erbe selvatiche commestibili

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Edible wild plants and herbs.Altro link:Chi lo desidera può chiedere GRATUITAMENTE il pdf del file direttamente all'autore, Cav. Prof. Pellegrino De Rosa, contattandolo sulla sua pagina facebook:https://www.facebook.com/DeRosaPellegrinoDescrizione botanica, etnografica e gastronomica delle erbe selvatiche commestibili. Il libro comprende 74 schede botaniche di specie vegetali rinvenibili su tutto il territorio nazionale.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

RICONOSCIMENTO, DIFFUSIONE ED UTILIZZAZIONE GASTRONOMICADELLE ERBE SELVATICHE COMMESTIBILI DEL BAIANESE E DEL LAURETANO.

Piante alimurgichedel Baianese e del Lauretano

Pellegrino De Rosa Benedetta Napolitano don Giovanni Picariello

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Avvertenza

Tutte le specie indicate in questo volume come commestibili possonoessere consumate, normalmente, senza alcun problema e con buonasoddisfazione del palato.

Il loro uso gastronomico è, infatti, attestato da una vasta letteratura efa parte di consolidate tradizioni e di antiche consuetudini popolari.

Purtuttavia, è possibile che in alcune persone ed in alcune condizioni(ipersensibilità, debilitazione, gravidanza, ecc..) si possano verificareepisodi di intolleranza individuale o effetti collaterali indesiderati, al paridi quanto avviene a taluni anche con il consumo degli alimenti comuni edelle piante normalmente coltivate.

Pertanto l’editore e gli autori della presente pubblicazione non siassumono alcuna responsabilità connessa: ad eventuali reazioniallergiche; ad episodi di intolleranza alimentare; a reazioni individuali,episodiche, collaterali e simili; a regimi alimentari sbilanciati e/oall’eccessivo consumo delle erbe indicate; all’eventuale raccolta, erroneao volontaria, ed uso di piante diverse da quelle citate come commestibili;all’eventuale raccolta, volontaria od involontaria, ed uso di erbe tossicheo letali; all’eventuale raccolta ed uso di piante in zone inquinate o trattatecon fitofarmaci; al loro erroneo riconoscimento o ad altre cause imputabiliad imperizia, presenza di agenti inquinanti o patogeni, a negligenza o avolontà dolosa del raccoglitore.

Le rare informazioni di natura erboristica e/o farmaceutica sonoriportate a semplice titolo informativo ed etnoantropologico: per eventualiusi terapeutici occorrerà seguire le prescrizioni di un medico.

Per una più puntuale individuazione delle specie descritte siraccomanda vivamente la consultazione di atlanti botanici dettagliati.

Pellegrino De RosaBenedetta Napolitano

don Giovanni Picariello

2008 - Progettazioni Agroambientalidott. Pellegrino De Rosa - Sirignano (Av)http://www.derosa-web.eu

©Tutti i diritti riservati agli autori.

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sommario

Per la consultazione delle 70 schede botanichefare riferimento al prospetto analitico a pag. 267

Prefazioni

Introduzione

Schede botaniche

V

1

13

Pag.

Pag.

Pag.

RicettarioPer la consultazione delle 157 ricettefare riferimento al prospetto analitico a pag. 267

Pag. 211

AppendiceConium maculatumLactuca virosaSenecio vulgarisLista piante non ammesse negli integraztori alimentariProspetto analitico delle specie botaniche e delle ricette

Pag. 259Pag.Pag.Pag.Pag.Pag.

260261262263267

Glossario

Bibliografia

268

272

Pag.

Pag.

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Invece di lamentarti del buioaccendi una candela.

(Anonimo)

C’è una cosa che i buoni librinon possono tollerare;

di essere dati in prestito.Quando, infatti, il loro proprietariocade in questa grave imprudenza,

essi si offendono e non tornano mai più.

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

V

I

alle esperienze più recenti emerge, con sempre maggiore chiarezza, quantosia indispensabile ed urgente, per il benessere socio-economico dei cittadini,profondere il massimo delle energie possibili nella concreta realizzazione diefficaci politiche di gestione ambientale che si pongano come obiettivo

prioritario la tutela dei territori e quindi il contrasto deciso di quella “strisciante” azionedi degrado che minaccia la salubrità, la tipicità e l’amenità di molte aree del nostro Paese.

Certamente, il conseguimento di un obiettivo di così vasta portata presuppone unastretta ed inevitabile integrazione tra le Istituzioni, ma non può però prescindere da unpieno e convinto coinvolgimento delle popolazioni locali.

Per queste ultime, infatti, la fattiva partecipazione ad iniziative che si pongano comeobiettivo la tutela delle qualità e tipicità dei propri territori non può scaturire da un“freddo” e passivo adempimento di norme o prescrizioni, bensì, deve derivare da unapiena acquisizione di un vero e proprio modus vivendi, nel quale la sensibilità ambientalecomplessiva non può che essere la conseguenza della responsabilizzazione convinta di ciascuno.

E’ questa la sola ed indispensabile garanzia per la riuscita di ogni programma digestione ambientale ed anche il presupposto fondamentale perché si realizzi la necessariaed inevitabile trasmissione di una reale sensibilità ambientale alle generazioni future.

Vari sono gli approcci possibili per ottenere l’indispensabile coinvolgimento dellepopolazioni locali e, tra tutti, risultano di particolare efficacia quelle iniziative che puntanoalla crescita del senso di appartenenza di ogni comunità,attraverso la riscoperta dellapropria storia e delle peculiarità più tipiche dei singoli territori, insieme al recuperodelle tradizioni locali più significative.

In tal senso trova spazio e manifesta la propria utilità il presente libro. Esso, infatti,partendo da una descrizione botanica molto accurata di quella vegetazione spontaneatipica del Vallo di Lauro e del Baianese già ampiamente utilizzata con finalità alimentarinella tradizione popolare, fonde in un unicum speciale e particolarmente riuscito, notiziedi carattere tecnico scientifico, riferimenti storici ed usi e costumi della importante ericca tradizione locale, contribuendo non poco alla conoscenza di uno dei più significativiterritori della nostra Campania.

La riuscita di questo libro che si legge con interesse e curiosità stimolante anchegrazie alle tante, accurate illustrazioni, è dovuto, oltre che all’attento ed approfonditolavoro di ricerca storica e bibliografica su cui poggia, anche all’apporto delle specificitàculturali dei singoli autori quali: la profonda conoscenza della storia e delle tradizionilocali da parte di Don Giovanni Picariello, Rev. mo Parroco della Parrocchiadell’Ascensione in Mugnano del Cardinale (Av); l’accurato lavoro di indagine e verificasvolto con puntualità e spiccata professionalità dalla giornalista Benedetta Napolitano;la indiscussa competenza tecnico-scientifica e la nota capacità divulgativa del giornalistae collega Pellegrino De Rosa.

Agli autori, quindi, va tutta la considerazione per l’ottimo lavoro compiuto ed ilringraziamento più sincero per quanto fanno, da anni, per far ”conoscere” ai più il Vallodi Lauro e Baianese, territorio ricco di risorse culturali, ambientali e produttive chedevono solo essere adeguatamente “riscoperte”, tutelate e valorizzate per esprimere apieno il loro grande potenziale socio-economico.

Dott. Michele BiancoEx Dirigente Regionale SeSIRCA

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

VI

’uso alimentare di specie erbacee spontanee permane solo in contestiterritoriali ove si conservano residui di cultura e tradizioni contadine.In molte aree urbanizzate, le conoscenze relative alle erbe alimentarisono andate perse fin dagli anni ’60 del secolo scorso, perché segno

detrattore di arretratezza economica e culturale. In centri urbani evolutisi inmodo più armonico, invece, con il progredire del benessere economico e sociale,le conoscenze sull’impiego alimentare delle erbe selvatiche sono state conservate,integrate e rielaborate. In alcuni casi ciò è avvenuto nella piena consapevolezzache la perdita di conoscenze e usi tradizionali avrebbe costituito una perdita diuna parte della propria identità culturale.

Ovviamente gli usi delle piante sono diversi alle diverse latitudini. Nel Salento,le rosette del papavero (Papaver rhoeas), cioè delle foglie basali prima che daqueste si elevi lo scapo fiorifero, vengono cucinate saltate in padella con olio,aglio e olive di piccole dimensioni. Si tratta di una vera leccornìa dagli effettimoderatamente lassativi. Nei paesi centro ed est europei, i semi della specieaffine Papaver somniferum, conosciuta per gli effetti stupefacenti dei diversiderivati del latice, sono comunemente impiegati nella panificazione e nellapreparazione di dolci. L’aglio orsino (Allium ursinum) è un componenteimportante dello strato erbaceo delle faggete europee e anche di quellemeridionali, in particolare di quelle ubicate sui suoli più freschi e fertili. Nelcentro Europa le prime foglie che spuntano in primavera vengono utilizzate nellapreparazione di una salsa impiegata come surrogato del pesto.

Gli Autori di questa utile e meticolosa pubblicazione recuperano molteconoscenze orali circa l’impiego alimentare di specie erbacee spontanee, avendocome territori di riferimento quelli del Baianese e del Vallo di Lauro. In un periodoin cui avanza in modo prepotente la “quarta gamma1 ”, brutto nome che sembraindicare una generazione di replicanti mutati a causa dei raggi gamma, impostadalla grande distribuzione alimentare, la conoscenza e la raccolta diretta di piantealimentari non coltivate, per contro, contribuisce a conservare la biodiversitàgenetica. L’esempio più calzante è quello della rucola (Eruca sativa) che, per isuoi usi tradizionali in cucina, soprattutto nelle aree meridionali, è sempre stataraccolta nei terreni incolti, mentre ora viene prodotta in serra in coltivazioniforzate su terreni precedentemente sterilizzati con potenti prodotti chimici.

Imparare a riconoscere, raccogliere e preparare le piante alimentari selvaticheè un piccolo gesto civile di protesta contro le nuove tendenze, di cui non si capiscese imposte dalla grande distribuzione o dalle preferenze dei consumatori, cheportano alla destagionalizzazione dei prodotti della terra e alla loro conservazionein confezioni in plastica.

Prof. Antonio SaracinoCattedra di Dendrometria e Assestamento forestale

Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia vegetaleUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

II

1 Per la classificazione delle diverse “gamme” vedere il glossario in appendice.

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

VII

uale Presidente dell’Ordine dei dottori Agronomi e dei dottori Forestalidella Provincia di Avellino è per me un gradito onore presentare, nonsolo alla categoria professionale che rappresento ma anche a tutte lealtre persone che amano la natura, questo interessante lavoro sulle

erbe spontanee commestibili.La presente trattazione si distingue da altre aventi lo stesso argomento, per il

rigore scientifico, la veste grafica accattivante, il legame col territorio e l’ab-bondanza e varietà di indicazioni gastronomiche.

Essa coniuga gli aspetti scientifici ed etnobonatici con una gradevole ed ordi-nata forma espositiva.

Ciò è dovuto anche alla varietà di competenze dei tre Autori, che si integrano esi amalgamano, come gli ingredienti delle interessanti ricette da essi proposte.

Don Giovanni Picariello, noto storico locale, ha apportato il suo bagaglio diconoscenze storiche ed etnografiche.

Benedetta Napolitano, giornalista e studiosa biologa, ha curato molti degliaspetti botanici, nutrizionali e gastronomici.

Pellegrino De Rosa, poliedrico collega agronomo e giornalista-pubblicista,già noto per aver proposto una innovativa ed interessante tecnica di ingegnerianaturalistica, ha sapientemente curato, con la consueta professionalità, sia laveste grafica che gli aspetti più squisitamente scientifici e botanici.

Questa pubblicazione vuole pertanto rappresentare per gli appassionati dellamateria un’occasione di memoria sociale, di stimolo scientifico e di fulgido esem-pio di studiosi Irpini da imitare.

Ringrazio, perciò gli Autori di questo bel libro, che hanno voluto che le loroconoscenze, le loro competenze, le loro ricerche storiche e gastronomiche nonrimanessero appannaggio di pochi ma che, al contrario, fossero divulgate allenuove generazioni e ai non addetti ai lavori, contribuendo così a far meglioconoscere la natura della nostra verde Irpinia e fornendo un utile spunto per unasua ulteriore valorizzazione agro e selvituristica.

Prof. Antonio StornaiuoloPresidente dell’Ordine Provinciale dei Dottori Agronomi e

dei Dottori Forestali della Provincia di Avellino.

III

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

La presente cartina, raffigurantel’area oggetto del presente studio,è stata gentilmente fornita dallaComunità Montana “Vallo di Lauroe Baianese”

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

INTRODUZIONE

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni PicarielloLe fasi del lavoro svolto dagli autori.

2 - Raccolta dei campioni 3 - Classificazione ed editing

4 - Preparazione gastronomica 5 - Azione di divulgazione

1 - Raccolta delle informazioni storiche, etnografiche, gastronomiche e botaniche.

3

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

uesto libro descrive, dai punti di vista botanico ed alimentare, le erbe spontaneecommestibili, definite “alimurgiche”, presenti nella flora delle aree basso-irpinedel Baianese e del Lauretano o “Vallo di Lauro”, nonché la loro tradizionaleutilizzazione nella gastronomia popolare e tipica, e la loro diffusione sul territorio.

Le specie descritte, che corrispondono alla gran parte della flora alimurgica italiana1,sono comunque presenti, oltre che nell’areale oggetto di studio, anche in larga parte delterritorio nazionale. Per tale motivo, la presente pubblicazione potrà essere utilmenteconsultata anche in aree geografiche diverse dalla ristretta zona di riferimento.

Non sono state trattate le erbe officinali, utilizzate una volta nella medicina popolaree attualmente adoperate in erboristeria e cosmetica, né i frutti di bosco, già ampiamentenoti e –in alcuni casi- addirittura coltivati.

Sono state anche escluse tutte quelle specie vegetali che, seppur dichiarate da alcuniautori potenzialmente edibili2 (beninteso, solo dopo accurate cotture e/o speciali trattamenti),vengono considerate da altri come estremamente pericolose. Inoltre, per tranquillità dellettore e per sua maggiore informazione, è stato allegato in appendice un elenco, pubblicatodal Ministero della Sanità, riportante i nomi delle specie vegetali il cui consumo è da essoindicato come pericoloso per la salute3. Tale elenco, tra i vegetali descritti come commestibilinel presente libro, vieta l’utilizzazione, come integratori alimentari, dei derivati di tre solespecie: la Borago officinalis, la Clematis vitalba e la Lactuca scariola. La presentepubblicazione riporta ugualmente queste tre specie vegetali tra quelle ritenute“tradizionalmente commestibili” perché il loro utilizzo, effettuato con le dovute cautele4, èattestato da una lunga consuetudine popolare: il lettore, dopo aver consultato le rispettiveschede e le avvertenze riportate, potrà scegliere, in maniera consapevole e autonoma, seutilizzarle o meno5. Tutte le altre erbe indicate come commestibili nel presente libro, nonessendo riportate nel succitato elenco, sono da ritenersi totalmente sicure.

Infine, al solo scopo di farle meglio conoscere al fine di evitarle, sono state indicate, inappendice, le specie mortali Conium maculatum (cicuta), Lactuca virosa e Senecio vulgaris6.

1. Oggetto della trattazione

1 In questo libro non sono state trattate le specie, potenzialmente commestibili, tipiche degli habitat costieri(come l’Eryngium maritimum e l’Echinophora spinosa) o palustri (come la Tifa latifolia) e, in generale, tuttequelle specie o sottospecie non censite e non presenti nel territorio Baianese-Lauretano.2 (Mattirolo – cfr. Bibliografia) – Polygonatum multiflorum o Sigillo di Salomone; Arum maculatum e Arumitalicum o Pan di serpe; Colchicum autumnale o Falso zafferano; Arundo spp; varie felci, ecc..3 Lista piante non ammesse negli integratori alimentari (aggiornata a novembre 2006). Ministero della Sanità.4 Anche alcune piante comunemente consumate hanno bisogno, per diventare commestibili, di subire particolariprocedimenti. Ad esempio, si ricorda che i comunissimi lupini per effetto della lupanina in essi contenuta se, da un lato,paiono essere utili nel contrastare il diabete, dall’altro, possono risultare pericolosamente tossici se consumati in grandequantità o se la lupanina non viene in gran parte allontanata tramite immersione a bagnomaria per alcuni giorni.5 I buongustai ritengono che, purché non si esageri con le quantità, queste erbe possano essere usate con unaragionevole tranquillità. Ciò vale anche per le numerose specie nitrofile, il cui consumo è da sconsigliare solose effettuato in eccessive quantità o da soggetti presentanti particolare patologie o predisposizioni (es. insufficienzarenale o epatica). Del resto, anche il consumo di grosse quantità delle comunissime mandorle amare può risultarepericoloso, per la presenza di amigdalina che si trasforma successivamente in acido cianidrico, che è un potenteveleno. E lo stesso insospettabile prezzemolo, in grosse quantità, può essere ritenuto velenoso e può indurre l’aborto (levecchie comari, un tempo, lo consigliavano alle giovinette più “vivaci” proprio per ottenere tale “effetto collaterale”).6 Si chiarisce che, oltre a quelle qui indicate perché somiglianti ad alcune specie eduli, esistono nella flora locale altrepiante velenose, tossiche e/o irritanti, che non sono state descritte poiché la loro trattazione esula dagli scopi del presentelavoro. (Es. Datura stramonium, Atropa belladonna, Sambucus ebulus, Ranunculus spp., e numerose altre).[n.b. anche le lumache che si siano impunemente cibate delle foglie di Belladonna risultano velenose per l’uomo!].

4

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

l presente lavoro è frutto di anni ed anni di appassionati studi e ricerche,svolti in parte in comune ed in parte separatamente dai suoi tre autori.Don Giovanni Picariello, studioso di tradizioni e storia locale, con all’attivonumerose pubblicazioni storiografiche, ha raccolto nel corso degli anni tutta

una serie di preziose testimonianze orali sull’uso alimentare delle erbe selvatichenell’area oggetto del presente studio.

Benedetta Napolitano, giornalista e scrittrice, mettendo a frutto i suoi studi in ScienzeBiologiche, si è occupata, oltre che dell’aspetto botanico, anche di quello nutrizionale.Inoltre, ha raccolto dai più anziani alcune ricette tipiche, da essi realizzate utilizzandole erbe alimurgiche descritte nel presente libro.

Pellegrino De Rosa, giornalista e dottore agronomo-forestale, noto anche per aver propostouna innovativa tecnica di ingegneria naturalistica7, si è occupato di alcuni aspetti botanici e,grazie alle sue esperienze redazionali, ha curato personalmente l’editing del presente volume.

Ma corre l’obbligo di precisare che la realizzazione di quest’opera, nella formapresente, è stata possibile solo grazie all’impegno ed alla benevola e preziosacollaborazione di numerosi amici8.

Tra costoro, meritano una menzione particolare il giovane Antonio De Rosa9 (per ilsuo entusiasta ed importante contributo nella impostazione grafica e nella ricerca,identificazione e fotografia di molte delle specie qui trattate) e, dulcis in fundo, il dott.agronomo Michele Bianco10, sia per la sua fertile azione di coordinamento che per lepreziose indicazioni tecniche e pratiche da lui fornite.

La realizzazione dell’opera, nel formato attuale e con stampa a colori, è stata infine resapossibile grazie alla gentile disponibilità della dott.ssa Maria Passari (Dirigente Regionaledel SeSIRCA) ed alla cortese sensibilità dell’assessore regionale per l’agricoltura e per le attivitàproduttive, dott. Andrea Cozzolino, ai quali vanno i più cordiali ringraziamenti degli autori.

2. Metodologia e ringraziamenti

7 Tale tecnica, nota come “Metodica De Rosa”, è stata descritta brevemente nell’appendice del presente volume.8 Tra questi è d’obbligo citare, innanzitutto, il prof. Antonio Saracino, Docente presso l’Università Federico-IIdi Napoli ed il Presidente dell’Ordine degli Agronomi della Provincia di Avellino, prof. Antonio Stornaiuolo,appassionato botanico, per le loro gradite e prestigiose note introduttive. Si ringraziano, poi: i medici Raffaele Masucci e Carmine Ferrara; il prof. Francesco Colucci, biologo,docente del Liceo Classico “Carducci” di Nola (Na); il dott. agronomo Dante Casoria di Lauro (Av); il prof.Carmine Strocchia, di Saviano (Na); il dott. agr. Nicolangelo De Vita, il dott. agr. Gennaro Cennamo ed iperiti agrari Francesco e Nicola Casciello, del Ce.Z.I.C.A. di Baiano (AV); il gruppo degli Scout di Avella(Av), nelle persone dell’arch. Pasquale Maiella e di Ferdinando Amato; l’arch. Sandro De Rosa dellaSoprintendenza di Avellino e Salerno; l’avv. Felice Siniscalchi, di Avella; i carabinieri Renato Mone e GiuseppeVetrano; la giovanissima Maria Strocchia, di Saviano (Na), e la carissima Ivana Picariello, vicedirettore delCorriere dell’Irpinia, per il prezioso aiuto nella revisione delle bozze. Si ringraziano, poi, il geol. StefanoLanziello, di Baiano (Av), e l’arch. Alfonso Napolitano, di Avella (Av), per alcune loro bellissime foto. Un ringraziamento particolare va, infine, al prof. Franco Domenico Vittoria (nella sua veste di Presidentedella Comunità Montana “Vallo di Lauro e Baianese”, per la sensibilità e lo spirito collaborativo dimostrati,tradottisi, tra l’altro, nella collaborazione del dott. agr. Nicola Bianco e dei tecnici Carmine PasqualeCirillo e Severo Ubaldo) e al dott. Alaia Vincenzo per il sostegno offerto nelle sue vesti di Presidente dell’ATC.9 Il giovanissimo Antonio De Rosa (figlio di Pellegrino e di Benedetta nonché nipote di don Giovanni Picariello) peril rilevante contributo apportato può essere considerato, a tutti gli effetti, il quarto autore di questa pubblicazione.10Il dott. Michele Bianco, legato da profondi vincoli affettivi al territorio Baianese-Lauretano, ha favorito e coordinato(come dirigente del SeSIRCA, nel corso della passata programmazione POR Campania) numerose iniziative tese avalorizzare il territorio oggetto di studio (es.“Terre antiche del nocciolo”). Egli, condividendo con gli autori l’amore perquesto territorio, è stato il vero ispiratore di questo libro e, nonostante i suoi numeri impegni, ha seguito, con efficaciae con benevolenza, tutte le fasi della realizzazione della presente pubblicazione, compresa la stampa.

5

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

La realizzazione dell’opera ha richiesto un lungo ma piacevole lavoro di ricerca,classificazione, verifica ed editing.

Molte delle erbe trattate hanno habitat antropico (prativo, coltivo e ruderale) ed èstato possibile rinvenirle, osservarle, raccoglierle e fotografarle anche nei prati cittadini11

e lungo i margini delle strade, ma, per individuare le altre, si sono resi necessari ripetutisopralluoghi (nelle diverse stagioni) in collina, in campagna o in montagna.

Alla fine sono state redatte 70 schede botaniche riguardanti le principali specievegetali, selvatiche e commestibili, presenti nell’area Baianese-Lauretana, conl’indicazione delle località e degli ambienti in cui è possibile rinvenirle. Inoltre, sonostate riportate oltre 150 ricette gastronomiche, molte delle quali tipiche12 del territoriooggetto di studio.

Le schede descrittive sono state ordinate alfabeticamente per famiglia botanica. Intal modo si sono dapprima riassunti i caratteri comuni ad ogni raggruppamento di erbe epoi, nelle singole schede, sono stati approfonditi i caratteri distintivi delle singole specie.

’utilizzazione delle piante e delle erbe selvatiche per l’alimentazione umana èantica quanto l’uomo stesso.Nell’intervallo di tempo compreso tra circa duecentomila anni fa (quandoapparve in Africa l’Homo sapiens) ed 11.400 anni fa (data alla quale si fa

risalire la nascita dell’agricoltura, nell’area della “mezzaluna fertile” tra Egitto eMesopotamia) l’uomo si è sostentato, oltre che con la caccia, proprio con la raccolta dierbe, bacche, tuberi, bulbi, radici, rizomi, cortecce, foglie e frutti delle più svariate piante.

L’utilizzazione alimentare di tali erbaggi13 è poi proseguita, nei Paesi occidentali, finoalla prima metà del secolo scorso. In special modo nei periodi di carestia.

Già nel XIII secolo, l’agronomo arabo-andaluso Ibn al Awwam, forniva alcuneindicazioni su come usare ai fini alimentari tutta una serie di prodotti vegetali, normalmentenon utilizzati per tale scopo. Sull’impiego delle ghiande delle querce ai fini alimurgici, adesempio, scriveva: «Quando si intenda fare il pane con le ghiande, occorre raccoglierei frutti sull’albero, a giusta maturazione, evitando di lasciarli seccare sull’albero stesso odi raccoglierli prima che siano maturi. Si procederà spogliando a mano, o con unostrumento adatto, ogni ghianda dal suo involucro. La ghianda è per sua natura astringente

3. Importanza alimentare delle erbe selvatiche

11 Nei soli prati antistanti le abitazioni degli autori sono state individuate e fotografate oltre 30 speciealimurgiche. La documentazione fotografica è stata in larga parte realizzata personalmente dai treautori e dal giovanissimo Antonio De Rosa. Altri contributi fotografici sono stati forniti da alcunidegli amici prima citati ed altri provengono dalla fototeca dei periodici locali “La nuova Gazzetta” e“Il Baianese”.

Le antiche tavole botaniche utilizzate, a causa della loro vetustà, sono considerate patrimoniopubblico e non sono soggette a copyright.

Parte del materiale didattico utilizzato deriva dalle lezioni e dalle presentazioni multimediali deicorsi di Laurea in Scienze Agrarie ed in Scienze Forestali dell’Università di Portici (Na).12 Per l’uso, tra gli ingredienti, dei tipici prodotti locali, come i salumi di Mugnano del Cardinale, la “pettula”(tipico impasto di farina), la ricotta ed i formaggi di Avella, le nocciole della cv. “mortarella” o “baianese”,l’olio d’oliva ottenuto dalla spremitura della cv. “Nostrale di Lauro”, dal caratteristico ed apprezzatoaroma di mele, nonché per l’antico uso di tali erbe descritto da vecchi contadini e boscaioli del luogo.13 Si rammenta che tra gli “usi civici” di cui godevano le popolazioni rurali, accanto a quelli più noti (legnatico, castagnatico, fogliatico, niveatico) vi era anche quello dell’erbatico. Per cui esse, potevanoraccogliere liberamente, su tutto il territorio, le erbe per sé stessi o per i loro animali.

6

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

e, se la si dovesse mangiare così com’è, la sua astringenza risulterebbe estremamentenociva. Per renderla realmente commestibile e utilizzarla per fare il pane occorre farlacuocere in acqua dolce, dopo averla lasciata a bagnomaria, sempre in acqua dolce esenza sale, per almeno ventiquattro ore. Dopo aver cambiato l’acqua dell’ammollo si fannocuocere le ghiande per sei ore, poi si cambia ancora una volta l’acqua e si riprende lacottura per altre sei ore circa. A questo punto si scolano i frutti e si assaggiano. Se l’astringenzaè scomparsa le ghiande sono utilizzabili, altrimenti bisognerà farle ancora cuocere per altrequattro ore circa in una nuova acqua. Una volta scolati, i frutti vanno sparsi affinché prendanoaria, e quando siano ben secchi si passano nella macina per ottenere una farina che simescola con un uguale quantitativo, oppure anche con due terzi, di farina di castagne.Questo è il procedimento migliore per correggere l’astringenza delle ghiande ed il più efficaceper la panificazione. Per far lievitare l’impasto si aggiunge poi della pasta acida di farina difrumento e il prodotto così preparato risulterà senz’altro di buona qualità».

Nel suo “Livre de l’agriculture” Awwam indica come produrre il pane con ogni sorta difarina (persino con erbe macinate), tra l’altro, consiglia quanto segue: «Scegliete unacerta quantità di baccelli di carruba freschi o secchi, spezzateli in frammenti piccoli,macinateli insieme ai loro semi e unite alla farina così ottenuta una parte di farina di orzoo di frumento; lavorate il composto con un po’ di lievito e quando la lievitazione sia giuntaa un livello medio […] fate cuocere la pasta ottenuta in forma di galletta e mangiatelaunta di grasso, olio o marmellata…». Lo stesso autore, poi, suggerisce: «Quandomanchino cereali o frutti commestibili, prendete le foglie e i fiori degli alberi da frutto etutto ciò che di tenero possono offrire, compreso il midollo dei rami14, aggiungetevi quindiverdure o piante commestibili, fate bollire il tutto a fuoco vivo aggiungendo un po’ di sale,scolate e mangiate condendo con sale soltanto, con sostanze dolci o anche con qualcheolio. Non usate però dell’aceto, da impiegarsi esclusivamente per rendere più delicate leradici grosse, nelle quali domina in modo preponderante l’elemento terroso». Ed ancora,ci tramanda che: «Secondo l’agricoltura nabatea15, tra le sostanze con le quali si puòottenere il pane c’è l’uva secca insieme ai suoi semi, ma si possono utilizzare anchesoltanto i semi. In effetti, l’uva secca, con i semi che racchiude, è per il corpo un cibocapace di sostentare. Inoltre, i semi di uva separati dalla polpa e trasformati in farinapossono essere utilizzati per produrre un pane nutriente».

L’utilizzazione dei semi d’uva è riportata, del resto, anche da altri autori, come Jean-Léon l’Africain, il quale assicura che, all’inizio del secolo XVI, le affamate popolazionimescolando alla farina di miglio i semi di uva macinati ottenevano: “un pane nero e acredavvero tremendo”, ma –evidentemente- ugualmente in grado di attenuare i crampidella fame. In linea di massima, quando era possibile, uno dei procedimenti più comuniconsisteva nel mescolare, alla poca farina di cereali disponibile, altre farine ottenute convari prodotti di ripiego, o nell’aggiungere sostanze grasse di varia natura. Ibn Awwamconsiglia, ad esempio, di consumare i pani di papiro o cipero dolce (Cyperus esculentus),insieme a sostanze grasse animali (ad esempio immergendoli in brodi grassi) o ad olii didiverso genere.

E’ noto, inoltre, che spesso le carestie hanno costretto le affamate popolazioni ad utilizzareai fini alimentari anche piante di cui conoscevano la tossicità (come Arum spp.), dopo14 Gli esperti di tecniche di sopravvivenza assicurano che, soprattutto delle conifere (pini, abetiecc..) possa essere mangiata, oltre ai pinoli, la parte di legno più tenera (libro e cambio), postaappena sotto la corteccia. Anche le radici più tenere e sottili possono essere consumate, cotte ocrude. Mentre le balsamiche foglie aghiformi, bollite, possono fornire delle corroboranti tisanericche di vitamina C.15 Il riferimento è ad una popolazione dell’antica Arabia.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

averle sottoposte a particolari trattamenti da esse ritenuti “detossificanti” (come, adesempio, l’immersione prolungata in acqua, i frequenti lavaggi, la bollitura, la tostatura,ecc..). Sembra che le antiche popolazioni rurali fossero espertissime nel riconosceretutte le specie commestibili e nell’applicare tutte le procedure per utilizzarle in sicurezza.Ma, con il trascorrere dei secoli, questa preziosa conoscenza è andata quasi del tuttoperduta. A tale proposito il già citato Mattirolo riporta che il medico francese Villar16 già silamentava che al suo tempo (ovvero nel XVIII secolo) su oltre 3.000 specie botanichepresenti nei dipartimenti dell’Isère, della Drôme e delle Hautes Alpes, se ne usassero“soltanto” un centinaio come piante alimentari, mentre nelle epoche precedenti era notol’uso alimentare di oltre 500 specie vegetali.

La prima pubblicazione che tratta l’argomento delle erbe selvatiche commestibili sotto ilprofilo scientifico è quella del medico fiorentino Giovanni Targioni-Tozzetti e risale al 1767.

L’opera, dal titolo “De alimenta urgentia: Alimurgia, ossia modo per renderemeno gravi le carestie, proposto per il sollievo dei popoli” introduce, per la primavolta, il termine “alimurgia” dal quale deriva il termine “fitoalimurgia” che, ancoraoggi, designa lo studio delle piante a scopo gastronomico e che deriva da trevocaboli greci, phytón (pianta), alimos (che toglie la fame) ed ergon (lavoro, attività).

Dopo Targioni-Tozzett i , numerosi altr i r icercatori si sono occupati difitoalimurgia, tra questi, oltre al Mattirolo (1918), si ricordano Riccardo (1921)e Arietti (1941), che pubblicarono interessanti studi nel periodo tra le due guerremondiali. Da segnalare anche che, nel corso del secondo conflitto mondiale, letruppe statunitensi sbarcate in Italia disponevano di un manuale di fitoalimurgia,approntato da una commissione di botanici americani, da utilizzare comeprontuario di sopravvivenza17.

Nello stesso periodo di stretta sussistenza, anche le popolazioni del Baianesee del Lauretano, unitamente agli sfollati provenienti dal capoluogo partenopeo,percorrevano campagne e monti per raccogliere le verdure più impensabili perrifornire il loro misero desco.

In molte occasioni (eruzioni del Vesuvio-Monte Somma, epidemie, carestie,guerre) le popolazioni locali sono sopravvissute grazie ai frutti del sottobosco,alle castagne, ai carrubi, alle ghiande, alle fàggiole (frutti del faggio) e alletante erbe spontanee presenti sul territorio.

In linea generale18 si può affermare che, tra le piante spontanee, sono commestibiliquasi tutte le graminacee e le leguminose. Sono poi potenzalmente commestibili numerosecompositae (asteraceae e cichoriaceae) e gran parte delle brassicaceae (o cruciferae), edi germogli più teneri e le giovani foglie di numerosissime piante (per esempio, della fava,del faggio, del nocciòlo e di numerose leguminose foraggere), quando eventuali sostanzeirritanti non si siano ancora accumulate nei giovani tessuti, in rapido accrescimento.

La sconcertante regola empirica, suggerita da alcuni anziani, chissà comesopravvissuti all’applicazione di una così superficiale e temeraria teoria, secondo

16 Catalogue des substances végétales qui peuvent servir à la nourriture de l’homme et qui se trouvent dansles Départements de l’Isère, de la Drôme et les Hautes Alpes, par la citoyen Villar Officier de Santé del’Hôpital militaire de Grenoble, Professeur de Botanique (1794, Anno II repubblicano).17 Anche oggi le forze armate di quasi tutti i Paesi dispongono di “manuali di sopravvivenza” comprendentianche alcune (superficiali) indicazioni sulla flora spontanea commestibile.18 Avvertenza importante: se non si è in grado di identificare correttamente alcune piante presentanti leinfiorescenze “ad ombrella” è preferibile evitare di consumarle, poiché esse, oltre alle specie eduli,comprendono alcune specie letali (es. la cicuta) o molto tossiche (es. Sambucus ebulus, erbaceo e velenoso,molto simile a Sambucus nigra, arboreo e dalle infiorescenze commestibili).

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

cui tutto ciò che viene mangiato dagli animali può essere sicuramente mangiatoanche dall ’uomo, non può essere presa in seria considerazione, poichél’apparato digerente dell’uomo è sicuramente diverso da quello dei poligastrici(ruminanti), che demoliscono molte sostanze tossiche grazie all’azione deibatteri presenti nel rumine e che sono anche dotati di un diverso corredoenzimatico.

Il modo più corretto di approcciare l’uso gastronomico delle piante selvatiche, cosìcome avviene per i funghi, è quello di imparare ad identificare con sicurezza le singolespecie commestibili: per facilitare questo compito le schede riportate in questo librosono corredate da una vasta documentazione fotografica e da dettagliati disegni tecnici.I più meticolosi potranno anche utilizzare altre e più estese pubblicazioni botaniche.

19 Lo scopo principale di questa pubblicazione è proprio quello di diffondere i “memi” (cfr. Richard Dawkins- Il gene egoista. 1976), intesi (per analogia con i “geni”) come “unità di informazione culturali”, dellatradizione contadina e delle conoscenze botaniche e naturalistiche fra le nuove generazioni.20 Neologismo che indica una nuova disciplina nata dal connubio tra farmaceutica e nutrizionistica.21 «Più ampio è lo spettro dei nutrienti assunti, maggiore ne è l’assimilazione e l’efficacia, e allo stessotempo, minori sono le quantità necessarie di ciascun specifico nutriente».

4. L’uso tradizionale e tipico delle erbe alimurgiche nel Baianese e nel Lauretano

’utilizzazione delle erbe selvatiche ai fini alimentari ha una lungatradizione nell’area oggetto di studio. A solo titolo di esempio siricordano le prelibatissime salsicce “paesane”, di carne di maiale, arrostitecon contorni di “cavuliciello” (Brassica fruticolosa), i vari “pascuotti” e “freselle”

conditi con salsa di topinambour o con fiori di tarassaco, e la “ciambotta” (o minestrone)di vari erbaggi e fagioli.

Tali antiche pietanze, comunemente indicate come “cucina povera”, il cui ricordo siaffievolisce sempre più col passare degli anni, consentono di riscoprire19 antichi e naturalisapori perduti, “di bosco” o “di campagna”, e di sfuggire al generale appiattimento edimpoverimento dei gusti.

Ma non si commetta l’errore di sottovalutare il loro valore nutrizionale: l’utilizzazionedelle erbe spontanee eduli, generalmente ricche di fibre, sali minerali e vitamine, risponde–infatti- al più importante dettame della moderna nutriceutica20, ovvero al principio della“sinergia nutrizionale”21.

Dal punto di vista culturale e turistico, poi, la loro ricerca, riscoperta ed utilizzazioneculinaria, può comportare una serie di positive ricadute sul territorio (ecoturismo didattico,agri e selviturismo, riscoperta di ricette e prodotti tipici locali, itinerari e circuiti eco-turistici,realizzazione di “orti di erbe spontanee commestibili”, escursioni botaniche, ecc..) nonchéun’accresciuta sensibilità nei confronti delle problematiche naturalistiche ed ambientali.

Come riferito dai più anziani, e come risulterà evidente dalla consultazione del corposocapitolo sulle ricette, di molte erbe selvatiche vengono utilizzate, innanzitutto, le fogliedelle giovani “rosette basali”, ovvero le corone di teneri foglie, generalmente appressateal suolo e disposte a raggiera. Esse si formano soprattutto in primavera (rosetteprimaverili) ma possono formarsi anche più tardi, dopo le prime piogge estive, dai semicaduti in primavera-estate o dagli organi perennanti (bulbi, stoloni, rizomi, ecc..). In tardaprimavera-estate si raccolgono, poi, principalmente i ricacci vegetativi.

Le rosette commestibili più utilizzate in passato dalle popolazioni locali, sono quelledel papavero comune o rosolaccio (Papaver rhoeas), della cicoria selvatica (Cichorium

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

intybus), della barba di caprone (Tragopogon porrifolius), della piantaggine (Plantagospp.), del caccialepre (Reichardia picroides), del tarassaco (Taraxacum officinale), delcrespigno (Sonchus spp), della borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris), dellattugaccio (Urospermum dalechampii), dell’erba delle mammelle (Lapsana communis),del dente di leone (Leontodon spp.), della margheritina o pratolina (Bellis perennis),dell’aspraggine (Picris spp.), del piattello (Hypochoeris radicata), ecc..

Le persone intervistate raccomandano di non raccogliere e cucinare le rosette quandola pianta abbia già emesso lo scapo (il lungo fusto centrale portante uno o più fiori oinfiorescenze), poiché in tale stadio vegetativo esse si presentano coriacee, amarognolee –nel complesso- fibrose e poco appetibili.

Di altre erbe è possibile raccogliere sia i germogli più teneri sia, nella stagione piùavanzata, le giovani foglie poste lungo tutto il fusto. E’ questo il caso del farinello(Chenopodium album), dell’amaranto (Amaranthus retroflexus), dell’ortica (Urtica dioica),della parietaria (Parietaria officinalis), dello strigolo o schioppettino (Silene vulgaris) edella porcellana (Portulaca oleracea).

Di altre specie, come l’alliaria (Alliaria petiolata) e la calendola (Calendula arvensis)si usano le sommità ed i fiori in boccio.

Dell’acetosella (Oxalis acetosella) si utilizzano, invece, le foglie (simili a grossi trifogli)e i teneri fusticini.

I petali del rosolaccio, della rosa canina e della rosa coltivata, ed i “fiori” di crespigno,tarassaco, calendola, aspraggine, borragine (Borrago officinalis), mammola (Violaodorata), primula (Primula acaulis), aglio selvatico (Allium spp) ed erba cipollina (Alliumscoenoprasum), si usano nelle insalate miste (misticanze) primaverili, nelle frittate, nellefrittelle e nelle focacce.

I delicati petali di rosa si passano ad uno ad uno nell’albume delle uova, sbattutto conun pizzico di sale, poi nella farina e poi nuovamente nell’albume, per essere poi fritti inolio extravergine d’oliva (possibilmente della valle dell’antico Clanis, caratterizzato daltipico aroma di mele): si fanno scolare e si pongono ad asciugare su carta assorbenteda cucina, per poi essere serviti insieme ad un buon vino (ottimo l’abbinamento colceleberrimo Greco di Tufo).

Oltre ai notissimi germogli di asparago selvatico (Asparagus acutifolius), vengonoanche raccolti i germogli di equiseto (Equisetum arvensis), di rovo (Rubus fruticosus), diliana (Clematis vitalba), di pungitopo (Ruscus aculeatus) e di vite (Vitis vinifera). Diquest’ultima si mangiano e si raccolgono pure i teneri viticci e le giovani foglie.

I germogli di rovo e vitalba, quelli di quest’ultima con le avvertenze prima ricordate, eprevia spellatura e bollitura, sono particolarmente graditi da chi preferisce i sapori aciduli.

Gli scapi fiorali della “sulla” (Hedisarum coronarium) vengono spellati del rivestimentocorticale per poi essere mangiati al naturale.

Gli scapi delle senapi spontanee (Sinapis spp.) vengono cotti al vapore e poi conditicon olio extravergine d’oliva, sale e agro di mele.

Le radici di tarassaco, barba di caprone, cicoria e pastinaca (Pastinaca sativa) possonoessere usate come surrogato del caffè: si tagliano a fette o a strisce, si lasciano essiccare,poi si tostano e si tritano. Per lo stesso scopo possono essere usati, dopo bollitura,essiccamento e torrefazione, anche i rizomi di cannuccia (Arundo phragmites) e digramigna (Cynodon dactylon e Agropyrum repens), nonché le ghiande (Quercus spp.).

E’ noto, inoltre, che -in caso di necessità- danno farina anche i semi di ortica, diamaranto e di diverse graminacee spontanee.

Delicate e pregiate sono poi alcune radici, come quelle del raperonzolo (Campanula

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

rapunculus), che di solito vengono consumate insieme alle loro rosette fogliari.Di gradevole gusto sono anche i tuberi di lampascione (Muscari comosum) e di

topinambour (Helianthus tuberosum).Anche il cardo mariano (Silybum o Carduus marianum) e il cardoncello (Scolymus

hispanicus) possono essere utilizzati in cucina per la preparazione di saporite pietanze:vengono utilizzate, cotte a vapore, le foglie raccolte prima della fioritura e ripulite daifilamenti fibrosi e dalle spinescenze.

I f iori di due alberi, i l sambuco (Sambucus nigra) e l ’acacia (Robiniapseudoacacia), vengono anch’essi utilizzati dagli estimatori, alla stregua di quelli dizucca, per la preparazione di saporite frittelle, dolci o salate.

Anche le foglie più giovani e tenere di faggio (Fagus sylvatica) possono essere bollite emangiate e stupiranno i buongustai con il loro sapore, molto simile a quello del cavolo.

5. Alcuni consigli pratici

i consiglia di raccogliere le erbe nei luoghi il meno possibile inquinati, per cuisi eviteranno accuratamente i bordi delle strade (che subiscono l’inquinamentodei gas di scarico dei veicoli e di tutto ciò che viene dilavato e trasportato conle piogge), i campi coltivati ed i frutteti (ove c’è il rischio che siano stati irroratifitofarmaci), le zone prossime a scarichi industriali o fognari, i terreni posti in

prossimità di acque stagnanti e quelli situati a ridosso delle discariche, ufficiali o abusive22 .In ogni caso è sempre consigliabile lavare abbondantemente la pianta prima di

utilizzarla, magari aggiungendo all’acqua del bicarbonato da cucina, o sbollentarla.Se si desidera conservare le erbe selvatiche raccolte, il metodo migliore è rappresentato

dal congelamento (naturalmente, dopo averle ben ripulite, lavate ed asciugate).La raccomandazione principale rimane, però, quella di non “fare di tutta l’erba un

fascio”, ovvero, di raccogliere e consumare solo le erbe che si è certi di aver identificatocon sicurezza e della cui commestibilità si è sicuri. Per facilitare il compito al lettore, ognischeda è stata corredata di una dettagliata documentazione fotografica. I più coscienziosi,inoltre, potranno munirsi anche di qualche particolareggiato atlante botanico e di unabuona lente di ingrandimento per osservare i particolari botanici più significativi.

Molte specie alimurgiche, infatti, all’occhio del neofita, presentano una somiglianzatalora sconfortante. È il caso delle “rosette primaverili” di molte delle specie illustrate.Queste, quasi sempre, rappresentano la fase vegetativa più gustosa ma, talora, proprioquella più difficile da riconoscere. Per imparare a riconoscerle bene non c’è che unmodo: rintracciare alcune piante che oltre alla rosetta basale portino anche il fusto centrale(scapo) con i relativi fiori, per assicurarsi di aver identificato bene la specie, e poiconfrontare le foglie basali con quelle delle rosette ancora prive di fiori.

Per finire, alcune raccomandazioni “ecologiche”. Si eviti di strappare le piantine daraccogliere (a meno che la parte edule non sia costituita proprio dalla parte ipogea) e lesi tagli con un coltello affilato: in tal modo esse potranno ricacciare altri germogli.22 [Si veda il pregevole libro-inchiesta “Le vie infinite dei rifiuti. Il sistema campano” (Ed. Rinascita. 2007.ISBN 9788890325427), del giornalista Alessandro Iacuelli.] E’ noto che tutte le piante, comprese quelle trattate in questo libro e quelle abitualmente acquistate dalfruttivendolo o al supermercato, possono accumulare le sostanze tossiche eventualmente presenti nel terreno, alpunto che alcune specie vegetali sono state addirittura proposte per risanare i siti inquinati (M. Caiazzo e R.Viselli - Bioremediation - Liguori editore - Napoli - 2008). Tuttavia, è evidente che le erbe selvatiche raccoltein siti non contaminati sono sicuramente esenti da qualsiasi sostanza chimica, comprese quelle (come i fitofarmaci,i conservanti, ecc..) abitualmente impiegate nella moderna agricoltura. Esse, perciò, risultano sicuramente piùsane, oltre che più saporite, dei loro corrispettivi coltivati. Per tali erbe genuine gli autori hanno proposto la definizione “zero gamma” (vedi glossario in appendice).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Si eviti, infine, di danneggiare le specie protette (come il Ruscus aculeatus23 ) o diraccogliere quelle specie considerate localmente rare o rinvenute solo in pochi esemplari.

23 Tale specie protetta è elencata nel “Repertorio della Flora Italiana protetta”, edito nel 2001 dal Ministerodell’Ambiente e della Tutela del Territorio.

6. Consultazione delle ricette

utte le erbe commestibili qui descritte possono avere utilizzazione “da padella” o“da ripieno”: esse, infatti, vengono normalmente preparate o lessate o saltate inpadella. Alcune di esse (es. i capolini delle “cicorie selvatiche” ancora in boccio)possono essere utilizzate anche come sottolio e sottaceti. Con altre sipreparano deliziose frittate e pizzette. Molte di essere possono essere

consumate anche crude e talune (es. la “portulaca”) possono essere conservate, oltreche congelate, anche essicate.

In ciascuna delle 70 schede botaniche redatte sono indicate le parti commestibili diogni erba selvatica e le sue principali modalità di utilizzazione gastronomica. Inoltre, in ognunadi esse si rimanda, tramite apposita numerazione, alle ricette raccolte nel capitolo dedicato.

Le ricette riportate sono state ordinate per categorie di piatti (antipasti, primi piatti, secondipiatti, ecc..) e distinte in: “nazionali” (N), quelle diffuse in tutto il territorio italiano; “tradizionali”(T), quelle tipiche del territorio oggetto di studio e “proposte” (P) quelle suggerite o dagliautori o dai cuochi e dai pizzaioli di alcuni locali tipici del Lauretano e del Baianese.

Un prato di bellissimi e squisiti papaveri, in un uliveto nel territorio di Avella (Av)

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Erbario Pseudo-Apuleio (XV sec.)

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

SCHEDE

BOTANICHE

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Una fase di coordinamento della pubblicazione.Sotto, da sinistra: Benedetta Napolitano, don Giovanni Picariello e il dott. Michele Bianco.Sopra, a sinistra, Pellegrino De Rosa.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

AmaranthaceaeSono piante aff ini al le

Chenopodiaceae, tant’è veroche, secondo la classificazioneAngiosperm Phylogeny Group(2003), queste ultime sono statefatte confluire proprio nellafamiglia delle Amaranthaceae.

Pr ima di incorporare lespecie delle Chenopodiaceae,le Amaranthaceae contavano75 generi e 900 specie.

La principale differenza trale Amaranthaceae e le Cheno-podiaceae è che le secondepossiedono petali membranosie stami spesso uniti tra loro aformare una struttura ad anello.

Nella maggior parte dellespecie, le foglie sono semplici,opposte o alternate, ed in alcunicasi succulente.

I fiori possono essere siasingol i che raggruppati ininfiorescenze di vario tipo, epossono essere sia unisessualiche ermafroditi.

Alcune specie sono coltivatecome piante ornamentali maaltre sono infestanti e possonocrescere rapidamente, produ-cendo molti semi che possonorimanere dormienti nel terrenoper decenni.

I semi di alcune specie (ad. es. A. caudatus L. e A. hybridus), nel periodo pre-colombiano, in America centrale, venivano utilizzati dalle popolazioni locali comecereali.

A testimonianza di ciò, si riporta che alcuni semi di Amaranthaceae, risalenti adoltre 5.500 anni fa, sono stati ritrovati nelle grotte di Tehuacan Puebla, in Messico.

Le foglie di queste piante, ricche di proteine, sono state utilizzate per millennicome verdura nelle aree tropicali. Alcune specie, però, possono accumulare livellitossici di nitrati: per tale motivo è preferibile, in caso di assunzioni prolungate, usarele foglie più giovani, nelle quali l’accumulo di nitrati è minore.

Nell’area del Baianese e del Lauretano sono presenti Amaranthus chlorostachysed Amaranthus retroflexus.

Di seguito verrà descritta la specie Amaranthus retroflexus.

Amaranthus

diagrammi fiorali maschile (e) e femminile (f)

e f

d

b

c

a

pistillo (a) e seme (b)

fiori maschile (c) e femminile (d)

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Amaranto

Amaranthus retroflexus (L.)Scheda n. 01

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Amaranthus retroflexus è originariodell’America centro-settentrionale, ma da secoliè naturalizzato in tutta Italia, dove crescecomunemente nei campi coltivati, nei giardini,nei terreni incolti ed ai margini delle strade.Sempre, comunque, in ambienti moltosoleggiati.

La pianta è diffusa in terreni aventi valori dipH anche molto diversi (da 5,2 fino a 9,1) ed èmolto sensibile alla presenza di potassio efosforo.

Amaranthus retroflexus è una pianta ad altaefficienza fotosintetica (pianta C4).

E’ una terofita scaposa, erbacea, annua. Lapianta adulta, eretta e ramificata sin dalla base,assume forma di cespuglio raggiungendoun’altezza media di 80-100 cm; tuttavia, ledimensioni sono assai variabili in relazione allafertilità del terreno ed al clima.

Le foglie sono intere, alterne, ovato-romboidali, picciolate, con nervature molto evidenti allapagina inferiore. I piccioli e le nervature sono pubescenti.

Il fusto, anch’esso pubescente, è angoloso, eretto, tenacissimo e fibroso.L’apparato radicale è fittonante e si sviluppa a profondità notevoli.I fiori, piccolissimi, sono attinomorfi, dialipetali, con perianzio ridotto, con segmenti lunghi 1-

3 millimetri, formati da 5 tepali spatolati con apice troncato o smarginato. L’androceo è formatoda 5 stami. L’ovario è supero, con 3 stili. I fiori sono riuniti in dense infiorescenze a pannocchia,con la spiga terminale poco più lunga delle laterali.

I frutti sono costituiti da piccolissime capsule indeiscenti, ellittiche e a superficie rugosa.L’Amaranthus retroflexus è ospite del virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro (TSWV).

È difficile da confondere con altre specie, ma secondo i meno esperti, nella sua fase giovanilepresenterebbe una certa somiglianza con il Chenopodium album maturo.

Le differenze sono, in realtà, facilmente visibili:- le foglie sono ovate in Amaranthus e “a piede di papera”, da cui il nome, in Chenopodium;- le infiorescenze sono molto più grosse e compatte in Amaranthus;- il fusto di Amaranthus è tenacissimo e quasi impossibile da spezzare con le sole mani.

È diffuso in tutto il comprensorio considerato, negli ambienti ruderali e sui suoli aridi, tra i 100ed i 500 metri di altitudine.

Infestante delle colture sarchiate, si trova frequentemente ai bordi delle vie e negli incoltierbosi.

Se ne usano le foglie, le infiorescenze ed i giovani getti, previa bollitura (le foglie crude sonoimmangiabili), per essere consumati all’agro (con olio e limone) oppure variamente saltati in padella.

Hanno sapore simile a quello degli spinaci, secondo alcuni addirittura superiore.Foglie e giovani getti possono essere usati anche per preparare minestre primaverili.Se si ha sufficiente pazienza, i giovani fusti, tagliati a pezzi, spellati e lessati, possono essere

usati alla stregua degli asparagi.Questa pianta generalmente ritenuta solo una fastidiosa infestante è, invece, appositamente

coltivata presso taluni popoli africani ed i suoi semi, assai ricchi di proteine e di sali minerali,possono aprire orizzonti nuovi nella povera agricoltura di sussistenza di quelle plaghe.

Ciclo delle piante C4

RICONOSCIMENTO

DIFFUSIONE

USO GASTRONOMICO

RICETTE 004 - 063 - 064

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Apiaceae o Umbelliferae

La famiglia delle Apiaceae o Umbelliferae comprende circa 3.000 specie, suddivisein 420 generi, ad habitus prevalentemente erbaceo (raramente arbustivo), distribuiteprevalentemente nelle regioni temperate e subtropicali dell’emisfero boreale.

Il fusto è spesso cavo e porta all’esterno alcuni solchi longitudinali. Le foglie, condisposizione alterna, non presentano stipole e spesso sono composte (come nelprezzemolo), ma alcune specie presentano lamina intera. Spesso i piccioli si presentanocon base slargata e guainante il gambo.

Una delle caratteristiche più salienti della famiglia è rappresentata dalle infiorescenzead ombrella, semplice o composta; in quest’ultimo caso i raggi dell’ombrella non portanoun singolo fiore ma ombrelle di secondo ordine dette ombrellette o umbellule. Le bratteeposte alla base dell’ombrella formano l’involucro, mentre quelle alla base delle ombrellettecostituiscono l’involucretto. L’infiorescenza può anche assumere l’aspetto di un capolino,per accorciamento dei raggi dell’ombrella (es. gen. Eryngium).

I fiori, proterandrici, sono impollinati generalmente da insetti con proboscide cortacome i ditteri, o da coleotteri, attratti dalla vistosità delle ombrelle e dal nettare prodottodallo stilopodio. Sono quasi sempre piccolissimi, spesso bianchi o giallastri, talvoltarossastri (come il fiore centrale dell’ombrella della carota) e presentano simmetriapentamerica. La funzione vessillare (attrazione dei pronubi o impollinatori) è svoltadall’ombrella nel suo complesso e per questo motivo i fiori periferici possono presentarsizigomorfi (e unisessuali o sterili) sviluppando notevolmente 1-2 petali (Tordylium apulum).Il verticillo calicino è ridotto a 5 dentelli e a volte può essere del tutto incospicuo. Lacorolla, dialipetala, è formata da 5 petali talvolta bilobi. L’androceo è costituito da unverticillo di 5 stami; l’ovario, infero, biloculare, comprende 2 carpelli, ciascuno con 2ovuli di cui uno atrofizzato, ed è sormontato da 2 stili liberi, divergenti, che si dipartonoda una struttura a cuscinetto (stilopodio) che persiste nel frutto.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

La formula tipica fiorale è: K 5, C 5, A 5 G (2) (ovario infero).Il frutto, secco, è uno schizocarpo denominato diachenio, con una morfologia

caratteristica per ogni specie, spesso utilizzata come carattere diagnostico (presenza divallecole, protuberanze, spine ed uncini sulla superficie).

I semi possiedono un piccolo embrione immerso in abbondante endosperma, riccodi grassi e proteine.

Alcune umbellifere vengono coltivate per scopi alimentari, come la carota (Daucuscarota) ed il finocchio (Foeniculum vulgare).

Altre, grazie alla presenza di oli eterei nei loro semi o in altre parti della pianta, vengonoutilizzate come spezie, piante aromatiche o piante officinali. Tra queste si annoveranol’anice (Pimpinella anisum), l’aneto (Anethum graveolens), il coriandolo (Coriandrumsativum), il cumino (Carum carvi), ilfinocchio selvatico (Foeniculumpiperitum), il prezzemolo(Petroselinum crispum) ed il sedano(Apium graveolens).

Altre ancora sono conosciute,invece, come potenti veleni. Traqueste, la belladonna (Atropabelladonna) e la cicuta di Socrate(Conium maculatum) sono presentianche nel territorio Baianese-Lauretano1.

Altre, come il cerfoglio (Anthriscuscerfolium) vengono utilizzatelocalmente come piante alimurgicheper la preparazione di tipiche “pizzepiene” e di squisite frittelle.

Le apiacee o umbellifere sonoabbastanza diffuse nell’areamediterranea. Alcune di esse sonolegate all’ambiente fresco delsottobosco (Anthriscus nemorosa),altre sono diffuse nelle aree steppiche(Ferula communis) e nei campicoltivati (Ridolfia segetum). Altre,ancora, sono tipiche casmofite (piantedi ridotte dimensioni ma con estesoapparato radicale) ed entrano nellacostituzione di cenosi rupicole(Athamanta sicula), o alofite (pianteche sopportano suoli salsi), chevegetano sulle scogliere prossime almare (Crithmum maritimum, Eryngiummaritimum, ecc..).

Nell’areale oggetto di studio sonostate censite 49 specie vegetali appartenenti alla presente famiglia.1 Per il Conium maculatum si rimanda alla scheda descrittiva riportata in appendice.

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Erba angelica o Angelica dei boschi

Angelica sylvestris (L.)Scheda n. 02

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Angelica montana.Nomi comuni: erba angelica, angelica dei boschi o angelica selvatica.Il nome del genere deriva dal latino “herba angelica”, poiché anticamente si credeva che la

pianta, oltre a curare tutte le malattie, proteggesse dagli spiriti malvagi e dagli incantesimi.Molto simile all’Angelica sylvestris è Angelica archangelica (utilizzata nella fabbricazione di

liquori) dalla quale si distingue per i fusti verdi, per i piccioli fogliari cilindrici e per i petali bianco-giallastri-verdastri. Tutte le specie del genere Angelica contengono furocumarine, che aumentanola fotosensibilità della pelle e possono causare dermatiti. Angelica polymorpha var. sinesis èforse il più importante tonico cinese dopo il ginseng.

Come forma biologica è considerata una “emicriptofita scaposa”. Pianta perenne, talvoltabienne, di aspetto erbaceo eretto, con fusti striati, ramificati nella parte superiore, cilindrici,coperti di pruina bianca o di colore violaceo. Può raggiungere i 2 metri di altezza. E’ provvista diun grosso rizoma, dall’odore di carota ma dal sapore acre ed amaro.

Le foglie hanno piccioli a sezione semilunare e cavi internamente. Sono compostetripennatosette (divise in tre “fronde” ognuna delle quali portante 5-9 foglioline ovato-lanceolatea margine dentato). Presentano delle guaine rigonfie che avviluppano e proteggono i giovanirami ascellari e le infiorescenze ancora in boccio. Quelle superiori sono meno suddivise diquelle inferiori e quasi sessili.

I fiori, attinomorfi, dialipetali e di piccolissime dimensioni, sono pentameri, bianchi o rosati.Spesso sono riuniti in grandi infiorescenze ad ombrella che, in taluni casi, possono giungereanche a 50 centimetri di diametro.

I frutti sono diacheni, piatti, ellittici, con 3 coste dorsali e due laterali.

RICONOSCIMENTO

Presente nei luoghi ombrosi e umidi, boschi, siepi, in fondo alle forre e alle sponde degliimpluvi, fra i 300 ed i 1.000 metri di altitudine (es. Vallone di Quindici, Vallone Acquaserta aQuadrelle, Vallone Sorroncello ad Avella).

DIFFUSIONE

L’Angelica viene utilizzata nella preparazione dei dolci e soprattutto dei liquori (amari a basedi erbe) per le sue proprietà digestive.

Dopo le bacche di ginepro, la radice di angelica (soprattutto dell’ A. Archangelica) è l’ingredienteprincipale del gin. Viene inoltre utilizzata per aromatizzare Cointreau e Vermouth.

Famoso è il liquore benedettino Chartreuse (verde o giallo a seconda che si desideri più omeno forte).

Nei paesi nordici, nei periodi di carestia, le radici di angelica si macinavano e venivanoaggiunte alla farina per fare il pane.

Il fusto, ripulito dalla parte esterna, scura e amara, e finemente tritato, viene aggiunto inpiccole quantità a marmellate e confetture.

I giovani rametti delle piante, raccolti all’inizio dell’estate e privati della parte esterna, possonoessere canditi e usati come decorazione dei dolci.

Le foglie fresche possono essere usate per aromatizzare frutta cotta, pesce o formaggimolli.

Le foglie di angelica, in piccole quantità, sono utilizzate anche per aromatizzare il tabacco dapipa.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 005

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Cerfoglio

Anthriscus cerefolium (L.)Scheda n. 03

Sezione del fusto diachenio

CarotaCerfoglio

Cerfoglio coltivato

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Questa pianta è stata importata inEuropa dai Romani ed è proba-bilmente originaria della RussiaMeridionale, del Caucaso e del MedioOriente. E’ una specie sinantropa enitrofila, comune nei prati fertiliantropizzati, nelle zone ruderali, marginidei boschi, incolti, boscaglie e siepi.

Emicriptofita scaposa. Erbaceaperenne o biennale, dall’aspettovagamente simile a quello delprezzemolo (ma le foglie sono piùfinemente settate). Attenzione a nonconfonderla con la pericolosissima emaleodorante cicuta (Coniummaculatum). Per essere sicuri di nonsbagliare strofinate le foglie tra le mani:emetteranno un delicato aroma, pertaluni simile alla carota o al finocchietto, secondo altri simileal profumo del prato appena tagliato.

I fusti, cavi e spigolosi, sono ramificati in alto e coperti dipeli reflessi in basso. Una loro caratteristica distintiva èrappresentata da una incavatura longitudinale “a grondaia”presente ad un lato del fusto, il quale si presenta a sezionegrossolanamente quadrangolare, che diventa poi triangolarenel peduncolo fogliare.

Le foglie picciolate a contorno triangolare, sonotripennatosette, con segmenti profondamente incisi e dentati.Il cespo (rosetta) di foglie basali è presente già a fine invernomentre l’antesi o fioritura avviene nei mesi di maggio – luglio.

I fiori, attinomorfi, dialipetali, di piccole dimensioni (3-4mm), a cinque elementi, petali bianchi, ovario inferobicarpellare, sono raccolti in infiorescenze ad ombrellacostituite da 7-10 raggi e munite di brattee involucrali.

I frutti sono diacheni verdi-brunastri.La radice è sottile, fittonante, con anelli trasversali ben

apprezzabili.Il cerfoglio coltivato presenta un’apparente somiglianza

con la parte aerea della carota, la quale però possiede foglie di maggiori dimensioni e di diversaconformazione. Anche il fusto è diverso, risultando essere più arrotondato in Daucus carota.

RICONOSCIMENTO

RICETTE

Oltre all’Antriscus cerefolium, specie coltivata e rinvenibile anche allo stato selvatico, poiché sfuggitaalla coltivazione per disseminazione accidentale, sono diffuse le specie: A. caucalis (negli ambientierbosi tra i 300 ed i 1.200 m slm. Vedi prima e ultima foto sopra), anch’esso commestibile (per esperienzadiretta degli autori) ma dal gusto più selvatico; l’A. sylvestris (presente nei faggeti del massiccio fino ai1.200 metri); l’A. nemorosa (nelle boscaglie e nei fruticeti umidi, tra i 400 ed i 1.400 m slm, ad esempioa Sirignano, in località Bocca dell’Acqua e nel Vallone di Quindici).

Se ne usano sia le foglie che i germogli. Ottima è la “Pizza d’erbe”, preparata tipicamentenel periodo pasquale in Avellino città e nei paesi limitrofi.

Il cerfoglio si può consumare anche unito alla ricotta, ai formaggi freschi o allo yogurt.

USO GASTRONOMICO

DIFFUSIONE

Anthriscus sylvestris

Anthriscus (o Chaerophyllum)

caucalis

006 - 065 - 066 - 067 - 068 - 069 - 109 - 110 - 111 - 129 - 140

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Finocchio selvatico

Foeniculum vulgare (Mill.)Scheda n. 04

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

RICONOSCIMENTO

Sinonimo: Foeniculum officinale.Nome comune: finocchietto selvatico.Foeniculum, corrisponde al nome latino con cui si indicava il finocchio; esso deriva da foenum

(fieno) con il significato di “piccolo fieno”, forse perché un tempo questa pianta veniva impiegatacome foraggio. Come habitus vegetativo è una pianta erbacea perenne.

Come forma biologica è una emicriptofita scaposa.Presenta un fusto ipogeo (sotterraneo) costituito da un rizoma orizzontale nodoso da cui si

dipartono le radici secondarie.Il fusto epigeo (parte aerea) si presenta eretto, cilindrico e ramoso, ingrossato nella sua

parte basale e dall’altezza variabile tra i 40 ed i 150 centimetri.Le foglie, 3-4 pennatosette, con lamina interamente divisa in numerose lacinie capillari di

colore verde-giallastro, abbracciano inferiormente il fusto.I fiori, attinomorfi dialipetali di piccole dimensioni, a cinque elementi, presentano petali gialli

ed ovario infero bicarpellare. Essi sono portati in infiorescenze composte (ombrelle di ombrelle)a 12-30 raggi. L’involucro è assente.

I frutti sono schizocarpi che si dividono in due acheni costoluti.Tutte le parti della pianta emanano un intenso odore, prodotto da alcuni olii essenziali, quali

l’acido anisico, l’anetolo, il canfene, il carvolo, l’estragolo, il fenene, il limonene e il pinene.

Il finocchietto selvatico è una tipica pianta mediterranea (geoelemento stenomediterraneo),comune nelle aree ruderali ed antropizzate di tutto il territorio, tra i 100 ed i 500 metri di altitudine.

Predilige i luoghi soleggiati, incolti, secchi e ciottolosi. Si trova però anche nelle zone erbose,ai piedi dei muretti a secco ed ai margini dei sentieri di campagna e di collina.

Nei territori oggetto del presente studio sono presenti sia la sottospecie vulgare che lasottospecie piperitum, dall’odore più accentuato.

DIFFUSIONE

Di questa pianta si utilizzano, raccogliendoli dall‘autunno alla primavera, i novelli getti fogliarie, dall’estate all’autunno, gli scapi fiorali con le ombrelle nonché i frutti (erroneamente noti come“semi”).

La parte basale del fusto, dal sapore di finocchio molto accentuato, può essere gustata emasticata durante le passeggiate in campagna, magari in sostituzione del meno bucolico chewinggum.

Comunque questa pianta, più che come verdura, viene utilizzata in cucina comearomatizzante, a causa degli olii essenziali che conferiscono odori e sapori forti alle pietanze.

In particolare, le fronde di finocchio selvatico, opportunamente mondate dalle foglie piùvecchie, si usano per dare “tono” alle misticanze.

I fusti con le ombrelle vengono talora aggiunti alla salamoia in cui si conservano le olive, peraromatizzarle.

I frutti del finocchietto selvatico si aggiungono alle salsicce nostrane oppure ai taralli tradizionali.L’intera parte aerea del finocchietto, inoltre, viene lasciata in infusione nell’olio d’oliva per

produrre il cosiddetto “olio di finocchietto selvatico”, usato per condire pesce, carne o salsiccearrostiti alla griglia.

Vi è anche l’usanza di aggiungere i frutti di finocchietto all’acqua di cottura delle castagnebollotte (quelle bollite con la buccia).

USO GASTRONOMICO

RICETTE 087 - 106 - 121

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Pettine di VenereScandix pecten-veneris (L.)

Scheda n. 05

Sezione del fusto

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: acicula, pettine divenere comune, spilla di pastore,spillettone.

Il nome del genere, Scandix,deriva dal greco e significa“pungere”. Tale termine fàriferimento ai suoi caratteristici frutti,dal becco allungato, che assumonol’aspetto di spillone o pettine, e dallacui forma gli sono derivati pure i suoinomi popolari.

Questa pianta erbacea è unaterofita scaposa (ovvero, una piantaannuale con asse fiorale allungato,spesso privo di foglie).

Il fusto, lungo dai 15 a 45centimetri, si presenta a portamentoeretto, molto ramificato, conscanalature verticali, e diventacorimboso nella parte superiore.Presenta sezione grossolanamenterettangolare-arrotondata.

Le foglie, composte, 2-3 voltepennatosette, a lamina fogliaredivisa in lacinie lineari, sonomunite di un picciolo allungato allabase da una guaina, leggermentebarbata, avvolgente il fusto.

I fiori, ermafroditi, hannobianche corolle asimmetrichecomposte da cinque petali.

L’infiorescenza è ad ombrellacomposta, formata generalmenteda due rami privi di involucroportanti le ombrellette. Queste,munite di 5 bratteole bifide e ciliate,sono formate da 5 – 6 fiori, di cuisolo quelli più interni sono fertilimentre quelli esterni, più grandi, sono sterili ed hanno funzione vessillifera (attrazione degliinsetti impollinatori). L’antesi avviene nel periodo compreso tra aprile e giugno.

I caratteristici frutti sono costituiti da acheni lunghi circa un centimetro, prolungati da unrostro di circa 4 - 5 centimetri, terminante con 2 stili all’apice.

RICONOSCIMENTO

L’areale di diffusione di questa specie è centrato sulle coste mediterranee, ma conprolungamenti verso nord e verso est (area della vite).

A livello locale, essa si rinviene nei terreni argillosi e tra le siepi di tutto il territorio, conmaggiore frequenza tra i 200 ed i 1.000 metri di altitudine. Nel territorio oggetto di studio questaspecie è sempre più difficile da rinvenire.

DIFFUSIONE

Le foglie ed i teneri gambi delle piante più giovani vengono usati nelle insalate miste oppurebollite insieme ad altre erbe.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 044

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sopra. Il prof. Antonio Saracino, docente del corso di Laurea in Scienze Forestali ed Ambientali,presso la Facoltà di Agraria di Portici (Università degli Studi di Napoli - Federico II), durante unsopralluogo in una “tagliata” di un castagneto ceduo, a Moschiano (Av).

Sotto. Il Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Provincia diAvellino, prof. Antonio Stornaiuolo, appassionato botanico, nel corso di un sopralluogo inun’azienda agricola di Avellino.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Boraginaceae

La famiglia delle Boraginaceae comprende 95 generi con circa 2.000 specie diffuseprincipalmente nelle regioni temperate e calde.

Si tratta prevalentemente di piante erbacee, ma sono presenti anche specie arbustive, lianose,rari alberi (gen. Cordia).

I fusti sono generalmente coperti da peli ruvidi, presenti spesso anche sulle foglie e sulleinfiorescenze.

Le foglie sono generalmente alterne, semplici, di solito intere, senza stipole, anch’essefrequentemente ispide per la presenza di peli formati da cellule calcarizzate, o di setole (con osenza tubercoli basali) per cui si presentano molto ruvide e aspre al tatto, con qualche eccezione(es. gen. Cerinthe), che presenta foglie glabre.

I fiori, ermafroditi e attinomorfi, con tendenza in alcuni generi a divenire zigomorfi (Echium),sono riuniti in infiorescenze a cima scorpioide, semplice o doppia.

Il calice è composto da 5 sepali riuniti solo alla base e diviene accrescente dopo l’antesi. Lacorolla, gamopetala, composta da 5 petali, si presenta di forma varia (a tubo in Anchusa, acampana in Lithospermum, rosata in Myosotis), talora con squame che restringono l’ingressodella corolla tubare (Borago, Symphytum).

L’androceo è isostemone ed è costituito da 5 stami direttamente inseriti sul tubo della corolla.Il gineceo, supero, è bicarpellare; ciascun carpello contiene 2 ovuli, tra i quali si forma un

falso setto e, pertanto, l’ovario diviene ben presto quadriloculare. Esso poggia su di un disconettarifero a forma di anello.

La tipica formula fiorale è: K (5), [C (5), A 5], G (2).Il frutto è costituito da quattro, di rado due, nucule (eccezionalmente da 1 o 3, per aborto) o

può essere una drupa (Cordia).I semi possono essere con o senza endosperma e con l’embrione curvo o diritto.

La disseminazione è spesso favorita dalla presenza di aculei sulla superficie delle nucule(Cynoglossum, Lappula) o per effetto dei calici ispidi e accrescenti (Asperugo) che si attaccanoal vello degli animali (zoocoria); altre volte (Anchusa, Borago, Symhytum) è affidata alle formiche(mirmecoria) attratte dalla presenza di elaiosomi (appendici situate sui semi e contenenti sostanzeoleose appetite dalle formiche).

Nel territorio Baianese-Lauretano sono state censite 19 entità vegetali appartenenti a questafamiglia.

E’ considerata alimurgica, oltre che officinale, la sola Borago officinalis, il cui uso comeintegratore alimentare è stato recentemente vietato1 . Essa, tuttavia, continua ad esserenormalmente consumata, senza eccedere nelle quantità, dalla sua folta schiera di estimatori.

1 Cfr. in appendice: Lista piante non ammesse negli integratori alimentari (aggiornata a novembre 2006).Ministero della Sanità.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Borragine

Borago officinalis (L.)Scheda n. 06

uso sconsigliato

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Borago hortensis.Nomi comuni: borragine, buglossa vera.Secondo l’ipotesi più accreditata, Borago deriverebbe dall’arabo

“abou rach”, cioè “padre del sudore”, con riferimento alle proprietàsudorifere della pianta. Secondo altri, invece, deriverebbe da“barrach”, termine celtico che significa “uomo coraggioso”, conriferimento ai suoi effetti stimolanti. Altri, ancora, ritengono cheproverrebbe dal latino “burra”, cioè “stoffa grossolana e pelosa”,con riferimento ai peli del fusto e delle foglie, che rendono la piantaispida.

Terofita scaposa. Pianta annuale, di aspetto erbaceo ed altafino a circa un metro. Tutta la pianta è ricoperta da lunghe setolebianche che la rendono ruvida al tatto.

Il fusto, eretto, ascendente, poco ramificato, è spesso venatodi rosso.

Le foglie basali presentano lamina ovato-lanceolata, connervatura rilevata. Il margine fogliare è dentato ed ondulato. Le fogliecaulinari sono lanceolate, brevemente picciolate ed amplessicauli.

I fiori, peduncolati e pentameri, sono riuniti in infiorescenzeterminali e muniti di evidenti brattee. Hanno calice composto da 5sepali stretti e lanceolati. La corolla, pentalobata, è generalmenteazzurrognola, talora bianca. I 5 stami presentano antere di colorevioletto. La pianta fiorisce da aprile a novembre.

L’infiorescenza è una cima scorpioide.I frutti sono tetracheni oblunghi, molto duri, di colore marrone chiaro.

RICONOSCIMENTO

Le giovani foglie e i fiori sono ottimi in insalata, in frittate e in minestre. Come verdura cotta non hanulla da invidiare agli spinaci, buona anche come farcitura per i ravioli. In Campania, viene cotta coni fagioli o con le lenticchie.

Può essere aggiunta alle “salse verdi”. Inoltre, il gusto dal lieve sapore di cetriolo, la rende gradevoleper insaporire il the freddo e le bevande alla frutta.

I bellissimi fiori sono usati in pasticceria come coloranti naturali o per la produzione di canditi,possono anche essere congelati in cubetti di ghiaccio, per aggiungere un tocco di originalità allebibite. Viene impiegata anche aggiunta in alcuni aceti balsamici.

Nella medicina popolare vengono utilizzate, oltre alle foglie, anche le sommità fiorite.E’ ricca di minerali essenziali quali calcio e potassio, acido palmitico, tannini, e –soprattutto- di

acidi grassi essenziali Omega-6.La borragine, aggiunta al vino, veniva usata dagli antichi romani per curare la malinconia e la

tristezza e dai Celti per dare coraggio ai guerrieri per affrontare i nemici in battaglia. Gli antichi Greciinvece la usavano per curare il mal di testa da sbronza.

La borragine, come altri vegetali (soprattutto la soia) contiene fitoestrogeni, ritenuti in grado, seassunti in considerevoli quantità, di regolare la funzione galattopietica nelle puerpere, di ridurre ifastidiosi effetti della menopausa e di stimolare l’accrescimento del seno.

Attenzione: La Borragine, da sempre usata sia in erboristeria (come diuretico e per contrastarel’invecchiamento e le infiammazioni cutanee) che in cucina, è stata recentemente proibita negliintegratori alimentari per suoi possibili effetti tossici, dovuti alla presenza di alcaloidi pirrolizidinici, conattività epatotossica e genotossica, nelle sue parti aeree. Tali alcaloidi non sono però presenti neisemi e nell’olio da essi prodotto, per cui il loro uso è tuttora consentito.

DIFFUSIONEQuesta pianta si può trovare ovunque, nel piano basale, tra i 100 e gli 800 metri.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 014 - 015 - 016 - 066 - 071 - 072 - 073 - 074 - 115 - 131 - 142

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sopra. In prima fila e da sinistra. Il prof. De Rosa insieme ai proff. Giambattista Chirico ed AntonioSaracino, docenti della Facoltà di Agraria di Portici (Università degli Studi di Napoli - Federico II). Inseconda fila, da destra. Il prof. Nunzio Romano, direttore del Dipartimento di Ingegneria Agraria edAgronomia del Territorio, presso la medesima facoltà.Dietro. L’ing. Luca Teodoro Pesapane, di Lauro (Av).Durante un sopralluogo in località Salmola, nel territorio di Avella (Av).

Sotto. A destra, il dott. Vincenzo Alaia, che nelle sue funzioni di Assessore Provinciale perl’Agricoltura e per le Attività produttive, nonché di Presidente dell’Associazione TerritorialeCaccia della provincia di Avellino, ha reso possibile uno studio sulla fauna (e, conseguentemente,sulla flora da pabulazione e sugli habitat) nell’ambito del Piano Programmatico Poliennaledell’ATC di Avellino. Alla sua destra, il prof. Pellegrino De Rosa (che ha collaborato a tale studiograzie ad una convenzione con l’Università di Napoli) ed il prof. Luigi Esposto, dell’Università diVeterinaria di Napoli. In piedi, il prof. Antonio Zullo, del Dipartimento di Scienze Zootecniche edIspezione degli Alimenti, presso la Facoltà di Agraria di Portici, Università degli Studi di Napoli“Federico-II”. Nella sala: alcuni rappresentanti dei sindacati, dell’ATC e degli ambientalisti.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Brassicaceae o Crucifereae

Questa famiglia comprende circa 200 generie 2.000 specie. Per lo più piante erbacee,perenni o annuali, con foglie sparse, senzastipole, la cui distribuzione riguarda soprattuttole regioni extratropicali dell’emisfero boreale.

I fiori sono facilmente riconoscibili per laclassica disposizione “a croce” dei quattro petali,da cui è derivato il termine di crucifereae. Essisono costituiti da un calice formato da 4 sepali,una corolla di 4 petali alternati ai sepali, unandroceo tetradinamo, costituito cioè da 4 stamilunghi e 2 corti, con presenza di nettàriiintrastaminali, e un ovario supero con 2 carpellisincarpici (e probabilmente altri 2 sterili) dai cuimargini, per proliferazione delle placente, sisviluppa una parete divisoria detta replum.

I fiori sono prevalentemente attinomorfi,raramente zigomorfi.

La tipica formula fiorale è: K 2+2, C 4, A 2+4, G 2.I l f rut to può essere una sil iqua (con

lunghezza maggiore della larghezza: Brassica, Sinapis, ecc.) o una siliquetta(isodiametrica: Lobularia, Lunaria, ecc.). In entrambi i casi, si tratta di una capsulabicarpellare che si apre in due valve che lasciano scoperto il replum (di naturamembranacea) ed i semi (in numero variabile). In alcuni casi, come nel gen. Raphanus,il frutto è costituito dalla siliqua lomentacea: sono presenti delle strozzature che amaturità determinano la frammentazione della capsula in articoli contenenti i semi.Questi, sprovvisti di endosperma, sono rivestiti da due tegumenti e contengono unembrione oleaginoso.

L’impollinazione è prevalentemente entomogama, sebbene in alcuni casi possa esseresostituita da autogamia, operata dagli stami più corti. Le infiorescenze sono di tipo racemoso.

Le foglie di alcune brassicacee sono caratterizzate dalla presenza di unacaratteristica pruina cerosa, grigio azzurrognola.

Molte brassicaceae sono coltivate per scopi alimentari, e se ne utilizzano a secondadei casi, o le foglie oppure i rizomi o fittoni. Le principali specie coltivate sono: Brassicaoleracea, che costituisce un gruppo da cui derivano molte cultivar (var. capitata,cavolfiore; var. sabauda, verza; var. italica, broccolo; var. gemmifera, cavoletto diBruxelles, ecc..); Brassica rapa, rapa; Sinapis alba, senape bianca; Raphanus sativus,ravanello ed Eruca sativa, rucola.

Altre vengono coltivate come piante ornamentali, come ad esempio Matthiola incana,con varietà dai fiori rossi, bianchi o violetti.

Molte specie sono comuni infestanti dei campi coltivati (Capsella bursa-pastoris, Diplotaxiserucoides, Raphanus raphanistrum); altre sono ruderali, prediligendo macerie, bordi di strada,vecchi edifici; altre ancora vivono nell’ambiente rupicolo o sui vecchi muri, nei boschi mesofili(Alliaria petiolata, Arabis turrita) o negli ambienti umidi montani (Cardamine spp.).

Nel territorio oggetto di studio sono presenti 55 specie appartenenti a questa famiglia.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Una brassicaceadegna di menzione è,l ’ A r a b i d o p s i sthaliana , “piantamodello” nel settoredelle biotecnologie.

Util izzata daquasi un secolon e l l ’ i n g e g n e r i agenetica è cosìimportante da esserestata la prima piantaad avere avuto ilgenoma sequenziato.

La dimensioneridotta, il tempo dicrescita veloce e lapiccola quantità diDNA, rendono questapianta facilmentegestibile nell’analisigenetica. Ogni piantaimpiega solo 6settimane per cresce-re e produrre oltre5.000 semi.

Di essa, agronomie biologi possonomanipolare i varigeni ed osservare leespressioni fenotipi-che di tali manipola-zioni dopo appenapoche settimane.Inoltre, il genoma diquesta pianta èinsolitamente compatto. I suoi 115 milioni di coppie dei blocchi base di nucleotidicompongono 5 cromosomi e includono circa 26.000 geni. Ciò lo rende 30 volte più piccolodel genoma umano, e molte volte più piccolo dei genomi della maggior parte delle piante,incluse quelle comunemente coltivate.

Una società danese di bio-tech ha modificato geneticamente la Arabidopsis thaliana,ottenendo una cultivar capace di rivelare la presenza di mine inesplose: i petali di questapianta, infatti, diventano rossi quando la pianta entra in contatto con il biossido d’azoto,sostanza che evapora dalle mine sepolte nel sottosuolo.

E pensare che, nel 1777, il botanico e farmacista britannico William Curtis avevadescritto l’Arabidopsis come una pianta «di nessuna particolare utilità né virtù».

Ai fini gastronomici, infine, anche questa “pianta da laboratorio” può essere utilizzatasia bollita che saltata in padella.

Arabidopsis thaliana

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Alliaria

Alliaria petiolata (Bieb.) o A. officinalis (Andrz.)Scheda n. 07

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

E’ una emicriptofita bienne, ovvero una specie a ciclo biennale con gemme poste a livello delterreno. Presenta un odore di aglio molto persistente (a tal punto che esso permane anche nel lattedei ruminanti che se ne cibino).

Il nome del genere trae origine dall’odore e dal sapore di aglio della pianta e quello della speciedai lunghi piccioli delle sue foglie.

Il fusto, di consistenza erbacea, può giungere fino ad 80 centimetri di altezza. Eretto, semplice oramificato solo in alto, rigido, cilindrico, liscio e leggermente pubescente solo alla parte basale.

Le foglie sono poste in posizione alterna e si presentano rugose e a lamina intera. Sono glabre(prive di peli) nella pagina superiore e con solo pochi peli in quella inferiore. Se stropicciate emananoun forte odore di aglio. Quelle inferiori, delle dimensioni fino ad 8 centimetri, sono munite di un lungopicciolo con lamina cuoriforme-reniforme oppure ovata-triangolare e bordo crenato. Seccano dopo lafioritura. Le foglie superiori, con picciolo più breve, hanno forma romboidale-appuntita e con crenaturapiù accentuata. Sono, inoltre, molto più grandi, potendo giungere fino a 15 centimetri.

I fiori sono portati in racemi terminali. Presentano la tipica struttura delle crucifere (4 sepali verdastri,4 petali bianchi, 6 stami e stilo molto corto). Sono portati in un’infiorescenza racemosa-corimbosa.

Il frutto è una siliqua tetragonale deiscente.Fiorisce in Aprile, Maggio. L’impollinazione è entomofila.

RICONOSCIMENTO

Presente in tutto l’areale nei boschi di faggio e nelle boscaglie mesofile, tra i 700 ed i 1.500 metridi altitudine (es. Piana di Spina, Vallone Sorroncello, Monti di Avella, ecc..).

DIFFUSIONE

Se ne utilizzano soprattutto le foglie, in sostituzione dell’aglio, rispetto al quale esse sono piùdelicate e digeribili. Vengono adoperate soprattutto nelle insalate, nelle minestre e nella preparazionedi saporiti ripieni.

In Gran Bretagna le foglie vengono usate per insaporire i sandwich.Anche i fiori possono essere utilizzati in frittate, focacce e pizzette “agliate”.I semi, che contengono un olio essenziale simile a quello della senape, vengono utilizzati per

insaporire varie vivande e gli antipasti.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 001 - 002 - 003 - 108 - 128

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Ravizzone

Brassiche spontanee e foraggere

Brassica spp.Scheda n. 08

Brassica fruticolosa “Broccoli di rapa”

(Brassica rapa o campestris)

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

La Brassica fruticolosa èuna brassicacea selvatica untempo molto apprezzatadalle popolazioni locali, dallequali è conosciuta con ilnome di “cavuliciello”.

“Brassica” è il nome concui i Latini indicavano ilCavolo (Brassica oleraceaL.), derivante dal celticobresic (o brassic) che ha lostesso significato. Il termine“fruticolosa” deriva da frutex,-icis, con riferimento alloaspetto arbustivo dellapianta.

Specie annuale, rara-mente bienne, suffruticosa(erbacea ma con fustoleggermente sclerificato allabase ed aspetto vagamentearbustivo), alta fino a circa 70centimetri. Come formabiologica corrisponde quindi ad una terofita scaposa.

Le foglie basali sono disposte in una fitta rosetta e sono ricoperte da una tenue pruina cerosa dicolore verde-glauco. Sono lunghe 5-12 cm, lirate, con lobo apicale intero o profondamente inciso e 2-4 coppie di segmenti laterali più piccoli. Le foglie caulinari sono, invece, ridotte o quasi assenti.

I fiori, tetrameri, dialipetali, presentano 4 sepali violacei, 4 petali giallo-limone e 6 stami, e sonoriuniti in infiorescenze a racemo.

Il frutto è una siliqua, cioè una capsula stretta e allungata, che ricorda vagamente i baccelli delleLeguminose. I semi sono attaccati a una membrana interna.

Questa pianta è molto somigliante al Raphanus raphanistrum, che però presenta le foglie piùruvide.

Altre brassicacee selvatiche sono presenti nella flora locale, tra queste va menzionata la Brassicarapa o Brassica campestris (vedi figura sopra), facilmente riconoscibili e tranquillamente commestibili.

RICONOSCIMENTO

Si utilizzano i giovani getti e le tenere foglie delle piante adulte, oppure l’intera piantina da pocogerminata.

Le parti commestibili devono essere cotte in abbondante acqua, quindi strizzate per eliminarel’acqua di cottura e poi condite con l’olio di oliva locale.

L’uso più tipico è, tuttavia, o come contorno alla salsiccia paesana cotta alla brace o fritti inpadella (friarielli).

Questa verdura, contenente un eteroside sulfonato, ha un gusto inconfondibile, leggermenteamarognolo ma molto apprezzato dai buongustai.

DIFFUSIONEE’ presente nei terreni coltivi ed incolti della fascia basale, tra i 100 e i 600 metri di altitudine.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 076

“Broccoli di rapa”

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Cascellore comune o Falsa rucola

Bunias erucago (L.) o Erucago campestris (Desv.)Scheda n. 09

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: falsa rucola, cascellore.Il nome del genere deriva dal greco bounias, con il quale si indicava una sorta di rapa provvista dilunghi peli, oppure da buonòs = collina, per indicare l’habitat tipico di questa pianta. Il secondo terminesta ad indicare una certa somiglianza morfologica con la Rucola (Eruca sativa).

E’ una pianta erbacea annuale, leggermente pubescente, che può raggiungere anche un’altezzadi 80 centimetri.

Presenta una rosetta di foglie basali, pennatosette, con lembo profondamente inciso in lobitriangolari e a margine irregolarmente dentato.

All’inizio della primavera, dal centro della rosetta si sviluppa un fusto eretto che si ramifica nellaparte più alta, presentante foglie con lamina oblungo-spatolata e margine disordinatamente dentato.

I fiori sono piccoli, tetrameri e con petali di colore giallo.I frutti sono piccole siliquette, lunghe all’incirca un centimetro, provviste di un becco centrale e

quattro ali laterali irregolarmente dentate.Durante la maturazione dei frutti le foglie basali iniziano a disseccarsi e successivamente scompaiono.

RICONOSCIMENTO

Le parti commestibili della pianta sono le foglie basali che si raccolgono durante l’inverno appenacompaiono, poiché successivamente, quando si forma lo scapo fiorale, non sono più appetibili.

Le foglie si utilizzano lessate e condite con l’olio dell’antico Clanis, dal tipico aroma fruttato, che sisposa bene con il loro sapore, simile a quello del “cavolicello” (Brassica fruticolosa) ma privo del suoretrogusto amarognolo.

DIFFUSIONERinvenibile nei luoghi erbosi e nei coltivi di tutto il Partenio.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 076

Campo Maggiore o Campo di Montevergineantico sito di localizzazione “neviere” (cfr.Benedetta Napolitano - La via dei mestieri).

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Borsa del pastore

Capsella bursa-pastoris (L.)Scheda n. 10

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

RICONOSCIMENTO

Sinonimo: Thlaspi bursa-pastoris (L.)

Nomi comuni: borsa delpastore, erba di Giuda.

Il termine capsella derivadal latino e significa cofanetto,piccola borsa, con riferimentoalla forma dei frutti, simili allevecchie bisacce dei pastori.

La Capsella bursa-pastorisè una pianta erbacea, emi-criptofita scaposa, annuale obiennale, con fusto eretto, esile,ramificato e coperto di cortipeli, alta sino a 60 centimetri,con radice legnosa, a fittone epoco ramificata. Se vienestropicciata emana un forteodore di solforato.

E’ una pianta a più cicli: isemi cadono appena nascono,per cui la si può trovare fiorita tutto l’anno.

Le foglie hanno forma estremamente variabile: le basali sono lanceolate-lobate, dentate o intere e formanouna rosetta; le cauline sono sessili, amplessicaulli, glabre.

I fiori sono ermafroditi, riuniti in piccoli racemi terminali, di colore bianco, hanno calice composto da 4sepali verdi, ovali, aperti. La corolla comprende 4 petali bianchi, opposti, più lunghi dei sepali del calice.

I frutti sono siliquette appiattite, cuoriformi, contenenti semi oblunghi di colore marrone.I semi, quando si inumidiscono, si ricoprono di una sostanza vischiosa in grado di catturare ed uccidere

piccoli insetti. Per questo motivo si pensa che questa pianta sia una specie protocarnivora. Non è consideratauna vera pianta carnivora perché, sebbene sia stata dimostrata la produzione di enzimi digestivi e la capacità diassorbimento dei nutrienti derivati dalla dissoluzione delle prede, non si sa ancora se e quanto la pianta se neavvantaggi dal punto di vista nutritivo.

E’ una specie sinantropa e, come testimoniato dalla foto precedente, si trova facilmente ovunque. Originariaprobabilmente, delle regioni mediterranee, si è diffusa con le coltivazioni del frumento, divenendo una delleinfestanti più cosmopolite. Nell’areale oggetto di studio è presente negli ambienti ruderali, nitrifoili, coltivi,incolti e nelle radure dei boschi.

DIFFUSIONE

Dai suoi semi, in tempo di carestia, si estraeva olio.Ad uso alimurgico viene utilizzata la rosetta basale di foglie, bollita e mangiata insieme ad altri erbaggi.

Poiché il gusto della capsella non è tra i più eccelsi, viene usata, preferibilmente, insieme ad altre erbe rusticheche conferiscano maggiore gusto alla misticanza.

Accompagna bene il radicchio selvatico e può servire da base vegetale per frittate estemporanee.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 117

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Dentaria

Cardamine bulbifera (L.) (Crantz.)Scheda n. 11

bulbillo

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

RICONOSCIMENTO

Sinonimi: Dentaria bulbifera, Dentaria minore.Il nome del genere deriva dal termine greco cardamon, col quale veniva chiamato uno dei crescioni.

Il nome della specie, “bulbifera”, deriva dal latino, col significato di generatrice di bulbi, per i suoicaratteristici bulbilli.

E’ una pianta erbacea perenne, geofita rizomatosa, con radici secondarie che si diramano dal rizoma.La parte epigea è più o meno glabra, con fusto semplice ed eretto, arrossato e peloso alla base, alto

fino a 50 centimetri.Le foglie cauline inferiori sono 5-pennatosette, poi ridotte verso l’alto fino a foglie semplici, lanceolate

e denticolate. Presentano alle ascelle un bulbillo bruno o viola-nerastro.I fiori, posti alla sommità del fusto in infiorescenze a racemo, hanno corolla rosa-violacea con 4 petali

lunghi 12-16 millimetri.Il frutto, che matura raramente, è una siliqua lunga 2-3,5 centimetri e larga 2,5 millimetri.Nonostante la difficoltà di maturazione del frutto, la pianta si riproduce agevolmente per via vegetativa,

grazie ai bulbilli presenti alle ascelle delle foglie cauline superiori che, cadendo a terra a maturità, fannonascere le nuove piante.

Di questa pianta vengono utilizzate sia le foglie che le radici, sia cotte che crude, apprezzatissime peril loro sapore di crescione.

Il rizoma può sostituire la senape nella preparazione di gustose salse leggermente piccanti, impiegabilinella preparazione di tartine o come accompagnamento delle carni lessate.

Le foglie vengono anche consumate con altre erbe crude in insalate primaverili oppure cotte perripieni, torte o contorni.

DIFFUSIONESi rinviene soprattutto nei boschi di faggio, posti a quota più alta (1.000 - 1.598 metri) di tutto il

Partenio.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 019 - 020 - 021

Faggeta

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Ruchette

Diplotaxis tenuifolia (L.) e D. erucoides (L.) (DC)Scheda n. 12

Diplotaxis tenuifolia

Diplotaxis tenuifolia

semina casalingain vaso

Diplotaxis erucoides

Diplotaxis erucoides

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Il nome del genere trae origine dal greco diplos (duplice) e taxis (fila), per la disposizione deisemi in due file nella siliqua.

Diplotaxis tenuifolia

Sinonimi: Sisymbrium tenuifolium, Crucifera tenuifolia.Nome comune: ruchetta selvatica.E’ una pianta erbacea biennale, emicriptofita scaposa, alta 20-50 centimetri, con radice biancastra.Il fusto si presenta eretto, cilindrico, foglioso fino alla metà inferiore, glabro superiormente e

leggermente pubescente alla base, ove diviene anche piuttosto sclerificato.Le foglie sono glabre, a contorno spatolato-pennato-partite, con 4 segmenti laterali e

segmento apicale trilobo. Se strofinate emettono un odore fetido.L’ infiorescenza è a racemo, con peduncoli di 8-20 millimetri; i sepali sono giallo-verdastri,

carenati ed i petali gialli spatolati delle dimensioni di 6x14 mm.Il frutto è una siliqua di 2x50 mm, con ginoforo e piccioletto. I semi sono disposti su due file

in ciascuna delle due valve in cui il setto divide la siliqua.

Diplotaxis erucoidesSinonimo: Brassica erucoides.Nomi volgari: ruchetta violacea, rucola selvatica.Pianta erbacea biennale, emicriptofita scaposa, alta 20-60 centimetri. E’ questa una specie

assai variabile (polimorfa), sia nella forma delle foglie sia in altri caratteri botanici (pubescenzao glabrosità, colore dei petali, ecc.), al punto che alcuni autori l’hanno suddivisa in varietà oaddirittura in più specie a sé stanti.

Il fusto è verde, striato, eretto, foglioso, ramificato, con piccolissimi peli sparsi. La radice èfittonante.

Le foglie sono generalmente ovali-allungate, con rara peluria. Quelle basali possono arrivarea misurare anche 15 centimetri di lunghezza. Sono pennatosette, pennatopartite o lirate, strette,con 3-5 segmenti per lato, ovato-triangolari o oblunghi, generalmente col segmento apicale piùsviluppato. Quelle superiori sono prive di peduncolo (sessili), semplicemente crenate oleggermente dentate.

I fiori, ermafroditi, attinomorfi, in numero di 4 o 5, sono raccolti in infiorescenze a racemo,all’apice dello scapo fiorale. Il calice è composto da 4 sepali eretto-patenti, più corti del peduncolo(3-4 mm), gli esterni cuculiformi e gli interni sacciformi, corolla con 4 petali bianchi con venatureviolacee. Tutto il fiore diventa violetto alla fine dell’antesi. Gli stami sono in numero di 6, di cui i4 centrali più lunghi e i 2 laterali più corti. Il pistillo è centrale, con ovario supero e stimma verde.

Il frutto, portato da un pedicello 2-3 volte più corto, è una siliqua lineare, ascendente,compressa, glabra o pubescente con corto rostro, contenente 40-80 semi delle dimensioni dicirca 1 millimetro, disposti su due file.

Le tre specie sopra indicate sono considerate di buona qualità gastronomica. Vengonogeneralmente consumate lessate in abbondante acqua salata e “ripassate” in padella con olio,aglio e pomodoro.

RICONOSCIMENTO

DIFFUSIONEPresente nelle radure erbose e nei terreni incolti del piano basale di tutto l’areale oggetto di

indagine. Tra i 100 ed i 600 metri di altitudine.

DIFFUSIONEE’ presente nelle radure erbose e nei terreni incolti del piano basale di tutto l’areale oggetto

di indagine. Tra i 100 ed i 400 metri slm. Si trova spesso frammista alla Diplotaxis viminea.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 025 - 028 - 133

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Rucola

Eruca sativa (Mill.)Scheda n. 13

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: rucola, ruchetta.Questa specie è normalmente coltivata, ma è rinvenibile anche nei terreni incolti, poiché

sfugge facilmente alle coltivazioni, per disseminazione accidentale.Ha l’habitus vegetativo di pianta erbacea annua e la forma biologica di terofita scaposa.Cresce ovunque, ma di preferenza in terreni sciolti e sabbiosi e in esposizioni soleggiate.Ha altezza variabile tra i 20 e gli 80 centimetri. Il ciclo vegetativo di questa erba è molto

breve: dal momento della semina, che si effettua a primavera direttamente in piena terra, alcompletamento del ciclo vitale, trascorrono spesso solo poche settimane.

Il fusto è eretto, cilindrico e glabro.Le foglie, disposte con fillotassi alterna, sono a forma di lancia e profondamente pennato-

lobate. Le superiori sono più strette di quelle inferiori. Hanno un odore caratteristico e amarognoloed un sapore decisamente acidulo, a causa dell’acido erucico in esse contenuto.

I piccoli fiori (tetrametri, dialipetali, attinomorfi) sono formati da quattro petali solitamentebianchi o di colore paglierino e si innalzano su steli sottili. L’infiorescenza è un racemo allungato.

Il frutto è costituito da una piccola siliqua sessile conica con corto becco.

RICONOSCIMENTO

Apprezzata fin dai tempi degli antichi Romani per il suo aroma speziato e piccante, la rucolaè molto utilizzata nelle salse e nelle insalate. Con il suo caratteristico sapore arricchisce pizzee tramezzini. Viene anche consumata insieme ai formaggi molli.

Oltre che cruda può essere consumata anche cotta a vapore. Ha proprietà vitaminizzanti,antiscorbutiche, aperitive e digestive.

Gli antichi Romani, che ne consumavano anche i semi, le attribuivano qualità magiche e lautilizzavano nei filtri amorosi, ritenendola il più potente tra gli afrodisiaci.

La sua coltivazione era spesso effettuata nei terreni che ospitavano le statue falliche, erettein onore di Priapo, dio della virilità.

Discoride, celeberrimo medico greco, assicurava che mangiata cruda e in abbondanza“destava Venere”.Ovidio nella Ars Amatoria la chiamava “eruca salax” o “herba salax” cioè erba lussuriosa. EColumella riteneva che: “l’eruca eccita a Venere i mariti pigri”.

Anche durante il Rinascimento erano noti gli effetti afrodisiaci della rucola e l’erborista Matthiasde Lobel (XVI sec.) ci tramanda di certi monaci che, eccitati da un cordiale a base di rucola daessi prodotto, abbandonarono il voto di castità.

DIFFUSIONEE’ presente nelle aree ruderali e nei pascoli aridi degradati, con maggiore frequenza tra i 100

ed i 300 metri di altitudine. Rinvenibile in tutto il comprensorio, indicativamente a Tuoro di Sasso,Monte Fellino, Vallone Sorroncello, ecc..

USO GASTRONOMICO

RICETTE 018

Monti del Baianese

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Ramolaccio

Raphanus raphanistrum (L.)Scheda n. 14

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: ravastrello, ravanello selvatico, ramolaccio selvatico.E’ una terofita scaposa ad habitus erbaceo annuo. Il primo termine del binomio è il nome con

cui i Greci e i Latini chiamavano il ravanello coltivato (R. sativus L. var. sativus); esso si puòconsiderare derivato dal greco raphys (rapa) oppure da raphis (rafide, ago), con riferimento allaforma allungata e sottile della radice. Il secondo ha uguale origine con l’aggiunta del suffisso“astrum” usato in latino con valore riduttivo, per indicare in questo caso la pianta selvatica.

Il fusto si presenta ginocchiato, eretto, ascendente e molto ramoso. A sezione circolare etormentoso, alto fino a 80 centimetri.

Le foglie basali sono lirate, mentre le cauline sono intere e sub-picciolate.I fiori sono tetrametri, dialipetali, attinomorfi. Con sepali violacei o lilla chiari, petali gialli

spatolati (14-16 mm); 6 stami, ovario supero bicarpellare.Il frutto è costituito da una siliqua lomentacea, con 1-11 ingrossamenti sovrapposti contenente

i semi e lungo becco.Si può confondere con la Sinapis arvensis che presenta tuttavia una siliqua normale.In regione è presente anche la sottospecie R. raphanistrum L. subsp. raphanistrum, con

petali bianchi venati di violetto e diametro della siliqua minore.

RICONOSCIMENTO

Nel territorio oggetto di studio è presente la sottospecie landra, rinvenibile nelle areesemiruderali e sui suoli compatti, tra i 200 ed i 600 metri slm.Indicativamente: Monte Campimma, Vallone Sorroncello, Vallone di Quindici.

DIFFUSIONE

Si raccolgono le cime, le foglie ed il colletto. Tutte le parti del ravanello selvatico hanno iltipico sapore piccante, molto apprezzato dagli estimatori della gastronomia rurale.

Le cime e le foglie più tenere si preparano saltate in padella e costituiscono un classicocontorno per le squisite salsicce locali. In alternativa, possono essere consumate lessate econdite con olio dell’antico Clanis.

Il tozzo colletto si prepara tranciando la pianta alla radice e troncando le foglie verso la base;si ottiene così un “torsolo” che si consuma crudo insieme alle salsicce, come si usa fare con iravanelli.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 126

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Escursione didattica con gli Scouts di Avella, in un uliveto sito in località “Gesù e Maria”di Baiano (Av). A sinistra sotto: al centro, l’arch. Pasquale Maiella, di Avella (Av).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Campanulaceae

Questa famiglia comprende piante ad habitus erbaceo, raramente arbustivo,presentanti canali laticiferi. Le specie erbacee sono solitamente perenni e spessopresentano ciuffi di foglie basali. La famiglia comprende anche specie xerofitiche e idrofite.

Le foglie, provviste di idatodi, sono generalmente alternate, talora opposte oppuredisposte a spirale. Picciolate o subsessili. Generalmente semplici, talora composte (intal caso pennate). Stipolate. Il margine fogliare può essere crenato, seghettato o dentato.

I fiori, pentamerici, sono portati o solitari o riuniti in infiorescenze a cime, racemi odombrelle. Il perianzio è distinto in calice e corolla e generalmente è gamopetalo, taloradialipetalo (es. genere Jasione). La corolla è valvata, spesso campanulata, bilobata oregolare. Principalmente di colore blu o bianco o virante verso il giallo e il rosso.

L’androceo è composto da 5 stami, saldati tra di loro o solo in un primo tempo odanche a maturità. L’ovario è per lo più trimero. Il frutto è una capsula.

La formula fiorale tipica è: K(5), C(5), A(5), G (2-5) infero.Il genere più rappresentativo della famiglia è il gen. Campanula, comprendente circa

250 specie. Quelle coltivate come piante ornamentali si prestano per formare aiuole ebordure nei giardini, per la coltura in vaso sui terrazzi e, industrialmente, per la produzionedi fiori recisi. Tra le specie annuali e biennali più utilizzate, vanno ricordate: la C. longystilaa fiore blu-lilla cupo di origine caucasica; la C. ramosissima con grandi fiori colorati divioletto, celeste-lilla e bianco di origine europea e la C. medium con fiori variamente colorati.

Le specie perenni, coltivate come annuali (non considerando, quindi, le piantine sfiorite)sono: la C. barbata spontanea, con fiori azzurro pallido; la C. thyrsoides dai fiori gialli e la C.isophylla nota volgarmente come “Stella d’Italia” (con grandi fiori bianchi o azzurrinumerosissimi, che ricoprono il fogliame verde chiaro, e che raggiunge i 30 cm e puòessere coltivata in vasi pensili per appartamenti o terrazze). La più diffusa specie perennecoltivata come biennale è la C. medium, molto decorativa con grandi fiori vistosi, e convarietà come la calycanthea dai colori rosa, viola, etc. Altre specie perenni sono la C.fragilis dai fiori bianchi e celesti; la C. persicaefolia, ; la C. portenschlagiana (sinonimo di C.muralis) con fiori colorati di azzurro brillante; la C. pyramidalis coltivabile in vaso, la C.carpatica, la C. fragilis e la C. alliariifolia per decorare giardini rocciosi. Nel territorio Baianese-Lauretano sono state censite 15 entità botaniche appartenenti a questa famiglia.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Raponzolo o Raperonzolo

Campanula rapunculus (L.)Scheda n. 15

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Campanula elatior, Campanula esculenta, Campanula verruculosa.Nomi comuni: raperonzolo, raponzolo, campanula commestibile.Il nome del genere descrive la forma del fiore, mentre quello specifico la forma della radice

fittonante, simile a una rapa (dal latino rapunculus, piccola rapa).E’ una pianta erbacea, bienne o perennante (terofita scaposa), con fittone ingrossato, lungo

fino a 10 centimetri, bianco, carnoso e fusiforme.Il fusto è glabro o leggermente peloso, sottile, angoloso, eretto, semplice o ramificato in alto,

scarsamente fogliato, alto fino ad un metro. La radice è ingrossata, carnosa, bianca e fusiforme.Le foglie basali sono disposte in rosette e presentano forma oblunga-obovata con lembo

verde chiaro, ondulato e a margine denticolato. Quelle poste lungo il fusto sono rade, più sottili esessili, cioè senza picciolo, e disposte con fillotassi alterna.

I fiori, di colore variabile dal bianco al blu-lillà, sono riuniti in infiorescenze a grappolo o apannocchia rada. Sono picciolati e con calice glabro, a 5 denti, lungo circa quanto la metà dellacorolla. Questa, gamopetala, è larga circa un terzo della lunghezza e presenta cinque lobi a lesina,poco allargati e lungamente lanceolati. Il gineceo è costituito da uno stilo semplice, peloso, con 3stimmi. L’androceo è formato da 5 stami liberi, con filamento rigonfio alla base.

Il frutto è una capsula deiscente contenente molti semi.

RICONOSCIMENTO

Vegeta in ogni luogo, ma preferisce terreni calcarei e si sviluppa su terreni incolti, ai bordi distrade, nei campi, prati aridi e boschi radi, dai 200 ai 1.400 metri di altitudine.

DIFFUSIONE

In cucina si usano sia le radici, dolciastre per il loro contenuto in inulina, sia le foglie basali, chearricchiscono col loro sapore amarognolo ma gradevole, misticanze, zuppe, minestre e torte.

Poiché le radici non contengono amido ma inulina (la quale scindendosi produce levulosioanziché glucosio) possono essere consumate tranquillamente anche dai diabetici.

La pianta si utilizza anche intera, dopo accurato lavaggio per eliminare la terra dalla radice.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 077 - 078 - 143

Area a verde attrezzato.Pineta del Fusaro. Avella.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sopra: il Vallone di Quindici (Av). Sotto: “Ciesco della rosa”, Monti di Avella (Av).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Cannabaceae

La famiglia delle Cannabaceae èaffine a quella delle Moraceae, da cuisi distingue soprattutto per il tipo difrutto. Comprende specie erbacee nonlaticifere, caratterizzate da foglie alterneo spiralate, con stipole libere. I fiori sono unisessuali, monoici odioici, i maschili con perigonio eandroceo pentameri, i femminili formatida 2 carpelli saldati in un ovario superosormontato da 2 stili e 2 stimmi. La formula fiorale più ricorrente è:P 5, A 5, G (2).Il frutto è un achenio. L’impollinazioneè anemogama. A questa famiglia appartengono 2importanti specie coltivate, il luppolo,Humulus lupulus e la canapa(Cannabis sativa, nell’illustrazione alato), oltre alla canapa indiana(Cannabis indica). Dalla prima si ricava il luppolino,usato nella fabbricazione della birra ecome sostanza farmaceutica, cheviene estratto dalle ghiandole dellebrattee e del perigonio.

La canapa, originaria dell’Asia meridionale, veniva coltivata per vari scopi. Il fustofornisce una fibra tessile, mentre dai semi oleaginosi si estrae un olio e, infine, le resine.

Recentemente in questa famiglia è stato incluso anche il genere Celtis, (Celtisaustralis occidentalis o spaccasassi), considerato da Cronquist appartenente alla famigliadelle Ulmaceae.

Nella flora spontanea del Lauretano e del Baianese è presente il solo Humuluslupulus.

In qualche rimboschimentoè stato utilizzato il bagolaro o“spaccasassi” (Celtis australisoccidentalis), per la suacaratteristica di ancorarsitenacemente al substratocalcareo.

La Cannabis sativa, untempo diffusissima, non è piùcoltivata.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

La coltivazione della canapa da fibra1 era molto diffusa, sia nel Baianese che nelVallo di Lauro, fino ai primi anni ’40 del secolo scorso2 .

Questa coltura veniva seminata a spaglio, a febbraio, su un terreno ben lavorato econcimato con letame. A fine marzo, quando le plantule erano facilmente individuabili egià alte circa dieci centimetri, i contadini provvedevano ad eliminare le erbe infestanti,con la scerbatura a mano e con la sarchiatura, e a concimarle. Nella prima decade diluglio le piante di canapa da fibra raggiungevano un’altezza di 190-225 centimetri ederano pronte per essere estirpate. Dopo essere state lasciate ad essiccare sul terrenoper circa 5 o 6 giorni, venivano battute, al fine di spogliare il fusto dalle foglie ormaisecche, e poi riunite in fasci o mannelle di 25-30 centimetri di diametro. Successivamentevenivano asportate, con un’apposita ascia a lama larga, sia le radici che le cime deifusti. I fasci venivano prima riuniti in covoni e poi caricati sui carri per essere trasportatialle “fusarelle” o ai “fusari”3, ove subivano una prima lavorazione: il processo dimacerazione.

I fusari erano specchi d’acqua o fosse (in tal caso chiamate, al femminile, fusare),posti generalmente lungo un corso d’acqua (Clanis, Regi Lagni, Lagno di Quindici) o incorrispondenza di sorgenti.

Le dimensioni tipiche di una fusara potevano essere, ad esempio, di circa: 70metri di lunghezza, 30 metri di larghezza, e 8 metri di profondtà. In essa venivanodisposti i fasci di canapa formando delle pile o zattere di circa 6 per 7 per 4 metri: intal modo potevano essere contenute due strati sovrapposti di zattere (ognuno altoquattro metri) disposti in cinque file (ognuna larga sei metri) e composta da 10zattere (lunga ognuna 7 metri).

Per tenere la canapa, che tendeva a galleggiare sotto il pelo dell’acqua, occorreva,poi, appesantirla e “affondarla” ponendovi sopra dei pesanti blocchi di pietra.

La canapa veniva lasciata macerare per quindici giorni. Successivamente i fasci

1 La canapa da fibra (Cannabis sativa) era coltivata essenzialmente per la produzione di fibra tessile, inoltredai suoi semi si poteva estrarre un olio usato nella fabbricazione di saponi e vernici che, se depurato, è adattoanche all’alimentazione umana. Non è infrequente riscontrare semi di cannabis nei miscugli venduti come mangime per uccelli. La canapa da fibra si distingue dalla canapa indiana (Cannabis indica) per una serie di particolari botanicitra i quali il più evidente è costituito dalla conformazione del fusto (cilindrico in indica ed angoloso insativa). Dalle infiorescenze e dalle foglie dell’indica si ottiene la marijuana e dalla resina l’hascisc. Le sostanze stupefacenti (cannabinolo) sono comunque presenti in quantità minime, ma molto variabili,anche in sativa.

N.B. La coltivazione “tecnico-agraria” della canapa non è consentita.

2 Sicuramente la coltivazione della canapa era diffusa, nel territorio oggetto di studio, già dal XVIII secoloal punto che alcuni riferimenti, per così dire “tecnologici” erano entrati a far parte del linguaggio comune. Si riporta, a titolo di esempio, l’amichevole sfottò rivolto dal dott. Vincenzo Canonico a Padre MicheleTrabucco, fondatore del Cenobio di San Pietro a Cesarano, quando per sottolineare la difficoltà dell’impresadi ampliamento del Cenobio, lo apostrofò dicendogli metaforicamente: “Padre mio … volete in luogo sìsolitario far le fusare senz’acqua”. (Benedetta Napolitano e don Giovanni Picariello. San Pietro a Cesaranoin Mugnano del Cardinale. Pag. 38/444).

3 Le località denominate “fusaro”, presenti nella toponomastica di molti paesi, stanno ad indicare gli antichisiti di macerazione della canapa.

L’antica coltivazione della canapa da fibra(*)

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

venivano portati in superficie,liberati dai legacci e messi adasciugare appoggiati l’un l’altro“a capanna” (vedi foto a destra)per circa una settimana. Poivenivano nuovamente legati etrasportati in luogo asciutto.

Qui i fasci o mannellevenivano lavorati dal“maciullatore”: questi con unamano teneva fermo sottol’ascella un fascio di fusti dicanapa e con l’altra sollevavauna grossa trave sotto la qualeinfilava il fascio, maciullandocon possenti colpi la partelegnosa dei fusti e liberando lefibre della canapa.

Il groviglio quasi inestricabiledella filaccia così ottenutaveniva quindi prima “cardato”(ovvero, battuto e sfilacciato suun attrezzo presentante variefile di chiodi a guisa di un erpicerovesciato), poi ripulito dairesidui legnosi (stecche o“cannavucci”) e poi “pettinato”con un apposito attrezzo per eliminare la stoppa e liberare la fibra tessile.

La canapa è stata una delle prime fibre ad essere utilizzata dall’uomo, già ottomilaanni fa. Molte persone pensano, erroneamente, che la canapa sia un materiale ruvido egrezzo, in realtà ruvidezza e morbidezza dei tessuti da essa ottenuti dipendono daiprocedimenti di tessitura e filatura.

La canapa, come il lino e le altre fibre, può vantare diversi gradi di filatura, dalla cordagrezza fino al tessuto più fine. Per questo, dopo una particolare lavorazione, la canapapuò risultare più soffice del cotone. La fibra organica e naturale di canapa è leggera,super-resistente ed interamente biodegradabile. Grazie ad una accurata lavorazioneartigianale (realizzata con macchine e su telaio a mano), il filo di canapa conserva intat-te le sue caratteristiche naturali: infatti, grazie alla sua particolare struttura molecolare lacanapa mantiene la temperatura ideale per chi la indossa: è quindi calda d’inverno efresca d’estate. Inoltre, protegge dall’inquinamento elettromagnetico, dai raggi infraros-si e UVA, creando una barriera che assorbe fino al 95% delle irradiazioni nocive allapelle, senza farle filtrare.

Il tessuto di canapa, inoltre, assorbe l’umidità senza farla passare sulla pelle, resisteagli strappi ed effettua un micromassaggio sulla pelle, contribuendo alla regolare circo-lazione sanguigna.

(*)Estratto da “La via dei mestieri” di Benedetta Napolitano, don Giovanni Picariello e Pellegrino De Rosa,pubblicato in edizione ridotta ed economica (in b/n) dalla Comunità Montana “Vallo di Lauro e Baianese” (2007).

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Luppolo

Humulus lupulus (L.)Scheda n. 16

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Cannabis lupulus.Il nome del genere deriva dal latino humus (terreno) con riferimento al portamento prostrato

dei suoi fusti, mentre il nome specifico, lupulus, deriva presumibilmente da lupo, forse per l’habitatselvaggio e rupestre ove esso era maggiormente diffuso e che si riteneva abitato dai lupi.

E’ una pianta erbacea perenne, dioica, ascrivibile come forma biologica alle fanerofite lianose(piante incapaci di reggersi da sole).

E’ provvista di un grosso rizoma carnoso dal quale, in primavera, si sviluppano le nuovepiantine. Si comporta, pertanto, come una “emicriptofita perenne”.

I fusti erbacei, pubescenti, angolosi con sei strie, lunghi alcuni metri e incapaci di mantenersieretti, si aggrappano con le piccole spine uncinate di cui sono rivestiti a qualsiasi sostegno lorovicino.

Le foglie sono generalmente disposte in maniera opposta lungo il fusto e in maniera alternasulle infiorescenze femminili. Hanno un lungo picciolo ricoperto di numerosi peli. Sono palmato-lobate, con 3-5 lobi ovali, con apice acuto ed abbondantemente dentato. Le foglie terminalisono più semplici, cuoriformi, e non divise in lobi.

I fiori delle piante maschili, portati in infiorescenze a pannocchia situate all’apice deirami, sono formati da 5 petali e 5 stami. Quelli delle piante femminili sono posti, a coppie,all’ascella di brattee simili a piccole foglie, riunite in infiorescenze ad amento a forma di coniovoidali (costituiti dal perigonio urciuolato e dall’ovario sormontato da due stimmi, pelosi edallungati).

I frutti sono acheni subrotondi, dal colore cinerino, avvolti da brattee con superficie tappezzatada numerose ghiandole secernenti una sostanza resinosa gialla.

RICONOSCIMENTO

I giovani germogli primaverili sono commestibili e si possono utilizzare in risotti, frittate,minestre ecc., similmente agli asparagi.

Tuttavia il luppolo è noto soprattutto per l’impiego delle sue infiorescenze femminili nellaproduzione della birra, alla quale conferisce l’inconfondibile aroma amaro, favorendone anchela conservazione. Per le stesse caratteristiche è usato talvolta in liquori amari e digestivi.

Il luppolo, appartenente alla stessa famiglia della Cannabis è conosciuto sin dai tempi piùremoti anche per i suoi effetti soporiferi e calmanti. E’ noto infatti che i lavoratori delle vecchiefabbriche di birra, trattando il luppolo, dopo lungo tempo accusavano sonnolenza e dovevanointerrompere il lavoro periodicamente per evitare di cadere addormentati.

Anche il luppolo, come altre erbe citate in questa pubblicazione (e, soprattutto, come lasoia), contiene fitoestrogeni, per cui favorisce la galattopoiesi.

DIFFUSIONEPianta nitrofila, ecologicamente adattabile, molto comune lungo le siepi ed i boschi ripariali

(Vallone Acquaserta, Vallone Sorroncello, Vallone di Quindici, ecc..).Nel territorio oggetto di indagine è rinvenibile con maggiore frequenza nei fruticeti e nelle

siepi del piano basale, tra i 100 ed i 400 metri di altitudine.

USO GASTRONOMICO

032 - 123RICETTE

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Faggeta del Litto (Mugnano). In primo piano, il dott. BiancoNicola della Comunità Montana “Vallo di Lauro e Baianese” Castagneto ceduo (Taurano - AV). Il dott. Pellegrino De Rosa

mentre esegue un rilievo geopedologico e botanico (sopra) edurante un rilievo dendro-auxometrico e fitosanitario (sotto).A sinistra: Napolitano Gerardo mentre mostra una pianta difragola.

Sotto: uno scorcio di sottobosco di castagneto ceduo. In primo piano il “sigillo di Salomone” (Polygonatum multiflorum).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Capparidaceae

La famiglia delle Capparaceae o Capparidaceae comprende una trentina di generi dipiante, sia erbacee che legnose, distribuite soprattutto nelle regioni subtropicali.

Queste possiedono per lo più foglie semplici, alterne e spesso stipolate. I fiori, portati isolati o in racemi terminali, attinomorfi o zigomorfi, presentano perianzio

costituito da 4 sepali e 4 petali, androceo con un numero di stami variabile da 6 a molti,gineceo con ovario supero formato da 2 o più carpelli e supportato da un ginoforo chedetermina l’allungamento all’infuori del fiore dopo la fecondazione e che, talvolta, puòessere sostituito da un androginoforo che sposta anche gli stami.

La formula fiorale è: K 4, C 4, A 6- 8, G 2.Il frutto è una capsula o una bacca contenente più semi.L’impollinazione è entomogama.Nell’ambito della famiglia sono comprese anche specie d’interesse ornamentale,

medicinale e alimentare.L’unica specie presente nel territorio oggetto di studio è il cappero (Capparis spinosa).

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Cappero

Capparis spinosa (L.)Scheda n. 17

Capperoni

Capperi

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Il nome spinosa dato alla specie è dovuto alla presenza, alla base del picciolo fogliare, didue stipole trasformate in spine.

Il cappero è una pianta erbacea dal portamento cespitoso, con fusto subito ramificato e ramilignificati solo nella parte basale, spesso molto lunghi, dapprima eretti, poi striscianti o ricadenti.Viene perciò considerata una camefita reptante.

Questa pianta presenta un apparato radicale tenacissimo che si insinua facilmente nellerocce, anche verticali, oppure tra le crepe dei vecchi muri di ville, castelli e monumenti antichi.Questa sua caratteristica la rende invisa alle soprintendenze archeologiche, poiché può risultaredannosa alle strutture murarie emerse dagli scavi archeologici.

La tenacità del suo apparato radicale, unitamente alla sua resistenza ai climi siccitosi ed allacapacità di ancorarsi a substrati rocciosi, la rendono però meritevole (a parere degli autori) dipiù approfonditi studi per eventuali sue utilizzazioni nel settore dell’ingegneria naturalistica.

Le foglie, glabre o finemente pelose, di consistenza carnosa, sono disposte con fillotassialterna. Come già riferito, il picciolo è munito alla base di due spine che, nella varietà inermis, lapiù comune, sono di consistenza erbacea e cadono precocemente. La lamina è subrotonda e amargine intero.

I fiori sono solitari, ascellari, lungamente peduncolati e molto vistosi. Calice e corolla sonotetrameri, composti rispettivamente da 4 sepali verdi e 4 petali bianchi. L’androceo è compostoda numerosi stami rosso-violacei, provvisti di filamenti molto lunghi ed appariscenti. Il gineceopresenta ovario supero e stimma sessile.

Il frutto è una capsula oblunga e verde, portata da un peduncolo di 2-3 centimetri, fusiformee carnosa, con polpa di colore rosaceo, che a maturità si apre tramite una fessura longitudinale,liberando i numerosi semi reniformi, neri o giallastri, grandi 1-2 millimetri.

RICONOSCIMENTO

ll cappero è una pianta dalle proprietà aromatiche e medicinali. Ai fini alimentari, si utilizzanosia i boccioli fiorali immaturi che i frutti.

I boccioli fiorali, comunemente noti col nome di capperi, sono raccolti ancora chiusi e poiconservati sotto sale e sotto aceto per essere poi usati per aromatizzare salse, pasta, carne epesce.

I frutti, simili a piccoli cetrioli, chiamati capperoni o cucunci, si trovano in commercioconservati sott’olio, sotto sale o sotto aceto.

Vengono utilizzate, in vario modo, al pari di qualsiasi altra verdura, anche le cime più teneredei fusti.

In erboristeria è utilizzata la corteccia della radice.

DIFFUSIONEE’ una pianta ruderale, rinvenibile sulle rupi e sulle pareti delle forre assolate o sulle mura di

vecchi edifici, con maggiore frequenza tra i 100 ed i 300 metri di altitudine e sui siti con esposizionea Sud.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 018

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Interni dello Studio di Progettazioni Agroambientali del prof. Pellegrino De Rosa.Alcune delle fasi di riconoscimento e classificazione delle specie alimurgiche rinvenute nel territoriooggetto di studio. Sotto, a sinistra, il dott. agronomo Dante Casoria e, a destra, il prof. biologoFrancesco Colucci. Al centro e sopra, la giornalista Benedetta Napolitano (autrice).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Caryophyllaceae

Le famiglia delle Caryophyllaceae comprende entità vegetali diffuse soprattutto nellezone temperate e fredde. Generalmente sono piante annue o perenni, soltanto di radolegnose alla base, con foglie opposte e con lembo intero, inserite ai nodi ingrossati del fustoe generalmente prive di stipole (che, però, sono presenti in alcuni generi).

I fiori sono dialipetali, quasi sempre ermafroditi, raramente unisessuali (diclini), con calicegamosepalo (in tal caso percorso da nervature longitudinali) o dialisepalo, formato da 5elementi, da una corolla di 5 petali sempre liberi. L’ androceo è formato da 2 verticilli, ciascunodi 5 stami, con posizione invertita: l’esterno epipetalo e l’interno episepalo. Il gineceo haovario supero, con un numero di carpelli variabile da 2 a 5, uniloculare o settato soloinferiormente, contenente da 1 a molti ovuli. In alcuni casi la struttura fiorale può discostarsisensibilmente dallo schema ora descritto: ad esempio, il fiore può presentare soltanto 1verticillo di stami e questi possono essere soltanto in numero di 3; in altri casi può mancaredel tutto la corolla. Sono comunque sempre attinomorfi e spesso riuniti in cime bipare.

La tipica formula fiorale è: * K (5), C 5, A 5+5, G 2-5 (infero).L’impollinazione è entomogama e avviene mediante ditteri nelle due sottofamiglie meno

evolute e mediante lepidotteri in quella più evoluta e specializzata, che comprende specieprovviste di corolle allungate e di coronule per limitare l’accesso ai nettàrii.

Il frutto è costituito generalmente da una capsula polisperma sormontata da denti, innumero uguale o doppio al numero dei carpelli. In qualche caso (Herniaria, Scleranthus) ilfrutto è una noce monosperma. I semi, reniformi, contengono un embrione curvo a forma diferro di cavallo.

Si distinguono 3 sottofamiglie: le Alsinoideae, dal calice dialisepalo (Arenaria, Cerastium,Scleranthus); le Paronychioideae, primitive con fiori poco evidenti e foglie provviste di stipole(Herniaria, Paronychia, Spergula) e le Silenoideae, dal calice gamosepalo (Dianthus,Saponaria, Silene). Alcune Caryophillaceae, come il garofano (Dianthus caryophyllus)vengono coltivate a scopo ornamentale. Altre, come la saponaria (Saponaria officinalis)sono considerate piante officinali. Altre, ancora, possono avere utilizzazione alimurgica(Stellaria media, Silene vulgaris).

Nel territorio Lauretano-Baianese sono state censite 46 specie appartenenti allapresente famiglia.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Strigolo o Schioppettino

Silene vulgaris (Moench)Scheda n. 18

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Silene infilata; Silene venosa; Silenecucubalus.

Nomi comuni: strigoli, schioppetti, sonaglini.Il nome del genere deriva da Sileno, accompagnatore

di Bacco, dal ventre rigonfio come il calice fiorale della pianta.Questa specie presenta una grande variabilità di

caratteri: esistono numerose sottospecie, molto simili fraloro che si differenziano per il portamento e per lecaratteristiche delle foglie, che possono essere glabre opubescenti, dentellate o ciliate.

La Silene vulgaris è una pianta erbacea perenne,emicriptofita scaposa. Generalmente glabra, di coloreglauco, raggiunge i 70 centimetri di altezza ed è provvistadi un robusto apparato radicale rizomatoso e baselignificata.

Il fusto si presenta eretto, ramificato e dai nodiingrossati “a ginocchio”.

Le foglie sono lineari-lanceolate, le inferiori quasisessili, le superiori prive di picciolo, opposte ai nodi,verde-glauco, di consistenza carnosa.

I bianchi fiori sono ermafroditi, pentameri, con 5 petaliliberi fortemente incisi, 10 stami, gineceo superotricarpellare sincarpico. Il calice, giallastro, ha evidentinervature violacee longitudinali e si presenta rigonfiocome un palloncino. Esso persiste anche dopol’appassimento dei petali formando un involucro parzialeo completo attorno al frutto. I fiori sono riuniti ininfiorescenze peduncolate e pendule, a cima bipara,composta da 3-9 fiori. Alla base del calice a palloncinospesso si osserva un foro; esso è praticato dai calabroniche non riuscendo a penetrare nel fiore dall’alto,praticano il buco per accedere più facilmente al nettare.

I frutti sono capsule sferiche od ovoidali, deiscentiin alto, e contengono molti semi.

RICONOSCIMENTO

I germogli, raccolti prima della fioritura, rappresentano una tenera verdura, dal sapore dolcee delicato, che viene comunemente utilizzata nelle insalate.

La Silene vulgaris viene, inoltre, impiegata per farcire saporite torte salate, nelle frittate,come condimento per pasta e nei risotti o come ripieno di gustosi ravioli.

Pianta sinantropa e nitrofila, è molto comune nelle zone ruderali ricche in azoto etendenzialmente ghiaiose. E’ abbondante nei prati fertili concimati antropizzati ed è presentecomunemente lungo le strade ed i sentieri. L’areale molto vasto fa ritenere ad alcuni autori cheil geoelemento paleotemperato sia divenuto subcosmopolita.

La Silene vulgaris è presente, nel territorio esaminato, con la subspecie vulgaris (sinonimodi Silene latifolia), rinvenibile ad altitudini comprese tra i 300 ed i 1.000 metri slm, e con lasubspecie commutata, presente nelle radure e nei faggeti aperti, tra i 600 ed i 1.496 metri slm(Pietra Maula, Monti di Avella).

Nell’areale esaminato sono presenti, poi, numerose altre specie appartenenti al gen. Silene(S. italica, S. parnassica, S. multicaulis, S. armeria, S. alba, S. pratensis, S. dioica, S. pendula,S. gallica).

DIFFUSIONE

USO GASTRONOMICO

RICETTE 045 - 077 - 127

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Centocchio

Stellaria media (L.) (Vill.)Scheda n. 19

Stellaria neglecta

Stellaria media

Stellaria media

Stellaria media

Stellaria media

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Alsine media.Nomi comuni: centocchio comune, paperina, erba canina.Il nome del genere, Stellaria, è di origine latina e si riferisce all’aspetto stellato dei fiori.La Stellaria media è una tipica terofita (pianta annuale che si riproduce per seme) reptante

(a portamento strisciante). Di aspetto erbaceo, presenta fusti fragili, talora di colore rossastro,abbondantemente ramificati e spesso radicanti ai nodi. Le radici sono molto sottili.

Le foglie sono sessili, a lamina ovale, disposte con fillotassi opposta.I fiori, piccoli e bianchi, si chiudono durante la notte o quando sta per piovere. Hanno calice

di 5 sepali liberi, corolla di 5 petali liberi e bilobi che, ad una osservazione superficiale, paionoessere dieci petali separati. I verdi sepali sono più sviluppati dei bianchi petali.

I frutti sono capsule globose con numerosi semi. Ogni piantina arriva a produrre mediamentecirca 10.000 semi, che rimangono vitali nel terreno fino ad 80 anni.

La Stellaria media si riproduce quasi esclusivamente per seme ma, in terreni sufficientementeumidi, i suoi fusti emettono facilmente radici avventizie.

La Stellaria neglecta, è caratterizzata dall’avere i petali di dimensioni maggiori o uguali deisepali e divisi quasi fino alla base. I piccoli e candidi fiori presentano, inoltre, tre stili e dieci stami.Il fusto è cilindrico e glabro. Le foglie, ovali, presentano la lamina non eccessivamente stretta.Alle nostre latitudini fiorisce all’inizio della primavera, ed è comunissima nei prati. E’ nota,localmente, con il nome di «’mbruvuglina».

La Stellaria memorum è pianta perenne (emicriptofita scaposa), alta 30 – 60 centimetri, confusti cilindrici, prostrato-ascendenti. Le foglie basali sono picciolate, a lamina ovale (cuoriformealla base) e lunghe circa un centimetro. Le foglie superiori sono a lamina triangolare-ovale e dimaggiori dimensioni (fino a tre centimetri). I sepali sono grandi circa la metà dei petali ed i petali,di colore bianco, sono quasi completamente divisi in due.

La Stellaria holostea è così chiamata per avere un fusto, tetragono e ruvido, caratterizzatoda nodi radi ma molto accentuati (in greco: holos, intero, e osteon, osso; ovvero “dalle ossaintere”). Le foglie sono sottili e ruvide, a lamina lanceolata o lineare. Fiori grandi con lunghipeduncoli. I petali sono bilobi e separati solo nella loro metà distale.

RICONOSCIMENTO

La Stellaria media, è una specie comunissima sia nelle boscaglie che negli ambientiantropizzati e nei prati di tutto il territorio. Con maggiore frequenza tra i 100 ed i 600 metri dialtitudine. Oltre alla S. media sono presenti, nel territorio oggetto di studio, anche la S. memorum(nei faggeti di tutto il Partenio, tra i 900 ed i 1.400 m.), la S. neglecta (nelle boscaglie termofilerade e tra gli incolti aridi, tra i 100 ed i 600 metri di altitudine; es. Monte Fellino, Tuoro di Sasso,Campo San Giovanni, ecc..) e la S. holostea (nei boschi radi e nelle siepi, tra i 1.200 ed i 1.500metri di altitudine; es. Ciesco Alto, Porca delle Pere, Monti di Avella, ecc..).

DIFFUSIONE

Da secoli il “centocchio” è impiegato a scopo sia alimentare che curativo.E’ un’erba lenitiva, rinfrescante, espettorante, astringente, diuretica, lassativa, un po’ salata.E’ suggerita per attenuare asma e bronchiti, in quanto riduce la densità del muco nei

polmoni, oppure come coadiuvante nella lotta all’obesità. Favorisce la diuresi ed è un buonintegratore di vitamina C.

Sia le giovani piantine che i suoi semi costituiscono un ottimo becchime per i vari pennuti dacortile. Anche i conigli la apprezzano in maniera particolare.

In cucina il “centocchio” insaporisce le insalate e le misticanze, oppure si cuoce come verdura.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 043 - 050

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

La signora Sgambati Giovanna, madre del prof. Francesco Colucci (con lei nelle foto sopra), durantela raccolta e l’ identificazione di alcune erbe alimurgiche. La signora Giovanna ha rappresentato, perquesta pubblicazione, una preziosissima fonte di informazioni etnobotaniche e gastronomiche. Sotto, adestra: la fase di classificazione eseguita presso lo Studio di Progettazioni Agroambientali del dott. De Rosa.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

La famiglia delle Chenopodiaceae comprende numerose specie erbacee, annue operenni, talvolta arbustive, alcune delle quali capaci di vivere anche su suoli con elevateconcentrazioni saline (specie alofite) o di nitrati (specie nitrofile).

L’apparato vegetativo è spesso succulento. Le foglie sono, generalmente, opposteo alterne. I fiori, unisessuali o ermafroditi, hanno una struttura molto semplice: il perigonioè costituito per lo più da 5 tepali sepaloidi; gli stami sono in numero di 1-5; il gineceo èformato da 2 (3-5) carpelli, saldati in un ovario supero uniloculare provvisto di un unicoovulo e sormontato da uno stimma bifido.

La formula fiorale più ricorrente è: P 5, A 5, G (2).I fiori, piccoli e verdastri, sono solitamente raccolti in glomeruli portati in infiorescenze

cimose. Il frutto è un achenio.Le Chenopodiaceae sono piante originarie di ambienti steppici, come i deserti salati

dell’Asia centrale. In Campania sono molto diffuse, oltre che nell’entroterra, anche lungola costa, dove sono presenti anche varie specie dei generi Salsola e Salicornia.

A questa famiglia appartengono importanti piante alimentari.Tra esse ricordiamo:

1. Il Chenopodium quinoa, che viene coltivato da oltre 5.000 anni sugli altipiani pietrosidelle Ande, ad altitudini comprese tra 3.800 e 4.200 metri;2. Lo spinacio (Spinacia oleracea), tra le colture orticole più diffuse;3. La bietola comune (Beta vulgaris), coltivata in numerose cultivar, tra cui la cv. altissima(barbabietola da zucchero), dalla cui grossa radice fittonante si estrae lo zucchero; la

cv. cicla (bietola da coste),con le foglie provviste diuna grossa nervaturamediana bianca, utilizzatacome verdura; la cv. rapa(rapa rossa), di cui siconsuma, cotta, la grossaradice dal colore rossovinaccia.

Nella flora spontaneapresente nel territorioBaianese e Lauretano leChenopodiaceae sonorappresentate dai soligeneri Atriplex, Beta eChenopodium.

Molte di queste sonospecie sinantropiche, cioèdiffuse nelle campagne ed inprossimità degli insediamentiumani, dove hanno saputosfruttare le elevate con-centrazioni di sostanzeazotate presenti nel terreno.

diagramma fiorale

frutto

fiore

Chenopodium

Chenopodiaceae

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Atriplex patula (L.)Scheda n. 20

femminili

maschili

denti

Erba corregiola

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Il nome atriplex dei romani deriva dalgreco atraphaxis, non nutriente (da trefo,nutrire), per indicare lo scarso valorenutritivo di questa pianta, se rapportato aquello delle specie più succulenteappartenenti alla stessa famiglia botanica(spinacio e bieta). Il termine patula,derivante dal latino patulus, largo, siriferisce forse al caratteristico slargamento(denti) alla base delle foglie inferiori.

Questa specie, insieme alla più notaAtriplex hortensis, è stata utilizzata a scopoalimentare fin dalla preistoria e conobbeuna grande diffusione anche nel medioevoe nell’epoca rinascimentale.

E’ una terofita scaposa, cioè una piantaannua con asse fiorale allungato e, nelcaso specifico, ramificato e foglioso. Diconsistenza erbacea, può raggiungerel’altezza di 120 centimetri. Il portamento èpiramidale ed il fusto è striato e moltoramificato sin dalla base.

Le foglie superiori sono intere elanceolate, mentre quelle inferioripresentano due slargature laterali alosanga (denti). In estate gli steli siallungano ramificandosi e producono, neimesi di luglio-settembre, infiorescenze aspiga ramificata e fogliosa alla sommitàdel fusto e dei rami. Talora viene confusacon il Chenopodium Album, ma senza alcunincoveniente, poiché entrambe le speciesono commestibili e di gradevole gusto.

Si distingue però facilmente poiché, adifferenza del Chenopodium, che presenta fiori ermafroditi, essa porta sia fiori maschili chefemminili. Quelli maschili sono racchiusi dalle brattee (lunghe circa 1,3 centimetri) mentre quellifemminili sono privi di sepali e petali e sono racchiusi in due bratteole verdi simili a foglie.

Pertanto il frutto (achenio), a maturazione, risulta racchiuso proprio da queste due bratteole.Gli individui osservati nel territorio oggetto di studio portano brattee molto più lunghe dell’achenio efornite di grosse verruche sul dorso, per cui appartengono, probabilmente, alla sottospecie macrodira.

RICONOSCIMENTO

L’ Atriplex patula è presente in tutto il territorio dai 300 ai 1.300 metri di altitudine, con maggiorefrequenza nei luoghi umidi (Vallone Sorroncello, Monti di Avella, Monti di Quindici).

E’ una comune infestante dei campi coltivati, purché umidi e ricchi di nitrati.

DIFFUSIONE

Di questa pianta si usano, allo stesso modo della più famosa Atriplex hortensis e delChenopodium album, le foglie ed i germogli più teneri, come succedanei degli spinaci, ai qualimolti la preferiscono.

Si consiglia di avere l’accortezza di utilizzare esclusivamente le foglie più tenere, scartandoil fusto, di consistenza fibrosa e dal sapore più amarognolo.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 012

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Beta vulgaris (L.)Scheda n. 21

Bieta

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

La bieta (Beta vulgaris) fà la sua comparsa già in alcuni scritti greci risalenti al 420 a.C., colnome di beta.

Anche gli antichi romani la utilizzavano abitualmente: è noto, ad esempio, che Marziale eApicio discutevano sui diversi modi di cucinarla.

Antichi manoscritti confermano la sua coltivazione in Italia già dal XV secolo, soprattutto neimonasteri e nelle grance.

La specie Beta vulgaris è la capostipite di un gran numero di sottospecie e cultivar.La bieta “da foglia” più diffusa è la sottospecie maritima, presente prevalentemente lungo le

coste ma rinvenibile anche nell’entroterra (soprattutto su suoli sciolti, sedimentari e non vulcanici).Le rare biete rinvenibili tutt’ora nel territorio oggetto di studio derivano, presumibilmente,

tutte da cultivar sfuggite alla coltivazione, per disseminazione involontaria.Tra le varietà coltivate vanno ricordate la c.v. rubra (barbabietola rossa, coltivata per la

radice ingrossata), la c.v. cycla (bietola da costa, di cui si utilizzano la venatura centrale ed ilpicciolo) e la varietà macrorhiza, caratterizzata da grandi radici (tonde, allungate o a fiasco),coltivata come foraggio per il bestiame, e commestibile, se bollita, anche dagli esseri umani.

Ma la più importante di tutte è, sicuramente, la Beta vulgaris ssp. altissima, comunementenota come “barbabietola da zucchero”: bollendone le radici, nel XVII secolo, l’agronomo franceseOlivier de Serres ne estrasse un “succo simile allo sciroppo di zucchero”. Successivamente,nel 1.811, se ne estrassero i primi cristalli di “zucchero bianco” (saccarosio) e si diede finalmenteil via all’industria saccarifera.

La bieta è una pianta erbacea perenne, alta alcune decine di centimetri, con radice noningrossata, provvista di un cespo fogliare quasi appressato al suolo, costituito da foglie conlamina spatolata e mediamente carnosa, lungamente picciolate e di colore verde intenso (lucidonella ssp. maritima).

I piccioli si presentano sovente colorati in rosso alla base per la presenza di betacianina.Il cespo basale, a fine primavera, emette un fusto eretto e ramoso, talora di colorazione

rossastra, che porta un’infiorescenza con glomeruli di 1-3(5) fiori piccoli e verdastri.Il frutto è costituito da piccole e dure noci.

(La barbabietola da zucchero è una pianta alta oltre 1,5 metri, a ciclo biennale: nel primoanno nella radice si accumulano riserve sotto forma di zucchero, nel secondo si sviluppa loscapo fiorale. In coltura, per poter estrarre lo zucchero, la pianta viene estirpata al completamentodello sviluppo del primo anno).

RICONOSCIMENTO

Della bieta si utilizzano le cime dei nuovi getti e le foglie tenere. Il prelievo di queste parti vafatto in primavera, periodo in cui la pianta non viene danneggiata perché è pronta a rimettere igermogli. Se invece è fiorito, l‘erbaggio non è più buono da mangiare.

Delle altre varietà menzionate è possibile mangiare anche le radici.

DIFFUSIONE

USO GASTRONOMICO

Le diverse varietà della specie Beta vulgaris possono rinvenirsi nelle zone più antropizzatedi tutto il territorio oggetto di studio. Prevalentemente sulle colline del Baianese (Campimma,Litto, Tora, ecc..) e del Lauretano, in passato intensivamente coltivate.

RICETTE 070

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Chenopodium album (L.)Scheda n. 22

Farinaccio

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: farinaccio, spinacio selvatico.ll nome del genere (Chenopodium), proviene dal greco e significa, letteralmente “piede di

papera”, per la forma delle lamine fogliari.E’ una pianta erbacea annuale (terofita scaposa) che può superare il metro di altezza. Ha la

radice fittonante e fusto eretto, angoloso, fibroso, ramificato, con portamento di piramide conica.Le foglie sono alterne, romboidali, leggermente dentate, lunghe 3 - 6 centimetri, di color

verde pallido tendente al biancastro. Quelle degli apici delle piante più giovani sembrano spruzzatedi una polvere farinosa.

I fiori, bianco verdastri, sono molto piccoli e insignificanti, radunati in infiorescenze globose(a glomerulo) a loro volta raccolte in cime afille.

Questa pianta ha una certa somiglianza, nella sua fase giovanile, con il velenoso Solanum nigra(ma quest’ultimo presenta il fusto a sezione circolare e non angoloso, e fiori bianchi con stami gialli).

RICONOSCIMENTO

DIFFUSIONEIl Chenopodium album si rinviene comunemente negli ambienti ruderali e negli incolti della

fascia basale di tutto il territorio oggetto di indagine, con maggiore frequenza tra i 100 ed i 600metri di altitudine.

Sono presenti anche le specie:- Chenopodium ambrosioides o “farinello aromatico”, dalle foglie più appuntite e dentate,

(presente nelle aree ruderali del piano basale, tra i 100 ed i 300 metri di altitudine);- Chenopodium polyspermum, dal portamento più lasso e proiettato verso l’alto (presente sia

tra i coltivi che tra gli incolti, tra i 600 ed i 1.000 metri di altitudine. Ad es. a Costa di Prata,Madonna della neve, ecc..);

- Chenopodium hybridum (negli ambienti ruderali e coltivi del piano basale, tra i 100 ed i 400metri);

- Chenopodium murale (nelle aree antropizzate di tutto il territorio, tra i 100 ed i 600 metri dialtitudine).

Il chenopodio, come la gran parte delle specie trattate in questa pubblicazione, è una tipicaspecie sinantropa, diffusissima intorno agli insediamenti umani, ed archeofita (pianta spontaneadiffusa con le colture in Europa fin dall’antichità). Infatti, i resti di questa pianta sono stati trovatinei villaggi neolitici di tutta Europa. Inoltre, è stato accertato che i suoi semi facevano partedell’ultimo pasto rituale che venne consumato dall’uomo di Tollund (cioè l’uomo preistorico il cuicadavere, perfettamente conservato è stato ritrovato, incluso il contenuto dello stomaco, in unatorbiera danese nel 1950).

Gli Indiani nordamericani ne mangiavano i semi maturi, che venivano usati anche per fare ilpane.

Il chenopodio è un’erba alimurgica di notevole interesse, poiché è molto diffusa, è presenteper gran parte dei mesi dell’anno ed ha un ottimo gusto. In molte parti d’Italia il chenopodio èconosciuto, oltre che con il nome di farinaccio, anche con quello di “spinacio selvatico”.

Non è un mistero che alcuni buongustai lo preferiscano al vero spinacio, il cui sapore“mucillaginoso” non è a tutti gradito. Dal punto di vista pratico, però, il chenopodio presental’inconveniente di essere un pò più fastidioso da preparare poiché, soprattutto se si ha a chefare con piante adulte, conviene adoperare solo la parte apicale e le foglie più giovani: occorreperciò avere la pazienza di selezionare solo le parti più tenere.

Le foglie sono molto buone anche crude, in insalata, e possono essere mangiate ancheinsieme alle infiorescenze o ai semi.

Come già detto, i nuovi germogli si possono sempre raccogliere, anche dalla cima di unapianta matura, e con essi anche le foglie più tenere poste lungo il fusto. L’unica parte che puòrisultare un po’ indigesta, poiché fibrosa, è il gambo.

Generalmente la pianta viene utilizzata cotta (bollita o fritta) e come ripieno per pizze salate.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 023 - 024 - 064 - 079 - 080 - 081 - 144 - 156

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Chenopodium bonus-Henricus (L.)Scheda n. 23

Buon Enrico

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Chenopodium esculentum, Chenopodium spinaciifolium.Nomi comuni: buon Enrico, spinacio selvatico.E’ il parente nobile del Chenopodium album. Come già accennato, il nome Chenopodium

deriva dal greco chen (oca) e podion (piede) col significato di “piede d’oca”, con allusione allaforma delle foglie, mentre Enrico è il dio della casa, in riferimento alla crescita della pianta neipressi delle abitazioni. Si potrebbe riferire anche alla leggenda, diffusa soprattutto nel nordItalia, secondo la quale un certo Enrico, affetto da lebbra, sarebbe stato guarito da questapianta, ricca di vitamine e sali minerali. Ma potrebbe essere anche dedicato in onore di EnricoIV, protettore dei botanici, per il successo che questa pianta ebbe durante il suo regno.

E’ una pianta erbacea annuale che si riproduce per seme (terofita), ma che può ricacciareanche dallo spesso rizoma (emicriptofita).

Il fusto è cavo, angoloso e ramificato, di colore verde, rossiccio o biondo. Tutta la pianta haun aspetto farinoso e colloso dovuto alla presenza di numerosi peli vescicolosi.

Le foglie basali sono provviste di un lungo picciolo, con lamina cuneiforme e margine interoma leggermente ondulato. Lunghe da 1 a 12 centimetri, larghe 0,5-8 centimetri. Da 1 a 5 voltepiù lunghe che larghe. Di colore verde scuro nella pagina superiore e chiare e farinose in quellainferiore.

I piccoli fiori, pentameri, bruno verdastri, sono raggruppati in glomeruli contigui raccolti inuna infiorescenza a spiga, posta all’apice del fusto e a volte reflessa.

RICONOSCIMENTO

Il “buon Enrico” è tra le più ricercate piante selvatiche commestibili per il gusto simile a quellodegli spinaci, ma più intenso.

E’ una pianta rimineralizzante e vitaminizzante: contiene buoni livelli di ferro, calcio e vitamine(A e C). Inoltre ha azione vermifuga, per la presenza di ascaridolo.

Per il suo contenuto in acido ossalico e nitrati va consumata in porzioni moderate dai sofferentidi artite, di reumatismi o di patologie renali.

Le foglie giovani possono essere consumate anche crude, condite con olio, pepe, succo dilimone e con aggiunta di gherigli di noci.

In alternativa possono essere lessate brevemente in acqua salata, ed usate per minestre eripieni. Sono ottime anche nelle frittate.

Infine, i getti fiorali possono essere consumati come gli asparagi.

DIFFUSIONEQuesta pianta è diffusa nei pascoli alti della catena del Partenio. E’ possibile rinvenirla,

sporadicamente, anche nelle località Campo San Giovanni e Campo Maggiore, soprattutto inzone frequentate da ruminanti, poiché essa è una pianta nitrofila che si avvantaggia dell’azionefertilizzante del letame e, presumibilmente, perché i suoi semi germinano più facilmente dopoaver attraversato il tubo digerente degli animali.

Secondo alcune segnalazioni, non confermate, sarebbe presente anche nella Piana di Prata,nel Lauretano.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 025 - 063 - 082 - 119 - 120

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Compositae (Asteraceae e Cichoriaceae)

Le Compositae sono comprese nell’ordine delle Asterales (con circa 1.000 generi e19.000 specie, diffuse in tutte le latitudini). Esse sono caratterizzate dalla tipicainfiorescenza a capolino [1] (struttura altamente differenziata con funzione vessillare,formata da un ricettacolo basale [2] sul quale si inseriscono i minuscoli fiori, detti “flosculi”[3], circondato da foglie involucrali sterili dette squame). Tale infiorescenza vienegeneralmente considerata, dai non botanici, come un vero e proprio fiore.

Il ricettacolo può essere nudo o provvisto di pagliette, che rappresentano i resti dibrattee poste alla base dei fiori. Questi ultimi, ermafroditi o raramente unisessuali,presentano un calice ridottissimo che costituisce un collaretto continuo o lobato o, talvolta,del tutto mancante.

Dopo la fecondazione, da questo verticillo fiorale si origina spesso una strutturadenominata pappo [4], la cui funzione è quella di assicurare la disseminazione anemocora(operata dal vento). Grazie al pappo i semi possono essere trasportati dal vento epercorrere distanze anche di alcuni chilometri dalla pianta madre.

La corolla, gamopetala, può essere di 3 tipi fondamentali:a) ligulata, zigomorfa, con una porzione inferiore tubulosa ed una superiore assimilabilenella forma ad un prolungamento nastriforme detto ligula, spesso sovrastato da 5 o piùdentelli, raramente 3;b) tubulosa, attinomorfa, originata dalla fusione di 5 petali e costituita da un lungo tubosovrastato da 5 piccoli dentelli;c) bilabiata, zigomorfa, con tubo corollino terminato da 2 distinte labbra, l’inferioreoriginatasi dalla fusione di 2 petali e la superiore di 3.

L’androceo è costituito da 5 stami alternipetali con filamenti per lo più liberi e anteresaldate in un manicotto che circonda lo stilo.

Il gineceo è formato da 2 carpelli concrescenti, che formano un ovario inferouniloculare, provvisto di un solo ovulo, e di uno stilo fornito di peli collettori che terminain uno stimma profondamente bifido.

La formula fiorale dell’ordine è: K 0, C (5), A (5), G 2 infero.Il frutto è una cipsela (achenio delle asteracee derivante da un ovario infero), spesso

sormontata da un pappo sericeo.Le Asterales si suddividono in 2 famiglie, da alcuni considerate invece due sottofamiglie

dell’unica famiglia delle Compositae: Asteraceae (o Compositae Tubuliflorae; es.Carduus, Centaurea e Chrysanthemum) e Cichoriaceae (o Compositae Liguliflorae;es. Hieracium, Hypochoeris e Sonchus).

La principale differenza tra Asteraceae e Cichoraceae è rappresentata dalla diversastruttura dei capolini, in particolare dai tipi di fiori che li compongono.

Nelle Asteraceae, i capolini sono costituiti o da soli fiori tubulosi o da fiori tubulosi alcentro (disco) e ligulati alla periferia (raggi); inoltre, questi ultimi sono generalmenteunisessuali o sterili. Nelle Cichoraceae, invece, sono presenti i soli fiori ligulati.

L’impollinazione è di norma entomogama e ciò spiega la presenza del capolino. Infatti,anche la visita di un solo pronubo garantisce alla pianta la fecondazione di tutti i fiori checompongono l’infiorescenza.

Le Asteraceae hanno grande importanza dal punto di vista economico. Alcune sono coltivatea scopo alimentare, come il carciofo (Cynara scolymus), di cui si utilizzano soprattutto le bratteeinvolucrali e il ricettacolo, e il girasole (Heliantus annuus), coltivato per i semi oleaginosi. Altre

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

per scopi ornamentali (Ageratum, Argyranthemum, Aster, Calendula, Chrysanthemum,Dahlia, Gerbera, Senecio, Zinnia ecc.) con numerose cultivar ottenute tramite la selezioneartificiale. Altre, ancora, utilizzate come piante officinali (Achillea millefolium, Artemisiavulgaris, Centaurea cyanus, Matricaria Chamomilla ecc..).

Altre, infine, utilizzabili ai fini alimurgici, ovvero come piante selvatiche commestibili.Le Cichoriaceae, presentanti quasi sempre dei canali laticiferi nel loro apparato

vegetativo, comprendono numerose specie coltivate a scopo alimentare. Tra queste siricordano alcune specie orticole quali la cicoria (Cichorium endivia), il radicchio (cultivarantocianiche di Cichorium intybus), la lattuga (Lactuca sativa), la scorzonera (Scorzonerahispanica), la scorzobianca (Tragopogon porrifolius) e numerose specie alimurgiche.

Nel territorio del Baianese e del Vallo di Lauro sono state identificate 147 specievegetali appartenenti alle Compositae, molte delle quali commestibili, due velenose(Lactuca virosa e Senecio vulgaris) ed una tossica (Lactuca scariola o L. serriola).

Di seguito verranno trattate le specie selvatiche commestibili, presenti nel territoriooggetto di studio, ordinate alfabeticamente per genere.

[1]

[2][3]

[4]

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Anthemis partenio (L.)Scheda n. 24

Erba di Montevergine

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Chrisanthemum partenium, Pyrethrum partenium, Tanacetum parthenium.Nome comune: fiore di Montevergine.E’ una pianta erbacea (terofita scaposa), dai “fiori” (che, come si è detto, nelle asteracee sono

in realtà infiorescenze a capolino) simili a quelli della camomilla romana (Anthemis nobilis), concuore giallo e ligule dei capolini bianche. In Inghilterra, viene chiamata “feverfew”, per le proprietàfebbrifughe ad essa attribuite. Secondo una leggenda e secondo l’etimologia del termineTanacetum, questa pianta avrebbe addirittura il potere di conferire il dono dell’immortalità.

Essa invece, per scongiurare l’effetto contrario, va consumata con cautela e moderazione: è,infatti, congenere con altri Chrysanthemum piuttosto tossici, come il Tanaceto (Crhysanthemumvulgare, pianta tossica, usata contro gli ossiuri), l’erba di S. Pietro (Chrysanthemum balsamita,usata per problemi epatici) ed il Piretro (Chrysanthemum cinerariaefolium, usato come insetticida).

Non è un’erba alimurgica e la sua presenza in questa pubblicazione è un “atto dovuto”,poiché in un libro, come quello presente, che ha tra i suoi scopi quello di valorizzare il territoriooggetto di studio, non poteva mancare proprio la più caratteristica delle erbe dei Monti del Partenio,dai quali forse deriva il suo nome ed usata da secoli dai monaci del Santuario di Montevergine (sito nelComune di Mercogliano, in provincia di Avellino), quale principale ingrediente di un prelibatissimoliquore, la cui ricetta ed il cui metodo di estrazione sono tutt’ora coperti da un impenetrabile segreto.

Le origini di questo liquore, chiamato Anthemis, sono avvolte nelle nebbie dei secoli e, secondouna leggenda, sembrano risalire, addirittura, ai tempi dell’antico tempio pagano dedicato a Cibele:«Sorgeva nell’antichità sul fianco orientale del monte Partenio il tempio di Cibele. Raccontauna leggenda che, nelle notti di plenilunio, una goccia di smeraldo sgorgasse da una dellecolonne del tempio e che un giovane pastore dell’Irpinia raccogliesse queste gocce perportarle a coloro che erano tristi. Quando sulle rovine del vecchio tempio sorse intorno al1.100 l’Abbazia di Montevergine, accadde ad un frate Virginiano di ritrovare l’antica colonnadel tempio di Cibele e di notare come non un miracolo ma lo stillare del succo di varie erbecresciute al sommo della colonna producesse quella goccia di smeraldo che ridava la gioiadella vita agli sfiduciati ed ai tristi. Studiata la composizione di tali erbe i Padri Benedettini diMontevergine riuscirono a riprodurre la famosa goccia di smeraldo: la chiamarono Anthemise la mandarono per il mondo, dispensatrice di gioia e benessere».

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Arctium lappa (L.)Scheda n. 25

A. memorosum

Bardana

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: bardana, erbaporcina.

È una emicriptofita scaposabiennale. Nel primo anno emettele sole foglie basali e nel secondoanno lo scapo fiorale.

Le foglie, con disposizionealterna, hanno lunghi piccioli elamine o ovali allargate o a basecordata e sono spesso di grossedimensioni. Inoltre sono molli ericche di peli nella pagina inferiore.

II fusto è robusto, eretto,pubescente, spesso arrossato,solcato e ramificato nella sua partesuperiore, con diametro di 1-2 centimetri. La pianta può raggiungere l’altezza di 50 -150 cm.

I capolini sono globosi e squamati (agevolmente riconoscibili poiché si attaccano facilmenteai vestiti), con le squame disposte in numerose serie, formanti a loro volta corimbi apicali.

I fiori sono tubulosi ed ermafroditi, di colore roseo, purpureo o biancastro, raccolti -come siè già detto- in infiorescenze a capolino di forma sferica, di 3-4 centimetri, con l’involucro cheforma un riccio di aculei uncinati con squame verdi.

II frutto è un achenio bruno-grigio, con chiazze scure ondulate. Il pappo, utile per ladisseminazione anemocora, è costituito da brevi setole semplici. A maturazione le squameuncinate del frutto diventano dure.

La radice della pianta ha uno sviluppo fittonante, con qualche rara ramificazione, e raggiunge laprofondità di 45-50 cm, con un diametro di 3-6 cm nelle piante coltivate. Ha forma cilindrica, consistenzapiù o meno carnosa ed è dura e fragile. Al centro della radice si può formare una piccola cavità,prodottasi per il riassorbimento dei tessuti, specialmente nelle piante aventi più di un anno.(Attenzione a non confondere le bardane con alcune specie appartenenti ai generi Petasites e Adenostyles).

RICONOSCIMENTO

E’ comunissima negli ambienti antropizzati e nei terreni nitrofili di tutto il massiccio; piùfrequentemente tra i 100 ed i 1.300 metri. Oltre all’Arctium lappa è presente anche l’Arctiumnemorosum (che si distingue per le infiorescenze ed il ricettacolo pubescenti) rinvenibile, tral’altro, nelle radure erbose ed ai lati dei sentieri tra i 300 e i 700 metri di altitudine e nel ValloneSorroncello, all’Acqua del Litto, Casone Arciano e, in generale, nei boschi cedui.

DIFFUSIONE

La bardana è una pianta che viene utilizzata sia per scopi fitoterapici che alimentari. Limitandociall’utilizzazione alimentare, raccomandiamo di non consumarne quantità eccessive e di nonfarne uso durante la gravidanza.

Le radici vanno raccolte solo da piante che hanno un anno di età, prevalentemente in autunno.Le foglie si raccolgono nel periodo estivo, mentre i semi si raccolgono in autunno. Una volta

estirpata la pianta, per evitare la sua rarefazione, è buona norma avere l’accortezza di staccarnei semi per spargerli tutt’intorno.

A scopo alimentare possono essere utilizzate sia le radici (in Giappone ed in altri Paesiorientali la barbana viene coltivata proprio per questo scopo), che le giovani foglie, raccolteprima della fioritura. Sono però i gambi fiorali quelli che forniscono le parti più gustose dellabardana: essi vanno tagliati, al secondo anno vegetativo, appena le infiorescenze fanno la lorocomparsa, alla fine della primavera o all’inizio dell’estate. Si mangiano lessati e conditi a piacere(conditi con un olio leggermente aromatico, sale e pepe), oppure fritti in pastella. I piccioli fogliari,una volta spellati, vengono preparati allo stesso modo degli asparagi.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 007 - 008 - 009

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Bellis perennis (L.)Scheda n. 26

Pratolina, Monachella o Margheritina

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: pratolina, margheritina, monachella.Il primo termine del binomio è il nome latino con cui, in generale, venivano indicate le

margherite; esso deriva da bella (graziosa, leggiadra), in riferimento al delicato aspetto deicapolini. Il secondo termine allude alla pluriannualità della pianta.

Nel linguaggio dei fiori evoca innocenza, grazia, bontà, ma significa anche “ci penserò”,insomma, è il fiore di chi ama temporeggiare. Nel medioevo gli si attribuivano facoltà profetichein amore, probabilmente da qui il famoso “m’ama non m’ama”.

Come forma biologica è compresa tra le emicriptofite rosulate (piante che hanno le fogliedisposte a formare una “rosetta” basale). E’ una specie sempreverde, erbacea, perenne, altasino a 15 centimetri, con robusta radice fittonante ed una rosetta o cespo di foglie basali (obovateo spatolate e variamente dentellate) addensate al suolo. Dal centro della rosetta basale emergono,quasi tutto l’anno, scapi semplici, afilli, pubescenti, alla cui sommità si sviluppa un’infiorescenzaa capolino (la margherita) costituita da fiori (flosculi) ermafroditi. Quelli esterni, ligulati, sono dicolore bianco e arrossati inferiormente durante l’inverno. Quelli interni, tubulosi e piccolissimi,sono di colore giallo. I frutti sono piccoli acheni, ovali e pelosi.

Questa specie raggiunge la massima fioritura in primavera, ma fiorisce tutto l’anno da gennaioa dicembre, con una breve pausa estiva.

RICONOSCIMENTO

La Bellis perennis si rinviene frequentemente nei noccioleti non trattati con diserbanti, neiprati aridi e nei pascoli di tutto il territorio, con maggiore diffusione tra gli 800 ed i 1.400 metri.

Nel territorio considerato sono presenti anche le specie: Bellis sylvestris (luoghi erbosi eboscaglie, tra i 1.000 ed i 1.598 metri di altitudine), anch’essa “emicriptofita rosulata”, e la Bellisannua (boschi, fruticeti e siepi di tutto il territorio, tra i 100 e gli 800 metri di altitudine) che ha laforma biologica di una “terofita erbacea”, annua, che si riproduce solo per seme.

DIFFUSIONE

In cucina possono essere utilizzate le foglie raccolte prima della fioritura, in insalata o per lezuppe, i capolini possono essere preparati sott’aceto.

La pianta è ricca di principi attivi quali resine, tannino, cera ed olii essenziali.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 013 - 141

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Calendula officinalis (L.)Scheda n. 27

Fiorrancio

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: calendola, fiorrancio.Il primo termine deriva dal latino calendae (primo giorno del mese), perché i fiori di questa

pianta si aprono con cadenza mensile nella stagione favorevole, mentre il secondo sta ad indicareche questa pianta ha anche proprietà medicinali.

La Calendula officinalis è una pianta erbacea biennale (emicriptofita), polimorfa, spessomolto ramificata. Con fusti striati, robusti ed angolosi, in genere caratterizzati da una folta peluria,alti fino ad 80 centimetri. La radice è di tipo fittonante, profonda circa 20 centimetri.

Le foglie sono oblunghe, tenere, spesso denticolate, di colore verde chiaro, sessili e dispostecon fillotassi alterna. Quelle inferiori sono disposte a rosetta e presentano la lamina più grandedi quelle caulinari.

I piccoli fiori sono riuniti in infiorescenze terminali a capolino, simili a grandi margherite(talora anche 7 od 8 centimetri di diametro), di colore giallo-arancio brillante, a centro purpureo,con fioritura dall’estate fino ai primi geli, con numerosi ibridi e varietà nane dai fiori molto grandie vivacemente colorati.

I frutti sono degli acheni curvi, tozzi e spinosi, alati, a falce e ad anello.

RICONOSCIMENTO

La Calendula officinalis è una pianta comunemente coltivata, poiché viene usata in erboristeria,ma si trova facilmente allo stato rinselvatichito. E’ molto rustica e di facile coltivazione. Si trova intutto il territorio esaminato, con maggiore frequenza attorno ai 600 metri di altitudine e nelleradure aride (es. Pietra Maula).

Nel territorio oggetto di studio è presente anche la Calendula arvensis subsp. arvensis, cheè una terofita e, perciò, specie annuale che si propaga per seme.

C. officinalis si distingue da C. arvensis per i capolini più grossi, con ligule in 2-3 serie.

DIFFUSIONE

Si utilizzano soprattutto i fiori, che vanno raccolti quando non siano bagnati da pioggia obrina e poi essiccati al sole e conservati in un luogo asciutto.

Le foglie possono essere usate crude nelle misticanze primaverili cui conferiscono un gustoparticolare.

I fiori, aggiunti ai brodi e ai risotti, tingono di giallo al pari dello zafferano.I boccioli dei fiori di calendula possono essere utilizzati come quelli dei capperi, macerati in

aceto, oppure freschi o essiccati per aromatizzare salse e condimenti dato il loro saporeamarognolo.

Avvertenza importante: essendo questa una pianta officinale e contenendo sostanzefarmacoattive, vale la regola generale di non consumarla durante la gravidanza.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 013 - 017

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Carlina spp.Scheda n. 28

Carlina acaulis

Carlina acanthifolia

Carlina

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nome comune: cardo di S. Pellegrino.Il nome del genere proviene, secondo una leggenda, da Carlo Magno, che attribuì a questa

pianta il potere di curare le pestilenze.Pianta erbacea, perenne o bienne (emicriptofita rosata), a crescita lenta, con fusto di colore

brunastro, che può essere ora breve o assente, ora alto fino ad oltre 30 centimetri, a volteramificato. Il rizoma è moto robusto e di sapore amaro.

Le foglie, quasi tutte basali, sono disposte in rosetta e sono lunghe fino a 20 centimetri.Sono picciolate, con lamina oblungo-spatolata, pennatosetta. Profondamente divise, glabre,coriacee e spinose. Al centro della rosetta si forma un solo grande capolino, che può raggiungereanche i 15 centimetri di diametro ed è completamente avvolto da brattee: le esterne sono fogliacee;le mediane sono brune, dentato-spinose; le interne sono lineari, bianche e brillanti, somiglianti afiori ligulati. Le brattee esterne, funzionano da igrometro naturale, chiudendosi quando il tempomuta al peggio o nelle ore notturne per poi riaprirsi al mattino successivo. I fiori, tubulosi, sono dicolore bianco o rosa. I frutti sono acheni pennuti. Alle nostre latitudini fiorisce da maggio asettembre.

Nel passato la carlina era un’erba molto importante nella medicina popolare ed era classificatacome allessifarmaco (antidoto ai veleni), proprio per questo era coltivata nei giardini dei monasteri.

Gli antichi Sassoni, per il suo aspetto pungente, la consideravano un amuleto contro ilmalocchio e le malattie.

E’ diffusa nei pascoli aridi e nelle radure elevate, con maggiore frequenza tra i 1.200 ed i1.350 metri di altitudine (da Ciesco Alto a Croce Puntone). La carlina fotografata a paginaprecedente è stata fotografata a Mugnano del Cardinale (Av), in località Morricone.

I ricettacoli dei capolini, noti come “pane del cacciatore”, sono eduli, utilizzabili come i cuoridei carciofi oppure tagliati a piccoli pezzi, messi a cuocere con lo zucchero in poca acqua, finoad ottenere una purea dolce-piccante, ottima, da utilizzare come la mostarda.

Le radici invece, tagliate a rondelle e private della parte interna legnosa, possono essereutilizzate per preparare ottimi canditi: una vera prelibatezza se coperti di cioccolato.

La carlina è ricca di inulina, uno zucchero digeribile anche dai diabetici.Le foglie secche riescono a cagliare il latte.

Carlina acanthifolia

Carlina vulgarisE’ una emicriptofita scaposa. Pianta erbacea,

biennale o perenne, provvista di scapo.Le sue foglie sono molto simili a quelle della

specie precedente, ma il portamento dell’interapianta è verticale e non schiacciato.

E’ diffusa negli xerogramineti e pascolisassosi di tutto il massiccio, tra i 300 ed i 1.000metri di altitudine.

Di questa pianta si consumano i fusti chevanno raccolti in primavera, quando sono ancorateneri. Questi vengono recisi alla base e all’apicemediante un attrezzo tagliente (roncola, falce,forbice), escludendo i rami laterali e i giovanicapolini. Poi si tolgono le foglie e si spellano,con l’aiuto di un coltello. Si tagliano in pezzetti di6-7 centimetri. I pezzetti così ottenuti sisbollentano e si condiscono con olio ed aceto.

Il loro sapore è particolare, ricorda, infatti,quello dei peduncoli dei carciofi e dellenocciole.

RICETTE 022 - 118

Carlina vulgaris

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Cichorium intybus (L.)Scheda n. 29

Cicoria selvatica o Radicchio

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

La cicoria selvatica, o radicchio selvatico, è la progenitricedi molte varietà coltivate, come il radicchio e la catalogna.

E’ una pianta erbacea perenne, con foglie raccolte in unarosetta basale (emicriptofita rosata).

Il fusto, che compare nel secondo anno di vita della pianta,può essere prostrato o, più frequentemente, eretto. Si presentaispido poiché ricoperto di peli rivolti verso il basso.

La radice, a fittone fusiforme, lunga e ramificata, se recisaspande un latice bianco dal sapore amaro.

Le foglie presentano aspetto alquanto variabile da individuoad individuo, al punto che, in assenza di fiori, i meno espertitendono a confondere le rosette basali di alcune cicorie conquelle del tarassaco e di altre cichoraceae. Le foglie basali,raggruppate in rosetta, spuntano nell’autunno, durano tuttol’inverno e si seccano durante la fioritura; il contorno ha formaallungata-lanceolata con il margine variamente inciso. La laminapuò essere anche irregolarmente pennato-partita o pennato-setta, con segmenti triangolari acuti. Le foglie del fusto sono gradatamente più piccole, sessili eamplessicauli.

L’aspetto della superficie delle foglie varia da quello glabro di molte forme coltivate a quellopelosissimo di alcune delle varietà spontanee.

I fiori (tutti ligulati, come in tutte le cichoraceae) sono riuniti in capolini, sessili o peduncolati,dalla corolla azzurro intenso, raramente bianca o rosata, disposti a loro volta in gruppi.

I capolini presentano il ricettacolo di colore variabile dal verde scuro al violaceo-rossastro,avvolto da brattee cigliate: quelle esterne corte ed ovali; quelle interne oblunghe, lanceolate edritte.

Come avviene in molte altre asterales, le infiorescenze si chiudono nel pomeriggio e con ilbrutto tempo.

Il frutto è un achenio sormontato da una bassa coroncina apicale.

RICONOSCIMENTO

La cicoria ha contribuito al sostentamento delle popolazioni rurali in ogni epoca: pane ecicoria saltata in padella costituiva uno dei pasti più diffusi e tipici.

In passato, inoltre, le radici della cicoria venivano tostate ed utilizzate per ottenere un surrogatodel caffè.

Le foglie, dal sapore tipicamente amarognolo, vengono utilizzate tutto l’anno lessate e poicondite in vario modo, all’agro o saltate in padella, mentre le giovani e succose foglie primaverilisi consumano in insalata, da sole o in misticanza. Molto apprezzati nel nostro territorio sono ifagioli con le cicorie.

Usata sin dall’antichità nelle pratiche magiche si riteneva, erroneamente, che la sua radicefosse in grado di rendere invisibili.

DIFFUSIONELa specie Cichorium intybus è diffusissima in tutta la fascia basale del territorio, tra i 100 ed

i 600 metri di altitudine.E’ presente anche la specie Cichorium endivia (specie normalmente coltivata, dalle foglie

meno profondamente lobate) con la sottospecie divaricatum, negli incolti aridi, tra i 300 ed i 400metri di altitudine (es. Pietra Maula, ecc..).

USO GASTRONOMICO

RICETTE 001 - 026 - 083 - 132 - 145 - 146

96

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Cirsium arvense (L.) (Scop.)Scheda n. 30

Cardo campestre

97

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: cardo campestre, stoppione,scardaccione.

Il nome del genere deriva dal greco Kirsos (varice),secondo alcuni perché con essa anticamente venivacurato questo genere di affezioni, secondo altri a causadelle galle ovali che si formano al suo apice quando lapianta venga attaccata da alcuni ditteri che videpositano le proprie uova.

Questo cardo è una “geofita radicegemmata”,pianta erbacea perenne con organi sotterranei portantile gemme, dalle quali annualmente si sviluppano leparti aeree. E’ una specie dioica, con individui di sessomaschile ed individui di sesso femminile.

Il fusto è eretto, solcato longitudinalmente epubescente. Spesso rossastro e ramoso nella partesuperiore. Alto circa 70-150 centimetri. Con robustaradice biancastra.

Le foglie sono indivise, generalmente non decorrentisul fusto, più o meno glabre alla pagina superiore,tomentose o glabre alla pagina inferiore. La lamina sipresenta con forma sinuato-dentata oppure pennatifida,con divisione da triangolare a ovale e bordi cigliato-spinosi.Le basi delle foglie superiori abbracciano il fusto.

I fiori (flosculi) sono riuniti in piccoli capolini di circa10 – 20 millimetri di diametro. Le corolle hanno colorevariabile dal porporino a lilla cupo. I capolini, cheemanano un delicato profumo di muschio, possono essere solitari o portati in una pannocchiacorimbosa, con involucri piriformi, spesso rossastri, circondati da brattee spinose ed appressaterivolte all’esterno.

I frutti sono acheni lisci, delle dimensioni di pochimillimetri, muniti di un pappo biancastro provvisto disetole.

RICONOSCIMENTO

Le sue giovani foglie vengono usate in cucina, quando non hanno ancora prodotto le lorocaratteristiche spinescenze, miscelate ad altre erbe, lessate e saltate in padella con aglio edolio. Sia le foglie più tenere che i ricettacoli fiorali sono ottimi anche crudi, perché hanno gustoequilibrato tra il dolce ed il salato.

DIFFUSIONEIl Cirsium arvense si trova negli incolti sterili di tutto

il territorio oggetto di indagine, con maggiore frequenzatra i 200 ed i 1.000 metri di altitudine.

Sono presenti anche le seguenti specie:- Cirsium italicum, presente nei boschi e nei fruticeti,tra i 300 ed i 400 metri;- Cirsium vulgare, presente tra le siepi e nei luoghierbosi di tutto il Partenio, tra i 400 ed i 1.000 metri;- Cirsium tenoreanum, rinvenibile nei pascoli umididei Monti di Avella, tra i 1.000 ed i 1.200 metri;- Cirsium morisianum, negli ambienti erbosi elevatidei Monti di Avella, tra i 1.000 ed i 1.300 metri.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 027

98

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Crepis spp.Scheda n. 31

Fioritura di Crepis spp. in un noccioleto di pianura

Radicchielle

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Il nome del genere Crepis deriva dal greco, col significato di scarpa o sandalo, forse per laforma delle foglie della rosetta basale, generalmente appressate al suolo, come schiacciate.

Questo genere, comprende numerose specie di “cicorie a fiori gialli”, estremamente polimorfe,aventi talune comportamento da terofite erbacee ed altre da emicriptofite scapose.Rispettivamente, quindi, a ciclo annuale e biennale.

Tutte le specie presenti sul territorio sono commestibili. E’ comunque sempre consigliabileusare le foglie più tenere della rosetta basale ed escludere quelle più vecchie e fibrose,potenzialmente indigeste.

Le specie del genere Crepis presenti nel territorio oggetto di indagine sono le seguenti:

Crepis vesicariaPianta erbacea annuale o biennale alta fino ad 80 centimetri, con fusto più o meno lignificato e

spesso rossastro-purpureo alla base, irto di peli ispidi, raramente glabro, eretto e ramoso. Fogliebasali a rosetta più o meno schiacciata sul terreno, a volte intere o lobate, ma più frequentementepennatosette, quelle del caule sempre più ridotte, sessili, auricolate-amplessicauli, talora si presentanobratteiformi, ovali-carenate alle basi dei rami fiorenti, soprattutto nella subsp. vesicaria.

I fiori sono riuniti in numerosi e piccoli capolini (di circa 2 centimetri di diametro), formati daflosculi ligulati di colore giallo e talora venate di sfumature rossastre, molto numerosi, quasiformanti un’ombrella terminale. Prima dell’antesi, la pianta presenta un caratteristicoingrossamento come un grosso bocciolo, formato dalle ramificazioni ancora racchiuse dellostelo. Caratteristica questa che permette di riconoscere con facilità questa pianta e che gli haconferito il nome “vesicaria”.

E’ diffusa nei coltivi, nei terreni incolti e ai margini dei sentieri di tutto il territorio, tra i 200 ed i600 metri di altitudine.

Crepis leontodontoidesEmicriptofita rosata, questa specie presenta una forte somiglianza con il genere Leontodon,

da cui gli è derivato il nome specifico. Presenta una fitta rosetta basale di foglie variamentelobate.

E’ presente nelle siepi, nei fruticeti, noccioleti e boscaglie del piano basale, tra i 100 ed i 500metri di altitudine.

Crepis laceraEmicriptofita scaposa. Biennale. Caratterizzata dalle foglie laciniate, da cui gli è derivato il

nome specifico. Presente nei pascoli sassosi e nei pressi delle rupi del piano montano, tra i 900ed i 1.300 metri di altitudine.

Crepis pulchraTerofita erbacea, annuale. Caratterizzata da un fusto molto ramificato, con i capolini dai

flosculi piuttosto radi e raccolti in un corimbo apicale. Diffusa nei prati aridi e nei sentieri adaltitudini comprese tra i 200 ed i 300 metri.

Crepis neglectaTerofita erbacea, annuale. Alta dai 25 ai 50 centimetri. Fusti ramificati dalla base, ispidi in

basso. Foglie basali intere, spatolate, dentate. Foglie superiori con denti triangolari molto lunghi.Capolini molto numerosi, portati su ramificazioni dello scapo. Fiori gialli con stili verdi.

Crepis setosa.Terofita erbacea. Annuale. La sua caratteristica più appariscente è costituita dai lunghi filamenti,

quasi setosi, che ricoprono tutta la pianta e, in particolare, il ricettacolo del capolino. Diffusa neisuoli incolti ed aridi di tutto il massiccio. Tra i 300 ed i 500 metri di altitudine.

Le radicchielle hanno gusto ed uso gastronomico simili a quelle delle altre “cicorie” e deltarassaco. Si raccoglie la rosetta ancora allo stadio giovanile e la si può consumare cruda ininsalata, sola o nelle misticanze, oppure lessa o saltata in padella, con olio, aglio o cipolla apiacere. Si può anche utilizzare mista ad altre verdure per fare ripieni di minestre, frittate o tortinidi verdure, ricotta e formaggi. Anche i germogli fioriferi, se teneri e non legnosi, si possonocucinare come sopra, pur se di sapore più amarognolo.

RICETTE

RICONOSCIMENTO

USO GASTRONOMICO

001 - 077 - 085 - 145

100

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Helianthus tuberosus (L.)Scheda n. 32

Topinambour o Carciofo di Gerusalemme

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: topinambour, girasole tuberoso, tartufodi canna, patata del Canada, pera di terra, carciofo delCanada, Carciofo di Gerusalemme.

E’ una “geofita bulbosa”, ovvero una pianta erbaceaperenne che porta le gemme sugli organi sotterranei, inquesto caso sui suoi numerosi rizomi tuberosi. Durante lastagione avversa non presenta organi aerei.

Ha comportamento infestante e fusti eretti e pubescenti,alti fino a circa tre metri.

Le foglie, disposte con fillotassi alternata, sono picciolatee coperte di una bianca peluria. Di forma ovata o lanceolata,dentellate al margine (quelle inferiori hanno forma ovato-cordata). La pagina superiore è di colore verde scuro,spruzzata di una bianca peluria; quella inferiore è più chiara.

I capolini, di colore giallo intenso e larghi fino a 8centimetri, sono portati da lunghi e sottili peduncoli e sonospesso riuniti in gruppi di 4-5 o più, presentano fiori (flosculi)periferici con lunghe ligule gialle e solcate.

I frutti sono degli acheni.

RICONOSCIMENTO

I suoi tuberi hanno un ottimo sapore, che ricorda quellodel carciofo con una vaga sfumatura di nocciola. Hanno la consistenza di una patata ma,contrariamente a questa, non contengono amido ma inulina (circa il 15%). Essi, sono perciòparticolarmente indicati nelle diete ipocaloriche degli obesi e dei diabetici. Risultano esserericchi di vitamine A e B e contengono il “macrobiotico” e benefico Lactobacillus.

Sono ottimi da gustare conditi con aglio, olio e acciughe (bagnacauda).Le rondelle di tubero possono anche essere conservate sotto aceto da sole o per la

preparazione di giardiniere di verdure.In generale i tuberi, come le patate, possono essere consumati bolliti o fritti, secondo varie ricette.

DIFFUSIONEFrequente negli ambienti umidi e nitrofili di tutto il territorio

Lauretano-Baianese, soprattutto tra i 100 ed i 200 metri dialtitudine. E’ considerata una pianta ornamentale e, per talemotivo, si rinviene facilmente nei pressi delle tipicheabitazioni con giardino del baianese e nei villini di campagnadi tutto l’areale oggetto di studio.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 030 - 031 - 088 - 089

Monti di Avella

102

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Hieracium spp.Scheda n. 33

Hieracium pilosellaHieracium pilosella

Hieracium pilosella Hieracium pilosella

Sparviere

103

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Hieracium deriva dal greco “jerax” (sparviere) in quanto gli antichi greci credevano che questiuccelli si cibassero di queste piante per acuire la loro vista.

Molte delle specie del genere Hieracium hanno un tipo insolito di riproduzione: la gran partedi esse produce, infatti, frutti e semi senza che abbia luogo la fecondazione, attraverso ilmeccanismo riproduttivo noto come “apomissia”.

Ne consegue che ciascuna pianta può generare una discendenza genotipicamente identicaall’individuo di partenza, quasi una sorta di “cloni”. Per tale motivo, le piante di una certa localitàtendono ad assomigliarsi tutte, presentandosi diverse però dalle piante presenti in altri luoghi.

Taluni botanici tendono a considerare queste diverse popolazioni di piante, frutto dellavariabilità individuale, come specie o sottospecie a sé stanti, dando origine ad una sistematicadel genere molto complicata anche per gli esperti del settore.

Di seguito verrà riportata la descrizione della specie Hieracium pilosella, e verranno citatealcune delle altre specie presenti nel territorio oggetto di studio, con la descrizione degli ambientidove sono più facilmente rinvenibili.

Per una più puntuale distinzione tra le varie specie e varietà, che esula dagli scopi delpresente lavoro ed insignificante dal punto di vista gastronomico, si rimanda a più specialistichepubblicazioni botaniche.

Hieracium pilosella

Nomi comuni: pelosella, sparviere pelosetto, orecchio di topo, lingua di gatto.Questa specie è una emicriptofita rosata, alta circa 20 centimetri, erbacea perenne, con

rizoma strisciante, da cui nascono una rosetta basale e diversi stoloni radicanti ai nodi.Questa pianta presenta due tipi di fusti. Alcuni striscianti, fogliosi e radicanti. Altri fioriferi e

senza foglie.Le foglie della rosetta basale sono spatolate e lanceolate, a margine intero, completamente

coperte di peli ispidi e quasi bianche nella pagina inferiore. Le foglie dei fusti striscianti sono piùpiccole, ovali-lanceolate e disposte con fillotassi alterna.

I flosculi, di colore giallo chiaro con sfumature rossastre, sono riuniti in capolini solitari dicirca 2 centimetri di diametro.

I frutti sono acheni con pappo setoloso.

La specie Hieracium pilosella è diffusa nelle radure erbose e nei pascoli elevati di tutto ilPartenio, tra i 1.000 ed i 1.400 metri di altitudine. Ma, come si è detto, nel comprensorio sonopresenti anche le seguenti entità vegetali:

- Hieracium pseudopilosella, molto simile alla precedente, rinvenibile nei pascoli rupestri postitra i 1.200 ed i 1.300 metri di altitudine (es. Ciesco Alto);- Hieracium florentinum (sin. Hieracium piloselloides subsp. piloselloides), frequente nei terrenisassosi ed incoerenti ed aridi, tra i 200 e gli 800 metri di altitudine (es. Pietra Maula, MonteFellino, ecc..);- Hieracium virgaurea, emicriptofita scaposa, nelle rupi più fresche ed umide di tutto il Partenio,tra i 300 ed i 1.000 metri di altitudine;- Hieracium pallidum, emicriptofita rosata, sulle pendici sassose e tra le rupi fresche, tra gli800 ed i 900 metri (es. Vallone Sorroncello);- Hieracium incisum, emicriptofita rosata, nelle faggete più rade, tra i 1.400 ed i 1.500 metri(es. Porca delle Pere);- Hieracium lachenalii, emicriptofita scaposa, negli ambienti erbosi e nelle radure dei boschi ditutto il territorio, tra gli 800 ed i 1.100 metri di altitudine;- Hieracium praealtum, emicriptofita scaposa, nelle pendici aride e negli ambienti erbosi tra i400 e gli 800 metri (es. Monte Fellino);- Hieracium sylvaticum, emicriptofita scaposa, nei boschi di latifoglie elevati, oltre i 1.300 metridi altitudine (Monti di Avella).

Le foglie, limitatamente a quelle più giovani, possono essere consumate lessate e condite.

RICONOSCIMENTO

DIFFUSIONE

USO GASTRONOMICO

RICETTE 122

104

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Hypochoeris radicata sub. neapolitana (L.)Scheda n. 34

Orecchie di gatto o Piattello

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: piattello, lingua di bue, (inalcune zone, similmente a quasi tutte lecichoraceae a fiori gialli, viene indicata anchecol nome di “cicoria selvatica”).

Il nome del genere deriva dal greco Hypo(sotto) e choiros (maiale), poiché pare che imaiali al pascolo brado si cibassero abitual-mente delle loro robuste radici fittonanti.

E’ una pianta erbacea perenne(emicriptofita rosata), diffusamente pube-scente, alta fino a 50 centimetri, con fustileggermente ramificati e con rade e piccolebrattee squamose sparse a spirale.

Le foglie sono raccolte in una rosettabasale e presentano lamina ovato-spatolatacon i margini grossolanamente ondulati edentature triangolari poco profonde.

Le infiorescenze, a capolino, coninvolucro emisferico e brattee lineari, raggiun-gono i 4-5 centimetri di diametro.

Le brattee del capolino si sovrappongonoe sono setolose lungo le nervature centrali;solo alcune di esse sono rivolte versol’esterno.

I fiori sono tutti ligulati ed hanno un coloregiallo-limone scuro. La ligula dei flosculiperiferici presenta l’estremità esterna concinque dentellature.

I frutti sono acheni con un pappo piumosoposto alla sommità di un lungopeduncolo.

Le radici sono bianche,fittonanti e profonde e, sespezzate, emettono un succolattiginoso.

RICONOSCIMENTO

Le giovani foglie sono commestibili e vengono consumate sia crude che cucinate.

DIFFUSIONELa Hypochoeris radicata

subsp. neapolitana, si trova neisiti erbosi e ai margini dei sentieridi tutto il territorio considerato, trai 100 e gli 800 metri di altitudine.Fiorisce a partire dal mese diaprile.

Risultano presenti anche lespecie:

- Hypochoeris glabra (terofitaerbacea) che condivide lo stesso habitat della specie precedente;

- Hypochoeris achyrophorus (terofita erbacea) che preferisce i pascoli aridi e sassosi posti trai 100 ed i 300 metri di altitudine (Monte Fellino, Tuoro di Sasso, Monte Pizzone, ecc..).

USO GASTRONOMICO

RICETTE 090

106

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Lactuca serriola (L.) o Lactuca scariola (L.)Scheda n. 35

uso sconsigliatoLattuga spinosa o Pianta-bussola

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Lactuca serriola,Lactuca scariola.

Nomi comuni: lattuga serriola,lattuga selvatica, lattuga spinosa,scaròla, lattona, erba bussola.

E’ una pianta erbacea annuale(terofita scaposa) o biennale(emicriptofita scaposa), in entrambi icasi emette l’asse fiorale allungato(scapo). Tutta la pianta si presentaricoperta di setole appuntite e, in casodi frattura del fusto, emette un laticebianco, da cui il nome di lattuga.

La principale caratteristica distin-tiva di Lactuca serriola risiede nellaparticolare disposizione della laminafogliare, che si presenta ruotata dicirca 90° nella zona dell’inserzionecon il picciolo, per cui la superficiedella lamina viene a trovarsi dispostaverticalmente invece che orizzon-talmente (foto a sinistra e a destra).

Molte sue foglie sono, inoltre,disposte in direzione Nord-Sud, pertale motivo questa pianta viene anchechiamata “pianta bussola”.

Le foglie, polimorfe, possonoessere in alcuni esemplari lanceolateed in altri pennate e sono spinulose sul bordo e sulla nervatura centrale della pagina inferiore.Quelle poste più in alto sono sessili, con due orecchiette alla base. Gli esemplari con foglielanceolate possono essere confusi con altre specie.

Il fusto di Lactuca serriola presenta la caratteristica di “ossificare”, diventando chiaro elegnoso al momento della fioritura. Generalmente è ramificato all’apice.

I capolini fiorali sono molto piccoli, di un colore giallo molto pallido, disposti in una pannocchiaassai estesa, con molte diramazioni laterali anche a partire dalla base del fusto. Le squamesono poste sui capolini in maniera spiralata e su più file. La fioritura avviene di solito in luglio-agosto; i fiori si aprono all’alba e si richiudono verso le dieci-undici di mattina, probabilmente perripararsi dalla eccessiva calura.

Normalmente la pianta non supera gli 80 centimetri di altezza, ma si sono trovati esemplarialti anche più di due metri.

Il frutto è un achenio compresso, brunastro, con un becco lungo e biancastro, sormontatoda un pappo bianco.

RICONOSCIMENTO

Questa pianta, leggermente tossica (anche se meno della Lactuca virosa), è stata spessousata nella medicina popolare utilizzando fusto, foglie e latice in aggiunta alla cicoria per ottenereeffetti narcotici. E’ compresa nella lista (Ministero della Sanità - 2006) delle piante il cui uso nonè ammesso negli integratori alimentari.

Ciononostante, essa viene usata nella gastronomia tradizionale, in piccole quantità, per illieve sapore amarognolo.

Gli autori della presente pubblicazione ne sconsigliano l’uso alimentare.

DIFFUSIONELa Lactuca serriola è presente nei coltivi e negli incolti di tutto il territorio, tra i 100 ed i 500

metri di altitudine. Inoltre, si rinviene facilmente anche lungo le strade, alla base di vecchi muri.

USO GASTRONOMICO

108

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Lapsana communis (L.)Scheda n. 36

Grespignolo o Erba delle mammelle

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: lassana, erba delle mammelle.Il nome del genere deriva dal greco “lapazein” ed dal latino “lampsana” e significa lassativa,

emolliente, per le sue proprietà erboristiche.E’ una terofita scaposa, ovvero una pianta erbacea annuale con asse fiorale allungato (scapo).

Questo, esile e cavo, si presenta privo di foglie e ramificato-corimboso nella parte superiore epuò giungere anche a 120 centimetri di altezza. Se spezzato non emette latice.

Le foglie inferiori sono picciolate-lirate, sinuate-dentate, acuminate, con il lobo terminale piùgrande. Le foglie del caule sono invece sessili, ovate-lanceolate, intere e dentate.

Talvolta può osservarsi uno scolorimento delle lamine fogliari dovuto all’attacco di un fungo,la “ruggine” il cui agente eziologico è un fungo microscopico (Puccinia lapsanae).

I numerosi capolini sono riuniti in infiorescenze cimose molto ramificate e presentanoinvolucro conico con due serie di squame: le interne lineari e le esterne più brevi ed ovali.

I fiori sono di colore giallo paglierino e tutti ligulati. L’antesi si verifica tra aprile ed ottobre.Il frutto è un achenio ricurvo, privo di pappo, con circa 20 strie longitudinali.

RICONOSCIMENTO

Nel territorio oggetto di studio è presente la Lapsana communis subsp. communis, tra i 200ed i 1.200 metri di altitudine, prevalentemente nei boschi e nelle boscaglie di latifoglie di tutto ilPartenio.

DIFFUSIONE

Le foglie primaverili vengono utilizzate in gustose insalate oppure, dopo essere state lessatee condite, anche come ripieno di torte salate, spesso insieme ad altre verdure.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 091

Castagneto ceduo

110

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Leontodon hispidus (Vill.)Scheda n. 37

Dente di leone

111

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Leontodon proteiformis.Nome comune: dente di leone comune.Il nome del genere (Leontodon) sta ad indicare il margine dentato delle foglie, quello della

specie (hispidus) si riferisce alla peluria che copre tutta la pianta.E’ una emicriptofita rosulata, ovvero una pianta erbacea perenne, con rosetta di foglie basali

e le gemme poste a livello del terreno.Si tratta di un’entità botanica molto polimorfa e variabile per dimensioni, forma delle foglie,

tipo e disposizione dei peli (da cui il sinonimo di “proteiformis”).La sua tassonomia risulta molto complicata, perché la distribuzione dei caratteri sembra

seguire le diverse condizioni ecologiche; ne consegue che molti autori operano suddivisioni indiverse sottospecie e varietà.

E’ alta sino a 60 centimetri ed è dotata di un grosso rizoma obliquo dal quale si dipartononumerose radici.

Le foglie sono lievemente dentate e più o meno pubescenti.Gli scapi fiorali portano un capolino solitario, pendulo prima della fioritura, composto da

flosculi ligulati gialli, pentameri, a volte con striature rossastre.L’involucro è cilindrico, più corto delle ligule, e porta due serie di stipole, di cui quelle inferiori

più corte. Esso è ricoperto, come pure il gambo, da una diffusa peluria.I frutti sono acheni, di colore bruno chiaro, con pappo di peli pennati disposti in due serie

(quelli esterni più brevi). Hanno le seguenti dimensioni: lunghezza 6-7,5 millimetri; larghezza0,7-0,9 millimetri; spessore 0,5-0,7 millimetri. Il peso di mille semi è di 1,3-1,5 grammi.

Esiste uno studio della FAO che la suggerisce come pianta utile per il recupero delle areemontane degradate: in tale lavoro si propone la semina di questa specie (con 10-12 kg/ha disemi), in file distanziate di 15-25 centimetri, per ottenere, in tre raccolti l’anno, tra i 60 ed i 180kg/ha di semi, oltre la parte erbacea, utilizzabile anche come foraggio.

Una importante caratteristica di questa pianta sembra essere che essa, a causa delprofondo apparato radicale, è molto resistente anche in ambienti aridi.

RICONOSCIMENTO

Nell’areale oggetto di studio sono presenti, oltre al Leontodon hispidus subsp. hispidus (neipascoli e nelle rupi elevate dei Monti di Avella, tra i 1.300 ed i 1.598 metri), anche le specie:

- Leontodon hirtus, nei pascoli e rupi di vetta, tra i 1.200 ed i 1.598 metri (Ciesco Alto, CiescoBianco);

- Leontodon crispus subsp. crispus, nelle radure dei boschi di faggio dei Monti di Avella;- Leontodon cichoraceus, nelle radure erbose e nei pascoli di tutto il Partenio, tra i 200 ed i

1.200 metri, e nei Monti di Quindici.

DIFFUSIONE

Questa pianta rappresenta un ottimo foraggio per il bestiame ed è normalmente usata inerboristeria come diuretica.

Per l’alimentazione umana si può adoperare tutta la pianta, compresa la radice (moltoapprezzata soprattutto quella della specie Leontodon tuberosus, la quale sembra che da noinon sia presente).

La parte aerea del Leontodon hispidus può essere usata sia fresca che bollita, oppure saltatain padella.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 001 - 085 - 092 - 145

112

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Picris (o Helminthia) echioides (L.)Scheda n. 38

Aspraggine pungente o Viperina

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Helminthia echioides.Nomi comuni: aspraggine volgare, aspraggine pungente, viperina.Il nome del genere deriva dal greco, con il significato di amaro, per il sapore del latice bianco

che fuoriesce quando si spezzi il fusto. Il nome della specie proviene dal latino e si riferisce alfatto che sia le foglie che il frutto sono ruvidi e muniti di aculei.

La specie Picris echioides è una terofita erbacea, annuale, con fusti ramificati e striati,presentanti talora una sfumatura rossastra. La pianta può essere alta da 30 a 60 centimetri e sipresenta ricoperta di peli rigidi e setolosi.

Le lamine delle foglie basali hanno forma spatolata e sono portate da un piccolo picciolofinemente alato. Le foglie superiori sono invece lanceolate, con margini ondulati, sessili eparzialmente amplessicauli (con la base che abbraccia il fusto). Alcuni peli fogliari hanno basibulbose bianche, simili a verruche, portanti tre uncini ricurvi all’apice.

I capolini (diametro 2,5 cm) sono subsessili, portati da corti peduncoli, e riuniti in gruppi di 2-4 alla sommità di ognuna delle ramificazioni del fusto. Ciascun capolino è formato da flosculiligulati gialli con quelli esterni presentanti una venatura ventrale violetta e portanti cinque piccolidenti all’estremità distale. Ogni capolino, pubescente come il resto della pianta, è circondato daun involucro di strette brattee lineari interne, attorniato da tre-cinque brattee triangolari esterne,leggermente divaricate verso l’esterno, ma non retroflesse.

Il frutto è un achenio provvisto di un lungo rostro, senza costole longitudinali.Periodo di fioritura: giugno-settembre.

RICONOSCIMENTO

Nel territorio considerato, questa specie è comunissima sia nei coltivi che negli incolti di tuttala fascia basale, con maggiore frequenza tra i 100 ed i 300 metri di altitudine.

DIFFUSIONE

Nonostante l’aspetto poco rassicurante, in passato questa pianta veniva correntementeconsumata, bollita o sott’aceto.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 085 - 097

Il geologo Stefano Lanziello accanto ad un faggio secolare

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Picris hieracioides (L.)Scheda n. 39

Aspraggine comune

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: aspraggine comune, lattaiola.E’ una emicriptofita scaposa, pianta erbacea biennale, con fusto eretto e angoloso, ramoso-

corimboso in alto, privo di spine (carattere che lo distingue dalla specie precedente) ma taloraricoperto di peli ispidi. Se spezzata, lascia fuoriuscire un latice acre.

Le foglie basali, raccolte in rosetta, presentano lamina spatolata (2-5 x 10-20 cm), conmargine dentato o lobato. Le foglie cauline sono sessili ed amplessicauli, da ellittiche a lanceolate,con margini dentati. Le foglie superiori, di dimensioni minori, lineari-lanceolate, hanno margineintero e talora possono essere ricoperte di peli lungo il margine.

I fiori (flosculi) sono tutti ligulati e di colore giallo e raccolte a formare la classica infiorescenzaa capolino.

I capolini, con involucro a bicchiere slargato verso l’alto, del diametro di due o tre centimetri,presentano sul ricettacolo alcune squame con punta rivolta verso l’esterno. Sono raccolti,raggruppati in numero di 3-7, in lassi racemi, posti alle estremità delle ramificazioni del fusto.

Il frutto è un achenio fusiforme, con striature trasversali e pappo non persistente, almenonei fiori centrali.

RICONOSCIMENTO

Nel territorio oggetto del presente lavoro Picris hieracioides è presente con le due sottospecie:- subsp. hieracioides, diffusa tra gli incolti e le siepi di tutto il massiccio, tra i 100 ed i 1.100 metri di altitudine;- subsp. grandiflora, diffusa sulle pendici erbose di vetta e nei pascoli di alta quota, fra i 1.200 ed i 1.598 metri di altitudine (es. Ciesco Alto, Porca delle Pere, ecc..).

DIFFUSIONE

Di questa pianta vengono usate, di preferenza, le foglie della rosetta basale o quelle piùtenere sparse lungo il fusto, che possono essere bollite, saltate in padella oppure usate perripieni.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 085 - 097

Bovini al Campo di Summonte

116

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Reichardia picroides (L.) o Picridium vulgare (Desf.)Scheda n. 40

Caccialepre

117

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: caccialepre, insalata di montagna.Il nome del genere deriva da quello del botanico e medico tedesco J.J. Reichard, quello

della specie dal suo gusto amarognolo e pungente.La specie Reichardia picroides è una emicriptofita scaposa. E’ una pianta erbacea perenne

alta dai 20 ai 50 centimetri, piuttosto polimorfa, glauca o glabra.Possiede una radice legnosa, allungata e ingrossata, dalla quale fuoriesce un latice dolciastro.Alla base presenta una rosetta di foglie basali, allungate-obovate, dalla conformazione molto

variabile (intere o pennatosette con lobi patenti) frastagliate ed increspate.In primavera inoltrata crescono i fusti eretti o prostrato-diffusi, cilindrici-angolosi, indivisi o

ramificati in due o più biforcazioni, portanti foglie mediane simili alle basali, ma sessili eamplessicauli, e le superiori ridotte e più o meno intere.

I fiori (flosculi) tutti ligulati, sono di colore giallo e, quelli esterni, con una striscia scura brunao purpurea sul lato ventrale.

Le infiorescenze, a capolino, possono essere in numero da 1 a 5 e sono portate da lunghipeduncoli che si dipartono dalla parte terminale delle ascelle delle foglie. Sono percorse danumerose piccole brattee ovate, acuminate, con il margine di consistenza cartacea. L’involucroè di forma globosa, più o meno strozzato in alto, con brattee esterne a forma di cuore rovesciato.

I frutti sono acheni delle dimensioni di 2 o 3 millimetri. Quelli esterni sono scuri e rugosi,quelli interni lisci, di colore più chiaro e generalmente sterili.

RICONOSCIMENTO

Le foglie più tenere della rosetta basale possono essere consumate crude e costituisconouna gustosissima insalata.

Vengono utilizzate anche bollite o saltate in padella.

USO GASTRONOMICO

DIFFUSIONELa specie Reichardia picroides è diffusissima nei pascoli più aridi e nelle garighe di tutto il

massiccio (tra i 100 ed i 1.400 metri di altitudine). Un tempo era molto apprezzata dai pastori.

RICETTE 098 - 145

Bovini nei pascoli dei Monti di Avella

118

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Scolymus hispanicus (L.)Scheda n. 41

Cardogna o Cardo giallo

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: cardogna, cardo giallo.Scolymus corrisponde al nome col quale gli antichi greci chiamavano un tipo di cardo con

spine, la cui radice era commestibile. Mentre hispanicus si riferisce alla sua presunta originespagnola.

La specie Scolymus hispanicus è una emicriptofita biennale, ovvero una pianta erbacea congemme poste al livello del suolo. E’ -come tutti i cardi- una pianta molto spinosa ed è dotata diuna robusta radice a fittone.

Presenta il fusto epigeo a portamento ramoso-corimboso, con ali brevi ed interrotte.Le foglie, pennatopartite o pennatosette, hanno dimensioni variabili tra i 5 ed i 15 centimetri,

con denti profondi, spine robuste, lamina verde, non o scarsamente coriacea. Le foglie superiorisono largamente amplessicauli.

I capolini, sia ascellari che terminali, sono generalmente avvolti da tre brattee provviste dispine larghe circa quanto l’area centrale indivisa. Sono presenti squame lesiniformi, che siassottigliano progressivamente in punta acutissima.

I fiori sono tutti del tipo ligulato, con corolla ed antere gialle.Il frutto è achenio ovoide-compresso, con piccola coroncina e setole (da 2 a 4) caduche.Fioritura: da giugno a agosto.

RICONOSCIMENTO

Nonostante l’aspetto selvatico e spinoso non inviti a raccoglierlo, questo cardo può vantareottime qualità gastronomiche.

La radice carnosa, che in tempo di carestia veniva tostata ed utilizzata come succedaneadel caffè, risulta ottima se bollita o stufata e condita con l’ottimo olio d’oliva locale.

Le coste, mondate accuratamente delle spine e delle foglie, possono essere cucinate siafritte, sia lesse, sia arrostite, ed hanno un sapore più intenso dei carciofi.

DIFFUSIONEQuesto cardo è diffuso nelle aree ruderali di tutto il piano basale, tra i100 ed i 400 metri di

altitudine.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 100

Gregge di pecore nell’Alto Clanio (Avella).

120

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Silybum marianum (L.) (Gaerin)Scheda n. 42

Cardo mariano

121

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Carduus marianus, Silybum mariae, Silybum maculatum.Nomi comuni: cardo mariano, cardo degli asinelli.Il nome del genere deriva dal greco silybon, termine col quale veniva indicato un cardo con

le foglie screziate. Il nome della specie, marianum, è dovuto alla leggenda secondo la quale lemacchie bianche sulle foglie vennero causate dalle gocce di latte cadute dal seno della VergineMaria mentre nascondeva al petto il bambino Gesù, durante la fuga in Egitto.

La specie Silybum marianum è, biologicamente, una emicriptofita biennale (pianta erbaceacon gemme poste al livello del suolo).

Molto spinosa. Nel primo anno produce una rosetta di foglie e nel secondo lo scapo fiorale,alto finanche un metro e mezzo.

Le foglie, della lunghezza di 30-40 centimetri, sono di un bel colore verde lucente ed hannola superficie macchiata di bianco. I margini sono spinosi ed ondulati, lobato-dentati, con lobitriangolari terminanti con una robusta spina. Le foglie inferiori sono picciolate mentre quelle delfusto sono sessili, amplessicauli e meno profondamente dentate.

I fiori, tutti ligulati, e di colore violaceo o porpora, sono riuniti in capolini apicali muniti dibrattee spinose.

I frutti sono acheni ovali e oblunghi di colore scuro e sormontati da un breve pappo di setolebiancastre. Gli acheni contengono silimarina, sostanza ad effetto epatoprotettivo e ad azioneantagonista nei confronti di diverse sostanze epatotossiche (come ad esempio la falloidina el’alfa-amanitina, tossine del fungo velenoso Amanita phalloides).

Fiorisce da aprile a luglio.

RICONOSCIMENTO

Questa specie vegeta nei campi incolti, nei pascoli, lungo i margini dei sentieri e tra le macerie,dalla pianura sino agli 800 metri di altitudine.

DIFFUSIONE

I teneri germogli centrali, raccolti in primavera, vengono mangiati crudi in insalata ed hannoil classico sapore del cardo.

Molto apprezzati dai buongustai sono anche i ricettacoli dei fiori (capolini) che vengonopreparati alla stregua dei carciofi e possono essere conservati sotto olio o sotto aceto.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 046 - 047 - 048

Monti di Avella: Piano di Lauro o Piano di Rapillo.

122

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sonchus spp.Scheda n. 43

Sonchus oleraceus

Sonchusoleraceus

Sonchusoleraceus

Sonchushispidus

Crespigno o Cardillo

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: crespigno spinoso, cardillo.Questa specie assume le forme biologiche di terofita scaposa o di emicriptofita bienne. E’

una pianta erbacea, con radice a fittone, che può giungere fino ad un metro di altezza.Il fusto è robusto, cavo, fragile, poco ramificato e striato. Se viene spezzato produce un

latice bianco.Le foglie, leggermente pungenti, si presentano lucide e spesse e ricordano vagamente

quelle dei cardi (da cui il nome comune locale di “cardillo”). Hanno lamina da indivisa a sinuato-dentata a pennatifida. Quelle basali sono numerose, quelle del caule rade ed amplessicauli,con orecchiette appressate ed arrotondate.

La variabilità della forma delle foglie ha portato alla classificazione di parecchie sottospecie,ma si tratta di taxa poco consistenti e di scarso valore sistematico.

Le infiorescenze, rappresentate dal classico capolino, sono raccolte in cime ombrellifere,con involucro glabro e bombato. Talora i capolini si presentano fioccosi alla base e con il peduncololungo 10-15 mm, coperto di brevi ciglia.

I flosculi, tutti ligulati, sono di colore giallo e talvolta rossastri all’esterno. Sono ermafrotidi evengono impollinati prevalentemente dalle api.

I frutti sono acheni lisci, a coste longitudinali, sormontati da un pappo bianco.Questa specie è diffusa ovunque ma prevalentemente negli ambienti aridi e ruderali, tra i

100 ed i 300 metri di altitudine (es. Monte Fellino, Vallone Aquaserta).

Nomi comuni: crespigno comune, cicerbita.Si distingue dall’asper per le sue foglie molli, tenere, non spinose, opache e quelle cauline

con orecchiette patenti e foglie generalmente con contorno più o meno spatolato, le inferiorilobate o incise, le superiori acute alla sommità. I frutti sono acheni spinulosi.

Questo “crespigno” è comunissimo negli ambienti antropizzati aridi, tra i 100 ed i 400 metri dialtitudine (es. Tuoro di Sasso, Monte Fellino, Tora, ecc..).

Nome comune: crespigno dei campi.E’ una pianta molto ramosa nella parte superiore, con foglie glabre, glandolose, di un verde

chiaro, sinuate-pennatofide, leggermente dentate-spinescenti.Presenta la caratteristica di avere i capolini fioccosi, con peduncolo ed involucro ricoperti di

peli glandolosi. Gli acheni presentano superficie rugosa.Comune negli ambienti erbosi ed aridi di tutto il massiccio del Partenio, tra i 100 ed i 1.000

metri di altitudine.

Nome comune: crespigno tenero.Si distingue per le squame del tubo della corolla, più lunghe che nelle altre specie. Inoltre, quelle

esterne hanno una banda purpurea. La parte inferiore del capolino è bianca. Le foglie sono pennato-partite, con i lobi leggermente ricurvi. Gli acheni posseggono quattro costole longitudinali.

Comunissimo nei luoghi sassosi ed aridi, tra i 100 ed i 300 metri di altitudine (es. PietraMaula, Monte Fellino, Tuoro di Sasso, Campimma, ecc..).

Queste piante erbacee si possono raccogliere quasi ovunque ed in ogni stagione dell’anno,ma il periodo migliore è fine inverno-inizio primavera, quando le rosette raggiungono il massimodella loro tenerezza e del loro sapore. Sono commestibili ed ottime sia crude che cotte, e sonoritenute più gustose degli spinaci. Si usano nelle zuppe di verdure, miste con altre erbe, oppureper preparare ripieni, gustosi tortini e saporite frittate.

Nel territorio oggetto di studio è molto ricercato, come insalata fresca, soprattutto il “cardillo”(S. hispidus) per le sue foglie croccanti, anche se spinose (spinosità che si attenua aggiungendoun po’ di aceto ed aspettando alcuni minuti che le foglie si ammorbidiscano). Le altre specievengono consumate prevalentemente bollite e per ripieni. Questi “crespigni”, come tutte le altrecicorie selvatiche, contengono un latice bianco, assolutamente innocuo. Nel passato le radici, alpari di altre cichoriaceae, venivano tostate, macinate ed usate come succedanee del caffè.

Sonchus asperIl nome del genere Sonchus deriva dal greco e significa “cavo”, con riferimento al fusto.

Sonchus oleraceus

Sonchus arvensis

Sonchus tenerrimus

RICETTE 002 - 021 - 099 - 109 - 140 - 145

124

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Taraxacum officinale (Weber)Scheda n. 44

Tarassaco

125

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: tarassaco, dente di leone,dente di cane, piscialetto, soffione, cicoria matta,cicoria selvatica, girasole selvatico, radicione.

L’origine del nome del genere è incerta: forsederiva dal persiano “erba amara”, o dal greco“taraxis” (guarisco) con riferimento alle proprietàmedicinali della pianta.

E’ una emicriptofita rosata. E’ una piantaerbacea perenne, alta fino a 40 centimetri, diaspetto molto variabile, provvista di una rosettabasale di foglie e di una grossa radice a fittone,bianca all’esterno e scura all’interno. L’estremavariabilità della specie è dovuta al fatto che i semipossono prodursi anche per autofecondazione:in tal modo le differenze fra individui siconservano e così anche la diversitàmorfologica.

Le foglie, raccolte in una fitta rosetta basale,sono lanceolate, lobate, a margine dentato,roncinate, con picciolo evidente, taloralargamente alato.

Lo scapo fiorale può essere glabro otomentoso, cavo, e se spezzato emette un laticebianco.

I fiori (flosculi), ligulati e di color giallo dorato,sono portati in un capolino solitario all’estremità di un lungo scapo afillo. I capolini, del diametrodi 2 - 4 centimetri, presentano la caratteristica di avere l’involucro dotato di squame esternelineari e fortemente ripiegate verso il basso.

Fioritura: da febbraio a maggio.I frutti sono acheni grigiastri, con un sottile becco, sormontati da un pappo di setole bianche,

peduncolato ed allargato ad ombrello (il caratteristico globo piumoso dal quale deriva uno deinomi volgari della pianta: “soffione”).

RICONOSCIMENTO

Il tarassaco è una pianta molto ricercata dagli intenditori.Le sue foglie, bollite o saltate in padella, sono un contorno prelibato.I petali e le giovani foglie possono esser preparati in insalata.I boccioli dei fiori possono essere conservati sotto aceto oppure canditi.La radice, essiccata e tostata, è un succedaneo del caffè; cruda è invece ottima in pinzimonio.Tutta la pianta può essere usata per preparare vino, birra e amari.

DIFFUSIONECome già accennato, questa specie presenta un accentuato polimorfismo, che talora induce

ad attribuire ad alcuni individui un taxon diverso. D’altra parte, non tutte le specie del generesono state censite. Tutte, comunque, sono commestibili allo stesso modo, per cui si possonoraccogliere e consumare con la massima tranquillità.

Nel territorio oggetto di indagine risultano presenti le seguenti specie del genere Taraxacum:- Taraxacum officinale, comune ovunque, alle quote meno elevate di tutto il territorio, tra i 200

e gli 800 metri di altitudine;- Taraxacum laevigatum, frequente nei pascoli aridi e sassosi di tutto il Partenio, tra i 1.200 ed

i 1.400 metri di altitudine (Campo San Giovanni, Piano di Rapillo, ecc..);- Taraxacum appenninum, nei pascoli di tutto il Partenio, a quote leggermente più basse di

quelle tipiche della specie precedente, tra i 900 ed i 1.300 metri di altitudine.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 054 - 055 - 056 - 057 - 066 - 137 - 145 - 150

126

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Tragopogon pratensis (L.)Scheda n. 45

Barba di caprone

127

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nome comune: barba di caprone.Il nome del genere, attribuito a Dioscoride, medico ellenico vissuto nel I secolo d.C., deriva

dal greco: trágos (caprone) e pogón (barba). Secondo alcuni per la caratteristica peluria chefuoriesce dal suo capolino chiuso e, secondo altri, per le numerose radichette che coprono larobusta radice a fittone.

Tragopogon pratensis è una specie con il comportamento biologico di una emicriptofitascaposa. È una pianta erbacea, eretta, blu-verde, debolmente ramificata. Altezza 30 – 70 cm.

I fiori, sempre gialli e ligulati, sono portati all’estremità dello scapo fiorale, riuniti in unainfiorescenza solitaria a capolino (che si trasforma poi nei classici “soffioni”).

I capolini di questa pianta, aventi diametro fino a circa 5 centimetri, si aprono presto almattino e si chiudono verso mezzogiorno. I verdi ricettacoli sono tubuliformi e rigonfiati alla basee non presentano appendici.

Le foglie, lanceolate e appuntite, solcate, guainanti il fusto tanto da renderlo quasi nodoso,sono simili a quelle delle graminacee e consentono la facile distinzione dalle altre asteracee afiori gialli. Fiorisce da aprile a giugno.

I frutti sono minuscoli acheni fusiformi che presentano un pappo con lungo peduncolo, allacui sommità vi sono peli piumosi ma rigidi.

Tragopogon pratensis è presente sui Monti di Avella con lasubspecie “pratensis”, nelle praterie elevate, ad altitudini compresetra i 1.200 ed i 1.500 metri.

Sui Monti di Avella e sul Monte Vallatrone è stata rinvenuta anchela subspecie “orientalis” precedentemente nota solo per le Alpi e pergli Appennini centro-settentrionali (Pignatti, 1982).

Diffusissima, su tutto il territorio oggetto di studio è la specieTragopogon porrifolius, con la subspecie “porrifolius”, con squamepiù lunghe dei fiori, che è facile rinvenire tra gli incolti e negli ambientiruderali in tutta la fascia basale, tra i 200 ed i 400 m slm, e con lasubspecie “eriospermus”, con squame più corte dei fiori, presente negliincolti aridi elevati, tra i 1.000 ed i 1.300 m slm.

Comune è, infine, il Tragopogon dubius, diffuso nei terreni aridi edincoerenti del Vallone Sorroncello, Monti di Avella, Monti di Lauro e diQuindici.

La pianta è interamente commestibile e vieneusata per preparare minestre e saporite frittate. Èconsigliabile raccoglierla prima della fioritura, quandosi presenta più tenera. I giovani germogli, lessati ofritti, competono in prelibatezza con i più conosciutiasparagi. Ma la parte più apprezzata è costituita dalleradici che, secondo alcuni estimatori, avrebbeaddirittura il sapore delle ostriche. Esse possonoessere bollite e condite con olio ed aceto. Oppuretagliate a fettine ed arrostite. Bollite nel latte, invece,erano considerate un tonico eccellente.

Il T. porrifolius (noto come “scorzobianca”), dalleradici più robuste, è coltivabile anche negli orti. Dapreferire la varietà “Mammouth”, che va seminata inmarzo-aprile al Sud e nel mese di maggio al Nord.

RICONOSCIMENTO

DIFFUSIONE

USO GASTRONOMICO

T. porrifolius

T. dubius

RICETTE

T. pratensis

058 - 059 - 101

128

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Urospermum spp.Scheda n. 46

Urospermum picroides

Urospermum dalechampii

Urospermumdalechampii

Boccione

129

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Urospermum dalechampiiIl nome del genere proviene dal latino uro (brucio) e spermum (seme) per il colore nero degli acheni.

Sinonimo: Arnopogon dalechampii.Nomi comuni: boccione maggiore, cicoria amara, lattugaccio.Questa specie è una emicriptofita scaposa. E’ una pianta erbacea perenne con scapo eretto,

alto da 25 a 40 centimetri, e ricoperto da fine peluria vellutata.Le foglie basali, raccolte in una rosetta più o meno compatta, presentano una certa variabilità

nella forma e nelle dimensioni. La loro lamina, lanceolata e pennato-partita, può (eccezionalmente)giungere fino a circa 20 centimetri di lunghezza. Le foglie cauline, più piccole, sessili edamplessicauli, sono spesso prive di dentellatura.

Gli scapi fiorali sono cavi all’interno, cilindrici e slargati alla giunzione con l’involucro lanuginosoa coppa.

I capolini fiorali, solitari sono facilmente riconoscibili per il loro diametro (che può raggiungereanche i 6 centimetri) e per la particolare disposizione frastagliata delle ligule dei flosculi posti piùperifericamente. I flosculi, ermafroditi e di forma lanceolata, hanno 5 minuscoli denti all’apice.Sono di colore giallo limone o giallo zolfo e, quelli periferici, sono spesso striati di rosso nellaparte inferiore.

Il frutto è un achenio nero con un becco obliquo ed un ciuffo di peli scuri e piumosi.Fiorisce da marzo ad agosto.E’ frequente nei prati e nelle pendici aride, tra i 100 ed i 600 metri di altitudine (es. Monte

Fellino, Pietra Maula, Campimma, ecc..).

Nome comune: boccione minoreEmicriptofita scaposa. E’ una pianta erbacea annuale, più o meno ispida.Lo scapo è eretto, ramoso, ispido e può raggiungere un’altezza di oltre 60 centimetri.La radice è fittonante e relativamente profonda.Le foglie sono di forma variabile, da quasi intere fino ad irregolarmente divise, a margini

dentati.I capolini sono generalmente più di 2 (fino a 6 o più), da 2 a 4 centimetri di diametro. I

flosculi, tutti ligulati, sono di colore giallo chiaro. L’involucro è setoloso, con peli lunghi alcunimillimetri. Il frutto è un achenio striato, con becco rigonfio alla base.

Questa specie si distingue dalla precedente, oltre che per essere ispida, per i capolini piùpiccoli e più numerosi.

E’ una entità botanica comunissima in tutto il territorio, tra i 100 ed i 600 metri di altitudine.Peferisce terreni aridi ed incoerenti.

Urospermum picroides

Queste piante vengono utilizzate alla stregua delle altre “cicorie selvatiche” sin qui trattate,dalle quali si distinguono per una sottile sfumatura “selvatica”.

Le foglie giovani sono utilizzate, previa cottura, assieme ad altre erbe passate in padella oper preparare il ripieno per pizze salate.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 104

Cavalli al pascolo brado nel Campo San Giovanni

130

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Nel corso delle ricerche effettuate, il giovanissimo Antonio De Rosa (nella foto sopra) ha rinvenuto,su un muretto, un Sonchus spp dall’anomala colorazione antocianica (rossastra). Nessun Sonchusspp di colore rossastro era mai stato segnalato in zona, per cui inizialmente egli ha ipotizzato diessersi imbattuto in una nuova entità botanica (della quale ha provveduto a conservare i semi inuna piastra Petri) da lui denominata scherzosamente “Sonchus dubius”. Ma, ipotizzando che

tale strana colorazione potesse anchederivare da una carenza nutrizionale (ad es.di magnesio) il giovane “botanico” ha decisodi trapiantare una delle piantine “anomale”in un normale terreno agrario ed osservarneil comportamento. Egli ha così potutoconstatare il graduale “viraggio” del coloredella piantina da rosso a verde (vedi foto inbasso a destra) e confermare l’ipotesi che lasua colorazione anomala fosse stata indottada un fattore nutrizionale.

131

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Equisetaceae

A differenza di tutte le altrepiante trattate in questo libro,che sono Angiosperme (piantecon semi racchiusi in un frutto),dette anche Antofite (piantecon fiori veri), la famiglia delleEquisetaceae appart iene,invece, alla divisione botanicadelle Gimnospermae (piantecon seme nudo), come adesempio le conifere (abeti, pini,ecc..).

Più precisamente, lafamiglia delle Equisetaceae èinclusa nel la classe del lePteridophytae, che comprendele comuni felci.

Tali piante si riproducononon per semi ma per spore.Queste si formano in sporangisituat i al margine degl isporofi l l i , che sono fatt i a“capocchia di chiodo” edisposti a verticilli nella parteterminale dei fust i aerei ,costituendo quindi un abbozzo di fiore primitivo, cilindrico o ovoidale.

L’apparato vegetativo consta di un rizoma che sviluppa fusti aerei articolati, confoglie pluriverticillate, squamiformi, connate in modo da formare una guaina.

Le Equisetaceae contano 30 specie diffuse in gran parte del globo, appartenentealle sfenofite, piante di antichissima origine che costituivano enormi foreste paludosenel carbonifero.

Nelle flora attuale questa famiglia è rappresentata dal solo genere Equisetum, costituitoda piante erbacee conosciute col nome di equiseti o “code di cavallo”, a causa dellacaratteristica forma costituita da un asse ramificato con numerosi verticilli sovrapposti.

Questo genere presenta rizoma lungo, orizzontale, articolato. Rami di primo ordineverticali, lunghi, articolati, omomorfi o dimorfi. Rami di secondo ordine verticillati,più o meno orizzontali, articolati. Fronde verticillate, piccole, fuse in una guainadentata che circonda un nodo. Sporofilli trasformati in scudetti peduncolati,sporangiferi, raggruppati nei verticilli di uno strobilo terminale. Spore sferoidali, fornitedi quattro amplessori (elateri).

Piante eteroprototalle, vivono per lo più in ambienti umidi, (acquitrini e sponde dilaghetti, fossi e corsi d’acqua) dove danno luogo sovente a colonie anche di ampiedimensioni.

Accumulano oltre alla silice, che riveste le pareti esterne e che le rende pericoloseper il bestiame, anche minerali insoliti tra i quali persino l’oro.

132

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Equisetum arvense (L.)Scheda n. 47

uso sconsigliatoCoda di cavallo

133

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: equiseto dei campi, coda di cavallo.Il nome deriva dal latino equus (cavallo) e saetula (setola), per la sua somiglianza con la

coda del cavallo.Questa pianta è una pteridophita, ovvero una felce.Ha la forma biologica di una “geofita rizomatosa” erbacea. Pertanto è provvista di un organo

sotterraneo, in questo caso un rizoma ingrossato, spesso munito di più tuberi sferoidali, dalquale ogni anno germoglia la parte epigea.

L’equiseto presenta duplice forma vegetativa. Dapprima, da marzo a maggio, compare laforma fertile, di colore chiaro, alta sino a 20 centimetri, non ramificata (vagamente somigliantead un grosso asparago) ad apice allargato ricoperto di sporangi ocracei e guaine di colorebruno ricoprenti i nodi. Successivamente, in primavera inoltrata, compare la forma sterile, verde,con 20-40 coste e cavità centrale pari a 1/3 del totale, rami verticillati densi, i superiori allungatie superanti l’apice vegetativo.

Questa pianta, essendo una felce, non presenta fiori ma sporofilli riuniti in sporangi (spigadi sporangi, a forma di minareto, di colore ocraceo, lunga all’incirca 3 centimetri e posta in cimaal pallido turione): non produce frutti e semi, ma minutissime spore.

RICONOSCIMENTO

I fusti fertili, di precoce apparizione alla fine dell’inverno, vanno preparati avendo l’accortezzadi togliere le guaine membranose, presenti ai nodi, ed i bruni sporangi dalla spiga superiore.

Vanno, poi, accuratamente lavati e lasciati a bagnomaria in acqua e limone per qualche ora.Poi si possono cucinare e consumare allo stesso modo degli asparagi, pur possedendo un

gusto decisamente particolare.

Il medico senese P.A. Mattioli, così scriveva, nel XVI secolo, nel suo celeberrino “Erbario” aproposito di questa gustosa felce: «Produce questa, quasi nel nascimento suo, un certo germogliogrosso e tenero, simile a una ghianda, il quale chiamano i nostri maremmani Sanesi Paltrufali,usati da loro nei cibi la quaresima, prima cotti lessi nell’acqua, e poi infarinati e fritti nella padellain cambio di pesce».

n.b. La specie affine Equisetum palustre (L.), equiseto delle paludi, è inclusa nella “Lista piantenon ammesse negli integratori alimentari” (Ministero della salute - 2006), per cui se ne sconsiglial’uso gastronomico.

DIFFUSIONENel territorio del Baianese e nel Lauretano la specie Equisetum arvense è diffusa in tutti i

luoghi umidi e nel letto dei corsi d’acqua, seppure a regime torrentizio, di tutto l’areale (es.Vallone di Quindici, Vallone Sorroncello, Vallone Acquaserta, Vallone Mandrini, ecc.).

Oltre questa specie, diffusa dal piano basale fino ad oltre 1.000 metri di altitudine, sonopresenti, negli stessi ambienti, le specie:

- Equisetum ramosissimum, a quote comprese tra i 100 ed i 500 metri di altitudine;- Equisetum telmateia, a quote superori ai 500 metri di altitudine.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 029

134

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Graminaceae

La famiglia delle Graminaceae o Poaceae, appartenente alla classe dellemonocotiledoni, è suddivisa in circa 500 generi, comprendenti oltre 8.000 specie, di cuicirca 350 presenti in Italia.

Ai fini alimentari, hanno enorme importanza soprattutto le specie appartenenti algruppo delle piante cereali1 e la canna da zucchero.

Le Graminaceae sono piante erbacee, perenni o annuali, con il fusto (culmo) articolatoin nodi (pieni) ed internodi (cavi), talora piuttosto lignificato (Bambuseae). Si spingono atutte le latitudini, con notevole escursione altimetrica. In alcune aree arrivano a costituirefitte formazioni vegetali molto estese alle quali conferiscono una particolare fisionomia(praterie, steppe, savane).

Le foglie, parallelinervie, sono costituite da una guaina, avvolgente il culmo, ed unlembo, allungato, che si stacca nettamente dalla guaina in corrispondenza di una piccolastruttura membranosa detta ligula. Talora sono presenti anche le auricole, abbracciantiil culmo.

I fiori sono sempre raccolti in particolari infiorescenze, denominate spighette, riunitea loro volta in spighe o pannocchie.

La spighetta può essere uniflora o multiflora. Essa è provvista di un asse, denominatorachilla, portante alla base 2 brattee opposte (glume) al di sopra delle quali si trovano ifiori. Alla base di ciascun fiore si trovano altre due glumette, di cui l’inferiore prende ilnome di lemma, e la superiore, molto piccola e generalmente racchiusa dalla precedente,è chiamata palea. Glume e lemma possono essere provviste di un’appendice allungata,denominata resta e, in tale caso, vengono dette “aristate”.

Nel fiore si osservano levestigia del perianzio, costituiteda 2 o 3 lodicole, di consistenzamembranosa, alle quali segue

1 Specie vegetali in grado di produrre“granella”, costituita da cariossidi seprovenienti da graminacee, o da acheni seprovenienti dal grano saraceno (Polygonaceae:Fagopyrum esculentum) o dalla quinoa(Chenopodiaceae: Chenopodium quinoa),utilizzata per produrre farina. Il termine“cereale” deriva da Cerere, Dea latinadell’agricoltura.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

l’androceo (parte maschile) formato tipicamente da 3 stami. Il gineceo (parte femminile),costituito in origine da 2 o 3 carpelli, è uniloculare e contiene un solo ovulo. L’androceoè costituito da 2 o 3 stimmi piumosi. L’impollinazione è anemofila.

La formula fiorale è: P 2-3, A 3, G (1).Il frutto, costituito da una cariosside, contiene un seme con endosperma ricco di

amido. Le Graminaceae vengono distinte, in base alla struttura della spighetta, in varietribù: Agrostideae, Andropogoneae, Aveneae, Bambuseae, Festuceae, Hordeae,Maydeae, Paniceae, Phalarideae e Oryzeae.

La coltivazione dei cereali, grazie alla produzione di cariossidi di ottima qualità nutritivae, soprattutto, facilmente conservabili per lunghi periodi in semplici depositi, è alla basedello sviluppo delle prime società civilizzate tanto nel Vecchio che nel Nuovo Mondo.

Tra i cereali più importanti si ricordano il frumento, con le sue 2 specie principali:il grano duro (Triticum durum) ed il grano tenero (Triticum aestivum). E poi ancora ilfarro (Triticum turgidum), l’orzo (Hordeum vulgare), la segale (Secale cereale),l’avena (Avena sativa), il riso (Oryza sativa) ed il mais o granoturco (Zea mays),originario del centroamerica. Nelle regioni tropicali dell’Africa e dell’Asia orientalesono molto diffusi, oltre al riso, il miglio (Panicum miliaceum), il sorgo (Sorghumbicolor) ed il panìco (Setaria italica).

Moltissime graminacee sono, inoltre, utilizzate anche come foraggere, perl’alimentazione del bestiame. Tra queste sono comprese alcune specie dei generi Avena,Festuca, Lolium, Poa e Setaria, nonché lo stesso granturco, seminato fitto e falciato inuno stadio precoce (granturchino e silomais). Infine, dal culmo della canna da zucchero(Saccharum officinarum) coltivata nelle regioni tropicali, si estrae lo “zucchero di canna”(saccarosio) di colore più scuro di quello proveniente dalla barbabietola da zucchero.

Nell’area Baianese-Lauretana sono state censite 112 specie di Graminaceae. Lecariossidi di tali specie selvatiche, seppure spesso di ridottissime dimensioni, sonopotenzialmente tutte utilizzabili per produrre farina.

I rizomi delle gramigne (Agropyron repens o “grano dei campi” e Cynodon dactylon)possono essere essiccati, torrefatti ed utilizzati come surrogati del caffè.

Anche le infiorescenze di Alopecurus pratensis (“coda di volpe” o “coda di topo”), incaso di necessità, possono essere usate a scopo alimentare.

Mais o GranturcoOrzoGrano oFrumento

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Cynodon dactylon (L.) e Agropyron repens (L.)Scheda n. 48

Cynodon dactylon Agropyron (Elytrigia) repens

Cynodon dactylon

Cynodon dactylon

Gramigne

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Panicum dactylon.Nomi comuni: vera gramigna, gramigna dente di cane.Ha come forma biologica quella di una emicriptofita reptante (pianta erbacea perenne, con

un accrescimento aderente al suolo con carattere strisciante). Raggiunge mediamente ledimensioni di 30 – 40 centimetri. Dai rizomi sotterranei e dai nodi dei fusti appressati al suolo(stoloni) si producono ciuffi di radici avventizie.

A maturazione produce un fusto (culmo) ascendente, avvolto dalle guaine fino allainfiorescenza.

Le foglie sono lineari, larghe 3 millimetri, distiche, a lamina canalicolata, rigida e irsuta. E’presente una ligula di peli, posta tra la guaina e la lamina di ogni foglia.

L’infiorescenza ha la tipica forma digitata, a 3 – 5 spighe sottili e violette, portanti ognuna 3 –7 spighette. Il frutto è costituito da una minuscola cariosside.

Fioritura: da maggio a settembre.E’ una pianta infestante che si moltiplica anche per pezzi di stoloni. Molto gradita da suini e cavalli.

RICONOSCIMENTOCynodon dactylon

DIFFUSIONESpecie indifferente al substrato, diffusa negli incolti, siepi, luoghi di calpestio, tra le più comuni

infestanti degli orti, giardini e coltivi. Spesso buca anche l’asfalto.Diffusa ovunque, compresi i luoghi ruderali ed antropizzati, tra i 100 ed i 900 metri di altitudine.

Nome comune: gramigna comune.Il nome del genere significa “frutto dei campi”, poiché le sue cariossidi possono essere usate

per produrre farina.E’ una specie geofita rizomatosa. Pianta perenne con un rizoma sotterraneo ramificato e

lungamente strisciante che raggiunge facilmente alcuni metri di lunghezza.Il fusto strisciante (stolone) è diviso in nodi e internodi: dai nodi si dipartono inferiormente

le radici e superiormente i fusti epigei, che sono semplici, eretti e alti fino ad un metro circa.Le foglie sono divise in due parti: una guaina lunga circa un decimetro, che abbraccia il

fusto (culmo) e la lamina, lanceolato-lineare, lunga 1-2 decimetri e gradatamente assottigliatafino all’apice acuminato. Il margine è intero ma scabro, come la superficie superiore, per lapresenza di piccoli denti.

L’infiorescenza è una spiga composta da una decina di spighette; ogni spighetta ha allabase due brattee dette glume che contengono quattro-otto fiori, ognuno dei quali racchiuso inaltre due brattee dette glumette.

Il frutto è una cariosside di forma ovoidale lunga circa 6-8 millimetri che resta racchiusanelle glumette persistenti.

Agropyron repensRICONOSCIMENTO

E’ diffusa ovunque, con maggiore frequenza tra i 100 ed i 300 metri di altitudine.DIFFUSIONE

I rizomi più teneri e freschi sono commestibili.In periodi di carestia questa pianta è stata utilizzata, dopo essiccazione e macinatura e

mescolata alla farina, per produrre pane.Con essa è stato prodotto anche un surrogato del caffè, dopo triturazione e tostatura.Gli zuccheri presenti nei rizomi sono stati utilizzati per produrre alcool e anche una birra che,

a quanto pare, è di gusto gradevole.

RICETTE

RICETTE 147 - 149

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sopra. A sinistra: il dott. agronomo Nicolangelo De Vita, di Montoro (Av). A destra: il prof.agronomo, Carmine Strocchia, di Saviano (Na). Sotto: l’autrice, la giornalista Benedetta Napolitano,durante alcune lezioni su tematiche ambientali tenute presso le Scuole Elementari di Baiano.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Iridaceae

La famiglia delle Iridaceae, appartenente alla classe delle monocotiledoni, èrappresentata da circa 1800 specie, distribuite in 92 generi.

In Italia crescono spontaneamente una cinquantina di specie comprese in 5 generi.Sono piante erbacee perenni dotate di rizomi, bulbi o bulbo-tuberi, con fusti semplici

o ramificati. Le foglie sono lineari o appuntite all’estremità, inguainanti, a margine interoe parallelinervie.

I fiori sono attinomorfi o più raramente zigomorfi (gen. Gladiolus), tetraciclici e trimeri.A volte sono solitari (ad es. Crocus) o più frequentemente raccolti in infiorescenze terminali,a forma di spighe, racemi, o cime. Il perigonio è formato da 2 verticilli di 3 tepali, l’androceoda un solo verticillo di 3 stami e il gineceo da 3 carpelli concresciuti in un ovario inferotriloculare o uniloculare per riduzione dei setti (Hermodactylus).

La tipica formula fiorale è: P 3+3, A 3, G (3) (ovario infero).Il frutto è una capsula loculicida. L’impollinazione è entomofila od ornitofila.Tra le iridaceae di importanza economica citiamo Crocus sativus, attivamente coltivato

per gli stimmi da cui si ricava lo zafferano.Altre specie vengono utilizzate per le proprietà medicinali (Aletris, Iris) o in profumeria

(Iris), in cucina o in tintoria (Crocus, Gladiolus, Iris, Moraea, Tigridia), o come pianteornamentali (Crocosmia, Crocus, Freesia, Gladiolus, Iris, Ixia, Sparaxis, ecc.).

Nel territorio oggetto di indagine sono presenti 9 specie vegetali appartenenti allafamiglia delle iridaceae, tra cui il Crocus napolitanus (Sinonimo: Crocus vernus subsp.vernus) o “zafferano maggiore”.

Crocus napolitanus

Baianese: i monti Campimma, Rocchetelle e Tavertone

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Crocus napolitanus (Mor. & Lois.)Scheda n. 49

Zafferano maggiore

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Crocus vernus subsp. vernus.Nomi comuni: croco, zafferano maggiore.Il nome del genere, Crocus, è la trascrizione del greco kròkos (filamento), a causa dei suoi

lunghi stami.Questa specie è una geofita bulbosa. Pianta erbacea, perenne, alta dai 10 ai 20 centimetri,

che forma un piccolo bulbo-tubero sotterraneo, sferico, dal quale germogliano annualmentenuovi fusti, foglie e fiori.

Il fusto, tubulare, porta inferiormente 2 o 3 foglie biancastre che lo avvolgono a guisa diguaine.

Le foglie nate dopo la fioritura sono larghe circa mezzo centimetro e lunghe quanto i fiori edi forma lineare-lanceolata, con una caratteristica nervatura centrale bianca.

I fiori, generalmente di colore azzurro o violetto, sono spesso più scuri all’apice e, talora,possono essere anche completamente bianchi. La corolla, larga 1 o 2 centimetri e lunga da 3 a4,5 centimetri, presenta la base di forma tubulare e l’apertura superiore (fauce) che si divide insei petali (lacinie) subspatolati. Le antere sono di colore giallo-zafferano e lunghe circa uncentimetro e mezzo. Il pistillo, sovrastante le antere, porta tre stimmi di colore rosso-aranciodisposti a ventaglio. L’ovario è infero.

Il frutto è una capsula racchiudente numerosi semi.Tutte le specie del genere Crocus sono protette dalla legge, che ne vieta la raccolta.

RICONOSCIMENTO

Nel territorio oggetto di studio è presente nei pascoli di quota e nei boschi di latifoglie di tuttoil Partenio, tra i 700 ed i 1.598 di altitudine (es. Monti di Avella, località fontana di Pianura, ecc..).

DIFFUSIONE

Principalmente vengono utilizzatti i pistilli con i tre stimmi.Come tutti gli zafferani oltre che in cucina il Crocus viene utilizzato per le sue proprietà medicinali,

aromatiche e coloranti. Viene aggiunto anche ad alcuni formaggi, cagliati e non cagliati.Secondo il Mattirolo, dei Crocus si mangiano anche i teneri bulbo-tuberi: in Moldavia ed in

Valacchia si mangiano o crudi o preparati come le patate (arrostiti, bolliti o fritti).La specie coltivata per la produzione industriale dello zafferano è il Crocus sativus, pianta

triploide e sterile, risultato di una intensiva selezione artificiale di una specie originaria dell’isoladi Creta, il Crocus cartwrightianus. E’ una specie ottenuta dalla selezione (miglioramento genetico)operata dai coltivatori mirante a migliorare la produzione degli stimmi. La sua struttura geneticalo rende incapace di generare semi fertili, per questo motivo la sua riproduzione è possibile soloper clonazione del bulbo madre.

Gli stimmi dello zafferano vengono raccolti delicatamente a mano. Servono circa 120.000 -150.000 fiori per ottenere un chilogrammo di prodotto.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 086

Fioritura di Crocus in località Pianura (Avella)

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Faggi monumentali nel Campo di Summonte,al limite dei territori montani di Sirignano e Sperone (Av).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Labiatae

Le Labiatae oLamiaceae sono una fami-glia di dicotiledoni, compren-dente circa 3000 specie.

Piante erbacee annuali operenni, camefite, nanofa-nerofite, cespugliose, e avolte arboree, arbustive olianose.

L’apparato vegetativoè caratterizzato dal fustodi forma quadrangolare,per la presenza di fasci dicol lenchima posti agl iangoli, dalle foglie op-poste e prive di stipole, edalla presenza di ghian-dole contenenti olii etereiche emanano caratte-ristici aromi.

I fiori, ascellari, solitari o riuniti in verticillastri o falsi verticilli, tipicamente a simmetriabilaterale (zigomorfi) o raramente a simmetria raggiata, provvisti di 2 foglie bratteali(raramente si notano delle bratteole basali). Il calice è costituito da 5 sepali saldati aformare un tubo actinomorfo o zigomorfo bilabiato, in quest’ultimo caso con sepaliraggruppati secondo lo schema 3/2. La corolla, gamopetala, è formata da 5 petali ed èquasi sempre zigomorfa e bilabiata, con un labbro superiore che consta di 2 pezzi e unlabbro inferiore di 3.

Alcune specie si distaccano da questo schema e, pertanto, si distinguono anchegeneri con corolla attinomorfa formata da un tubo sormontato da 4 denti subeguali traloro (Mentha), e generi con corolla unilabiata secondo il piano 0/3, con annullamentocioè del labbro superiore (Ajuga), oppure 0/5, con la fusione dei 5 pezzi corollini in uncorpo unico, rappresentato dal labbro inferiore (Teucrium). L’androceo è formato da 4stami (il quinto, posteriore, è quasi sempre abortito) di cui 2 appaiono più lunghi (didinami);talvolta possono essere presenti solo 2 stami (Salvia).

Il gineceo, supero, è bicarpellare e contiene 4 ovuli.La formula fiorale è, generalmente: K (5), C (5), A 4, G (2).Il frutto è racchiuso dal calice persistente ed è un tetrachenio, composto da 4 nucule.I semi, salvo rare eccezioni, sono sprovvisti di endosperma. La fecondazione è

entomofila ed è operata da ditteri e imenotteri.Tra le specie più utilizzate in cucina si ricordano: basilico (Ocimum basilicum), maggiorana

(Origanum majorana), menta (Mentha piperita), melissa (Melissa officinalis), nepetella(Calamintha nepeta), origano (Origanum vulgare), rosmarino (Rosmarinus officinalis), salvia(Salvia officinalis) e timo (Thymus vulgaris). Altre specie, come l’issopo (Hyssopus officinalis)e la lavanda (Lavandula angustifolia), vengono utilizate come erbe officinali.

Nei comprensori Baianese e Lauretano sono state censite 56 specie di Labiatae.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Lamium spp.Scheda n. 50

Lamium album

Lamium maculatum

False ortiche

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: falsa ortica bianca, lamio, ortica morta.E’ una emicriptofita scaposa, perennante per mezzo di gemme poste a livello del suolo, sui

robusti stoloni. E’ provvista di lunghissime radici.I fusti possono essere alti dai 30 ai 60 centimetri, a seconda delle condizioni pedologiche ed

edafiche. A portamento eretto, a sezione quadrangolare, coperti di peli eretti ma non urticanti,spesso striati di porpora nella zona inferiore.

Le foglie sono ovali acute e portate con fillotassi opposta. Le inferiori sono lungamentepicciolate e irregolarmente dentate, le superiori hanno un picciolo più breve e talora sono quasisessili. Sia la pagina superiore che quella inferiore sono ricoperte di peli glandulosi e non urticanti.

I fiori, a corolla classicamente labiata, sono disposti in verticilli chiusi all’ascella delle foglie.Il calice è campanulato, semiaperto, munito di 5 denti lanceolati. La corolla simmetrica bianca ogiallastra, è formata da un lungo tubo incurvato, con labbro superiore a cappuccio e pubescentee labbro inferiore bilobo, divergente a 90°. L’androceo è costituito da quattro stami (i 2 dellabbro superiore sono più lunghi) con antere di colore bruno scuro. L’ovario contiene, in ognunodei 2 alveoli, 2 semi che a maturazione si trasformano in 4 acheni duri.

Antesi: da marzo ad ottobre.

Il nome del genere deriva dal greco, con il significato di “a bocca aperta” per la caratteristicaforma delle corolle.

Lamium album

Nome comune: falsa ortica macchiata.E’ una pianta erbacea perenne (emicriptofita scaposa). Dall’altezza variabile dai 10 centimetri

al metro. Con fusti eretti o prostrato–ascendenti, subglabri, tubulosi, a sezione quadrangolare,talvolta radicanti ai nodi.

Le foglie sono opposte, localizzate prevalentemente nella parte inferiore del fusto, con picciolodi 2 – 4 centimetri, lamina ovato-cordata, dentata e macchiata di bianco, pubescente. Lunghe 3– 4 centimetri, si riducono di dimensioni via via che si avvicinano all’infiorescenza.

I fiori sono situati all’apice del fusto, hanno calice lungo 5-6 mm, peloso. La corolla è formata:da un tubo sottile, ricurvo “ad S”, più lungo del calice; da un labbro superiore convesso, bordatoda corti peli, da roseo a purpureo e da un labbro inferiore bilobo, chiaro con macchie purpuree.

I frutti sono piccoli acheni.Antesi: da marzo a novembre.

Lamium maculatum

Le “false ortiche”, dopo cottura, possono essere utilizzate per saporiti ripieni, minestre edinsalate. Hanno un sapore simile a quello degli spinaci, molto apprezzato dai buongustai. Taloravengono cotte o servite insieme ad altre verdure.

Altre specie diffuse sul territorio sono:- Lamium bifidum subsp. bifidum, terofita erbacea, comune negli ambienti ruderali e tra gli

incolti della fascia basale (tra i 100 e gli 800 metri di altitudine);- Lamium amplexicaule, terofita erbacea, diffusa nello stesso areale della specie precedente;- Lamium purpureum, terofita erbacea, diffusa nella stessa fascia altimetrica della specie

precedente;- Lamium garganicum subs. laevigatum, emicriptofita scaposa, diffusa nei pascoli e lungo le

pendici erbose di vetta (Ciesco Alto, Porca delle Pere, ecc..);- Lamium flexuosum, emicriptofita scaposa, nei boschi e nelle boscaglie miste di tutto il territorio,

nella fascia altitudinale, compresa tra i 500 ed i 1.100 metri.

altri Lamium spp.

USO GASTRONOMICO

E’ rinvenibile nei fruticeti e nei boschi misti di tutto il territorio esaminato, tra i 100 ed i 900metri di altitudine.

E’ rinvenibile con maggiore frequenza nei boschi di faggio e boscaglie mesofile, tra i 1.400ed i 1.598 metri (Porca delle Pere, Monti di Avella). Ma individui di taglia inferiore, i cui semi sonoprobabilmente portati a valle dai forti venti che spesso imperversano nella zona, sono presentianche a quote sensibilmente inferiori (anche nei prati all’interno dei centri abitati, tra i 200 ed i400 metri di altitudine).

RICETTE 033 - 134

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Melissa officinalis (L.)Scheda n. 51

Melissa o Citronella

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: melissa, citronella, erba limoncina.Pianta erbacea perenne. Emicriptofita scaposa.Può giungere fino ad un’altezza di 80 centimetri ed è provvista di un robusto rizoma

orizzontale, alquanto lignificato, articolato e lungo 20-30 centimetri, provvisto di brattee biancastreai nodi.

Da questi si sviluppano i fusti epigei, a sezione quadrangolare, alti fino a un metro e connumerosi rami patenti.

Le foglie sono disposte sul fusto con fillotassi opposta, a due a due (disposizione “a croce”).Hanno lamina ellittica, margine seghettato, e sono provviste di piccioli (più lunghi in quelleinferiori, più corti in quelle superiori). La superficie fogliare è reticolata, rugosa e leggermentepubescente.

I fiori sono riuniti in spicastri (cime contratte, poste sui verticilli fogliari, all’ascella delle foglie).Hanno una brattea ellittica o lanceolata e un breve peduncolo. Il calice è campanulato e divisoalla fauce in due labbra: il superiore è intero con tre piccoli denti, l’inferiore è bilobato con duelobi triangolari acuti. La corolla tubulare ha il labbro superiore convesso e l’inferiore trilobato conil lobo mediano più grande degli altri due. I petali, di colore giallastro prima della fioritura, divengonopoi rosati oppure bianchi.

Il frutto è uno schizocarpo (tetrachenio) formato da quattro nucule.Antesi: da aprile ad agosto.

RICONOSCIMENTO

Specie sinantropa e nitrofila, è abbastanza diffusa in tutto il territorio, tra i 100 ed i 500 metridi altitudine, negli ambienti ombrosi ed umidi.

Spesso la si rinviene nei prati o negli appezzamenti di terreno prossimi alle abitazioni.Nel territorio oggetto di studio è presente anche la specie Melissa romana, dal profumo

meno accentuato.

DIFFUSIONE

La melissa, pianta dal gradevole odore di limone, è stata utilizzata fin dall’antichità inerboristeria, liquoreria e cosmesi.

E’ un ingrediente fondamentale di molti liquori noti per le proprietà digestive, tra i quali il«Gran Chartreuse», o «Liquore di Francia», creato dai frati benedettini, e l’«Acqua di Melissa»,inventata dalle suore carmelitane.

Le foglie crude si utilizzano in insalata oppure nella preparazione di minestre e frittate.Vanno utilizzate solo le foglie giovani, prima della fioritura, poiché successivamente esse

assumono uno sgradevole odore di “cimiciato”.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 035 - 094

Monti del Baianese e di Lauro. Sullo sfondo il Vesuvio.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Leguminosae o Fabaceae

Le Leguminosae, Fabaceae oPapilionaceae, sono una famiglia didicotiledoni, comprendente 630generi con circa 18.000 specie.

Anch’esse, come è stato già dettoa proposito delle graminacee, sonostate importantissime per lo sviluppodella civiltà umana, grazie al fatto che,all’interno dei loro frutti (legumi),producono semi facilmente essiccabilie conservabili (leguminose dagranella), come è il caso dei fagioli, deiceci, delle lenticchie ecc..

L’apparato vegetativo, quasi sempre di consistenza erbacea, è spesso volubile ostrisciante e le foglie, per lo più composte e quasi sempre alterne, sono provviste inmolti casi di viticci o cirri. Diverse specie hanno, poi, un habitus fanerofitico e in tal caso,talvolta, possono essere quasi prive di foglie, svolgendo i processi fotosintetici nel fustoe nei rami (Spartium junceum).

I fiori sono spesso raccolti in infiorescenze a grappolo e sono caratterizzati da unaparticolare morfologia (corolla papilionacea). Il calice è gamosepalo e forma un tubosormontato da 5 denti. La corolla, dialipetala, è la parte più caratteristica in quanto ècostituita da un grande petalo detto vessillo, ai cui lati sono posti 2 petali, le ali, einferiormente altri 2 parzialmente fusi che formano la carena racchiudente l’androceo eil gineceo. Il primo è costituito da 10 stami monadelfi, cioè tutti riuniti per i filamentiformando un unico tubo, o diadelfi, quando gli stami riuniti sono 9 ed il decimo è libero.Il gineceo consta di un solo carpello uniloculare che contiene un numero variabile diovuli.

Fiore dileguminosa

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

La formula fiorale è: K (5), C 5, A (5+5) oppure (9) + 1, G 1.Il frutto è un legume con peculiari modificazioni morfologiche da un genere all’altro

che gli conferiscono notevole importanza diagnostica. Il legume, quando è secco ed“indeiscente” (che non si apre), come nel caso del carrubo (Ceratonia siliqua), prende ilnome di siliqua. Negli altri casi è “deiscente” e si apre dall’alto in basso lungo 2 linee disutura che corrispondono alle placente e alla nervatura dorsale del carpello. Esso, inoltre,può essere monospermo (Trifolium) oppure plurispermo (Lotus). I semi contengononotevoli quantità di riserve proteiche unite a sostanze amilacee nei cotiledoni, mentremanca l’albume. L’impollinazione è di regola entomofila.

Numerose specie vengono utilizzate per l’alimentazione umana, tra esse le piùimportanti sono: il fagiolo (Phaseolus vulgaris), la soia (Glycine max), la fava (Viciafaba), il pisello (Pisum sativum), il cece (Cicer arietinum), la lenticchia (Lens esculenta),l’arachide (Arachis hypogea), il fagiolino (Vigna unguiculata) e la cicerchia (Lathyrussativus), coltura quest’ultima oggigiorno in via di scomparsa. Tra le più importanti specieforaggere si ricordano quelle appartenenti ai generi Trifolium, Medicago, Lupinus, Vicia,Vigna, ecc... Quasi tutte utilizzabili, in caso di necessità, anche per fini alimurgici. In talcaso le parti utilizzabili sono: le foglie (limitandosi a quelle più tenere), i giovani e i tenericirri, i semi e le infiorescenze. Preferibilmente dopo idonea sbollentatura.

Si ricorda, infine, che grazie alla simbiosi radicale con batteri azoto-fissatori, alcunedi queste specie vengono utilizzate nella pratica agronomica del “sovescio” (interramentodei prati di leguminose) per arricchire ecologicamente i terreni poveri di sostanze azotatee materiale organico.

Nell’areale oggetto di studio sono state censite 112 entità vegetali appartenenti allafamiglia delle fabaceae o leguminosae.

Tipiche del panorama di molte colline sono i gialli fiori delle verdi ginestre (gen. Genista,Spartium e Cytisus) e, alla base degli estesi boschi di castagno, i recenti popolamenti diAcacia (Robinia pseudoacacia), importante pianta mellifera, le cui infiorescenze possonoessere utilizzate per preparare deliziose pizzette.

Impiegata negli interventi di ingegneria naturalistica è la vesicaria (Coluteaarborescens), particolarmente adatta alla stabilizzazione dei versanti più aridi esposti amezzogiorno.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Trifolium pratense (L.)Scheda n. 52

Trifoglio

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: trifoglio dei prati, trifoglio violetto, trifoglio rosso.E’ una emicriptofita scaposa, perennante per mezzo di gemme poste a livello del terreno,

con scapo allungato, privo di foglie, portante all’estremità una infiorescenza.Questo trifoglio, pur essendo perenne, difficilmente supera i due anni di età.L’apparato radicale è fittonante, con la presenza (tipica di quasi tutte le leguminose) di numerosi

tubercoli radicali che ospitano, in simbiosi, i batteri del gen. Rhizobium, organismi in grado difissare l’azoto atmosferico che viene utilizzato dalla pianta come concime.

I fusti, dell’altezza variabile tra i 10 ed i 60 centimetri, sono eretti e non ramificati.Le foglie sono tipicamente composte-trifogliate, picciolate, e munite di stipole lunghe con

breve resta. I tre segmenti, di forma lanceolata-ellittica ed a margine dentellato, presentano unatipica macchia bianca a “V”, alla pagina superiore. Talora si possono rinvenire anche fogliequadrifogliate (i beneauguranti quadrifogli), pentafogliate, ecc..

I piccoli fiori, di colore rosso chiaro o carminio, dalla tipica corolla papilionacea, sono riunitiin una infiorescenza a capolino globoso, brevemente peduncolata, portata all’ascella dellefoglie superiori.

I frutti sono baccelli con seme unico.

Secondo la “Flora d’Italia” di Sandro Pignatti, Trifolium pratense è un gruppo polimorfo,composto da tre sottospecie:

- Trifolium pratense subsp. pratense, con corolla di colore roseo-violetto, pelosità ridotta onulla, stipole lanceolate, con resta lunga 1/3 - 1/4 della parte espansa. Capolini generalmentesolitari.

- Trifolium pratense subsp. nivale, con corolla di colore lattiginoso, soffusa di roseo versol’apice. Pianta robusta, densamente pelosa, stipole ovate con resta lunga 1/4 - 1/6 della parteespansa. Capolini apicali spesso appaiati.

- Trifolium pratense subsp. semipurpureum, con piccoli capolini di colore roseo-violetto. Piantadi dimensioni modeste (5-10 cm) con densa pelosità appressata, stipole ovate con resta lunga1/4 - 1/6 della parte espansa. Capolini sempre singoli.

La sottospecie presente nel territorio oggetto di studio è la pratensis.

RICONOSCIMENTO

Si trova facilmente nei prati e nei siti erbosi di tutto il territorio, tra i 200 ed i 1.200 metri dialtitudine.

Nel territorio oggetto di indagine sono presenti ben 22 specie di piante appartenenti al genereTrifolium, tutte commestibili (al pari della gran parte delle altre leguminose selvatiche presenti).

DIFFUSIONE

L’intera piantina, di sapore dolciastro, può essere utilizzata nelle insalate o per preparareminestre.

Le infiorescenze possono essere cucinate gratinate, brasate, o in frittate.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 060 - 102 - 103

152

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Liliaceae

Le Liliaceae sono una famiglia di monocotiledoni, caratterizzata da una notevoleeterogeneità di specie, spesso bulbose o rizomatose, ad habitus erbaceo, che oggi sitende a separare in numerose piccole famiglie. Essa comprende circa 4.000 specie,distribuite su tutta la terra, soprattutto nelle regioni temperate e tropicali.

Le foglie sono alterne, semplici, lineari spesso parallelinervie con attacco guainante.Molte specie presentano solo foglie basali. Una particolaritàdi questa famiglia è che spesso sul fusto sono presenti icladodi (gen. Ruscus), fusti modificati appiattiti con funzioneclorofilliana, mentre le vere foglie sono ridotte a squame.

I fiori, attinomorfi, isolati o riuniti in infiorescenze agrappolo, cima o falsa ombrella, presentano sepali e petaliindistinguibili (di uguale grandezza, forma e colore) chiamatitepali. Il perigonio risulta costituito da 2 verticilli di 3 tepali,l’androceo di 6 stami e il gineceo formato da 3 carpelli saldatiin un ovario supero triloculare contenente molti ovuli. Ilperigonio può essere dialitepalo o, più di rado, gamotepalo.

La formula fiorale è quindi: * P 3+3, A 3+3, G (3).L’impollinazione è entomogama ed è attuata da lepidotteri, imenotteri, ditteri;

alcune specie tropicali sono impollinate dai colibrì.Il frutto può essere una bacca (Asparagus) oppure una capsula setticida (Colchicum)

o loculicida (Lilium).La famiglia delle liliacee, mantenendo la suddivisione tradizionale, viene distinta in

tribù. Le principali sono:1) Asparagoideae, piante erbacee, arborescenti o volubili, con frutto a bacca, fiori dimeri,trimeri o esameri con stilo unico;2) Colchicoideae, piante erbacee perenni con bulbi o bulbo-tuberi, caratterizzate dacapsule setticide e stili liberi;3) Dracaenoideae, ricca di specie arboree longeve e di grandi dimensioni conaccrescimento secondario;4) Lilioideae, erbacee o legnose (Aloë), con capsule loculicide e stilo unico.

diagramma fiorale

153

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Alcune liliacee sono coltivate come piante commestibili, quali ad esempio l’aglio (Alliumsativum), gli asparagi (Asparagus officinalis), la cipolla (Allium cepa) e il porro (Alliumporrum). Altre non vengono coltivate ma sono tradizionalmente raccolte in natura peruso alimentare, tra queste si ricordano: Asphodeline lutea, Asparagus acutifolius,Leopoldia comosa e Smilax aspera.

E’ d’obbligo, inoltre, ricordare il genere Aloe che, secondo l’antica classificazionebotanica appartiene alle liliacee, mentre secondo alcuni botanici apparterrebbe allafamiglia delle Asphodelaceae o delle Aloeaeceae. A tale genere appartengono, tra lealtre, due importanti piante succulente: l’Aloe vera e l’Aloe arborescens.

Tali piante non sono autoctone ma di origine africana e sudamericana, dall’aspettosimile all’Agave, e vengono coltivate per le loro proprietà antinfiammatorie e comeintegratori alimentari. Esse, essendo molto richieste dal mercato degli integratorialimentari, della macrobiotica e della cosmetica, potrebbero essere utilmente coltivatenel territorio oggetto di studio, soprattutto nei siti esposti a mezzogiorno.

Molte specie sono, poi, coltivate per la bellezza dei fiori o per il loro portamento. Traqueste si annoverano numerose cultivar dei generi Cordyline, Dracaena, Hyacinthus,Lilium, Sansevieria, Tulipa, ecc..

In natura le Liliaceae sono abbastanza diffuse nella regione mediterranea, dove siinsediano in vari tipi di ambiente. Nei boschi termofili (ad es. leccete, sugherete e querceticaducifogli) è frequente il pungitopo, Ruscus aculeatus (talora accompagnato dal Ruscushypoglossum). Nelle faggete è comune la specie Scilla bifolia.

Nell’area Baianese-Lauretana sono state censite 37 specie vegetali appartenentialla famiglia delle liliacee.

ASPARAGI

ALOE

154

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Allium ursinum (L.)Scheda n. 53

Aglio dei boschi

155

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: aglio orsino, aglio selvatico, aglio dei boschi.Questa liliacea è una geofita bulbosa, ovvero una pianta erbacea perenne che sverna

sottoforma di bulbo, dal quale ogni anno nascono nuove foglie e fiori. Il bulbo è sottile, di formaoblunga, e presenta tuniche biancastre e membranose. Da esso si diparte, inferiormente, unfascio di 5-9 radici carnose.

La pianta può essere alta fino a 40 centimetri, con foglie (generalmente 2) basali, ovali-lanceolate, parallelinervie, lunghe circa 20 centimetri larghe da 3 a 6 centimetri, munite di unpicciolo alato, dal colore verde brillante.

Lo scapo fiorale è eretto, verde, di consistenza erbacea e a sezione semicircolare, portantealla sua sommità un’infiorescenza ad ombrella, composta da 6-20 fiori, di forma subsfericairregolare e del diametro di 3-6 centimetri.

I fiori, di colore bianco e peduncolati, sono formati da 6 tepali lanceolati lunghi circa uncentimetro più degli stami. Essi sono portati in una brattea, detta spata, che alla fioritura o restaintera oppure si divide in due o tre lobi.

I frutti sono delle capsule, deiscenti tramite apertura longitudinale.La fioritura (antesi) avviene nei nostri climi da marzo a luglio.

Avvertenza: Potrebbe capitare, quando le piante non sono ancora in fiore, di confondere l’Alliumursinum con il velenoso mughetto (Convallaria majalis). Ma esiste un metodo infallibile perevitare questo pericoloso errore: stropicciando fra le dita le foglie di aglio orsino queste emettonoun forte ed inconfondibile odore d’aglio, non presente nel mughetto.

RICONOSCIMENTO

Questa specie, presente da noi con le sottospecie ursinum e ucrainicum, è diffusissima intutto l’areale, dagli 800 ai 1.598 metri di altitudine, in maniera particolare negli estesi faggettidella dorsale appenninica dei Monti di Avella.

DIFFUSIONE

Dell’Allium ursinum si utilizzano sia le foglie che il bulbo.Nel periodo primaverile, sono raccomandate le foglie tenere, finemente tritate, per insaporire

le insalate o aromatizzare il burro, conferendo alle carni un sapore delicato e gradevole e noncosì deciso come l’aglio comune. Sono inoltre utilizzate per insaporire patate, cicorie, frittate,uova sode, zuppe e brodi.

Nei Paesi del vicino Est, a detta dei numerosi immigrati, con le foglie dell’Allium ursinum siproduce un olio aromatizzato da usare come condimento per pane tostato, patate lesse, pastaal pomodoro e secondi piatti a base di pesce. L’olio aromatizzato è composto da circa il 40% difoglie di aglio orsino tagliate finemente, una manciata di mandorle tritate, sale e pepe quantobasta, il tutto completato e ben ricoperto da olio extra vergine di oliva.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 003 - 108

Campo San Giovanni (sopra) e Campo di Summonte (sotto) visti da Ciesco bianco.

156

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Asparagus acutifolius (L.)Scheda n. 54

Asparago selvatico

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: asparagoselvatico, asparago pungente.

Il nome del genere dalgreco: a (negazione) e speìro(semino), in riferimento allafacilità con cui la pianta simoltiplica per via vegetativa.Il nome della specie derivadal latino acuta (acuto) e folia(foglia), in relazione allamorfologia delle “foglie”.

Ha la forma biologica diuna geofita rizomatosa ed ilportamento suffruticoso(pianta erbacea perenne opiccolo arbusto con fustogeneralmente legnoso, stri-sciante o volubile) lungo finoad uno o due metri.

L’apparato radicale èrizomatoso. I giovani getti (presenti a partire dal mese di marzo) sono chiamati turioni, ecostituiscono la parte edule della pianta.

Le foglie vere sono ridotte a piccolissime squame, all’ascella delle quali si formano quelleche sembrano essere foglie, ma che botanicamente sono fusti tasformati chiamati cladodi (rigidied aghiformi, disposti in fascetti in numero da 7 a 12), provvisti di una spinula cornea apicale.

I fusti e i cladodi persistono per più di un anno, formando intricati ed irti cespugli.L‘asparago pungente è una specie dioica, presenta cioè individui unisessuali, maschili e

femminili.Entrambi in primavera, producono fiori piccoli, bianchicci-verdastri e poco appariscenti, con

perianzio composto da 6 elementi, 6 stami liberi ed ovario tricarpellare triloculare. Da quellifemminili, si formano bacche sferiche verdi che diventano nerastre a maturità e dalle dimensionidi un grano di pepe.

Periodo di fioritura: da maggio a settembre.

RICONOSCIMENTO

E’ diffuso, in tutto il teritorio, tra i boschi di leccio (Quercus ilex), negli oliveti e tra i fruticetidella macchia mediterranea. Tra i 100 ed i 600 metri di altitudine.

DIFFUSIONE

I giovani getti (turioni) vengono utilizzati allo stesso modo degli asparagi coltivati e gustati,prevalentemente, in frittata o lessati e conditi con olio ed aceto, risultando più apprezzati dei lorocorrispettivi coltivati per il gusto più forte ed amaragnolo che li caratterizza.

L’asparago è relativamente ricco di vitamine del gruppo B e C, concentrate soprattutto neiturioni verdi. Contiene anche asparagina, una sostanza ritenuta diuretica e afrodisiaca se ingeritain grandi quantità.

Gli asparagi selvatici vengono pure utilizzati come ingredienti di pasta e risotti, preparatitradizionalmente durante le feste pasquali, che di norma cadono quando si ha la massimaproduzione dei turioni. La preparazione della pasta o del riso con gli asparagi richiede alcuneaccortezze: occorre, innanzitutto, separare i gambi dei turioni (più duri) dalle cime (più tenere) esottoporle ad una bollitura differenziata: più lunga per i gambi e più breve per le cime. Indi sisoffriggono e si fa cuocere la pasta nell’acqua di bollitura. Infine si fanno mantecare insiemepasta ed asparagi.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 112 - 113

158

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Asphodeline lutea (Rchb.)Scheda n. 55

Bacchetta del re

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Asphodelus luteus.Nomi comuni: bacchetta del re, asfodelo giallo.Dal greco a (negazione), spodos (cenere) e elos (valle), perchè risorge anche in presenza

delle devastazioni portate dal fuoco, in quanto i suoi organi ipogei non vengono distrutti dallefiamme. Luteus in latino indica il giallo oro, l’arancione, il rossastro. In questo caso il riferimentoè al colore del fiore, che è di un giallo sgargiante.

Nella mitologia greca l’asfodelo era considerato il fiore tipico del regno dei morti.Questa pianta è poco appetita dal bestiame, che non se ne nutre, perciò tende a diffondersi

anche in presenza di pascolo intenso e, pertanto, può essere considerata una specie indicatricedel supersfruttamento da pascolo.

E’ una pianta erbacea perenne, geofita rizomatosa (pianta dotata di un fusto sotterraneodenominato rizoma, dal quale, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei).

Il fusto è eretto, cilindrico e liscio.Le foglie, anch’esse lisce, sono raccolte in un denso ciuffo basale. Presentano la parte

basale allargata a formare una guaina avvolgente lo scapo. Sono spesse e larghe ma di lunghezzadecrescente procedendo verso l’apice.

I fiori sono portati in un racemo cilindrico. I singoli fiori sono stellati, con tepali gialli e nervaturacentrale verdognola. Caratteristici sono gli stami, che presentano una curvatura rivolta versol’alto, a forma di un uncino, e le antere scure.

I frutti sono costituiti da capsule ovoidi deiscenti, lunghe circa un centimetro e mezzo, eformate da 3 valve che a maturità si aprono liberando numerosi piccoli semi triangolari, primaverdi e poi tendenti al bruno.

Fioriscono da marzo a maggio.

RICONOSCIMENTO

Questa specie è diffusa lungo le pendici assolate dei rilievi di tutto il territorio, tra i 200 ed i400 metri (es. Monte Fellino e Falde dell’Incoronata).

DIFFUSIONE

Si utilizza lo scapo fiorale immaturo, quando è ancora avvolto dalle guaine membranosedelle foglie e con i boccioli appena spuntati, prima che si ricoprano di fiori (Marzo-Maggio).

Occorre spaccare il fusto in due con un coltello e strappare, dall’alto verso il basso, le foglieavvolgenti il fusto, per scoprire la parte edule, rappresentata dalla parte interna dello scapo.

E’ consigliabile limitare l’utilizzo agli scapi più teneri poiché quelli più fibrosi possono risultareindigesti.

Caratteristico e delicatissimo è il miele di asfodelo: ha un colore giallo oro che ricorda a trattiil miele d’arancio, ma è assai meno dolce e aggressivo e ricorda il profumo dei fiori.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 010 - 011 - 114 - 130

Monti di Avella

160

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Leopoldia comosa (L.) o Muscari comosum (Mill.)

var. pyramidalis

var. pyramidalis

Scheda n. 56

Cipollaccio col fiocco o Lampascione

161

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Hyacinthus comosus, Muscari holzmannii.Nomi comuni: giacinto dal pennacchio, cipollaccio col fiocco,

lampascione.Il nome del genere Muscari proviene dal greco moderno moschàri

(giacinto a grappolo) o dal greco classico mòschos (muschio), mentreil nome della specie deriva dal latino comosum (chiomato), conriferimento al fiocco sterile posto alla sommità della sua infiorescenza.

Il termine Leopoldia deriva dal fatto che tale genere è statodedicato al Granduca di Toscana, Leopoldo II.

Questa specie è una geofita bulbosa che possiede un bulbogloboso-piriforme, di 2-5 centimetri, con tuniche violacee.

Il fusto (scapo) eretto, cilindrico, glabro è alto fino a 70 centimetri.Le foglie, carnose, nascono in numero di 2-5 dal bulbo

sotterraneo. Solitamente sono più corte dello scapo (circa 40centimetri), lineari, eretto-patenti, tendenti ad afflosciarsi, cilindrichescanalate nella parte inferiore, si restringono superiormente fino aduna punta acuta.

I fiori sono raggruppati in un racemo piramidale, spesso più lungodi 20 centimetri, portante i fiori fertili inferiormente e quelli sterili all’apice (fiocco). I fiori fertiliiniziano a metà altezza dello scapo e sono inseriti con lunghi peduncoli all’ascella di piccolebrattee, hanno una corolla cilindrica che termina con sei piccoli denti triangolari, sono di coloremarrone-violaceo-olivastro, quando maturano si ripiegano verso il basso, i fiori sterili, sono piùpiccoli e di un bel colore azzurro-violaceo, densamente riuniti con i peduncoli incurvati verso l’alto.

I frutti (foto a destra) sono capsule ovoidi, trilobe, lunghe fino a 15 mm, che a maturità siaprono e lasciano cadere pochi semi.

RICONOSCIMENTO

In cucina il bulbo sotterraneo di questa pianta trova gli stessi impieghi delle cipolle: crudonelle insalate o cotto come componente dei sughi o lessato o in agrodolce.

Viene anche conservato sottaceto per antipasti o contorni.Sembra che il “cipollaccio” abbia effetti afrodisiaci.

DIFFUSIONENel comprensorio oggetto del presente studio il “cipollaccio” o “lampascione” è presente

prevalentemente negli ambienti erbosi aridi e nei terreni compatti (conoidi fluviali, ecc..) delpiano basale, tra i 100 ed i 400 metri di altitudine.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 083 - 093

162

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Ruscus aculeatus (L.)Scheda n. 57

Ruscus aculeatus

Ruscus aculeatus Ruscus hypoglossum

Pungitopo

163

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: pungitopo, asparagopazzo.

Il nome del genere proviene dal latinoe deriva a sua volta dal greco “rugchos”(becco o rostro), per i cladodi dalla puntaaguzza proprio come un becco d’uccello.Il nome specifico deriva dal latino“aculeatus” (dotato di aculei) a indicare imucroni pungenti di cui sono dotati icladodi.

Il nome volgare di “pungitopo” derivadall’usanza contadina di proteggere daitopi salumi e formaggi (talora anche unantico tipo di culle sospese e relativobambino), appesi ai travi, ponendomazzetti di questa pianta pungente suentrambe le estremità di questi.

Questa pianta assume le formebiologiche di geofita rizomatosa (piantacon rizoma sotterraneo che ogni annoemette radici e fusti avventizi) e dicamefita fruticosa (pianta perenne confusti legnosi, ma di modeste dimensioni).

Ha il portamento di un arbustosuffruticoso, sempreverde, dai fusti erettie rizoma strisciante. I rami sono inseritisulla parte mediana e basale dei fustiaerei, con disposizione sparsa, più volteramificati; i rametti dell’ultimo ordine sono distici e trasformati in “false foglie” (fillocladi o cladodi),rigide, di colore verde scuro, di forma da lanceolata ad ovato-acuminata con una spina apicalepungente.

Le foglie vere sono grandi solo pochi millimetri e ridotte a squame biancastre, inserite sulfusto aereo. Alla loro ascella sono inseriti i rametti verdi.

I fiori sono diclini (fiori maschio e fiori femmina) isolati, inseriti al centro dei cladodi, subsessiliall’ascella di una bratteola; perigonio con tepali bruno verdastri.

I giovani getti (turioni) compaiono da marzo ad aprile.I frutti sono bacche, globose,di colore rosso vivo. La loro maturazione avviene nell’inverno

successivo alla fioritura.Antesi: da febbraio ad aprile.

RICONOSCIMENTO

Il Ruscus aculeatus è presente nei boschi (soprattutto di Leccio) e nei fruticeti di tutto ilPartenio, con maggiore frequenza tra i 100 ed i 1.200 metri di altitudine.

Nell’areale oggetto del presente lavoro è presente anche il Ruscus hypoglossum, dai cladodipalmati,quale componente del sottobosco delle faggete umide e fresche, tra i 1.300 ed i 1.500metri (es. Monti di Avella; Porca delle Pere, Faggeta del Litto, ecc..).

DIFFUSIONE

I giovani getti sono commestibili, di gusto amaro, e si usano allo stesso modo degli asparagi.Il Ruscus aculeatus è compreso nel Repertorio della flora italiana protetta (Ministero

dell’Ambiente e della Tutela del Territorio - 2001) per cui, volendo utilizzare i giovani germogli, sideve usare l’accortezza di non asportarli tutti e di non danneggiare il resto della pianta.

USO GASTRONOMICO

RICETTE

Cespugli di Ruscus Aculeatus nel Parco Gussone(Università di Agraria di Portici - NA)

042 - 099

164

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Smilax aspera (L.)Scheda n. 58

Stracciabraghe

165

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: stracciabraghe, rovo cervone.Il nome del genere deriva dal greco smilé (raschietto), con riferimento alla morfologia e alla

spinosità delle foglie, il nome specifico deriva dal latino asper (scabro, pungente), per la presenzadi abbondanti spine.

Questa entità botanica è considerata (assieme a Tamus communis, Clematis flammula,Rubia peregrina, ecc..) uno dei residui della antica foresta sempreverde subtropicale del bacinodel Mediterraneo.

Si comporta sia come nano-fanerofita (pianta legnosa con gemme svernanti poste tra i 30centimetri ed i 2 metri dal suolo) che come geofita rizomatosa (pianta perenne dotata di rizoma,dal quale ogni anno si dipartono radici e fusti aerei).

Cresce spontanea nei boschi e nelle macchie ed è legata essenzialmente all’ambiente dellesclerofille, dalla lecceta alle sue forme degradate fino alla gariga.

La Smilax aspera può essere considerata una liana sempreverde, con fusti e fogliespinosissimi, con spine rivolte all’indietro e quindi particolarmente offensive.

I fusti legnosi, elastici, glabri e molto tenaci, possono essere lunghi oltre 4 metri.Le foglie, coriacee e lucide, sono di forma cuoriforme-sagittata, ma con elevata variabilità in

funzione della disponibilità di luce. Possono essere lunghe dai 4 a 15 centimetri e sono provvistedi un breve picciolo (2-3 centimetri), con alla base due viticci stipolari. Presentano i marginidentati e spinosi. Spinosa è anche la loro pagina inferiore.

I fiori sono molto piccoli e profumati, diclini, con tepali bianchi di 4-5 millimetri. Sono portatiraccolti in numero di 5-25 in infiorescenze ad ombrella, provviste di un picciolo caratteristicamenteritorto, lungo 10-15 centimetri.

I frutti sono bacche sferiche di circa 1 centimetro, di colore rosso scuro, raccolti in grappoli.Antesi: da settembre a novembre.

Nel territorio oggetto di studio Smilax aspera è presente con la subsp. aspera, rinvenibilenelle siepi, nei boschi termofili e nei fruticeti, prevalentemente ad altitudini comprese tra i 100 edi 300 metri.

RICONOSCIMENTO

USO GASTRONOMICO

I germogli freschi vengono conservati sott’olio previa scottatura in aceto e le parti teneredella pianta si consumano in frittata come fossero asparagi.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 049 - 136

Mugnano. Litto.

166

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Vallo di Lauro. Foto sopra: Il Monte Pizzone - Loc. Carità - Moschiano - Quindici.Foto sotto: La vasca di contenimento, costruita a difesa dell’abitato di Quindici (Av).

167

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Malvaceae

La famiglia delle Malvaceae comprende, a seconda del tipodi classificazione, circa 100 generi e oltre 1500 specie, distribuitenelle regioni temperate e calde di tutto il globo.

L’apparato vegetativo è erbaceo o legnoso, con fogliespiralate provviste di stipole.

I fiori, per lo più isolati, sono ermafroditi, attinomorfi con deboletendenza verso lo zigomorfismo, pentameri. Il calice, formatoda 5 sepali saldati alla base, è spesso raddoppiato all’esternoda un calicetto; la corolla è costituita da 5 petali liberi oconcresciuti alla base; l’androceo, con numerosi stami saldatiper i filamenti, forma una struttura colonnare che avvolge lo stilo;il gineceo possiede un numero di carpelli generalmente elevato,da 5 a molti, più spesso 10-12, che formano un ovario supero;ciascun carpello contiene un solo ovulo.

La formula fiorale è: K (5), C 5, A 5-molti, G 10-12.Il frutto è generalmente un poliachenio, costituito da tanti mericarpi quanti sono i

carpelli che a maturità si separano per distruzione del ricettacolo.

Cotone

Il genere più importantedella famiglia èrappresentato dal gen.Gossypium, checomprende i vari tipi dicotone, coltivati neipaesi tropicali esubtropicali sia per lafibra tessile che per isemi, contenenti un olioutilizzato per l’alimenta-zione umana. Altre specie, comequelle appartenenti algen. Hibiscus, trovanoimpiego in parchi egiardini come pianteornamentali. Nel Vallo di Lauro e nelBaianese sono statecensite 6 sole specieappartenenti a questafamiglia. Di queste la sola Malvasylvestris ha utilizza-zione alimurgica.

168

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Malva sylvestris (L.)Scheda n. 59

Diagrammafiorale

Malva

169

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Malva erecta, Malva vulgaris, ecc..Nome volgare: malva selvatica.Il nome del genere deriva dal greco malacós (molle) con riferimento alle proprietà emollienti

di queste piante.E’ una emicriptofita scaposa. Pianta perenne o bienne, di aspetto erbaceo, pelosa, con fusti

robusti, molto ramificati, legnosi alla base. Può essere strisciante oppure eretta. Raggiungegeneralmente i 60 centimetri di altezza, ma talvolta è dotata di steli che possono raggiungere1,5 metri di lunghezza.

La spessa radice produce, nel primo anno, una densa rosetta di foglie basali a laminapalmato-lobata e dal lungo picciolo. Le foglie cauline sono stipolate, profondamente divise,alterne, laciniate, larghe 2-4 centimetri, pentalobate, palminervie e con margine dentellato.

All’altezza delle foglie cauline crescono i fiori, solitari o in gruppi di 2-6. Sono ermafroditi,attinomorfi, pentameri, dialipetali. Il calice è formato da due verticilli; l’interno di 5 sepali triangolari,l’esterno (epicalice) di 2-3 segmenti liberi più larghi dei sepali. La corolla è composta di 5 petalirosei striati di viola, con una insenatura centrale al margine esterno. Gli stami si presentanoconcresciuti in un tubo.

I frutti sono acheni appiattiti sul dorso, reticolati, che a maturazione liberano 15-20 semi.

RICONOSCIMENTO

Nei secoli la malva ha avuto estimatori illustri: Cicerone e Catone la usavano a tavola ingrande quantità ed Orazio si ritemprava con un piatto a base di malva, cicoria e olive.

In Egitto la malva è ingrediente di un piatto nazionale tradizionale, la melokia.Le foglie ed i giovani getti possono essere consumati in insalata, preferibilmente mescolati

con altre verdure, per bilanciare il loro gusto deciso. Anche le capsule acerbe possono essereaggiunte alle insalate.

Le foglie ed i rami più giovani possono essere cotti e conditi con olio, sale e aceto o limone.Possono, inoltre, essere usati come contorno, per la farcitura dei ravioli, nelle polpette o nellapreparazione di gustose frittate. Ottimi sono anche i risotti con la malva. Infine, i fiori possonoessere fritti in pastella.

La malva contiene i complessi vitaminici B1, B2 e C, carotene, potassio, tannini e flavonoidi.

Curiosità:Fino a qualche anno addietro veniva impiegata per la preparazione casalinga di creme da

notte emollienti e antirughe.In tempi remoti si usava per verificare la verginità delle fanciulle versando la loro urina sulle

sue foglie che, per evitare problemi, non dovevano seccare.

Le foglie sono spesso attaccate dalla “ruggine arancione della malva”, che si manifesta conmasserelle polverulenti di color aranciato, causate da un fungo microscopico, la Pucciniamalvaceorum.

E’ consigliabile evitare di utilizzare le piante affette da tale fitopatologia.

DIFFUSIONENel territorio considerato la Malva sylvestris è presente praticamente ovunque: negli ambienti

ruderali, antropizzati, incolti ed erbosi. Tra i 100 ed i 1.100 metri di altitudine.E’ presente anche la Malva nicaeensis (tra i 100 ed i 400 metri di altitudine), che si differenzia

dalla prima per i fiori di dimensioni più piccole, privi di striature e di colore azzurro-biancastro(ma talora anche rosa).

USO GASTRONOMICO

RICETTE 034 - 148

170

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sopra: Località Cerreta, in territorio di Mugnano del Cardinale (Av).Foto sotto: Vista del “Mandamento di Baiano” che si apre sulla piana della “Campaniafelix”, con il Vesuvio sullo sfondo.

171

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Papaveraceae

La famiglia delle Papaveraceae comprendecirca 700 specie localizzate, per lo più, nelle regionitemperate e fredde dell’emisfero boreale.

Si tratta generalmente di piante erbacee,raramente arbustive (Bocconia) o lianose, perennie annuali. Presentano quasi sempre canali laticiferi,con latice bianco (Papaver), aranciato(Chelidonium), o rosso (Sanguinaria).

Le foglie possono essere intere o laciniate, condisposizione alterna, e sprovviste di stipole.

I fiori, ermafroditi, attinomorfi (Papaver) ofortemente zigomorfi (Fumaria), sono portatiisolati oppure riuniti in cime unipare o bipare.

Il calice è formato da un verticillo dimeroprecocemente caduco.

La corolla si compone di 2 verticilli dimeri otrimeri. L’androceo è formato da 2 a molti stami. Il gineceo, supero, bi o multicarpellare, costituisceun ovario uniloculare, anche se talvolta un falso setto di derivazione placentare lo divide in 2logge (Glaucium).

Nel genere Papaver gli stimmi saldati formano un disco appiattito sopra l’ovario.La tipica formula fiorale è: K 2, C 2+2 oppure 3+3, A 2-molti, G (2-15).Il frutto può essere un achenio (Bocconia), una siliqua (Chelidonium) o una capsula poricida

(Papaver), ed i semi sono provvisti di abbondante endosperma carnoso, spesso oleaginoso.L’impollinazione è entomofila.La famiglia è suddivisa in 2 sottofamiglie: Papaveroideae e Fumarioideae. La prima

presenta numerosi carpelli e frutto a capsula (Papaver), o con 2 carpelli (Chelidonium,Sanguinaria, Glaucium). La seconda è caratterizzata da fiori zigomorfi per la presenza di1-2 petali speronati, nettàrii alla base degli stami, gineceo con 2 carpelli, frutto ad achenio(Corydalis, Fumaria, Hypecoum).

La specie più importante è senz’altro il Papaver somniferum o papavero da oppio, il cuiderivato più importante è certamente la morfina.

Tra le specie selvatiche si ricorda il rosolaccio o papavero comune (Papaver rhoeas).Nei comprensori Baianese e Lauretano sono presenti solo 5 specie vegetali appartenenti alla

famiglia delle papaveraceae.

Vasca del Campo di Summonte.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Papaver rhoeas (L.)Scheda n. 60

Rosolaccio o Papavero comune

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Papaver erraticum.Nomi volgari: papavero, rosolaccio.Pianta erbacea annuale (terofita

scaposa) con densa rosetta basale difoglie da cui partono i fusti (scapi), erettie glauchi, alti fino a 80 centimetriricoperti di peli lunghi e patenti (ovvero,rivolti ad angolo retto rispetto al fusto).Se spezzato il fusto lascia fuoriuscire unlatice bianco di odore sgradevole. Laradice è a fittone.

Le foglie della rosetta basale,ricoperte ovunque di morbidi peli, sonopennatopartite con i singoli segmentilanceolati, a losanna o ellittici e marginedentato, con apice acuto e baselungamente picciolata. Le foglie caulinesono più semplici, grossolanamente triangolari, sessili e di dimensioni ridotte.

I fiori, solitari, grandi 5-7 centimetri di diametro, sono portati all’estremità di lunghi peduncoliche originano alla sommità del fusto e all’ascella delle foglie. Il calice è composto da due sepalicaduchi, la corolla ha 4 petali tondeggianti anch’essi molto effimeri (persistono pochissimi giorni)di colore rosso vivo, spesso macchiati di nero alla base. Gli stami sono numerosi e di colorenerastro. I boccioli hanno portamento pendulo prima della fioritura.

Il frutto è una capsula poricida globosa dotata superiormente di un disco ondulato che siapre con numerosi fori alla maturità dei semi nerastri.

RICONOSCIMENTO

Classica specie infestante, è tipicamente sinantropa e si ritrova in tutte gli incolti e zoneruderali.

DIFFUSIONE

Le tenere foglie delle rosette primaverili vengono consumate crude in misticanze, oppure,lessate o saltate in padella o, ancora, adoperate per saporiti ripieni di pizze, torte o focaccesalate.

Limitandosi a consumare le sole foglie giovani non si riscontra alcun effetto negativo.Quando il papavero è fiorito le foglie diventano fibrose, per cui non conviene più utilizzarle.

I fiori e le capsule di “rosolaccio”, pur non avendo nulla a che vedere con quelli del papaveroda oppio (Papaver somniferum), sembrano avere leggere proprietà soporifere e, un tempo, unosciroppo da essi ottenuto veniva somministrato ai bambini irrequieti per indurli al sonno.

I semi di papavero vengono usati, attualmente, in pasticceria (ma pare che abbiano unseppur minimo contenuto in sostanze allucinogene, rilevabile dai kit diagnostici antidroga indotazione alla Polizia stradale).

Curiosità:Lo schiocco del suo petalo posto sul pugno della mano e colpito con il palmo dell’altra mano

era, nella tradizione popolare, una prova della fedeltà e dell’amore ricambiato.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 036 - 066 - 077 - 124 - 125

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Foto sopra: La Piana di Prata (tra Sarno e Quindici). Altipiano carsico tributarioidrologicamente di Quindici, Sarno, Siano e Bracigliano. Secondo alcuni non estraneo ainoti eventi franosi che hanno coinvolto nel 1998 le località menzionate.Foto sotto: L’abitato di Quindici (Av) . A sinistra si intravedono le opere di protezione rea-lizzate dal Commisario di Governo.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Plantaginaceae

La famiglia Plantaginaceae comprende specie vegetali ad habitus prevalentementeerbaceo, raramente arbustivo, talora succulento (Plantago maritima).

Piante annuali o perenni, spesso presentano rosette basali di foglie. Quache voltapachicauli. Alcune specie sono eliofite e xerofite.

Le foglie di consistenza erbacea, coriacea o carnosa sono portate sul fusto con fillotassia spirale. Possono essere pedicellate oppure sessili, a volte stipolate. La lamina ègeneralmente intera, e dalla forma lineare, ovale o lanceolata.

L’impollinazione è anemofila.I fiori sono spesso raggruppati in infiorescenze racemose portate alla sommità di uno

scapo. Presentano perianzio distinto in calice e corolla, e sono parzialmente gamopetali.La tipica formula fiorale è: K3(4), C 3(4), A 1(4), G1(4).Il frutto è “non carnoso”, deiscente o indeiscente. Generalmente costituito da una

capsula membranosa o da una noce.Il genere più rappresentativo è il gen. Plantago, comprendente circa 60 specie.Nel territorio Baianese-Lauretano sono state censite 8 specie appartenenti a tale

genere.

Erbario di Leonardo Fucs (1545)

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Plantago spp.Scheda n. 61

Piantaggine

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Il nome delgenere Plantago,pare sia dato dallacaratteristica formadelle foglie di alcunespecie, simili allapianta di un piede;altri invece, pensa-no derivi dai terminilatini planta e agere(pianta che agevolala crescita di altreerbe).

Si tratta di pianteperenni, erbacee,con breve e grossorizoma, dal qualeogni anno si originauna rosetta di fogliebasali aventi formavariabile a seconda della specie e provviste di 5-9 nervature ben evidenti. Successivamente, datale rosetta basale, si forma uno scapo fiorale talora alto sino a 45 centimetri. Si tratta, pertanto,di emicriptofite scapose.

Le specie di Plantago ritenute eduli sono le seguenti:- Plantago major (piantaggine maggiore o settenervi).

Ha foglie grandi e glabrescenti, di colore verde pallido. La sua principale caratteristicadistintiva è rappresentata dalla lunga infiorescenza.

- Plantago lanceolata (piantaggine lanceolata o cinquenervi).Si distingue facilmente per le foglie lanceolate e dal portamento assurgente.

- Plantago media (piantaggine pelosa).E’ la più bella tra le piantaggini, ed è anche odorosa. Ciò è spiegato dal fatto che, mentre lealtre piantaggini sono ad impollinazione anemogama (operata dal vento) la P. media è adimpollinazione entonogama e deve, perciò, attrarre gli insetti. Le foglie sono dotate di unpicciolo più breve della P. major, sono coperte da una leggera peluria e possono presentareda 5 a 9 nervature.

I frutti sono capsule ovali che contengono più semi (molto appetiti dagli uccelli).

Plantago spp.

Le foglie giovani possono essere utilizzate (in minima quantità, a causa del loro effettoemostatico e coagulante) in insalata, nella preparazione di zuppe, oppure cotte come gli spinaci.

Hanno un sapore amarognolo che ricorda quello dei carciofi e, se soffritte, secondo alcuni,addirittura dei funghi. Le rosette basali delle piantaggini sono sempre presenti e si possonoraccogliere per circa 10 mesi all’anno.

RICETTE

RICONOSCIMENTO

Le Plantago sopra indicate sono rinvenibili in tutto il territorio, nei luoghi erbosi e negli ambientiantropizzati.

Nel comprensorio oggetto di studio sono, inoltre, presenti le specie: Plantago afra, Plantagoarenaria, Plantago argentea, Plantago bellardii e Plantago lagopus.

La Plantago major è presente con la subsp. major e la Plantago lanceolata con la var.mediterranea.

DIFFUSIONE

USO GASTRONOMICO

037 - 066

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Foto sopra: Mugnano del Cardinale (Av) visto da Arciano (in territorio di Baiano -AV).Foto sotto: I monti di Sperone (al limite dei territori di Sirignano e di Summonte).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Portulacaceae

La famiglia delle Portulacaceae comprende circa 580 specie, raggruppate in 20 generi.Si tratta di piante ad habitus erbaceo od arbustivo, spesso succulente, eliofite e talora

xerofite (adatte, quindi, a vivere in ambienti caldi ed aridi).Le foglie, disposte con fillotassi alternata, a spirale od opposta, possono essere

pedicellate o sessili. Non guainanti e con lamina intera, di forma lineare, lanceolata odovale.

I fiori, vistosi, bianchi o gialli, tetraciclici ed ermafroditi, sono portati solitari oppure ininfiorescenze cimose (dicasio).

Il calice è costituito da 2-3 sepali.La corolla è formata da 4-6 petali.Gli stami sono in numero uguale o multiplo dei sepali e dei petali.L’ovario è supero, con 2-5 stimmi.Il frutto è una capsula.La tipica formula fiorale della famiglia è: K2, C5-molti, A5-molti, G(2-5).L’impollinazione è entomofila.Alcune specie sono coltivate come piante ornamentali (Portulaca grandiflora, Talinum,

Lewisia e Calandrina spp.).Nell’area Baianese-Lauretana è presente la sola Portulaca oleracea, dagli interessanti

usi alimentari e salutistici (elevato contenuto di omega-3).

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Portulaca oleracea (L.)Scheda n. 62

Erba prucchiacchella o Portulaca

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Nomi comuni: portulaca, porcellana, procaccia, erba prucchiacchella.Il nome del genere (e, probabilmente, anche quello dialettale) deriva dal latino portula (piccola

porta), in riferimento al frutto a capsula che si apre per mezzo di un coperchietto come unapiccola porta; il nome generico deriva dal latino oleraceus (pianta coltivata) che sta a confermarel’antico e consolidato impiego alimentare della pianta.

Terofita reptante, di aspetto vagamente crassulaceo, alta fino a 30 centimetri, è una piantaerbacea annua dotata di fusti prostrato-diffusi (eretti in situazioni di scarsa illuminazione), moltoramificati, carnosi, lisci e cavi. Spesso di colore rossastro.

Questa specie possiede la caratteristica di poter emettere agevolmente radici avventizieche la mettono in grado,anche se tagliata, dicontinuare a vegetare.

I fusti, infatti, possonorimanere vitali per lungotempo, soprattutto incondizioni di umiditàottimale.

Le foglie, di coloreverde chiaro, sono diconsistenza carnosa.Intere, spatolate, glabre,lunghe fino a 3 centimetri,picciolate e con apicetroncato o refuso, sonoportate con disposizionealterna lungo il fusto everticillata attorno ai fiori.

I piccoli fiori, gialli epoco appariscenti, sonoermafroditi, dialipetali edattinomorfi (sepali 2carenati, petali 4-6 gialli di7-8 mm, patenti, stami 8-12, ovario semi-infero sincarpico). Sono solitari o riuniti in numero di 2-5 in infiorescenze a cima ascellari. Si aprono per poche ore durante il mattino, solamente quandoc’è il sole.

I frutti sono capsule membranose, di forma compresso-fusiforme, contenenti molti semi.Fiorisce da maggio ad ottobre.

RICONOSCIMENTO

Già nota agli antichi Egizi, questa pianta compare nella letteratura medica cinese attorno al500 ed è oggi coltivata come verdura.

Studi recenti hanno dimostrato, inoltre, come la Portulaca oleracea sia una ricca fonte diacidi grassi omega-3, dal benefico effetto sul sistema circolatorio e sul sistema immunitario.

Le foglie, dal sapore acidulo, si consumano crude (da sole o insieme a pomodorini freschi eporri) oppure in prelibate frittate.

I rametti più carnosi e teneri, tagliati a pezzetti, possono essere conservati sotto aceto edusati come i capperi.

Siccome cresce in estate non è compresa nelle “misticanze” di erbe primaverili.Localmente, alcuni contadini hanno l’abitudine di farla essiccare al sole (come usano fare

con i funghi porcini, tagliati a fette) per poi utilizzarla, bollita, anche in autunno.

DIFFUSIONEE’ frequente nei terreni aridi, sia coltivi che incolti, tra i 100 ed i 300 metri di altitudine.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 038

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Foto sopra: Avella. Località “Capo di Ciesco”, ingresso del Vallone Sorroncello.Foto sotto: Un tratto del torrente Clanius (padre dei Regi Lagni).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Primulaceae

La famiglia delle Primulaceae comprende circa 350 specie, raggruppate in 28 generi.Sono, per lo più, piante erbacee, raramente suffrutici, con foglie spiralate, talvolta disposteesclusivamente in rosetta basale, di rado opposte o verticillate, senza stipole.

I fiori, ermafroditi e attinomorfi o debolmente zigomorfi (Coris), tetraciclici e pentameri,sono spesso riuniti in infiorescenze (ombrelle, racemi o pannocchie).

Il perianzio è formato da un calice gamosepalo e da una corolla gamopetala (inalcuni casi quasi dialipetale, come nel gen. Anagallis, in altri casi quasi completamentesimpetale, come nel gen. Primula).

L’androceo è composto da 5 stami, spesso concresciuti con la corolla tubiforme. Ilgineceo è costituito da altrettanti carpelli saldati. L’ovario è supero ed uniloculare.

La tipica formula fiorale è: K (5), C (5), A 5, G (5).Il frutto è una capsula.L’impollinazione è entomofila.Alcune Primulaceae, come le numerose varietà di primula (Primula hortensis) e di

ciclamino (Cyclamen persicum), sono notissime piante ornamentali.Nell’areale di riferimento sono state censite solo 6 specie vegetali appartenenti alla

presente famiglia.Tra queste ricordiamo la Primula vulgaris (tipica delle faggete e di altri boschi mesofili)

che ha una limitata utilizzazione alimurgica, il Cyclamen hederifolium, il Cyclamenrepandum, l’Asterolinum linum-stellatum, piccola terofita tipicamente mediterranea el’Anagallis arvensis, specie nitrofila, comune nei campi coltivati.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Primula officinalis (L.) (Hill) o P. vulgaris (Hud.)Scheda n. 63

Primula

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimi: Primula acaulis, Primula grandiflora.Ha la forma biologica di emicriptofita rosulata (pianta erbacea perenne con gemme svernanti

a livello del suolo e foglie dell’annata in rosetta basale), raramente assume il portamento di unacamefita suffruticosa.

Il robusto fusto, strisciante e sublegnoso, può essere lungo fino a 30 centimetri e spessofino a 3 centimetri. E’ quasi sempre ramificato, soprattutto nel tratto terminale e porta più di unarosetta di foglie, ognuna delle quali sviluppa uno scapo fiorale. Il rizoma è obliquo e breve, esviluppa grosse radici secondarie.

Le foglie, tutte basali e in rosetta, emanano un odore non a tutti gradito. Possono giungeread una lunghezza di circa 10 centimetri e ad una larghezza di circa 4 centimetri. Sono diconsistenza coriacea, a lamina obovata-spatolata e margine grossamente dentato, crenulatodentato oppure subintero. Le foglie sono picciolate e presentano la pagina superiore glabra equella inferiore ricoperta da corti peli ialini misti a peli ghiandolari.

I fiori sono attinomorfi, ermafroditi, con antere e polline di colore giallo dorato. Sono portatida un picciolo di 4-7 centimetri e presentano un calice con tubo e denti lesiniformi, la corollagialla con tubo e lobi cordati (con una macchia più scura alla base). Stami in numero di 5.Ovario supero.

Il frutto è una capsula uniloculare, deiscente, lunga 3-4 mm e larga circa altrettanto.Fioritura da febbraio a marzo: questa pianta è, notoriamente, una delle prime a sbocciare.

RICONOSCIMENTO

È presente nei boschi di latifoglie, soprattutto faggete, querceti e carpiteti di tutto il Partenio,tra i 200 ed i 1.500 metri di altitudine.

DIFFUSIONE

Le foglie più tenere si usano crude, da sole o assieme ad altri tipi di insalata, tipicamenteinsieme alla lattuga.

In cucina, le foglie più giovani possono essere consumate in insalata e risultano ottimeanche lessate e nei minestroni.

I fiori possono essere utilizzati per preparare un’ottima tisana, ad azione lievemente calmante,oppure per preparare variopinte insalate. Inoltre, possono essere canditi come dolci o utilizzatiper farcire torte salate.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 039 - 040

Mugnano del Cardinale: Campo di Spina o Cerreta

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sopra. Don Giovanni Picariello, col nipote Antonio De Rosa, nel giardino di San Pietro a Cesarano (interritorio di Mugnano del Cardinale - AV) mentre raccolgono alcune erbe selvatiche.Sotto, il prof. Pellegrino De Rosa con il collega giornalista e scrittore, Luigi Boccia (a sinistra).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Ranunculaceae

La famiglia delleRanunculaceae comprendecirca 1.200 specie, raggruppatein circa 50 generi. Sono, per lopiù, piante erbacee, spessoperenni, con foglie alterne privedi stipole, frequentemente alamina divisa.

I caratteri distintivi dellafamiglia risiedono nelladisposizione spiralata o ciclo-spiralata degli elementi fiorali, nella presenza di un grannumero di stami, dei quali i più esterni trasformati in nettari, e nei carpelli liberi tra loro(ovario apocarpico).

La morfologia dei fiori è, però, molto varia.Vi sono generi con fiori aciclici, in cui solo il calice è verticillato (Helleborus).Altri generi presentano fiori emiciclici, con gli elementi perianziali verticillati ed elementi

sessuali con disposizione spiralata (Ranunculus).Altri generi, ancora, hanno fiori euciclici, in cui tutti gli elementi sono verticillati

(Aquilegia).Il perianzio, in alcuni casi (Caltha), è un semplice perigonio ma -più spesso- è doppio

e suddiviso in calice e corolla (Ranunculus).Esso è inteso come una modificazione di foglie bratteali (Helleborus) o di derivazione

staminale (Hepatica).La fecondazione è entomofila.La formula fiorale tipica è: K 5, C 5, A molti, G 1-molti.Il frutto può essere una bacca plurisperma, una capsula, un follicolo o un poliachenio.Alle Ranunculaceae appartengono diverse specie medicinali (talune velenose)

impiegate in erboristeria, quali, ad esempio, l’adonide (Adonis vernalis) e l’aconito(Aconitum napellus).

Alcune specie, per la bellezza dei loro fiori, sono utilizzate come piante ornamentali(Anemone, Aquilegia, Consolida, Ranunculus).

Nell’areale oggetto di studio sono state censite 21 entità vegetali appartenenti a questafamiglia.

Di esse viene riportata, quale possibile erba alimurgica, la sola Clematis vitalba, conl’avvertenza, però, che essa è stata recentemente vietata come integratore alimentare.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Clematis vitalba (L.)Scheda n. 64

uso sconsigliatoVitalba o Liana

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Il termine Clematis deriva dal greco klema (pezzo di legno flessibile, pianta sarmentosa) cheindica il portamento lianoso della pianta, mentre vitalba proviene dal latino vitis alba (vite bianca),con riferimento alle infiorescenze biancastre e all’infruttescenza piumosa argentea.

La Clematis vitalba è una pianta perenne, fanerofita lianosa, con fusto legnoso volubile,rampicante e a sezione stellata, che può raggiungere anche i 15 metri di lunghezza, e provvistadi rizoma grosso e nodoso.

Le foglie, portate con fillotassi opposta, sono suddivise in 3 o 5 segmenti imparipennati, diforma lanceolata od ovata con margine intero o dentellato, portate su peduncoli patenti edingrossati alla base.

I fiori eretti giallastri o bianco-verdastri con diametro di 2 - 3 centimetri emanano un intensoprofumo. Hanno il calice corollino, attinomorfo e tetrametro, e sono riuniti in infiorescenza apannocchia, situate all’ascella o all’estremità dei rami.

I frutti sono piccoli acheni ovoidali, con resta piumosa argentea, lunga 3-4 centimetri, arricciataall’apice.

Antesi: da maggio ad agosto, a seconda dell’altitudine e dell’esposizione.L’ impollinazione è anemofila.

RICONOSCIMENTO

Di questa pianta si consumano, tradizionalmente, i giovani getti, allo stesso modo degliasparagi.

E’ una pianta velenosa ed è compresa nella “Lista piante non ammesse negli integratorialimentari” – Ministero della Sanità – 2006 (vedi appendice).

DIFFUSIONE

USO GASTRONOMICO

La Clematis vitalba è rinvenibile nei boschi e nelle siepi di tutto il massiccio, tra i 200 ed i1.100 metri.

Pur non essendo una pianta parassita ma epifita (che usa l’ospite, generalmente una latifoglia,solo come supporto per il sostegno), talora, per il suo comportamento invasivo, costituisce unproblema dal punto di vista selvicolturale, poiché sottrae luce ed aria alle piante forestali (acero,castagno, ontano, ecc..).

Nel territorio oggetto del presente lavoro è presente anche la specie Clematis flammula,diffusa nei boschi termofili (Quercus spp.), tra i 100 ed i 400 metri di altitudine (es. Tuoro diSasso, Pietra Maula).

RICETTE 084

190

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Rosaceae

La famiglia delle Rosaceae include un gran numero di specie (oltre 3.200 secondoalcune classificazioni), raggruppate in oltre 95 generi.

Comprende piante, legnose ed erbacee, con apparato vegetativo provvisto di fogliesparse stipolate e fiori pentameri, ciclici o spirociclici, con 5(4) sepali, 5(4-7) petali, 5(n)stami, n carpelli formanti un ovario semi-infero, ma talvolta anche infero o supero.

La formula fiorale, in generale, è: * K 5, C 5, A 5-molti, G 1-5-molti.La notevole diversità della morfologia fiorale ha portato ad una distinzione in

sottofamiglie o sezioni.Le Spiraeoideae si distinguono per il ricettacolo quasi piano e per il gineceo i cui 5

carpelli, ciascuno con 2-molti ovuli, danno origine a maturità ognuno ad un diverso follicolo.Nelle Pomoideae (pomacee) i carpelli, in numero di 2-5 e contenenti da 1 a molti

ovuli, sono contenuti in un talamo cavo e saldati ad esso. Il frutto è il pomo (che in realtàè un falso frutto, in cui la parte carnosa è formata dal ricettacolo avvolgente, ed in cui ilvero frutto è costituito dal torsolo, come nel melo, nel pero).

Nelle Prunoideae (drupacee) è presente generalmente un solo carpello ed il frutto èrappresentato dalla drupa, che può essere carnosa come nel pesco (Prunus persica) omembranacea come nel mandorlo (Prunus dulcis).

Le Rosoideae presentano da 1 a molti carpelli, sostenuti da un talamo piano o concavo,ciascuno portante 1-2 ovuli. I frutti delle specie appartenenti a questa sottofamiglia sonodi vario tipo e spesso raggruppati in infiorescenze: nel rovo (Rubus ulmifolius) e nellampone (Rubus idaeus) i frutti, costituiti da piccole drupe, si riuniscono a formareun’infruttescenza chiamata mora; in altre specie, come quelle appartenenti al genereRosa, i numerosi frutti, costituiti da piccole nucule, sono immersi nel ricettacolo a formadi coppa, andando a costituire un cinorrodio; nella fragola (Fragaria vesca) lo squisito“frutto” che siamo abituati a mangiare è un falso frutto (poiché alla sua formazione prendeparte non solo l’ovario ma anche il ricettacolo), mentre i frutti veri (acheni) sono quelliche a noi appaiano come minuscoli “semi” sparsi sulla sua superficie.

La fecondazione è entomofila.Le più note specie da frutta appartenenti alle rosacee sono: il melo (Malus domestica),

il pero (Pyrus communis), il cotogno (Cydonia oblonga), il ciliegio (Prunus avium), ilsorbo (Sorbus domestica), il nespolo del Giappone (Eryobotrya japonica), il nespolocomune (Mespilus germanica), l’azeruolo (Crataegus azarolus), il pesco (Prunus persica),il mandorlo (Prunus dulcis), l’albicocco (Prunus armeniaca), il susino (Prunus domestica),la fragola (Fragaria vesca), il lampone (Rubus idaeus) e il rovo (Rubus ulmifolius).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Altre rosacee sono impiegate come piante ornamentali, come le numerosissimevarietà del genere Rosa, il biancospino coltivato (Crataegus monogyna), con la baccacontenente un solo seme, ed il biancospino selvatico (Crataegus oxiacantha), con labacca contenente due semi.

Questi ultimi presentano bacche eduli e mostrano una singolare istocompatibilitàcon il pero, al punto che su di essi possono essere innestate le “marze” di pero, ottenendouna pianta in cui il “bionte” inferiore è costituito dal biancospino e quello superiore dalpero. Comunque, la differenza di turgore fra le due specie conferisce a questo tipo diinnesto una durata piuttosto limitata.

Nelle aree Baianese e Lauretana sono state censite 34 specie selvatiche appartenentialla presente famiglia.

Quasi tutte possono avere utilizzazione alimentare ed alimurgica (Prunus spp; Rubusspp; Rosa canina; Sanguisorba minor; Malus spp.).

Da utilizzare con attenzione le bacche di alcuni Sorbus spp., ottime per marmellatema, in alcuni casi, dai semi tossici per l’uomo.

E’ accertato, ad esempio, che le bacche di Sorbus aucuparia o “sorbo degli uccellatori”(molto appetite dagli uccelli, ricche di vitamina C, usate per marmellate o, se fattefermentare, per produrre liquori) contengono semi che, se accidentalmente frantumatiod ingeriti, possono risultare estremamente tossici per il loro contenuto in acido cianidrico(cianuro).

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Rubus spp.Scheda n. 65

Rubus ulmifolius

Rubus idaeus

Rovo (more) e Lampone

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Rubus ulmifoliusRICONOSCIMENTO

Pianta nitrofila sinantropa che cresce in tutte le zone ruderali, naturalmente distribuita neiboschi ripariali ed aperti. Caratteristica specie che si insedia nei primi stadi di successione inseguito a disboscamento. R. ulmifolius è la specie più comune di un gruppo di agamospecie eibridi con caratteri simili che comprende diverse entità botaniche.

E’ presente in tutto il territorio, nei boschi e nei fruticeti tra i 900 ed i 1.500 metri di altitudine.

DIFFUSIONE

Rubus idaeus

Sinonimo: Rubus rusticanus.Nomi comuni: rovo, more.Il Rubus ulmifolius è una fanerofita cespugliosa, che può giungere ad un’altezza di oltre un

metro e mezzo.Presenta un fusto legnoso, glauco, scanalato e coste spinose e arrossate, con spine dritte.Le foglie sono composte, con 3-5 segmenti palmati ed acuminati, di 3-6 centimetri. La

pagina superiore è di colore verde scuro, mentre quella inferiore è bianco-tomentosa.I fiori sono ermafroditi, dialipetali e attinomorfi. Il calice è semplice, con sepali bianco-

tomentosi, ripiegati verso il basso. I petali, in numero di cinque, sono di colore bianco-roseo, aforma ovata, e lunghi circa un centimetro. Stami e stili bianco-rosei, ovario semi-infero, molti carpelli.

Antesi: da maggio a luglio.L’infiorescenza è una pannocchia piramidale che, a maturazione, dà le gustosissime more,

frutti aggregati (o infruttescenze) di colore prima rosa e poi nero, a maturità.

Nome comune: lampone.Il Rubus ulmifolius è una nanofanerofita che può giungere ad un’altezza di circa due metri.

Il fusto è legnoso ed eretto, ramoso e spesso spinoso. I getti dell’annata sono erbacei e glabri.Le foglie sono trifogliate o formate da 5 segmenti pennati. Presentano: stipole lineari; picciolospinoso, di 2-4 centimetri; segmenti lanceolati ed acuminati, con margine seghettato; verdi allapagina superiore e bianco-tomentosi a quella inferiore.

I fiori sono ermafroditi, dialipetali e attinomorfi. Con sepali triangolari. Petali obovali e bianchi.Ovario semi-infero, apocarpico. Molti carpelli e stami.

Antesi: da maggio a giugno.I fiori sono raccolti in infiorescenze cimose.I frutti, aggregati, sono di un colore rosso feltroso.

RICONOSCIMENTO

Le due specie di Rubus indicate sono notoriamente molto apprezzate per i loro frutti aggregati(more e lamponi), utilizzati per il consumo fresco o per la produzione di squisite marmellate esciroppi.

Queste due specie sono state qui menzionate poiché i loro getti primaverili possono essereutilizzati, alla stessa stregua degli asparagi, in gustose frittate: i getti più teneri, liberati dallacorteccia e dalle ancora tenere spine, si scottano velocemente in padella con poco olio e siricoprono di un uovo sbattuto e salato e portati a completa frittura. Possono essere anchegustati all’agro ed hanno un sapore a metà fra il limone e la rosa.

DIFFUSIONEPianta caratteristica di radure e schiarite dei boschi, in particolare di faggio. Nel comprensorio

oggetto di studio è presente con maggiore frequenza tra i 1.000 ed i 1.500 metri di altitudine.E’ specie coltivata.

USO GASTRONOMICO

Altre specie del genere Rubus rinvenibili nel comprensorio sono: Rubus hirtus, Rubus caesius,Rubus canescens e Rubus candicans.

RICETTE 041 - 135

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sanguisorba minor (Scop.)Scheda n. 66

Pimpinella o Sanguisorba

195

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Poterium sanguisorba.Nome comune: pimpinella.ll nome Sanguisorba, con cui viene indicata questa pianta deriva, presumibilmente, dai

vocaboli latini sanguis e sorbeo, con riferimento alle sue presunte proprietà emostatiche.E’ una specie erbacea perenne (emicriptofita scaposa), sempreverde, con rizoma lignificato

e fusto eretto e striato, a volte peloso in basso, spesso di colore rossastro, alto fino a 60centimetri.Le foglie, riunite in una rosetta basale, sono lunghe da 10 a 20 centimetri, composte-imparipennate con 5 - 17 foglioline ellittiche, picciolate con margine dentato (4-6 denti acuti suciascun lato), di colore verde alla pagina superiore e glauco alla pagina inferiore.

La sanguisorba è pianta monoica portante, contemporaneamente i fiori diclini (maschili ofemminili). Talora sono presenti anche fiori ermafroditi.

I fiori sono piccoli, apetali, con 4 lacinie ovate sepaloidi, verdi al lato in ombra e rossastre dallato maggiormente esposto al sole. Presentano molti stami (15-30) di colore giallo e stilo constimma piumoso, di colore roseo.

Sono riuniti in capolini sferico-ovali del diametro di 1 centimetro, all’apice dei rami. I fiori postipiù in basso sono maschili, con numerosi stami lunghi e sporgenti; i fiori posti in alto sonofemminili ed hanno lo stimma piumoso di un bel rosso vivace; in mezzo si trovano anche uncerto numero di fiori ermafroditi, i cui stami non sporgono dal calice.

Fiorisce da aprile ad agosto.Il frutto è un achenio.

RICONOSCIMENTO

La pimpinella accompagna bene le insalate, soprattutto di lattuga, ma il suo sapore dicocomero un pò salato (o di cetriolo) gli concede raramente l’onore di essere gustata da sola.

Viene impiegata, lessata, anche in gustose minestre e nei minestroni.E’ molto nutriente e, secondo Plinio, non dovrebbe mai mancare nella dieta dei diarroici, sia

come alimento che come rimedio.Gli agronomi, già dal 1760, la considerano un ottimo foraggio, in grado di esaltare sia la

produzione che la qualità del latte e dei suoi derivati.

DIFFUSIONERinvenibile nei gramineti e negli ambienti rupestri di tutto il territorio oggetto di indagine, con

maggiore frequenza tra i 100 ed i 300 metri di altitudine.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 043

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sopra: vista del castello longobardo di Avella con, sullo sfondo, il complesso vulcanicoMonte Somma - Vesuvio. Sotto: altra vista del castello di Avella (Av).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Urticaceae

La famiglia delle Urticaceae comprende circa 50 generi ed oltre 2.000 specie. Sono,per lo più, piante erbacee con foglie opposte o spiralate.

I fiori sono portati in infiorescenze a capolini oppure a glomeruli. Sono unisessuali(diclini), e possono essere portati sulla stessa pianta (in specie monoiche) o su piantediverse (in specie dioiche).

Il perigonio è apoclamidato, ovvero semplice e sepaloide, tetramero e di coloreverdastro, con i tepali disposti su 2 verticilli.

I fiori maschili hanno tanti stami quanti sono i tepali.Quelli femminili hanno un ovario supero, costituito da un solo carpello, e sormontato

da uno stimma filamentoso o piumoso.La formula fiorale più ricorrente è: P 2+2, A 2+2, G 1.Il frutto è un nucula oppure una drupeola, spesso avvolto dai resti del perigonio.L’impollinazione è anemofila: i filamenti staminali, ripiegati nel bocciolo, si raddrizzano

a scatto all’antesi proiettando lontano il polline.Nell’areale Baianese-Lauretano sono state censiste 7 specie vegetali appartenenti a

questa famiglia. Tra queste ricordiamo il genere Parietaria ed il genere Urtica, entrambinoti per il loro polline allergenico e per essere utilizzati sia in erboristeria sia come piantealimurgiche.

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Parietaria officinalis (L.)Scheda n. 67

Erba vetriola o Erba muraiola

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

RICONOSCIMENTOSinonimo: Parietaria erecta.E’ una notissima allergofita, a causa del

suo polline, ma è un’ottima pianta alimurgicaed officinale.

La parietaria assume la forma biologicadi una emicriptofita scaposa.

Pianta erbacea perenne, pocoramificata, con fusti eretti, striati e ricopertidi peli ricurvi, che, in condizioni edaficheottimali, possono giungere anche ad unmetro di altezza. E’ provvista di un rizomastolonifero ipogeo dal quale originano nuovigetti erbacei.

Le foglie sono alterne picciolate,lanceolate (2-4 x 5-10 cm), a margine liscioed apice acuminato, con peli ricurvi nellapagina inferiore.

I fiori, apetali, verdastri o rosati (3-6mm), con quattro sepali, possono esserediclini unisessuali (fiori maschi e fiorifemmina) o ermafroditi. Sono portatigeneralmente sulla stessa pianta (la Parietaria è specie monoica), e raccolti in infiorescenze aglomerulo, ascellari.

L’impollinazione è anemofila ed il polline, che causa fenomeni allergici negli individuipredisposti, è prodotto in grandi quantità.

I frutti sono degli acheni neri e di forma ellittica.

L’erba muraiola possiede un lieve e gradevole sapore amarognolo. Di essa viene utilizzatal’intera parte aerea (prima della fioritura) oppure i giovani apici e le foglioline più tenere (dopo lafioritura).

La sua ruvidezza impedisce di consumarla cruda. Essa, pertanto, va cotta quindi comel’ortica e gli spinaci, ma ciò non ne diminuisce il sapore, né l’apporto di elementi nutritivi.

Viene usata per preparare ottimi minestroni, che colora di un verde intenso.

DIFFUSIONELa Parietaria officinalis è una specie sinantropa, archeofita e nitrofila, molto comune in tutti i

contesti antropizzati e sui suoli eutrofici, tra i 400 ed i 600 metri di altitudine (es. Vallone Acquaserta,Vallone S. Egidio, Monte Campimma).

Nel comprensorio oggetto di studio sono, inoltre, presenti le specie:- Parietaria lusitanica, terofita reptante (pianta annua a portamento strisciante) nelle zone

rupestri e sui muri umidi (es. Mugnano del Cardinale, Lauro, ecc..);- Parietaria diffusa, emicriptofita scaposa, diffusa ovunque, negli ambienti rupestri e sui vecchi

muri o alla loro base, ad altitudini comprese tra i 100 ed i 1.000 metri.

USO GASTRONOMICO

RICETTE 063 - 095 - 096

200

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Urtica dioica (L.)Scheda n. 68

Ortica

201

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Il mome del genere deriva dal latino urere (bruciare) per l’irritazione prodotta quando i suoipeli urticanti iniettano, al minimo tocco, acetilcolina e istamina nella pelle. Il nome specifico,deriva dal fatto che trattasi di specie dioica (lett. “due case”: poiché vi sono individui portanti solofiori maschi ed individui portanti solo fiori femmina).

Viene chiamata, con discutibile umorismo, “erba dei ciechi”, poiché facilmente riconoscibileanche da chi non goda di una vista eccellente, per l’effetto urticante che dispensa a chiunque latocchi, anche inavvertitamente.

Pianta sinantropa nitrofila, comune nelle zone abbandonate, discariche, lungo le strade eschiarite dei boschi. Si ritiene originaria dell’Africa, divenuta sub-cosmopolita seguendo l’uomofin dalle prime migrazioni (archeofita).

Biologicamente è una emicriptofita scaposa (piante perennante per mezzo di gemme postea livello del terreno). E’ una pianta erbacea vivace con un rizoma ampiamente ramificato estrisciante appena sotto il terreno.

I fusti, che originano dal rizoma, sono eretti, alti fino a un metro e mezzo, hanno sezionequadrata e sono generalmente semplici. La loro superficie presenta alcuni peli corti, altri piùlunghi e rigidi: questi ultimi sono i peli urticanti (pare che se si afferra la pianta dal basso versol’alto i peli non si rompono e non “pungono”).

Le foglie, con lungo picciolo, ovali-lanceolate, a margine dentato con peli urticanti, sonoportate con fillotassi opposta. La lamina mostra, superiormente, dei caratteristici rigonfiamenti.

I fiori sono riuniti in spighe, divise in maschili (erette) e in femminili (pendule), inserite all’ascelladelle foglie superiori e sono sempre più lunghe del relativo picciolo. I fiori hanno quattro tepaliche racchiudono i quattro stami, nei fiori maschili, e l’ovario, in quelli femminili.

Il frutto, che si sviluppa dai fiori femminili, è una nucula ovale, con un ciuffo di peli all’apice,racchiuso nei quattro tepali persistenti.

RICONOSCIMENTO

Viene utilizzata tutta la parte epigea (foglie e fusti), finché è giovane e succosa. Tanto èpungente nella raccolta, tanto è buona quando viene cucinata.

È sicuramente una delle erbe selvatiche più note e utilizzate.Per ovvii motivi, non è utilizzabile cruda. Ma cotta è una vera delizia, soprattutto cucinata

insieme alla parietaria. Di sapore delicato, sovente superiore a quello di molte verdurecommercializzate, con questo pungente vegetale si possono preparare passati rinfrescanti,minestre, ripieni e squisiti risotti e frittate.

DIFFUSIONEL’Urtica dioica è diffusa in tutto il comprensorio, nei siti antropizzati, ruderali e terreni nitrofili,

tra i 100 ed i 1.300 metri di altitudine.Sono presenti anche le seguenti specie, tutte terofite (erbe annue):

- Urtica urens, tra i 100 ed i 300 metri di altitudine, negli incolti e ai lati dei sentieri (es. MonteFellino, Tuoro di Sasso, ecc..);

- Urtica membranacea, tra i 100 ed i 600 metri di altitudine, tra i ruderi, terreni marginali edambienti nitrofili di tutta l’area;

- Urtica pilulifera, tra i ruderi e negli ambienti nitrofili umidi, tra i 100 ed i 300 metri di altitudine(es. Monte Fellino, Vallone di Quindici, ecc..).

USO GASTRONOMICO

RICETTE 066 - 105 - 106 - 138 - 139 - 156

202

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Sopra: Il prof. Pellegrino De Rosa, insieme agli studenti del Liceo Scientifico “G. Carducci”di Nola (Na), durante alcune lezioni sulla manutenzione del verde e sull’ingegnerianaturalistica.Sotto: Il prof. Antonio Saracino (a sinistra) e il prof. Pellegrino De Rosa, durante alcuneesercitazioni di Selvicoltura.

203

Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Valerianaceae

La famiglia delle Valerianaceae comprende 350 specie vegetali, raggruppate in 7generi. Si tratta di erbe, raramente arbusti, annuali o perenni, che spesso contengonoolii essenziali nei rizomi e nelle radici.

Le foglie sono opposte, piatte e picciolate, con lembo semplice o, se composto,pinnato.

I fiori, generalmente riuniti in infiorescenze a cime, corimbi o pannocchie, presentanospesso un odore molto penetrante (da gradevole a sgradevole) e sono quasi sempreprovvisti di brattee. Sono pentameri con conformazione tetraciclica e perianzio distintoin calice e corolla e con pistillo triloculare.

L’impollinazione è entomofila.La formula fiorale più tipica è: K5, C5, A4-1, G(3).Il frutto è un achenio striato provvisto di setole piumose, utili nella disseminazione

anemocora (operata dal vento), derivanti dalla modificazione che i piccoli denti del calicesubiscono con la maturazione.

Il genere più importante è il genere Valeriana, con circa 150 specie di erbe.Nell’area oggetto di indagine sono presenti 6 solo specie vegetali ascrivibili alla

presente famiglia.

204

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Valerianella locusta (L.) (Lat.)Scheda n. 69

Lattughino o Oallinella

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Valerianella olitoria.Nomi comuni: soncino, lattughino.Il nome del genere non deve trarre in

inganno: questa pianta non ha niente a chevedere con la Valeriana officinalis (erba usata,con cautela, in erboristeria).

E’ una terofita scaposa. Pianta erbaceaannua che raggiunge al massimo i 30 centimetridi altezza. Localmente, i meno esperti tendonoa confonderla con la Portulaca oleracea, con laquale ha una vaghissima e lontana somiglianza,non condivisa dagli autori: infatti la pianta ècompletamente diversa e le foglie, pur di unacerta consistenza, non sono affatto carnosecome quelle della portulaca.

Il fusto è eretto, dicotomo, striato,strettamente alato e scabro con ciglia.

Le foglie basali sono picciolate, uninervie,spatolate a margine intero (1-3 x 4-7 cm); lesuperiori ridotte, sessili, opposte a lamina ellittica-spatolata.

I fiori sono ermafroditi, pentameri,attinomorfi, gamopetali di 1,5-2 mm; petali dabianchi ad azzurri; 3 stami, ovario sincarpicoinfero a tre carpelli (due sterili a grandi loggeconcresciute la sola fertile opposta alleprecedenti con ingrossamento spugnoso dorsale).

I fiori sono riuniti in infiorescenze (cima di cime contratte), portate su brattee ottuse-lineari,cigliate.

Il frutto è una nucula ellissoide con pappo, appuntita, e con 3-4 coste trasversali.Fiorisce da aprile a maggio.

RICONOSCIMENTO

La valerianella è indubbiamente unadelle verdure più pregiate. Esistono anchevarietà coltivate e commercializzate in“quarta gamma” (ad. es. con il nome di“songino”), ma le varietà selvatiche hannoun gusto superiore.

Viene impiegata esclusivamentecome insalata, meglio da sola, condita alconsumo con un filo d’olio, niente aceto,nè sale per non soffocarne la dolcezza.

Si tenga presente che la pianta vaconsumata prima di sviluppare lo stelo,quando le foglioline disposte rase sulterreno sono ancora tenere.

DIFFUSIONELa valerianella è ampiamente diffusa nel territorio oggetto di studio, con maggiore frequenza

nella fascia basale, tra i 200 ed i 300 metri di altitudine, a ridosso delle zone antropizzate ecoltivate (a ridosso dei noccioleti, oliveti e nelle zone limitrofe ai piccoli appezzamenti di terrenicoltivati a colture ortive ad uso familiare: es. Vallone Aquaserta, ecc..).

USO GASTRONOMICO

RICETTE 021 - 028 - 043

206

Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Da sinistra. Il dirigente scolastico del Circolo Didattico “Giovanni XXIII” di Baiano e Sperone(Av), prof. Felice Colucci, insieme alle docenti Maria Filomena Avitabile e Carmen D’Apolito,nel corso di una lezione sulle erbe alimurgiche (nel corso della quale è stato più volte ribaditol’importante concetto di raccogliere solo le erbe che si conoscono perfettamente comecommestibili e, nel dubbio, di chiedere informazioni agli adulti esperti).

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Violaceae

La famiglia delle Violaceae abbraccia circa 900 specie raggruppate in 21 generi.Di questi, il più rappresentativo è costituito dal gen. Viola, che comprende circa 400specie.

Si tratta di piante erbacee annuali o perenni e anche suffruticose, alte da 10 a 20 cm,con fioriture primaverili, in svariati colori e corolle dalla forma caratteristica. Generalmentecon l’inizio della stagione calda, le piante interrompono la fioritura, stimolando laproduzione dei semi e concludendo il ciclo vegetativo.

Il frutto può essere deiscente od indeiscente, carnoso o non carnoso (capsula, baccao, raramente, una noce), spesso con endosperma oleoso e con un meccanismo didisseminazione esplodente.

In alcuni casi, i semi sono muniti di appendici alate per favorirne la disseminazioneanemocora.

Le foglie sono portate con fillotassi alterna od opposta e si presentano con margineintero e provviste di stipole fogliose.

Il fiore è ermafrodita. Con calice formato da 5 sepali verdi, corolla composta da 5petali colorati. L’androceo è costituito da 5 stami liberi posti su un solo verticillo ed ilgineceo, tricarpellare, con ovario uniloculare.

La tipica formula fiorale è K5, C5, A5, G3.Nei comprensori del Vallo di Lauro e del Baianese sono state censite 9 sole specie

appartenenti alla presente famiglia, tutte comprese nel genere Viola.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Viola odorata (L.) o Viola mammolaScheda n. 70

Viola o Mammola

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Sinonimo: Viola mammola.La viola ha la forma biologica di una emicriptofita rosata.Può raggiungere le dimensioni di circa 15 centimetri.Possiede un rizoma sotterraneo obliquo dal quale si dipartono ciuffi di radici secondarie e,

annualmente, si origina una rosetta basale di foglie.Il fusto epigeo è costituito da stoloni fogliosi, striscianti e radicanti.Le foglie della rosetta basale si presentano stipolate, con lamina rotonda, a base reniforme

e margine crenulato.I fiori sono zigomorfi, dialipetali e pentameri. Dalle dimensioni di 1,5 centimetri, profumati;

petali viola, raramente bianchi, con quello inferiore prolungato in sperone (nettario). Gli stamisono in numero di 5. L’ovario è sincarpico, supero, tricarpellare, uniloculare. I fiori, solitari ebasali, sono portati su assi fiorali non fogliosi muniti di due brattee in posizione mediale.

Fiorisce da febbraio ad aprile.Il frutto è una capsula loculicida coperta di cortissimi peli.

RICONOSCIMENTO

Le foglie più tenere possono essere mangiate in insalata, mai da sole, spesso unitamente aifiori che conferiscono profumo e un bell’aspetto estetico.

Con i fiori si possono produrre profumatissimi canditi.

USO GASTRONOMICO

DIFFUSIONELa Viola odorata è presente nei boschi e nei fruticeti di tutto il Partenio, con maggiore frequenza

tra i 400 e gli 800 metri di altitudine.Nel territorio oggetto di indagine sono presenti le seguenti altre specie appartenenti al genere

Viola:- Viola arvensis, terofita erbacea, nei coltivi e luoghi erbosi (200 - 400 m slm);- Viola aethnensis subs. splendida, emicriptofita scaposa (800 - 1.500 m slm);- Viola suavis, emicriptofita rosata (400 - 800 m slm);- Viola alba subsp. denhardtii, emicriptofita reptante (200 - 800 m slm);- Viola reichenbachiana, emicriptofita scaposa (400 - 800 m slm);- Viola tricolor, terofita erbacea o emicriptofita scaposa (200 -1.100 m slm), con numerose

sottospecie;- Viola pseudogracilis (endemica), emicriptofita scaposa (800 - 1.300 m slm);- Viola riviniana, emicriptofita scaposa (200 - 1.100 m slm).

RICETTE 061 - 062

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Antica etichetta del tipico olio di oliva di Mugnano del Cardinale

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

RICETTARIO

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Borragine

Sotto. Degustazione di piatti tipici a base di erbe nel locale tradizionale “La Lanterna” diMarco Ferrara (il terzo da sinistra). Alla sua sinistra, nell’ordine, la Signora Luisa Evangelista,esperta di cucina con le erbe selvatiche, ed il Prof. Giovanni Colucci, ex Sindaco di Mugnanodel Cardinale (Av) ed attuale Vice Presidente della Provincia di Avellino.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

ANTIPASTI - CONTORNI - DESSERT

Ingredienti:100 g di radicchio selvatico (Cichorium intybus) – 100 g di Crepis spp. – 100 g di Leontodonhispidus – 100 g di Taraxacum officinale – 100 g di Alliaria petiolata – olio extavergine di oliva– sale.Preparazione:Pulite e lavate tutte le erbe. Ponetele in una scodella e condite con olio e sale.

Insalata campagnola001

Cimette di “cardilli” (Sonchus spp.) al pecorino002Ingredienti:200 g di cimette di cardilli (Sonchus spp.) – 100 grammi di Alliaria petiolata - pecorino – olio– aceto e sale.Preparazione:Pulite le cimette di cardilli in acqua corrente. Asciugatele e tagliatele grossolanamente. Tritatel’alliaria. Ponete tutto in una pirofila. Condite con olio e aceto e una manciata di pecorino.

Salsa di Alliaria e Allium ursinum003Ingredienti:Una manciata di foglie di Alliaria petiolata o Allium ursinum – 2 uova sode - olio extravergine dioliva – aceto – acciughe salate – sale.Preparazione:Mondate e lavate l’alliaria. Frullatela insieme all’olio e alle uova. Amalgamate la pasta cosìottenuta all’aceto e a qualche acciuga precedentemente lavata.

Salsa di Amaranthus retroflexus004Ingredienti:Due manciate di foglie tenere di amaranto – maionese – olio extravergine di oliva.Preparazione:Pulite, lavate e fate bollire per 5 minuti in poca acqua salata le foglie di amaranto. Colatelo,strizzatelo per bene e frullatelo con poco olio. Amalgamate il trito così ottenuto con una quantitàa piacere di maionese. Utilizzate questa salsa come contorno per gli asparagi lessi, le uova soda ocome “pesto” per la pasta.

Insalata di germogli di Angelica sylvestris005Ingredienti:Teneri fusticini di angelica – piccioli di angelica – limone e olio.Preparazione:Mondate e lessate l’angelica. Dopo condite con olio extravergine d’oliva e limone.

A

N

T

N

N

N

Legenda: N = ricette nazionali; T = ricette della tradizione locale; P = ricette suggerite dagli autori

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Mascarpone e cerfoglio (Anthriscus cerefolium)006Il cerfoglio tritato aggiunto nella misura di un cucchiaio per etto di mascarpone (possibilmentecon una cucchiaiata di erba cipollina tritata) è un delicato, ideale ingrediente per preparazione dipiccoli toast, adatti ad accompagnare gli aperitivi.

Radici di bardana (Arctium lappa)007Ingredienti:Tenere radici di bardana – olio extravergine di oliva – 1 goccio di limoncello.Preparazione:Lavate e lessate le radici di bardana in acqua salata. Colatele, tagliatele alla julienne e conditelecon l’olio aggiungendo qualche goccia di limoncello.

Piccioli di bardana (Arctium lappa) imburrati008Ingredienti:Piccioli di bardana – burro – ricotta salata (del Fusaro di Avella) – sale – pepe.Preparazione:Mondate, lavate e decorticate i piccioli di bardana. Sbollentateli in acqua salata. Fate fondere ilburro. Ponete i piccioli di bardana sbollentati su un piatto e ricopriteli con il burro fuso, la ricottasalata grattugiata, pepe e sale. Servite caldi.

Piccioli di bardana (Arctium lappa) dorati e fritti009Ingredienti:Piccioli di bardana – uova – farina – pane grattugiato – olio extra vergine di oliva.Preparazione:Lavate accuratamente i piccioli di bardana e decorticateli. Sbattete le uova. Passate i piccioli dibardana prima nella farina, poi nell’uovo, poi nel pane grattugiato e friggeteli nell’olio extravergine d’oliva. Appoggiateli sulla carta assorbente per qualche minuto e poi disponeteli in unpiatto con un po’ di sale.

Bacchette del re (Asphodeline lutea) arrostite010Gli scapi fiorali immaturi e più teneri, liberi dalle foglie e dalla pellicola esterna, si sbollentano epoi si arrostiscono alla brace, conditi con olio, limone, sale, pepe e origano.

Bacchette del re (Aspodeline lutea) in agrodolce011Gli scapi fiorali immaturi e più teneri, liberati dalle foglie e dalla pellicola esterna si fanno rosolarein padella con uno spicchio d’aglio. Si salano e, quando sono dorati, si sfumano con l’aceto.Poiché hanno un sapore dolciastro, la pietanza assume un piacevole gusto agrodolce senzal’aggiunta di zucchero.

N

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Atriplex patula saltata in padella012Ingredienti:Foglie di Atriplex Patula – olio extra vergine di oliva – sale – aglio – peperoncino.Preparazione:Pulite accuratamente l’erba. Lavatela e lessatela. Sgocciolatela e fatela saltare in padella conl’olio extra vergine d’oliva, l’aglio, il sale e un pizzico di peperoncino.

Boccioli vari sotto aceto013Raccogliete i fiori, o capolini, di pratolina (Bellis perennis) o di calendula (Calendula officinalis)ancora in boccio e perfettamente chiusi. Eliminate completamente il gambo e lavateli accuratamentesotto l’acqua corrente, poi fateli sgocciolare e metteteli ad asciugare su un canovaccio pulito.Trasferiteli in una terrina, alternandoli a strati di sale grosso, e lasciateli disidratare per 24 ore.Poi sciacquate i boccioli in aceto e metteteli nei vasetti di vetro puliti ed asciutti, aggiungendoqualche grano di pepe. Coprite con l’aceto e schiacciate i boccioli con i rebbi di una forchetta perfar fuoriuscire tutta l’aria. Se necessario, aggiungete altro aceto.

Preparate una leggera pastella dove immergerete le foglie più grandi precedentemente lavate edasciugate. Friggete velocemente le foglie ad una ad una, passatele su carta assorbente da cucina eservire ben calde.

Foglie di borragine (Borago officinalis) fritte014

Crema al formaggio alla borragine (Borago officinalis)015Ingredienti per 2 persone:250 g di fiori di borragine - 80 g di ricotta - 40 g di burro - 30 g di formaggio grana grattugiato- 2 uova - 1/2 litro di brodo - crostini di pane fritti nel burro - sale e pepe.Preparazione:Pulite e lavate i fiori di borragine. Tagliateli grossolanamente e fateli rosolare insieme al burro.Aggiungete 1 mestolo di brodo, abbassate la fiamma e lasciate cuocere, a pentola coperta, percirca 10 minuti. Se necessario aggiungete altro brodo. Preparate a parte la ricotta, lavorandolacon una forchetta fino a renderlo cremoso, poi aggiungetelo alla borragine in cottura. Mescolatee aggiungete altro brodo. Salate leggermente e lasciate cuocere per altri 10 minuti, continuando amescolare. Versate i tuorli delle due uova in una terrina, sbatteteli ed aggiungete la crema diborragine prima preparata e un pizzico di pepe. Frullate con un frullatore a immersione. Aggiungeteuna spolverata di grana grattugiato e servite la crema insieme con crostini di pane fritti nel burro.Decorate con alcuni fiori di borragine.

Tortino di borragine (Borago officinalis) “La lanterna”016Ingredienti:Borragine – ricotta di Avella – tuorlo d’uovo – parmigiano - pane raffermo.Preparazione:Stufate foglie e fiori di borragine con l’aglio. Tritate con il mixer. Aggiungete la ricotta, sale, parmigianograttugiato ed il tuorlo d’uovo. Ponete il composto in uno stampino. Servite con fette di pane raffermo.

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Crostini alla calendola (Calendula officinalis)017Ingredienti:Crostini di pane tostato - fiori di calendola sott’aceto - maionese.Preparazione:Miscelare i fiori di calendola alla maionese e quindi cospargere i crostini con la miscela ottenuta.Disporre sopra il piatto dei petali aranciati di fiori di calendola che esaltano visivamente lacomposizione.I fiori di calendula sotto aceto, vengono preparati, semplicemente, facendo sbollentare i capolinisemiaperti di calendula in aceto e poco sale, e poi conservandoli in vasi di vetro ricolmi di aceto.

Rucola con i capperi018Ingredienti:500 g di rucola (Eruca sativa) – 2 acciughe sotto sale – una manciata di capperi (Capparisspinosa)– olio extra vergine di oliva – sale.Preparazione:Pulite accuratamente la rucola. Lavatela e sbollentatela per 5 minuti in acqua bollente salata.Sgocciolatela e ponetela sul fondo di una pirofila. Lavate le acciughe, eliminate la lisca e tritateleinsieme ai capperi. Fate scaldare il trito così ottenuto in un pentolino con l’olio extra vergined’oliva. Condite la rucola e servite.

Pancarré alla dentaria (Cardamine bulbifera)019

Dentaria (Cardamine bulbifera) con lo yogurt020

Ingredienti:Foglie di cardamine – pancarré – burro – aceto – olio extra vergine d’oliva – sale.Preparazione:Pulite, lavate e lessate le foglie di cardamine. Conditele con l’olio extra vergine d’oliva , qualchegoccia di aceto e sale. Tostate le fette di pancarré e imburratele. Ricoprite le fette tostate con lefoglie di cardamine condite. Disponetele in un piatto di portata e servite.

Ingredienti:Foglie tenere di cardamine – yogurt.Preparazione:Mondate con cura le foglie di cardamine. Lavatele per bene e sminuzzatele. Aggiungete lo yogurte amalgamate.

Insalata mista con la ‘mbruvuglina (Stellaria media)021Ingredienti:Piantine di centocchio o “mbruvuglina”- foglie di cardamine (Cardamine bulbifera) – foglie di songino(Valerianella olitoria) e di “cardillo” (Sonchus spp.) – cipolla – aceto – olio extravergine d’oliva e sale.Preparazione:Lavate bene le erbe selvatiche. Strappatele e sminuzzatele con le mani e mettetele in una insalatierainsieme alla cipolla tagliata ad anelli. Poi miscelate e condite con una emulsione di olio, sale ed aceto.

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Crema di carlina (Carlina spp.) e piselli022Ingredienti per 2 persone:100 g di cuori di carlina - 1/2 barattolo di piselli - 1/2 litro di brodo vegetale - 1 cucchiaio difarina - pepe e sale.Preparazione:Mettete a cuocere i cuori di carlina in una teglia con un po’ di brodo e, appena cotti, scolateli efrullateli insieme ai piselli (sgocciolati). Aggiungete la farina al brodo vegetale rimanente, mescolatee unite il frullato di carlina e piselli, facendo poi cuocere per 10 minuti. Aggiustate di pepe e sale.Servite con crostini di pane abbrustoliti.

Crostini al farinaccio (Chenopodium album)023Ingredienti:Pan carré - latte - farinaccio – capocollo di Mugnano del Cardinale - fettine di formaggio –uova - olio extravergine d’oliva.Preparazione:Inumidire leggermente le fette di pan carré nel latte e porre su ciascuna del formaggio, del farinacciolessato e qualche fettina di capocollo di Mugnano del Cardinale, tagliate sottili. Coprire conun’atra fetta di pane, passare il panino nelle uova sbattute e friggere.

Bruschette alla crema di farinaccio (Chenopodium album)024Ingredienti:1 Kg di farinaccio - 100 g di burro - 1 litro di brodo - 50 g di ricotta secca grattugiata - 2 cucchiaidi farina - sale a piacere - bruschette all’aglio.Preparazione:Far appassire il farinaccio senz’acqua, con un po’ di sale, poi scolare e strizzare. Sciogliere ilburro in un pentolino aggiungendo la farina, curando di non produrre grumi. Unire poi ilfarinaccio, rimescolando. Aggiungere il brodo e la ricotta secca, sempre rimestando con uncucchiaio di legno. Cuocere per un quarto d’ora. Mettere in una terrina un tuorlo d’uovo eversarvi sopra la crema rimescolando. Servire la crema così ottenuta con crostini di pane agliato.

Salsa di ruchetta e buon Enrico025Ingredienti:100 g di ruchetta (Diplotaxis tenuifolia) – 300 g di Chenopodium bonus-Henricus – 4 cetriolinisotto aceto – 2 uova sode – 2 acciughe sott’olio – olio extra vergine d’oliva – pepe – sale.Preparazione:Pulite e lavate per bene le erbe. Fate bollire il Chenopodium bonus-Henricus in acqua salata. Scolateloe frullatelo insieme alla ruchetta, ai cetriolini, alle acciughe, alle uova sode e all’olio extra vergined’oliva. Ponete la salsa in una scodella e amalgamate con sale e pepe. E’ ottima sugli arrosti.

Puntarelle di cicoria (Cichorium intybus)026Pulite bene gli scapi fiorali appena emessi e tagliateli in senso longitudinale, tuffandoli subito inacqua fredda per farli arricciare. Fateli sgocciolare e conditeli con un pesto fatto con aglio, olioextravergine d’oliva ed alici sotto sale, deliscate e dissalate.

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Coste di scardaccione gratinate027Ingredienti:Coste di scardaccione (Cirsium arvense) – besciamella – pancetta di Mugnano del Cardinale –burro.Preparazione:Lavate e pulite le foglie di scardaccione. Tagliate con un coltello le sole nervature (coste) centralidelle foglie, eliminando la lamina spinosa. Lessate le coste in acqua salata. Scolatele e ponetele inuna pirofila imburrata. Tagliate la pancetta a fettine sottili e aggiungetela alle coste insieme allabesciamella e al burro. Infornate e fate cuocere a 180 °C per circa 10 minuti.

Insalata di prato028Ingredienti:Foglie di valerianella (Valerianella olitoria) – foglie di tarassaco (Taraxacum officinale) – ruchetta(Diplotaxis spp) - olio extravergine d’oliva – cipolla – aceto - sale.Preparazione:Lavate bene le erbe selvatiche, aggiungete un po’ di cipolla e poi conditele per bene, con olio, acetosale. E’ consigliabile usare poca ruchetta, per non mascherare troppo il sapore delle altre erbe.

Equiseto al burro029Ingredienti:Fusti fertili di equiseto (Equisetum Arvense) – burro – pepe – sale.Preparazione:Raccogliete i fusti fertili di equiseto, lavateli e privateli della guaina e degli sporangi apicali.Lessateli in acqua salata. Poneteli su di un piatto e versateci sopra il burro fuso con un po’ di pepe.

Salsa di topinambour030Si prendono 400 g di tuberi di topinambour (Helianthus tuberosus), si sbucciano, si tritanofinemente e si versano in una casseruola con 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva, 1 bicchiered’acqua e il sale. Appena cotti, si aggiunge un cucchiaino di prezzemolo e 1 spicchio tritatod’aglio, si mescola, si lasciano ad amalgamare i sapori per un paio di minuti e poi si stende il tuttosu fette di pane tostato. Si passa la pirofila con i crostini, così preparati, per 2-3 minuti al forno giàcaldo sui 180 °C. Si servono caldi.

Antipasto con topinambour031Ingredienti per 2 persone:2 rizomi tuberosi di topinanbour (Helianthus tuberosus)– 50 g di filetti di acciuga sott’olio - 15ml di latte - 30 ml di olio extravergine di oliva - 1 spicchio d’aglio - sale e pepe.Preparazione:Lavate e spellate i “tuberi” di topinambour. Tagliateli a rondelle sottili o alla julienne. Sminuzzatei filetti di acciuga, tritate l’aglio e fateli rosolare nell’olio, aggiungendo anche il latte, per pochiminuti. Ora aggiungete al soffritto le rondelle o le listarelle di topinambour e soffriggetele percirca 20 minuti, a fiamma lenta. Aggiungete sale e pepe e servite subito.

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Frittelle ai germogli di luppolo032Ingredienti per 2 persone:150 g di germogli di luppolo (Humulus lupulus) - 2 uova - ½ cipolla - 1 cucchiaio di formaggiopecorino - 2 cucchiai di farina - olio extravergine di oliva - pepe e sale.Preparazione:Fate sbollentare i germogli di luppolo per qualche minuto, poi scolateli e lasciateli raffreddare. Poitritateli insieme alla cipolla. Preparate uno sbattuto di uova con pepe e sale, aggiungetevi il trito diluppolo e la farina, e continuate a mescolare per qualche minuto. Mettete a riscaldare l’olio extravergined’oliva in una padella antiaderente e versatevi il composto, in misura di una cucchiaiata alla volta.Otterrete delle squisite frittelle che avrete cura di far dorare da ambo i lati. Appoggiatele per qualcheminuto su carta assorbente da cucina per eliminare l’olio in eccesso e servitele subito.

Falsa ortica alla mozzarella di bufala campana033Ingredienti:200 g di foglie di falsa ortica(Lamium spp) – 100 g di mozzarella di bufala – aglio – olio extravergine d’oliva – sale.Preparazione:Raccogliete le foglie di falsa ortica e fatele bollire in acqua leggermente salata. Scolatele e tagliatelegrossolanamente. Fate soffriggere l’aglio in un tegame e toglietelo appena sarà dorato.Aggiungetevi la falsa ortica con la mozzarella di bufala tagliata a dadini. Fate saltare per qualcheminuto e servite caldo.

Frittelle con la malva034Ingredienti per 2 persone:200 g di foglie di malva (Malva sylvestris)- 50 g di farina bianca - 1 tuorlo d’uovo - 1 bustina dilievito - 2 cucchiai di olio extravergine di oliva - sale.Preparazione:Preparate con acqua e farina una pastella mediamente fluida e lasciatela riposare per un paio di ore. Poiaggiungete alla pastella, mescolando bene, le foglie di malva (accuratamente lavate) tagliate a strisciolinesottilissime, il tuorlo d’uovo sbattuto, la bustina di lievito e un pizzico di sale. Versate il composto, uncucchiaio alla volta, in una padella con olio molto caldo. Quando le frittelle saranno dorate da entrambe leparti, toglietele dalla padella e lasciate asciugare l’olio in eccesso su un foglio di carta assorbente da cucina.Servite le frittelle ben calde.

Pasticcini alla Melissa officinalis035Ingredienti:100 g di melissa – 200 g di zucchero – 350 g di farina – 2 uova – 50 g di burro - 1 bustina dilievito - 1 bicchiere di latte – la buccia grattugiata di un limone – salePreparazione:Mondate e lavate la melissa. Tritatela e mescolatela in una scodella insieme alla buccia grattugiata dellimone e a due cucchiai di zucchero. Fatela riposare per 10 minuti. Sciogliete il burro a bagnomaria. Impastatela farina con il latte, lo zucchero rimasto, le uova, il burro sciolto, il trito di melissa e un pizzico di sale. Uniteall’impasto il lievito sciolto in un poco di latte tiepido e amalgamate per bene. Mettete l’impasto negliappositi stampini e fate cuocere nel forno preriscaldato a 180°.

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Papavero alla boscaiola036Ingredienti per 2 presone:250 g di rosette basali di foglie di papavero (Papaver rhoeas) raccolte prima della fioritura – 2cucchiai di olio extravergine di oliva – 2 bicchierini di vino bianco (Greco di Tufo) – 1 foglia dialloro - 5 olive nere denocciolate - 1 aglio – pepe e sale.Preparazione:Lavate accuratamente le rosette di papavero, asciugatele e tagliatele a pezzettini. Fate soffrigge-re, in olio d’oliva, per cinque minuti, il papavero, le olive nere e l’alloro. Insaporite con pepe esale. Bagnate con il vino bianco e coprite con un coperchio la pentola, facendo cuocere per circa15 minuti.

Piantaggine “sfritta”037Ingredienti per 2 persone:250 g di piantaggine (Plantago spp.) – 6 olive nere denocciolate - 1 peperoncino piccante – aglio– 2 cucchiai di olio extravergine di oliva.Preparazione:Sciacquate accuratamente le foglie di piantaggine e fatele bollire per 10 minuti, in poca acquasalata. Tritatele grossolanamente. Soffriggete, nell’olio d’oliva, l’aglio schiacciato, il peperoncinopiccante tagliato a pezzetti e le olive. Aggiungete le foglie di piantaggine tritate ed insaporite conun pizzico di sale. Lasciate soffriggere per almeno cinque minuti.

Insalata di “porcellana”038Ingredienti per 2 persone:400 g di foglie di porcellana (Portulaca oleracea)– 6 pomodorini “ciliegino del Vesuvio” – ½cipolla - 2 cucchiai di olio extravergine di oliva – 1 cucchiaio di aceto di vino – origano – pepee sale.Preparazione:Sciacquate accuratamente la porcellana, asciugatela e, dopo averla spezzata con le mani, mettetelain una insalatiera, insieme ai pomodorini tagliati a metà ed alla cipolla tagliata a rondelle. Conditecon olio, sale ed origano e mescolate accuratamente.

Dolce di primule039Ingredienti per 2 persone:50 corolle di primula (Primula officinalis)– 10 biscotti secchi – 1 tuorlo d’uovo – 200 ml dipanna fresca - 50 g di zucchero – mezzo bicchierino di olio di nocciola (di Lauro) - un bicchieri-no di limoncello.Preparazione:Pulite le corolle dal calice. Sbriciolate i biscotti e pestateli insieme alle corolle. Me-scolate e portate ad ebollizione, in un pentolino, la panna montata ed il composto pri-ma preparato. Lasciate raffreddare poi aggiungete, mescolandoli, il tuorlo d’uovo sbat-tuto, il limoncello, l’olio di nocciola e lo zucchero. Ponete l’impasto così ottenuto inuna teglia da forno imburrata e fate cuocere per circa mezz’ora in forno preriscaldatoa 150 °C.

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Primula officinalis in pastella040Ingredienti per 2 persone:250 di foglie e fiori di primula – 2 cucchiai di farina – olio extravergine di oliva – acqua - sale.Preparazione:Preparate la pastella con farina, acqua tiepida e sale. Quando l’impasto risulterà liscio, di consistenzaadatta e senza grumi lasciatelo riposare per mezz’ora. Lavate bene le foglie ed i fiori di primula,passateli uno per volta nella pastella e metteteli a friggere nell’olio caldo. Quando le pizzettesaranno ben cotte e dorate ponetele su un foglio di carta assorbente da cucina per eliminare l’olioeccedente. Salate e servitele calde.

Germogli di rovo (Rubus spp.) lessati041Ingredienti per 2 persone:250 g di teneri germogli di rovo – 2 cucchiai di olio extravergine di oliva – mezzo limone – pepee sale.Preparazione:Pulite e fate bollire i germogli di rovo in acqua salata per pochi minuti. Scolateli e conditeli conl’emulsione di olio extravergine di oliva, succo di limone, pepe e sale.

Cimette di pungitopo al pomodoro042Ingredienti:Cimette di pungitopo (Ruscus Aculeatus)– pomodorini “ciliegino del Vesuvio” – maionese.Preparazione:Pulite e lessate le cimette di pungitopo in acqua leggermente salata. Private i pomodori dellaparte superiore e svuotateli. Tagliate a dadini le cimette di pungitopo lessate, mescolatele con lamaionese e riempite i pomodori.

Insalata di pimpinella, centocchio e songino043Ingredienti:Giovani foglie e teneri germogli di pimpinella (Sanguisorba minor), centocchio (Stellaria media)e songino (Valerianella olitoria) a piacere – olio extravergine di oliva –sale – aceto.Preparazione:Dopo averle lavate per bene ed aver eliminato, strappandoli con le mani, i fusticini più duriponete semplicemente le giovani foglie in una capiente insalatiera e conditele con olio, sale edaceto, secondo i vostri gusti.

Contorno di Venere (Scandix pecten-veneris)044Ingredienti:Foglie e germogli di spillettone (Scandix pecten-veneris) – olio – aglio – sale.Preparazione:Lavate per bene le foglie ed i germogli di spillettone o “pettine di Venere”. Scolatele e saltatele inpadella con olio, aglio e sale.

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Schioppettino (Silene vulgaris) mantecato045Ingredienti per 2 persone:600 g di giovani foglie di silene – 30 g di pane grattugiato – 30 g di buro – 30 g di formaggiopecorino grattugiato – aglio – sale e pepe.Preparazione:Sciacquate le foglioline di silene e fatele bollire per 10 minuti in poca acqua salata. Tritate finementel’aglio e mettetelo a dorare in padella col burro. Aggiungete le foglioline lessate di silene e fatelesoffriggere, poi aggiungete il formaggio pecorino grattugiato. Addensate con il pane grattugiatoe mescolate. Aggiungete sale e pepe secondo i vostri gusti e servite caldo.

Cardo mariano (Silybum marianum) sott’olio046Ingredienti:Coste fogliari e fondi fiorali (base dei capolini) – aceto – olio extravergine di oliva – sale e pepe.Preparazione:Dopo aver lavato il cardo, ripulite le foglie (prendendo solo le coste centrali) ed icapolini (prendendo solo il ricettacolo). Tagliate tutto in piccoli pezzi che farete poibollire per una decina di minuti fino a che non arrivi ad una consistenza tenera.Asciugate, poi, i pezzetti accuratamente e poneteli in vasi di vetro, coprendoli conl’olio ed aggiungendo sale e pepe (se lo desiderate, potete aggiungere anche chiodi digarofano o finocchietti).

Cardo mariano (Silybum marianum) sott’aceto047Ingredienti:Fondi fiorali (parte basale dei capolini) di cardo mariano – alloro – aceto di vino bianco – pepe.Preparazione:Dopo aver lavato e tagliato i fondi di cardo mariano, bagnateli con il succo di limone,metteteli in una casseruola con l’aceto e fateli bollire per una decina di minuti. Fateliraffreddare e sgocciolare per poi metterli in vasi di vetro, ricoperti d’aceto, aggiungendoalloro e pepe (se lo desiderate, potete aggiungere anche chiodi di garofano o finocchiettio peperoncino).

Cardo mariano (Silybum marianum) con le acciughe048Ingredienti:Boccioli fiorali e coste di cardo mariano – 1 acciuga sotto sale – farina – 1 limone – 1 spicchiod’aglio – prezzemolo – olio extravergine di oliva – sale e pepe.Preparazione:Mondate le foglie di cardo prendendo solo le coste centrali. Lavate le coste ed i capolini (bocci).Tagliuzzate il tutto a pezzetti e fate bollire, per circa 20 minuti, in una pentola d’acqua in cuiavrete sciolto un cucchiaio di farina e versato il succo di limone. A parte fate rosolare l’acciuga,dissalata e tritata, in una pentola con olio d’oliva. Aggiungete un trito di aglio e prezzemolo e poii pezzetti di cardo bolliti. Mescolate per qualche minuto ed aggiustate di sale e pepe secondo ivostri gusti.

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Sopra.

Frittata di ortichee salame di Mugnano delCardinale.

A lato.

Risotto con le ortiche.

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Sopra. Panini con farinaccio (Chenopodium album) e Frittelle al cerfoglio (Anthriscus cerfolium).

Sotto. Petali di rosa, dorati e fritti.

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Ingredienti:200 g di teneri germogli di stracciabraghe – una noce di burro – due cucchiai di formaggiopecorino grattugiato.Preparazione:Mondate e lessate i teneri germogli di stracciabraghe. Poi passateli in padella con burro e formaggioe saltateli per almeno 5 minuti.

Stracciabraghe (Smilax aspera) al formaggio049

Insalata di centocchio e cardillo050Ingredienti:Un paio di manciate di centocchio o “mbruvuglina” (Stellaria media) ed altrettante di cardamine(Cardamine bulbifera) – qualche foglia di songino (Valerianella olitoria) e di “cardillo” (Sonchusspp.) – cipolla – 2 uova sode - 6 olive snocciolate - aceto – olio extravergine d’oliva e sale.Preparazione:Lavate bene le erbe selvatiche. Sminuzzatele con le mani e mettetele in una insalatiera insiemealla cipolla tagliata ad anelli. Tagliate le uova sode a rondelle ed aggiungetele all’insalata, insiemealle olive. Poi condite con una emulsione di olio, sale ed aceto.

Insalata verde e gialla di tarassaco (Taraxacum officinale)051

Tarassaco (Taraxacum officinale) sott’olio052Ingredienti:500 g di boccioli di tarassaco – ½ litro di aceto – ¼ di Greco di Tufo - 50 g di sale grosso.Preparazione:Raccogliete 500 grammi di boccioli di tarassaco teneri e perfettamente sani. Eliminate da ognunole lacinie del calice. Lavateli delicatamente ma con cura, ed asciugateli bene. Portate ad ebollizionel’aceto ed il vino bianco (Greco di Tufo), insieme a due cucchiai di sale grosso. Immergetevi iboccioli di tarassaco e lasciateli bollire per 5 minuti. Raccoglieteli col mestolo forato, sgocciolatelibene e allargateli su un piatto pulito per farli asciugare (circa 2 ore). Poneteli ora in piccoli vasettie ricopriteli completamente con olio extravergine d’oliva. Premete delicatamente con la forchettaper far uscire tutta l’aria e, se necessario aggiungete altro olio, poi chiudete. Da usare comecontorno o come antipasto.

Ingredienti:150 g di foglie basali di tarassaco – una dozzina di fiori (capolini) di tarassaco – 2 uova – maisin scatola – maionese – erba cipollina – olio extravergine d’oliva – sale.Preparazione:Raccogliete dal prato una bella manciata di fiori gialli di tarassaco e circa 150 grammi di foglie.Lavatele con molta cura e tagliatele grossolanamente. Asciugate le foglie di tarassaco e mettetelein una ciotola per insalata. Fate rassodare 2 uova, poi sgusciatele e tagliatele a dischetti.Aggiungete all’insalata alcune cucchiaiate di mais in scatola, ben sgocciolato, i petali dei fioried i dischetti di uova soda. A parte preparate un condimento con olio extra vergine di oliva,alcuni capperi sott’aceto tritati finemente, 2 o 3 cetriolini conservati e qualche filo di erba cipollina(o aglio tritato). Unite a questo condimento una cucchiaiata di maionese, amalgamate il tutto eversatelo sull’insalata. Aggiungete sale e pepe secondo i gusti personali.

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“Capperi” di tarassaco (Taraxacum officinale)053100 g di boccioli di tarassaco ben chiusi e duri, si lasciano al sole ad appassire per qualche ora. Simettono a bollire 300 g. di aceto bianco di ottima qualità. Quando l’aceto bolle, si tuffano iboccioli di tarassaco ed un cucchiaino di sale grosso, per un paio di minuti, dopodichè si scolanocon grande delicatezza, si stendono su di un canovaccio di cotone ad asciugare, il giorno dopo sipotranno imbarattolare coprendoli con olio di oliva (gusto delicato) o aceto bianco (gusto forte).Si prestano per un’infinità di prelibatezze.

“Miele” di tarassaco (Taraxacum officinale)054Si prendono 350 g di fiori di tarassaco e 3 limoni a pezzi (se si vuole un miele dolcissimo, senzala buccia, se invece si preferisce un miele un pò più amarognolo si prenda anche la buccia). Fatelibollire in un litro e mezzo di acqua per un’ora a fuoco lento. Filtrate per bene. Poi aggiungete alfiltrato un chilo e mezzo di zucchero e rimettete a bollire il tutto, mescolando ogni tanto per altredue ore, sempre a fuoco lento. Ed ecco preparato il “miele” senza bisogno delle api!

Crostini al tarassaco (Taraxacum officinale)055Ingredienti per 2 persone:300 g di foglie di tarassaco – 4 fettine di pane – 30 ml di olio extravergine d’oliva - 20 g di burro- aglio - sale e pepe.Preparazione:Sciacquate le foglie di tarassaco e lessatele in poca acqua salata. Soffriggetele nell’olio, conl’aglio tritato, il pepe ed il sale. Tostate le fettine di pane e ponetele in una teglia unta col burro,versatevi sopra il soffritto e lasciate cuocere in forno a 180 °C per 10 minuti. Serviteli caldi.

Ingredienti per 2 persone:150 g di gialli capolini di tarassaco – 4 cucchiai di farina – olio extravergine d’oliva – acqua –sale.Preparazione:Preparate una pastella semiliquida mescolando farina, acqua tiepida e sale, e fatela riposareper una mezz’oretta. Lavate e scolate bene i fiori (capolini) di tarassaco e passateli, uno allavolta, nella pastella e fateli friggere nella padella con olio ben caldo. Quando le pizzettesaranno ben fritte, ponetele su un foglio di carta assorbente da cucina per eliminare l’olio ineccesso.

Pizzette di fiori di tarassaco (Taraxacum officinale)056

Ingredienti per 2 persone:200 g di foglie tenere di tarassaco – 4 uova sode – 30 ml di olio extravergine d’oliva – 15 ml diaceto di vino bianco – ½ cipolla – sale e pepe.Preparazione:Lavate per bene le foglie di tarassaco e disponetele in una insalatiera. Tagliate le uova soda edaggiungetele, insieme alla cipolla tagliata, al tarassaco. Condite con olio, aceto, sale e pepe.

Uova soda e tarassaco (Taraxacum officinale)057

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Barba di caprone (Tragopogon pratensis) gratinata058Ingredienti:Germogli di barba di caprone – capocollo di Mugnano del Cardinale – sottilette di formaggio –burro e sale.Preparazione:Lessate i germogli di tragopogon in acqua salata, scolateli e disponeteli sul fondo di una pirofilaimburrata, quindi ricopriteli con uno strato di sottilette ed uno di capocollo di Mugnano delCardinale tagliato a fettine sottilissime.Su tutto versate la besciamella e qualche fiocchetto di burro. Fate cuocere in forno preriscaldatoa 180 °C, fino a doratura.

Frittelle di radici di barba di caprone (Tragopogon pratensis)059Ingredienti:Radici di Tragopogon pratensis – 1 cucchiaio di zucchero – 200 g di burro – farina – olioextravergine di oliva – noce moscata e macis - cannella - pepe e sale.Preparazione:Lavate e bollite le radici di barba di caprone, poi tagliatele nel senso della lunghezza (alla Julienne).A parte, mescolate lo zucchero con le spezie e sciogliete il burro. Ricoprite i pezzetti di radice conla mistura di zucchero aromatizzato, poi passateli nel burro e poi asciugateli in un pizzico difarina. Spolveratele, poi, con dello zucchero a velo e mettetele a friggere nell’olio extravergined’oliva fino a completa doratura.

Capolini di trifoglio (Trifolium pratense) al forno060Ingredienti:1 kg di fiori (capolini) di trifoglio – 100 gr di burro – 4 cucchiai di miele di Avella – 500 ml dibrodo vegetale – sale.Preparazione:Lavate bene le infiorescenze di trifoglio, poi versateli in 2 litri di acqua salata e bollente e fateliscottare per 8 minuti. A parte sciogliete il burro in padella ed aggiungete il miele, mescolandobene. Dopo qualche minuto aggiungete mezzo bicchiere di brodo caldo e, continuando a mescolare,unite i fiori di trifoglio. Poi ungete una pirofila da forno, versateci i fiori ed aggiungete il resto delbrodo. Fate bollire, sul fornello, per circa 20 minuti. Poi coprite la pirofila con carta metallizzataed infornate in forno preriscaldato a 180 °C. Dopo circa 20 minuti il brodo sarà quasi del tuttoristretto ed i fiori saranno quasi dorati. Mescolate con delicatezza, portando sopra i fiori dellostrato inferiore, e fate continuare la cottura per altri 5 minuti. Serviteli ben caldi.

Ingredienti per 2 persone:100 g di fiori di violetta – 50 g di farina - 50 g di miele di limone (di Avella) – burro – 1 lt di latte.Preparazione:Fate addensare il latte, aggiungendo la farina a velo, mescolando e facendolo bollire per circa 45minuti. Lavate bene i fiori di violetta, mondandoli del calice verde, asciugateli, ed aggiungeteli allatte addensato, insieme al miele ed al burro. Imburrate uno stampino, versateci la crema e fateloraffreddare in frigorifero per almeno 4 ore.

Dolce di violette (Viola odorata) al latte061

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Sorbetto alle violette (Viola odorata)062Ingredienti per 2 persone:100 g di fiori di violette – 1 albume d’uovo – 25 g di zucchero – 150 ml d’acqua.Preparazione:Lavate per bene le violette e pestatele, insieme allo zucchero, in un mortaio e poi versateci sopral’acqua bollente. Lasciate in infusione fino a completo raffreddamento. Filtrate, eliminando laparte solida, e aggiungete all’infuso l’albume montato a neve e mettete il sorbetto nel freezer,avendo cura di mescolarlo ogni 15 minuti, per evitare che si congeli completamente.

Gnocchi agli spinaci selvatici e parietaria063Ingredienti:400 g di buon Enrico (Chenopodium bonus-Henricus) - 300 g di amaranto (Amaranthusretroflexus) - 300 g di parietaria (Parietaria officinalis) - 400 g di ricotta – farina – burro –1 uovo - formaggio pecorino - noce moscata - salvia selvatica 4 o 5 foglie - sale.Preparazione:Cuocere in acqua salata le erbe, colarle, strizzarle e sminuzzarle. Mischiare alla ricotta, a unuovo, alla noce moscata e al pecorino grattugiato. Preparare dei piccoli gnocchi e gettarli nell’acquabollente togliendoli appena vengono a galla. Far sciogliere del burro rosolandovi qualche fogliadi salvia selvatica e versarlo caldo sugli gnocchi.

PRIMI PIATTIB

Timballo di spinaci selvatici064Ingredienti:500 g di foglie o di teneri apici di Amaranthus retroflexus – 500 g di foglie o di teneri apici diChenopodium album - 200 g di ricotta (del Fusaro di Avella) – aglio – olio extravergine d’olivae sale.Preparazione:Lavate e pulite le erbe accuratamente. Fatele cuocere in acqua salata, poi scolatele e tritatele. Fateun impasto con acqua, sale e farina, formando due sfoglie non molto spesse. Saltate le erbe in unapadella con aglio ed olio. Dopo la cottura unite ad esse la ricotta. Mettete una sfoglia in untegame, versateci sopra il composto di erba e ricotta, e coprite con la seconda sfoglia, riunendo ibordi. Ungete con un poco d’olio e fate cuocere in forno preriscaldato a 180 °C. Fino a completacottura.

Riso e cerfoglio (Anthriscus cerefolium)065Ingredienti:Ciuffi di cerfoglio - riso - pecorino grattugiato - brodo vegetale.Preparazione:Cuocete il riso nel brodo vegetale. A metà cottura, aggiungete 2 cucchiai di cerfoglio tritato econtinuate la cottura rimestando. A cottura ultimata aggiungete una spolverata di formaggiopecorino grattugiato.

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Minestra cotta mista066Ingredienti per due persone:100 g di foglie e fiori di borragine (Borago officinalis) – 100 g tra foglie e fiori di tarassaco(Taraxacum officinale) - 100 g di ortiche (Urtica dioica) – 100 g di foglie di papavero (Papaverrhoeas) – 100 g di cerfoglio selvatico (Anthriscus cerefolium) – 5 o 6 foglie di piantaggine(Plantago spp.) - olio extravergine d’oliva – olive nere – peperoncino – sale.Preparazione:Lavate con cura tutte le erbe selvatiche poi mettetele a cuocere in una pentola a pressione conmezzo bicchiere d’acqua, per 10 minuti. Col coltello o con la mezzaluna tagliuzzatelegrossolanamente e mettetele in una larga ciotola. A parte mettete a rosolare nell’olio un tritofinissimo di aglio, peperoncino ed una manciata di olive nere. Dopo qualche minuto aggiungetele erbe prima lessate. Mescolate bene ed aggiustate di sale. Infine decorate con fiorellini di borraginee petali di fiori di tarassaco.

Gnocchetti di erba cipollina e cerfoglio (Anthriscus cerefolium)067Ingredienti per 6 persone:2 cucchiai di cerfoglio (tritati) - 1 bicchiere di latte - 2 cucchiai di erba cipollina - latte quanto bastaper ottenere una poltiglia - g 250 di farina bianca setacciata - 3 cucchiai di lievito in polvere (pergnocchi) - un po’ di avanzi di pollo - manzo stufato - g 15 di burro o margarina - sale - pepe.Preparazione:Setacciate la farina con il lievito, il sale e il pepe. Unite il burro sciolto o la margarina e il latte.Amalgamate il tutto, senza mescolare troppo. Versate l’impasto a cucchiaiate nel brodo di carneo di verdura in ebollizione. Coprite e lasciate cuocere per 15 minuti.

Fusilli con cerfoglio (Anthriscus cerefolium) al cartoccio068Ingredienti per 2 persone:100 g di cerfoglio - 200 g di fusilli - 1 bicchiere di salsa di pomodoro - 1 spicchio di aglio - 2cucchiai di olio extravergine di oliva - 2 bicchierini di vino bianco (Greco di Tufo) - sale.Preparazione:Cuocete i fusilli in abbondante acqua salata. Preparate 2 cartocci con fogli d’alluminio per cucinaunti con un po’ d’olio e fate rosolare un trito di cerfoglio in una padella con l’olio extravergined’oliva ed un aglio. Dopo un paio di minuti aggiungete la salsa di pomodoro e lasciate cuocereper 10 minuti. Appena i fusilli sono giunti a metà cottura, scolateli e passateli nella padella con lasalsa. Poi metteteli nei cartocci, aggiungendo in ognuno un bicchierino di vino ed un po’ di tritodi cerfoglio. Chiudete i cartocci ed infornateli per circa 10 minuti. Servite nei cartocci.

Gnocchi al pesto di cerfoglio (Anthriscus cerefolium)069Ingredienti per 2 persone:300 g di gnocchi di farina - 200 g di cerfoglio - 50 g di formaggio grana grattugiato - 40 g diburro - 2 cucchiai di olio extravergine di oliva - 1 spicchio d’aglio - pepe e sale.Preparazione:Fate cuocere gli gnocchi in abbondante acqua salata. Tritate finemente nel frullatore il cerfogliocrudo, l’aglio ed aggiungete il formaggio, il pepe, il sale ed un filo d’olio. Scolate gli gnocchiman mano che affiorano e metteteli in un piatto da portata preriscaldato. Conditeli con burro fusoe con il pesto di cerfoglio. Serviteli caldi, eventualmente con una spruzzata di grana grattugiato.

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Zuppa di biete e fagioli070Ingredienti:400g di biete (Beta vulgaris) - 250g di fagioli borlotti secchi - 100g di cavolfiore - 200g di cavolocappuccio - 200g di patate - olio extravergine d’oliva - un gambo di sedano - mezza cipolla - 4cucchiai di salsa al pomodoro - 100g di piselli sgranati - sale - peperoncino rosso in polvere -alcuni rametti di prezzemolo - 3 cucchiai di gomasio - alcune fette di pane integrale.Preparazione:Lasciate i fagioli in ammollo in acqua dopo averli lavati. Trascorse circa 12 ore, sciacquateli,sostituite l’acqua e metteteli a lessare in una pentola; portate a ebollizione e quindi abbassate lafiamma e coprite con un coperchio, proseguendo la cottura a fuoco moderato. Nel frattempopulite le bietole, lavatele e spezzatele grossolanamente. Poi pulite il cavolo cappuccio e ilcavolfiore, tagliate il cavolo a filetti e separate le cimette del cavolfiore. Sbucciate le patate,lavatele e tagliatele a dadini. In una casseruola, possibilmente di terracotta, versate alcuni cucchiaidi olio, fatevi rosolare un trito di cipolla sbucciata e sedano, aggiungetevi la salsa con un po’ diacqua tiepida, mescolate, lasciate insaporire per alcuni minuti e quindi unitevi il cavolo, le bietole,ilcavolfiore e le patate. Quando i fagioli sono cotti, scolateli e aggiungete alle verdure l’acqua dicottura, facendo cuocere a fuoco moderato per circa mezz’ora. A parte lessate i piselli e nelfrattempo passate al setaccio metà dei fagioli aiutandovi con un po’ di acqua di cottura e infineuniteli alla zuppa assieme agli altri fagioli e piselli che nel frattempo dovrebbero essere cotti.Lasciate sul fuoco per altri 5 minuti aggiustando di sale e insaporendo con un pizzico dipeperoncino rosso a piacere e infine aggiungete il prezzemolo tritato e una spolverata di gomasio(sale e sesamo). Disponete sul fondo di una grande zuppiera le fette di pane integrale tostate inforno, versatevi sopra la zuppa e lasciate riposare per qualche minuto prima di portare in tavola.

Orecchiette alla borragine (Borago officinalis)071Ingredienti:Foglie e fiori di borragine - orecchiette di Monteforte Irpino - pomodorini “ciliegine del Vesuvio”- olio extravergine d’oliva - sale - peperoncino.Preparazione:Si tritano 3 manciate di foglie tenere di borragine, si mettono in padella ad appassire con ½bicchiere d’olio extravergine d’oliva. Quindi si aggiungono 300 g di pomodorini “ciliegine delVesuvio”, tagliati in quarti, sale e, a piacere, il peperoncino. Si salta il tutto per 3 o 4 minuti, siuniscono a 500 g di orecchiette fatte a mano, cotte al dente in acqua salata, e si continua a saltareper un paio di minuti con il formaggio grattugiato.

Maccheroni con borragine (Borago officinalis)072Ingredienti per 2 persone:200 g di maccheroni - 200 g di borragine - 50 g di formaggio grana - 20 g di burro - 2 scalogni- 2 cucchiai di olio extravergine di oliva - pepe e salePreparazione:Lavate e tritate in grossi pezzi la borragine. Tritate molto finemente lo scalogno e fatelo soffriggerenell’olio a fuoco lento: quando sarà leggermente dorato, aggiungete la borragine e, dopo circa 5minuti, il burro. Lasciate brasare a fuoco lentissimo sfumando, se necessario, con un goccio di acqua.A parte cuocete i maccheroni in abbondante acqua bollente salata, scolateli e poi conditeli con laborragine e lo scalogno. Insaporite con un pizzico di pepe e mantecate con il formaggio grana.

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“Pizza cicorino”, realizzata da Daniele Cesarino (nella foto sopra, insieme alla Sig.ra MariaNapolitano), virtuoso pizzaiolo del ristorante-pizzeria “Mister Tony” di Sirignano (Av), doveoltre alle pizze classiche si possono gustare numerose altre pizze e “calzoni” alle erbealimurgiche.

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Sopra. “Pizza cicorino”.Sotto. Risotto con le ortiche.

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Ravioli di borragine (Borago officinalis)073Ingredienti per 2 persone:Per la sfoglia: 200 g di farina - 2 uova - salePer il ripieno: 200 g di borragine - 100 g di ricotta nostrana - 50 g di formaggio pecorinograttugiato - 50 g di gherigli di noce - 1 limone.Per il condimento: 50 g di formaggio pecorino grattugiato - 30 g di burro - sale e pepe.Preparazione del ripieno:Mondate, lavate accuratamente la borragine e fatela sbollentare in poca acqua salata. Scolatela efatela raffreddare, poi frullatela. In una terrina amalgamate il frullato di borragine con la ricotta,i gherigli di noce sbriciolati, il formaggio pecorino grattugiato, succo di limone, sale e pepe.Preparazione della sfoglia:Disponetela la farina a cerchio (a fontana) ed aggiungete, al centro, l’albume e i tuorlidelle due uova insieme ad un pizzico di sale. Impastate gli ingredienti con le mani finoa ottenere una pasta omogenea ed elastica. Lasciatela riposare a temperatura ambiente,coperta da un panno, per circa un quarto d’ora. Indi, con un matterello o con l’appositamacchinetta stendete una sfoglia sottile. Poi tagliate la sfoglia in pezzetti quadrati conuna rotella dentata. Mettete nel mezzo di ciascuno un cucchiaino di ripieno, quindiripiegateli a metà formando un triangolino e saldate bene i bordi con le dita, poi, conla rotella dentellata ritagliate i ravioli a mezzaluna. Disponeteli su un ripiano e lasciateliasciugare.Preparazione del piatto e condimento:Portate in ebollizione, in una pentola, abbondante acqua salata e calatevi i ravioli di borragine.Scolateli, poneteli in una zuppiera e conditeli con il burro fuso e il formaggio pecorino grattugiato.

Spaghetti al pesto di borragine (Borago officinalis) e noci074Ingredienti per 2 persone:200 g di spaghetti - 200 g di borragine - 50 g di gherigli di noci - 100 g di ricotta - 50 g diformaggio grana grattugiato - 1 spicchio d’aglio - 2 cucchiai di olio extravergine di oliva -prezzemolo - sale.Preparazione:Mondate e lavate per bene la borragine, poi frullatela insieme alla ricotta, alle noci,all’aglio e a un ciuffetto di prezzemolo. Ponete il pesto così ottenuto in una ciotola econditelo con olio extravergine di oliva, aggiungendo sale e pepe. Nel frattempo cuo-cete a parte gli spaghetti e, dopo averli scolati, conditeli con il pesto di borragineprima preparato, aggiungendo qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta. Spol-verate con il formaggio grana e servite subito.

“Cavuliciello” con i fagioli075Ingredienti:Foglie di cavolicello (Brassica spp) – fagioli lessi – olio extra vergine d’oliva – aglio – sale –pepe.Preparazione:Pulite, lavate e lessate le foglie di “cavuliciello”. In una pentola fate soffriggere l’olio extravergine di oliva, i fagioli lessi, l’aglio e il sale. Aggiungete le foglie di “cavuliciello” lessate e fateinsaporire per 10 minuti. Se necessario aggiungere un po’ d’acqua.

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Spaghetti con cascellore (Bunias erucago)076Ingredienti:100 g di foglie di Bunias erucago – 200 g di spaghetti – 30 ml di olio extra vergine di oliva –pecorino (del Fusaro di Avella) – sale – pepe.Preparazione:Pulite e lavate l’erba. Sbollentatela per 5 minuti. Lessate gli spaghetti in abbondanteacqua salata. Fate saltare l’erba lessata in una padella con olio extra vergine d’oliva,sale e pepe. Aggiungete gli spaghetti lessi e mescolate per qualche minuto a fuocolento. Servite con l’aggiunta di pecorino.

Minestra con raperonzolo ed erbe di campagna077Ingredienti:Campanula rapunculus (raperonzolo) – Silene vulgaris - Papaver rhoeas e Crepis spp. – carota– patate – fagioli – cavolo – cipolla – aglio – olio extravergine d’oliva – fette di pane abbrustolito.Preparazione:Pulire e scottare in acqua salata le foglie delle erbe indicate (del raperonzolo si potrà utilizzareanche la radice). Scolare, strizzare e tagliuzzare. In una pentola fare un soffritto di aglio,cipolla e carota. Aggiungere le erbe selvatiche, e poi patate, fagioli e cavolo precedentementelessati. Allungare con brodo vegetale. Si serve su fette di pane abbrustolite e con un filod’olio d’oliva.

Risotto con raperonzolo (Campanula rapunculus)078Con tre cucchiai d’olio d’oliva soffriggere 50 g di scalogno tritato. Appena imbiondito,aggiungere 50 g di pasta di salame di Mugnano del Cardinale e lasciarla soffriggerequalche minuto. Bagnare col vino bianco (Greco di Tufo), aggiungere 150 g di radicidi raperonzolo a cubetti e lasciare qualche minuto in cottura. Poi aggiungere 300 g diriso e bagnare col brodo. A tre quarti di cottura aggiungere le foglie di raperonzolo.Mantecare il risotto con formaggio pecorino grattugiato e burro. Guarnire con qualchefogliolina fresca di raperonzolo.

“Pane cotto” con farinaccio079Ingredienti per 2 persone:1/2 kg di foglie e germogli apicali di farinaccio (Chenopodium album) - 250 g di pomodori - 2fette di pane casereccio - 1 cipolla - 1/2 costa di sedano - 1 carota - 2 cucchiai di olio extraverginedi oliva - peperoncino e sale.Preparazione:Prendete le foglie più tenere e i germogli apicali del farinaccio e lavateli accuratamente.Pelate le cipolle, la carota ed il sedano, tagliateli sottilmente e fateli rosolare nell’olio insiemea un peperoncino tagliato a pezzetti. Aggiungete il farinaccio al soffritto e proseguite lacottura per 10 minuti. Poi aggiungete i pomodori tagliati a pezzetti e fate cuocere a fuocomedio per circa 20 minuti. Trascorso questo tempo, versate nel tegame un litro e mezzo diacqua calda, salate e lasciate bollire per altri 20 minuti. Preparate le scodelle mettendo inciascuna una fetta di pane raffermo o di pane casereccio tostato e versateci sopra la minestracosì preparata.

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Bucatini al pomodoro crudo e al farinaccio080Ingredienti per 2 persone:200 g di bucatini - 200 g di foglie di farinaccio (Chenopodium album)- 2 pomodori da insalatamaturi - 1 spicchio di aglio - 2 cucchiai di olio extravergine di oliva - prezzemolo - pepe e sale.Preparazione:Sbollentate in acqua salata, dopo averle lavate accuratamente, le foglie più tenere del farinaccio.Scolatelo e tritatelo grossolanamente. Tagliate a dadini i pomodori e riponeteli in una scodella.Aggiungete il farinaccio ed un trito di aglio, prezzemolo, olio, pepe e sale. Portate a cottura ibucatini, scolateli al dente e conditeli con il pomodoro crudo e il farinaccio tritato. Mescolate eservite.n.b. al posto dei pomodori da insalata si possono usare i pomodorini (ciliegine del Vesuvio)freschi o “appesi”.

Ingredienti per 2 persone:200 g di foglie ed apici teneri di farinaccio (Chenopodium album)- 200 g di maccheroni - 150 gdi pasta sfoglia - 100 g di passata di pomodoro - 1 porro - 25 g di burro - 100 ml di besciamella- 2 cucchiai di olio extravergine di oliva - pepe e sale.Preparazione:Fate appassire il porro tritato in una padella con 2 cucchiai di olio a fiamma lenta. Aggiungete ilchenopodio e fatelo soffriggere per circa 10 minuti. Versate la passata di pomodoro e aggiungeteun pizzico di sale. Alzate il fuoco e, mescolando, fate addensare il sugo. Fate cuocere i maccheronie scolateli al dente. Conditeli con la salsa di pomodoro, il chenopodio e la besciamella. Imburrate unapirofila e foderatela con metà della pasta sfoglia, aggiungete la pasta condita e ricoprite il tutto con lasfoglia rimanente. Lasciate cuocere per circa mezz’ora in forno preriscaldato a 190 °C. Servite caldo.

Timballo di maccheroni con farinaccio081

Minestra di buon Enrico082Ingredienti:800 g di buon Enrico - 50 g di pancetta nostrana (di Mugnano del Cardinale) – 50 g di pecorino- 1 cipolla - 2 uova - 1 litro di brodo - olio - sale.Preparazione:Bollire in acqua salata il buon Enrico, scolare e tagliare. Far soffriggere la pancetta in dadetti concipolla e l’olio; aggiungere il buon Enrico, rimestando. Servire calda, con pecorino grattugiato.

Minestra di cicoria (Cichorium intybus) con cipollaccio083Ingredienti:500 g di foglie di cicoria – 4 bulbi di cipollaccio (Leopoldia o Muscari Comosa) – 3 uova –ricotta salata grattugiata – lardo – brodo vegetale – olio extra vergine d’oliva – sale.Preparazione:Pulite e lavate la cicoria. Lessatela in acqua salata. Sgocciolatela e tagliatela grossolanamente.Lavate i bulbi di cipollaccio. Fate un soffritto con olio extra vergine d’oliva, lardo e bulbi dicipollaccio a pezzetti. Aggiungete la cicoria, salate quanto basta e fate stufare. Sbattete le uovae unite la ricotta con la cicoria stufata e mescolate tutto. Fate cuocere tutto il composto nel brodovegetale e servite caldo.

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Tagliatelle alle liane di vitalba084Ingredienti:30 g di germogli teneri di vitalba (Clematis vitalba) – 400 g di farina – formaggio pecorino – 3uova.Preparazione:Lavate i germogli di vitalba e lessateli. Fateli sgocciolare per bene e poi tritateli. Inuna scodella impastate il trito di vitalba insieme alle uova, alla farina e all’acqua, finoad ottenere un impasto omogeneo. Fate riposare per qualche ora, poi aggiungete ancheil formaggio e continuate ad impastare. Con l’impasto ottenuto stendete una sfogliasottile e tagliatela in striscie (tagliatelle). Cuocetele in abbondante acqua salata. Appenacotte, versatele nei piatti di portata e conditele o con salsa di pomodoro o con il burrofuso.

Minestra di Picris, Leontodon e Crepis085Ingredienti:Una manciata di foglie di aspraggine (Picris echioides e/o Picris hieracioides) – una di foglie didente di leone (Leontodon hispidus) - una di radicchielle (Crepis spp.) – 50 g di pancetta -2 litridi brodo – formaggio pecorino –aglio.Preparazione:Lavate ed asciugate bene le erbe. Fate rosolare l’aglio e la pancetta nel burro. Appena l’aglio èdorato, eliminatelo ed aggiungete le tre erbe, tagliuzzate, facendole saltare per qualche minuto.Aggiungete il brodo e cuocete fino a morbidezza delle erbe. Aggiungete una spolverata di pecorinoe servite.

Risotto ai fiori di zafferano (Crocus napolitanus)086Ingredienti:200 g di riso – 50 g di fiori di Crocus Napolitanus – brodo vegetale 1litro – cipolla – olio extravergine d’oliva – burro – vino bianco – sale.Preparazione:Fate soffriggere in una pentola dell’olio extra vergine d’oliva, cipolla e sale. Aggiungete il riso emezzo bicchiere di vino bianco. Fate evaporare. Poco per volta aggiungete il brodo mescolandocontinuamente. A metà cottura unitevi i fiori di Crocus Napolitanus. A cottura ultimata aggiungeteuna noce di burro.

Finocchietto selvatico gratinato087Ingredienti:30 finocchietti selvatici (Foeniculum vulgare) – pangrattato – aglio - olio - sale - prezzemolo.Preparazione:Raccogliete una trentina di finocchietti selvatici, lavateli accuratamente ed asciugateli.Asportate la parte aerea, conservando solo la parte inferiore ingrossata. Cuoceteli aldente in acqua bollente, scolateli e lasciateli raffreddare. Con un coltello tagliatelilongitudinalmente in due parti e conditeli con un pò di sale, pangrattato ed un tritod’aglio. Poneteli in una pirofila e fateli gratinare in forno a 180°. Si servonoaggiungendo del prezzemolo tritato.

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Topinambour in padella088Ingredienti per 2 persone:200 g di tuberi di topinambour (Helianthus tuberosus)- cipolla 1 piccola - olio extravergine 1cucchiaio - prezzemolo tritato – sale.Preparazione:Sbucciate i tuberi di topinambour, lavateli ed affettateli. Fate rosolare la cipolla nell’olio, poiaggiungete i tuberi, salate e cuocete a tegame coperto su fuoco moderato aggiungendo un gocciod’acqua. Quando i topinambour saranno cotti, aggiungete una spolverata di prezzemolo tritato.

Sformato o flan di topinambour089Ingredienti per 2 persone:100 g di tuberi di topinanbour - 1 cucchiaio di pecorino grattugiato – 1 uovo – 20 g di panna dacucina – brodo di verdure – 15 ml di olio extravergine d’oliva – succo di limone – salsa diacciughe - sale – pepe.Preparazione:Lavate e raschiate accuratamente i topinambour, immergendoli man mano in acqua acidulata consucco di limone, per non farli annerire, quindi sgocciolateli e tagliateli a tocchetti. Trasferiteli in untegame dove avete riscaldato l’olio. Unite alcuni cucchiai di brodo, un pizzico di sale e cuoceteli,coperti a fiamma dolce, per circa 20 minuti. Se occorre, aggiungete altro brodo caldo. Frullateli elasciate intiepidire il puré. A parte, amalgamate l’uovo con la panna ed il pecorino, incorporatevi ilpuré, regolate di sale e pepe e mescolate. Distribuite il composto negli stampini e mettete a cuocere inforno preriscaldato a 180° in un bagnomaria per circa 30-35 minuti. Negli ultimi 5 minuti togliete glistampini dal bagnomaria, adagiateli sul fondo del forno e ultimate la cottura. Lasciate riposare i flanper qualche minuto fuori dal forno, sformateli sul piano di portata e serviteli con la salsa d’acciughe calda.

“Orecchie di gatto” o “piattelli” con i fagioli090Ingredienti:Foglie di piattello (Hypochoeris radicata)– fagioli lessi – olio extravergine di oliva – aglio - salee pepe.Preparazione:Lavate accuratamente le foglie della rosetta basale di piattello. Lessatele in acqua salata. Fatesoffriggere in una pentola l’olio, l’aglio, i fagioli lessi ed aggiungete un pizzico di sale. Aggiungetele foglie di piattello lesse e fate cuocere per una decina di minuti, aggiungendo, se necessario,qualche goccio d’acqua.

Ravioli al grespignolo091Ingredienti:500 g di foglie di grespignolo (Lapsana communis) - 400 g di farina – 300 g di ricotta – 5 uova– burro – sale.Preparazione:Lavate e lessate le foglie di lapsana in acqua leggermente salata. Scolatela e mescolatela con la ricotta ed unuovo ottenendo un impasto omogeneo. Preparate una sfoglia con le rimanenti uova e con la farina. Tagliatela sfoglia a quadrati ponendovi al centro piccole quantità dell’impasto e richiudeteli formando il raviolo.Fate cuocere i ravioli in acqua bollente salata e conditeli con salsa di pomodoro oppure con la panna.

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Riso ai “denti di leone”092Ingredienti:200 g di foglie di “dente di leone” (Leontodon hispidus) – 400 g di riso – 1 litro di brodo vegetale- cipolla – aglio – burro – ricotta salata (del Fusaro di Avella) – olio extra vergine d’oliva - sale.Preparazione:Lavate le foglie di “dente di leone” (Leontodon hispidus) e lessatele in acqua salata.Sgocciolatele, tritatele e fatele saltare in padella con aglio e olio extra vergine d’oliva.Fate soffriggere la cipolla nel burro. Aggiungete il riso e mescolando continuamenteunite un po’ alla volta il brodo vegetale. A metà cottura aggiungete il leontodon saltatoin padella e una grattugiata di ricotta salata. A cottura ultimata fate mantecare il risocon una noce di burro e servite.

Riso al cipollaccio093Ingredienti:300 g di bulbi di cipollaccio (Leopoldia comosa) - 150 g di riso - salvia - olio extravergined’oliva - formaggio pecorino grattugiato - prezzemolo - peperoncino -sale.Preparazione:Lavate i cipollacci e liberateli dalle tuniche fogliari esterne. Portateli a metà cottura,poi scolateli e buttate via l’acqua di cottura. Prendete questi bulbi semicotti, tritateli emetteteli in una casseruola con 3 cucchiai d’olio e 2-3 foglie intere di salvia. Appenaqueste si appassiscono, toglietele e versate 2 litri di acqua calda. Quando bolle unite ilriso, aggiustate di sale e, a piacere, di peperoncino. Lasciate cuocere per circa 15 minuti.A cottura ultimata aggiungete 2 cucchiai di formaggio pecorino grattugiato ed uno diprezzemolo tritato. Mescolate e servite.

Fettuccine alla melissa094Ingredienti:50 g di melissa (Melissa officinalis) – 200 g di fettuccine –20g di burro – 75 ml di olio extravergine d’oliva – sale.Preparazione:Pulite e lavate le foglie di melissa. Frullatele insieme al burro, all’olio extra vergine d’olivae un po’ di sale. Fate cuocere in abbondante acqua salata le fettuccine. Scolatele e ponetelein un piatto di portata. Versatevi la salsa di melissa e servite.

Rigatoni all’erba muraiola095Ingredienti:200 g di rigatoni – 100 grammi di erba muraiola (Parietaria officinalis)– 50 g di besciamella –sale – pepe – peperoncino.Preparazione:Lavate l’erba muraiola. Cuocetela a vapore e frullatela. Aggiungete la besciamella, ilsale, il pepe, un pizzico di peperoncino e fate cuocere per 5 minuti. Cuocete i rigatoniin abbondante acqua salata. Scolateli e fateli mantecare nella salsa di besciamella eparietaria

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Minestra di parietaria (Parietaria officinalis)096

Ingredienti:200 g di foglie tenere e germogli di parietaria – 40 g di farina – 400 ml di latte – pane raffermo- olio extravergine di oliva – burro – sale – pepe.Preparazione:Dopo aver lavato e lessata la parietaria, frullatela fino ad ottenere una purea. Sciogliete unanoce di burro in una pentola e amalgamatela con la farina. Togliete la pentola dal fuoco eversateci lentamente il latte, mescolando continuamente. Poi rimettete la pentola sulla fiammaper altri 5 minuti. Aggiungeteci il sale e il pepe e continuate a mescolare in modo da ottenereuna salsa omogenea. A questo punto aggiungete anche la purea di parietaria e lasciateinsaporire per qualche minuto, sempre continuando a mescolare. Versate il tutto in unascodella bassa di terracotta insieme al pane raffermo.

Minestra di radicchielle (Picris spp.)097Ingredienti:Alcune manciate di Picris (P. eichioides, P. hieracioides) – olio extravergine di oliva – peperoncino– sale.Preparazione:Dopo aver lavato per bene le foglie di radicchielle, lessatele per 5 minuti. Passatele poi in unapadella con olio, aglio e peperoncino e saltatele per pochi minuti.

Pennette con salsa di caccialepre098Ingredienti:50 g di caccialepre (Reichardia picroides) – 200 g di penne – 40 g di burro – sale.Preparazione:Cuocete le pennette in abbondate acqua salata. Mondate e lessate la reichardia, dopodichè frullatelainsieme al burro e aggiungete un pizzico di sale. Scolate le pennette e conditele con la salsa primapreparata.

Omelette ai germogli di pungitopo e “cardillo”099Ingredienti:Una manciata di teneri apici di nuovi germogli di pungitopo (Ruscus aculeatus) - 3 uova – alcunipomodorini “ciliegino del Vesuvio” – ½ cipolla – qualche foglia di “cardillo” (Sonchus asper) -uno spicchio d’aglio – olio extravergine d’oliva – aceto - sale e pepe.Preparazione:Lavate ed asciugate i germogli di pungitopo, avendo cura di prendete solo quelli piùteneri, e senza danneggiare il resto della pianta. Tritate finemente l’aglio e fatelorosolare in un tegame con olio extravergine d’oliva, unite i germogli di pungitopo,condite con sale e pepe, e fate cuocere per 10 minuti a fuoco lento. In una pentola aparte preparate una frittata con le uova, sale e pepe. Quando essa è quasi cotta, abbassatela fiamma e staccatela dal fondo con una paletta. Metteteci sopra, nel mezzo, i germoglidi pungitopo e ripiegate un lembo della frittata su quello opposto. Completate la cottura.Guarnite con i pomodorini tagiati a metà, con anelli di cipolla e foglie di “cardillo”stemperate con poche gocce di aceto.

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Cardoncello (Scolymus hispanicus) mari e monti100Ingredienti:Alcune radici di cardoncello – 300 g di stoccafisso – castagne – olive nere – olio extravergined’oliva – aglio - sale e pepe.Preparazione:Pulite, lavate e sbollentate le radici di cardoncello. Mettete a rosolare l’aglio nell’olio, poiaggiungeteci le radici di cardoncello e fatele rosolare. A parte mettete a bollire le castagne e, acottura, liberatele dalla buccia. Tritate il cardoncello insieme alle castagne. Stufate lo stoccafissoe conditelo con la salsa prima preparata, aggiungendo alcune olive nere.

Stufato di “barbe di caprone” (Tragopogon spp.) con patate101Ingredienti per 2 persone:6 piantine di tragopogon (barba di caprone) intere – 30 ml di olio extravergine d’oliva – 3 patatedi Cimitile – 250 ml d’acqua - 1 spicchio d’aglio – sale e peperoncino.Preparazione:Raccogliete 6-8 “barbe di caprone” complete di foglie e radici. Eliminate le foglie ingiallite eraschiate la radice. Indi, lavatele e tritatele con una mezzaluna. Mettetele poi a stufare in unacasseruola con 2 cucchiai d’olio extravergine d’oliva e uno spicchio d’aglio tritato. Lasciateleappassire e poi unite mezzo litro d’acqua. Continuate la cottura per circa un’altra mezz’ora, poiaggiungete le patate tagliate a tocchetti. Mescolate bene e lasciate cuocere a fiamma bassa.Aggiustate di sale e peperoncino.

Sformato di trifoglio dei prati102Ingredienti:1 kg di trifoglio (Trifolium pratense)– 3 uova – 3 fette di pancetta di Mugnano del Cardinale – 50g di besciamella – ½ cipolla – formaggio pecorino – olio extravergine d’oliva – sale e pepe.Preparazione:Lavate bene il trifoglio, scottatelo in acqua salata bollente e tritatelo. Fate rosolare la cipollatritata e la pancetta tagliata a dadini, poi aggiungete anche il trifoglio, poi aggiustate di sale epepe e lasciate raffreddare. Frullate il tutto fino a formare una pasta omogenea che poi miscelerete,in una larga zuppiera, aggiungendo la besciamella, il formaggio e le uova sbattute. Versate in unostampo imburrato e fate cuocere nel forno a bagnomaria. Servite caldo, eventualmenteaccompagnando con un’insalata mista fresca.

Riso al trifoglio dei prati103Ingredienti:Alcune manciate di foglie e capolini di trifoglio dei prati (Trifolium pratense) – 300 g di riso – ½cipolla – 50 g di burro – 1 litro di brodo – salvia – formaggio pecorino.Preparazione:Dopo averlo lavato e strizzato, tritate il trifoglio e fatelo soffriggere con la cipolla ed il burro.Aggiungete il riso, il brodo (un mestolo alla volta) e portate a cottura mescolando. A cottura,versate il risotto in un piatto da portata e cospargetelo di burro fuso alla salvia e di formaggiopecorino grattugiato.

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Passato di lattugaccio con crostini104Ingredienti:300 g di lattugaccio (Urospermum dalechampii) – ½ bicchiere di panna – 1 aglio – prezzemolo– 2 cucchiai di olio – sale – acqua – crostini di pane tostato.Preparazione:Mondate e lavate il lattugaccio. Poi fate un soffritto con aglio ed olio ed aggiungeteci il lattugaccio,il prezzemolo e un po’ d’acqua e sale. Fate cuocere per 20 – 30 minuti. Quindi frullate il tutto edaggiungete la panna. Servite con i crostini di pane tostato.

Crêpes di violette (Viola odorata)107Ingredienti per 2 persone:80 g di fiori di violetta – 25 g di farina – 50 g di burro – 1 uovo – 1 cucchiaio di zucchero – 30 mldi latte – 5 ml di rhum – sale.Preparazione:Eliminate i calici (di colore verde) dalle corolle delle violette ed impastate queste ultime conburro e zucchero. A parte, impastate l’uovo, la farina, il rhum, il latte, lo zucchero insieme ad unpo’ di burro fuso e ad un pizzico di sale. Dopo aver unto col burro una padella per le crêpes,versatevi l’impasto una cucchiaiata alla volta e fate cuocere le crêpes per qualche minuto facendoleindorare da entrambi i lati. Mettete le crêpes in una teglia imburrata. Su ognuna di esse stendeteil composto di violette prima preparato, e fate cuocere in forno a 200 °C per 5 minuti.

Ingredienti per 2 persone:80 g di foglie di ortica – 150 g di riso – 25 g di burro – 25 g di formaggio pecorino grattugiato –½ litro di brodo di carne – ½ cipolla - 30 ml di vino bianco (Greco di Tufo) – 2 cucchiai di olioextravergine di oliva – sale.Preparazione:Lavate e tritate (evitando di pungervi) le foglie di ortica. Tritate la mezza cipolla, fatela indorarenell’olio, in un tegame da risotto, e poi aggiungete il trito di foglie di ortica. Nel frattempo mettetea bollire il brodo. Aggiungete ora il riso, mescolando con un cucchiaio di legno ed innaffiandocon il vino. Quando questo sarà evaporato aggiungere un mestolo di brodo e continuate a mescolare,ripetendo l’operazione man mano che il riso si asciuga. Dopo 15 minuti togliete dal fuoco ilrisotto, ancora piuttosto brodoso, e fatelo mantecare con burro e formaggio pecorino grattugiato.

Risotto alle ortiche (Urtica dioica)105

Zuppa di fagioli con ortica e finocchietto106Ingredienti:Fagioli cannellini lessi - foglie di ortica (Urtica spp.) - finocchietto selvatico (Foeniculum vulgare)- olio extravergine d’oliva - pancetta di Mugnano del Cardinale - aglio - nòcciole (“mortarella”o “baianese”) - tarallucci di Castellammare - sale e pepe.Preparazione:Fate rosolare l’aglio nell’olio. Aggiungete la pancetta tagliuzzata, le nocciole (tritate ma nontostate), le foglie di ortica, il finocchietto e fate soffriggere tutt’insieme. Aggiungete i fagioli lessicon l’acqua di cottura. Salate e pepate e lasciate cuocere per mezz’ora. Servite con una spolveratadi granella di tarallucci di Castellammare.

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SECONDI PIATTIC

Patate di Cimitile “agliate”108Ingredienti:Alliaria petiolata o Allium ursinum – patate lessate – sale – olio extravergine di oliva .Preparazione:Lavate e tritate l’alliaria o l’aglio orsino. Lessate le squisite patate di Cimitile e poi tagliate a fetteancora calde. Ponetele in un piatto. Condite con l’ olio extravergine di oliva, sale e il trito di alliaria.

Polpette di maiale con cerfoglio e “cardilli”109Ingredienti per 4 persone:500 g di cerfoglio (Anthriscus cerefolium) - 400 g di carne di maiale tritata - 3 uova - 50 g diformaggio pecorino grattugiato - 1 cipolla - 1 patata - 4 cucchiai di pane grattugiato - olioextravergine di oliva - pepe e sale - foglie di Sonchus spp.Preparazione:Lessate il cerfoglio, scolatelo e tritatelo finemente. Lessate la patata, pelatela e schiacciatela conuna forchetta. Tritate finemente la cipolla. Amalgamate la carne di maiale tritata con la patataschiacciata, la cipolla e il cerfoglio tritati. Aggiungete le uova, il formaggio pecorino grattugiato,il pepe e il sale. Con l’impasto così ottenuto fate delle polpette, passatele nel pane grattugiato efriggetele nell’olio extravergine di oliva ben caldo. Lasciate qualche minuto le polpette sulla cartaassorbente da cucina per eliminare l’olio in eccesso e servitele su un letto di foglie di “cardilli” crude.

Calamari con ripeno di cerfoglio110Ingredienti per 2 persone:4 calamari - 40 g di cerfoglio (Anthriscus cerefolium)- 20 g di mollica di pane - 8 pomodorini“ciliegino del Vesuvio” - 4 olive nere denocciolate - 1/2 cipolla - 2 cucchiai di capperi - 2cucchiai di olio extravergine di oliva - origano - sale e pepe.Preparazione:Preparate i calamari e separate i tentacoli dal corpo (sacchetto). Tritate i tentacoli insieme ai capperi, alleolive e ad un ciuffo di cerfoglio. Aggiungete la mollica di pane ed impastate il tutto con un filo d’olio, unpizzico di origano, sale e pepe. Ora imbottite i sacchetti dei calamari con l’impasto così preparato e chiude-teli con degli stuzzicadenti. Ponete i calamari imbottiti in una casseruola, insieme alla cipolla tritata, ipomodorini tagliati a metà, la restante parte di cerfoglio, un filo d’olio, pepe, sale ed un mestolo d’acqua.Fateli stufare percirca 40 minuti, a fuoco medio. Serviteli caldi insieme al loro sughetto.

Crocchette di ricotta e cerfoglio (Anthriscus cerefolium)111Ingredienti per 2 persone:80 g di cerfoglio - 250 g di ricotta di Avella - 25 g di formaggio grana grattugiato - 1 uovo intero- 1 tuorlo - 1 spicchio di aglio - 2 cucchiai di farina - olio extravergine di oliva - pepe e sale.Preparazione:Impastate la ricotta con 1 tuorlo d’uovo ed 1 cucchiaio di formaggio. Tritate il cerfoglio e l’aglio ed aggiungetelial composto, con un pizzico di pepe e di sale. Rassodate l’impasto aggiungendo un pò di pane grattugiato.Con il composto così ottenuto formate delle crocchette. Passatele prima nella farina, poi nell’uovo sbattutoed infine nel pane grattugiato e friggetele nell’olio.

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Sopra: tortino di borragine realizzato dalla Signora Luisa Evangelista.

Sotto: zuppa di fagioli con ortica e finocchietto realizzata da Marco Ferrara,titolare dell’ osteria “La lanterna” di Mugnano del Cardinale (Av).

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Le suore del Cenobio di San Pietro a Cesarano (a Mugnano del Cardinale- AV), ora “CentroPastorale Giovanni Paolo II”, insieme a don Giovanni Picariello ed al giovane Antonio De Rosa.

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Vellutata di asparagi di collina112Si cuociono separatamente in acqua 1 kg di patate e 750 g di asparagi selvatici (Asparagusacutifolius). Si scolano e si lasciano raffreddare. Quindi si riducono le patate in purea e sitagliano gli asparagi (la parte apicale più tenera) a pezzetti. Alla purea di patate si aggiun-gono 1 bicchiere di besciamella e 1 bicchiere di acqua di cottura degli asparagi, si amalga-ma, si mette sul fuoco con 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva, si mescola e si lasciaaddensare a fiamma bassa. Si uniscono gli asparagi, si aggiusta di sale e a piacere e dipeperoncino. Si serve calda.

Asparagi selvatici al formaggio113Si lessano gli asparagi (Asparagus acutifolius) immergendoli per 10 o 15 minuti in acqua salatabollente, dopo aver tagliato via la parte dura ed averli legati a mazzetti. Si scolano, si passano perun attimo in acqua fresca e si depongono, in una teglia imburrata, a strati intramezzati con formaggiograttugiato e burro fuso. Si passano poi in forno ben caldo, finché lo strato superiore non appaiacolorito. Si servono caldi.

Bacchette del re (Asphodeline lutea) in salsa di pomodoro114Gli scapi fiorali più teneri, mondati dalle foglie e puliti dalla pellicola, dopo essere stati sbollentatiper alcuni minuti, si fanno cuocere insieme alla salsa di pomodoro fresco, alla quale conferisconoun gusto dolciastro e particolare.

Ingredienti per 2 persone:200 g di bocconcini di tacchino - 200 g di borragine (Borago officinalis)- 100 g di mela annurca- mezzo limone - 1 cucchiaio di rafano grattugiato - 1 cucchiaio di zucchero - 30 ml di vinobianco (Greco di Tufo) - 10 g di burro - sale e pepe.Preparazione:Sbucciate e tagliate a pezzetti le mele annurca, eliminando il torsolo. Mettete i pezzetti dimele in un pentolino con lo zucchero e il vino, fateli cuocere per 20 minuti, quindi frullateli.Pulite e lavate accuratamente la borragine, poi sbollentatela in poca acqua salata, scolatelae frullatela. Amalgamate il frullato di borragine con la crema di mele. Ponete il compostocosì ottenuto in una pirofila. Aggiungete il rafano, i bocconcini di petto di tacchino, unanoce di burro, sale e pepe. Quindi fate cuocere per 15 minuti. Completate il piatto con ilsucco di mezzo limone e servite.

Bocconcini di tacchino alla borragine115

Pane e “caulicielli” (Brassica fruticolosa)116Ingredienti:Foglie di cavolicello – pane raffermo – olio extra vergine d’oliva – aglio – sale.Preparazione:Lavate per bene le foglie di cavolicello e lessatele. Sgocciolatele e fatele saltare in una padellacon l’olio extra vergine d’oliva, l’aglio e il sale. A fine cottura aggiungete le fette di pane raffermo,coprite con un coperchio e spegnete la fiamma. Servite dopo 5 minuti.

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Crocchette “borse di pastore”117Ingredienti per 2 persone:200 g di foglie basali di borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris)- 1 uovo - 1 patata - 1spicchio di aglio - 3 cucchiai di formaggio grattugiato - pane grattugiato - olio per friggere -qualche fogliolina di menta selvatica - sale e pepe.Preparazione:Pulite e sciacquate accuratamente le foglie di capsella. Quindi lessatele, scolatele e sminuzzatele.Lessate anche la patata e riducetela in purea. Versate sia la capsella che la purea di patata in unaciotola, aggiungendovi l’uovo, il formaggio, sale, pepe e un trito di aglio e menta. Con il compostocosì ottenuto preparate delle crocchette, che passerete nel pane grattugiato per poi friggerle inuna padella antiaderente con poco olio. Lasciate asciugare le crocchette su un foglio di cartaassorbente da cucina per eliminare l’olio in eccesso e servitele calde.

Fagottini ripieni con carlina (Carlina spp.)118Ingredienti per 2 persone:per la pasta: 100 g di farina bianca - 2 cucchiai di olio extravergine di oliva - sale;per il ripieno: 1 patata - 150 g di cuori di carlina - 30 g di prosciutto cotto - 1 cipolla - 15g diburro - 1 limone - sale - olio extravergine d’oliva.Preparazione:Lessate la patata, sbucciatela e tagliatela in piccoli dadini. Disponete la farina a cerchio (a fontana)su un tagliere e aggiungete l’olio e il sale e cominciate ad impastare. Poi aggiungete un mezzobicchiere d’acqua, continuando ad impastare, in modo da ottenere una pasta liscia e dalla giustaconsistenza. Avvolgete l’impasto così ottenuto in una pellicola alimentare e fatelo riposare infrigorifero per circa un’ora. Tritate la cipolla e fatela rosolare nel burro fino a doratura, poiaggiungeteci i cuori di carlina ed il prosciutto cotto, entrambi tagliati in strisce sottili. Lasciatecuocere per 10 minuti, se è il caso versandovi un goccio d’acqua, poi aggiungete i dadini di patataed un pò di succo di limone e proseguite la cottura per altri 10 minuti. Prendete la pasta dalfrigorifero e, dopo averla lavorata per altri 5 minuti, stendetela con un matterello o con l’appositamacchina e tagliatene dei dischi che dovrete farcire con il ripieno prima ottenuto. Piegate ilmargine dei cerchi di pasta imbottita su quello opposto e formerete i fagottini a mezzaluna. Scaldatel’olio in una padella e friggete i fagottini. Prima di servirli lasciateli scolare un poco su un fogliodi carta assorbente da cucina. Potete accompagnare il piatto con una misticanza di erbe selvatiche(crespino, valerianella, ruchetta, ecc…).

Foglie di “buon Enrico” in padella119Ingredienti per 2 persone:1/2 kg di foglie di buon Enrico (Chenopodium bonus-Henricus) - 2 cucchiai di passata di pomodoro- 1/2 cipolla - 1 spicchio di aglio - mezzo cucchiaino di bicarbonato - olio per friggere - sale.Preparazione:Lessate in una pentola con poca acqua le foglie di buon Enrico e, appena l’acqua inizia a bollire,aggiungete mezzo cucchiaino di bicarbonato. Fate cuocere fino a quando lo stelo delle foglie nonsi spezzi facilmente, quindi scolate le foglie, strizzatele e tritatele grossolanamente. Fate rosolarela mezza cipolla, tagliata a fette sottili, in una padella insieme all’aglio, l’olio extravergine d’olivae il sale. Poi unite il buon Enrico e lasciatelo insaporire. Infine, aggiungete la passata di pomodoroe fate cuocere ancora per circa 5 minuti. Mescolate e servite.

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Sopra, a sinistra: il Prof. Franco Domenico Vittoria, Presidente della Comunità Montana“Vallo di Lauro e Baianese” (che ha fornito, in più di una occasione, i mezzi per alcuneescursioni di studio) insieme al dott. Pellegrino De Rosa.Sopra, a destra: il Cav. Angelo Iervolino, provetto cuoco ed esperto preparatore di squisitipiatti a base di “erbe alimuriche” (e non solo).Sotto: tortino alla borragine.

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Girello con il “buon Enrico”120Ingredienti per 4 persone:1 kg di buon Enrico (Chenopodium bonus-Henricus)-1 girello di vitello (di circa 800 g) - 30 g diburro - 30 g di formaggio pecorino - 2 tuorli - 120 ml di latte - 80 ml di panna da cucina - 1cucchiaio raso di farina - 4 cucchiai di olio extravergine di oliva - vino bianco - sale.Preparazione:Dopo aver accuratamente lavato il buon Enrico, tritatelo e fatelo soffriggere, per circa 20minuti, in una padella con il burro, la panna, il latte, un cucchiaio di farina e sale, fino aformare una crema densa. Versate, poi, il composto in una terrina e mescolatelo con i 2tuorli e il formaggio pecorino grattugiato. Nel frattempo, in una pirofila fate rosolare afuoco lento e con un filo di olio il girello, bagnandolo di tanto in tanto con un goccio di vinoe di acqua. Tagliate il girello a fette e disponetele in una pirofila precedentemente unta conil burro, coprendole con la crema di buon Enrico. Cuocere per circa 15 minuti in fornopreriscaldato a 180 °C. Servite caldo.

Patate gratinate con finocchietto selvatico121Si lavano e si cuociono al dente 800 g di patate di Cimitile, separatamente si lavano e sicuoce al dente la parte basale (gambo) di 12 finocchietti (Foeniculum vulgare). Quindi siscolano e si pelano le patate. Si tagliano le patate e i finocchi a tocchetti e si mettono in unaterrina, si condiscono con sale, pangrattato, (peperoncino a piacere), olio extravergine d’olivae 1 spicchio d’aglio tritato, quindi si versano in una pirofila e si mettono a gratinare nelforno.

Foglie di “sparviere” (Hieracium spp.) al forno122Ingredienti:200 g di foglie di hieracium – 4 sottilette – burro – sale.Preparazione:Mondate, lavate e lessate in acqua leggermente salata le foglie di hieracium. Disponetele in unapirofila il cui fondo è stato precedentemente imburrato. Ricopritele con le sottilette e infornateper 10 minuti a 180°.

Uova strapazzate al luppolo e pancetta123Ingredienti per 2 persone:150 g di germoglio di luppolo (Humulus lupulus)- 30 grammi di pancetta di Mugnano del Cardinale– ½ bicchiere di vino bianco (Greco di Tufo) - 4 uova - 1 spicchio d’aglio – capperi - pepe e sale– olio extravergine d’oliva.Preparazione:Fate rosolare l’aglio, schiacciato, e la pancetta in sottilissimi dadini, in una padellacon olio extravergine d’oliva. Unite i germogli di luppolo ed i capperi e fateli soffriggereper almeno 20 minuti, aggiungendo ogni tanto uno spruzzo di vino. Quando il luppoloappare quasi cotto versatevi le uova e mescolate il tutto, aggiungendo un pizzico disale. Fate cuocere, strapazzando bene le uova e facendole amalgamare bene al luppolo.Servite caldo.

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Uova strapazzate al rosolaccio (Papaver rhoeas)124Si prende una manciata di rosette giovani e tenere di rosolaccio, si lavano, si tritanogrossolanamente, si mettono in padella con 1 cucchiaio d’olio extravergine d’oliva e l’odoredell’erba cipollina, si fanno appassire e poi si uniscono 3 uova sbattute con il sale q.b. Si mescolafino a cottura. Si serve su fette di pane tostato.

Papaveretti (Papaver rhoeas) di primavera125Prendete le foglie delle rosette basali primaverili di papavero, lavatele bene, lessatele escolatele. Fate imbiondire in padella due spicchi di aglio con olio d’oliva. Quando l’aglio èbiondo, versate tre pomodori pelati con un poco della loro acqua, salare e fare insaporireper dieci minuti. Aggiungere le foglie di papaveri e fatele insaporire per trenta minutigirandole di tanto in tanto.

“Frivarielli” di ramolaccio con salsiccia locale126Ingredienti:Foglie di ramolaccio (Raphanus raphanistrum) – pasta di salsiccia di Mugnano del Cardinale –olio – sale e pepe.Preparazione:Eliminate dalle foglie di ramolaccio la nervatura centrale. Lessate le lamine in acqua salata.Fatele saltare in padella con olio, insieme alla pasta di salsiccia, sale e pepe.

“Schioppettini” con patate ed acciughe al forno127Ingredienti per 2 persone:300 g di foglie di schioppettino (Silene vulgaris) – 200 g di patate – 4 acciughe sott’olio – 2cucchiai (= 30 ml) di olio extravergine d’oliva – 1 spicchio d’aglio – pepe e sale.Preparazione:Lavate le foglie di silene e sminuzzatele finemente. Disponete il trito sopra un letto di patatetagliate a fette sottili in una pirofila bene unta di olio. Poi aggiungete un trito d’aglio ed i filetti diacciuga. Aggiungete un poco d’acqua e fate cuocere in forno preriscaldato a 180 °C.

Frittata di alliaria128

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Ingredienti:100 g di Alliaria petiolata – 4 uova - pecorino a piacere – pepe nero – sale.Preparazione:Pulite e lavate l’alliaria. Sbollentatela in acqua leggermente salata per 5 minuti. Sbattete le uovacon il formaggio e con il pepe. Tritate l’alliaria e unitela alle uova sbattute. Friggete in oliobollente.

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Cerfoglio con le uova129Ingredienti:2 cucchiai di cerfoglio(Anthriscus cerefolium) tritato, uova fritte (o anche sode), un cucchiaio di burro fuso.Preparazione:Fate fondere il burro fino a che non raggiunge un bel colore dorato. Aggiungete fuori dal fuoco ilcerfoglio tritato. Cospargete con questo preparato le uova che avete fritto precedentemente (oppurele uova sode, tagliate a spicchi).

“Bacchette del re” (Asphodeline lutea) in frittata130Gli scapi fiorali più teneri, dopo essere stati liberati dalle foglie e dalla pellicola esterna, vengonoprima rosolati con un pizzico di sale e, poi, si aggiunge l’uovo sbattuto e del formaggio grattugiato,mescolando il tutto in padella.

Frittata di borragine131Ingredienti per 6 persone:1 mazzetto di tenere foglie di borragine (Borago officinalis)- 1 una tazza di fiori di borragine - 6uova - 1 etto di cipolline novelle - 1 etto di fagioli lessati - olio dell’antico Clanis - pepe e sale.Preparazione:Dopo aver pulito per bene le piantine, separate i fiori e le foglie, scartando i fusticini. Fateappassire le cipolline affettate nell’olio ed unite le foglioline ed i fiori di borragineprecedentemente tritati, insieme ai fagioli, anche essi tritati. Versate nel tegame le uova sbattutea parte con un pizzico di sale e pepe. Mescolate velocemente con un cucchiaio di legno; appenala frittata comincia a rapprendersi scuotete leggermente la padella per staccarla dal fondo e poirigirarla aiutandosi, se non si possiedono particolari doti acrobatiche, con un coperchio o con unpiatto per farla cuocere dall’altra lato. Decorate il piatto con alcuni fiori di borragine e servite.

Frittata di cicoria132Ingredienti:500 g di foglie tenere di cicoria (Cichorium Intybus)– 3 uova – limone – olio extra vergine d’oliva.Preparazione:Pulite e lavate la cicoria. Lessatela in abbondante acqua salata. Scolatela e tagliatelagrossolanamente. Sbattete le uova e aggiungete qualche goccia di limone con la cicoria. Friggeteil tutto nell’olio extra vergine d’oliva.

Frittata di ruchetta133Ingredienti per 2 persone:15-20 foglie di ruchetta (Diplotaxis tenuifolia)– 2 uova – formaggio pecorino – pancetta – olioextravergine d’oliva – 1 spicchio d’aglio- sale.Preparazione:Lavate le foglie di ruchetta e tritatele grossolanamente. Fate rosolare lo spicchio d’aglio schiacchiatonell’olio, appena rosolato, togliete l’aglio ed aggiungete la pancetta tagliata a dadini. Fate rosolaree poi aggiungete due uova sbattute ed insaporite con un pizzico di sale, le foglie tritate di ruchettaed il formaggio pecorino. Fate cuocere da entrambi i lati.

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Frittata di false ortiche134Ingredienti:100 g di false ortiche (Lamium spp) – 2 uova – pecorino – pepe – sale – olio extra vergined’oliva.Preparazione:Lavate e lessate la falsa ortica in acqua salata. Sgocciolatela e tagliatela grossolanamente. Sbattetele uova e aggiungete la falsa ortica, sale e pepe. Friggete in caldo olio extra vergine d’oliva.

Frittata di rovo con prosciutto135Ingredienti per 2 persone:100 g di germogli di rovo (Rubus spp.)- 50 g di prosciutto cotto - 2 uova - 50 g di formaggiograttugiato - 1 cipolla - 2 cucchiai di farina - 30 ml di latte - olio extravergine d’oliva - pepe esale.Preparazione:Pulite i germogli di rovo, legateli a mazzetti e fateli bollire in acqua salata, poi scolateli per benee tritateli. Tritate la cipolla e fatela rosolare in una padella con olio extravergine d’oliva e, quandosarà dorata, aggiungete i germogli di rovo. Dopo alcuni minuti aggiungete la farina, a neve,facendola cadere da un setaccio. Aggiungete, poi, il latte fino a ottenere una crema densa (senecessario aggiungete altra farina a velo). Aggiungete pepe e sale a piacere e lasciate raffreddare.In una terrina a parte, sbattete le uova, poi aggiungete il formaggio e, sempre mescolando, versa-teci la crema di germogli di rovo prima preparate ed il prosciutto cotto finemente tritato. Fatefriggere il composto così ottenuto in una padella antiaderente con olio extravergine di oliva. Fatedorare, rivoltandola, la frittata da ambo i lati. Poi mettetela su un foglio di carta assorbente dacucina per eliminare l’olio in eccesso e servitela calda.

Frittata di stracciabraghe136Ingredienti:100 g di teneri getti di stracciabraghe (Smilax aspera)– 2 uova – sale – olio extravergine d’oliva.Preparazione:Lavate e lessate i teneri virgulti di stracciabraghe. Sbattete le uova, aggiungeteci i germogli lessied un pizzico di sale e friggete in una padella con olio extravergine d’oliva. Servite caldo.

Crêpes ai fiori di tarassaco137Ingredienti per 2 persone:20 “fiori” (capolini) di tarassaco (Taraxacum officinale) – 50 g di farina – 50 g di burro – 1 uovo– 1 cucchiaio di zucchero – 60 ml di latte – 10 ml di rhum – sale.Preparazione:Lavate bene i “fiori” di tarassaco e liberateli dalle lacinie del calice per utilizzare soltanto i petaligialli. Tritate grossolanamente i petali con la mezzaluna, impastateli con un poco di burroammorbidito e salateli leggermente. Mescolate in una ciotola l’uovo con la farina, il latte, ilrhum, lo zucchero, il burro fuso ed un pizzico di sale. Fate riposare il composto per un’ora e poipreparate delle piccole crêpes sottili, versando l’impasto a cucchiaiate in un piccolo padellinoantiaderente. Distribuite il composto dei fiori sulle crêpes, arrotolatele, disponetele su una tegliaimburrata ed infornatele per 10 minuti. Servitele cosparse di zucchero.

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Frittata di ortiche138Lessate le ortiche (Urtica dioica), poi scolatele e strizzatele per bene. Appena raffreddate tritateleinsieme ad un ciuffo di prezzemolo. Sbattete le uova, con formaggio a pasta dura, sale, pepe eunite al trito di ortiche. Scaldate l’olio d’oliva in una padella, versate il composto e sollevate ibordi appena si rapprendono facendo scivolare sotto, con l’aiuto di una spatola di legno, la partecentrale più liquida. Quando il lato inferiore si è rassodato, capovolgere la frittata per far cuocerel’altro lato.

Frittata di ortiche e salame di Mugnano del Cardinale139Ingredienti per 2 persone:250 g di tenere foglie di ortiche (Urtica dioica)– 20 g di formaggio pecorino – 50 g di salame diMugnano del Cardinale - 2 uova – 10 g di farina - olio extravergine di oliva – aglio - pepe e sale.Preparazione:Lavate con la normale cautela le foglie di ortica, sbollentatele e tritatele finemente. Sbattete leuova insieme al trito di ortiche, al formaggio, al pepe e ad un pizzico di sale. Se il composto sipresentasse molto liquido aggiungete un pizzico di farina.Tagliate il salame (o la soppressata) di Mugnano del Cardinale a piccoli dadini. Fate rosolare inpadella un aglio schiacciato, poi toglietelo ed aggiungete i dadini di salame e fateli rosolare.Aggiungete poi il composto di ortiche e formaggio e fate cuocere la frittata da entrambi i lati.

Pizza ripiena “irpina” alle erbe140

PIZZE E PANINIE

Ingredienti:1 kg di farina - mezzo pezzetto di lievito di birra sciolto in acqua tiepida - sale quanto basta adinsaporire - 1 bicchierino d’olio extravergine d’oliva. Scarola coltivata o endivia (Cichoriumindivia), carote, foglie di cerfogli (Anthriscus cerefolium) e di cardilli (Sonchus asper).Preparazione:Bollire le erbe fino alla cottura, poi soffriggerle con aglio, acciughe, capperi, pinoli, uvetta passa,olive verdi e nere tagliate e sale. Preparate una sfoglia con la farina ed il lievito. Stendere lasfoglia nella teglia e aggiungere le erbe. Sistemarle bene dopodichè stendere un’altra sfoglia dipasta per coprire il tutto. Una volta coperto bucherellare con la forchetta la sfoglia e infornare inforno preriscaldato a 180 gradi per circa mezz’ora.

Panini alle margheritine (Bellis perennis) e ricotta141Ingredienti per 2 persone:150 g di foglie della rosetta basale di margheritine - 80 g di ricotta di Avella - 2 panini all’olio– ½ cipolla – 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva – pepe e sale.Preparazione:Lavate le margheritine e fatele saltare in padella, con olio extravergine d’oliva ed un pizzicodi sale per 5 minuti. Dopo averle fatte raffreddare, tritatele insieme alla mezza cipolla emescolate con la ricotta, aggiungendo pepe e sale a piacere. Con questo impasto infarcite ipanini all’olio.

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Gli autori della presente pubblicazione, incollaborazione con il Dirigente Scolastico dellescuole elementari di Baiano e Sperone, dott.Felice Colucci, nonché con l’intero corpodocente, hanno coinvolto i ragazzi delle scuoleelementari in un appassionante viaggio allariscoperta degli antichi gusti e delle antichetradizioni. Benedetta Napolitano ha insegnatoloro (oltre alle cautele nella raccolta enell’identificazione, più volte ricordate) afamiliarizzare con le erbe commestibili, pergiungere fino alla preparazione ed alladegustazione di deliziose frittelle alle erbe. Il lavoro, coordinato dal corpo docente dellescuole elementari, è stato poi pubblicatonell’annuario dell’Istituto scolastico, quiriportato.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

Borragine ripiena (Borago officinalis)142Unite a due e due le foglie più grandi, ed inserite al loro interno un dadino di mozzarelladi bufala campana e, a scelta, uno di prosciutto, di acciuga o qualche pezzetto disalsiccia di Mugnano del Cardinale. Immergetele nella pastella e friggetele.

Pizza di raperonzoli (Campanula rapunculus)143Si puliscono per bene e si lavano accuratamente una manciata di foglie e di radici diraperonzoli. Le radici si tagliano longitudinalmente alla Julienne. Foglie e fette diraperonzolo si mettono sulla pasta di una pizza e si infornano in un forno a legna.

Panini paesani al farinaccio “’a Ré”144Ingredienti:Chenopodium album - pasta per panini - aglio - olio - sale.Preparazione:Lavate per bene e lessate le foglie ed i germogli più teneri di chenopodio. Fateli saltarein padella, con aglio, olio e sale. Impastate la pasta per panini con un po’ di olio eformate dei panini imbottiti con il chenopodio saltato. Fate cuocere in forno, fino adoratura.

Pagnottella alla cicoria ripassata145Ingredienti:Foglie di cicoria o radicchio (Cichorium intybus) o delle diverse “cicorie a fiori gialli”(Taraxacum, Sonchus, Crepis, Lentodon, Picris, Reichardia) - olio extravergine di oliva- aglio - sale - peperoncino.Preparazione:Prendete le foglie della rosetta basale della cicoria (o radicchio ) o delle varie “cicoriea fiori gialli”, lavatele accuratamente e lessatele in poca acqua salata. In alternativapotete cuocerle, in poca acqua, nella pentola a pressione. A parte, fate rosolare unospicchio d’aglio ed un pezzetto di peperoncino, nell’olio extravergine d’oliva. Poiaggiungete le erbe lesse e fatele saltare in padella per almeno cinque minuti. Ora usatele erbe così soffritte, e senza scolarne l’olio, per imbottire una pagnottella di secale (o,in mancanza di questa, una pagnottella di frumento, o un panino). Se volete, potetelessare, soffriggere ed aggiungere anche i capolini (fiori) delle “cicorie a fiori gialli”.

Pizza “cicorino” (Pizzeria Mister Tony di Sirignano)146Ingredienti:Cicoria selvatica (Cichorium intybus) – salsiccia di Mugnano del Cardinale – olive nere – aglio– olio extravergine di oliva – fagioli borlotti lessi – origano – sugo di pomodoro – sale - pasta perpizza.Preparazione:Lavate e lessate la cicoria . Stendete la pasta per la pizza e spalmatela con una cucchiaiata di sugodi pomodoro. Poi aggiungeteci la cicoria, i fagioli, la pasta di salsiccia, le olive nere e condite conolio, origano aglio e sale. Infornate in un forno a legna.

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Ingredienti:Rizomi e giovani stoloni di gramigna (Cynodon dactilon o Agropyron repens)– funghi prataiolisott’olio (o, in mancanza, gli champignon) – olio extravergine d’oliva - mozzarella di bufalacampana - pasta di salsiccia di Mugnano del Cardinale - sale - pasta per la pizza.Preparazione:Raccogliete i giovani germogli di gramigna prima che spuntino all’esterno, scavando appenasotto la superficie del terreno. Quando si presentano ancora bianchi, friabili, carnosi e turgidi.Lavateli e lessateli in aceto e limone. Poi sgocciolateli ed asciugateli. Soffriggeteli, ora, insiemealla pasta di salsiccia e ad uno spicchio d’aglio, aggiungendo un pizzico di sale. Stendete la pastaper la pizza ed aggiungeteci il soffritto di gramigna e salsiccia, la mozzarella di bufala (tagliata adadini), i funghi ed un filo d’olio. Infornate in un forno a legna.

Pizza alla gramigna147

Focaccia alla malva148Ingredienti per 2 persone:150 g di foglie di malva (Malva sylvestris) - 250 g di farina - 30 g di olive nere denocciolate -30 g di formaggio pecorino grattugiato - 2 uova - 1/2 cipolla - 1 bustina di lievito - 2 cucchiaidi olio extravergine di oliva - sale e pepe.Preparazione:Lavate accuratamente le foglie di malva, poi tritatele e mettetele in una scodella. Aggiungete le uova sbattute,l’olio, la cipolla finemente tritata ed il formaggio e mescolate accuratamente. Impastate la farina con olio dioliva, sale e lievito di birra sciolto in un pò d’acqua (tiepida ma non bollente, per non distruggere il lievito).Lavorate bene l’impasto e stendetelo in una teglia col fondo unto di olio.Versateci sopra il composto dimalva prima preparato e distribuitelo uniformemente con l’aiuto di un cucchiaio. Mettete a cuocere in fornoper 20 minuti a 180 °C. A cottura ultimata, aggiungete le olive e servite.

Birra di gramigna (Cynodon dactylon)149

BEVANDEF

In un recipiente assai grande e aperto porre 5 chili di rizomi di Cynodon dactylon ben lavati e tritatied annaffiateli con acqua tiepida per conservarli umidi, senza ricoprirli. Dopo qualche giorno, iframmenti sviluppano delle gemme bianche: quando hanno raggiunto un centimetro, versare la gra-migna in un barile con un chilo di bacche di ginepro schiacciate (o in loro mancanza con una ugualequantità di infiorescenze di luppolo), 60 grammi di lievito di birra e 2 chili di zucchero. Aggiungete8 litri di acqua molto calda (ma non bollente, per non uccidere il lievito) e mescolate con un bastone.L’indomani aggiungete altri 8 litri di acqua calda, sempre mescolando. Ripetete l’operazione aggiun-gendo 9 litri di acqua. Chiudete poi bene il barile, lasciando un piccolo foro per l’aerazione, e lasciateriposare per una settimana. Dopo ciò travasate il liquido, filtrato dalle impurità, in un barile pulito.Dopo due giorni la birra è pronta per essere gustata.

Caffé di tarassaco (Taraxacum vulgare)150Lavate le radici di tarassaco e liberatele dalle radichette. Asciugatele, tagliatele a rondelle dipochi millimetri di spessore e fatele essiccare al sole o all’aria. Tostatele e macinatele.Mettete un cucchiaio colmo di questa polvere in un pentolino con 250 ml (¼ di litro) di acqua efate bollire per 5 minuti. Lasciate riposare per qualche istante. Filtrate e bevete.

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PARTI DI PIANTE ARBOREEG

Frittelle di sambuco (Sambucus nigra)151Ingredienti per 2 persone:Infiorescenze (ombrelle) di sambuco non ancora dischiuse - 4 cucchiai di farina - 1 uovo - olioextravergine d’oliva - sale o zucchero a piacere.Preparazione:Preparate una pastella mediamente densa con la farina, l’uovo, 1/3 di litro di acqua e sale. Immergeteciascuna ombrella, tenendola per il gambo, nell’impasto ottenuto e lasciate scolare la pastella ineccesso. Immergete, quindi, l’ombrella nell’olio bollente, friggendola fino a doratura. Lasciateasciugare le frittelle così ottenute su carta assorbente da cucina ed asportate il gambo.Utilizzando lo zucchero al posto del sale potrete preparare dei profumatissimi dessert.

Germogli fritti di sambuco (Sambucus nigra)152Ingredienti:Rametti verdi apicali di sambuco - farina - uova - sugna (o olio extravergine d’oliva) - sale.Preparazione:Far bollire bene i rametti di sambuco fino a lessarli. Cambiare acqua e dare ancora un bollitura.Quando saranno ben teneri, asciugarli. Passarli nelle uova sbattute e poi nella farina con sale.Friggere in sugna bollente o olio.

Risotto alle foglie di faggio (Fagus sylvatica)153Ingredienti:Foglie primaverili e tenere di faggio - salsiccia - riso - olio extravergine di oliva - aglio - sale.Preparazione:Lessate le foglie apicali più tenere. Scolatele, asciugatele, tagliatele finemente e fatele saltare inpadella insieme alla carne tritata dell’interno delle salsicce, all’aglio e all’olio. Preparare a parteil riso lessandolo in acqua salata. Scolarlo bene e mantecarlo insieme alle foglie di aglio e salsiccia.Le foglie di faggio hanno sapore di cavolo, ma non il suo caratteristico odore, non a tutti gradito.Volendo si può aggiungere a questo piatto una spruzzata di formaggio pecorino locale.

Gemme di faggio (Fagus sylvatica) sott’olio154Ingredienti:Gemme di faggio - olive verdi - acciughe - aceto - olio.Preparazione:Fate bollire le gemme di faggio in aceto per qualche minuto. Poi scolate e lasciate asciugareall’aria. Mettete le gemme in un vaso di vetro, aggiungendo alcune olive verdi snocciolate equalche acciuga a pezzetti. Aggiungete l’olio fino a completa copertura.

Pane di fàggiole155Prendere 500 g di farina di grano e mescolare a 500 g di frutti di faggio (fàggiole) tritati, impastare,far lievitare ed infornare.

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Ravioli alle verdure selvatiche e fàggiole156Ingredienti per 4 persone:Pasta: 1 tazza di farina di fàggiole - 1 tazza di farina di grano - 2 uova - un cucchiaio daminestra di strutto - burro o olio - un po’ di sale.Ripieno: 1 piatto di foglie di ortica e di foglie giovani di chenopodio bianco - 2 cucchiai daminestra ben pieni di formaggio grattugiato di capra o pecora - 1 tazza di fàggiole (tostate etritate) - 1 cucchiaino di strutto, burro o olio - 2 uova - 1 cipolla - 1 cucchiaino di farina - 1 tazzadi latte - un po’ di sale - 2 cucchiai da minestra di semi di papavero (facoltativo) - 2 cucchiai daminestra di strutto, burro o olio.Preparazione:Mescolare farina, uova, strutto (o burro o olio), un po’ di sale e acqua. Lavorare per ottenere unapasta morbida.Scottare le foglie, scolarle e tagliarle finemente. Mescolare al formaggio e alle fàggiole. Aggiungeredue tuorli e un bianco d’uovo. Salare. Tritare finemente la cipolla e farla rinvenire rapidamentenell’olio. Aggiungere la farina e inumidire col latte. Lasciar cuocere, poi aggiungere alle foglie.Stendere la pasta e tagliare dei cerchi grandi come il palmo di una mano. Deporre il ripieno su unametà, ripiegare e incollare i bordi con il bianco d’uovo rimanente. Lasciar bollire in acqua salatafinché i ravioli non risalgono in superficie. Sgocciolare bene.Si possono cuocere i ravioli anche nell’olio, e li si può insaporire con semi di papavero.

Tozzetti di fàggiole (Fagus sylvatica)157Ingredienti:500 g di fàggiole tostate - 4 uova - 2 etti diburro - 600 g di zucchero – 200 ml di limoncello- scorza di un limone grattugiata - due bustinedi lievito - farina sufficiente per ottenere unimpasto morbido.Preparazione:Disponete la farina a fontana e sbattete al centrole uova con lo zucchero, quindi unite tutti glialtri ingredienti. Stendete l’impasto e tagliate astrisce di circa 4 centimetri di larghezza.Infornate. Una volta dorato, estraete dal forno,tagliate a losanga ed infornate di nuovo.

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Il mandamento diBaiano è la patriadel nocciòlo (a si-nistra), il cuinome specificoderiva da Abella(l’antica Avella).Le nocciòle, inol-tre, si trovano rap-presentate nellostemma civico diSirignano (Av).

A destra.Tavola botanicadel faggio.

Plantula dinocciòloCorylus

avellana

Fàggiola

Fagus sylvatica

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I principali prodotti tipici dell’area baianese: i salumi di Mugnano del Cardinale (Av).Sotto: le “soppressatare” al lavoro in un salumificio artigianale.

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Cicuta di SocrateConium maculatumConium maculatumConium maculatumConium maculatumConium maculatum (L.)

PIANTAMORTALE

Usata, storicamente, per eliminare i filosofi ed ipensatori scomodi (è la famosa “Cicuta di Socrate”)è vanamente diffusa, nonostante la locale cronicacarenza di intellettuali, anche nel territorio oggetto delpresente studio, lungo le siepi e nei boschi umidi, nellafascia altimetrica compresa fra i 300 ed i 1.000 metridi altitudine.

Questa pianta è mortale e può rivelarsi pericolosasoprattutto per i bambini che, adoperandone i fusticavi come cerbottane o fischietti, possono rimanerevittime del suo potente veleno. E’ una emicriptofita bienne appartenente allafamiglia delle apiacee o ombrellifere: la stessa famigliadel prezzemolo, dei finocchietti, del cerfoglio,dell’angelica e delle carote.

Si distingue dalle ombrellifere innocue per il cattivoodore emanato dalle sue foglie, se schiacciate, e dallemacchie marroni-violacee (vedi foto sopra) che, quasisempre, si trovano lungo il suo fusto.

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Lattuga velenosaLactuca virosaLactuca virosaLactuca virosaLactuca virosaLactuca virosa (L.)

PIANTAMORTALE

E’ una terofita scaposa, erbacea, dialtezza variabile tra i 60 centimetri ed 1,50metri. In alcuni ambienti si comporta daemicriptofita bienne.

La Lactuca virosa presenta il fustobianco o rossastro, spesso munito diaculei. Le foglie hanno margini spinescentie sono di un colore che varia dal verdelucido al verde-bluastro. Le foglie superiorisono sessili e spesso più o menoprofondamente lobate. Tutte abbraccianoil fusto alla base.

I numerosi capolini sono disposti inpannocchie.

La corolla dei flosculi giallo-verdastri siprolunga su un lato a formare una linguettaa cinque denti.

L’achenio, nerastro, ha un pappo di finisete argentee, portato alla sommità di unlungo peduncolo.

Il latice ha sapore amaro e pungenteche, secondo gli esperti è molto simile aquello dell’oppio.

E’ una pianta estremamente velenosaal punto da risultare mortale.

Precedentemente non segnalata nelterritorio oggetto di studio, è tuttaviapresente, talora ai margini delle strade.

Gli esemplari nelle foto sono statirinvenuti a Mugnano del Cardinale (Av),nei pressi di una strada che conduceall’abitazione paterna dell’autrice.

Non va assolutamente ingerita (néfumata) perché, oltre ad avere effettinarcotici è pericolosamente tossica.

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SenecioneSenecio vulgarisSenecio vulgarisSenecio vulgarisSenecio vulgarisSenecio vulgaris (L.)

PIANTAMORTALE

E’ una terofita erbacea, dai fusti gracili edai rami irregolari. Può giungere all’altezzadi circa 40 centimetri.

Fiorisce tutto l’anno.I pappi di setole bianche sono così

delicati che anche la brezza più lieve puòportarli lontano. Per cui questa pianta vienedisseminata facilmente ovunque e sirinviene comunemente sia nei prati sia aibordi delle strade.

Presenta foglie alterne. Quelle basalisono spatolate (2 x 7 cm), lobate o partite.Quelle cauline sono semi-amplessicauli,pennato-partite.

I fiori sono tutti tubulosi e gialli.I numerosi capolini si presentano penduli

prima della fioritura. Hanno involucrocilindrico-piriforme, formato da due seriedi squame, una interna ed una esterna,quest’ultima con punta nera o interamentenera.

L’achenio è sormontato da un pappoformato da un ciuffo di peli.

Il Senecio vulgaris è usato in erboristeriada tempi immemorabili.

E’, però, consigliabile non ingerirlaperché è tossica per l’uomo.

Se consumata in grandi quantità puòrisultare addirittura letale.

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Piante alimurgiche del Baianese e del Lauretano

Prospetto analitico delle specie botaniche e delle ricette

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Glossario

acaule: pianta con fusto aereo brevissimo. Le foglie sono generalmente ravvicinate e addossateal suolo; solo i peduncoli fiorali sono eretti.achenio: frutto secco indeiscente, che non si apre spontaneamente. Es.: achenio di fragola.aculeo: escrescenza acutissima, pungente, dritta o ricurva, che si trova sui fusti di alcune piante.L’aculeo, diversamente dalla spina, si stacca facilmente, avendo origine dall’epidermide e daaltri tessuti superficiali. Es.: aculeo della rosa.acuminato: si dice di organo che termina improvvisamente con una punta acuminata e flessibile.Es.: foglia di olmo.acuta: si dice di sommità che si restringe impercettibilmente a punta, al contrario di acuminato,ove il restringimento è improvviso. Es.: foglia di Plantago lanceolata L.ala: a) nome dato ai petali laterali dei fiori delle Papilionacee. Es.: ginestra; b) lembo verde alato del picciolo o del fusto come proseguimento della lamina della foglia. Es.: Consolidamaggiore.alterno: il disporsi delle foglie sul fusto inserite ciascuna a livelli differenti; se, come accadesovente, le foglie si trovano su due file longitudinali, sono alterne-distiche.amento: infiorescenza complessa; talvolta è semplificata sino a costituire una spiga semplice,generalmente pendula, spesso formata da fiori unisessuati. Es.: amenti maschili del nocciolo,amenti maschili e femminili del salice bianco.amplessicaule o avvolgente: lamina di foglia, o di stipola, o di petalo, che avvolge il fusto alpunto di inserzione.androceo: il complesso degli organi maschili (stami, dal greco stémon: filo) di un fiore.annuale: si dice di pianta la cui vita dura un solo anno: nascita, sviluppo, fioritura, fruttificazionee morte. La riproduzione avviene soltanto attraverso i semi.antera: apice rigonfio dello stame. L’antera contiene le cellule generatrici dei granelli di polline,che formeranno i gameti maschili. E’ divisa internamente in 4 sacche polliniche che formanopoi 2 logge, per confluenza.antesi: sinonimo di fioritura: il bocciolo fiorale si apre, i petali si spiegano, gli stami e il carpellocrescono, si verifica la fecondazione. Quest’ultima fase può avvenire prima dell’antesi.apetalo: fiore sprovvisto di petali; è detto anche “monoclamide”.arbusto: termine convenzionale che definisce una pianta perenne, legnosa, ramificata per lo piùfin dalla base. Negli arbusti la massa dei rami predomina sull’asse principale, il fusto primariopuò non superare in dimensioni i fusti secondari e la pianta assume aspetto cespuglioso. Es.:bosso, ligustro, mirtillo, ribes.ascella: angolo interno formato tra il picciolo e il fusto o tra un ramo e una branca. All’ascelladelle foglie si forma sovente, una gemma, detta gemma ascellare.bacca: frutto carnoso indeiscente con semi sparsi entro la polpa. Es.: mirtillo, ribes.baccello: frutto secco deiscente che si apre mediante due fenditure.biennale: pianta che compie il suo sviluppo entro due anni. Nel primo anno nascita e sviluppo;nel secondo fruttificazione e morte. Es.: carota.bipennata: foglia formata di divisioni pennate, a loro volta costituite da foglioline pennate.bipennatosette: foglie a divisioni pennatosette a loro volta pennatosette; le frastagliatureraggiungono la nervatura centrale di ciascun lobo. Questi lobi sono disposti come i denti di unpettine.brattea: foglia più o meno modificata alla cui ascella nasce il fiore. In alcuni casi, le bratteesono molto grandi, diventano coriacee e sono dette spate. Es.: mais.bratteole: foglioline portate dal peduncolo fiorale.bulbilli: bulbi molto piccoli che hanno origine non nel terreno, come i veri bulbi, ma che siformano all’ascella delle foglie di alcune specie di giglio, o al posto dei fiori, come avvienenell’aglio.bulbo: germoglio molto raccorciato, con l’aspetto di una grossa gemma, di forma spesso ovata,tipicamente sotterraneo. Le foglie modificate che lo fasciano contengono sostanze nutritive diriserva. L’esempio tipico è costituito dalla cipolla.

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calice: il più esterno degli involucri fiorali, composto dai sepali.calicetto: insieme di brattee molto ravvicinate, alla base di un capolino, con portamento dipiccoli sepali, costituente una specie di calice supplementare.capolino: infiorescenza molto fitta costituita da fiori sessili, inseriti direttamente su unrigonfiamento del fusto detto ricettacolo. Tutte le piante della famiglia delle Composite hannofiori a capolino, di forma e di dimensioni molto varie.capsula: frutto secco deiscente con un certo numero di logge interne, che si aprono per liberarei semi sia dai fori (es.: rosolaccio) sia dalle valve (es.: aquilegia).carena: a) petalo del fiore delle Papilionacee, a forma di chiglia di nave. Es.: ginestrino; b)protuberanza a forma di chiglia che compare su taluni organi.cariosside: frutto secco indeiscente, tipico delle graminacee, la cui parete è internamente saldataall’unico seme.carpello: organo femminile del fiore, che va a costituire l’ovario (che poi si trasforma in frutto).cima: infiorescenza in cui tutti i peduncoli sono ramificati e terminano con un solo fiore.corimbo: infiorescenza ombrelliforme, con peduncoli di diverse lunghezze.corolla: insieme dei petali di un fiore.cotiledoni: le prime foglie, già formate dentro il seme, che spunteranno alla germinazione;spesso sono colme di sostanze di riserva e perciò inadatte alle funzioni delle vere foglie.culmo: fusto aereo delle Graminacee, nodoso, scavato (vuoto) fuorché ai nodi. Es.: frumento.deiscente: frutto secco che si apre a maturazione.dentati: foglia, petalo, sepalo con margine segnato da frastagliature ad angolo acuto, pocoprofonde. L’angolo acuto, o la sua ristrettezza, distingue un organo dentato da uno crenato.diachenio: acheni abbinati sorretti da un peduncolo comune, biforcuto all’estremità, come nellamaggior parte delle Ombrellifere.dialipetalo: fiore i cui petali sono indipendenti gli uni dagli altri. Analoga espressione (dialisepalo)è usata per i sepali del calice.dicotiledone: pianta la cui plantula possiede 2 cotiledoni. Tutte queste piante formano una classein cui rientra la maggior parte delle piante a fiore.digitato: disposto allo stesso modo delle dita di una mano.diclino: fiore unisessuale, portante o solo stami (maschili) o solo il pistillo (femminile). E’l’opposto di “ermafrodita” o monoclino (portante sia le strutture maschili, androceo, che quellefemminili, gineceo).dioica: specie che possiede i fiori maschili ed i fiori femminili, su individui separati. Avrà,quindi, piante maschio e piante femmina.ermafrodita: si dice di un fiore che porta sia gli organi maschili (stami) sia quelli femminili(pistilli).flosculo: (dal latino flosculus = fiorellino) il singolo fiore del capolino delle Composite; puòavere corolla tubulosa oppure ridotta a una lamina appiattita (ligula).gamopetalo, gamosepalo: a petali saldati per formare una corolla intera; a sepali saldati performare il calice. La saldatura può essere soltanto su una parte della lunghezza dei petali o deisepali, dalla base verso l’alto.gineceo: sinonimo di pistillo. E’ l’insieme dei carpelli di un fiore.glabro: senza peli né ciglia. E’ l’opposto di vellutato, lanoso o lanuginoso e pubescente. Es.:foglia del mughetto e della pervinca.glauco: di colore verde-azzurrognolo, dovuto a pigmenti interni, ma anche alla polvere fine ecerosa,la pruina, sparsa sull’epidermide delle foglie o dei frutti.glomèrulo: infiorescenza composta da fiori subsessili che formano una sfera. Il glomerulo sidistingue dal capolino; infatti, in quest’ultimo i fiori sessili sono inseriti su una superficieorizzontale e non compongono una sfera. Es.: barbabietola, cuscuta.grappolo: infiorescenza i cui fiori,con corti peduncoli, sono inseriti lungo l’asse principale.infero: ovario nascosto nel ricettacolo e perciò sovrastato da tutte le parti fiorali.infiorescenza: gruppo di fiori riuniti in un determinato modo su un asse variamente conformato.inguainante o guainante: il termine è riferito, in particolare, alle Graminacee: la lamina dellafoglia si prolunga come una guaina attorno al fusto coprendolo, così, fino al nodo ove si inseriscela foglia stessa, nella regione inferiore della guaina.

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involucro: corona di brattee poste alla base dell’ombrella. Possono avere un involucro anche unfiore unico o un capolino; in quest’ultimo caso le brattee possono essere disposte in più strati esovrapporsi come le tegole di un tetto.labiato: a forma di labbra. Il fiore della salvia ha un petalo con la forma del labbro superiore euno con la forma del labbro inferiore; pertanto si dice bilabiato.lamina: parte allargata della foglia o del petalo. Sinonimo di lembo.lanceolato: a forma di lancia, appuntito alle due estremità e più largo nella parte mediana. Es.:foglia di piantaggine femmina (Plantago lanceolata L.) o di oleandro.latice: sostanza organica secreta dai canali lattiferi, per esempio dell’hevea o del ficus, con cuisi fabbrica il caucciù. In senso lato, è il prodotto della secrezione che taluni vegetali emettono dapunti di lacerazione. Es.: celidonia. Non ha nulla a che vedere con la linfa.lesiniforme: a forma di lesina (strumento acuminato per forare il cuoio). Si dice di organi vege-tali appuntiti. Es.: foglie del ginepro comune.ligula: piccola linguetta membranosa, il più delle volte incolore, situata nel punto di congiun-zione della lamina e dell’apice della guaina nelle Graminacee.lirata: è detto di foglia con frastagliature profonde che determinano dei lobi sempre più grandivia via che si avvicinano all’estremità superiore della lamina fogliare. Es.: lassana.monoico: vegetale che porta sullo stesso fusto fiori maschili e fiori femminili; non è tuttaviadetto che questi si feconderanno tra loro.nervatura: prolungamento attraverso la lamina fogliare dei vasi conduttori della linfa prove-niente dal fusto.nettario: ghiandola secretrice di nettare, liquido zuccherino, posta spesso alla base dei petali oin fondo alla gola di un fiore. Es.: ciliegio. Alcune foglie possono avere uno o più nettarii allabase sulla lamina.oblungo: più lungo che largo, 2/3 per 1/3, e arrotondato alle estremità.obovale o ovale: si dice di una foglia la cui lamina ha la parte superiore nettamente più largadella base, al punto di inserzione.ombrella: infiorescenza semplice o doppia i cui peduncoli fiorali partono tutti dal medesimopunto e sono di eguale lunghezza.opposto: posizione di due organi situati l’uno di fronte all’altro sullo stesso nodo.ovario: organo formato da uno o più carpelli e che racchiude uno o più ovuli. L’ovario, avvenu-ta la fecondazione, si evolve in frutto, secco o carnoso; l’ovulo si evolve in seme.ovulo: struttura contenente il gamete femminile, racchiuso entro l’ovario; dopo la fecondazione,diventa un seme.palmata: si dice di nervatura divisa in più segmenti disposti come le dita divaricate di una mano.papilionacea: pianta con fiori costituiti da un petalo grande (vessillo) da due petali laterali (ali)e da due petali inferiori più o meno uniti (carena); tutte le specie aventi questa struttura sonoriunite nella famiglia delle Papilionacee.pappo: insieme di peli o setole, più o meno ramificati, situato all’apice dei frutti di alcunespecie, in particolare di quelli delle famiglie delle Composite e delle Valerianacee. Il ventotrasporta facilmente il pappo, facilitando la dispersione dei semi. Es.: tarassaco,valeriana.pennato: per analogia con una penna di uccello, foglia costituita da lobi o foglioline dispostelungo l’asse centrale a guisa delle barbe di una penna. Es.: robinia.pennatosetta: si dice di foglia che presenta frastagliature che raggiungono la nervatura centralee sono disposte da una parte e dall’altra sulla lunghezza di detta nervatura.perianzio: è l’insieme più esterno del fiore, formato da calice e corolla.petalo: elemento della corolla, secondo involucro fiorale. Oltre a svolgere funzione di protezio-ne degli organi interni del fiore, i petali aiutano la fecondazione, attirando coni loro colori (fun-zione vessillifera) e il loro nettare gli insetti pronubi. L’impollinazione ottenuta tramite gli inset-ti si dice entomofila o zoofila.picciolo: parte della foglia, che unisce la lamina al fusto.pistillo: insieme degli organi femminili di un fiore.pronubi (insetti): effettuano l’impollinazione trasportando il polline da una pianta all’altra.prostrato: si dice dei fusti che non si elevano da terra.pruina: strato ceroso, glauco, che ricopre l’epidermide di certi organi e in particolare dei frutti.

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Molto delicata, la sua integrità dimostra che il frutto non è stato manipolato. La pruina contieneottimi fermenti, sia per la digestione sia per la fermentazione.pubescente: ricoperto di peli corti e semplici. La pubescenza è spesso una difesa dalla siccità odal freddo.resta: prolungamento filiforme di un organo. Es.: le glumette dell’orzo o i carpelli della vitalbae della pulsatilla.ricaccio o getto: giovane ramo che si diparte dal ceppo o dalla radice di una pianta vivace; essoradica e forma pianta perfetta e autonoma. Queste piante sono prolifere e invadenti.rizoma: organo di riserva e di moltiplicazione vegetativa sotterraneo. Costituito dalla radiceingrossata (es. carota).rosetta: disposizione in tondo delle foglie radicali, aderenti al suolo. Es.: borsa del pastore,tarassaco.sepalo: parte del calice, primo involucro fiorale.sessile: inserito direttamente sul ramo: senza peduncolo, fiore sessile; oppure senza picciolo,foglia sessile. Talvolta fiori e foglie sono soltanto subsessili, cioè sorretti da un peduncolo o daun picciolo impercettibile.stame: organo maschile del fiore.stilo: prolungamento verticale dell’ovario, a forma di colonna, sormontato da uno stimma.stimma: regione dell’ovario che raccoglie e trattiene i granuli pollinici. Lo stimma è spessoricoperto di papille secernenti un liquido zuccherino, che facilita la cattura e la germinazione delgranello di polline.stolone: fusto strisciante, aereo o sotterraneo, non provvisto di elementi di riserva, che emetteradice dai nodi e riproduce così la pianta. Es.: fragola.stolonifera: pianta che produce stoloni. Le piante stolonifere sono generalmente piantetappezzanti; la loro moltiplicazione vegetativa è più rapida di quella per seme. Da una pianta difragola si ottengono, durante una stagione, anche più di 100 piantine.supero: si dice di ovario libero, non contenuto nella profondità del ricettacolo, e contornatodalle altre parti fiorali, inserite al suo livello. E’ il contrario di ovario infero.tubero: organo sotterraneo di riserva, costituito dal fusto trasformato ed ingrossato e di formaglobosa (Es. patata). Sulla sua superficie sono presenti delle gemme (detto, volgarmente, “occhi”).turione: giovane fusto cresciuto dal ceppo di piante vivaci le cui parti aeree muoiono ogniautunno. Es.: asparago.volubile: si dice di un fusto rampicante che si avvolge attorno al suo supporto.

Con l’espressione “quarta gamma” si indicano ortaggi e verdura già selezionati, lavati e pronti per latavola, generalmente venduti in buste o blister. Per completezza, si rammenta brevemente che i prodotti diprima gamma sono quelli non trattati (tipo le verdure e gli ortaggi del fruttivendolo); quelli di secondagamma sono i prodotti inscatolati, imbottigliati o in lattine; quelli di terza gamma sono i prodotti surgelati;quelli di quinta gamma sono i precotti. A tali categorie gli autori della presente pubblicazione aggiungonoquella della “zero gamma”, comprendente i prodotti naturali, non coltivati e non trattati con fitofarmaci oconservanti, e le stesse erbe spontanee commestibili, oggetto della presente trattazione (Nota degli autori).

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Bibliografia

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“Il lavoro dello scrivanoè il ristoro del lettore.

Il primo toglie le forze del corpo,l’altro favorisce lo spirito.Pertanto, chiunque tu sia,

non disprezzare ma stai attentoal lavoro di colui che fatica

per portarti profitto.”

Colophon di Silos Beatus,XII secolo.

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Pellegrino De Rosa - Benedetta Napolitano - don Giovanni Picariello

2008

1986

1995

1993

2000

2002

2003

2003

2005

2007

2006

Gli autori hanno svolto opera di divulgazione e formazionein diversi ambiti (il prof. De Rosa anche come relatore diSeminari e Master universitari), PON, POF, corsi ad alunnidi liceo e di scuole tecniche, ad insegnanti e ad operatori delsettore ambientale.

Inoltre hanno realizzato studi (Benedetta Napolitano, ancheper l’università) su vari argomenti ambientali ed etnografici.

Da segnalare un lavoro sulle neviere (in cui, tra l’altro, sipropone una inedita ipotesi sulla possibile funzione di alcuninuraghi sardi), apparso anche sul “Corriere” dell’Irpinia, edin vari articoli etnografici apparsi sullo stesso quotidiano esu vari periodici (tra cui “il Baianese”, diretto dal Prof. De Rosa).

Per eventuali contatti: http://www.derosa-web.eu

DVD multimediale per PC, con i filespdf delle varie pubblicazioni degli autorie, in aggiunta, la digitalizzazione della“Della nolana ecclesiastica storia” dip. Gianstefano Remondini (1747).

La “metodica De Rosa”

Altre pubblicazioni ed attività divulgative degli autori (1/2)

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Piante alimurgiche del Baianese e del LauretanoAltre pubblicazioni ed attività divulgative degli autori (2/2)

La “metodica De Rosa©” consiste in unnuovo modo di interpretare l’IngegneriaNaturalistica (I.N.) quando si debbaintervenire con essa sui suoli di naturavulcanica (come quelli, piroclastici, dell’areacircumvesuviana della Campania) o su tuttigli altri suoli che presentino, per varie cause,degli strati meccanicamente, chimicamenteo biologicamente inerti1 .

Il dott. agronomo Pellegrino De Rosa,avendo constatato che gli apparati radicalidelle piante non attraversano gli strati dipomici2 , ha fatto osservare come moltestrutture realizzate secondo le tecniche di I.N.sui suoli piroclastici, se non opportunamenteadeguate alle specifiche caratteristicheagronomiche e geopedologiche di tali terreni,finiscano per rivelarsi completamenteinefficaci e per costituire esse stesse la causadi futuri e più pericolosi ed estesi dissesti.

Gli interventi di I.N. (detti anche interventi“in verde”) prevedono l’uso integrato dimateriali naturali e di piante vive.Semplificando molto il discorso, avviene che,solitamente, vengono usati paletti di legno (incastagno, di conifere, ecc..) per realizzarevarie strutture di contenimento (es. palificatesemplici o doppie, graticciate, viminate, ecc..)unitamente a talee di salice e piantine dispecie autoctone (alle quali, oltre la funzionemeccanica è demandata anche quella di“rinaturalizzazione” del sito). La struttura inlegno ha un effetto immediato dicontenimento e di stabilizzazione ma,siccome con il tempo perderà le suecaratteristiche meccaniche (si seccheràoppure marcirà) è previsto che la sua funzionemeccanica debba poi essere sostituita daquella delle piante, che nel frattempo sarannocresciute e che con il loro apparato radicaleavranno raggiunto la profondità previstadall’intervento (corrispondente, per lo meno,a quella alla quale sono stati infissi i paletti).Ebbene, ma cosa succede se i paletti sono stati ancorati a 1,2 metri di profondità su un terreno che presenta unostrato di pomici posto a 60 centimetri? Succede, semplicemente, che la struttura perde di efficacia, poiché leradici non potranno mai “approfondarsi” oltre lo strato pomiceo ed ancorarsi al suolo sottostante e, una voltache si sarà disfatta la struttura in legno, il sito diverrà pericolosamente instabile. Per questo motivo, in tali casi,il prof. De Rosa ha segnalato la necessità di effettuare in fase di piantumazione delle specie vegetali una trinceao una buca che oltrepassi lo strato inerte e che sia riempita di fertile terreno vegetale, costituendo in tal modouna via preferenziale per gli apparati radicali delle piante3, consentendo loro di ben ancorarsi al suolo piùprofondo e di svolgere in maniera ottimale la funzione biomeccanica loro richiesta4 .

© Dalle osservazioni condotte è stata studiata una nuova struttura di I.N. denominata “agevolatore radicale”, per la qualeè stata presentata domanda di brevetto industriale (AV2006A000003).«Ogni teoria dovrebbe essere la più semplice possibile, senza diventare semplicistica» (Albert Einstein).1 La “metodica De Rosa” è stata presentata dall’autore alla fine dello stage da lui effettuato presso Scienze Forestali edAmbientali (Direttore: Prof. Stefano Mazzoleni. Relatore: Prof. Antonio Saracino) e del Master in Gestione e Difesa delTerritorio, da lui conseguito nel 2005 presso l’Università degli Studi di Napoli (Direttore: prof. Nunzio Romano) e alquale, negli anni successivi, ha tenuto delle lezioni sull’argomento, in forma di seminario, come “esperto esterno”.2 Il fatto si osserva facilmente lungo i “tagli stradali” ed era già tradizionalmente noto ai corilicoltori di tutta l’area Baianesee del Vallo di Lauro. Siccome le pomici (presentanti elevata macroporosità ma ridottissima microporosità) non riescono atrattenere l’acqua, l’ambiente diventa inospitale per le radici (che all’aria si “autopotano” ), che preferiscono mantenersi nelsuolo fertile ed umido più superficiale.3 E’ noto che le piante vanno piantate a livello del colletto (zona del fusto appena sopra le radici) e che se piantate piùin profondità muoiono. Secondo un detto popolare, infatti, “le radici devono poter sentire le campane”, ovvero devonotrovarsi appena al di sotto del livello del terreno.4 Il dott. De Rosa ha pertanto aggiunto ai 4 tipi di interazione suolo-pianta descritti da Tsukamoto e Kusakabe (1984) unquinto tipo, rappresentato dai suoli piroclastici (terza figura, sopra).(*) Relazione tra stabilità dei versanti e gestione selvicolturale - L’ingegneria naturalistica in ambiente mediterraneo. Dream Italia.

1 = pomici; 2 = buca con terreno vegetale.

Il contributo stabilizzante degli apparati radicali (*)

In bianco, gli strati di pomici.

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Cav. Prof. Pellegrino De Rosa

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Note sull’autore

Pellegrino De Rosa è dottore agronomo, giornalista, saggista e scrittore.È laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie, e ha un master in Gestione e difesa delterritorio. Ha una formazione multidisciplinare: ha diretto alcune testategiornalistiche locali e si è interessato per anni dei settori di informatica,elettronica e di collaudo autoveicoli, introducendoli nella ditta di famiglia.

È agronomo libero professionista e insegna materie scientifiche e tecnichepresso le scuole medie superiori.

Si interessa di progettazioni e di studi in ambito ambientale, botanico,faunistico, e di ingeneria naturalistica. Settore, quest’ultimo, nel quale hapresentato una particolare metodica adatta per i suoli piroclastici dell’areavesuviana.

Ha pubblicato vari saggi etnografici e tecnici, tra cui un testo sulle erbealimurgiche (erbe selvatiche commestibili) edito dalla Regione Campania.Si interessa di ipnologia di scuola ericksoniana, è istruttore elementare discacchi, e si occupa di varie attività legate al mondo dei libri.

È Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana.

Per contatti:Email: [email protected]: Pellegrino (Rino) De Rosa

Altre pubblicazioni dell’autore

Piante alimurgiche (del Baianese e del Lauretano)

Studio botanico ed etnografico su 74 specie di erbe selvatichecommestibili e sulla loro utilizzazione gastronomica.

Stampato a cura della Regione Campania - Assessorato all’Agricoltura ealle Attività Produttive e con la prestigiosa prefazione del prof. AntonioSaracino di Scienze Forestali e Ambientali di Portici (Na).

La gestione dell’ambiente e del territorioe la “Metodica De Rosa”

Studio ambientale sulle aree interne a rischio di dissesto idrogeologico.Presentazione di una innovativa metodica di Ingegneria Naturalistica da

adottarsi nei suoli piroclastici e in quelli presentanti orizzonti pedologiciinerti per cause di natura fisica, chimica o biologica.

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ROMANZO

Metamorfer. La gemma di Darwin. (romanzo)

(Recensione di Emanuele Pettener, scrittore, saggista e docente di Lingua e Letteratura Italiana allaFlorida Atlantic University di Boca Raton - Florida – U.S.A.)

Golfo di Napoli.Aria fresca, mare un po’ mosso, atmosfera sensuale.Subito un personaggio fosco e affascinante, Raf, assetato di vendetta.Subito una splendida giornalista, dai capelli color del grano maturo, Eva Nabokova.E subito una serie di misteriosi interrogativi: chi o che cosa ha folgorato il cane

terranova? chi ha sparato al delfino? chi ha fatto saltare in aria il campo nomadi diPonticelli? e chi è la misteriosa creatura che Raf ha cercato di liberare portando consé il chip della “gemma di Darwin”?

Il romanzo di esordio di Pellegrino De Rosa non perde tempo: t’inchioda allapagina fin dalle prime righe e ti tiene sulla corda fino all’ultimo e sorprendente capitolo,con il ritmo incalzante e avvincente dei migliori action-movie.

E subito la storia principale si intreccia con tante altre storie: quella di un simpaticofotoreporter, donnaiolo incallito; quella di una sexy spia italo-americana; quella diuna misteriosa e vecchia zingara napoletana; quella di un gruppo di “femminielli” edi un nostalgico boss della camorra, e di tanti e tanti altri personaggi, più o menosecondari, ma tutti descritti con cura e pathos.

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E, sullo sfondo, la magica Napoli, i suoi vicoli, i suoi odori, le sue leggende e i suoicoloratissimi personaggi.

Soprattutto, viene presentata una inedita ipotesi evoluzionistica (il PlasticismoEvolutivo) che mette in relazione l’evoluzionismo con il mimetismo e con le scienzequantistiche.

Ma la complessità dell’argomento non appesantisce affatto la narrazione che, anzi,scorre via fluida, leggera e allegra, come l’acqua trasparente di un ruscello di altamontagna.

L’autore, infatti, è riuscito a combinare - con stile gradevole e con sovrana leggerezza- affreschi paesaggistici, battute napoletane, leggende popolari ed erotismo, conazione, mistero, scienza e filosofia.

Finalmente un fanta-thriller italiano che, per contenuti, suspense e humor, è ingrado di competere degnamente con i colossi stranieri dello stesso genere, e conuna marcia in più: la scanzonata e fatalistica ironia napoletana.

(Recensione di Albino Albano, giornalista professionista, corrispondente del quotidiano “Corriere”dell’Irpinia).

È un romanzo di ben 382 pagine ricche di azione, ironia, di colori e di paesaggi.Dalla lettura particolarmente agevole e invitante. Poi, attorno a pagina 150, la storiadecolla definitivamente e il ritmo si fa incalzante, avvolgendo il lettore in un’atmosferadivertente e coinvolgente che richiama le atmosfere delle spy-story di Fleming.

E allora si comprende che ci troviamo di fronte a un vero capolavoro.La descrizione di Napoli, viva e palpitante; la vicenda articolata ma fluida, come

una sceneggiatura a montaggio alternato; i personaggi caratteristici e affascinanti,rendono questo romanzo già pronto per una trasposizione cinematografica.

Mirabile è la descrizione del miglio d’oro, il tratto di costa vesuviana compreso traPortici e Torre del Greco. Magica e sfavillante quella del Golfo di Napoli e dei suoisplendidi fondali. Evocativa e multisensoriale quella dei misteriosi sotterranei e deibrulicanti vicoli di Napoli, dei suoi suoni, dei suoi odori e della sua gente, così solaree positiva.

Ma impressiona anche la descrizione, puntuale e dettagliata, dei luoghi archeologici,delle apparecchiature scientifiche e delle implicazioni naturalistiche.

È un romanzo a più strati, piacevole e profondo allo stesso tempo. Lo consiglioa tutti.

Il romanzo è disponibile in ebook e in cartaceo nei migliori bookstore on-line

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