. Per esempio nella dispepsia funzionale (quindi: nausea, senso di peso, dolore, senso di sazietà, alitosi, bruciore, vomito occasionale) non le-gata a patologie organiche, e anche nella sindrome del colon irritabile (quindi: contratture, spasmi, irregolarità nella funzione, diarrea, ecc. e la presenza di meteorismo). Queste due grandi sindromi che coinvolgono una gran parte della popolazione trovano opportunità terapeutiche in campo fitoterapico.Analizziamo entrambi i casi: quale aiuto può derivare dalla fitoterapia per quanto concerne la sindrome del colon irritabile?La sindrome da colon irritabile trova risposte in alcuni estratti quali: cannella, carvi, argil-la, prebiotici. I prebiotici sono fibre assorbibili da pazienti di ogni età, regolando la flora dell’intestino, stimolando la produzione di bacilli salutari (lattobacilli). L’ argilla verde è un composto con funzioni antibatteriche: è in grado di disintossicare il materiale presente nel-la sede intestinale. Si tratta di una trappola per tossine e sostanze di vario tipo e in questo modo interviene in modo positivo nel paziente con sindrome da colon irritabile. Il finocchio ha una potenzialità di impiego elevata perché se ne conoscono in maniera dettagliata gli effetti. L’estratto di questa pianta ha particolare potenzialità in due contesti: è un antimete-orico (blocca la produzione di gas intestinali) e inoltre è spasmolitico (riduce la contrattura intestinale) e questo è particolarmente utile nel paziente con sindrome da colon irritabile.E per quanto concerne la dispepsia?La Dispepsia trova risposte valide nel carciofo e nei composti da questo estraibili, tra cui gli acidi fenolici e la cinaropicrina che peraltro è responsabile del sapore amaro del carciofo. Ha una azione importante perché ha effetto sulla secrezione di bile del fegato. Stimola infatti la produzione di bile che è fondamentale per la digestione della materia grassa. Gli estratti del carciofo hanno effetti anche sulla colesterolemia. Il colesterolo è eliminato dall’organismo attraverso il succo biliare, e quindi l’assunzione di estratti di carciofo ne agevola l’espulsio-ne. Oltre al carciofo particolare giovamento al paziente potrà derivare dalla curcuma, che è antispastico, dal Tarassaco che favorisce la produzione di succo biliare, e dal rosmarino. Una nota conclusiva in merito alle terapie con estratti vegetali?La frequenza di eventi cronici quando parliamo di malattie funzionali impegna la terapia per tempi lunghi, quindi è importante garantire la sicurezza del paziente cosa che la fitiote-rapia annovera tra le sue qualità.

Prof. Attilio GiacosaDirettore Dipartimento di GastroenterologiaPoliclinico di Monza

La fitoterapiae gastroenterologia oggi in Italia

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Prof. Ferruccio BoninoDirettore scientifico della Fondazione IRCCS Policlinico di MilanoBrunetto MauriziaDirettore U.O. Epatologia - Pisa

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Le malattie infiammatorie croniche intesti-nali come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa si manifestano in modo diverso da paziente a paziente per sintomi, decorso cli-nico ed impatto sulla qualità di vita di chi ne è affetto. Affliggono più di 4 milioni di persone nel mondo, e circa 200.000 persone in Italia, colpendo con la stessa frequenza i due sessi, con un esordio clinico che in genere si colloca fra i 15 e i 45 anni. L’incidenza di queste malat-tie, al pari di tutte le patologie autoimmuni, è letteralmente esplosa negli ultimi 10 anni spingendo la ricerca scientifica e clinica a cer-care nuovi farmaci per i pazienti che in manie-ra cronica soffrono di tali patologie.

“Il trattamento e le scelte terapeutiche - spie-ga il dottor Silvio Danese, capo laboratorio del Centro di Ricerca per le Malattie Infiam-matorie Croniche Intestinali dell’Istituto Cli-nico Humanitas - si basano sulla severità di malattia e sulla localizzazione del tratto di intestino coinvolto. Per questo motivo sono

stati progettati farmaci a ‘rilascio’ intelligente in grado di colpire in maniera efficace e senza gravi effetti collaterali il segmento di intestino infiammato.

Farmaci corticosteroidei classici come il corti-sone, che hanno gravi effetti collaterali siste-mici, oggi vengono frequentemente rimpiaz-zati. Ad esempio dalla budesonide, che ha un rilascio topico intestinale ed effetti collaterali notevolmente ridotti, oppure dalla mesala-zina, anti-infiammatorio cardine per il trat-tamento dell’infiammazione intestinale, che può essere somministrata con diverse formu-lazioni in grado di liberare il principio attivo in maniera pilotata.La comprensione dei meccanismi alla base della patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali ha portato alla scoperta di numerose molecole che possono essere ber-sagliate in maniera selettiva dai nuovi farmaci biologici”.Per approfondire l’evoluzione delle terapie e della ricerca scientifica nel campo delle ma-lattie infiammatorie intestinali si riuniranno i maggiori esperti mondiali, impegnati a livello clinico e di ricerca di base, in occasione della sesta edizione dell’European Mucosal Immu-nology Group Meeting (EMIG 2008) in pro-gramma dall’8 al 10 ottobre presso il Centro Congressi dell’Istituto Clinico Humanitas.

Le malattie infiammatorie cronichee intestinali

12 GASTROENTEROLOGIA

Dottor Silvio Danese, ResponsabileLaboratorio MalattieInfiammatorie croniche intestinaliIstituto Clinico Humanitas

La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) è una delle più fre-

quenti patologie nei paesi industrializzati (USA ed Europa) ed è carat-

terizzata da una notevole varietà di presentazioni cliniche che vanno

dalle forme puramente sintomatiche senza esofagite macroscopica,

fino alle complicanze più severe che includono l’esofagite erosiva,

l’esofago di Barrett e l’adenocarcinoma esofageo.

I fattori responsabili di questa patologia sono molteplici: scarsa

competenza dello sfintere esofageo inferiore, ernia iatale, rallentato

svuotamento gastrico, ridotta capacità dell’esofago di ripulirsi rapida-

mente del materiale refluito. Il risultato finale è la risalita patologica di

contenuto gastrico (acido,cibo,succhi biliari etc.) in esofago con con-

seguente comparsa di sintomi e/o danno della mucosa esofagea.

I pazienti affetti da tale patologia riferiscono generalmente sintomi

caratteristici, quali il bruciore retrosternale, il rigurgito e il dolore to-

racico, che spesso si manifestano in seguito a pasti abbondanti od

in seguito all’assunzione di particolari cibi (pomodoro,menta,ciocco

lata,aglio,cipolla etc.) o con l’assunzione di alcune posture, come il

chinarsi in avanti.

Oltre a questi sintomi tipici, che rimangono comunque i più frequen-

ti, recenti studi hanno permesso di evidenziare una significativa asso-

ciazione tra il reflusso gastroesofageo e sintomi extra-digestivi, quali

raucedine, tosse stizzosa, frequente necessità di schiarirsi la voce,

asma ed altre lesioni orali, otorinolaringoiatriche o respiratorie (ero-

sioni dentali, sinusiti croniche, laringiti e polipi corde vocali, fibrosi

polmonare, etc.).

Significativi risultati sono stati ottenuti negli ultimi anni nella com-

prensione degli stimoli che determinano la comparsa dei sintomi.

Sempre più forte è la consapevolezza che non sia solo l’acido pro-

veniente in esofago dallo stomaco a scatenare la sintomatologia, ma

anche il cosiddetto “reflusso non acido”, valutabile con la moderna

pH-impedenziometria e capace di determinare lo stesso quadro clini-

co riferito dai pazienti affetti da reflusso acido.

Il più recente e importante progresso nella conoscenza della malattia

da reflusso è rappresentato dal fatto che la suddetta tecnica diagno-

stica ha anche permesso di chiarire che la forma non-erosiva (sintomi

tipici senza lesioni endoscopiche), che rappresenta fino al 70% di tutti

i casi riscontrabili nella pratica clinica, è in realtà costituita da una po-

polazione eterogenea con distinti sottogruppi: pazienti classici con

reflusso anormale acido, pazienti senza reflusso anormale ma con

esofago ipersensibile all’acido o al non-acido e pazienti con pirosi

funzionale (in cui tutti gli esami sono negativi ed i sintomi originano

da altri fattori che non il reflusso). Questa suddivisione è estrema-

mente importante e pratica perché ci consente di comprendere le ra-

gioni per cui i casi con patologia non-erosiva rispondono meno bene

ai potenti farmaci antisecretivi rispetto a quelli con esofagite erosiva.

E’ ovvio che i sottogruppi con esofago ipersensibile al reflusso non-

acido e con pirosi funzionale non possono avere beneficio dalla te-

rapia bloccante la secrezione acida e devono essere trattati con altre

modalità (chirurgia nel primo caso e psicoterapia nel secondo). L’affi-

namento diagnostico di cui sopra permette di evitare l’accanimento

terapeutico con farmaci antisecretivi ad alte dosi e di indirizzare i pa-

zienti non responsivi ad altri tipi di trattamento con evidente miglio-

ramento nella gestione clinica di questi frequenti casi.

Nuove acquisizioni in tema di Malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE)

Vincenzo Savarino e Edoardo SavarinoUniversità degli Studi di Genova

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L’acqua è un elemento fondamentale per ogni processo vitale e come ogni sistema all’interno dell’organismo dipende direttamente dall’acqua, così anche il funzionamento dell’apparato gastrointestinale è regolato dall’acqua; basti pensare che i succhi digestivi sono composti soprattutto da acqua, la flora batterica intestinale trova nell’acqua l’indispensabile substrato per svilupparsi, ed inoltre l’acqua è un elemento fondamentale per favorire la regolarità intestinale. L’acqua infatti è il mezzo attraverso il quale l’organismo elimina le scorie metaboliche, agisce come “lubrificante” e garantisce la giusta consistenza del contenuto intestinale. L’altro importante elemento per il benessere intestinale è la fibra alimentare che trova l’unica possibilità di essere utile solo in presenza di sufficienti quantità d’acqua. Perché è proprio l’acqua che permette alle fibre di svolgere la loro funzione. Il consumo di fibre ed acqua deve essere sempre strettamente associato affinché entrambe esplichino la loro funzione al meglio. Ecco perchè per un buon equilibrio della funzione intestinale e quindi dell’organismo è fondamentale avere un corretto stile di vita associato ad una buona alimentazione ricca di fibre e acqua. La dose di fibra raccomandata dai nutrizionisti è di 25 g al giorno. Questo fabbisogno può essere soddisfatto consumando nell’arco della giornata almeno cinque porzioni di frutta e verdura e privilegiando, in uno dei pasti principali, una quota di cereali integrali. Per essere efficaci e svolgere al meglio la loro funzione, le fibre devono essere accompagnate da molta acqua. Per fare un esempio una giovane donna normopeso dovrebbe bere almeno due litri di acqua al giorno incluse tisane e spremute.

Una fibra alimentare che agisce fisiologicamente senza irritare e contribuisce alla regolarità intestinale è quella di psyllium. Essa è ottenuta dai semi della Plantago Ovata, una pianta, che cresce in India, utilizzata da millenni per le sue proprietà benefiche sull’intestino. È ricca, infatti, di una frazione gelatinosa che in presenza di acqua, agisce formando una massa fecale soffice e voluminosa, necessaria per una regolare funzione intestinale. È proprio a contatto con l’acqua che la fibra di psyllium esplica la sua funzione: legando stabilmente l’acqua tende a gonfiarsi, per cui aumenta il peso del materiale fecale e lo ammorbidisce; e grazie all’effetto formante massa stimola le contrazioni sulle pareti dell’intestino favorendo il transito fisiologicamente ed aumentando la motilità gastrointestinale. Inoltre la fibra di psyllium è una fibra prebiotica, quindi in grado di favorire lo sviluppo di una flora batterica utile all’organismo e contribuire alla conservazione dell’integrità della mucosa intestinale.L’assunzione costante della fibra di psyllium con abbondante acqua ha come obbiettivo quello di favorire la progressiva regolarità intestinale, pertanto risulta utile anche in caso di disturbi intestinali come stitichezza, sindrome del colon irritabile, malattia diverticolare, ecc. La fibra di psyllium e l’acqua sono i due elementi fondamentali per il benessere dell’intestino e dell’intero organismo.

a cura di Dott. Antonella Braglia, farmacista nutrizionista, Nathura s.r.l.

9GASTROENTEROLOGIA 9GASTROENTEROLOGIA 13GASTROENTEROLOGIA

La formazione di calcoli costituisce la patologia piu’ frequente dell’albero biliare, cioe’ di quel complesso sistema di strutture canalicolari che trasporta la bile dalla cellula epatica, sede pri-maria di produzione, al duodeno. La frequenza, le caratteristi-che, e quindi le implicazioni diagnostiche e terapeutiche, sono pero’ molto differenti a seconda che i calcoli si formino nella cistifellea (struttura deputata alla conservazione della bile du-rante il digiuno ed alla sua immissione in duodeno durante il pasto) o nelle vie biliari, intra od extraepatiche. La calcolosi della colecisti e’ una condizione molto frequente. In Italia sono stati eseguiti i piu’ importanti studi di popolazione che hanno permesso di misurare questa frequenza: il 15-20% della popo-lazione ne e’ affetta, la frequena e’ maggiore nel sesso femmini-le ed aumenta con l’eta’; inoltre la maggior parte (circa l’80%) dei soggetti portatori di litiasi e’, e puo’ rimanere per tutta la vita, completamente senza sintomi. I calcoli la cui composi-zione e’ prevalentemente di colesterolo, che sono quelli piu’ frequenti nel mondo occidentale, sono oggi considerati tra le malattie delle civilta’ opulente, cioe’ quelle malattie (quali l’obe-

sita’, il diabete dell’adulto, le malattie cardiovascolari, le dislipi-demie) che vedono in stili di vita non corretti (alimentazione quali/quantitativamente impropria, scarsa o assente attivita’ fisica) uno dei principali fattori causali. Infatti svolgere attivita’ fisica regolare ed avere uno stile alimentare corretto costitui-scono presupposti indispensabili non solo per la prevenzione primaria della litiasi (cioe’ evitare che si formino i calcoli), ma anche di quella secondaria (ridurre il rischio di sviluppare sin-tomi una volta che il calcolo si e’ formato). Grazie agli studi epi-demiologici sappiamo che il sintomo che caratterizza la litiasi, ed il cui riconoscimento deve guidare la strategia terapeutica, e’ la colica, cioe’ un dolore all’ipocondrio destro/epigastrio, che non scompare con la defecazione, della durata superiore ai 30 minuti, e non generici disturbi digestivi. Sappiamo inoltre che il rischio di avere una colica in chi non ne ha mai avute e’ basso (circa il 20% nell’arco della vita) e che la probablitita’ di recidi-va della colica non supera il 40%. Queste osservazioni, hanno portato a ritenere che l’intervento chirurgico di asportazione della colecisti vada eseguito solo nei pazienti con sintomi ri-

correnti o con complicanze della malattia litiasica.Negli altri casi e’ giustificata una strategia di attesa, osservando il quadro nel tempo o ricorrendo a terapia medica. L’apparente sempli-cita’ e sicurezza della colecistectomia laparoscopica ha invece esteso in maniera impropria le indicazioni e l’uso di questa tecnica chirurgica, con le prevedibili conseguenze in termini di complicanze. Differente e’ il caso della litiasi della via biliare, in cui la differente situazione anatomica favorisce la comparsa di complicanze. Pertanto in presenza di una litiasi della via bi-liare si impone un trattamento attivo, nella quasi totalita’ dei casi per via endoscopica. La procedura prevede il taglio della papilla di Oddi (lo sfintere che isola l’albero biliare dal duode-no) e la successiva asportazione del calcolo. Una volta rimos-so il calcolo, se e’ presente una concomitante calcolosi della colecisti, e’ indicata una colecistectomia, particolarmente se il paziente e’ giovane, per prevenire future infezioni della cistifel-lea, mancando la protezione dello sfintere di Oddi.

Acqua e fibra di Psyllium: Sinergia della natura

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La litiasi dell’albero biliare

Prof Davide FestiOrdinario di Gastroenterologia, Università di Bologna

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14 GASTROENTEROLOGIA

Ogni anno l’Italia registra circa 10.000 casi di carcinoma epatocellulare (CE), quasi sempre per lo più complicanza molto tardiva di una cirrosi alcolica o di un’infezione con virus dell’epatite B e C, anche se non mancano casi dovuti a cirrosi da sindrome plurimetabolica e diabete. Il fatto che la cirrosi sia la più frequente causa di CE non ha solo importanti implicazioni epidemiologiche, ma ha anche importanti riflessi sulla prognosi e strategia di cura. Infatti, la sorveglianza ecografica dei pazienti cirrotici ha aumentato il numero di pazienti con diagnosi precoce di CE e di conseguenza le possibilità di cura. Il paradigma terapeutico del CE è, infatti, eradicare il tumore senza compromettere la residua funzione del fegato e questo riesce bene nei pazienti con tumori piccoli, identificati precocemente. Questi, infatti, possono essere guariti con trattamenti radicali come la resezione chirurgica, il trapianto o l’ablazione locale con sonde ipertermiche. Il trapianto di fegato è il trattamento oncologico ideale, poiché impedisce la recidiva del tumore ed asporta il fegato cirrotico in grado di compromettere negli anni la sopravvivenza del paziente. Purtroppo, questo trattamento è limitato dalle scarse donazioni e dai costi elevati. I pazienti con tumori multipli o di maggiore volume sono più difficili da guarire, ma il trattamento ripetuto con (chemio)-embolizzazione arteriosa del tumore può rallentare l’evoluzione della malattia con un incremento della sopravvivenza di diversi pazienti.

I pazienti con invasione vascolare del tumore o con localizzazioni extraepatiche hanno poche probabilità di cura: quelli con buona funzione residua del fegato hanno la sopravvivenza migliorata dal trattamento a lungo termine con un farmaco anti-proliferativo che inibisce le kinasi cellulari a vari livelli cellulari (Sorafenib). In futuro, la nostra capacità di cura sarà migliorata, sia potenziando i sistemi di stadiazione, che impiegando più trattamenti antineoplastici in sequenza. Nuove tecniche di genetica molecolare, la cosiddetta firma molecolare del tumore, permettono di predire con accuratezza la sopravvivenza di alcuni pazienti e un domani, permetteranno di selezionare il trattamento più adeguato per ogni paziente. La disponibilità di farmaci capaci di inibire diverse e specifiche catene di cellulari implicate nella patogenesi del CE, apre la strada alla personalizzazione del trattamento farmacologico del tumore, cosa che non era possibile con la chemioterapia convenzionale. A fronte di questi recenti progressi nella cura del paziente con CE, va ribadito che la prevenzione mediante vaccinazione contro l’epatite B e la lotta contro alcolismo, sovrappeso e diabete, rimane l’approccio più concreto per ridurre la mortalità da CE nel mondo.

Epatocarcinoma

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Prof. Massimo ColomboDirettore della Divisione di Gastroenterologia 1,Fondazione IRCCSOspedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Università degli Studi di Milano, Italia.

Chirurgia Laparoscopica per l’obesitàIn Italia un adulto su tre è sovrappeso ed il 10% circa della popolazione è affetto da obesità pato-logica. La chirurgia offre oggi la possibilità di ottenere la riduzione di peso nei pazienti con obesità pa-tologica resistente a diversi trattamenti medici, farmacologici, dietologici etc. La stessa infatti dovrebbe essere riservata a quei soggetti che non hanno avuto successo con altre terapie e che hanno soprattutto complicanze dovute a patolo-gie gravi che si manifestano con il perdurare ed il progredire dell’obesità; la perdita di peso che si ottiene con la chirurgia assicura un vero e pro-prio cambiamento di vita, con il ritorno alle nor-mali attività quotidiane a la riduzione dei rischi di malattia legati all’obesità (malattie cardiache, diabete, ipertensione, problemi articolari, ap-nee notturne). Recentemente l’American Society for Metabolic Surgery ha pubblicato nel giugno 2008 uno studio che evidenzia il ridotto rischio di

cancro dopo chirurgia bariatrica, il ripristino della funzione sessuale nel maschio obeso ed il miglio-ramento delle patologie articolari soprattutto le-gate alla colonna vertebrale.Il trattamento del paziente obeso prevede un’as-sistenza sanitaria che comprende l’azione multi-disciplinare di un team composto da chirurghi, endocrinologi, dietologi, endoscopisti e psicolo-gi. Gli interventi laparoscopici più frequentemente eseguiti sono: il bendaggio gastrico regolabile, la sleeve gastrectomy, il by-pass gastrico, la diver-sione bilie-pancreatica. Questi interventi si divi-dono in restrittivi (riducono la capacità gastrica e l’assunzione di cibo dando un senso di sazietà maggiore che induce il calo ponderale) e malas-sorbitivi come la diversione bilio-pancreatica ed il by-pass gastrico che agiscono in senso malas-sorbitivo con conseguente perdita di peso che talvolta induce effetti collaterali importanti e che quindi va indicata in casi attentamente selezio-nati.Il primo intervento laparoscopico al mondo per obesità è stato eseguito dal Prof. Antonio Cato-na, attuale responsabile del servizio di obesita’ patologica attivato all’interno della Divisione di Chirurgia II dell’Ospedale S.Giuseppe di Milano. L’Italia vanta comunque la presenza di rinomati chirurghi riconosciuti in campo internazionale. II bendaggio gastrico regolabile è l’intervento più diffuso al mondo perché gravato da poche complicanze, anche se presenta degli aspetti che per la buona riuscita sono maggiormente legati alla collaborazione del paziente piuttosto che al tipo di chirurgia. Il sistema è costituito da una fascia gonfiabile che si posiziona nella

parte alta dello stomaco creando una tasca di circa 20-30 cc, la presenza di un dispositivo sot-tocutaneo ne permette la regolazione in modo da diminuire il transito di cibo riducendone l’assunzione.Negli ultimi 3 anni è stato introdotto dal Prof. Catona un bendaggio che oltre alla funzione di regolazione del transito alimentare è dotato di una retina sovrastante che, rispetto alle tecniche standard, migliora l’efficacia di dimagrimento e ne limita le complicanze.La chirurgia bariatrica non ha scopi estetici e il suo obiettivo è quello di prevenire e/o corregge-re i problemi medici connessi all’obesità. Nessun intervento è esente da possibili complicanze chi-rurgiche e mediche a volte anche gravi. Le ridu-zioni di peso anche modeste possono comunque avere effetti benefici sulle malattie associate e sulla qualita’ di vita.

Bendaggio gastrico secondo Catona con Basket in Silicone che ne aumenta l'efficacia di dimagrimento distribuito daInnovamedica S.p.A. 20090 CUSAGO - Milano

Prof. Antonio CatonaChirurgia dell’ObesitàOsp. San GiuseppeMilano

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15GASTROENTEROLOGIA

La steatoepatite non alcolica è una manifestazione di una condizione che, con un acronimo inglese, viene definita NAFLD (non alchoolic fatty liver disease) cioè l’epatopatia da accumulo di lipidi. Come lascia intuire il nome, è una condizione dovuta all’accumulo di lipidi, cioè di grassi, all’interno degli epatociti, le cellule principali del fegato. In realtà, que-sta è una condizione nota ai medici da molto tempo, già definita come “steatosi epatica”. Negli ultimi anni, però, vi è stata posta maggior atten-zione rispetto al passato. Infatti se un tempo si pensava che l’accumulo di grassi nel fegato fosse una condizione “inerte”, gli studi degli ultimi anni dimostrano che in realtà ciò può determinare un danno al fegato, la cui entità è variabile. Nella maggior parte dei casi si riscontra un dan-no lieve-moderato; in altri, invece, il danno è più importante, tanto da poter portare fino alla cirrosi epatica o all’epatocarcinoma. È proprio tale capacità evolutiva della steatoepatite non alcolica che ha aumentato l’attenzione da parte di medici e ricercatori, anche in consi-derazione dell’impatto epidemiologico che ad essa si associa. Si ritiene infatti che la steatoepatite non alcolica sia la prima causa di danno epa-tico cronico al fegato; si pensa che in Italia circa il 20% della popolazio-ne ne sia affetta. Tale condizione è tanto frequente quanto altre patologie, quali l’obesi-tà, il diabete, l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia. Ciò non a caso, in quanto sembra che tutte queste patologie possano avere un uni-co meccanismo di insorgenza, che sembrerebbe essere la resistenza all’insulina. In altre parole, tutte queste condizioni farebbero parte di un’unica sindrome, detta sindrome metabolica. Ciò non va dimentica-to, in quanto il riscontro di una patologia tutto sommato non eccessiva-mente aggressiva come la steatoepatite deve quantomento fungere da “campanello d’allarme” per malattie cardiovascolari e/o il diabete.La problematica principale rimane quella della terapia per la steatoe-patite. Vi sono dei farmaci, principalmente anti-diabetici, che hanno di-mostrato un certo grado di efficacia, senza però essere scevri da effetti indesiderati (metformina, tiazolidindionici). Rimane quindi, al momen-to, imprescindibile un adeguamento dello stile di vita, con una riduzio-ne dei grassi con la dieta ed un aumento dell’attività fisica.

La steatoepatitenon alcolica

Fin dall’antichità si afferma che la pancia è la sede delle emozioni e dell’inconscio, ma solo nell’ultimo ventennio le più avanzate ricerche di neuro-gastroenterologia hanno dato valore scientifico ad alcuni concetti che erano considerati re-taggio esclusivo della medicina po-polare orientale.Il ruolo dell’intestino è quindi com-pletamente cambiato, con impli-cazioni che non riguardano solo la funzione di digestione, assimilazio-ne ed espulsione dei rifiuti, essen-do strettamente correlate con i pro-cessi di difesa dell’organismo. Oggi sappiamo che il “sistema inte-stinale” costituisce una complessa struttura neuro-endocrino-immu-nitaria integrata, in cui i diversi di-stretti stabiliscono relazioni di tipo “orizzontale”, senza ordine gerarchico. La componente neurologica è costituita dal cosiddetto “secondo cervello”, ossia dalla fitta rete nervosa delle pareti interne del tratto gastro-intestinale ed è strettamente connessa con la componente en-docrina, cosituita da cellule endocrine situate a livello della mucosa gastrointesti-nale. La componente immunitaria è rappresentata dal tessuto linfatico associato all’intestino o GALT (Gut Associated Lymphoid Tissue), nelle cui strutture sono presenti tutti i diversi tipi cellulari coinvolti nei processi immunitari. Infine, un’al-tra fondamentale componente del complesso “sistema intestinale” è rappresen-tata dall’ecosistema microbico, la cui composizione qualitativa e quantitativa può pesantemente influenzare l’integrità e la funzionalità intestinale, sia dal punto di vista nutrizionale che immunologico.Da queste considerazioni si può facilmente dedurre come una buona funzionali-tà intestinale sia presupposto fondamentale per l’equilibrio fisiologico e la salute dell’intero organismo. In questo ambito l’idrocolon può costituire un valido presi-dio terapeutico per il mantenimento o il ripristino dello stato di salute.I campi di applicazione dell’idrocolon spaziano dalla “semplice” pulizia del colon ad un’azione “terapeutica” vera e propria passando per un’azione “immunomodu-lante” fino ad arrivare all’attuale IdroTraining Dimensionale.Per quanto concerne la pulizia, l’idrocolon è un valido strumento alternativo all’uso di lassativi isosmotici per ottenere una completa pulizia dell’intestino pri-ma di eseguire indagini endoscopiche sul colon o sul retto. E’ noto infatti che i preparati tutt’oggi impiegati nella preparazione alla colonscopia, non trovano una buona compliance da parte del paziente a causa dei notevoli disagi che que-sta pratica comporta, legati essenzialmente alla notevole quantità di liquido da assumere per di più di sapore non gradevole. Inoltre possono essere presenti ef-fetti indesiderati quali nausea, senso di pienezza gastrica,vomito,gonfiore e cram-pi addominali.L’azione immunomodulante è invece riconducibile al fatto che il lavag-gio intestinale “purifica” le mucose da residui digestivi in via di anomala trasformazione,tossine,agenti batterici,funghi,incrostazioni,cellule morte della mucosa riportando così le nostre difese immunitarie legate al sistema GALT alla piena attività.L’idrocon diventa altresì terapeutica in una serie di affezioni riconducibili al fe-nomeno della disbiosi intestinale,alcune delle quali interessano direttamente il colon(stipsi,diarrea,colon irritabile,diverticolosi,gonfiore addominale,meteorismo,flatulenza) e altre di tipo generale(affezioni cutanee,candidosi vaginale,cistiti e prostatiti croniche).L’intestino e l’idrocolon hanno fatto carriera!

Dott. Vincenzo Mazzuca [email protected] Perf. in Patologie Gastroenteriche e metodiche endoscopicheIstituto “Ninetta Rosano”-Casa di Cura Tricarico, Belvedere M.mo (CS)Docente Scuola di Medicina Biologica e Discipline Integrate (AIOT)

Intestino e Idrocolon: un legame sempre più stretto

Via O. Scavino, 10 - 47891 FALCIANO(Repubblica di San Marino)Tel 0549/ 941535 Fax 0549 913979 (+) 378 (from the other countries)www.cytodiagnostic.com e-mail: [email protected]

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Prof. Antonio BenedettiProfessore ordinario di Gastroenterologia Università politecnica delle Marche di AncinaDirettore della clinica di Gastroenterologia degli Ospedali Riuniti di AnconaSegratario Nazionale Società Italiana di Gastroenterologia

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