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FANCIULLI SOLDATI. La militarizzazione dell’infanzia abbandonata nell’Europa moderna. (Simonetta Polenghi) INTRODUZIONE Nel 1977 la soglia minima per l’ingresso nell’esercito fu fissata in 15 anni secondo un protocollo aggiunto alla Convenzione di Ginevra del 1949. Tale età fu confermata nel 1989 nella Convenzione sui diritti dei fanciulli delle Nazioni Unite. L’assemblea generale dell’ONU nel 1993 ordinò un’inchiesta sull’argomento affidandola a Graça Machel, la quale redasse un importante documento diffuso dal segretario generale dell’ONU il 26 agosto 1996. Il 21 gennaio 2000, dopo sei anni di negoziati, i governi di numerosi stati hanno firmato un protocollo sui fanciulli soldati, nel quale si stabilisce che l’età minima per l’arruolamento sia di 18 anni. Il 12 febbraio 2002 è stato siglato un nuovo trattato internazionale che proibisce di impiegare minorenni in campo di battaglia. Solo in anni recenti il tema è stato affrontato, quasi soltanto però in riferimento al Novecento e con particolare attenzione al nazismo. Il milite fanciullo ha invece avuto una lunga storia e la militarizzazione precoce non poneva problemi etici, ciò che determinava il maggiore op minore impiego del fanciullo non era l’età, ma la forza fisica. CAP. 1 - LA MILITARIZZAZIONE DEI TROVATELLI IN ANTICO REGIME Esposizione, utilitarismo e controllo sociale Nella seconda metà del Settecento il fenomeno dell’esposizione dei bambini nei paesi latini assunse dimensioni massicce. Le cause di quest’incremento possono essere riconducibili alle carestie, guerre, alle esigenze lavorative delle madri , alla possibilità di avvalersi della ruota, all’atteggiamento delle società verso le madri nubili. Si creano due situazioni diverse: se l’esposizione costituiva spesso un mezzo per nascondere la nascita dei figli illegittimi, è altresì dimostrato che tra sette e ottocento in Italia e in talune città come Milano, aumentò enormemente il numero delle famiglie legittime che si avvalevano anch’esse del torno, con l’idea di riprendersi il figlio dopo uno o due anni, terminato l’allattamento che la madre naturale non poteva garantire. La sorte dei bambini rimaneva sconosciuta: l’altissima mortalità di questi bambini , in particolare nel primo anno di vita, spinse a cercare dei rimedi come le raccomandazioni ai parroci circa le modalità di abbandono. La sopravvivenza dei bambini abbandonati diventava importante per tre ragioni: 1. DEMOGRAFICO-ECONOMICO: la loro morte avrebbe privato il paese di braccia. Nel 1765 l’abate Nicolas Baudeau chiese che tutti i trovatelli fossero affidati a famiglie contadine per essere avviati ai lavori dei campi. Ma si propose che gli orfani e i trovatelli collocati in campagna sostituissero nel servizio militare i figli della famiglia che li allevava, il che fu accordato da Luigi XV nel 1761. La benevolenza del re era volta alle famiglie contadine, non ai trovatelli la cui esistenza era definita come un mero surrogato di quella di altri uomini, al posto dei quali andavano a morire. 1

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FANCIULLI SOLDATI. La militarizzazione dell’infanzia abbandonata nell’Europa moderna. (Simonetta Polenghi)

INTRODUZIONE

Nel 1977 la soglia minima per l’ingresso nell’esercito fu fissata in 15 anni secondo un protocollo aggiunto alla Convenzione di Ginevra del 1949. Tale età fu confermata nel 1989 nella Convenzione sui diritti dei fanciulli delle Nazioni Unite. L’assemblea generale dell’ONU nel 1993 ordinò un’inchiesta sull’argomento affidandola a Graça Machel, la quale redasse un importante documento diffuso dal segretario generale dell’ONU il 26 agosto 1996. Il 21 gennaio 2000, dopo sei anni di negoziati, i governi di numerosi stati hanno firmato un protocollo sui fanciulli soldati, nel quale si stabilisce che l’età minima per l’arruolamento sia di 18 anni. Il 12 febbraio 2002 è stato siglato un nuovo trattato internazionale che proibisce di impiegare minorenni in campo di battaglia. Solo in anni recenti il tema è stato affrontato, quasi soltanto però in riferimento al Novecento e con particolare attenzione al nazismo. Il milite fanciullo ha invece avuto una lunga storia e la militarizzazione precoce non poneva problemi etici, ciò che determinava il maggiore op minore impiego del fanciullo non era l’età, ma la forza fisica.

CAP. 1 - LA MILITARIZZAZIONE DEI TROVATELLI IN ANTICO REGIME

Esposizione, utilitarismo e controllo sociale

Nella seconda metà del Settecento il fenomeno dell’esposizione dei bambini nei paesi latini assunse dimensioni massicce. Le cause di quest’incremento possono essere riconducibili alle carestie, guerre, alle esigenze lavorative delle madri , alla possibilità di avvalersi della ruota, all’atteggiamento delle società verso le madri nubili. Si creano due situazioni diverse: se l’esposizione costituiva spesso un mezzo per nascondere la nascita dei figli illegittimi, è altresì dimostrato che tra sette e ottocento in Italia e in talune città come Milano, aumentò enormemente il numero delle famiglie legittime che si avvalevano anch’esse del torno, con l’idea di riprendersi il figlio dopo uno o due anni, terminato l’allattamento che la madre naturale non poteva garantire.

La sorte dei bambini rimaneva sconosciuta: l’altissima mortalità di questi bambini , in particolare nel primo anno di vita, spinse a cercare dei rimedi come le raccomandazioni ai parroci circa le modalità di abbandono.

La sopravvivenza dei bambini abbandonati diventava importante per tre ragioni:

1. DEMOGRAFICO-ECONOMICO: la loro morte avrebbe privato il paese di braccia. Nel 1765 l’abate Nicolas Baudeau chiese che tutti i trovatelli fossero affidati a famiglie contadine per essere avviati ai lavori dei campi. Ma si propose che gli orfani e i trovatelli collocati in campagna sostituissero nel servizio militare i figli della famiglia che li allevava, il che fu accordato da Luigi XV nel 1761. La benevolenza del re era volta alle famiglie contadine, non ai trovatelli la cui esistenza era definita come un mero surrogato di quella di altri uomini, al posto dei quali andavano a morire.

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2. SCIENTIFICO MEDICA: i loro piccoli corpi furono oggetto di esperimenti e di osservazione scientifica nella seconda metà del Settecento. La possibilità di sperimentare diversi regimi alimentari e igienici, di osservare continuamente questi bimbi e di praticare autopsie per studiare le patologie comportò il tragico sacrificio di centinaia di piccoli. A questo prezzo nacque una pediatria distinta dalla medicina degli adulti (nel 1802 a Parigi si fondò il primo ospedale pediatrico).

3. UTILITÀ VERSO LA SOCIETÀ: l’obiettivo era quello di impedire che orfani e trovatelli divenissero delinquenti facendo acquisire ai fanciulli i modelli comportamentali che avrebbero consentito la loro integrazione sociale. Questo processo, particolarmente forte nel 700, si realizzava con una pedagogia che rifuggiva la punizione fisica in favore di un processo di interiorizzazione di norme morali e di autocontrollo. Nella celebre analisi del Beccaria non era la crudeltà delle pene, bensì la loro infallibilità ed esemplarità che potevano porre un freno alla delinquenza. Con l’apprendimento di un mestiere e con l’acquisizione dell’habitus morale di buon cristiano e di docile suddito, il bambino abbandonato sarebbe diventato utile alla società.

L’esposto colono e l’esposto soldato: esclusione e controllo

La categoria di utile implicava l’idea di servizio nei confronti della società e dello Stato, al quale il fanciullo era debitore della sua sopravvivenza. Per le femmine il debito di pagava divenendo buone madri, brave serve o impiegandosi nel luogo pio che le aveva accolte. I maschi dovevano lavorare la terra, divenire artigiani o impiegarsi nella milizia, nella marina o nelle colonie. In Francia, l’idea di un impiego militare era già comparsa nell’editto reale del maggio 1670 con il quale Luigi XIV, per impulso di S.Vincenzo de’Paoli aveva fondato l’ospedale dei bambini trovatelli. In questo editto il sovrano considerava la sopravvivenza dei bambini abbandonati vantaggiosa sia per farli diventare soldati sia coloni. L’imperatore non vedeva, diversamente da S.Vincenzo, i bambini abbandonati come Figli di Dio, nuovi santi innocenti, ma soggetti da utilizzare per la sua politica di potenza. In un progetto di ordinanza del 1717 si diedero due motivazioni in ordine alla scelta di fare dei bambini abbandonati dei coloni:

1. I loro corpi piccoli e plasmabili si sarebbero adattati meglio al clima.

2. Privi di famiglia, questi ragazzi, avrebbero facilmente considerato il nuovo paese come la loro patria.

Nel 1720 fu emanata l’ordinanza che prescriveva che i mendicanti e i vagabondi più giovani fossero arrestati e imbarcati per le colonie di America. Questi provvedimenti di reclutamento coatto e di dirottamento verso le colonie assimilavano gli esposti a vagabondi, mendicanti, delinquenti, prostitute. Chamousset, pensatore, rifletteva un duplice intento: mirava non solo ad allontanare questi bambini, ma nel contempo, voleva offrire loro una possibilità di riscatto e di integrazione in un paese nuovo.

Nel 1749 un opuscolo suggerì di avviare alle armi i trovatelli: per Chomousset era possibile educare i bambini senza famiglia che non conoscevano la tenerezza dell’amore parentale, ad essere indifferenti verso la morte. In tal modo, si sarebbero destinati gli esposti alla marina, all’esercito, alle colonie. Le idee di Chamousset erano condivise da altri. Nel 1764 Merlet propose di fondare un istituto nel quale i bambini abbandonati di robusta costituzione avrebbero ricevuto un’educazione militare. L’istruzione sarebbe stata limitata a leggere, scrivere, far di

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conto e praticare esercizi militari. L’obiettivo pedagogico era la formazione di soldati modello, mediante l’apprendimento del valore del silenzio, dell’obbedienza, della subordinazione.

I processi di modernizzazione dello Stato d’ancien regime conducevano a un progressivo distacco dalle fondamenta religiose che sorreggevano l’apparato di potere. In questo senso non stupisce che il bimbo esposto non fosse più immagine della sofferenza di Cristo, ma costituisse un oggetto da manipolare.

Uno sguardo nuovo sull’infanzia abbandonata

Nella seconda metà del 700 si verificò lo spostamento concettuale dalla carità cristiana alla beneficenza intesa come atto sociale. In tale concezione primo dovere della società e dello Stato era quello di garantire la sopravvivenza dei bisognosi, adulti e bambini.

Nella seconda metà del 700 nacquero così diverse iniziative volte a migliorare le sorti dell’infanzia abbandonata: si cercò di provvedere meglio allo loro alimentazione e alla loro salute, ci si preoccupò di dar loro un’istruzione minimale.

Tra la fine del 700 e l’inizio dell’ 800 fiorirono in tutta Europa iniziative a favore dell’infanzia derelitta secondo una prospettiva connotata dall’attenzione e dal rispetto verso il bambino. Questi fenomeni pedagogici erano spesso animati da una forte tensione religiosa nel tentativo di ricreare, all’interno dell’Istituto scolastico e assistenziale, un’atmosfera affettiva famigliare. Un indirizzo molto distante dalle proposte di militarizzazione dell’infanzia abbandonata.

CAP. 2 - LA MILITARIZZAZIONE DEI FIGLI DEI SOLDATI NELL’EUROPA CENTRO-SETTENTRIONALE

Esercito permanente e figli di truppa

L’infanzia abbandonata non comprendeva solo gli esposti, ma pure gli orfani e i bambini che i genitori non erano in grado di accudire ed educare. I figli dei militari rientravano sovente in quest’ultima categoria. Se in Francia e negli Stati cattolici latini, dotati di brefotrofi, alto era il numero degli esposti, nei paesi protestanti molti bambini abbandonati erano orfani o figli di truppa. Non a caso, gli orfanotrofi militari sorsero ed ebbero grande sviluppo nell’Europa centrale, per iniziativa di sovrani illuminati come Federico II e Maria Teresa. Gli orfanotrofi militari sorti in Prussia, diffusi in Germania, nell’Impero asburgico, in Russia, avevano forti caratteristiche reclusive, che gradualmente si stemperarono sia nello stesso impero, in Toscana e infine in Francia, grazie alla diffusione della cultura illuministica. Nel corso del XVII e del XVIII secolo si affermò il principio dell’esercito permanente quale colonna portante. Questo passaggio, strettamente collegato alla rivoluzione militare fu accelerato in Francia dal Re Sole (Luigi XIV). Nel 1710 Luigi XIV poteva contare su di un’armata di 360.000 soldati. Gli altri paesi europei seguirono presto l’esempio. Restava però il problema del reclutamento di questi soldati: tra i soldati si trovavano esposti, ragazzi abbandonati e molti orfani: tutti giovani che evidentemente non riuscivano a procurarsi un sostentamento nella vita civile. La ferma era lunghissima: poteva arrivare fino a 30 anni.

Il fatto che i soldati provenissero dai ceti più umili e che il loro arruolamento fosse imposto o dalle autorità o dalla miseria, che li attanagliava nella vita civile, rendeva spinoso il problema della disciplina che divenne particolarmente dura. La durezza della disciplina fu portata al parossismo nell’esercito prussiano di Federico Guglielmo I e di suo figlio Federico II : le

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percosse e le punizioni corporali, di vario tipo, incluse l’amputazione del naso e delle orecchie. La ferrea disciplina prussiana provocava un altissimo tasso di diserzioni e suicidi nella fila dei soldati. La rigidità della disciplina e la metodicità dell’addestramento potevano garantire l’efficienza delle truppe, ma non la loro fedeltà, perlomeno non spontanea. I soldati erano visti con disprezzo dal popolo. Il fatto che l’esercito fosse considerato un potente fattore di disciplinamento, alternativo al carcere, spiega come mai in tutti gli stati si ricorresse al’arruolamento coatto di delinquenti e deviati, che coinvolgeva anche i delinquenti.(ex: Toscana-Leopoldo: indicò che i soldati o erano volontari o si arruolavano delinquenti e vagabondi; In Spagna – 1598 si prevedeva che i fanciulli poveri e abbondonati diventassero marinai. In Inghilterra – come in Spagna, ma non vi era sfruttamento).

La funzione dell’esercito non può essere riduttivamente identificata con l’opera di disciplinamento di marginali o deviati, perché coinvolgeva le fondamenta stesse del potere assoluto.

Per garantire la necessaria efficienza e fedeltà, l’esercito permanente imponeva che lo stato gli dedicasse particolari cure come l’adozione di particolari provvedimenti in favore dei soldati e delle loro famiglie, la cui tutela era sentita come un obbligo contratto dal sovrano verso chi fedelmente lo serviva. La lunghezza della ferma rendeva spinoso il problema del reinserimento nella società civile dei veterani. Luigi XIV tentò per primo dio risolvere il problema facendo erigere a Parigi nel 1670 L’Hotel des Invalides. In Inghilterra nel 1690 il Chelsie Hospital.

Nel corso del 700 vennero formandosi corpi autonomi di veterani. In Prussia nel 1705 si istituì l’Invalidenkasse, mentre in Piemonte dal 1710 si detrasse il 2% del soldo dei soldati per finanziare il corpo degli invalidi.

I conflitti del 1700 avevano reso drammatica la situazione dei ex militi: i sovrani cercavano di tutelare per ragioni umanitarie e di ordine pubblico questi ex soldati che rischiavano di divenire accattoni e ladri. Dagli anni 60 i veterani francesi ricevevano la pensione e venivano riforniti periodicamente di un’uniforme. Nacquero gli ospedali militari nel corso del 1700.

L’adozione di un esercito permanente comportò anche il problema dei figli dei soldati: in Francia i figli legittimi non erano numerosi poiché le autorità osteggiavano il matrimonio. Molto alto era invece il numero di questi bambini in Piemonte , Baviera Austria…

Numerosi ovunque erano i figli illegittimi.

Assai spesso i bambini vivevano con la madre presso la caserma. Nel 1763 nacque l’espressione bambini di truppa: arruolati ancora giovanissimi. Nel 1774 presso l’esercito asburgico si contavano 31.000 soldatenkinder. L’educazione di questi bambini era negletta: a volte i cappellani cattolici insegnavano a leggere e scrivere. La vita di questi bambini era difficile: sia per i problemi economici ma anche per la cattiva fama.

Gli orfanotrofi militari tedeschi

I figli dei militari venivano assimilati agli orfani.

A tutti questi bambini si impartì un’educazione militare e/o un’educazione al lavoro. Per non privare il paese di braccia per l’industria, Maria Teresa aveva già ordinato che le reclute adulte fossero collocate in reggimenti situati in prossimità di manifatture in modo da potervi essere

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nuovamente impiegate in assenza di operazioni belliche. Si introdusse così il lavoro manifatturiero negli orfanotrofi civili e militari obbligando i bambini a sforzi nocivi per la salute.

Gli orfanotrofi civili tedeschi sorsero nel 1600 quando in seguito alla guerra dei trent’anni crebbe a dismisura il numero dei piccoli senza famiglia : la loro erezione fu originata da ragioni di polizia e di ordine sociale. Sempre nel 1600 sorsero le case di lavoro volontario e forzato alle quali era spesso annesso un orfanotrofio: bambini orfani e poveri erano internati ai pari dei mendicanti, delinquenti, vagabondi, criminali e prostitute.

In questi istituti, regolati da un regime di vita tra il claustrale e il poliziesco, furono introdotti opifici interni, nei quali sin dai sette anni i bambini imparavano a filare. I fanciulli conducevano una vita simile a quella degli adulti con orari di lavoro massacranti.

Accanto a questi orfanotrofi nel 1700 nella Germania protestante ne nacquero altri di matrice pietistica. Modellati su quello di Halle di Francke avevano come fine quello della salvezza spirituale del povero attraverso l’educazione religiosa molto rigida. Nessuno spazio era riservato al gioco e al tempo libero.

Durante il settecento sorsero diversi orfanotrofi militari per i figli di soldati e orfani di guerra: primo fra tutti POTSDAM parzialmente ispirato all’esperienza pietista di Halle, aperto per volere del sovrano Federico Guglielmo I nel 1724. Super affollato si aprì anche una sezione femminile. Per il sovraffollamento la situazione sanitaria fu sempre molto grave nonostante gli sforzi del medico Christian Andreas Cothenius. Tra le malattie più diffuse la scabbia, lo scorbuto, le infezioni oculari….

Il regolamento a Potsdam prescritto dal sovrano Federico Guglielmo I:

• leggere scrivere e far di conto

• educazione al lavoro manuale

• educazione religiosa

• insegnamento dell’oboe o del tamburo

• pochi esercizi militari

• i maschi vestivano l’uniforme

Obiettivo pedagogico era quello di formare giovani che vivessero lodando Dio e che fossero in grado di procurarsi il lavoro con le loro mani, ma i maschi erano a disposizione dell’armata. A Potsdam più che insistere sullo sviluppo delle facoltà razionali si evidenziavano i valori dell’obbedienza, della diligenza e della subordinazione sociale.

Diverso era il trattamento riservato agli orfani di guerra figli di ufficiali, per i quali il curriculum scolastico dal 1750 si ampliava sino ad includere geometria, geografia, storia calligrafia e dal 1760 anche latino.

L’orfanotrofio non era sufficiente a tutti i soldati bambini per i quali nel 1778-1779 furono aperte delle scuole reggimentali. Federico Guglielmo II nel 1799 impose di usare in questo scuole testi di lettura nei quali non si sollecitasse la mente degli scolari per non far sorgere insoddisfazione per il proprio stato. Pertanto questi libri dovevano essere brevi e semplici e dovevano seguire la

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tradizionale forma catechetica (domanda-risposta) che applicava una didattica mnemonica. Fine dell’insegnamento era quello di sviluppare l’amor di patria e le virtù militari.

Il 16 febbraio 1806 l’orfanotrofio di Potsdam fu chiuso.

Potsdam fu comunque celebre e venne preso a modello in Sassonia. Federico Augusto I, re di Polonia, morendo lasciò una donazione benefica, suo figlio Augusto III decise di impegnare i fondi per istituire un orfanotrofio militare a Dresda che fu inaugurato nel 1736 aperto ai maschi di 6-12 anni. I valori che l’orfanotrofio si prefiggeva di instillare nei bambini erano quelli della puntualità, dell’obbedienza pronta, dell’esattezza e della precisione.

Tanto a Potsdam quanto a Dresda l’educazione propriamente militare si riduceva al vestire un’uniforme, al compiere esercizi più ginnici che militari e al fatto che l’orfanotrofio dipendeva amministrativamente dal ministro della guerra.

A Dresda, però, in età post-napoleonica migliorò la preparazione impartita ai ragazzi, tanto che dal 1824 l’orfanotrofio formò sottoufficiali e musicisti militari che dovevano compiervi i loro studi sino ai 17 anni.

Gli orfanotrofi militari asburgico

Nell’Impero asburgico non si diede una soluzione univoca al problema dei figli di truppa. A Maria Teresa non sfuggiva la questione sia per un’opera di carità cristiana sia per ottenere consenso che in quanto giovane sovrano donna non possedeva appieno. Formò i primi orfanotrofi strappando i bambini dalla convivenza con i pazzi, malati, delinquenti, mendicanti e vagabondi. I bambini furono sottoposti a un disciplina rigida. àNel 1754 la sovrana aveva disposto che nel Waisenhaus an Rennweg (fondato a Vienna nel 1742 dal canonico Franz Anton Merxer) fossero accolti orfani di soldati, di ufficiali, di borghesi e di artigiani, dai 6-12 anni, di entrambi i sessi.

Se i genitori erano viventi, dovevano produrre un attestato di povertà per ottenere l’accettazione. L’imperatrice voleva ne uscissero buoni artigiani o ragazze da mandare a servizio o bravi soldati. L’istituto andava riorganizzato e nel 1759 la sovrana affidò l’incarico al gesuita Ignaz Parhamer che si era già occupato con successo dell’educazione dei fanciulli. Parhamer impartì all’orfanotrofio un carattere fortemente militare che consentiva una disciplina interiore basata sull’obbedienza, sull’ordine e sulla sottomissione. Una parte degli esercizi militari era finalizzata all’irrobustimento fisico. I giochi non erano ammessi. Al lavoro si cantava, si pregava o si taceva. Il personale era in gran lunga costituito da ex militari. La disciplina interna era rigida con castighi e punizioni. Gli alunni imparavano a leggere, scrivere far di conto, ma anche geometria latino e geografia. Alle famiglie erano insegnati i lavori di cucito maglia e tombolo, ai maschi quelli di maglia e le professioni di sarto, falegname e calzolaio. Largo spazio era riservato all’educazione religiosa. La musica aveva un ruolo centrale e il coro e la banda costituirono uno dei motivi di attrazione dell’Istituto. In giorni particolari i fanciulli si esibivano pubblicamente in evoluzioni e nell’assalto alla trincea. Pilastri della spiritualità del Parhamer erano la promozione dell’educazione cristiana e la glorificazione politica degli Asburgo. L’istituto ebbe molta fama e ne vollero vedere il funzionamento diversi personaggi di spicco (i sovrani, Pio VI nel 1782). Dal 1762 l’Istituto accolse anche bambini paganti una retta.

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L’Istituzione tuttavia non sfuggì alle critiche: nel 1764 quando un ordine imperiale introdusse in tutti gli orfanotrofi le manifatture, Parhamer si oppose giudicando la filatura del cotone troppo pesante.

Osteggiato da chi lo accusava di non fornire soldati, ne lavoratori per le industrie, fu aspramente criticato anche dagli illuministi per la disciplina militare che imponeva ai bambini. Anche Giuseppe II (figlio di Maria Teresa) era alquanto critico nei confronti dei metodi educativi di Parhamer. Nel 1785 il sovrano, che aveva nel 1784 aperto un brefotrofio, destituì Parhamer che morì di lì a poco. Nell’orfanotrofio civile di Vienna rimase comunque la sua impronta.

• Nel 1750 fu eretto un orfanotrofio militare a Pettau in Slovenia. Dal 1768 fu riservato solo agli orfani militari. Oltre all’istruzione elementare, ai lavori manuali, alla musica da campo e agli esercizi militari, gli allievi dovevano lavorare per quattro ore al giorno la lana, il lino e la canapa. I ragazzi erano circa 200. Tra le punizioni erano previste il digiuno e gli arresti, mentre le battiture erano sconsigliate. Il Ministero della guerra raccomandava che il vitto e l’educazione fossero tali da abituare sin da bambini alle durezze della vita futura. Questo Istituto fu chiuso da Giuseppe II nel 1782.

• Maggior spazio ebbe il lavoro manifatturiero di Innsbruck e soprattutto nell’orfanotrofio militare di Klagenfurt fondato nel 1768 da Maria Teresa. Questo orfanotrofio nacque accanto alla fabbrica di panni dell’olandese Johann von Tys che en divenne il direttore. Preoccupato dal guadagno von Tsy sfruttò questi bambini in modo vergognoso costringendoli a lavorare al filatoio per 14 ore al giorno. Nessuna istruzione, il cibo era pessimo e la situazione igienico sanitaria catastrofica. Solo alla morte di von Tys nel 1774 l’orfanotrofio passò sotto l’amministrazione militare che introdusse l’istruzione elementare e religiosa, ma mantenne il lavoro in fabbrica. Nessuna educazione militare fu impartita ai fanciulli considerati solo forza lavoro.

Solo alla fine del settecento prevalse l’idea di inviare i figli di truppa spesso famiglie affidatarie per ricreare un rapporto parentale.

Privati dalla funzione pubblica di istituti nei quali si manifestava la cura sollecita del principe verso i suoi sudditi gli orfanotrofi perdevano interesse per i sovrani che non gradivano di doverli finanziare.

Non tutti i figli di truppa furono inviati in orfanotrofi militari o presso altre famiglie, anzi molti rimasero con i padri. Ciò provocava alcuni problemi. Nel 1780 Ignaz Felbiger si pronunciò a favore dei bambini soldati: egli curò la preparazione di maestri da inserire nelle caserme che avrebbero insegnato a tutti bambini e adulti. L’esperimento limitato al suolo austriaco ebbe vita breve perché incontrò l’opposizione di GiuseppeII, che lo giudicò contrario alla disciplina dell’esercito.

Per questa ragione istituì nel 1782 le scuole reggimentali, ma queste scuole si rivelarono un fallimento :l’insegnamento impartito non era uniforme, la disciplina militare era imposta troppo presto, le occupazioni erano troppo faticose, i fanciulli dormivano troppo poco. Sotto il peso di queste critiche anche le Scuole reggimentali furono chiuse nel 1805.

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La militarizzazione dei figli di truppa in Russia

I figli dei soldati furono obbligati a seguire le ombre dei padri e a servire nell’esercito ciò che avrebbe alleggerito il peso della leva sul popolo. Essi divennero proprietà del dipartimento militare, ovvero dello Stato, coem recitavano alcuni decreti. A sette anni i figli di militari cominciavano a vestire l’uniforme ed entravano nelle scuole di guarnigione. Nel 1798 lo zar Paolo I fece aprire un orfanotrofio militare a Gatchina dove vi erano due sezioni:

1-per i figli di nobili e ufficiali;

2-per i figli dei soldati.

La ferma fu ridotta a 25 anni. Per questa ragione molti soldati tenevano nascosta l’identità dei figli e le madre stesse li portavano al brefotrofio spacciandoli per illegittimi, per poi riprenderli quali balie. In questo modo sfuggirono ben 11.000 figli di soldati.

Il caso inglese

L’Inghilterra non possedeva un esercito permanente quale quelli continentali, ma sin dall’età dei Tudor aveva potenziato la marina.

In Inghilterra i sovrani si interessarono alla tutela dei figli dei marinai: già nel 1673 era stata aperta la Royal Mathematical Shool. nel 1712 fu istituita la Royal Hospital School per l’educazione dei figli dei marinai. Molti ragazzi senza famiglia venivano imbarcati. Un act del 1703 stabilì che i ragazzi poveri dai 10 ai 18 anni fossero arruolati in marina. Nel 1756 fu fondata la Marine Society che intendeva riabilitare i giovani poveri e deviati inviandoli al servizio navale per il bene loro e per la grandezza della nazione. Era anche considerato un mezzo per consentire a questi ragazzi di riabilitarsi. I ragazzi erano trattati benevolmente e potevano giocare e beneficiavano di un apprendistato che poteva loro garantire un miglioramento sociale. La marina britannica consentiva ai giovani di fare carriera in base al merito, ovvero all’abilità e all’esperienza (era possibile che anche uomini di modeste origini potessero raggiungere il comando).

La guerra dei sette anni segnò un aumento nel numero degli orfani di guerra.

• La prima iniziativa a favore si rivolse ai figli dei marinai: la Military School. In essa tutti i ragazzi erano educati al credo protestante e preparati al servizio militare. Nel 1838 il governo cessò di concedere sussidi ed esso si resse sulle donazioni private. Il numero dei ragazzini presenti si ridimensionò. La scuola rimase attiva fino al novecento.

• Nel 1769 il sovrano approvò e finanziò la costituzione di una società per la tutela dei figli di truppa e degli orfani di guerra. A Dublino fu fondata la Hibernian Military School.

Tutti erano educati alla fede anglicana. la disciplina interna della scuola era di tipo militare, il direttore era chiamato comandante e i fanciulli erano divisi in compagnie. Al termine degli studi i ragazzi potevano scegliere tra l’andare a bottega o entrare in marina. L’istituto chiuse nel 1922 uando i suoi allievi ridotti a 200 furono trasferiti a …

• …Dover alla Duke of York’s Military School istituto che era stato fondato nel 1803 a Londra per orfani di guerra. L’istituzione, connotata da una forte impronta militare, continuò a vivere e nel 1909 fu trasferita a Dover ove ancora oggi si trova.

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Il caso inglese si differenzia da quello degli altri Stati europei. Ai ragazzi era impartita un’istruzione elementare e in alcuni casi anche seconaria. Gli istituti assolvevano a una funzione assistenziale e preventiva che potevano dare la possibilità di una certa ascesa sociale.

Durante l’età vittoriana la propaganda nazionale cominciò ad attribuire all’esercito un ruolo socialmente positivo.

CAP. 3 - L’EDUCAZIONE MILITARE DEI FIGLI DEI SOLDATI IN ITALIA E IN FRANCIA

Realizzazioni e progetti nel Piemonte sabaudo

Anche nel Piemonte Sabaudo si ipotizzò l’idea di un Istituto riservato agli orfani di guerra: progetto dettato da ragioni umanitarie, ma soprattutto rispondeva all’esigenza di rafforzare l’esercito innalzando il morale degli uomini e procurando un serbatoio di reclute.

Per procacciare i fondi necessari all’erezione e al mantenimento dell’orfanotrofio militare si suggeriva di ricorrere alle rendite ecclesiastiche. Qualora tale orfanotrofio si sarebbe potuto aprire a tutti i figli di truppa, ai veterani e agli invalidi. Il progetto non ebbe seguito.

Quarant’anni dopo 1770 fu fondato un ritiro per le figlie di militari per iniziativa della Compagnia del San Sudario che rimase attivo fino al 1873.

Nel 1774 furono raccolte una 40 di fanciulle di età superiore ai 10 anni che furono poste al lavoro di cucito e maglieria. L’istituto accoglieva solo le ragazze sane, nubili, figlie legittime con padre in fanteria o cavalleria. Fine dell’istituto era quello di educarle nelle massime della religione dando loro un’educazione morale che ne provasse i costumi e di educarle al lavoro. Non era prevista nessuna forma di alfabetizzazione.

Nel 1789 il conte di Caluso suggerì di incoraggiare il matrimonio di soldati: le donne si sarebbero potute occupare nei lavori tessili per l’esercito e i bambini a sei anni sarebbero stati accolti in appositi istituti. I maschi avrebbero dovuto ricevere un’istruzione elementare e religiosa ed essere sottoposti ad una disciplina militare. Gli Istituti dovevano essere diretti da un ufficiale, il personale sarebbe stato costituito da militari.

Il Conservatorio militare leopoldino di Livorno

Nella Toscana di Pietro Leopoldo fu realizzato un orfanotrofio: nel 1781 aprì a Livorno un conservatorio per i figli e le figlie dei militari. Questo orfanotrofio rivestiva caratteristiche che lo iscrivevano nel corso di una pedagogia ispirata alla dolcezza a uno stile educativo amorevole, nel quale lo stato non veniva a sostituirsi alla famiglia, ma piuttosto interveniva per aiutarla avendo come fine la tutela dei figli di truppa e non il loro sfruttamento. Incitando a usare con le reclute carità e pazienza limitò drasticamente l’uso delle punizioni corporali, ordinando la degradazione degli ufficiali che avessero percosso un subalterno di loro arbitrio.

Il soldato era un uomo degno di rispetto da non sfruttare. pur conservando tradizionali sistemi di arruolamento (discoli e vagabondi), Pietro Leopoldo estese anche all’esercito i principi di riforma e di moralizzazione della società, che volle applicare anche in campo economico, amministrativo, giudiziario e scolastico.

Il Conservatorio militare di Livorno dipendeva dall’amministrazione militare.

La sua direzione era affidata a un sovraintendente che dipendeva dal colonnello del Reggimento toscano. Un capitano era nominato ispettore. Entrambi dovevano esercitare una

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vigilanza rigorosa e continua controllando la qualità del servizio. La spesa era sostenuta dal commissario di guerra, ma ogni padre era tenuto a versare un soldo e quattro denari al giorno. L’età di ingresso era dai sei anni. I maschi imparavano l’istruzione elementare e sceglievano un mestiere nel quale si sentivano portati. Le femmine imparavano a leggere e a fare i lavori donneschi. Il denaro guadagnato dai ragazzi era custodito dal Conservatorio, che ne dava loro metà affinché potessero comprarsi qualche capo di vestiario e abituarsi ad amministrare i soldi.

L’altra metà era loro resa all’atto di lasciare l’Istituto. I soldatini non perdevano i contatti con la famiglia: i genitori potevano recarsi al Conservatorio due volte alla settimana. Vitto e igiene sufficiente. L’arrivo delle truppe francesi nel 1799 provocò la chiusura di questo istituto.

Le scuole militari per orfani di guerra e figli di soldati in Francia

In Francia la monarchia non fondò alcun orfanotrofio militare, probabilmente perché, il numero dei figli di truppa era esiguo rispetto a quello di altri Stati europei.

• L’esperienza più significativa è quella iniziata nel 1773 da Pawlet che a sue spese avviò a Parigi una scuola che nel 1788 ottenne la protezione reale e il finanziamento statale. ECOLE DES ORPHELINS MILITAIRES. L’Istituto in realtà era aperto ad allievi di estrazione nobile, borghese e popolare. Pawlet si preoccupava di incoraggiare le naturali inclinazioni dei fanciulli con un curriculum di studi diversificato e modellato non solo sul ceto sociale, ma anche sulle capacità dagli allievi. Il sistema educativo si fondava sul principio dell’emulazione e sull’autodisciplina. Gli scolari erano divisi in piccole unità comandate da ufficiali da loro stessi eletti: si abituavano così tanto ad obbedire quanto a comandare. Pawlet mirava a rafforzare le motivazioni, quindi lodava molto e non permetteva castighi corporali. La domenica si svolgevano esercizi paramilitari. Varie erano le maerie di insegnamento proposte che includevano anche il latino, il tedesco e l’inglese. A 16 anni gli allievi potevano seguire la carriera militare o scegliere un lavoro. Solo che non aveva sviluppato alcuna attitudine particolare diveniva soldato semplice.

• Nel 1788 il duca de la Rochefoucauld-Liancourt dopo autorizzazione reale, presso la sua proprietà a Liancourt l’ECOLE DES INFANTES DE L’ARMEE. La scuola era ispirata al modello di Pawlet e alle scuole di fabbrica inglese. Gli insegnanti erano ufficiali. L’Istituto aveva caratteristiche professionale, poiché accanto a un programma di alfabetizzazione elementare e agli esercizi militari era previsto l’apprendimento di un mestiere.

• Entrambe queste esperienze francesi nascevano da una marcata sensibilità nei confronti della gioventù povera e senza famiglia che si saldava a una moderna consapevolezza della necessità di tutelare i figli di chi combatteva.

CAP. 4 - LA FIGURA DEL FANCIULLO SOLDATO NELLA FRANCIA RIVOLUZIONARIA

La legislazione rivoluzionaria: i “figli della patria”

La Rivoluzione francese introdusse importanti cambiamenti nell’ambito dell’assistenza all’infanzia. Il duca de Liancourt si prefisse di dare ai bambini abbandonati un’educazione che li rendesse utili allo stato. Non solo egli chiese precise migliorie igieniche e sanitarie, ma avanzò osservazioni di ordine psicologico che mettono in rilievo l’importanza del legame affettivo

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madre-figlio. Privi della madre naturale, gli esposti dovevano essere inseriti in una nuova fa,miglia che ricreasse un rapporto d’amore.

Questi bambini non conoscevano l’amore parentale. Per questa ragione era loro estranea l’idea di dovere, che nasceva in seno alla famiglia e diventavano così cittadini inutili. Era dunque ncessario prevedere l’abbandono, aiutare le famiglie povere con elargizioni di denaro.

Solo l’educazione famigliare poteva garantire un’adeguata formazione morale.

Le parole del duca riflettevano una rivalutazione dell’amore materno e della funzione educativa della donan che si deve a Pestolazzi, le cui idee avevano avuto un eco notevole, tanto che nel 1792 egli ricevette la cittadinanza onoraria della Repubblica francese. Nel 1783 il pedagogista svizzero aveva pubblicato Legislazione e infanticidio in cui sostenne che il problema dell’infanticidio doveva essere affrontato secondo un’ottica socio-educativa di prevenzione.

Non una parola di condanna aveva pronunciato Pestolazzi nei confronti delle madre assassine, riservando loro la pietà cristiana e definendole non criminali ma vittime.

Nel 1786 Robespierre aveva sostenuto la pratica dell’adozione. La legge sull’adozione del 18 agosto 1792 restò largamente disattesa, perché poche furono le famiglie che adottarono un esposto. La legislazione rivoluzionaria attribuì allo Stato il compito di provvedere agli orfani e agli esposti (tra l’altro aiutando le madri nubili) mettendoli significativamente sullo stesso piano dei bambini poveri con famiglia. La nazione intera diveniva simbolicamente madre dei bambini abbandonati ed era suo dovere aiutarli. Gli orfani erano adottati dalla nazione. Il decreto del 28 giugno

1793 definiva ufficialmente i trovatelli enfantes naturels de la patrie. Molti trovatelli ricevettero un nome rivoluzionario. La fratellanza laica garantiva a tutti i bambini l’eguaglianza giuridica dei diritti. L’accento democratico e umanitario di questa legislazione traspare da due importanti provvedimenti tesi ad omologare agli altri i bambini abbandonati: la proibizione del marchio a fuoco e l’abolizione del cognome unico per chi era lasciato nella ruota.

Rivoluzione e infanzia: l’eroe-bambino

In epoca rivoluzionaria le idee di infanzia e di istruzione acquisirono una rilevanza notevole: il bambino diventa simbolo della purezza, dell’innocenza e della forza della Rivoluzione stessa: il fanciullo incarnava la speranza per il futuro della Repubblica come indicavano i nomi dei battaglioni dei fanciulli.

Nel piano educativo presentato alla Convenzione da Bouquier il primo dicembre 1793, il lavoro manuale e la fatica fisica erano indicati come mezzi efficaci per fortificare la volontà infondendo lo spirito di sacrificio proprio del buon repubblicano. I sanculotti incoraggiavano la formazione di società giovanili, dal 1792 sorsero battaglioni di ragazzi.

La formazione del soldato sanculotto fu affidata alla Ecole de Mars, un tentativo durato quattro mesi, nonostante il carattere effimero dell’iniziativa, questi enfantes des sanculottes divennero sottoufficiali e ufficiali in età napoleonica.

Il nuovo ruolo simbolico attribuito al bambino emerse nella festa rivoluzionaria del 1792. I bambini armati di sciabole che partecipavano alla festa, rappresentavano il cittadino pronto a difendere la patria. Così nelle feste vi era un rituale in cui i ragazzi di 16 anni ricevevano le armi.

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Ma più che la figura del ragazzo soldato fu quella del bambino soldato martire a veicolare un messaggio politico nuovo. L’eroe bambino si incarnava in Joseph Bara, tredicenne al seguito dell’esercito repubblicano ucciso dai vandeani il 7 dicembre 1793. Accanto al culto civico a Bara, si diffuse il culto di Joseph Viala, tredicenne ucciso l’8 luglio 1793 dai federalisti marsigliesi. Entrambi resi immortali dalla loro morte eroica, incarnavano l’uomo nuovo.

Il martire bambino era una figura con un significato plurimo. Era doppiamente simbolo dell’uomo nuovo in quanto giovane e incorrotto e in quanto milite: il soldato della Repubblica era investito di significato profondamente diversi rispetto al milite dell’antico regime.

L’identificazione dell’uomo novo con l’eroe bambino, infatti si presentava come un doppio ossimoro. L’infanzia, età della debolezza fisica e del non sapere diveniva modello di virtù morale e di coraggio militare. Il fanciullo era il vero adulto.

Questo processo riprendeva e modificava il mito cristiano del martire bambino, dandogli un contenuto politico, ma conservandogli una cornice sacra.

I giovani Bara e Viola avevano sconfitto la morte secondo la teologia laica rivoluzionaria. Nella festa degli anni del Direttorio, il bambino perse la sua veste eroica e guerresca, per divenire semplicemente lo scolaro disciplinato: parimenti le esperienze di gioventù in armi, storicamente realizzatesi tra l’anno II e l’anno III, vennero troncate.

L’educazione dei “figli della patria” nella pedagogia giacobina

Fu naturalmente la progettualità scolastico-educativa a farsi carico delle nuove istanze di rigenerazione nazionale dell’infanzia. La realizzazione più significativa in questo campo fu la scuola fondata nel 1792 a Parigi dal giacobino Bourdon già noto per le sue proposte pedagogiche, fautore della scristianizzazione accolse gratuitamente orfani di militari accanto ad allievi paganti, educandoli secondo un modello largamente simile a quello di Pawlet: pedagogia di matrice sensista, mutuo insegnamento, emulazione, disciplina interna affidata agli studenti, ampio ventaglio di insegnamenti. Bourdon intendeva dare ai fanciulli una formazione completa. La scuola ebbe un notevole successo.

Altri come Delacroix nel 1793 proposero di educare insieme orfani e bambini poveri: l’attenzione a orfani ed esposti diveniva un aspetto del più ampio problema del’educazione nazionale. Tutti i bambini appartenevano non alla famiglia, ma allo Stato cui spettava non solo il dovere, ma il diritto di educare tutti i cittadini. L’educazione familiare era vista con sospetto in quanto poteva conservare tracce dei vecchi errori.

Nel luglio del 1793 Robespierre presentò alla Convenzione il piano di educazione nazionale che Michel Lepeletier aveva redatto poco prima di essere ucciso. Questo piano mirava non tanto ad insegnare un sapere, quanto a far acquisire stabilmente dei comportamenti. Il piano prevedeva che l’istruzione dei fanciulli fosse nazionale, uniforme e obbligatoria. Tutti i bambini dai cinque sino ai dodici anni e tutte le bambine dai cinque agli undici sarebbero stati educati in comune in appositi istituti a spese della Repubblica.

Il sistema educativo sarebbe stato improntato alla massima austerità e a un controllo continuo; forgiando l’uomo nuovo, lavoratore coscienzioso, dedito alla patria, privo di superstizioni e moralmente integro. Ai bambini si sarebbero impartiti nozioni semplici: il catechismo

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repubblicano naturalmente avrebbe avuto un ruolo centrale, come pure l’educazione al lavoro e agli esercizi ginnici.

La rivoluzione francese operò un profondo rinnovamento giuridico e sociale nel settore dell’infanzia abbandonata, dall’altro ne favorì la reclusione e la militarizzazione. La contraddizione del resto rifletteva l’interna tensione tra pensiero liberal-costituzionale e spinte giacobine.

CAP. 5 - ASSISTENZA E MILITARIZZAZIONE DELL’INFANZIA ABBANDONATA NELL’IMPERO NAPOLEONICO

Gli anni del Direttorio

La notte del 9 termidoro (nel calendario rivoluzionario francese corrispondeva al periodo compreso tra il 19/20 luglio e il 17/18 agosto), alcuni allievi della Ecole des Enfantes de la Patrie avevano partecipato all’assalto del Comune guidati da Bourdon che fu poi incarcerato dai moderati, dietro l’accusa di terrorismo. La sua scuola come quella di Pawlet, venne chiusa. Gli allievi di entrambe furono raccolti a Liancourt, nell’Istituto di La Rochefoucauld. Dopo il Termidoro i progetti pedagogici giacobini presero consistenza politica. Nel frattempo, i principi d’eguaglianza affermati a livello legislativo non avevano prodotto un miglioramento effettivo delle condizioni di vita dell’infanzia anzi i provvedimenti contro il clero ostacolarono pesantemente l’organizzazione assistenziale, che tra il 1795 e il 1800 attraversò una crisi grandissima. La mancanza di fondi e la necessità di riservare gli ospedali ai soldati feriti ebbero gravi ripercussioni sulla struttura assistenziale. A fronte delle difficoltà organizzative e finanziarie, il numero dei bambini abbandonati alla ruota continuò a salire: negli anni 90 il numero degli esposti in tutta la Francia toccava le 40000 unità.

Il Direttorio e il Consolato ripresero e in parte modificarono l’opera rivoluzionaria creando un fondo speciale per il soccorso ai bambini abbandonati, dettando norme uniformi per la loro assistenza e per il baliatico, cercando di incoraggiare finanziariamente le nutrici, premiando quelle che riuscivano a far sopravvivere il bambino loro affidato e che continuavano a mantenerlo anche dopo i 12 anni. Nel 1795 il Direttorio emanò un decreto che assegnava all’amministrazione locale il carico finanziario per l’infanzia abbandonata. Nel 1801 le spese furono assegnate ai dipartimenti. Nello stesso anno fu creato il Conseil General des Hospices, sotto la giurisdizione del mistero degli interni. Tutti gli enti assistenziali furono denominati hospices e posti sotto il controllo di un direttore generale e della commissione amministrativa nazionale.

Il ministro degli interni Jean-Antoine Chaptal nel 1801 inviò una circolare ai prefetti nella quale chiedeva di controllare l’operato delle balie per garantire la sopravvivenza dei bambini.

Il tema dell’educazione militare dell’infanzia abbandonata continuò a fermentare. Bourdon scarcerato propose nel 1798 di fondare un istituto per orfani militari e per ragazze senza famiglia.

A Parigi per diretto interessamento di Napoleonericevettero un’educazione militare i ragazzi della Maison Nationale des Eleves de la Patrie, un istituto che raccoglieva circa 1500 fanciulli

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dai 4 ai 17 anni, i quali erano orfani, figli di soldati, figli di genitori indigenti, ragazze delinquenti e vagabondi.

Nel 1799 il ministro degli interni appoggiò la proposta di un armaiolo parigino che offriva di introdurre nell’istituto un’officina per insegnare ai ragazzi a riparare armi, ma il ministro della guerra bocciò l’idea per ragioni di prudenza e di economia, non desiderando concentrare armi a Parigi. L’agente di sorveglianza incaricato di dirigere l’educazione della Maison Nationale e provvide ad introdurre esercizi militari e di migliorare l’istruzione impartita ai fanciulli: sua intenzione era formare buoni soldati e buoni maestri.

Ispezionata dal capo brigata Giobert il 28 marzo 1800, la Maison Nationale ottenne un giudizio favorevole. I ragazzi più grandi erano riuniti in un battaglione detto degli Eleves de la Patrie che era composto da 225 fanciulli dai 9 ai 15 anni e da 10 giovani di 16-17 anni.

In occasione della festa della Bastiglia, il 14 giugno 1800, il battaglione degli Eleves de la Patrie fu ammirato tanto da suscitare l’interesse del ministro degli interni, che concesse di erigere nella Maison Nationale un nuovo edificio per un’infermeria in grado di ospitare 300 malati. Napoleone dispose che dalla fabbrica di Liegi fossero inviati per gli Eleves 250 piccoli fucili ed approvò il piano di educazione militare proposto dall’agente di sorveglianza. Questi propose di dare agli allievi anche un’educazione musicale. Il fulcro della formazione di questi fanciulli doveva comunque essere l’educazione morale, poiché privi di famiglia, essi amncavano di principi etico-religiosi. Egli lamentava la commistione di bambini poveri e orfani con ragzzi vagabondi e delinquenti che gli erano stati incarcerati e che introducevano nell’istituto i vizi che avevano appreso nel carcere e nella strada: questi giovani dovevano essere separati in un altro edificio.

L’assistenza agli orfani militari venne riorganizzata. Il duca di La Rochefoucauld, rientrato in patria, nel 1799 persuase il primo console a trasferire a Compiegne ciò che rimaneva della sua scuola di Liancourt.

L’istituto venne destinato a 400 ragazzi, orfani militari o figli di ufficiali. e soldati di merito distinto. Il programma era ampio e spaziava. Ma quando nel 1805 il duca ispezionò la scuola, la trovò in uno stato deplorevole. Nel 1806 l’istituto fi trasferito a Chalons-sur-Marne e solo con la Restaurazione La Rochefoucauld riuscì a modificare definitivamente il programma dell’istituto: il carattere militare fu attenuato e la qualità dell’insenamneto tecnico fu progressivamente migliorata, sicchè questa prima Ecole des art set metiers si impose come modello.

La legislazione imperiale sull’infanzia abbandonata

Durante l’impero Napoleonico proseguì l’opera di riorganizzazione e di controllo degli enti assistenziali. La legge 4 febbraio 1805 affidò agli istituti di beneficenza la tutela giuridica sui bambini abbandonati sino al raggiungimento della maggiore età, con il compimento dei 21 anni, assegnando a tali enti i diritti e i doveri che il Codice Napoleone attribuiva ai genitori. Questi ragazzi erano considerati FIGLI DELLO STATO. A seguito del progressivo aumento delle esposizioni, facilitate dal fatto che il Codice Napoleone non imponeva la ricerca della paternità, la situazione nei brefotrofi si fece esplosiva. Il primo gennaio 1810 risultavano esservi in Francia quasi 81.000 ragazzi senza famiglia.

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Ciò obbligava gli ospedali a un maggior esborso per pagare un numero maggiore di balie che spesso si ribellavano poiché non venivano pagate. Informato sulla situazione Napoleone decise che le ragioni di bilancio potevano sposarsi con le esigenze della guerra. Reclutare questi ragazzi in giovane età significava sgravare di spese gli istituti assistenziali e aumentare le reclute di un esercito in costante bisogno d’uomini, senza provocare risentimento tra la popolazione.

Il 19 gennaio 1911 fu prolungato il decreto che regolamentava la carità pubblica concernente l’infanzia. Il decreto sottoponeva gli orfani allo stesso regime degli esposti, assegnando loro eguali doveri verso lo stato. Questa concezione considerava tutti i bambini senza famiglia quali figli dello Stato. Il decreto imponeva apertura di una ruota in ogni brefotrofio dell’Impero facilitando così la pratica dell’abbandono.

Il provvedimento poi prevedeva la permanenza dei piccoli esposti presso balie stipendiate sino a sei anni, età nella quale sarebbero stati collocati presso contadini o artigiani pure retribuiti. I familiari che avessero reclamato la restituzione del figlio abbandonato erano tenuti a rifondere l’ente assistenziale delle spese sostenute per il suo mantenimento. Inoltre non avrebbero più potuto reclamare il figlio maschio dopo che questi avesse compiuto dieci anni, se non a una condizione; e cioè che egli andasse alle armi alla prima chiamata.

Il decreto stabiliva che a 12 anni i maschi di robusta costituzione fossero a disposizione del ministro della marina.

Il reggimento dei Pupilli della Guardia

Napoleone nel 1811 decise di dare vita a un reggimento formato da ragazzi senza famiglia rimasti a carico degli enti assistenziali. Questa idea fu concretizzata sulla base di un’esperienza olandese. All’Aja esisteva un istituto per orfani poveri e orfani militari che destinava questi ragazzi all’esercito. Luigi Bonaparte istituì per loro il corpo dei Veliti reali. Quando l’Olanda fu unita all’impero, nel 1810, questo corpo fu trasferito a Versailles. L’orfanotrofio dell’Aja fu posto sotto il controllo del ministro degli interni.

Il 30 marzo 1811 Napoleone emanò il decreto con il quale diede vita al Reggimento dei Pupilli della guardia, inserendovi i Veliti olandesi, che sciolse come corpo speciale. L’uniforme bianca e verde era tuttavia ispirata a quella dei Veliti.

Questo reggimento di fanteria doveva arrivare a contare nove battaglioni per un totale di 8000 giovani. Ogni dipartimento doveva inviare un contingente prestabilito e proporzionato al numero di ragazzi che ospitava. Una volta radunati questi giovinetti dovevano essere esaminati da una commissione medica militare. L’altezza minima prescritta era di 1,54 m. Quelli dichiarati abili erano inviati a Versailles con scorta militare. Se si ammalavano durante il viaggio erano affidati a un ospedale.

A Versailles subivano una seconda visita medica più rigorosa. Coloro che risultavano esclusi tornavano agli istituti dai quali erano usciti, gli altri iniziavano l’addestramento militare terminato il quale i più grandi entravano in altri corpi.

Il numero effettivo dei Pupilli è stato stimato in circa 5300. Nonostante gli sforzi dei prefetti non si riuscì mai a raggiungere la cifra stabilita da Napoleone (8000). A 12 anni infatti, i maschi erano collocati presso artigiani o contadini.

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Solo i malati restavano a carico degli istituti. è evidente quindi che reclutare ragazzi robusti tra loro non era impresa facile.

Tra il giorno del loro arrivo a Versailles e quello della visita trascorrevano 8-9 mesi che consentivano ai ragazzi di riprendersi dalle fatiche di un viaggio spesso lungo e faticoso, normalmente compiuto a piedi.

La scarsezza di Pupilli obbligò ad inserire nel reggimento anche i volontari (11% del totale) in genere figli di genitori indigenti. Napoleone che era contrario inizialmente, obbligò che essi fossero alti almeno 1.64 m. Il ministro degli interni Montelivet era persuaso che l’arruolamento tra i pupilli potesse essere il mezzo per strappare questa gioventù da un sicuro triste destino.

I pupilli godevano di alcune speciali condizioni:

-ricevevano un soldo pieno, ma marciavano meno rispetto agli altri militari;

-c’era un maestro ogni 200 giovani

-vi era la scuola per tamburini e trombettieri

-non si applicava la legge marziale.

Il reggimento fu sciolto il 31 luglio 1814. Molti pupilli rientrarono nei loro paesi di origine, ma alcuni restarono nell’esercito. Più della metà dei Pupilli italiani scelse di rimanere nell’esercito francese.

Il soldato rivoluzionario e napoleonico rivestiva caratteristiche speciali e nuove:

-non era un mercenario, ma un cittadino chiamato alle armi della patria;

-apparteneva ad un esercito nel quale era premiato il valore e non la nobiltà di sangue

-veniva guardato con rispetto

-veniva preparato rapidamente ed efficacemente

- la patria riconosceva i suoi obblighi verso i soldati garantendo assistenza agli invalidi, ai veterani, alle vedove e agli orfani.

Napoleone era il padre dei suoi soldati oggetto di un’ammirazione e di una fedeltà sconfinante, raramente riscontrabili nel corso della storia.

In questa prospettiva la militarizzazione dei trovatelli voluta da Napoleone non era estranea a istanze democratiche. In relatà il quadro appare meno positivo: vita dura e difficile del soldato, mancanza di rifornimenti, cibo, pessime condizioni igieniche.

Giudicato in sede storiografica come esempio di sfruttamento giovanile o come tentativo illuminato di liberazione, il Reggimento dei Pupilli coniugava istanze rivoluzionarie e tendenze conservatrici.

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CAP. 6 - LA MILITARIZZAZIONE DEGLI ORFANI E DEGLI ESPOSTI DURANTE LA REPUBBLICA CISALPINA

L’educazione dei “figli della patria” nel pensiero dei giacobini italiani

Negli anni della prima e della seconda Repubblica Cisalpina si si propagarono gli ideali giacobini di uguaglianza e democrazia che, applicati in campo pedagogico, si tradussero in un forte impegno per una formazione morale, nazionale e militare dell’intera gioventù, e non solo dell’infanzia abbandonata.

I patrioti giacobini italiani volevano rigenerare la società. La formulazione più radicale è quella di Girolamo Bocalosi, il quale nel 1797 scriveva che l’educazione doveva formare uomini tutti nuovi di corpo e di animo che ameranno la democrazia e aboliranno l’aristocrazia.

La robustezza fisica per i giacobini era sinonimo di libertà etico politica: di qui l’importanza dell’educazione fisica e ginnica.

In questa prospettiva utopica sembravano svanire gli orrori delle malattie , ma ricordando la realtà delle patologie neonatali, Bocalosi valorizzava il pensiero spartano che prevedeva di “far fuori” i nati malformati.

Troviamo anche Melchiorre Gioia, nelle sue Effemeridi Repubblicane del 1797, aveva usato accenti fortemente giacobini nel propugnare un’educazione nazionale alle armi. Anche Vincenzo Cuoco criticava l’utopia dei modelli rivoluzionari, sosteneva tuttavia l’ideale del cittadino-soldato, uomo virtuoso, orgoglioso della propria patria.

Il Battiglione della Speranza: propaganda e realtà

In attesa della legge sulla coscrizione, nella repubblica Cisalpina si organizzarono dei battaglioni di giovinetti poveri da esercitare alle armi, aggregandoli alla Guardia Nazionale e assegnando loro un ruolo pubblico in occasione delle feste politiche. A pochi mesi dall’ingresso di Bonaparte a Milano, avvenuto il 15 maggio 1796 in seguito alla Battaglia di Lodi, risultava già costituito a Milano il primo Battaglione della Speranza, che prese parte alla festa federativa del 14 luglio.

Ne facevano parte 300 ragazzi, 140 dei quali erano orfani: ricevettero l’uniforme a spese del comune e furono addestrati da due ufficiali della Guardia nazionale.

In questa prima fase gli orfani costituivano circa la metà del contingente e non provenivano ancora all’orfanotrofio dei cosiddetti Martinitt, i quali nel frattempo, non restarono estranei all’atmosfera di fermento, di eccitazione e di entusiasmo che si era diffuso a Milano, presso alcuni strati delle masse popolari, sin dall’arrivo delle truppe del Bonaparte.

Il contatto con i soldati francesi favorì la penetrazione degli ideali repubblicani nell’orfanotrofio. L’adesione all’ideologia democratica, l’avversione alle pratiche religiose imposte loro dai padri somaschi, la volontà di riscatto sociale e il desiderio di evasione indussero alcuni ragazzi, l’8 febbraio 1797, a fuggire per tentare di arruolarsi.

Il milite repubblicano era dotato di virtù, era l’uomo nuovo, libero. Vestire l’uniforme sin da piccolo era un segno esteriore di un avvenuto rinnovamento interiore, che rendeva pubblica la trasformazione antropologica avvenuta. Di qui la necessità che si attivassero su tutto il suolo della Repubblica i Battaglioni della Speranza, includendovi non solo gli orfani, bensì tutti i

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ragazzi dai 7 ai 17 anni. I contadini, per la loro povertà sarebbero stati esentati dall’uniforme, affermava il ministro Ragazzi, ma avrebbero comunque potuto diventare ufficiali. Tutti gli altri avrebbero vestito un abito verde scuro a simboleggiare la speranza della patria in una generazione rinnovellata. Si sarebbe dovuto stampare un libretto sulla disciplina militare da utilizzare per l’istruzione di questi ragazzi.

Questi progetti di stampo democratico restarono però inattuali probabilmente perché i comuni non avevano alcuna voglia di sobbarcarsi la spesa ne avevano un diffuso zelo rivoluzionario.

La rivoluzione politica non era preceduta dalla rigenerazione morale e civile che veniva ad essere effetto e non causa di essa rendendo così assai fragili le basi del Nuovo Stato.

In questa situazione particolare importanza assumeva la figura del bambino che incarnava l’uomo nuovo, nato dopo la liberazione, portatore di innocenza e di virtù. L’infanzia e l’adolescenza erano identificate rispettivamente con la ragione e con la forza, a testimoniare, l’avvenuta trasfigurazione dell’uomo.

Il nucleo più compatto del Battaglione della Speranza, conquistato agli ideali repubblicani, era costituito dai Martinitt. Questo spirito democratico suscitò ben presto le ansie della municipalità, giacché si era tradotto in ripetuti e gravi atti di insubordinazione all’interno dell’istituto. L’adesione ai nuovi ideali eccitava un certo spirito di ribellione nei confronti dei superiori. Il clima interno dell’istituto divenne estremamente teso e fu impossibile tenervi i consueti esami di fine ano scolastico. I rapporti tra i ragazzi e i padri somaschi si fecero così conflittuali, da indurre i padri ad abbandonare, nell’estate del 98, l’orfanotrofio, provvisoriamente affidato all’istruttore militare. Il ministro degli interni Guicciardi propose di convertire l’istituto in una scuola di educazione militare per poveri orfani, abolendovi nel contempo l’insegnamento della religione. Ma le intemperanze dei ragazzi avevano notevolmente preoccupato anche le autorità municipali e governative, sicché l’orfanotrofio fu nuovamente affidato a un religioso e riportato a una situazione di normalità tra il ‘98 e il ‘99. I ragazzi non sembravano apprendere dalla disciplina militare i concetti di ossequio gerarchico e di obbedienza pronta, vivendola piuttosto come momento ludico nel quale affermare una propria indipendenza nei confronti di autorità religiose o civili.

Il battaglione della Speranza dopo la comparsa alla festa del 14 luglio 1801 non diede più notizie. La restaurata disciplina imposta ai Martinitt, la scarsa propensione degli amministratori dipartimentali a sostenere le spese necessarie, le preoccupazioni di ordine pubblico concorsero a decretare la fine di questo corpo d’imitazione francese.

I progetti di militarizzazione dell’infanzia abbandonata di Compagnoni e Gioia

Nel biennio della Repubblica italiana tornarono a proporsi i temi dell’assistenza all’infanzia abbandonata e dell’eventuale sua militarizzazione.

Il crescente incremento degli abbandoni, confermato dall’indagine del 1802 e le difficoltà di ordine finanziario stimolavano a un ripensamento dell’organizzazione dell’infanzia abbandonata. Su sollecitazione di Francesco Melzi verso la fine del 1802 i ministri competenti furono invitati a presentare un piano per l’educazione militare degli orfani civili di Milano, piano da estendere poi all’interno territorio della Repubblica. Si pensò di riprendere l’esperienza del Battaglione della speranza della Cisalpina, ampliandolo a tutto il territorio nazionale, organizzandolo però in

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modo più solido. Il progetto anzitutto prevedeva la nazionalizzazione e la concentrazione di tutti gli esposti e gli orfani della Repubblica in tre stabilimenti per i maschi, a Milano, Bologna e Cremona, e due per le femmine.

Gli insegnanti per i ragazzi sarebbero stati per esigenza dei religiosi, ma subito si sottolineava che gli allievi dovevano essere tutt’altro che devoti o bigotti. Ancora più, marcata era la laicizzazione degli istituti femminili, dai quali era esclusa la presenza di religiose.

Prima dei tre anni i bambini abbandonati e gli orfani sarebbero stati mantenuti dai comuni, a tre anni sarebbero stati accolti negli orfanotrofi nazionali. Per le femmine si prevedevano i tradizionali fini educativi: la formazione di buone madri di famiglia o brave donne di servizio, ma si aggiungeva la preparazione di attrici di teatro.

Per i maschi si prevedevano l’acquisizione di una cultura elementare, di una professione di artigiano o di attore e di conoscenze militari sufficienti a farne degli abili sottoufficiali. A tal fine si raccomandava l’adozione sin dai primi anni di età di una disciplina militare e di esercizi ginnici, per promuovere la robustezza fisica e l’assimilazione delle virtù proprie del soldato repubblicano.

Giuseppe Compagnoni il 18 novembre 1800 fu nominato promotore della pubblica istruzione nella seconda Cisalpina. Con questa funzione propose un importante piano che prevedeva di aprire in ogni comune di almeno 300 abitanti una scuola di base. Affinché la Repubblica potesse conseguire il primato sugli altri Stati italiani, realizzando col tempo l’unificazione nazionale, era indispensabile che si dotasse di un’armata efficiente e fedele, ovvero che tutti i cittadini servissero la patria con dedizione. A giudizio di Compagnoni per ottenere tale risultato, si sarebbe dovuto riorganizzare l’istruzione pubblica introducendovi l’educazione militare.

Durante gli anni della Repubblica d’Italia Melchiorre Gioia tornava sulla questione con una proposta: suggerì un’idea che definì utile: riunire esposti, orfani e abbandonati in un solo luogo per formare un vivaio di soldati e supplire alla coscrizione. Egli stimava in 861 il numero di fanciulli disponibili e calcolava che essi potessero ogni tre anni soddisfare la legge di coscrizione del 2 agosto 1802 che richiedeva al Dipartimento milanese 2463 uomini.

Tanto per Compagnoni quanto per Gioia la militarizzazione dei trovatelli e degli orfani era intesa come primo passo per la militarizzazione dell’intera gioventù. Il vero repubblicano era l’uomo virtuoso, leale, onesto privi di pregiudizi religiosi, lavoratore. La disciplina militare era ritenuta strumento formativo per far apprendere le virtù.

CAP. 7 - GLI ORFANOTROFI MILITARI DI MILANO E FERRARA IN ETÀ NAPOLEONICA

I primi anni dell’orfanotrofio milanese di San Luca (1801 - 1807)

La fondazione di un collegio apposito per l’educazione militare degli orfani di guerra avvenne tra il 1801 e il 1802, nella seconda Cisalpina, grazie soprattutto agli sforzi del generale Pietro Teuliè che aveva dedicato molte energie per migliorare le condizioni di vita dei soldati. Garantire uno status adeguato ai soldati e agli ufficiali che corrispondesse al loro nuovo ruolo di difensori della patria e non di mercenari, significava anche tutelare i loro figli. Dapprima Teuliè tentò di far aprire i collegi gestiti dagli ordini regolari ai figli di militari, riservando loro un terzo dei posti. Il governo accolse la proposta con il decreto 7 messidoro anno IX (26 giugno 1801), che però non

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fu attuato, nonostante il continuo interessamento di Teuliè e poi di Melzi dopo la costituzione della Repubblica italiana.

Teuliè aveva perorato la necessità di istituire una scuola militare per gli orfani di guerra e per i figli di truppa e aveva aperto a Milano nel 1801 un ricovero per veterani e invalidi di guerra nel fabbricato di San Luca, collocato all’estremità del corso di Celso, di fronte a porta Lodovica.

Il 15 gennaio 1802, con l’appoggio di Melzi, fu ufficialmente costituito l’orfanotrofio militare, nei locali di San Luca. La scuola fu posta sotto il controllo del ministero della guerra. I figli di ufficiali ne furono inizialmente esclusi.

Sino al 1803 i ragazzi coabitarono con i veterani e con gli invalidi. Questa convivenza era dettata da ragioni economiche, ma anche perché i veterani e gli invalidi fornissero agli orfanelli un esempio di disciplina e di valore.

A sue spese Teuliè fece dipingere lungo i corridoi i ritratti di illustri guerrieri antichi e moderni.

Era così applicato uno dei principi della didattica rivoluzionaria: quello di fornire continuamente esempi di azioni virtuose e gloriose da imitare. Non mancava naturalmente il ritratto di Napoleone.

Melzi estese ai figli di ufficiali indigenti il diritto di entrare nell’orfanotrofio, inizialmente riservato solo ai figli dei militari semplici. I primi anni di vita di quest’istituto furono però stentati.

Sin dal 1803 si progettò di riorganizzare l’istituto, frequentato sì da orfani, ma anche da molti figli di civili e niente affatto bisognosi, a testimonianza delle capacità d’attrazione che possedeva un’istituzione educativa di carattere militare presso i ceti medi. I ragazzi erano distinti in orfani ed allievi. Successivamente tale differenziazione fu vietata e fu imposta l’uniforme unica.

La trasformazione in Collegio reale degli orfani militari (1807 - 1814)

Finalmente il 10 marzo 1807 l’orfanotrofio fu riorganizzato con un regolamento apposito cui ne sarebbe seguito un altro nel 1811. Il nome stesso cambiava in “Collegio reale degli orfani militari” e la capienza aumentava a 300 posti. L’istituto avrebbe educato gratuitamente non solo i figli di militari ma anche i figli di funzionari civili vittime nell’esercizio delle loro funzioni. Il ministro della guerra diffuse il regolamento presso tutti i prefetti, ordinando di farlo conoscere nelle principali città del Regno, per conferire all’istituto carattere nazionale. Fine della scuola era quello di essere un vivaio di tamburini, trombettieri, caporali e sergenti, ma gli allievi migliori potevano entrare, previo esame, nella Scuola militare per ufficiali di fanteria eretta a Pavia il 7 luglio 1805. Questo sbocco garantiva la possibilità concreta di una elevazione sociale. Tutti avrebbero dovuto servire l’esercito per 10 anni.

L’età di ingresso era fissata a non meno di 7 o 8 anni. La durata dell’intero corso era di otto anni, ma generalmente era frequentato per solo quattro anni.

Le materie insegnate erano: leggere scrivere e far di conto, calligrafia, geografia, storia, disegno, aritmetica, geometria algebra, lingua italiana, francese, teoria e amministrazione militare, scherma, musica e tromba militari. L’insegnamento con il passare del tempo diventava più specialistico.

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Il corpo insegnante, inizialmente formato solo da militari veterani e invalidi di scarsa preparazione si arricchì di docenti civili (ex.Silvio Pellico). Nel 1812il ministro della guerra Fontanelli propose l’adozione del metodo del mutuo insegnamento, presumibilmente basandosi sulle scuole per orfani militari di Pawlet.Accanto agli insegnanti vi era un cappellano militare e nei giorni festivi era prescritta la presenza dei ragazzi alla messa e al catechismo. La figura dell’imperatore era oggetto di venerazione.

Ogni giorno si svolgevano esercizi militari, tutti i giovedì e le domeniche si marciava per sei miglia con il fucile.

La disciplina era rigida, ma le punizioni corporali erano vietate, anche se di fatto e volte vi si ricorreva. Le ferree regoli militari si estendevano anche al vitto, sia per abituare i ragazzi aun rancio essenziale, sia per ragioni di economia.

Gli allievi del collegio non godevano di buona salute come appare dalla visita compiuta nel 1810 dall’ispettore generale di sanità mentale: Giacomo Rezia.

La formazione patriottica nel Collegio reale degli orfani militari

Sotto il profilo ideologico, l’adesione agli ideali patriottici e la devozione a Napoleone erano garantite dalla scelta di ufficiali che avevano abbracciato agli inizi le idee giacobine e che avevano militato con Bonaparte. Dal 1802 al 1805 ricoprì questa carica il capitano degli invalidi Ignazio Ritucci che con spirito democratico sottolineava l’importanza di fornire ai figli di truppa la possibilità di accedere alle scuole per ufficiali di Pavia e Bologna.

Dal 1805 al 1812 il Collegio fu diretto da Gian Battista Deangeli che nel 1807 redasse un progetto per la militarizzazione degli esposti che inviò al ministro della guerra. Il progetto non rivestiva particolari caratteri di originari età, ma riproduceva argomentazioni già note: avviati precocemente al lavoro senza adeguata educazione i trovatelli diventavano vagabondi e delinquenti, viceversa se educati in tenera età avrebbero contratto stabilmente le abitudini militari e, essendo senza famiglia, tanto più avrebbero amato lo stato sino alla morte. Ragioni di ordine pubblico e di umanità richiedevano che si esercitasse su di loro maggior sorveglianza combinando l’utile individuale con quello collettivo.

La preparazione infatti corrispondeva a quella di una scuola di base.

La militarizzazione di orfani ed esposti era intesa da De Angeli in senso globale, includendo anche quelli adulti: i ragazzi dagli 8 ai 16 anni sarebbero stati educati nei tre istituti, dai 16 ai 30, se celibi e sufficientemente robusti sarebbero stati tutti arruolati, risparmiando così il servizio militare ai figli dei contadini in modo da conservare le braccia all’agricoltura. Gli istituti sarebbero stati sovvenzionati con un’imposta sul sale.

Il progetto De Angeli venne portato all’attenzione del ministro della guerra, che lo definì una buona idea, da non potersi però immediatamente attuare, poiché si trattava di una questione di carattere generale che andava ancora regolata ed esaminata e che non riguardava solo il ministro della guerra.

A De Angeli successe il 9 novembre 1811 Filippo de Meester la cui opera educativa al San Luca non è possibile esaminare poiché la documentazione rimasta non sufficiente.

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É tuttavia possibile che nel suo Collegio non si educassero gli allievi a una cieca devozione a Napoleone, ma si facessero loro percepire l’importanza di un riscatto nazionale. Sembra inoltre, che egli non imponesse una disciplina troppo rigida, instaurando con i ragazzi rapporti paterni. De Meester fu arrestato poiché bvoleva l’indipendenza italica. Scarcerato si rifugiò a Civate e contribuì a preparare i moti carbonari del 1821.

È significativo che Romagnosi nella “Scienza delle costituzioni” edita postuma nel 1848 sostenne l’importanza dell’istruzione popolare e militare per dar forza e coesione allo Stato prendendo come esempio l’esperienza della direzione di De Meester.

Romagnosi proponeva che l’istruzione di base fosse affidata ai bassi ufficiali e ai soldati. Le scuole, collocate in ogni parrocchia sarebbero state finanziate con fondi pubblici di beneficenza e carità e avrebbero impiegato preferibilmente militari invalidi. In questo progetto non mancava di elogiare pesto lazzi e il suo sistema educativo.

È pure significativo che Romagnosi proponesse il metodo del mutuo insegnamento già applicato da Pawlet. Che l’esempio di Teuliè e l’insegnamento patriottico di De Meester avessero lasciato la loro impronta si vide nel 1816 quando il sovrano in visita a San Luca, fu salutato con l’evviva da un solo ragazzino e con il silenzio di tutti gli altri allievi. Per conseguenza tutti gli alunni furono immediatamente invitati in reggimenti non italiani e il Collegio fu pareggiato a quelli reggimentali. Dal 1817 si accettarono quali docenti solo militari, che davano maggior garanzia di fedeltà all’Austria.

Nel 1838 il “Collegio reale degli orfani militari” cambiò denominazione e statuto, diventando “Imperial regno Collegio dei Cadetti”, su modello del Collegio di Graz, per volere di Radetzky. Solo 50 erano i posti gratuiti e 150 a pagamento. I figli di ufficiali paganti diventavano cadetti, gli altri soldati semplici. Era così snaturata l’originaria portata democratica del Collegio di San Luca.

L’orfanotrofio di San Giorgio in Ferrara (1807 - 1814)

Nel novembre del 1807 il comune decise di introdurre l’educazione militare nei tre istituti maschili della città ordinando di procurare l’uniforme nazionale e di farli esercitare nelle armi un giorno alla settimana.

Si decise quindi di istituire un nuovo istituto, dal nome di orfanotrofio di San Giorgio (protettore della città e Santo guerriero). L’organizzazione fu dovuta all’opera di Giovanni Scopoli. L’istituto accoglieva 70 ragazzi dai sei ai 20 anni che apprendevano oltre al leggere, allo scrivere, all’aritmetica anche la storia, la geografia, il disegno. Il livello di istruzione era più basso rispetto a Milano, ma l’originalità risiedeva nel fatto che erano aperte all’interno dell’Istituto alcune botteghe artigiane di fabbro, calzolaio, falegname … come prevedeva il decreto 12 agosto 1807. Scopoli non chiamò questi ragazzi figli della patria, ma tutti figli uguali della carità obbligandoli ad assistere alla messa e al catechismo.

L’orfanotrofio di San Giorgio ebbe vita breve: ritiratosi i francesi nel 1814, Ferrara tornò nel 1815 sotto la dominazione pontificia.

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CAP. 8 - ASSISTENZA ED EDUCAZIONE MILITARE DELL’INFANZIA ABBANDONATA NEL REGNO DI ITALIA

La legislazione del 1807 - 1808: filantropia e controllo sociale

Il 13 maggio 1805 a due mesi dalla costituzione del Regno di Italia (17 marzo 1805), Napoleone intervenendo in una seduta del Consiglio di Stato suggerì di militarizzare orfani e trovatelli.

Nel Regno italico venne introdotta la legislazione francese sugli esposti: la legge francese del 4 febbraio 1805 assegnava la tutela di questi bambini alle commissioni amministrative dei dei brefotrofi: eventuali rendite dei bambini sarebbero state amministrate dal luogo pio; il codice Napoleone prevedeva che i beni di chi moriva senza eredi passassero allo stato. Il decreto del 4 dicembre 1806 sostanzialmente ridusse la normativa francese investendo così i brefotrofi di precise responsabilità giuridiche , oltre che morali. Le motivazioni addotte a giustificazione del decreto che un maggior controllo sulla vita degli esposti avrebbe fornito allo stato utili lavoratori e soldati anziché delinquenti e spostati. Motivazioni di ordine pubblico e attenzioni umanitarie spesso si sovrapponevano.

L’urgenza del problema era acuita dal fatto che il fenomeno delle esposizioni conobbe un ulteriore aumento nel primo decennio del secolo.

Per arginare il fenomeno, il 2 marzo 1807 il vicerè Eugenio incaricò i ministri degli interni e del culto di presentargli un decreto per prolungare la tutela dell’amministrazione pubblica su esposti e abbandonati, rilevando come molti di essi si chiamavano Colombo e come spettasse all’amministrazione pubblica e al governo vegliare sugli infelici fanciulli abbandonati: motivazioni di ordine umanitario oltre che di sicurezza pubblica. I momenti di peggior pericolo era individuato negli anni dell’adolescenza, in particolare dai 15 in poi, quando terminava la sorveglianza dell’ospedale sugli esposti, che non erano più accettati se vi tornavano.

Il ministro del culto Bovara aggiungeva alcune osservazioni di carattere psicologico: questi ragazzi si traviavano perché non conoscevano l’amore di una vera famiglia. Solo l’amore fondava i sentimenti filiali di rispetto e sottomissione e quelli paterni di protezione. Bovara quindi, premesso che era dovere dello Stato provvedere a questi ragazzi, suggeriva di prendere ad esempio i provvedimenti presi da Napoleone in Francia dove dopo i dodici anni i fanciulli erano inviati all'orfanotrofio se sani o all’ ospedale dei bambini ammalati se infermi. Proponeva che sino ai diciotto anni gli esposti avessero il diritto di rientrare nella casa che li aveva accolti nell’atto dell’abbandono nella quale comunque si sarebbero dovute aprire scuole di base e scuuole artigiane. I ragazzi avrebbero dovuto ricevere metà del soldo guadagnato col loro lavoro. Dopo i diciotto anni, se non possedevano un mestiere, i giovani sarebbero stati inviati nelle Case di Lavoro volontario o forzato, da aprirsi in conformità al decreto 25 luglio 1806.

Il Consiglio Legislativo rigettò l'idea dell'internamento in case: di lavoro forzato per diciottenni disoccupati: non era colpa loro se erano senza lavoro. Meglio comunque sarebbe stato affidare ai sindaci, podestà e giudici di pace il compito della sorveglianza sugli esposti e sulle famiglie affidatarie, dato che prefetti e viceprefetti erano già gravati da numerose incombenze. Il viceré Eugenio sottolineò la necessità di erigere una casa di manifattura ove impiegare questi ragazzi per non abbandonarli a se stessi. Bovara ribadì l’urgenza di introdurre insegnamenti professionali in tutti gli ospizi, ma il ministro delle finanze fece presenti le difficoltà economiche in cui essi versavano Il 12 agosto fu pubblicato il decreto nel quale si attribuiva a podestà e

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sindaci la vigilanza sugli esposti affidati a contadini e artigiani vigilanza che passava a polizia dal momento in cui i ragazzi non dipendevano più dal luogo pio sino al ventunesimo anno d'età.

Dai quindici sino ai vent’anni ogni ragazzo avrebbe dovuto riportare un certificato semestrale di condotta rilasciatogli dall’ospizio o chi lo educava. Il mancato possesso di tale certificato era punito con l’arresto sino a dieci giorni. I prefetti avrebbero dovuto compilare annualmente un quadro degli esposti, con le indicazioni sul loro contegno , inviandolo alla Direzione generale di polizia che ne avrebbe informato il ministro del culto. Si instituivano scuole professionali negli ospizi, per i ragazzi che vi rimanevano. Il decreto non menzionava espressamente il controllo sulle famiglie affidatarie, parlando sempre di vigilanza sugli esposti. Tale controllo sarebbe stato segretamente esercitato. Ma non erano solo i poveri ad abusare dei piccoli abbandonati. Molte erano le ragazze che messe a servizio venivano sedotte e abbandonate. Non a caso Bovara proponeva che le ragazze rimanessero in campagna.

Nel 1806 si registrò presso Milano un caso di sfruttamento lavorativo di dodici trovatelle talmente drammatico che fu risolto con un indennizzo pecuniario alle sventurate da parte del seviziatore. Ne è da credere che le angherie e i soprusi cessassero in virtù di questo decreto del 12 agosto 1807.

Tutta l’amministrazione della pubblica beneficenza fu riformata negli anni napoleonici, secondo i criteri della laicizzazione. Il 21 dicembre le competenze in materia passarono dal ministro del culto a quello degli interni. Si migliorò la tutela della salute dei lattanti abbandonati, si introdusse la vaccinazione vaiolosa per i trovatelli e gli orfani, si tentò di far frequentare la scuola di base anche agli esposti.

Gli interventi di Giovanni Scopoli in favore dell’infanzia abbandonata

Scopoli fu molto attento alla sorte degli esposti. Il 15 febbraio 1808 egli fece pubblicare un avviso alla popolazione in cui caldeggiava la compassione verso questi bambini. Affidava ai parroci il compito di dissuadere i genitori all’abbandono e chiedeva loro che mostrassero apertamente le fatali conseguenze di quell’atto. Scopoli, nella carica di direttore generale della pubblica istruzione ordinò ai prefetti nel 1809 di informarsi sui metodi educativi negli orfanotrofi del regno: -istruzione non uniforme – ai maschi leggere scrivere far di conto -alle femmine lavori manuali -edifici mal sani - vitto scarso Non va però dimenticato che nonostante tutto gli orfanotrofi e i brefotrofi garantivano condizioni di vita che potevano essere migliori di quelle di molti bambini con una famiglia.

A ingrossare le schiere di questi piccoli girovaghi si aggiungevano i bambini i cui genitori erano stati incarcerati. Nel 1816 fu sospesa a Milano l’accettazione dei ragazzi derelitti presso S. Caterina, che non riusciva a far fronte alle spese.

Nel 1810 gli orfanotrofi di Bologna e di Milano rifiutarono di aprire le loro scuole ai bambini poveri abitanti nei quartieri vicini. Poiché la beneficenza pubblica era passata sotto la giurisdizione degli interni, Scopoli rivendicò il suo diritto, in qualità di direttore generale della pubblica istruzione, a uniformare, migliorare e controllare l’insegnamento impartito negli orfanotrofi.

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Nel 1811 e poi ancora nel 1813 Scopoli propose di aprire una scuola per orfani, da riservare ai fanciulli più dotati per lo studio e inabili al servizio militare, per debole costituzione o per difetti fisici.

Scopoli e la militarizzazione di orfani ed esposti

Negli ultimi anni del Regno di Italia continuarono a fermentare le proposte di militarizzazione di esposti e orfani.

Nel gennaio del 1811 l’ispettore di pubblica beneficenza Luigi Bossi, suggerì al ministro degli interni di impiegare gli esposti in marina al compimento dell’undicesimo anno di età come avveniva nell’impero. Il decreto francese del 19 maggio 1811 aveva messo a disposizione del ministero della marina tutti i bambini abbandonati al compimento del 12 anno. Inizialmente si decise di trasporre nel Regno di Italia la normativa francese.

Ma è interessante osservare che il Consiglio, accogliendo le istanze di Scopoli, operò alcune modifiche che sostanzialmente annullavano la militarizzazione dell’infanzia abbandonata, conservando invece tutti gli articoli in favore di questi ragazzi (art 9_ modifica_sarebbero stati messi a disposizione del ministero della marina solo i ragazzi di 11 anni sani e che erano negli ospizi- ben pochi fanciulli sani rimanevano negli ospizi). Come aveva temuto Scopoli il decreto produsse effetti opposti a quelli desiderati poiché molti contadini avevano rinunciato a tenere presso di sé i trovatelli, temendo che a 11 anni, proprio qiuando la loro forza lavoro sarebbe aumentata, venissero arruolati. Il ministero degli interni Vaccari ribadì ai prefetti che solo i ragazzi a carico degli ospizi erano arruolabili.

Il progetto dell’ispettore Sanfermo per la militarizzazione dei fanciulli abbandonati

Nella sua relazione del 22 settembre 1811 al ministro degli interni, l’ispettore generale di pubblica beneficenza del terzo circondario, Stanislao Bovara, si disse favorevole alla concentrazione degli istituti di accoglienza, per ragioni economiche e propose di istituire negli orfanotrofi delle esercitazioni militari nei giorno festivi, secondo quanto si faceva ottimamente a Ferrara nell’istituto San Giorgio fondato da Scopoli.

Nel 1812 fu aperta a Cantù una scuola per la formazione di caporali e sottoufficiali di fanteria, nella quale si accoglievano anche ragazzi abbandonati o senza mestiere per farne dei tamburini. Il 27 agosto 1811 Rocco Sanfermo, ispettore del primo circondario, aveva inviato al ministro degli interni un progetto per l'erezione di un orfanotrofio militare. Sanfermo proponeva di concentrare a Milano, in un unico istituto, gli orfani del circondario e assumeva esplicitamente a modello il Collegio reale degli orfani militari, che aveva personalmente visitato. Rispetto all'organizzazione del Collegio milanese (San Luca), poche ma significative erano le differenze: come nell'orfanotrofio di San Giorgio, si introducevano nell'istituto laboratori artigiani di sarto, calzolaio, fabbro e falegname, per evitare che recandosi a lavorare fuori dall'edificio i ragazzi perdessero tempo e seguissero cattivi esempi. L'orfanotrofio era posto alle dipendenze del ministro degli interni e non della guerra.

La direzione restava comunque affidata a un veterano con il grado di capitano - presumibilmente Deangeli stesso - ma gli altri istruttori militari sarebbero stati uomini già appartenenti alla Guardia Nazionale e non all'esercito. La finalità dell'istituto, inoltre, non era esclusivamente militare, come invece accadeva per il Collegio di San Luca: gli allievi

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fisicamente non adatti alla vita sotto le armi potevano divenire artigiani o maestri elementari, una categoria della quale vi era particolarmente bisogno, tanto più dopo la soppressione degli ordini religiosi.

Convivevano in questo progetto suggestioni di matrice diversa. Vi si colgono istanze di controllo sociale, dalle quali emerge l'utilitarismo settecentesco: privi di educazione questi ragazzi divenivano «esseri pressoché inutili a se stessi, e di peso ben sovente; eco illuministe; né mancava un sentimento umanitario: Sanfermo poneva in primo piano «sussistenza, educazione e successiva utilità individuale di essi orfani», che di riflesso avrebbero prodotto effetti di utilità generale sulla società. La tutela del ragazzo era prioritaria.

Esclusa l'ingerenza del ministero della guerra, era pure negata ogni autorità alle Congregazioni di Carità, realizzandosi così una completa laicizzazione e un accentramento degli orfanotrofi maschili che corrispondeva alla più generale opera di controllo sugli enti assistenziali nel loro complesso, Ma così facendo non si sarebbero rispettate le disposizioni dei testatori, con il pericolo di allontanare future donazioni agli orfani. A questa obiezione Sanfermo rispondeva che il suo progetto forse violava la lettera, ma certo non lo spirito di tali testatori. Il progetto fu inviato dal ministro degli interni Luigi Vaccari ai tre colleghi di Sanfermo, i quali tutti, tra il 1812 e il 1813, lo rigettarono in base ad analoghe osservazioni.

L'ispettore del secondo circondario: Raffaello Parravicini: ritenne il progetto inapplicabile anche solo a un singolo dipartimento perché troppo dispendioso e perché lesivo della volontà dei testatoti. Le osservazioni critiche riguardavano solo il tema della beneficenza, in quanto Parravicini non esaminava il nodo della militarizzazione degli orfani, che liquidava come improponibile senza una speciale norma di legge.

L'ispettore del quarto circondario, Luigi Bossi: riteneva che sotto il profilo economico il progetto Sanfermo avrebbe potuto procurare dei vantaggi, ma egli pure lo riteneva inapplicabile perché irrispet-toso delle disposizioni testamentarie dei benefattori degli orfanotrofi e suscettibile di provocare malcontento nell'opinione pubblica dei luoghi ove gli orfanotrofi sarebbero stati chiusi, come gli risultava da un'indagine da lui condotta In quanto alla militarizzazione degli orfani, Bossi non la escludeva, anzi suggeriva che la si applicasse gradualmente nei singoli orfanotrofi, soprassedendo alla proposta concentrazione. · L'ispettore del terzo circondario Giovanni Burri: contestava le cifre prodotte da Sanfermo sulle rendite degli orfanotrofi e si allineava alle osservazioni di Parravicini, temendo che in, caso di concentrazione le donazioni sarebbero diminuite, perché la, beneficenza spesso era fatta per «amor proprio» che ambiva a un riconoscimento pubblico e non come atto di carità disinteressata101. Inoltre osservava che Milano era la città ove la vita era più cara. Burri avanzava poi delle obiezioni circa l’educazione militare degli orfani. Riteneva troppo ricca la dieta proposta da Sanfermo. Il progetto Sanfermo fu così bocciato nel 1813.

CONCLUSIONI

Il crollo dell'Impero determinò la fine degli Orfanotrofi militari di Milano e di Ferrara. Trattandosi di esperienze che consentivano un'integrazione sociale e che apparivano intimamente radicate all'ideologia giacobino-napoleonica non potevano essere accettate né dall'Austria né dalla

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Chiesa negli anni della Restaurazione. L'idea del fanciullo soldato rimase ancorata agli anni rivoluzionati e napoleonici.

Anche in Europa si spensero le esperienze di orfanotrofi militari, superate dall'adozione graduale in tutti gli Stati di un esercito nazionale, su modello di quello prussiano del Wehrgeselz del 1814, con una leva breve ma generalizzata, che poneva altri problemi di tipo educativo. Se, come aveva prefigurato la pedagogia giacobina, il servizio militare era un dovere connesso alla cittadinanza, non era più necessario reclutare militi tra i fanciulli abbandonati, che avrebbero servito sotto le armi al pari dei loro coetanei con famiglia.

Non a caso, fu in Russia e nel Regno delle Due Sicilie che, nella prima metà dell'Ottocento, si realizzarono ancora forme di militarizzazione dell'infanzia ispirate chiaramente a una matrice assolutistica, mirante allo sfruttamento e non ceno all'integrazione sociale dei fanciulli. In Russia lo zar Nicola i nel 1837 vietò agli esposti di studiare nelle scuole urbane annesse ai brefotrofi, riservandole ai figli di ufficiali. In quanto ai figli legittimi dei soldati, erano obbligati a servire per almeno 12 anni nell'esercito. Italia meridionale_Le istruzioni per gli ospizi del 1819 prescrissero che tutti i ragazzi ricoverati negli istituti assistenziali imparassero a leggere e scrivere, ricevessero un'educazione religiosa e fossero avviati nell'esercito. Solo i più dotati avrebbero ricevuto un insegnamento tecnico, che li avrebbe avviati alle professioni. L'educazione al lavoro era qui alternativa e superiore rispetto a quella militare. I giovani del Pio Albergo di Napoli non ricevevano alcuna istruzione militare, ma subivano il reclutamento coatto.

Non vi era spazio per un'educazione militare che formasse il corpo ma anche che illuminasse lo spirito a determinati valori, vi era solo l'imposizione di una disciplina cieca, secondo un modello assolutista prerivoluzionario.

Gli allievi sani e robusti del Reale Ospizio di Giovinazzo, in Puglia, erano dal 1819 destinati all'esercito, i meno forti o comunque inabili al servizio militare erano avviati a un mestiere o all'agricoltura. Ferdinando II, salito al trono nel 1830, confermò questa scelta. Per sua volontà, anche l'Ospizio maschile di Lecce, che raccoglieva orfani ed esposti della Terra d'Otranto, inviò i suoi giovani nell'esercito.

Tanto i ragazzi internati nell'Albergo dei Poveri, quanto quelli di Giovinazzo, inoltre, sostituivano nell'esercito coloro che ottenevano l'esonero pagando una somma di denaro alla famiglia di chi li rimpiazzava, secondo modalità in uso nell'antico regime . Negli anni '40 le disposizioni del 1819 vennero inasprite e tutti i giovani reclusi del Pio Albergo, senza eccezione, furono inviati sotto le armi per una ferma di otto anni. L'industria napoletana necessitava ormai di salariati e non di forza lavoro coatta: questo spinse a indirizzare tutti i ragazzi abbandonati verso l'esercito.

Solo nel 1855 questi provvedimenti furono mitigati, consentendosi agli orfani con tutori o ai fanciulli con geni-tori viventi di evitare il reclutamento forzato, se chi esercitava la patria potestà vi si opponeva. Il modello era quello, ormai reazionario, dello sfruttamento dei bambini abbandonati a favore del sovrano. Con l'unità questo sbocco coatto, ultimo retaggio settecentesco criticato da Luigi Carlo Farini e Luigi Settembrini, fu abolito " e l'assistenza all'infanzia, pur con lentezza e nonostante il perdurare di modelli tradizionali, cominciò ad aprirsi a teorie pedagogiche, tanto laiche quanto cristiane, più rispettose della persona del bambino ".

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Il caso della Gran Bretagna, come si è detto, costituisce un capitolo a sé stante, non riducibile all'interno del contesto continentale. Nel corso dell'Ottocento nacquero e si svilupparono orfanotrofi militari e si ac-centuò, nell'età vittoriana, la pratica dell'espulsione verso le colonie dei piccoli devianti, o semplicemente orfani o comunque privi di una famiglia in grado di accudirli. Lo spostamento cronologico è legato al fatto che l'Inghilterra non conobbe, sul suo suolo, l'esperienza pedagogica ri-voluzionaria e napoleonica di una militarizzazione "democratica" dell'in-fanzia abbandonata e potè, dunque, erigere orfanotrofi militari senza do-versi confrontare con tale tradizione.

Fondamentale, inoltre, fu il fatto che sino alla prima guerra mondiale l'Inghilterra non adottò la coscrizione obbligatoria, il che rendeva quasi inevitabile che i figli dei soldati fossero avviati allo stesso mestiere dei padri. In quanto all'arruolamento in marina, si è visto come, perlomeno nel XVIII secolo, esso non comportasse invece caratteri di sfruttamento e anzi consentisse una certa mobilità sociale.

La Spagna, che come gli altri paesi dalla seconda metà del Settecento inseriva forzosamente vagabondi e mendicanti nell'esercito e in marina, non conobbe, a quanto ci è dato sapere, il fenomeno della militarizzazione dell'infanzia abbandonata.

Solo i vagabondi di età superiore ai 16 anni erano arruolati. La legislazione assistenziale tutelava i fanciulli esposti, orfani e abbandonati, che collocava in ospedali e istituti L'itinerario che si è delineato per l'Europa continentale mostra come nell'età dei Lumi si accentuasse l'attenzione per l'infanzia abbandonata, secondo però due diverse prospettive.

Da un lato orfani ed esposti erano visti come proprietà del sovrano, che era libero di disporne per la sua utilità e dunque per farne soldati ciecamente fedeli ed asserviti. A questa posizione erano sottese la poli-tica assolutistica e l'economia mercantilista, talora anche una cultura antropologica meccanicista.

D'altro lato, invece, trovatelli e orfani erano considerati come sudditi da reinserire nella società rendendoli utili in primo luogo a se stessi e di conseguenza alla comunità. In questa concezione, propria della pedagogia filantropica, illuminista e poi pestalozziana, il bambino acquistava una sua dignità di persona.

In entrambi i casi, comunque, si giudicava che lo Stato dovesse non già limitarsi a svolgere una funzione di pura custodia, ma che dovesse intervenire più attivamente nella loro formazione, sostituendosi all'iniziativa di privati e religiosi, laicizzando quindi l'assistenza. In altri termini, lo Stato si sarebbe dovuto far carico di un'opera educativa, militare o civile, volta ad eliminare i pericoli di devianza e di delinquenza. Nella Francia napoleonica, con la creazione del reggimento dei Pupilli della Guardia si realizzò l'inserzione forzata dei ragazzi abbandonati nell'esercito: un'esperienza, in sé conclusa con la parabola napoleonica.

In Italia invece, dopo gli anni giacobini, accanto alle richieste di militarizzazione dei bambini abbandonati si levarono anche voci in op-posizione all'idea della militarizzazione coatta. Si tentarono forme di recupero legate all'educazione al lavoro oppure di valori etico-politico-militari che avrebbero permesso il riscatto sociale, come nel Collegio reale degli orfani militari di Milano. La peculiarità di quest'ultimo collegio, promotore di mobilità sociale e veicolo di ideali patriottici, si radicava già nell'impronta democratica impressagli da Teulié. Il panorama delineato di militarizzazione dell'infanzia abbandonata in età moderna, dunque, evidenzia la nascita, lo

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sviluppo e il tramonto di un ideale pedagogico strettamente connesso ai mutamenti strutturali degli eserciti, all'evoluzione dei meccanismi di assistenza pubblica e al nuovo modo di guardare all'infanzia. Storia sociale, e storia della mentalità, figura del soldato e immagine del bambino, intersecandosi, hanno consentito di cogliere, in una storia di lunga durata, permanenze e fratture.

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