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INIZIAZIONE CRISTIANA FANCIULLI E RAGAZZI Percorso fanciulli III ANNO Ufficio per la pastorale catechistica A D E X P E R I M E N T U M 2 0 0 9 — 2 0 1 2

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INIZIAZIONE CRISTIANA FANCIULLI E RAGAZZI

Percorso fanciulli

III ANNO

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A D E X P E R I M E N T U M

2 0 0 9 — 2 0 1 2

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SCOPRIAMO I SIMBOLI

Obiettivo

Riferimenti al catechismo “IO SONO CON VOI”

Suggerimenti per l’attività

Canto e prego

Saluto e impegno

La Parola di Dio

Approfondimenti per il catechista Se ne avete la possibilità, fate qualche foto durante alcuni incontri (soprattutto durante i laboratori), le feste, gli avvenimenti dell’anno: vi torneranno utili per l’attività proposta nell’ultimo nucleo del presente sussidio.

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I NUCLEO

IL GRUPPO CI ACCOGLIE

Riaccogliere i fanciulli nel gruppo facendo emergere la gioia del ritrovarsi.

Sarebbe opportuno iniziare anche questo anno catechistico con un pic-nic in cui coinvolgere anche le famiglie dei fanciulli. Con questa premessa e questo spirito prepariamo la stanza in modo che esprima un clima di accoglienza, ponendo dei segna-posto del tipo: “Ecco il tuo posto… bentornato!” e sul retro: “la comunità cristiana di…”. Invitiamo i fanciulli a raccontare le cose belle delle vacanze: luoghi visitati, avvenimenti familiari, fatti importanti capitati… Grazie a questi racconti i fanciulli si conoscono di più, sono più amici e più uniti.

Che sagome!

Distribuiamo ad ogni fanciullo una sagoma di cartoncino che lo rappresenti e che ciascuno completerà e personalizzerà; proponiamo quindi di disporre le sagome in modo che appaiano come strette per mano. Molte cose ci uniscono. Invitiamo a questo punto i fanciulli ad elencarle. Successivamente chiediamo ai fanciulli: «C’è qualcos’altro che ci unisce? C’è qualche motivo che ci fa ritrovare insieme? » (l’età, la zona di residenza, la parrocchia, la frequenza al catechismo, il battesimo, il catechista…). Scriviamo su un nastro colorato i motivi che ci uniscono e che sono emersi dal gruppo, aiutando i fanciulli a comprendere che c’è una persona importante capace di unirci: è Dio Padre, che vuole che sperimentiamo cosa significhi sentirsi parte di una famiglia, la sua grande famiglia. Questa famiglia è chiamata “comunità cristiana”. Essa ci ha accolti fin da piccoli e si è impegnata ad affiancare i nostri genitori nell’educazione alla fede cristiana. Il catechista rappresenta appunto la comunità.

Il galeone

Raccontiamo ai fanciulli questa storia: Immaginate di essere su un galeone in mezzo all’Oceano Atlantico. Stiamo ritornando alla nostra isola, L’Isola di Palma, siamo molto euforici e soddisfatti: finalmente abbiamo trovato il tesoro che era nascosto sull’Isola dello

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Squalo. Il tesoro è contenuto in uno scrigno dorato, ben sigillato: nessuno di noi sa cosa contiene, perché abbiamo deciso di aprire lo scrigno solo all’arrivo alla nostra isola. Per ora cerchiamo solo di lasciar spazio alla fantasia: troveremo monete d’oro, diamanti, o magari sassi o forse… anche niente. Ma l’avventura è comunque stata meravigliosa! Il mare è calmo, il cielo azzurro intenso; i gabbiani sorvolano, stridendo, il nostro galeone. C’è davvero aria di pace. Improvvisamente grossi nuvoloni spuntano da occidente, si alza il vento, sempre più forte, il cielo si oscura, grosse onde si dirigono verso di noi. Il galeone incomincia a ondeggiare di qua e di là, sempre più forte; è difficile tenere la rotta. L’acqua incomincia a entrare… prendiamo i secchi per svuotare il galeone, ma serve poco. Occorre alleggerire il nostro galeone, c’è davvero pericolo di affogare. Dobbiamo gettare in mare qualcosa di superfluo, che non serve! Ma che cosa? Facciamo l’elenco degli oggetti che ci sono sul galeone: 5 gommoni di salvataggio, 2 ombrelloni, 1 videogame, 3 sacchi a pelo, 5 coperte, le giacche a vento, alcuni libri di avventura, alcuni giochi da tavolo, i cellulari e naturalmente lo scrigno con il tesoro, che è molto pesante! È necessario privarci di almeno 2 di questi oggetti! Ma c’è fretta: cercate di mettervi d’accordo su cosa dobbiamo eliminare. Dopo che i fanciulli hanno scelto, continuiamo il racconto. Ma non basta! Siamo ancora in pericolo, il galeone è ancora troppo carico: eliminiamo altri 2 oggetti. Dopo la scelta di ciò che c’è da eliminare si continua. Sembra che vada meglio, sembra che il galeone resista, anche il mare sembra si stia calmando… Oh no! Sta arrivando una forte onda! Presto, gettiamo in mare tutto ciò che ci è possibile… sul galeone possono restare solo 2 oggetti! Ce l’abbiamo fatta: ci siamo privati di tante cose, ma siamo salvi. Evviva! Evviva! Il gioco ha lo scopo di far comprendere a noi catechisti il modo di rapportarsi in gruppo dei singoli fanciulli. Obiettivo è quello di aiutare a scoprire gli atteggiamenti della collaborazione e dell’aiuto reciproco, a sapersi confrontare e discutere con gli altri. Inoltre vogliamo far capire ai fanciulli che alle volte per “salvarsi” bisogna rinunciare a qualcosa: anche nel gruppo per riuscire a stare bene insieme è necessario lasciare alcuni aspetti del proprio carattere (es. parolacce, pugni, calci, egoismo, ecc). Per rendere più divertente il lavoro possiamo chiedere ai fanciulli di abbinare gli oggetti a cui hanno rinunciato per salvare il galeone alle caratteristiche più o meno buone del loro carattere. Attenzione: Si possono modificare gli oggetti da eliminare in modo che sia più evidente che sono più o meno necessari.

Identità di gruppo – diamoci un nome e prepariamo il distintivo

Ogni gruppo che si rispetti ha un nome! Dobbiamo sceglierne uno che vada bene per tutti. Facciamo in modo che ogni fanciullo possa esprimere la propria idea e la propria proposta. Una volta scelto il nome del gruppo possiamo riportarlo su un cartoncino colorato, che possiamo abbellire con fiori di carta, disegni, pasta,

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nastri colorati e altro materiale a piacere, e appendere sulla porta d’ingresso della stanza. Ogni componente del gruppo può preparare successivamente il proprio distintivo, come nell’esempio:

Tutti i distintivi verranno conservati nella stanza e “indossati” all’inizio di ogni incontro successivo per aiutarci ad accrescere il senso di appartenenza al nostro gruppo e alla nostra comunità.

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Possiamo concludere le attività proposte, prima di passare al pic-nic, con il canto “Amico è”. Il canto, se viene scelta la prima attività, può essere eseguito in cerchio attorno al cartellone, reggendo tra le mani il nastro con le parole che esprimono ciò che ci unisce.

A conclusione di questo nucleo invitiamo i fanciulli a portare a casa il loro segnaposto chiedendo loro di tenerlo sul comodino, perché ricordi e rinnovi la scoperta dell’appartenenza al gruppo di catechesi e alla comunità cristiana.

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II NUCLEO

IL SIGNORE DIO È PADRE DI TUTTI

Catechismo della CEI “IO SONO CON VOI” pagg. 11 – 12

Aiutare i fanciulli a rendersi consapevoli che Dio chiama ciascuno ad essere suo figlio.

Il cartellone/puzzle Prendendo spunto dal catechismo, a pag. 11, prepariamo preventivamente un grande cartellone-striscione a forma di cuore, con scritto: «C’È MOLTA GENTE INTORNO A ME…», oppure: «NEL CUORE DI DIO C’È POSTO PER TUTTI!», e in cui siano rappresentati (attraverso simboli o immagini) gli ambienti in cui i fanciulli vivono (famiglia, scuola, parrocchia…). Possiamo prepararlo anche in forma di puzzle: in questo caso, nel momento di accoglienza iniziale, consegneremo ad ogni fanciullo anche un pezzettino per ricostruirlo. Osserviamo insieme il cartellone ed invitiamo i bambini ad elencare le persone che vivono intorno a loro: Siamo in tanti e diversi; ognuno ha doni da offrire e da ricevere… Nessuno può vivere da solo (esperienza di costruzione del puzzle con l’apporto di tutti). Invitiamo i fanciulli a riflettere sulle loro esperienze: non è sempre facile vivere da amici, volersi bene, essere solidali. Ci domandiamo pertanto, insieme ai fanciulli, se c’è qualcuno che può aiutarci a vivere insieme agli altri riconoscendo e valorizzando i doni di ciascuno. Invitiamo i fanciulli a trovare la risposta nel testo del catechismo: nel cuore di Dio c’è posto per tutti, anche per le persone che non trovano posto nel nostro! Da lui possiamo imparare ad amare tutti come fratelli, riconoscendo il dono che ciascuno è. Ma come? L’amore di Dio ci raggiunge attraverso le persone che ci vogliono bene. Anche noi, quando vogliamo bene agli altri come fratelli e sorelle, mostriamo il volto buono di Dio Padre.

Dio ci ama perché siamo suoi figli

Possiamo iniziare questa attività leggendo insieme la seguente preghiera, che provvederemo a consegnare ad ogni fanciullo:

Signore, ti ringraziamo

perché ci doni il tuo Spirito e ci chiami ad essere tuoi figli.

Signore,

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Padre di tutti gli uomini, donaci il desiderio

di stare insieme a te e aiutaci a riconoscere in te un Padre di infinito amore.

Proseguiamo poi con la lettura del brano del Vangelo sul battesimo di Gesù (Marco 1,9-11), invitando i fanciulli a “cogliere” nel racconto la presenza del Padre nella voce che viene dal cielo. Saremo noi stessi a sollecitarli a dire di chi sia quella voce e ascolteremo le loro risposte, cercando di evidenziare in ciò che loro esprimono che Gesù è il Figlio di Dio e Dio Padre si manifesta nel momento del battesimo con un segno dal cielo. Rileggeremo ancora una volta il racconto, facendo notare ai bambini, anche all’interno degli altri segni (il cielo che si apre, lo Spirito che discende su Gesù), la bellezza e la potenza dell’amore di Dio. Dio ama suo Figlio. A questo punto diremo come Gesù ci ha rivelato che Dio è Padre di tutti gli uomini e ci ha insegnato a chiamarlo “Papà”. In Gesù anche noi siamo figli di Dio, e Dio è nostro Padre! Dio ci ama, siamo suoi figli: come un Padre ci accompagna e protegge, ha cura di noi, desidera che ci amiamo come fratelli.

Nelle mani di un Padre La storia qui proposta può essere completata attraverso la realizzazione di un cartellone o attraverso una drammatizzazione, utilizzando del cartoncino colorato per identificare, attraverso scritte e/o disegni, i vari protagonisti (Luca, il sole, l’acqua…): «Dio, è il nome o il cognome?» chiede Luca. Mi gratto la testa incerto: come stanno le cose veramente? «Sai» dico «Dio non è come noi». «Questo lo so» risponde. «Ma allora, come stanno le cose veramente?». Per fortuna mi viene in mente una storia: Ecco come Dio ricevette un nome. Tanto tempo fa, gli uomini avevano un unico nome per Dio: Dio, appunto. «Ma Dio non ha nessun altro nome?» si chiedevano alcuni, «Non possiamo trovargliene un altro?». Gli uomini cominciarono a rifletterci su. Decisero di ritrovarsi dopo una settimana: in quell’occasione, ognuno doveva proporre un nuovo nome per Dio. Il più bello sarebbe stato scelto. La settimana seguente, infatti, si incontrarono di nuovo. Il primo sorreggeva una ciotola in cui ardeva una fiamma. Egli disse: «Sole! Ecco il nome di Dio. Esso ci dona la luce e il calore e allontana la notte». Anche il secondo sorreggeva una ciotola, ricolma d’acqua. «Acqua! Così dobbiamo chiamare Dio, perché dall’acqua nasce ogni vita». Il terzo si chinò a raccogliere un pugno di terra. La fece scorrere tra le dita: bruna, fertile terra. «Terra! Dobbiamo chiamare Dio così, perché ci sostiene e ci dà nutrimento». Il quarto porta con sé un velo leggero. Lo solleva in aria ed ecco il vento lo avvolge, lo sospinge, sembra farlo volare via. «Questo è il nome per Dio: Aria, Vento, perché il vento spinge le barche e noi viviamo dell’aria che respiriamo».

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Tra loro c’è un altro uomo. Egli tace e culla tra le braccia un neonato. Lo culla dolcemente. «E tu, che cosa dici?» gli chiedono. «Quale nome vuoi dare a Dio?». L’uomo continua a tacere, continua a cullare il bambino. Tutti fanno silenzio e osservano attentamente. Improvvisamente uno dice: «Ecco il nome più bello che possiamo dare a Dio: papà!». «Sì» dicono tutti, «Dio è nostro Padre.» «Perché hanno detto papà e non mamma?» chiede Luca. «Sai» gli dico «Dio è un papà tenero e amoroso come una mamma». «Qualche volta lo chiamerò mamma» dice Luca.

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Mt 6,7-15 Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Il "Padre nostro" occupa il centro del discorso della montagna, quasi a darci "la sintesi di tutto il Vangelo"(Tertulliano). La prima parola è "abbà" (papà). Gesù compie una vera e propria rivoluzione religiosa rispetto alla tradizione ebraica di non nominare neppure il nome santo di Dio, e con questa preghiera ci coinvolge nella sua stessa intimità con il Padre. Non è che "abbassa" Dio; piuttosto siamo noi innalzati a Dio "che sta nei cieli". Egli resta il "totalmente altro" che tuttavia ci abbraccia. È giusto fare la Sua volontà e chiedere che venga presto il regno, ossia il tempo definitivo nel quale sarà finalmente riconosciuta la santità di Dio. La seconda parte della preghiera riguarda la vita quotidiana. Gesù esorta a chiedere il pane, quello di ogni giorno, per farci toccare con mano la concretezza dell'amore di Dio. E poi pone sulle nostre labbra una grave richiesta: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Appare duro e irrealistico ammettere che il perdono umano sia modello ("così come noi...") di quello divino, ma nei versetti seguenti questa petizione trova una spiegazione: "Se avrete rimesso agli uomini le loro mancanze,

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rimetterà anche a voi il Padre che è nei cieli. Qualora non rimetterete agli uomini, neppure il Padre vostro che è nei cieli rimetterà le vostre mancanze". Questo linguaggio è incomprensibile per una società, come la nostra, nella quale il perdono è davvero raro. Ma forse proprio per questo abbiamo ancor più bisogno di imparare a pregare con il "Padre nostro".

Alcuni canti utilizzabili in questo nucleo sono: Il Disegno, I vostri nomi sono scritti nel cielo, Un dono va donato, Padre nostro…

Possiamo concludere questo nucleo provando a recitare insieme il Padre nostro usando dei gesti. Pensando a ogni frase ciascuno può suggerire qualcosa: ci mettiamo d’accordo e insieme preghiamo Dio, Padre di tutti gli uomini.

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ nn. 328-332: Il Padre. ♦ n. 172-175: Pregate così.

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III NUCLEO

LA COMUNITÀ CI ACCOGLIE

Catechismo della CEI “IO SONO CON VOI” pagg. 113-114

Far cogliere ai fanciulli che, con il Battesimo, entrano a far parte della comunità-famiglia che è la Chiesa. Scoprire i segni del sacramento del Battesimo e comprenderne il loro significato.

La storia di Tatiana

Dopo pranzo, la mamma chiamò Giulia e Carlo nello studio dove il papà stava leggendo il giornale e disse: «Ragazzi, per il mese di luglio avremo un ospite». «Un ospite?» chiese Giulia. «Sì» fece eco papà. «Abbiamo pensato di ospitare una bambina della Bielorussia», continuò la mamma. Giulia e Carlo si guardarono interdetti. Uno strano silenzio intercorse tra loro alla notizia, ma questa li aveva realmente colti impreparati. «E quanti anni ha?» domandò Carlo. «Dovrebbe averne nove, come te», risposte la mamma, «e due in meno di Giulia». I due ragazzi si chiusero in camera. Questa sì che era una novità! Possibile che non si potesse stare un po’ tranquilli? La loro estate sarebbe stata rovinata: addio vacanze! Loro avrebbero dovuto badare a questa bambina. E poi? Come avrebbero fatto a capirsi se non conosceva né parlava la loro lingua? Tutto era un problema. La mamma li osservava e ascoltava, ma di fronte alle loro obiezioni fu irremovibile: Tatiana, così si chiamava la bambina, sarebbe arrivata dopo la metà del mese di giugno. Era deciso. La scuola finì presto e il 18 giugno arrivò Tatiana, una bambina bionda e minuta, magrissima. I due ragazzi andarono ad accoglierla insieme con i genitori all’aeroporto. Era così spaurita! Giunti a casa, la bambina sembrava addirittura incantata: si chiuse in bagno e la mamma dovette faticare molto per farla uscire dalla vasca. Cominciò poi a osservare ogni cosa con i suoi grandi occhi azzurri. Giulia non dovette faticare molto per capirsi con Tatiana, che era una bambina intelligente, dolce e affettuosa. Viveva con sua madre – il papà era morto da qualche anno – in una casa piccolissima, dove d’inverno pioveva dal tetto e l’unico posto asciutto rimaneva il letto.

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Il mese di luglio passò in fretta; Giulia e Carlo condivisero i giochi e i vestiti, e quando Tatiana partì, dissero che la loro casa era rimasta un po’ vuota. La mamma li ascoltò e sorrise. Al termine possiamo “affidare” ai fanciulli un impegno per i giorni successivi: la Famiglia di Dio ci accoglie con gioia. Anche noi cerchiamo di accogliere con modi nuovi le persone che ci sono vicine, i nostri genitori, i nostri amici: con un sorriso, con un abbraccio, con un segno di festa.

Alla scoperta del battesimo Sarebbe opportuno e bello approfittare di questo nucleo per fare una visita alla chiesa, magari coinvolgendo il parroco o una persona impegnata in parrocchia, per esempio, in ambito liturgico, e scoprire insieme ai fanciulli quelli che sono i luoghi e i segni del sacramento del battesimo (vedi allegato). Successivamente può essere preparato un cartellone con al centro la foto o il disegno del battistero visto in chiesa, con intorno le fotografie dei bambini nel giorno del loro battesimo; accanto alla fotografia si può scrivere la data del battesimo, la chiesa in cui è stato celebrato, il nome dei genitori e dei padrini… Nell’eventualità in cui nel gruppo ci sia un fanciullo non ancora battezzato, mettiamo comunque sul cartellone la sua fotografia, lasciando uno spazio bianco che provvederemo a completare nel momento in cui verrà celebrato il battesimo.

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Atti 8,26-38 Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Alzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etiope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accostati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:

Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,

così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato,

la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.

Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce

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che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. L’annuncio viene da un mandato. L’iniziativa dell’annuncio viene dall’alto: è l’angelo che parla a Filippo. Nell’ordine è contenuta una messa in movimento che evoca la risurrezione (“Alzati”, v. 26). Come nel caso di Maria di Nazareth, il mettersi in cammino è un frutto di risurrezione. La chiesa, generata dalla risurrezione, si mette in movimento verso l’umanità non più solo ebraica, ma del mondo intero. Nell’invio non sono date le ragioni, né i dettagli, anzi c’è qualcosa di irragionevole: andare su una strada deserta e nel pieno della calura del mezzogiorno, se al termine “mezzogiorno” si dà un senso temporale. Filippo, vero figlio d’Abramo, realizza l’ordine senza proferire parola. Lo Spirito non solo manda ma accompagna lo svolgersi della missione e il suo compimento. L’incarnazione. La persona a cui Filippo è mandato è di un altro popolo, portatore di una cultura e di una storia diverse, anche se adoratore del Dio d’Israele. Egli viaggia nel percorso della vita, verso il suo mondo, accompagnato dai segni della sua cultura: il carro, il seguito… È nel suo contesto culturale che legge la Scrittura. Filippo non deve strappare l’eunuco dal carro, ma “attaccarsi” ad esso. Si tratta anzitutto di farsi viaggiatore con lui e al modo suo. Se in primo luogo l’iniziativa è allo Spirito, in secondo luogo è a Filippo: non è l’eunuco che lo cerca, ma Filippo a cui è chiesto il coraggio del primo approccio. Ascolto e dialogo. Filippo non sale sul carro, se non quando vi sarà invitato; non ha un messaggio già pronto e standardizzato da trasmettere. Si fa semplicemente compagno di strada, ascoltando. Presa così coscienza del percorso di quest’uomo, parte dalla sua ricerca già in atto, provocandolo a un approfondimento: “Capisci ciò che leggi?”. Pone domande, non fa dichiarazioni perentorie. Raggiunto nel cuore della sua ricerca, l’eunuco “scongiura” Filippo di sedere accanto a sé. Ha riconosciuto in lui non un propagandista, ma un compagno di viaggio. Eliminato, mentre non apre bocca. Tutto l’Antico (o il Primo) Testamento guarda a Cristo, ma non basta leggerlo per comprenderne il senso cristologico. Il brano letto dall’eunuco riguarda un personaggio misterioso, senza nome, ingiustamente soppresso e privato di posterità, mentre lui non si difende. Chissà se l’eunuco vi ha colto una sintonia con la sua vicenda personale, di persona priva di posterità per la sua condizione fisica. C’è nel lungo carme di Isaia anche l’annuncio della sua glorificazione, ma l’eunuco sembra concentrare l’attenzione sulla sua sofferenza senza colpa e senza difesa. Non è il racconto in sé che pone problema, ma l’identità del personaggio o del gruppo di cui parla. L’annuncio. Sintonizzatosi sulla ricerca dell’eunuco, da lì Filippo parte per un annuncio che parte dal testo per annunciare la bella notizia: Gesù. Non solo morte, ma risurrezione, non solo quel testo, ma altri, non solo testo, ma eventi. Non solo Gesù, ma anche quello che la sua vicenda ci ha resi. Annunciando, Filippo non distoglie l’eunuco dal suo itinerario, ma lo condivide, facendosi suo compagno: sarà la buona notizia accolta e la comunione con Cristo avviata dal battesimo, che farà dell’eunuco un uomo nuovo nell’ordinarietà della sua vita. Lo Spirito e l’acqua. “Ecco dell’acqua, che cosa impedisce…?” La domanda dell’eunuco, forse eco di antichi riti battesimali, dice lo slancio e l’urgenza della scelta di Gesù, una

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volta che lo si è incontrato. Il rito dell’acqua battesimale dice, completa, sancisce, visibilizza ciò che l’accoglienza dell’annuncio di Gesù ha già operato: la rinascita di quest’uomo immerso nella passione e morte di Gesù e risuscitato con lui a vita nuova. Per vivere questo, l’eunuco e Filippo si staccano dal carro, quasi ad evocare la morte a tutto, per poi ritrovare in Cristo i germi di bene della propria cultura e anche della propria personalità purificati e potenziati. Entrambi, sottolinea Luca, scendono nell’acqua, l’elemento simbolico comune nel quale sono stati rigenerati dalla forza dello Spirito.

Proposte per il canto: Acqua siamo noi, Spirito di Dio, Vieni Santo Spirito…

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ nn. 669-678: il Battesimo ♦ n. 838: Un germe da sviluppare

Alla fine di questo nucleo, durante la messa domenicale, si consiglia di “celebrare” insieme questo momento utilizzando lo schema presente negli allegati (celebrazione 1).

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IV NUCLEO

È TEMPO DI AVVENTO

Catechismo della CEI “IO SONO CON VOI” pagg. 37 – 41

Introdurre i fanciulli nel tempo liturgico dell’Avvento, facendo scoprire loro il modo giusto per prepararsi al Natale. Aiutarli a capire con quale atteggiamento è possibile attendere ed accogliere Gesù, sul modello di Maria e di Giovanni Battista.

Si consiglia di introdurre il presente nucleo con la lettura delle pagine 37 e 38 del Catechismo “IO SONO CON VOI”, avendo cura di valorizzare in particolare l’introduzione (Tutti aspettano il Natale. Perché? Che cosa facciamo per prepararci al Natale?...) e l’invito di Giovanni Battista: “Preparate la strada del Signore”. Accompagnare successivamente i fanciulli alla scoperta dei segni che ci dicono che ci stiamo preparando al Natale: addobbi natalizi, alberi di Natale, calendario dell’Avvento, visite agli anziani e agli ammalati, acquisti di vestiti o regali, veglie di preghiera, prenotazioni per le vacanze… Questo primo lavoro di gruppo, che non dovrebbe occupare più di 10/15 minuti, è utile per introdurre le attività successive.

Giovanni Battista

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Marco 1,1-8 Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaia:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri,

vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene

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dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

«Inizio del vangelo di Gesù Cristo». Marco, l’autore di questo piccolo libro, non intende narrare una fiaba religiosa, magari bella ed educativa. Egli racconta un fatto accaduto realmente in un determinato luogo della terra, in un tempo ben preciso. Ed è un fatto così straordinario e unico da essere «vangelo», ossia una bella e importante notizia per tutti. Queste prime parole del secondo vangelo riportano gli inizi della predicazione cristiana. Si potrebbe anche dire che in quegli anni «iniziava» a esistere nella storia degli uomini tutto ciò che è narrato in quel piccolo libro. Quell’«inizio» non è da intendere solo in senso temporale, un «inizio» posto una volta per tutte e ormai prigioniero del luogo e del tempo in cui si è verificato. La buona notizia di Gesù è un «inizio» che resta vitale, è un fondamento sempre operante, in ogni generazione e in ogni tempo, anche oggi. Pertanto il vangelo non lo si ascolta una volta per tutte. Deve essere a fondamento di ogni giornata del credente. Tutti abbiamo bisogno di ascoltare questa parola e di ascoltarla sin dall’inizio. Nessuna generazione può sottrarsi a essa, perché nessuna può dirsi cristiana per natura e non bisognosa di queste parole. Anche coloro che non diventeranno mai cristiani non possono eludere la testimonianza evangelica. Le prime parole ci immergono subito nell’attesa di un futuro, anzi ci invitano a prepararlo. Esse annunciano che «qualcuno» sta per venire tra gli uomini per aprire il loro cuore alla salvezza. Non c’è più tempo per distrarsi; il rischio di perdere l’occasione propizia è alto. Al lettore si chiede di avere un cuore aperto e disponibile ad accogliere colui che sta per venire. Si potrebbe dire che questo inizio del vangelo svolge esso stesso la funzione di Giovanni Battista: ci indica la via verso il Signore; o meglio ci porta il Signore nel cuore. Disporsi ad aprire questo piccolo libro, significa immediatamente aprirsi a quel futuro che si chiama regno di Dio; un regno atteso soprattutto dai deboli e dai poveri, da coloro che sono nell’ingiustizia, nella guerra o nel pericolo. Milioni di profughi, una schiera innumerevole di abbandonati, di anziani soli, di rifiutati dagli uomini, e con loro anche noi, chiedono e implorano un futuro migliore. «Appianate la via del Signore» grida Giovanni Battista nel deserto di questo nostro mondo, e aggiunge: «Rendete dritti i suoi sentieri». «La via del Signore», in questo contesto, non sta a indicare il percorso che conduce noi verso di lui. Al contrario, tale espressione del profeta addita i sentieri che il Signore percorrerà per giungere fino a noi, per visitare coloro che sono nella schiavitù e nella povertà, comunque nel bisogno. Giovanni ha fretta di un futuro migliore e grida forte. Egli non accetta il mondo così com’è, protesta, veste da personaggio strano e, soprattutto, parla. E’ tagliente con la sua parola. Come ogni predicazione richiede, parla al cuore della gente: desidera che la sua parola colmi i vuoti dei cuori, appiani i monti o i muri che ci separano gli uni dagli altri, strappi le radici amare che avvelenano i nostri rapporti, raddrizzi i sentieri distorti e accidentati che spesso percorriamo. E, davvero, questo austero predicatore colpisce nel cuore. Scrive Marco: «Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme» per farsi battezzare, confessando i loro peccati. Giovanni, ogni volta che apriamo questa pagina evangelica, torna e predica ancora oggi, in mezzo a noi, per preparare «la via del Signore». La via ci è donata; spetta a ogni discepolo accettarla e accogliere il Signore che viene. (mons. Vincenzo Paglia)

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Aiutiamo i fanciulli a riflettere sulla figura di Giovanni Battista attraverso le seguenti domande tratte da Quaderno di IO SONO CON VOI, Progetto Magnificat, n. 1, pag. 18:

• Marco ci presenta Giovanni Battista; non trovate che abbia uno stile davvero particolare? Com’è vestito? Che cosa mangia?

• Giovanni prepara la strada a Gesù; che cosa vuol dire? Che cosa annuncia Giovanni alla folla?

• Avete mai aspettato con tanta ansia qualcuno? Che cosa avete fatto nell’attesa? Che cosa avete preparato per accoglierlo?

• C’è una persona che non vedete l’ora che venga a casa vostra, e quando arriva vi sembra che sia la festa più bella dell’anno?

• C’è qualcuno che vedete raramente, magari perché vive lontano? Che cosa fareste per portarlo da voi, adesso? Usate pure la fantasia; attraversereste a nuoto il mare? O magari buttereste giù qualche montagna?

Maria

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Luca 1, 26-45 Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Due grandi figure, nel terzo vangelo, introducono all’incontro con il Signore Gesù: Giovanni Battista e Maria di Nazareth. Sono due testimoni la cui vita, tutt’intera, è tesa a mostrarci il Cristo. L’uno è il predicatore nel deserto di questo mondo che invita a

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convertirsi e aprire così la strada sulla quale viene il Signore; l’altra è colei che ci mostra il Redentore. Ci troviamo nella periferica e semipagana Galilea, in un villaggio sperduto vicino al confine. E non nel tempio, bensì in un misero tugurio con una bambina appena adolescente, sola, con un nome molto comune: Maria. L’angelo entra e la saluta. È una ragazza come tutte; vive la vita ordinaria del villaggio. Eppure su di lei si è posato lo sguardo di Dio. L’angelo può rivolgerle queste parole: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te». Sì, Maria è piena d’amore, riempita sino all’orlo dell’amicizia di Dio. E in questo lei è prima di noi tutti. Maria si turba alle parole dell’angelo. Non ha una grande considerazione di sé; si sente un nulla davanti a Dio. Ella conosce la sua povertà. Ed è attenta alle parole dell’angelo; non di un’attenzione curiosa, bensì di santo timore. La parola dell’angelo la turba, così come le parole evangeliche dovrebbero turbare il nostro spirito. Maria ascolta e si turba. Per lei sono parole decisive, che giungono dentro il cuore e lo dividono. L’angelo la conforta: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, tu concepirai nel grembo e darai alla luce un figlio. Lo chiamerai Gesù». È una notizia che la sconvolge ancor più profondamente. Possiamo immaginare il tumulto di pensieri che si scatenano nel cuore di questa ragazza sui 12 o 14 anni! Potrebbe dire no e restare nella sua tranquillità e continuare la vita di sempre, che le va pure bene. Se, invece, dice sì, nella migliore delle ipotesi apparirebbe come una ragazza madre. Maria, non contando sulle sue forze ma unicamente sulle parole dell’angelo, risponde: «Ecco la serva del Signore; si faccia di me come hai detto tu». Lei, la prima ch’è stata amata in modo così grande da Dio, è la prima che risponde alla parola dell’angelo con totale accettazione. Maria, la prima dei credenti, ci introduce nel Vangelo di Luca con il giusto atteggiamento: essere ascoltatori della parola di Dio. Dopo aver saputo dall’angelo che la cugina Elisabetta è incinta, Maria, senza frapporre indugi, parte per recarsi in suo aiuto. In fretta — scrive Luca — si avvia dalla Galilea verso la Giudea, affrontando fatiche e disagi pur di stare accanto all’anziana cugina incinta miracolosamente. Il vangelo mette sempre fretta, quando lo si ascolta come fece Maria, spinge a uscire dalle proprie abitudini, a superare i propri pensieri, a essere accanto a chi soffre o comunque ha bisogno. In questo caso dobbiamo pensare che si tratta di una ragazza di 12-14 anni, che intraprende da sola un viaggio di almeno tre giorni e che resta fuori casa per alcuni mesi. Senza dubbio sarebbe incomprensibile se non ci fosse la spinta delle parole dell’angelo. Elisabetta, questa anziana donna che diviene madre per intervento di Dio, è indicata dalla tradizione, come figura dell’antico Israele che accoglie la giovane madre della nuova alleanza. E’ lei per prima che riconosce e proclama a voce alta la presenza del Messia nel grembo di Maria. Possiamo tuttavia vedere in lei le tante Elisabetta (siano singole donne o gruppi o popoli interi) sparse nel mondo vittime della guerra, della fame, della solitudine. Il brano evangelico è un pressante invito ai credenti perché, come Maria, vadano loro incontro con fretta e dicano che sono finiti i tempi oscuri, ch’è concluso il tempo della tribolazione e dell’oppressione. Certo ci sono da superare montagne e asperità. Ma esse si innalzano prima di tutto dentro la nostra vita e i nostri cuori: sono le montagne create dall’accumulo enorme di indifferenza, di distrazione, di egoismo. E solo la liberazione da questi accumuli permette di correre, di andare in fretta e raggiungere le tante donne nella stessa condizione di Elisabetta sparse nel mondo. Le loro orecchie gioiranno nel sentire il saluto e l’abbraccio

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fraterno. Dal profondo delle loro viscere la vita sussulterà, come il bambino ch’era nel grembo di Elisabetta. Si accorgeranno che non sono destinate a morire, che non sono condannate a rimanere sterili: ritorna la vita, il volto apatico e stanco si riempie di Spirito Santo e possono benedire il Signore perché sono state visitate nel suo nome. (mons. Vincenzo Paglia)

Aiutiamo i fanciulli a comprendere che Dio fa grandi cose nelle persone semplici, che Egli può agire solo attraverso la nostra generosa disponibilità: Maria è modello di disponibilità e di accoglienza. Invitiamo i fanciulli a riflettere su quello che avrà preparato o fatto Maria dal giorno in cui ha accolto l’annuncio dell’angelo: “Come avrà atteso la nascita del Figlio di Dio? Quali saranno state le sue preoccupazioni? Chi avrà avuto vicino?”. Sarebbe bello, a questo proposito, arricchire questa attività invitando una mamma in attesa, o una mamma che ha recentemente avuto un bambino, anche se estranea al gruppo dei fanciulli (ma non alla comunità!). La testimonianza della mamma e le risposte dei fanciulli sottolineeranno probabilmente lo spessore umano dell’attesa (corredino… e tutto ciò che è legato ai bisogni di un neonato, desideri, progetti di una giovane mamma…) ed esprimeranno l’atteggiamento di simpatia e tenerezza suscitati da questo evento (soprattutto se vissuto recentemente in famiglia). Facciamo successivamente notare loro la radicale diversità del comportamento di Maria che, subito, pensa di mettersi a disposizione dell’anziana Elisabetta. L’angelo, infatti, le ha rivelato che Elisabetta avrebbe messo al mondo il bambino che per tanto tempo aveva sperato di avere ma che ormai non aspettava più. Maria è certa che se il Signore consente questa gioia a due vecchi, ormai rassegnati a trascorrere, senza nessuno accanto, gli ultimi anni della vita, è buono e grande e fa grandi cose anche nelle persone semplici, anche in chi sembra non avere valore. Se lui fa così, anche Maria starà vicino a queste persone semplici e bisognose. Ricordiamo ai fanciulli che la comunità cristiana nelle quattro settimane che precedono il Natale si reca più spesso in chiesa (le novene dell’Immacolata e del Natale… nove come sono i mesi dell’attesa di Maria) anche se è buio e la strada è lunga e fa freddo, ricordando il coraggio di Maria che si è messa in viaggio senza pensare soltanto a sé.

Gli incontri di questo nucleo possono essere arricchiti dai seguenti canti: Giovane donna, Ave Maria, Salve Regina, Magnificat: quello di Taizé può essere cantato a canone, suddividendo i fanciulli in quattro gruppi, oppure utilizzato come ritornello cantato nella lettura dei vari versetti de Il cantico di Maria in Luca 1,46-55. Possiamo anche concludere questo nucleo con la preghiera dell’Ave Maria, invitando i fanciulli a scoprire, nella prima parte della preghiera, le parole di saluto dell’angelo e di Elisabetta, che i cristiani ripetono ammirati per invocare colei che è stata la Madre di Dio.

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ nn. 112-118: Si compiono le attese. ♦ nn. 760-762: Prediletta dall’eternità. ♦ nn. 763-766: Immacolata.

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V NUCLEO

VENITE, ADORIAMO

Catechismo della CEI “IO SONO CON VOI” pagg. 45-47

Aiutare i fanciulli a scoprire che Gesù Salvatore è venuto nel mondo per tutti gli uomini: pastori e Magi lo adorano come il Messia atteso.

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Luca 2, 8-20 C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli

e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. La scena della nascita di Gesù presentata da Luca è forse la più semplice e la più povera che si poteva immaginare: Maria e Giuseppe accanto al bambino deposto in una mangiatoia. Questo videro i pastori, niente altro. Eppure, aggiunge l’evangelista, furono pieni di gioia. Avevano ascoltato le parole dell’angelo: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è il Messia Signore» e il segno era, appunto, un bambino avvolto

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in fasce. Con la loro povera fede hanno visto un Dio povero, piccolo, non lontano ma davanti a loro, come uno dei loro bambini, nato, potremmo dire, nel loro ambiente. La gioia di quei pastori fu grande perché, se Dio fosse nato in una reggia, loro sarebbero rimasti fuori senza potervi entrare. E certo lo avrebbero sentito distante. Ma ora sono lì, per primi, loro che vivevano ai margini della città, a contatto più con gli animali che con gli uomini. Non solo. Questi mandriani, che non godevano di buona reputazione, al punto da non poter fare da testimoni in questioni di giustizia, sono invece chiamati a diventare i primi testimoni di Gesù e della sua nascita. Subito, infatti, si misero a raccontare a tutti, pieni di gioia, quello che avevano visto e udito. In questa immagine c’è come un primo abbozzo della comunità dei credenti, un gruppo di povera gente radunata attorno al Signore. Il Natale non è la festa dell’egoismo dell’uomo, è la festa della presenza del Signore. «Pastori, dite, chi avete visto? Annunciate chi è nato sulla terra», dice a noi un antico canto liturgico. Essi videro una famiglia fragilissima, senza domicilio, senza tetto; con una sistemazione da emigrati. La debolezza di questa famiglia, di quel bambino, che scandalizza la nostra autosufficienza, è in realtà di consolazione, perché il Signore si è fatto debole tra i deboli, piccolo tra i piccoli. Ma quel bambino è un «segno», ossia una debolezza che cambia, che trasforma il mondo. (mons. Vincenzo Paglia) Matteo 2,1-12 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

Allora Erode, chiamati segretamente i magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese. Il Vangelo di Matteo, dopo aver detto, con una sola frase, che la nascita di Gesù e avvenuta a Betlemme, descrive la visita e l’adorazione dei Magi. Con questo episodio la visione dell’evangelista si allarga oltre i confini del popolo ebreo per estendersi verso tutti gli altri popoli.

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Il vangelo non indica né il numero, né la patria di questi strani personaggi, che hanno segnato l’infanzia di tanti di noi. Ci dice solo che essi vengono dall’Oriente. La tradizione narra che partirono dalla Mesopotamia: apparve loro una stella particolare, una luce diversa dalle altre e la seguirono. Formarono una piccola carovana e portarono con sé un bagaglio di oro, incenso e mirra da poter offrire. Arrivati a Gerusalemme domandarono: «Dov’è il neonato re dei Giudei? Poiché abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti ad adorarlo». Il vangelo continua: «All’udir ciò il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme». Erode temeva che qualcuno potesse insidiargli il trono; fu preso da una sorta di angoscia e cercò di identificare il volto e il nome del nuovo re. Il furbo politicante voleva giocare quegli strani personaggi: «Andate informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». I fantasmi ossessionavano il re e lo rendevano ancor più crudele. Persino un bambino era una minaccia, un’alternativa, per lui, potente signore dell’Idumea, della Samarìa e della Galilea. E in un certo senso era vero. Bisognava andare a Betlemme per trovare l’alternativa. Bisognava scendere dalla grande capitale della Palestina e recarsi in questa cittadina; anzi neppure al centro di essa, ma fuori le sue mura. E lì ci andarono solo questi Magi, uomini strani, scrutatori di stelle. Si erano accorti del sorgere di una nuova stella e scelsero di seguirla per scoprire cosa rivelava. Quegli uomini non sapevano che quella stella avrebbe indicato loro Gesù, ma la seguirono ugualmente e con fedeltà. Fu il loro angelo, il loro vangelo. La luce si fermò, e i loro occhi poterono vedere con chiarezza quello che avevano appena intuito all’inizio del viaggio: trovarono un bambino con sua madre. Secondo il Vangelo di Luca c’erano anche dei pastori nella zona. Strano incontro, tra poveri guardiani di pecore abituati a stare sotto il cielo, e questi timidi scrutatori di stelle provenienti dall’Oriente. Strana fraternità attorno a quel bambino. Persone così lontane e diverse trovano una comune gioia nel raccogliersi attorno a quel piccolo bambino indifeso, a cui solo il cielo (gli angeli e la stella) sembra far festa. Ma è proprio questa l’alternativa al potere di Erode? Un bambino povero, figlio di poveri, nato in una stalla? È una risposta che va bene per pastori miserabili, allucinati dalle lunghe veglie; una risposta che va bene per intellettuali strani, amanti di stelle. E’ una risposta troppo debole per chi è forte, troppo ingenua per i saggi, troppo ridicola per gli orgogliosi. Eppure questa è l’alternativa di Dio: una forza debole che può sconfiggere l’arroganza e la sicurezza del mondo. Scrive il vangelo che i Magi, dopo aver incontrato questo bambino, fecero ritorno alla loro terra per un’altra strada». Non intrapresero la via di Erode, la via della violenza, ma quella della pace di quel bambino. Dopo aver incontrato Gesù, non si può continuare sulla stessa via; bisogna cambiare strada. (mons. Vincenzo Paglia)

Anche noi Magi Prepariamo preventivamente tutto il materiale necessario: cartoncino giallo, carta colorata o argentata, forbici, spillatrice, colla…, una statua o una immagine di

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Gesù bambino da porre in bella evidenza in un angolo della stanza (ci servirà nel momento celebrativo). La seguente attività è tratta dal Quaderno-laboratorio di IO SONO CON VOI, Gruppo il Sicomoro, Piemme Junior. L’attività può essere introdotta dalla seguente preghiera:

Signore Gesù, Tu sei il Re dei re!

Anche noi, come i Magi, vogliamo conoscerti e adorarti.

Anche noi, come la stessa cometa, vogliamo splendere

e tracciare con la nostra luce la strada che porta a Te!

Diciamo ai fanciulli che anche noi vogliamo “andare” a Betlemme per adorare Gesù! Introduciamo i fanciulli al racconto della epifania, dicendo loro di preparare delle corone di cartoncino. I bambini taglieranno una striscia di cartoncino (abbastanza alta e con delle punte o delle onde sul profilo) e impreziosiranno le corone incollando delle “gemme” rotonde o triangolari di altra carta colorata o argentata. Decoreranno la corona con i pennarelli e ci scriveranno anche il proprio nome. Li aiuteremo a “misurare” le corone e poi le potremo chiudere con la spillatrice. A questo punto possiamo leggere i due brani di vangelo proposti, e “riepilogati” nelle pagine 46 e 47 del catechismo, sottolineando che l’annuncio della nascita di Gesù non è rivolto solo ai “vicini”, e cioè ai pastori e alla gente del popolo di Israele. La nascita di Gesù è un evento talmente grande e importante che non può restare sconosciuto: Gesù è il Figlio di Dio nato in mezzo agli uomini, per tutti gli uomini! Per questo, anche da lontano, arriva qualcuno cercando il Re che è nato. Dall’Oriente (simbolo di un luogo “lontano”, di un altro popolo…) arrivano i Magi, dei sapienti che la tradizione cristiana chiama anche “re”. I re Magi, seguendo un segno del cielo, vanno alla ricerca di Gesù, e, trovatolo, gli rendono omaggio. Offrono a lui dei doni e lo adorano. Gesù è il Re dei re, anche se è nato in un’umile capanna. I re Magi si inchinano di fronte a un piccolo bambino nato nella povertà, perché riconoscono in Lui il Figlio di Dio. L’idea dell’”adorazione” sarà ripresa nel successivo momento celebrativo e dovrà essere vissuta con semplicità: basta un gesto con cui esprimere la nostra gratitudine e il nostro amore a Gesù, Figlio di Dio nato per ogni uomo. Indossiamo le corone e facciamo insieme un canto di Natale (va bene anche quello proposto a pag. 45 del catechismo). Uno alla volta i fanciulli vanno davanti a Gesù bambino e in silenzio appoggiano in terra la propria corona. Quando tutti hanno appoggiato la propria corona, invitiamo i fanciulli a “donare” a Gesù ogni cosa: le nostre azioni, i nostri impegni, la nostra settimana. Aspettiamo qualche istante in silenzio e poi preghiamo per tutti gli uomini che ancora non conoscono Gesù e concludiamo con un canto.

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Ti racconto una storia Per accostare i fanciulli al brano evangelico di Matteo, possiamo utilizzare la seguente rielaborazione del poeta Stefàn Zaviel (tratta dal Sussidio al Catechismo Io sono con voi, strumento di lavoro per il catechista, n. 2, EDB): “È notte, notte profonda. È buio e tutti dormono, dormono sui monti… Dormono nelle grandi città… dormono nei castelli… dormono nelle capanne. Tutto è silenzio e ancora nessuno sa. Questa notte, però, non è come le altre notti. In questa notte appare una stella in cielo, bella e grande. Luminosa più di tutte le altre stelle. I pastori si svegliano e si guardano intorno. Il cielo è pieno di luce. Gli angeli cantano e annunciano: «Questa notte è nato Cristo, il Salvatore!». In questa notte, buia e silenziosa, in questa notte in cui appare in cielo una stella lucente, dormono nel lontano oriente tre saggi, tre grandi re. Essi dormono… ognuno nella sua città. Ma la stella che attraversa il cielo si ferma sopra la loro terra d’oriente. Allora tutto si illumina, i saggi si svegliano e ascoltano l’annuncio dell’angelo. Appena giorno guardano nei loro antichi libri e il loro cuore si colma di gioia: il re tanto atteso è nato! Ed essi si mettono in viaggio per andare ad adorarlo. Essi portano doni per il nuovo re: oro, incenso, mirra! Il viaggio è lungo e pericoloso. Attraversano deserti, paesi e città. Camminano giorno e notte finché giungono al mare. Su una nave raggiungono Gerusalemme e infine ecco Betlemme e la stalla… Essi scuotono la sabbia dai loro sandali e spolverano gli scrigni pieni di doni. Si asciugano il sudore dalla fronte e lisciano i loro vestiti e poi entrano e si inchinano davanti a Cristo, Signore. Gli porgono l’oro, l’incenso e la mirra, e lo chiamano “Re dei re”. Allora si rallegrano i pastori quando vedono che questi grandi re si inchinano davanti a un bambino. Essi capiscono che questo bambino è il re di tutti, è il Messia per tutti, per i potenti e per chi è così povero da dormire all’aperto, sotto le stelle”. La festa dei Magi si chiama Epifania che vuol dire “manifestazione”. Per aiutare a capire il termine, possiamo ricorrere ai manifesti che vengono affissi per pubblicizzare qualcosa (es. locandine, avvisi, pubblicità…). A questo punto possiamo accennare ad Erode, che a differenza dei Re Magi, non solo non va a onorare Gesù, ma cerca di farlo morire perché teme che gli occupi il posto. Gesù è il dono del Padre agli uomini, ad ogni uomo, anche a quello che non lo accetta o non lo conosce. La nascita di Gesù che abbiamo festeggiato non è solo un ricordo, ma una realtà operante in noi e un impegno: quello di accettare con cuore aperto il Dio che si dona per diventare anche noi, nella nostra vita di ogni giorno, dono per gli altri. Possiamo concludere questa attività invitando i fanciulli a prendersi un impegno: giocare con un compagno che non piace, passare un po’ di tempo con anziani, nonni o persone sole, andare a fare visita a un vicino…

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Canti utilizzabili in questo nucleo: sarebbe bello durante questo nucleo riprendere in mano il canto del Gloria imparato lo scorso anno e gli altri canti di Natale conosciuti in Parrocchia.

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ nn. 301-305: L’Emmanuele, Dio con noi.

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VI NUCLEO

LA TUA FEDE TI HA SALVATO!

Aiutare i fanciulli a cogliere nei miracoli di Gesù il segno dell’amore di Dio per ogni uomo, amore che chiede di essere riconosciuto e accolto.

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Luca 17,11-19 Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Il brano si compone di due quadri: dopo l’abituale cornice narrativa iniziale, nel primo si ha l’incontro di Gesù con i dieci lebbrosi; il secondo racchiude la reazione del samaritano guarito e di Gesù nei suoi confronti. Già la costruzione narrativa evidenzia come per l’evangelista non sia tanto importante il miracolo quanto la diversa reazione che esso provoca nei lebbrosi guariti. La tradizione ebraica condannava all’isolamento e alla vergogna i lebbrosi Alla sofferenza fisica si aggiungeva anche l’estraneazione e la solitudine. Non solo malati, dunque, ma anche abbandonati a se stessi, lontani da luoghi abitati e per di più considerati come gente che subiva un castigo da parte di Dio per qualche colpa oscura Possiamo ben comprendere allora il grido: “Gesù maestro abbi pietà di noi!” che esce dalla loro bocca. È anche un grido di fede? È con certezza il riconoscimento di Gesù come il Messia, il Figlio di Dio? Forse è troppo presto per giungere a tali conclusioni. La storia merita di essere percorsa fino in fondo... La risposta di Gesù non è una liberazione immediata dal male come in altre occasioni (cfr. Lc 5,12-16), ma è un invito a presentarsi ai sacerdoti. In un certo senso questi uomini sono messi alla prova non assistono subito a un prodigio, ma devono credere nella promessa di Cristo, devono ubbidire dimostrando di avere fede nella sua parola: solo così essa diventa radice di liberazione. Partono per un viaggio che era loro vietato: la lebbra è ancora

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evidente ma più evidente è la speranza: la promessa di Gesù è più forte di piaghe e di paure. Si mettono in cammino tutti e dieci, tutti hanno fede nella parola di Gesù, partono e la strada è già guarigione Ma uno solo passa da semplice guarito a salvato: l’unico che ritorna, a cui Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato!”. Uno solo, tra i dieci, e per di più si tratta di uno straniero. Di un eretico. Di uno che i veri ebrei consideravano lontano da Dio, estraneo al suo popolo, all’autentico Israele. Ai nove lebbrosi guariti che non tornano è sufficiente la guarigione. Non tornano perché forse smarriti nel vortice della loro felicità, negli abbracci ritrovati. Non tornano forse perché sentono la salute come un diritto e non come un dono; come un diritto e non come un miracolo. I loro corpi, è vero venivano liberati dalla lebbra. Ma i loro animi non avevano incontrato veramente il Signore. Si era trattato solo di un “tocco”, di una “grazia” che non aveva cambiato la loro esistenza. Semplicemente perché quello che interessava loro era solo tornare a casa, veder finita la malattia. Ogni miracolo - e il vangelo di Luca lo ricorda spesso - è una storia incompiuta, una storia che è solo all’inizio, che domanda altro: l’uomo non è il proprio corpo, la pienezza consiste nel passare da semplice guarito a salvato, nel trovare la vita piena entrando in comunione con il Donatore e non soltanto con i suoi doni. Nell’unico che è tornato, importante non è tanto l’atto del ringraziamento, quasi che Dio fosse in ricerca del nostro grazie, bisognoso di contraccambio. Il lebbroso è salvo non perché paga il pedaggio della gratitudine, ma perché entra in comunione. Con il proprio corpo, con i propri sentimenti, con il Signore. (mons. Francesco Lambiasi)

Invitiamo i fanciulli a riflettere sul comportamento dei lebbrosi sottolineando che:

• Gesù vuole bene a tutti: infatti guarisce tutti i lebbrosi; • Noi, al contrario, non sempre sappiamo riconoscere e accogliere l’amore di

Dio: infatti, uno solo torna indietro per ringraziarlo. Con questa premessa, invitiamo i fanciulli a riconoscere le situazioni della loro vita in cui si sentono “lebbrosi”, situazioni che li portano a dimenticare le tante cose belle di cui è piena la loro vita e per le quali dovrebbero ringraziare Dio.

Il libro dei grazie! Costruiamo il libro dei grazie: ad ogni fanciullo (ma fatelo anche voi insieme a loro!) consegnate un foglio di carta colorata e invitate ciascuno ad esprimere, attraverso immagini ritagliate, disegni, frasi, poesie, preghiere…, il proprio grazie a Dio per le tante cose avute in dono. Con un foglio di cartoncino colorato preparate la copertina con il titolo, ad esempio: “Il nostro libro dei grazie” e le firme di tutti. Rilegate (con la cucitrice, con dei fori e del nastro colorato…) il libro e utilizzatelo come “segno” per un breve momento celebrativo conclusivo. Potete, a titolo esemplificativo, sedervi in cerchio e mettere al centro il quaderno appena realizzato, ed esprimere, attraverso un canto o una preghiera, l’inno di grazie e di lode a Dio che ama ogni uomo.

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E tu, quando dici grazie? In alternativa, o a completamento dell’attività precedente, possiamo “creare” un grande cartellone con i nostri grazie, utilizzando, come per “Il libro dei grazie” materiali diversi: immagini e fotografie, frasi inventate o copiate, preghiere, canti…

In questo nucleo si possono utilizzare tutti i canti che esprimono gratitudine e lode a Dio: Ti ringrazio mio Signore, Grandi cose, Laudato sii, o mi’ Signore, Lode e gloria a te… Per la preghiera, suggeriamo di utilizzare la prima (tratta da AMICO DIO, Per educare i ragazzi · e non solo · a pregare, di Tonino Lasconi, Paoline) all’inizio del nucleo e di utilizzare la seconda (tratta da Gesù amico, Preghiere dei fanciulli di 6/11 anni, A cura di Aida Bruschi e Elena Zanichelli, A.V.E.) nel momento celebrativo conclusivo proposto nella prima attività, o, in alternativa, a fine nucleo:

Dove sono i tuoi talenti? Mi hanno detto che nella tua industria non ci sono pezzi sbagliati, né prodotti di seconda scelta. Padre, io a volte faccio fatica a crederci. Tante volte mi sento proprio un pezzo sbagliato. Dove sono i tuoi doni? Dove sono i tuoi famosi talenti? Non sono bello, sono timido, non sono bravo a scuola, non emergo nello sport, non so cantare, sono goffo. Spesso mi è difficile ringraziarti, e credere che hai creato tutti con lo stesso amore. E non sono solo a pensarla così. Tra i miei amici, uno o due si sono presi tutti i tuoi «talenti». Sono belli, sono bravi, sono eleganti, sono corteggiati e ammirati… sono come i ragazzi della tivù.

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Come si spiega tutto questo? Tu sei Padre, sei buono, sei giusto, tu distribuisci i tuoi doni con sapienza, ma non tutti i tuoi figli ti sentono così… Padre, hai sbagliato qualcosa tu, oppure sono io che sbaglio perché non so vedere i talenti che tu hai donato a me? Sei grande Dio (Salmo 8) O Signore nostro Dio, come è grande ciò che tu hai creato! O Signore nostro Dio, come sei grande! Tutte le cose ci raccontano la tua bellezza, la terra canta la tua gloria, tutte le creature parlano di te. Guardiamo il cielo immenso, il sole, la luna, le stelle; l’uomo, così piccolo, è padrone di tutto, è la cosa più bella che tu hai fatto. Tu ci hai creati a immagine tua. Tutte le cose che hai creato ce le hai regalate, ciascuno di noi lo hai ricolmato di doni. Ci hai dato l’intelligenza e la fantasia, e il gusto di scoprire cose nuove, di imparare, ci hai dato l’allegria e la gioia di stare insieme. Soltanto all’uomo hai dato la parola per lodarti. Gli animali dei campi e dei boschi, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, le piante, i monti, l’oceano cantano la tua gloria con la nostra voce. O Signore nostro Dio, com’è grande ciò che tu hai creato!

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ n. 341: Il dono. ♦ nn. 354-355: A gloria della sua grazia. ♦ nn. 812-813: Cooperare con la grazia.

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VII NUCLEO

LO VIDE E GLI CORSE INCONTRO

Catechismo della CEI “IO SONO CON VOI” pagg. 165-166

Far scoprire ai fanciulli l’enorme distanza tra l’amore sconfinato di Dio per noi e la nostra risposta. Dio è un Padre che ci ama sempre e comunque.

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Luca 15,11-32 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far resta con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far

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festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Questa è la “mia” bontà Prima di leggere o di dire qualsiasi cosa, invitiamo i fanciulli ad esprimere, attraverso un disegno, il loro concetto di bontà (è importante, in questa prima fase, non condizionare i fanciulli con il nostro pensiero e quindi non dare alcun tipo di indicazione). Evitando qualsiasi commento al concetto personale di bontà espresso dai fanciulli, proseguiamo poi con la lettura delle pagine del catechismo e concludiamo con la seguente preghiera, tratta da Quaderno di IO SONO CON VOI, Progetto Magnificat, n.2: I giorni del perdono È nuvolo nel mio cuore se bisticcio con gli amici, fa freddo se non parlo con tutti. È buio quando non aiuto chi ha bisogno. Giorni tristi, se è buio nel mio cuore. Un raggio di sole scende nel mio cuore. Tu mi perdoni sempre. C’è luce, c’è gioia. È bello nel mio cuore se tu sei con me, fa caldo quando sono amico di tutti. C’è tanto sole quando mi sento nuovo. Giorni felici, se tu mi perdoni. Signore, fa’ che brilli sempre il sole nel mio cuore. Quando è buio, portami il tuo perdono.

Il figliol prodigo - Rembrandt Per questa attività procuriamoci una riproduzione (scaricabile anche da internet) del noto quadro di Rembrandt (a colori, e di misura abbastanza grande da poterne cogliere i particolari). Poniamo l’immagine nella stanza in modo che sia ben visibile da tutti e cominciamo con la lettura del Vangelo di Luca 15,11-32. Proseguiamo poi con la “lettura” del quadro, utilizzando per esempio la seguente traccia, tratta da UN CUORE DI PADRE, Itinerario per l’iniziazione cristiana con le famiglie, Guida III anno, EDB: 1666, Hermitage, San Pietroburgo – Il ritorno del figliol prodigo, dipinto nel 1666, è uno degli ultimi capolavori di Rembrandt e, a detta di molti, rappresenta una delle espressioni più alte della pittura occidentale. Proprio per il fatto che sia stato realizzato solo a poca distanza dalla sua morte, ci offre una delle sintesi più interessanti dell’opera di questo grande artista olandese, che negli ultimi tempi si

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era dedicato a temi intimi e spirituali quali l’amore e la misericordia. Da questa tela ci arriva il suggestivo messaggio della parabola di Gesù, riportata in Lc 15,11-32, e rivisitata attraverso la fede personale di Rembrandt. Il brano evangelico, tradotto in immagini nel quadro, riporta un’esperienza emblematica in cui l’artista può ritrovare se stesso. Per questo viene eliminato o messo in penombra ogni elemento spaziale, ornamentale o gestuale che potrebbe portare l’attenzione dello spettatore lontano dal cuore dell’annuncio. Resta solo quel senso di sospensione e di silenzio che rende partecipi anche noi dello stato d’animo dei presenti di fronte a qualcosa che li stupisce e li supera. Qualche critico afferma che, a partire dalle dolorose vicissitudini che segnarono la sua vita, ciò che Rembrandt sentiva particolarmente e in maniera sofferta era il mistero del disegno divino, l’angoscia della fallibilità umana, la coscienza del proprio peccato e del giudizio di Dio. Sicuramente nei piedi scalzi del figlio prodigo c’è riassunta tutta la vicenda di degrado e di miseria non solo del personaggio della parabola, ma anche dell’artista stesso. Questa figura prostrata infatti, nelle sue attitudini e nei gesti, lascia intuire la storia triste di chi ha sperperato i suoi beni e sente di aver perduto la propria dignità; è dunque una figura che si prestava benissimo a rappresentare l’artista con le sue lacerazioni intime e con il suo desiderio di riconciliazione di pace. Il suo capo è chino nel grembo paterno da cui attende una parola che lo faccia rivivere, e tuttavia sono le sue calzature logore ed escoriate a lasciarci intuire, in modo speciale, quanto è stata lunga e faticosa la strada del ritorno. Ma nell’abbraccio del padre che raccoglie il figlio nel suo grembo c’è tutta la commozione e l’affetto viscerale che si manifesta al di là di ogni attesa: nella prospettiva evangelica, di fronte a questo abbraccio così delicato, noi possiamo esclamare, con le parole dell’Annuncio della risurrezione che si canta la notte di Pasqua, «Felice colpa!», che ci ha rivelato una così grande misericordia. Rembrandt sceglie di concentrarsi sul momento più denso e drammatico della narrazione evangelica, l’abbraccio del padre… momento di suspence in cui tutto si annoda e si snoda! Le mani di questo padre, su cui molto è stato scritto, vanno a posarsi delicatamente sulle spalle del figlio: la destra ha tratti più delicati e femminili, mentre la sinistra ci appare più vigorosa e maschile, forse per dirci che Dio è Padre ma anche contemporaneamente Madre. Anche il volto di questo anziano patriarca ci parla di misericordia: ormai egli sembra vederci non più con gli occhi, consumati dalla lunga attesa, ma solo con il cuore… sembra capace di offrire il suo amore e il suo perdono! Ma qualcuno resta sulla soglia e sembra non voler partecipare: è il fratello maggiore che, nelle intenzioni dell’evangelista, interpretava la mentalità dei farisei, oppositori di Gesù in nome di un Dio dalla giustizia distributiva, i cui meriti andavano conquistati a suon di osservanze e di pratiche pie. Il fratello maggiore è raffigurato in piedi, come il fariseo al tempio (cf. Lc 18,9-14): la sua posa esteriore rivela un animo autosufficiente e altezzoso. Egli ha sempre obbedito, come un servitore impeccabile; si sente a posto, e per questo sembra non partecipare di quell’amore gratuito e luminoso del padre, che pure lo raggiunge. Tuttavia la sua espressione è triste, perché chiuso dall’invidia e dalla gelosia, che gli impediscono di riconoscere il proprio fratello e di prendere parte alla festa. Il padre raffigurato in questo quadro ci sembra riassumere con molta efficacia quello del vangelo e ci invita a entrare nel suo abbraccio per non vivere più da

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servi, ma da figli. Contempliamo dunque, commossi e contenti, questo capolavoro, ringraziando Rembrandt che ce lo ha regalato!

L’incredibile Dio di Gesù Dopo aver letto il vangelo di Luca, possiamo opportunamente commentarlo con il seguente testo, tratto da QUANDO SI DICE GESÙ, Pino Pellegrino, ELLEDICI, e già utilizzato negli incontri dei genitori del I anno. Potrebbe essere questa una buona opportunità per invitare i fanciulli a condividere con i genitori questo momento con una… risonanza familiare! Proprio perché Gesù era Dio, ha saputo parlarci così bene di suo Padre. Sempre, in ogni pagina del Vangelo. La parabola di «Dio-Padre» non è solo un capolavoro di bellezza letteraria; è soprattutto una miniera di notizie belle, ossigenanti! Senza di essa, l’umanità sarebbe più povera e più triste. Gesù, per stamparci negli occhi e nel cuore l’immagine di Dio, usa sei verbi che sono come sei colpi da artista che ti scolpiscono un Dio straordinario! Sei verbi che vanno sorseggiati, ad uno ad uno. Lo vide Il figlio è ancora lontano, il Padre già lo vede. Dio vede per primo. Dio è sempre vigile, non ci abbandona mai. Dio ci guarda per aiutarci: «l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame» (Sal 32,18-19). Gli occhi di Dio sono come gli occhi del padre della parabola che aspetta e scruta a lungo, sognando il ritorno del figlio. Gli occhi di Dio sono occhi che ci cercano, col cuore in gola. Occhi di Dio: occhi che cercano! Di più: occhi che piangono di commozione. Ce lo rivela il secondo verbo della parabola. Si commosse Non appena vede il figlio, il Padre ha un sussulto al cuore: si commuove (Lc 15,20). Il Dio di Gesù non è un Dio freddo, un Dio invernale, come lo avevano pensato anche i più intelligenti pagani. Il Dio di Gesù è un Dio vibratile, un Dio estivo: un Dio che ama il calore, il fuoco! Dunque il Padre si commuove. Si commuove perché non ha un cuore solo, ma due: uno di padre e uno di madre! «Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono» (Sal 103,13). «Come una madre consola suo figlio, così io vi consolerò» (Is 66,13). Una bambina ha scritto in un compito in classe: «Dio è un papà che ama come una mamma». Gesù ci dice semplicemente che «Dio è Padre». Punto e basta. Dio è uno che ci ama. E ci aspetta. Ci aspetta con tale desiderio di vederci tornare, che non appena ci scorge da lontano, si mette a correre… E siamo al terzo verbo. Gli corse incontro Nel mondo orientale, per un anziano, non era dignitoso correre.

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Eppure il padre, non appena intravede il figlio, si mette a corre: l’amore gli fuoriesce e lo fa scattare. Se Gesù non avesse raccontato questa parabola non avremmo saputo di avere un Dio più attratto dall’uomo che il ferro dalla calamita; un Dio che non va tanto per il sottile: gli interessa salvare un suo figlio, anche a costo di non rispettare il galateo del tempo. Senza questa parabola, non avremmo saputo di avere un Dio che corre! Che corre incontro a tutti, anche ai «poveri, storpi, ciechi, zoppi» (Lc 14,16-24). Un Dio che corre e che arriva ad ogni uomo, indistintamente, nelle vie più impensate. Gli si gettò al collo Dio sa che, in fondo, siamo tutti ammalati di «coccolite»: abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci abbracci. Piccoli o grandi, non importa: basta essere uomo, per aver bisogno di amore. Il Padre lo sa: per questo ci abbraccia; per questo si lascia travolgere dall’emozione e si getta al collo del figlio. In tal modo, si noti!, impedisce al figlio di inginocchiarsi per chiedergli perdono. Delicatezza di Padre! Delicatezza che ci contiene tutti e sempre. Forse non ci pensiamo, forse addirittura non ci sembra vero, quando le cose ci vanno storte, eppure, anche allora Dio ci sta abbracciando. E ci abbraccia per poterci baciare. Quinto verbo. Lo baciò Il Padre «lo baciò». Abbracciare è già tanto. Baciare è di più! Dio punta sempre al massimo. Non ama con il contagocce: lui sa che la misura dell’amore, è amare senza misura. Dunque, invece di indignarsi con il figlio egoista e sprecone, lo baciò. Il bacio della parabola del «Figlio Prodigo» è il bacio più importante di tutti gli altri baci che troviamo nel Vangelo: lasciamo (è ovvio) il bacio di Giuda (Mc 14,45) e pensiamo al bacio della peccatrice pentita che ripetutamente bacia i piedi di Gesù (Lc 7,45). Il bacio del Padre al figlio è il più importante tra tutti perché rappresenta il culmine di ciò che Gesù vuole che sappiamo di Dio: il culmine del suo messaggio teologico. Il bacio, infatti, è un gesto pieno di significati. Baciando una persona, si comunicano mille messaggi tutti positivi: sto bene con te, ti amo, ti desidero, siamo amici intimi, ti sono vicinissimo… Un Dio più intimo di così non si può! Per questo alcuni teologi invece di parlare di Trinità parlano di «Tetrade», cioè di quattro persone: la quarta sarebbe l’uomo inserito nella Trinità. Ma il bacio del Padre ci porta anche a quest’altra considerazione. Ad una persona che ci bacia non possiamo dare del «lei», ma del «tu». Ad una persona che ci bacia non possiamo parlare con timore. Più che temuto, Dio va amato: amato perché ci ama senza sponde! Si dice che Dio tiene ogni persona per un filo. Ebbene, quando uno commette un errore, un peccato, il filo si spezza. Allora Dio riannoda il filo. E così va a finire che più uno si allontana, più Dio se lo avvicina. Fino ad arrivare a baciarlo!

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Disse ai servi… Il Padre dice ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello, mettetegli l’anello al dito, i calzari ai piedi, ammazzate il vitello grasso, mangiamo e facciamo festa…». Quanta abbondanza! Certo il figlio non avrebbe mai potuto immaginare un’accoglienza simile. Sembra un Padre esagerato; un Padre che rinuncia ad ogni cautela, ad ogni buon senso. Cosa significa questo stile di Dio? Significa che ciò che è stato, è stato, forse anche il misfatto più grande: incomincia il nuovo! Dio rigenera! Non vuole che vi siano ferite sanguinanti o cicatrici. Lui perdona: dona al massimo. Non ci riscalda i peccati tutte le sere! Ed allora tutto cambia: entra la gioia. «Facciamo festa!». Dopo questa magnifica parabola, dovrebbe essere chiaro a tutti che il secondo nome di Dio è «Felicità». «Nessuno è felice come Dio, nessuno fa felici come Dio».

Proposte per il canto: Voglio ritornar da mio Padre, Cantico dei redenti, Chi ci separerà, Tu sei per me, Scusa Signore…

Possiamo concludere questo nucleo consegnando ai fanciulli un segnalibro con la riproduzione del quadro di Rembrandt sul fronte e, sul retro, la preghiera di cui alla prima attività: I giorni del perdono.

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ n. 247: Mistero d’Amore. ♦ nn. 701-711: La riconciliazione.

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VIII NUCLEO

LA GRATITUDINE SI FA RESPONSABILITÀ

Scoprire con i fanciulli il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo; aiutarli a percepire che solo il riconoscere l’amore di Dio per noi ci dà la gioia e la forza di amare veramente gli altri.

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Luca 10,25-37 Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». Vorrei fare due semplici considerazioni. La prima: gli antichi Padri della Chiesa hanno visto in quello straniero, in quel samaritano, anzitutto Gesù. Solo chi è straniero alla logica affrettata ed egoista di questo mondo, come lo è appunto Gesù, può fermarsi davanti a chi ha bisogno di aiuto e magari, essendo mezzo morto, neppure ha la forza di chiederlo. Gesù per primo, anche senza che noi lo chiedessimo, si è fermato accanto a ognuno di noi; non è mai passato oltre. Ci ha visti e si è commosso. E’ sceso sino a noi e ci ha liberati dal peccato, dalla solitudine e dalla morte.

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La seconda riflessione nasce da quanto Gesù dice alla fine della parabola: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso». Gesù lo disse al dottore della legge, ma lo dice anche a ognuno di noi. Quella strada che scende da Gerusalemme, in realtà, non è lontana dalle scale dei nostri palazzi o dal pianerottolo dei nostri condomini, e non è diversa dalle strade dei nostri paesi o delle nostre città, o dalle corsie degli ospedali. Quante persone qui vivono come mezze morte, abbandonate, ai margini della vita, e non stanno lontane da noi, a volte anzi sono vicinissime! Eppure con amarezza bisogna dire che troppi sono i sacerdoti e i leviti che passano oltre. Il vangelo ci esorta a fermarci e a prenderci cura di quell’uomo, di quella donna, di quel bisognoso. Si tratta di avere un cuore come quello del samaritano. Egli non si è messo a disquisire: «Quel tale ha fatto male ad andare da solo in una strada così pericolosa» (e forse è anche vero); né tanto meno a dire: «Ben gli sta, se l’è cercato!». Si è invece commosso e si è preso cura di quell’uomo chiedendo anche l’aiuto di altri che magari potevano fare meglio di lui. Non è passato oltre, dall’altra parte, sull’altro marciapiede, come ci capita spesso quando sul nostro cammino incontriamo qualcuno che tende la mano. Il samaritano si è fatto prossimo di quel malcapitato. «Va’ e anche tu fa’ lo stesso», ci ripete Gesù.

La civetta in autostrada Narriamo ai fanciulli la seguente storia, che può essere anche drammatizzata (cerchiamo sempre, in questi casi, di affidare a ciascuno un compito. Se i personaggi non sono sufficienti, possiamo arricchire la “coreografia” con alberi, animali, mezzi di passaggio, nuvole nere cariche di pioggia…) Non gli era mai successo di trovarsi solo, di notte, con il motore guasto in autostrada dove, di solito la gente non si ferma. E perché dovrebbe fermarsi? Ci sono apposta le colonnine di SOS. Ciascuno si arrangi a raggiungerlo con le sue gambe, se le ha buone; e se non le ha buone, si arrangi in altro modo fatti suoi; e se, come quella notte, piove, apra l’ombrello; e, se non ha l’ombrello, peggio per lui che l’ha dimenticato, un’altra volta se ne ricorderà. Non gli era mai successo. Aveva visto altri in difficoltà: qualche volta si era fermato, più spesso aveva tirato diritto, con la scusa del soccorso dell’Aci, augurando che la colonnina non fosse troppo lontana e che funzionasse. Adesso che era capitato a lui, la colonnina, sotto la pioggia, la immaginava lontanissima, (e chissà se funzionava!). Scese dall’auto e, riparandosi alla meglio con un impermeabile, cominciò a fare segni disperati. Passò un alto dirigente e quasi si infastidì. Perché la gente doveva mettersi per strada col motore in disordine? Se uno viaggia con la macchina vecchia porti un meccanico con sé e non infastidisca il prossimo! Si prende apposta l’autostrada per far presto. Se si dovesse fare i soccorritori tanto varrebbe prendere le vie ordinarie; e si risparmierebbe pure il pedaggio. Pigiò l’acceleratore e si allontanò rapidamente. Passò un ricco signore con una macchina riccamente accessoriata, dal radiotelefono al frigobar. Aveva anche l’autista, un accessorio in più che utilizzava

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nei viaggi brevi, più per rappresentanza e per prestigio che per necessità, perché di guidare era capace anche lui. “Ci fermiamo?” domandò l’uomo al volante. “Figurarsi! Con tutti i drogati, emigrati, zingari, delinquenti che ci sono in giro… Tira, tira diritto!”. E l’autista diritto tirò. Passò un prete. Si fece un rapido ripasso della morale e del Vangelo; e, sì, stando a quello che c’era scritto, avrebbe proprio dovuto fermarsi. Ma pensò ai suoi fedeli che l’aspettavano in chiesa… Non conveniva farli attendere; e le riflessioni sulla carità le riservò per l’omelia che avrebbe fatto di lì a poco, puntualmente. Le macchine continuavano a passare, la pioggia seguitava a cadere, l’uomo seguitava a fare gesti inutili. E gli montò dentro una gran collera. Possibile che neanche un cane, un gatto o nessun altro si fermasse? Già la gente aveva altro da fare e da pensare. Ad un tratto, da un albero calò, amichevole, il chiu-chiu della civetta. L’uomo sibilò una bestemmia che solcò il cielo a razzo, diretta verso Dio che non c’entrava niente per ricadere sulla bestia che non c’entrava niente neanche lei. Subito dopo, abbassando il tiro, da Dio nell’alto dei cieli, all’animale nell’alto dell’albero, bofonchiò: “Uccellaccio del malaugurio!”. Aveva appena emesso l’imprecazione che si fermò un’auto. Era una macchina scalcagnata; e ne discese un uomo malvestito e con un viso nero che, nella notte, quasi non si vedeva. “Posso aiutare?” e, nel suo italiano un po’ stentato, lo invitò a salire, scusandosi per la povertà del mezzo. “È un’auto rimediata. Di solito, noi immigrati facciamo l’autostop” disse, scherzando bonariamente sulla propria miseria. Lo portò alla colonnina di soccorso, che funzionava! Lo riportò alla macchina in avaria, in attesa del carro-attrezzi. Dall’albero, amichevole, ricantò la civetta: “chiu-chiu”. L’uomo nero guardò in alto (e si videro, nel nero della notte e della pelle, i denti bianchi del sorriso). “Buona bestia” esclamò. “Buona bestia. Porta bene!”. Al termine della narrazione o della drammatizzazione, cerchiamo di far emergere dai fanciulli i comportamenti positivi e negativi dei vari personaggi della storia. Invitiamoli poi a raccontare agli altri le occasioni in cui anche loro sono stati “buon samaritano”. Attraverso questi racconti possiamo aiutare i fanciulli a comprendere in quali occasioni anche loro possono essere “buoni samaritani” verso i loro compagni, i loro genitori, i loro educatori, ecc. Concludiamo l’incontro, utilizzandola pure come preghiera finale, con la rilettura della Parabola del Buon Samaritano.

La testimonianza Dopo aver letto la storia dell’attività precedente e, successivamente, il testo del Vangelo di Luca, aiutiamo i fanciulli a comprendere meglio il concetto dell’essere “prossimo” attraverso la testimonianza di qualcuno che ha sperimentato l’essere prossimo prestando aiuto o ricevendo aiuto dagli altri.

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Entrambe le attività possono essere arricchite dal CRUCIPUZZLE presente negli allegati.

Proposte per i canti: E sono solo un uomo, Servo per amore, Fede è, Resta accanto a me…

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ nn. 161-164: Liberati per essere fratelli. ♦ nn. 867-868: Conferma evangelica del decalogo e della legge naturale.

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IX NUCLEO

È TEMPO DI QUARESIMA

Aiutare i fanciulli a comprendere il significato della Quaresima, tempo di preparazione, personale e comunitaria, alla grande festa della Pasqua.

Possiamo iniziare questo nucleo recitando insieme la seguente preghiera, che possiamo anche riportare su un cartellone da tenere nella stanza per tutto il periodo quaresimale: Ti prego, Signore, nel segreto del mio cuore. Durante la Quaresima, vorrei darti la gioia offrendoti tutto ciò che farò. Vorrei amarti di più perché tu, tu mi ami molto di più. Aiutami ad amare gli altri imparando a essere servizievole con loro, a vederli, ad ascoltarli e a dar loro fiducia.

La festa

Dobbiamo organizzare una mega festa alla quale siamo tutti invitati: cosa vogliamo fare? come la organizziamo? Ovviamente la festa verrà realizzata davvero; di conseguenza ci diamo del tempo per prepararla bene (questo tempo, simboleggia i 40 giorni che ci separano dalla festa di Pasqua). Possiamo aiutare i fanciulli a comprendere il senso della festa ed il perché fare festa attraverso le seguenti domande:

1. Perché vogliamo fare festa? (Gratitudine per il dono della vita…)

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2. Che cosa significa fare festa? (Stare bene insieme…) 3. Come ci prepariamo alla festa, dentro e fuori? (Puoi fare festa se sei

arrabbiato con gli altri?...) 4. Quali sono le condizioni per fare festa? (La generosità che aiuta a superare

l’invidia, il saper rinunciare a qualcosa…) 5. Possiamo organizzare una festa così senza le famiglie? Cosa possiamo fare

perché tutti si sentano coinvolti? Dopo aver cercato insieme di rispondere a questi interrogativi, fermiamoci a riflettere su quello che significa prepararsi alla festa di Pasqua e su quelli che sono i passi da compiere per poter realizzare questa festa, e in modo particolare:

Prepararsi dentro: perdonare, approfondire le amicizie, migliorare le relazioni;

Preparazione personale e di gruppo: deserto, digiuno, penitenza, preghiera, carità (per comprenderne bene il significato si consiglia di fare riferimento all’allegata relazione di don Edoardo Scubla, “La Quaresima nella storia”), celebrazione penitenziale.

Nel caso in cui si scelga di celebrare il sacramento della riconciliazione in questo anno, si consiglia di far coincidere la festa che si sta organizzando, con quella della riconciliazione, avendo cura, come già anticipato, di coinvolgere tutti nella sua preparazione anche a livello pratico. Nel caso in cui non venga celebrato il sacramento della riconciliazione, si consiglia comunque di fare una celebrazione penitenziale per sottolineare che non sempre siamo capaci di prepararci bene alla festa. Negli allegati potete trovare un esempio di entrambe le celebrazioni (Allegati n. 4 e 5).

La Via Crucis Durante la quaresima, e non in alternativa all’attività precedente, ma a sostegno di quanto già si sta realizzando, possiamo organizzare con i fanciulli e con le loro famiglie la Via Crucis dei ragazzi proposta negli allegati: UN LIETO ANNUNCIO PER TUTTI.

I murales Riprendendo lo spunto dai passi da compiere per prepararsi alla festa, possiamo cogliere l’opportunità per realizzare dei murales che potranno essere utilizzati per “abbellire” la stanza in occasione della festa. Prendiamo una lunga striscia di carta bianca (tipo 1,50 x 10 m – se non la trovate in cartoleria potete rivolgervi ad una tipografia) e “trasferiamo” le sagome dei fanciulli in una posa che esprima ciò che vogliamo dire (per esempio: un abbraccio, le mani giunte, lo stare in ginocchio, il darsi la mano). Concludiamo il lavoro colorando le sagome (con i colori a tempera e pennelli piuttosto grandi) e arricchendo i murales con disegni, decorazioni, frasi, preghiere, come in questo esempio:

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Proposte per i canti: Tu sei la mia vita (Symbolum 77), Grandi cose, Su ali d’aquila, Se m’accogli…

Possiamo integrare questo nucleo con i seguenti impegni: Diamo un’impronta positiva a questo periodo quaresimale, cercando di essere più attenti e disponibili verso gli altri e dandoci del tempo per verificare il nostro cammino: ogni sera, ripensando alla nostra giornata, cerchiamo di riconoscerne tutto il bene che abbiamo ricevuto o che abbiamo compiuto, ma anche i nostri limiti e le nostre mancanze. Questo potrà aiutarci ad imparare a perdonare, a comprendere che anche noi molte volte siamo bisognosi di perdono, e a ringraziare Dio con la preghiera per i tanti doni ricevuti. All’inizio della quaresima, poi, consegniamo ai fanciulli un sacchetto contenente dei fiori di carta colorata ed un sacchetto vuoto (di un colore vivace, come il giallo o il rosso) e invitiamoli a trasferire un fiore nel sacchetto colorato ogni qualvolta riescono a compiere un’azione buona: aiutano in casa, ascoltano o aiutano un compagno, pregano, rinunciano alla tv per dare il loro tempo a qualcuno che ha bisogno di compagnia…). La domenica delle Palme i fanciulli porteranno i sacchetti con i fiori delle loro “buone azioni” in chiesa e li offriranno a Dio durante l’offertorio.

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ n. 184: Il tempo di Quaresima. ♦ n. 932: Conversione continua.

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X NUCLEO

GESÙ È RISORTO, ALLELUIA!

Catechismo della CEI “IO SONO CON VOI” pagg. 87 – 89

Gesù è risorto e vive. Aiutare i fanciulli a comprendere che l’annuncio della risurrezione di Gesù è il cuore della nostra fede.

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Marco 16,1-7 Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”». Buona Pasqua! Ci sentiamo tutti il cuore che scoppia di felicità? Immagino proprio di sì! Quale pensiero può essere più bello, per noi, del sapere che Gesù è Risorto! È proprio risorto! Veramente veramente veramente! Eppure... vi dico la verità: qualche volta ho provato a chiedere alle persone che incontro, se ci pensano mai che Gesù è risorto. Beh, restano tutti un po’ imbarazzati, come se avessi chiesto qualcosa di ineducato: non si fanno domande su Gesù!, sembrano dirmi. La verità è che, per tanti, il fatto che Gesù sia risorto, sembra non fare proprio nessuna differenza. E questo è davvero una cosa che dispiace: perché se solo uno ci pensa un minuto, un minuto solo, a cosa significa che Gesù è risorto; se uno ci ferma il pensiero, l’attenzione, il cuore, a questa realtà incredibile, meravigliosa, della Risurrezione di Gesù, allora si sente traboccare di gioia, ci si sente ricolmi di una tale felicità, che verrebbe voglia di cantare e ballare! Però qualcuno mi ha anche domandato: cosa cambia, per te, per ciascuno di noi, il fatto che Gesù sia risorto? Cosa cambia, nella nostra vita? Per rispondere a questa domanda, ci lasciamo accompagnare dalla Parola di Dio, in particolare dal Vangelo che abbiamo appena ascoltato.

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Cerchiamo di entrare anche noi nel racconto dell’evangelista Marco: Gesù è morto venerdì, è stato deposto nella tomba un po’ in fretta, rispetto alle abitudini del suo tempo. Di solito, infatti, il corpo di un morto veniva cosparso di oli profumati prima di avvolgerlo in una specie di grande lenzuolo e portarlo poi nel sepolcro, che non è come le nostre tombe, ma è come una specie di grotta, una stanza scavata nella roccia. Ma quel venerdì in cui Gesù muore, tutta Gerusalemme, tutto il popolo di Israele, è alla vigilia di un sabato speciale, solennissimo: quello della Pasqua ebraica, che ricorda la liberazione del popolo schiavo in Egitto, per opera di Dio, attraverso il suo servo Mosè. Quel venerdì in cui Gesù muore, non è proprio il momento migliore per organizzare funerali e ungere il suo corpo: si decide di rimandare tutto al primo giorno dopo il sabato, quando la grande festa sarà ormai conclusa. Le donne sue discepole, che volevano bene al Maestro e Signore, guardano con attenzione il luogo in cui viene deposto, per riconoscere il punto in cui si trova la tomba nuova, vicino al Calvario, e si danno appuntamento per la mattina presto del primo giorno dopo il sabato: andranno insieme con oli preziosi e potranno compiere l’ultima carezza, l’ultimo gesto di tenerezza, sul corpo del Maestro di Nazareth morto in croce. Ecco: il racconto del Vangelo di oggi comincia a questo punto. Ci sono tre donne che camminano insieme, svelte, nella prima luce del mattino, dirette al luogo dove Gesù è sepolto. Parlano tra loro, come fanno sempre le donne quando sono insieme. Qualche lacrima scivola dai loro occhi, perché sono piene di dolore per quanto è accaduto. In più c’è anche una preoccupazione molto pratica: davanti all’ingresso del sepolcro, per chiudere la possibilità di entrare, è stata fatta rotolare una grossa pietra. C’è voluta la forza di più uomini per farla andare a posto: ma ora ci sono solo loro tre, come faranno? “Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?” Facciamo un momento attenzione a questa pietra così pesante di cui si parla nel Vangelo, perché ci ritorneremo ancora nel discorso. Per ora, però, continuiamo ad accompagnare il cammino delle donne che al macigno pesante non avevano pensato prima, ed ora si trovano un po’ in difficoltà: sono quasi arrivate e rischiano di non poter entrare! Invece, mentre si avvicinano, vedono qualcosa di inaspettato: la pietra è stata già fatta rotolare! L’ingresso del sepolcro è aperto! Davvero strano: il sole è sorto da poco, chi può essere arrivato lì prima di loro? Ma le sorprese non sono finite: “Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura”. Certo che ebbero paura! Le capiamo bene, poverette! Erano uscite al mattino presto, che era ancora buio, per andare a ungere il corpo del loro Maestro morto, ed ecco che trovano la tomba aperta, senza più il corpo di Gesù e invece un giovane, vestito di bianco, che se ne sta seduto nel sepolcro! Non è una cosa che capita spesso, vero? Naturale che le tre donne si spaventano! La loro paura è così evidente, che persino il messaggero misterioso se ne accorge e si affretta a rassicurarle: “Non abbiate paura!” È la prima cosa che dice loro: non abbiate paura. Per due volte, in poche righe, ritorna questa parola: paura. Tutti noi conosciamo quest’emozione, tutti noi sappiamo cos’è la paura! Ne abbiamo tante di paure, in verità.

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Alcune grandi, che ci tolgono il respiro: come per esempio la paura del dolore, della morte, la paura che succeda qualcosa di brutto ai nostri genitori, agli amici, alle persone che ci sono care... Queste sono paure che proviamo tutti, proprio tutti. Poi ci sono paure più piccole, paure che sono diverse da persona a persona: paura del buio, dell’acqua profonda, del fuoco, di alcuni animali, degli insetti, degli ascensori, dei posti alti, dei brutti voti... Ognuno ha le sue paure, e anche se qualcuno a volte fa lo sbruffone e dice di non aver paura, non crediamogli: ha solo paura di ammettere la sua paura, ma anche lui conosce il timore, conosce lo stomaco che si stringe per l’ansia, anche lui conosce le mani fredde e il cuore che batte forte forte. Tutti gli esseri viventi provano paura: non solo le persone, ma anche gli animali. La paura, nella nostra vita, è come il grosso masso di cui si parlava poco fa, ricordate? La paura sta lì, dentro di noi, ci pesa dentro, a volte ci schiaccia,.. e chi può farla rotolare via? Chi può liberarci da questa pietra che ci rende l’anima pesante? La risposta la troviamo nelle parole che il giovane messaggero rivolge alle donne: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”. Ecco chi può liberarci dalla paura! Gesù di Nazareth, che è risorto, che ha vinto la morte, lui può sconfiggere ogni paura! Ha sconfitto persino la morte, la paura più grande che ci portiamo dentro! Se ha vinto perfino contro la morte, nulla può essere più forte dell’Amore di Dio! Questa è la grande differenza che la Risurrezione di Gesù regala alla nostra vita! Se non so che Gesù è risorto, come posso sentirmi alleggerito dal peso di tutte le paure che mi minacciano? Se non so che il Signore ha sconfitto la morte ed è più forte di ogni paura, come posso ricorrere a Lui ogni volta che il mio cuore trema? Perciò ci rallegriamo a Pasqua! Perché ci sentiamo inondare di gioia, di felicità, di leggerezza, sapendo che quel masso terribile, quella pietra pesantissima, fatta di paure, non può più schiacciarci! Questa libertà dalla paura è un dono meraviglioso, più di qualsiasi sorpresa possiamo trovare nell’uovo! Veramente, non c’è paragone! Nessuno può farci un regalo così: solo Gesù, che è Dio, può donarci questa serenità, di sapere che la paura non potrà mai vincere. Si affaccerà ancora nella nostra vita, certo, la proveremo ancora come ogni creatura vivente, ma non è lei a vincere, non è lei ad avere l’ultima parola, non sarà lei a legare la nostra vita e a renderla triste e timorosa. No, Gesù, il Vivente, il Signore Risorto, è più forte di ogni paura ed è sempre con noi! C’è ancora qualche rigo nel Vangelo di oggi, che non dobbiamo trascurare: il giovane messaggero misterioso, dopo aver rassicurato le donne e aver dato loro la notizia strabiliante, strepitosa, della risurrezione di Gesù, aggiunge anche un compito, una missione: “andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” Le tre donne, andate per dire addio a un morto, ricevono invece un incarico dal Risorto: ora che non hanno più paura, devono muoversi, andare a dire agli altri che Gesù è vivo, vivo per. sempre! Devono correre a dire a tutti che il Signore della vita ha sconfitto la morte ed è più forte di ogni timore! Questa missione affidata alle donne il mattino di Pasqua, non è finita: riguarda proprio noi, sapete?

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Noi che viviamo la gioia della Pasqua, noi, che sappiamo che Gesù è veramente risorto, noi che sappiamo che la paura è sconfitta, che non potrà mai schiacciarci, non possiamo tenere questo tesoro solo per noi! Siamo inviati anche noi, come le tre donne al sepolcro, a portare a tutti questa notizia di gioia! Andiamo allora, a dire a tutti, con immensa gioia: Cristo Gesù è risorto!

Premesso che nel commento al Vangelo sono inseriti diversi spunti che possono essere ripresi con i fanciulli, possiamo sviluppare il seguente nucleo attraverso queste attività:

Dove sei ora Gesù?

Dove cercare ora Gesù risorto? Lui stesso ci ha lasciato alcuni suggerimenti: - «…dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20) - «…tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40)

A partire da queste affermazioni, mettiamoci in ricerca. Ogni fanciullo è invitato a pensare e a scrivere qualche testimonianza, legata ai diversi ambienti e ambiti della sua giornata: la vita di famiglia, la scuola, la parrocchia, il gioco… Realizziamo poi con i fanciulli un cartellone dal titolo: “Anche noi incontriamo Gesù risorto!” completandolo con immagini ritagliate da riviste o realizzate dai fanciulli.

La Pasqua nelle tradizioni Facciamoci raccontare dai fanciulli come hanno vissuto il triduo Pasquale e la Pasqua e confrontiamo la loro esperienza con la testimonianza di qualche nonno o qualche persona anziana, meglio se della comunità. Cerchiamo di far cogliere ai fanciulli com’era diversa l’attesa e com’era diverso il modo di esprimere, nei gesti e nelle celebrazioni, la gioia della risurrezione. Evitiamo però giudizi negativi sul tempo presente, sottolineando che sono semplicemente i modi ad essere cambiati, ma non la sostanza. Invitiamo poi i fanciulli e farsi raccontare dai genitori e dai nonni come vivevano loro il triduo pasquale e la Pasqua (usi, costumi, tradizioni); raccoglieremo e confronteremo i loro racconti in un incontro successivo.

Proposte per i canti: Le tue mani, È festa, Il mattino di Pasqua, Chiesa del risorto… E per la preghiera:

Preghiera di Pasqua

Signore Gesù, che sei risorto per noi, Tu hai detto che qualsiasi gesto noi facciamo

nei confronti di un nostro fratello

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lo facciamo a Te. Aiutaci a riconoscerti nel volto dei fratelli.

Tu non hai colore della pelle perché la tua pelle è del colore di tutti i popoli del mondo.

Tu non hai un unico sguardo perché i tuoi occhi sono gli occhi di tutti i sofferenti della terra.

Signore, vogliamo vederti in tutti e amare tutti come tu ci ami:

allora sarà davvero Pasqua per noi e per coloro attraverso i quali incontriamo Te.

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ nn. 261-263: Al centro della fede. ♦ nn. 607-608: Il mistero pasquale nella Chiesa.

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XI NUCLEO

IL GIORNO DEL SIGNORE: LA DOMENICA

Catechismo della CEI “IO SONO CON VOI” pag. 127

Far conoscere ai fanciulli il significato della domenica, pasqua settimanale.

LA PAROLA DI DIO: testo e approfondimento Giovanni 20,19-29 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!» Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse «Pace a voi!» Poi disse a Tommaso «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!»; Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Tanti tanti anni fa, la domenica era un giorno lavorativo. Fu l’imperatore di Roma, Costantino che concesse alle comunità dei cristiani di fare la “vacanza” dal lavoro nel giorno di domenica, per consentire loro di radunarsi per la festa. Ma anche prima della legge di questo imperatore, i cristiani, pur lavorando, trovavano il modo di “santificare” il giorno del Signore. Il modo abituale era la celebrazione eucaristica che radunava l’assemblea dei cristiani la sera della domenica. E questo per ricordare gli incontri con Gesù risorto. Ben presto ci furono dei raduni dei cristiani nel mattino domenicale, prima del lavoro, per le celebrazioni

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legate al battesimo. L’evangelista Luca, che scrisse oltre al vangelo anche un libro intitolato “Atti degli Apostoli”, racconta che le prime comunità dei cristiani erano “assidue”, cioè costanti nell’ascoltare gli insegnamenti degli apostoli, nella preghiera, nella celebrazione eucaristica e nell’amore fraterno. San Giustino, un santo scrittore vissuto tanti anni fa, in uno dei suoi libri descrive molte bene, verso il 155, come avvenivano i “raduni” dei cristiani: “…nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, dalle città o dalle campagne, e finché il tempo consente si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti. Quando il lettore ha finito, colui che presiede ci ammonisce ed esorta con un discorso a imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed eleviamo preghiere; e conclusa la preghiera vengono portati pane, vino e acqua, e colui che presiede, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, e il popolo acclama dicendo: “Amen”. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene deposto presso colui che presiede. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. Quindi si fa la spartizione e distribuzione degli alimenti consacrati, e mediante i diaconi se ne manda agli assenti” (san Giustino, I Apologia 67)

Prima di iniziare le attività di questo nucleo invitiamo i catechisti ad un approfondimento personale attraverso la lettura della Nota Pastorale della Conferenza Episcopale Italiana, maggio 1984, allegata al presente sussidio.

Analizziamo il testo Invitiamo i fanciulli ad una rilettura personale del testo, pregandoli successivamente di sottolineare tutto ciò che si riferisce ai momenti e alle esperienze che vengono vissute, in modo approfondito e puntuale. Alcune domande possono aiutarli in questo approfondimento:

• di che giorno si tratta? • che cosa è avvenuto? • come mai i discepoli sono insieme ancora otto giorni dopo? • che cosa sarà scattato nel loro ricordo? nella loro mente? • perché parlano del “primo giorno”?

Drammatizzazione: I cristiani di Abiténe

CONSOLE ROMANO: Voi, abitanti di Abiténe, domani verrete tutti a lavorare al monumento che Roma vuole innalzare qui tra voi, a ricordo della sua presenza in Asia Minore e a lode del nostro imperatore Diocleziano. Naturalmente, sarete pagati bene.

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UNA PERSONA DALLA FOLLA: Eccellentissimo, noi domani non possiamo venire. CONSOLE: Perché? PERSONA: Perché domani è il nostro giorno di festa. CONSOLE: Cosa significa? PERSONA: Significa che noi ricordiamo la resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, ci riuniamo per la cena eucaristica e non lavoriamo mai di domenica. CONSOLE: Non lavorate nemmeno se ve lo impongo o vi pago bene? PERSONA: No. CONSOLE: Ma perché vi interessa tanto riposare domani? Non potreste rimandare la festa a dopodomani? PERSONA: No, senza la domenica noi non possiamo vivere. CONSOLE: Se non obbedite sarò costretto a farvi morire. TANTE PERSONE IN CORO: Siamo disposti a morire: SENZA LA DOMENICA NOI NON POSSIAMO VIVERE!

GUIDA 1°: E così, diversi cristiani di Abiténe, in Asia Minore (l’attuale Turchia) morirono martiri solo per difendere la sacralità della domenica. GUIDA 2°: A prima vista, sembra di assistere ad una esagerazione da parte di questi cristiani ma, se ci pensiamo bene, vedremo che avevano ragione. GUIDA 1°: Già nell’Antico Testamento Dio aveva fatto capire che doveva esserci un giorno non dedicato al lavoro ma alla persona. Nel libro della GENESI, al capitolo 2, dal versetto 1 al 4, si legge che Dio riposò il settimo giorno dopo aver creato il mondo. Evidentemente si tratta di una immagine applicata a Dio ma è una immagine che rende l’idea: non si può vivere sempre pensando al denaro, alla produzione, all’efficienza, al profitto scolastico, ecc..

Prendiamo un foglio e disegniamoci sopra il sole, il mare, gli uccelli ecc.. Sotto di esso scriviamoci bene in grande: LA DOMENICA È LA FESTA DEL CREATO E DELLO STARE INSIEME FRA DI NOI E CON DIO. Aiutiamo successivamente i fanciulli a riflettere sulla “loro” domenica attraverso la seguente domanda: Cosa facciamo per vivere già fra noi la festa della domenica? Cosa potremmo aggiungere? Nella seconda parte dell’attività successiva possiamo trovare diversi suggerimenti e proposte utili alla discussione.

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La domenica di San Giovanni Bosco Prima di iniziare questa attività, narriamo ai fanciulli la storia dei martiri di Abiténe, prendendo spunto dalla drammatizzazione precedente. In seguito raccontiamo loro questa storia: Giovanni Bosco è un bambino di 9 o 10 anni, Un giorno, mentre aspetta con gli altri bambini che inizi la Messa delle ore 11, vede arrivare sul sagrato un saltimbanco che comincia a gridare: “Forza gente: venite sulla piazza del paese: sta per iniziare lo spettacolo più grande del mondo!”. Come delle oche, tutta la gente si muove verso la piazza mentre Giovannino si sbraccia per dire: “Aspettate! È ora della Messa: andiamoci nel pomeriggio, non ora!” . Inutile: tutti vanno via e lo lasciano solo. Tutto arrabbiato, Giovannino si rivolge a Gesù e gli dice: ”Gesù, dammi la forza: sfido il saltimbanco”. Detto fatto, Giovannino si presenta al prestigiatore e gli dice: ”Senta: io la sfido a chi fa meglio i giochi di prestigio. Se vinco io lei va via e viene di pomeriggio; se vince lei, vado da solo alla Messa. Ci sta?” – L’uomo è incerto ma la folla urla che vuole la sfida. – Giovannino comincia e fa roteare la bacchetta magica come se avesse le ali. Il prestigiatore ripete la sequenza ma, giunta sul naso, la bacchetta gli cade. Non domo, sfida Giovannino in altre due modalità. In breve: Giovannino vince e la gente va alla Messa. Giunto il pomeriggio, il nostro eroe è il primo per andare sulla piazza del paese. Questo episodio ci introduce ad una idea che dovrebbe stimolarci ogni giorno: Cosa facciamo domenica prossima per animare la festa? Dopo la Messa, non potremmo organizzare altre iniziative? I martiri di Abiténe dicono una cosa importante: “Sine diminico non possumus vivere” . Non dicono “sine dominica (femminile) ma “dominico”, cioè l’insieme di quello che costituisce il bello della domenica: Messa, festa, giochi, attività, ricerche ecc.. Su questo punto troppo spesso siamo molto distratti: quasi mai prepariamo le attività che si possono svolgere sul sagrato della Chiesa o negli spazi annessi. Se si riflette un poco, sul sagrato della chiesa si potrebbe: organizzare bancarelle per la beneficenza; feste per i compleanni; piccoli spettacoli di complessini che si vanno formando; pranzi comunitari dove tutti portano da casa qualcosa; pranzi con i poveri del paese e con le famiglie degli immigrati: in essi - volendo - ogni volta una serie di immigrati da un certo paese offre i cibi tipici della sua patria di origine… Negli spazi annessi alla chiesa si potrebbero organizzare: tornei di calcio, basket, pallavolo, biliardino, scacchi, tiro alla fune, braccio di ferro, ”corrida”(dilettanti allo sbaraglio presentati da…), quiz a premi, il personaggio misterioso (cercare chi è la persona presente conosciuta solo attraverso una foto d’altri tempi), ”L’amico del giaguaro” (si appende una normale tombola: uscito il numero, la squadra può ottenerlo solo se risponde a quiz di cultura varia), proiezione di films d’autore o amatoriali…

Possiamo concludere prendendoci un impegno: dividiamoci gli incarichi e cominciamo subito a preparare per domenica prossima qualcosa da fare, o durante la Messa, o dopo la Messa, o nel pomeriggio.

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Gli incontri di questo nucleo possono essere arricchiti dai seguenti canti: Oggi ci hai chiamati, Il pane del cammino, Come unico pane, La preghiera di Gesù è la nostra…

Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi”:

♦ n. 658: La domenica ♦ n. 883: Terzo comandamento.

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XII NUCLEO

BUONE VACANZE!

Sostenere i fanciulli nella consapevolezza che durante il periodo estivo, come non si va in vacanza negli affetti e nelle relazioni, così non si va in vacanza nel rapporto con Gesù.

Riassumiamo

Ripercorriamo insieme il cammino di questo anno catechistico sfogliando…:

ricordi; cartelloni; “creazioni” varie; il catechismo

e prepariamo una pagina del “diario di bordo” in cui scriveremo ciò che ci è piaciuto di più, ciò che ricordiamo più volentieri, le nostre emozioni, ma anche le cose più difficili da digerire. Possiamo poi farne delle fotocopie da far avere alle nostre famiglie, al parroco…, e potrà anche servire come segno da utilizzare nella celebrazione di fine anno catechistico.

L’album fotografico Portiamo all’incontro tutta la raccolta di fotografie fatte nei vari incontri, avvenimenti, feste e appuntamenti dell’anno e raccogliamole in un album che ogni fanciullo collaborerà a decorare con tecniche e materiali diversi. Anche in questo caso potremo utilizzare l’album come segno nella celebrazione di fine anno catechistico.

Calendario estivo

Portiamo un calendario liturgico e individuiamo insieme ai fanciulli le ricorrenze e le iniziative che la comunità propone durante l’estate, proponendo un modo attivo per partecipare a questi appuntamenti (i fanciulli possono per esempio prendersi l’impegno di consegnare ai fedeli, prima della messa, il foglio con le letture della domenica…).

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In questo nucleo possiamo utilizzare i seguenti canti: Resta accanto a me, Dall’aurora al tramonto, Ti seguirò…

Possiamo concludere questo anno con un segno da consegnare a tutti i fanciulli e che ricordi loro i doni ricevuti nel corso dell’anno e che siamo cristiani anche d’estate! Potrebbe essere, per esempio, un piccolo campanile in cartoncino, che in qualche modo risuoni; le quattro pareti si prestano a segnalare vari “svegliarini” catechistici: la preghiera quotidiana per sé e per gli altri, la lettura del vangelo, la Santa messa della domenica, l’impegno a mettersi a disposizione degli altri.