era superba n40

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IL MENSILE GENOVESE A DISTRIBUZIONE GRATUITA ANNO V n 40 a.c. PIRRI

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Buone notizie dalla crisi; Speciale "A spasso per Zena": Quando ancora non si chiamava "movida", come ci si divertiva la sera tanti anni fa?; Il punto sulla Valbisagno; intervista al pittore Gianni Carrea

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IL MENSILE GENOVESE A DISTRIBUZIONE GRATUITAANNO V

n 40a.c. PIRRI

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buone notizie dalla crisiintervista a gianni carrea

il peso dell ' impercepibilescavo archeologico montessoro

Valbisagno, ex italcementiAlbaro: scalinata borghesespeciale a spasso per zena:

quando ancora non si chiamava "movida"

nice to meet you englishvino veritas

liberamente

che ci fa la mafia a genovaintervista a piergiorgio colombara

fermata a richiesta il banditore

l 'angolo di gianni martini

parla come mangiun zeneize all ' inferno

agenda

varie ed eventuali

EDITORIALEChi ha vissuto altri tempi e ha i capelli bianchi dice che i giovani sono sfortunati. Perché l’op-portunità è una pietra preziosa da scovare nella sabbia, chilometri di sabbia, una distesa; perché bussare alle porte e chiedere lavoro o inviare curriculum agli uffici del personale è frustrante, come raccogliere le briciole ai piedi di una tavo-la imbandita. Lo dice perché ne è sinceramente dispiaciuto, vede questi giovani rimbalzare come palline di un flipper fra un’indecisione e l’altra senza mai giungere al punto; se ne rende conto chi ha vissuto altri tempi… il punto non lo vede più nemmeno lui, neanche se si avvicina al flip-per sino a toccarlo con il naso.La sera, lungo la strada di casa, ricorda con un sorriso sottile gli anni della sua gioventù, le sco-perte e le promesse, l’avventura del progresso e l’amore smascherato dai tabù… La sua men-te, ormai datata, è rassegnata e disillusa, ma ha gridato e gioito e a lui piace ricordarlo, perché si sente fortunato e appagato. Chi ha vissuto al-tri tempi guarda indietro e vede tutto più chiaro: “oggi è quel domani di cui non ci preoccupavamo ieri.”

Anche chi non ha vissuto altri tempi ed è arriva-to da poco dice che i giovani sono sfortunati. Lo dice perché vive lo stesso identico tempo di chi oggi ha i capelli bianchi e, anche senza avere un termine di paragone alle spalle, la propria condi-zione la percepisce benissimo. Perché il punto ha smesso di cercarlo nonostante la giovane età, perché i sogni iniziano già ora a fargli tenerezza, come una vecchina da accompagnare sulle stri-sce pedonali. La sera, lungo la strada di casa, pensa al futuro con un sorriso amaro. Anche la sua mente, pur non essendo datata, è rassegnata e disillusa; non ha ancora gridato e gioito e a lui piace ricor-darlo, perché si sente sfortunato e ignorato. Chi ha vissuto solo questi tempi guarda avanti e vede tutto più chiaro: “oggi è quel ieri di cui si scriverà domani”.

Con affetto,Gabriele Serpe

SOTTO LA LENTE

A VOXE DE ZENA

di tutto un po'

il caffè degli artisti

EDITORE Associazione Culturale PirriDIRETTORE Gabriele Serpe

AMMINISTRAZIONE Manuela Stella, Marco Brancato GRAFICA E IMPAGINAZIONE Constanza Rojas

COPERTINA Gianmaria RocchiFOTO Daniele Orlandi, Diego Arbore

REDAZIONE Manuela Stella, Matteo Quadrone, ClaudiaBaghino, Marta Traverso, Adriana Morando

HANNO COLLABORATO Michela Alibrandi, Gianni Martini, Gigi Picetti, Gianluca Nicosia, Daniele Canepa,

Daniele Aureli, Michele ArchinàCOLLABORAZIONE ARTISTICA Nicoletta Mignone,

Emiliano Bruzzone, Gianluca SturmannCOMMERCIALE Annalisa Serpe

([email protected])STAMPA Tipografia Meca

CONTATTI www.erasuperba.it 0103010352 [email protected]

Autorizzazione tribunale di Genova registro stampa n 22/08

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4 sotto la lente

SPREAD. SPENDING RE-VIEW. BOND. DEFAULT.Il dizionario dell’economia del-la crisi è fatto di parole foreste, ripetute a spron battuto dai te-legiornali e che “un po’ ci fanno paura”.Il rovescio della medaglia è che dalla crisi arrivano anche belle parole. Chissà perché, tutte ita-liane. Opportunità, reinventarsi, decrescita, consumo consape-vole, scambio, dono.Dalla Liguria arrivano due esempi virtuosi per dimostrare come, attraverso piccoli gesti, si può ridare valore a ciò che consumiamo. Un valore che va ben oltre quello economico.È questa la base del progetto Eco-moneta, coniata dalla Zec-ca di Stato e presentata alla World Money Fair di Berlino nel gennaio 2011: una valuta la cui impronta ecologica si ca-ratterizza sia nella forma (ogni eco-moneta è fatta con argento riciclato) sia per la destinazione d’uso. Le eco-monete non ser-vono infatti a comprare beni o servizi di qualunque genere, ma sono una sorta di “premio” dato ai cittadini virtuosi che agi-scono a tutela dell’ambiente.Il primo Comune ligure ad accogliere questo progetto è Cogoleto, grazie all’impegno dell’ingegnere Bartolomeo Mongiardino: «I cittadini di Cogoleto sono circa 10.000 e ho stimato che al momento il 20-25% di loro abbia utilizzato l’Eco. Il promotore dell’iniziativa

è il Comitato Cittadini Cogole-tesi, che pur mantenendo un canale di dialogo privilegiato con le istituzioni locali, si pren-de completamente carico delle decisioni di assegnare i criteri di gestione dell’ECO. Cogoleto vuole essere un buon esempio di comunità che tenta un’azio-ne critica nei confronti della cre-scita folle e cieca che ci ha por-tato nel tunnel di questa crisi».Finora hanno aderito 13 eserci-zi commerciali della zona, che si sono impegnati a consegna-re gli Eco ai cittadini che dimo-strano comportamenti virtuosi e/o a donare un bene o servi-zio pagato con Eco. Qualche esempio? La libreria Fahreneit 451 ripaga in Eco chi dona libri

di particolare valore etico o culturale. L’azienda agricola Monterosso di Rossiglione per-mette di pagare in Eco se ven-gono acquistati prodotti locali. Longoni Sport accetta gli Eco come pagamento per l’acqui-sto di una bici elettrica. Alcuni stabilimenti balneari donano un Eco a chi dimostra di essere ar-rivato con i mezzi pubblici.Gli obiettivi del progetto sono tuttavia molto più ambiziosi: il Comitato Cittadini di Cogoleto sta infatti attivando un dia-logo con il Comune per ot-tenere agevolazioni ben più importanti, come uno sconto sulla tassa dei rifiuti urbani ai cittadini che compiono nel modo corretto lo smaltimento

buone notiziedalla crisi di marta traverso

Vignetta di Emiliano Bruzzone

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sotto la lente 5

dei rifiuti e la raccolta differen-ziata.Dal reale al virtuale, anche i so-cial network stanno diventando casse di risonanza per iniziati-ve molto interessanti: una delle più note è “Te lo regalo se vie-ni a prenderlo”, un insieme di gruppi Facebook (uno per ogni Regione italiana) dove i mem-bri possono mettere a disposi-zione i loro oggetti e invitare gli altri a venire a ritirarli. Quante volte (magari dopo un traslo-co...), ci ritroviamo fra le mani oggetti che non ci servono più? Quanti capi di abbigliamento e accessori restano inutilizzati man mano che i bambini cre-scono? Il gruppo ligure ha più di tremila membri, che ogni giorno postano immagini di libri, mobili, utensili, vestiti, in-somma ogni genere di oggetti che possono tornare utili agli altri.Il fondatore è il ticinese Salva-tore Benvenuto, che ha creato il primo gruppo nel settembre 2011 e oggi lo coordina insieme alla referente nazionale Dona-tella Piras, che così commen-tano - da “non liguri” - l’attività di questo gruppo: “Lo spirito di aggregazione e di solidarietà, unito all’amore per l’ambiente e il territorio, hanno fatto della Liguria un esempio naziona-le di correttezza e sensibilità; dobbiamo molto a questa re-gione a agli amminstratori che si occupano ogni giorno di co-ordinare il gruppo”. I concetti di base sono dare una “seconda vita” alle cose ed evitare che si accumulino nelle discariche oggetti ancora utilizzabili, pro-muovere il contatto tra persone ed evitare che il consumismo sfrenato porti ad acquistare più oggetti di quelli di cui si ha effettivamente bisogno.”

Vignetta di Gianmaria Rocchi

Il baratto è anche una forma di cultura, e cosa c’è di più culturale di un libro? Se avete tra le mani un romanzo, un saggio o una raccolta di poesie, perché non dimenticar-lo da qualche parte e lasciare che altri lo pos-sano leggere e apprez-zare?

Al Green Store, nego-zio di ecocosmesi e pro-dotti biologici di Nervi (via Oberdan), è parti-ta l’iniziativa Gira libri:Basta fare un salto in negozio, lasciare il proprio libro e maga-ri dare un’occhiata ai titoli già presenti, per vedere se c’è qualco-sa di proprio interesse.

GIRA LIBRI

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«Noi qui abbiamo tutto tranne il sorriso; là è l’opposto. Que-sto mi riempie emotivamente e si riversa nel mio lavoro...»

Gianni Carrea, pittore naturali-sta e fotografo classe ‘42, nato a Serravalle ma genovese d’a-dozione. Innamorato da sem-pre del continente africano e delle sue bellezze naturali, Carrea ha dedicato tutta la vita alla rappresentazione di que-ste attraverso la pittura; nei suoi continui viaggi inoltre ha realizzato videodocumentari e fotografie analogiche e digitali, passando a studiare sempre più a fondo il comportamen-to animale e tribale. Questa estate ha presentato al Museo di Storia Naturale di Genova il documentario “Io e l’Africa”.

Come ti sei formato artisti-camente e come svolgi la tua ricerca artistica?«Io ho sempre amato gli ani-mali e fin da bambino sognavo l’Africa (conosciuta attraverso i film di Tarzan trasmessi in tv), che poi è diventata il soggetto unico del mio lavoro. All’inizio della mia carriera ho fatto an-che della pittura informale e fi-gurativa, fino a quando non ho imparato l’iperrealismo a scuo-la dal maestro Aurelio Cami-nati. Erano gli anni settanta ed andava di moda il concettuale; io mi misi a fare concettuale usando gli animali. Nel luglio 1978 andai per la prima volta in

Kenya, e lì rimasi letteralmen-te stregato dalla bellezza del continente africano: da allora ci sono sempre tornato, circa due volte l’anno, per lunghi sa-fari fotografici: oltre al Kenya, ho visitato Tanzania, Congo, Sudafrica, Zambia, Zimbab-we, Botswana, Namibia… trovo tuttavia che i luoghi mi-gliori per osservare gli animali siano i grandi parchi naturali di Kenya e Tanzania. Vado, foto-grafo, studio il comportamento animale, e dopo trasferisco su tela le emozioni del momento, con pennello e colori ad olio oppure con l’aerografo. Amo in particolare gli occhi degli animali, così espressivi e pro-fondi, e su quelli concentro maggiormente l’attenzione, ritraendo sempre il sogget-to nel momento in cui li tiene bene aperti, spesso men-tre guarda verso l’obiettivo».

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Quindi all’epoca eri un out-sider in mezzo a una valan-ga di concettuali… «In effetti adesso i documenta-ri video e fotografici sugli ani-mali non si contano, c’è un in-teresse costante verso questa realtà e un continuo aumento di amatori che approcciano di-rettamente queste esperienze fotografiche grazie alla sempli-ficazione portata dal digitale. Pensa invece cosa significava verso la fine degli anni settan-ta, con l’attrezzatura analogi-ca, seguire a piedi i gorilla nella giungla per ottenere lo scatto giusto che mi permettesse di realizzare il quadro che vole-vo…non c’era ovviamente la possibilità di controllare subi-to l’immagine sul display! Era tutto molto diverso, era un’av-ventura in cui io andavo a cac-cia di emozioni per poterle poi trasmettere agli altri. L’Africa

GIANNI CARREA “IO E L’AFRICA” di claudia baghino

INCONTRO DEL MESE

Fotografia di Daniele Orlandi

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riflettere di più sulle immagi-ni e permette di godere ap-pieno le emozioni che esse suscitano perché non c’è il filtro della spiegazione…«Infatti i miei ultimi due docu-mentari si intitolano Io e l’Afri-ca e Safari in poltrona. Questo perché voglio dare al fruitore la possibilità di godersi il sa-fari come se fosse fisicamen-te presente alla scena, quindi sviluppando le proprie emo-zioni e i propri pensieri, senza essere “pilotato” dal narratore. Voglio che si senta come se fosse davvero sulla jeep! L’uni-ca aggiunta è il sottofondo mu-sicale, rilassante, ma in certi momenti si interrompe per lasciare posto ai rumori della savana, registrati durante le riprese. Io faccio iperrealismo, e questo vale anche nei video: voglio illustrare la realtà, senza truccare nulla, ciò che vedono i miei occhi vedrà anche lo spettatore».

sotto la lente 7

era per pochi eletti, gente che aveva i soldi, oppure che ave-va una passione incontenibile, e magari non mangiava per poterci andare. Oggi, crisi a parte, è alla portata di quasi tutti, sia economicamente sia perché c’è molta più cono-scenza, veicolata appunto dai documentari come anche dal-le riviste specializzate in viag-gi, e nei mesi delle migrazioni l’affluenza a parchi come il Masai Mara è davvero altissi-ma. Devo dire che all’inizio mi divertivo di più, ora passi lun-go la strada e alla vista di un rinoceronte si fermano cento macchine…il sogno di vedere l’Africa almeno una volta nella vita è diventato molto più ac-cessibile. Solo che a me una volta non è bastata... e conto poco più di 260 safari».

È cambiata molto l’Africa in questi 35 anni?«Sì, moltissimo, soprattutto a causa del turismo. Prima c’e-rano pochissimi lodges (strut-ture ricettive all’interno dei parchi, n.d.r.) e di certo non si trovava la cocacola, ma nem-meno l’acqua minerale. Ora si trova tutto, compreso il lusso delle camere d’albergo, quasi hollywoodiano. D’altro canto però è cresciuta anche la tute-la nei confronti del patrimonio naturale dei parchi: tieni pre-sente che il ranger che accom-pagna i visitatori ha l’obbligo di mantenersi sulle strade e se lascia il tracciato per più di 15 metri per avvicinarsi all’anima-le gli viene revocato il patenti-no. Io in tanti anni di continue visite sono riuscito ad avere permessi speciali per avvici-narmi di più, ma altrimenti le regole sono molto precise. Tra la fine degli anni settanta

e l’inizio degli ottanta invece non c’era controllo, addirittura si facevano correre gli animali per fotografarli in movimento».

Gli occhi dei tuoi anima-li colpiscono per la loro profondità, umani… in una mostra hai anche accostato primi piani di persone a pri-mi piani di animali, entram-bi con gli sguardi rivolti allo spettatore.«Esatto. Inoltre viaggiando da solo, o al massimo con qual-che amico, mi concentro per dare tutta l’espressività pos-sibile alle immagini, cercando la luce e la posizione migliori che danno volume all’anima-le; mentre la luce del mezzo-giorno appiattisce, il mattino e la sera hanno una luminosità eccezionale».

Nel documentario che hai presentato a Genova non c’è voce narrante: questo fa

Dipinto di Gianni Carrea

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il peso dell'impercepibile

RICETTA TRADIZIONALE PER LA PREPARAZIONE DELLA TIPICAALLUVIONE ALLA LIGURE

E’ bene iniziare con la ricet-ta più facile da preparare, quell’alluvione alla genove-se decantata varie volte sul-le prime pagine dei giornali e grazie alla quale la nostra città ha avuto rinomanza in molti TG. Riserviamo a futuri approfondimenti le varianti delle specifiche ricette della nostra regione, meno facili da approntare per la difficol-tà di reperimento dell’ingre-diente principale nascosto sotto l’asfalto: l’acqua.Infatti, senza spingersi ol-tre i confini cittadini, anche nelle delegazioni i torrenti sono purtroppo occultati sot-to le strade che scendono al mare. Solo la ricetta alla Sestrese appare di relativa abbordabilità per il diffuso apporto di buoni ingredienti idrici come il Cantarena e il Chiaravagna, opportuna-mente strozzati a valle in via Giotto da un’accurata e me-todica speculazione edilizia. Anche la ricetta alla Sturle-se ha trovato recentemente qualche realizzazione loca-le, molto apprezzata dagli amministratori delle imprese di ri-costruzione. Desistere invece di rifornirsi di scarse materie prime come il rio Mimosa, il Ginestrato e il rio del Monte a Quezzi, a cui è di gran lunga preferibile il

Fereggiano. Poco utili all’im-presa anche il rio delle Rova-re e il rio Noce a San Frut-tuoso. Torniamo pertanto alla ricetta classica, quella a base di Bisagno, o per meglio dire, della sua attuale metà: infatti il Bisagno deve la sua etimo-logia a “bis-amnis” cioè con quel “doppio letto” opportu-namente ridotto in seguito. Basti dire che il ponte roma-no di Sant’Agata, di cui ora è visibile solo un pezzetto, si estendeva sopra le acque con una trentina di arcate da Borgo Incrociati fino ol-tre corso Sardegna. Ora per fortuna è stato ricoperto e strangolato con opere come gli encomiabili parcheggi sot-to piazza della Vittoria.Si noti che il periodo più propizio per approntare la ricetta viene periodicamen-te annunciato dall’Allerta 2, un’azienda che garantisce il raccolto fresco di stagione. E’ poi buona cosa aggiun-gere il campagnolo sapore del rio Fereggiano, un nome che è un programma perché deriva dal primitivo “feritor-amnis” dato che tagliava il letto del Bisagno nel modo più produttivo: ad angolo ret-to... Guai però se si sparge la voce che basterebbero pochi soldi per abbassare il greto del Bisagno di quelle poche

decine di metri tra piazza Carloforte e l’inizio di corso Galliera dove arriva l’affluen-te quezzino: il Bisagno più basso non ostruirebbe più il Fereggiano anche in caso di diluvio, e addio buona cata-strofe!Si abbia allora cura di usare l’acqua al momento giusto, cioè quando da semi-limpida diventa prima marroncina e poi imbrunisce: solo allora è rosolata a puntino, perché sta erodendo la terra delle sponde prima non raggiunte. Per una più rapida alzata del livello procurare di lasciar crescere preventivamente gli arbusti presenti nel Bisa-gno fino a farli diventare ra-dicati alberi.La decorazione finale può essere costituita a piace-re dall’apporto popolare di automobili pigramente parcheggiate nelle zone più basse interessate dagli esondi o con sacchetti di plastica di shopping e spaz-zatura abbandonati in stra-da in prossimità dei tombini che, se non tappati, assorbi-rebbero i bei ruscelli urbani. Rispettando queste poche regole è garantita una sicura riuscita e una puntuale de-gustazione.

Auguri e buon appetito edile!

DI G

IGI PIC

ETTI

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Chi era presente? Quando? Perché si trovava lì? Quali te-stimonianze si hanno a dispo-sizione? Queste non sono le domande di un detective sulla scena del delitto, bensì di un archeologo… «Un libro di in-troduzione all’archeologia che studiai all’università parago-nava la nostra professione a quella di Sherlock Holmes…» afferma Giovanni Battista Pa-rodi, dottorato in Archeologia Medievale all’Università di Siena, ma residente in Val-le Scrivia e direttore di uno scavo di oltre ottocento metri quadrati a Montessoro, paesi-no sulle alture dell’entroterra ligure a venti minuti di strada da Isola del Cantone.«Si tratta – prosegue Pa-rodi – del primo scavo in estensione dell’Appennino Ligure di età romana impe-riale tardo-antica. Abbiamo

scoperto un sito rurale, vero-similmente una fattoria, abita-to in fasi alterne tra il I secolo a.C. e il VI secolo d.C. Sor-geva lungo la fittissima rete di mulattiere che collegavano Genova alla Pianura Padana, anche se è probabile che il centro sul quale tutta questa zona gravitava fosse in realtà quello di Libarna (nei pressi dell’attuale Serravalle Scrivia, ndr), distante circa venti chilo-metri.»Quali elementi di interesse storico sono emersi?«E’ uno scavo molto rilevan-te dal punto di vista archeo-logico in quanto permetterà di avere un quadro com-pleto con ipotesi cronolo-giche e socio-economiche inedite su questo periodo e questa zona. L’archeolo-gia medievale ligure è infatti una materia relativamente

giovane, in quanto nel pas-sato l’interesse era più che altro rivolto alla parte artisti-co-monumentale e la ricerca privilegiava le classi sociali più alte e agiate. Anche per questa ragione gli scavi re-lativi al periodo tardo-antico (IV-V secolo d.C.) e alto-me-dievale (VI-VIII secolo) sono stati sempre molto ridotti. Mi sembra comunque giusto sot-tolineare che il quadro che ci siamo fatti è ancora provviso-rio, in quanto lo scavo, che è iniziato nell’estate del 2009 e finirà quest’anno, è tuttora in evoluzione. La planimetria del sito è comunque stata identi-ficata nella sua completezza e i dati raccolti saranno ana-lizzati in seguito con un’ana-lisi dei materiali e dei reperti venuti alla luce. Tra essi, ab-biamo ceramica da fuoco, an-fore e piatti da mensa e altri

v a l l e s c r i v i a

LO SCAVO ArCHEOLOGICO

DI MONTESSORO di daniele canepa

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a voxe de zena 1 1

oggetti particolari, per esem-pio un colino in bronzo. Dal punto di vista edilizio, i tetti erano in tegole mentre le case avevano pianta quadrango-lare, presentando poche fi-nestre al fine di mantenere quanto più possibile il calore. I muri eretti tra V e VI seco-lo, tra l’altro, non sono lavori banali, ma opera di muratori specializzati. Lo studio dei semi rinvenuti indicherà in-vece i tipi di cereali presenti, così come le ossa animali che abbiamo trovato riveleranno quali bestie venivano allevate dal nucleo famigliare – nel IV e V secolo forse i nuclei erano due – che abitava il sito». Ma chi erano gli abitanti del sito e come mai si trovava-no lì?«Probabilmente si trattava di contadini che tuttavia non fi-nalizzavano la loro attività alla vendita di prodotti agricoli e si dedicavano anche alla pasto-rizia e all’allevamento. E’ an-che probabile che usassero il bosco per ottenere legname».Non è solo ciò che lo scavo sta facendo emergere, ma la storia stessa di come è nato a essere affascinante… «Stavo iniziando a scrivere la tesi di Dottorato sull’archeolo-gia medievale della Valle Scri-via e i dati che avevo a dispo-sizione erano ridotti, per usare un eufemismo. Proprio in quel periodo, un contadino di Mon-tessoro aveva trovato delle te-gole in questa zona, facendo partire una segnalazione. Ve-nutone a conoscenza, chiesi subito l’autorizzazione a fare un piccolo saggio per vedere se potesse emergere qualco-sa di interessante. Il campo che mi si presentava davanti

era di ben milleduecento me-tri quadrati e i tentativi che avevo a disposizione erano li-mitati. Bisogna tra l’altro con-siderare che il sito, nei pressi del Castello Spinola del XIV secolo, era stato spianato e raso al suolo nel XVIII seco-lo. Individuai un punto preci-so e decisi di scavare lì. Non avrei potuto davvero sce-gliere un punto migliore, in quanto scoprii l’intersezione di tre edifici che abbiamo poi portato alla luce! A quel punto ho subito contattato la Catte-dra di Archeologia Medievale all’Università di Torino, che ha immediatamente mostrato grande interesse. Il sito offre infatti la possibilità di avere dei dati sulla zona appenni-nica ligure-piemontese e far svolgere degli stage agli stu-denti di Torino al fine di accu-mulare crediti formativi.»In quale modo l’archeolo-gia è una disciplina arric-chente a livello personale?«Il fascino dell’archeologia va aldilà dell’aspetto di ricerca fi-nalizzata a una pubblicazione

accademica. L’archeologiapermette di sviluppare la ca-pacità logica e un atteggia-mento mentale aperto, dato che un errore che un arche-ologo deve assolutamente evitare è quello di fissarsi su preconcetti sempre suscetti-bili a essere smentiti da suc-cessive scoperte. Inoltre, per quanto mi riguarda, il bello di scavare nelle zone dove sono nato è quello di scopri-re la storia della mia terra e capire meglio le mie origini.»Un punto di riferimento da imitare tra gli archeologi italiani?«Sicuramente il Professor Tiziano Mannoni, mancato purtroppo due anni fa, una figura fondamentale nell’ar-cheologia medievale italia-na. Insegnava alla Facoltà di Architettura a Genova. Oltre alle sue notevoli competenze e alla sua grande esperien-za, ti sapeva coinvolgere con il suo modo di fare accoglien-te e umano. Per me e per molti miei colleghi è senz’al-tro un modello da imitare.»

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Sono partiti i lavori per la ri-conversione del cementificio dismesso Italcementi s.p.a. in via Ponte Carrega a Mo-lassana. Un’area vastissima, circa 216.000 metri quadra-ti, che si trova sulla sponda sinistra del Bisagno, in pros-simità dello storico Ponte Carrega. La riqualificazione dell’ex sito industriale – de-cisa dall’amministrazione Vincenzi – prevede la rea-lizzazione di nuovi edifici a destinazione commerciale e produttiva.Il progetto della società Co-opsette contempla la totale demolizione degli edifici esi-stenti e la realizzazione di un nuovo volume che ospi-terà una grande struttura di vendita “Bricoman”, ovvero un grande magazzino per il “fai da te” (al suo interno troveranno spazio anche al-tre attività produttive e com-merciali). La parte restante dell’area sarà dedicata a parcheggi e verde e alla re-alizzazione di alcune opere di urbanizzazione finalizzate alla razionalizzazione del si-stema viario e servizi pubbli-ci (rotatoria di innesto su via Lungobisagno Dalmazia con relative aree verdi; parcheg-gio pubblico; allargamento di via Ponte Carrega nel tratto di innesto e altri interventi sulla viabilità), oltre alla si-stemazione idraulica del trat-to terminale del rio Mermi.

L’operazione di riqualifica-zione non ha suscitato parti-colari entusiasmi in cittadini e commercianti, anzi, al con-trario desta parecchie per-plessità per diversi motivi. A preoccupare è soprattutto la vulnerabilità della zona dal punto di vista idrogeologico, come purtroppo abbiamo vi-sto con l’alluvione dello scor-so novembre.«È necessario mettere in si-curezza il rio Mermi, ma non solo, anche gli altri piccoli rivi che scorrono nelle vicinanze – spiega il leader di Legam-biente, Andrea Agostini – e speriamo che lo facciano».Il mondo del commercio, invece, manifesta tutto il suo disagio per l’eccessiva presenza di grandi strutture commerciali – in un fazzolet-to di terra – che condanne-ranno a morte certa i piccoli negozi di vicinato.A poche centinaia di metri dall’ex Italcementi, infatti, troviamo la Coop Val Bisa-gno in via Lungobisagno Dalmazia. Mentre nel pros-simo futuro, nell’area dell’ex maxi officina Amt Gugliel-metti – 5000 metri quadrati proprietà di Talea (braccio immobiliare della stessa Coop) - sorgerà un nuovo polo commerciale, probabil-mente destinato a sostituire l’attuale punto vendita.Ma un radicale processo di trasformazione, con relative

nuove colate di cemen-to, coinvolge l’intera zona, sponda destra e sinistra del Bisagno, senza eccezioni. «La Val Bisagno già oggi è un territorio in sofferenza con pochi servizi per la cit-tadinanza – spiega Agostini - nei prossimi 5-6 anni, se questi progetti verranno por-tati a termine, questa por-zione di territorio diventerà il nodo scorsoio della valla-ta».Oltre alla già citata ex officina Guglielmetti e all’ex Italcementi, infatti, nel giro di 500 metri troviamo anche l’area deposito dell’Amga e ancora una serie di zone pubbliche in cerca di futura destinazione «L’ex canile comunale di via Adamoli, gli ex macelli e le aree a nord di quest’ultimi – continua l’e-sponente di Legambiente – Qui regna il totale degrado, altro che riqualificazione».Infine non bisogna dimenti-care l’ex stabilimento Piom-bifera di via Lodi dove sono previsti «Nuovi insediamenti residenziali su un terreno altamente inquinato», sot-tolinea Agostini. In cambio nulla per il quartiere, salvo un inevitabile peggioramen-to della qualità della vita e dell’ambiente circostante, a causa dell’aumento dei volumi di traffico privato. Il rischio è trasformare que-sta parte della Val Bisa-gno in una nuova Campi...

VALBISAGNO, EX ITALCEMENTI :

NASCE LA NUOVA “CAMPI”? di matteo quadrone

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a voxe de zena 1 3

Un edificio di proprietà del Co-mune di Genova e vincolato dalla Soprintendenza sorge sopra Scalinata Borghese, nel quartiere di Albaro. Una sfar-zosa palazzina in stile liberty costruita in Piazza Tommaseo ai primi del Novecento come nuova sede dell’Accademia di Belle Arti – progetto rimasto incompiuto a causa della man-canza di fondi – che nel corso del tempo ha avuto destinazio-ni diverse, prima palestra, in seguito ambulatorio sanitario, per finire nello stato di abban-dono in cui giace ormai da ol-tre un decennio. Dopo essere divenuto una sorta di “hotel disperazione”, riparo di fortuna per persone in difficoltà, nell’e-state del 2009 e fino all’ottobre dello stesso anno ha avuto un sussulto vitale, che poteva far sperare in un suo auspica-to rilancio, grazie all’iniziativa promossa dal Gruppo Emer-genza Giovani con il progetto “InComunicazione” – quindici artisti di arti visive, tredici archi-tetti e due musicisti – che ha trasformato la struttura in un laboratorio artistico, con l’orga-nizzazione di performance ed esposizioni. Purtroppo si è trat-tato di un’esperienza estem-poranea che non ha avuto se-guito nonostante la palazzina si presti particolarmente all’al-lestimento di eventi culturali. A distanza di 3 anni si è tornati al degrado preesistente.Eppure esiste un progetto di

recupero e riqualificazione, risalente addirittura al 2004, presentato dalla “Progetti e Costruzioni s.p.a.” società del-la famiglia Viziano, un “project financing” – una forma di fi-nanziamento tramite la quale le pubbliche amministrazioni possono ricorrere a capitali privati per la realizzazione di progetti e infrastrutture ad uso della collettività – che prevede la realizzazione di un ristoran-te con bar, terrazza e sale per eventi e il risanamento dei giar-dini intorno all’edificio per un investimento di oltre di oltre 2,2 milioni di euro a fronte di una concessione dell’immobile da parte del Comune di Genova per un periodo di 40 anni.«I lavori di recupero dell’edifi-cio inizieranno nella primavera 2012 e dureranno 2 anni», si legge sul sito web del Gruppo Viziano. Finora però in Piazza Tommaseo non si muove una foglia. Il vicesindaco Stefano Bernini ci ha spiegato che «allo stato attuale il problema è l’in-dividuazione di un gestore dei locali in cui si svolgeranno le at-tività di ristorazione, fino a quel momento la convenzione tra Comune e “Progetti e Costru-zioni s.p.a.” non potrà essere conclusa». A monte una sostanziale diffe-renza di vedute tra Comune e costruttori ha causato l’empas-se e quindi il ritardo dei lavori come spiega l’architetto Maria Luisa Viziano: «Per circa due

anni, tra 2007 e 2009, abbiamo avuto una diatriba con l’ammi-nistrazione comunale, la quale pretendeva che noi riqualificas-simo i locali e poi versassimo anche un affitto decisamente oneroso. Invece, secondo il project financing, l’investimento lo ripagheremo nei 40 anni pre-visti dalla convenzione. Anche il Comune ha preso atto che le sue richieste erano impossibili da soddisfare».I primi di luglio è arrivata l’auto-rizzazione della Soprintenden-za, l’iter dovrebbe quindi giun-gere al termine con il definitivo permesso a costruire che da-rebbe il via ai lavori. «Indubbia-mente l’aver atteso tutto questo tempo ha complicato le cose - ammette Maria Luisa Viziano - all’epoca della presentazione del progetto c’erano diversi ge-stori interessati alla struttura… nel frattempo alcuni hanno ad-dirittura visto fallire le proprie attività. In questo momento ci sono soggetti che hanno timi-damente manifestato interesse ma sono spaventati dall’inve-stimento. In un periodo di crisi economica come quello odier-no è più che comprensibile. Stiamo valutando la possibili-tà di una maggiore flessibilità negli interventi che consenta anche altre soluzioni in cor-so d’opera. Siamo comunque fiduciosi che la situazione si possa sbloccare: crediamo fortemente nell’opportunità of-ferta da questo investimento».

s c a l i n a t a b o r g h e s e

c e r c a s iinvest itor i di matteo quadrone

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sorridere oggi pensare che quando arrivò l’illu-minazione a Cornigliano sul finire del secolo un decreto imponeva che le luci venissero accese solo nelle notti non illuminate dalla Luna…).Il buio pesto, quindi, non aiutava certo le scor-ribande notturne… inoltre, ancora sino alla pri-ma metà dell’800, il carattere comune della vita cittadina (borghese e contadina) era costituito in prevalenza dalle quattro mura della bottega o della casa e l’acquisto del cappone per il pran-zo di Natale era uno dei principali avvenimenti dell’anno. Giovanni Ansaldo in un articolo del 1933 scriveva: “L’intensità gelosa della vita fa-migliare toglieva voglia di mettere il naso fuori di casa; la famiglia era un mondo conchiuso in se stesso e all’infuori di essa non si sentiva nessun altro legame sociale”. Eppure nei secoli non sono mai mancate le eccezioni…

IL GIOCO D’AZZARDOPer tutto il medioevo e sino al XVII secolo com-preso, il gioco d’azzardo era l’attività notturna più in voga sia per i nobili che per il popolo. I primi, più fortunati, per tenersi lontani dall’insi-dia delle strade, si riunivano in casa di parenti o amici dove animavano le sere con cene pan-tagrueliche alle quali le autorità, nella persona del Doge e del Cardinale Paolo Fregoso, do-vettero mettere un freno con un decreto (1494) che ne limitasse lo sfarzo: fu proibito, ad esem-pio, consumare volatili pregiati, come pavoni e fagiani, o dorare le vivande, procedura che fu riservata solo al Doge. Per il popolino l’unica alternativa era ritrovarsi nei piccoli tuguri male-odoranti delle osterie dove, tra una libagione e l’altra, si scommetteva e si giocava d’azzardo, alle carte, alla morra, alla zara (particolare gio-co di dadi), senza disdegnare di “puntare” su-gli argomenti più disparati, persino, sul sesso di un futuro nascituro. Dal ‘600 prese campo il biribisso, l’antenato della roulette; i popolani

Lentamente scende la sera sul mare tranquil-lo e, quasi furtiva, raggiunge le antiche pietre

incuneandosi, buia, fra intricati caruggi ovatta-ti di mistero: è un solo breve respiro di pace. Poi i “signori” della notte calano chiassosi, come mille rivoli, per raggiungere i luoghi più “in” della notte della Superba. Oggi qualcuno l’ha chiamata “movida”, una folla gioiosa di gio-vani (e meno giovani) che alimenta il ben noto mugugno infastidito dalle musiche troppo alte e dal vociare esuberante. Ma com’era la notte a Genova tanti anni fa? Torniamo indietro nel tempo per provare a immaginare la vita nottur-na genovese “quando ancora non si chiamava movida”…Iniziamo con una doverosa considerazione: fino all’arrivo del gas, nel 1880, l’illuminazione pubblica, che riguardava solo le vie principali, era affidata alla fioca luce di lumi ad olio (se ne contavano, nel 1860, solo 9 dalla Lanter-na fino a Piazza Annunziata!) mentre, appe-na fuori dalle mura, a Cornigliano come ad Albaro, ancora nel 1890 regnava il buio... (fa

SPECIALE “A SPASSO PER ZENA”

QUANDO ANCORANON SI CHIAMAVA

“MOV IDA”A CURA DI

GABRIELE SERPE E ADRIANA MORANDO

Ilustrazioni a cura di Nicoletta Mignone

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perché i giovani, non potendo essere “introdot-ti nel governo fino all’età matura”, sfogavano la loro insoddisfazione in atteggiamenti sfrontati ed irresponsabili a tal punto che, nel 1607, era stato necessario emanare la “legge dei biglietti” con la quale il “discolaccio” di turno veniva bandito dal-la città, lo stesso che, scontata la giusta pena e in tempi più consoni, entrava di diritto nel gover-no della città. Ciò non fu sufficiente a rendere le strade più sicure perché, ancora alla metà del settecento, troviamo bande di mariuoli, spesso in contrapposizione tra loro, come quella di Mar-co Lomellini e Girolamo Rivarola da una parte e Giuliano Spinola dall’altra, che si scambiavano sonori ceffoni e dure legnate per le “danseuses” del vicino teatro di Sant’Agostino. Per non parla-re di Ettore Doria che con la sua combriccola di masnadieri depredava, senza ritegno, casolari e chiese. Erano, poi, così frequenti le sassaiole, tra “Chiappellanti” e “Lazzarini” contro i loro vici-ni di San Teodoro e della Salita di Gesù Maria, che fu necessario emanare il “coprifuoco” con la chiusura tassativa di osterie, bettole e taverne.

LE MODE: IL BRODO NOTTURNO E IL CIOCCOLATOSe “l’amor profano” non era sufficiente ad appa-gare i peccatori della notte ci pensava una tazza bollente di brodo di trippa o sbira, un piatto tipico di Genova che risale al 1479 e che prende il nome dai suoi primi estimatori, le guardie carcerarie della Grimaldina di Palazzo Ducale. I gendarmi, uscendo dall’oratorio di Sant’Antonio (detto dei Birri) per le loro ronde notturne, cercavano con-forto, contro la gelida tramontana, alla sera tardi o al mattino presto, in una scodella della fumante bevanda e se, poi, l’oste vi aggiungeva una pata-ta, croste di pane o le stesse trippe, tanto di gua-dagnato. Nel medioevo era anche l’ultimo pasto del condannato a morte accompagnato da pane brustolito e formaggio grattugiato o dei portuali che si ritrovavano in antiche tripperie non dissimili da quella storica di vico Casana o della Trippe-ria Ridella (purtroppo chiusa) di via Prè. Grazie, poi, all’intraprendenza del proprietario di una nuova bottega in Piazza Banchi, quella del bro-do di trippa divenne una mania collettiva: dame, cavalieri, mercanti, soldati ne facevano grande uso finchè nel 1708 le autorità ne decretarono il divieto di vendita insieme ad altre bevande calde o fredde ad eccezione di vino, caffè e cioccolata. Perché? Per denaro, naturalmente, perché sui prodotti importati si pagavano sonanti gabelle!

più coraggiosi, sfidando il buio, si radunavano sotto umidi voltini o sui gradini di marmo del-le chiese di Prè, e giocavano alla fioca luce di tremolanti lanterne. Questa febbre contagiosa, che non risparmiò né poveri né ricchi, finì per entrare prepotentemente anche nella vita orga-nizzativa della città quando, dal 1576, per co-stringere gli agiati patrizi ad ospitare visitatori il-lustri, si ricorse all’estrazione dei “rolli”. In modo non dissimile, nacque il “gioco del semina-rio”(1617)”, antenato del gioco del lotto (1643), con cui si cercava di indovinare i nomi dei 5 senatori che avrebbero fatto parte dei “Serenis-simi Collegi” della città, nei successivi 6 mesi.

LE SIGNORINE DI STRADAChi cercava intrattenimenti più “piccanti” nella Zena storica vi trovava il Paradiso: liberale e “li-bertina” per tutto ciò che produceva denaro, la prostituzione non solo era tollerata ma anche ”incentivata”. Già dal 1375, infatti, ogni “signorina” doveva versare al Podestà 5 soldi giornalieri per poter esercitare la professione, soldi che veniva-no, poi, impiegati per finanziare l’ampliamento del porto e dal 1452 il Doge Pietro II Fregoso impo-neva il divieto di “molestare le donne pubbliche in luogo pubblico”, pena una salata ”indignazione pecuniaria” (multa) e due giorni di carcere. Em-blematico è, poi, l’escamotage ideato dal giovane Giovanni Andrea Doria, figlio del più nobile Andrea Doria, “pater patriae”, che per guadagnare senza pagare dazio, alla fine del ‘500, acquistò una ga-lea battente bandiera spagnola che ormeggiò in darsena. In questa “nicchia” protetta dalla extra-territorialità, impiantò un bel bordello galleggian-te che ebbe, ovviamente, un enorme successo e che fu chiuso solo nel 1716 dietro un congruo esborso di denaro che il Doge Lorenzo Centu-rione dovette spendere per l’acquisto della nave.

ALTRO CHE ORDINANZE“ANTI ALCOOL ...”Come detto, le fiaccole appese sulle porte di no-bili casate non erano sufficienti a rendere sicuro il dedalo dei vicoli medievali. Tra il 1506 e il 1507, nella zona Banchi, Ponte Reale e San Luca, imperversava una banda di giovani nobilastri che armati di lunghi pugnali, sottili come spilloni e con incisa la scritta ”castiga villani”, si divertiva a colpire i malcapitati passanti, sui fianchi e sul lato ”B” o li faceva saltare su una coperta tesa, “facendo volte in aria a guisa di nottole”. La situa-zione non migliorò neppure negli anni successivi

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scandalo fuori dai confini della Superba. I cici-sbei devono il loro nome al “ci-ci”, chiacchiericcio, con cui si trattava di moda, di affari e di politica. Spesso era lo stesso marito, felice e cornuto, a scegliere il cicisbeo per la moglie… Per evitare, infatti, che i nobili sfaccendati (ricordiamo che non potevano entrare fino ad una certa età nella vita di governo) non si dedicassero a “sfrontate licen-ze”, si preferiva occuparli come cavalieri serventi di nobili dame, col compito di accompagnarle ed esaudire ogni loro capriccio. Il ‘700, come detto, è caratterizzato da un’intensa vita salottiera, fatta di visite, di frequentazioni, di carrozze, di lacchè, di biglietti segreti, di alcove misteriose, di boudoir impudichi ma anche di intrighi politici e di affari che le giovani aristocratiche concludono meglio degli stessi consorti. Tra i salotti più esclusivi primeg-giano quelli di Battinetta Durazzo e Livietta Palla-vicini che si contendono l’attenzione della movida genovese, organizzando cene, a teatro e in villa, cui seguivano letture forbite o “innovative” come quelle di François Arouet (Voltaire) e di Charles de Montesquieu e in cui non poteva mancare il sorbetto al limone, che dalle nostre parti svolge-va una funzione analoga al te in Inghilterra, una moda talmente famosa da essere esportata dal gelataio Corrazza fino alle Tuileries parigine. Grande risonanza avevano le “quaranta veglie” che si tenevano, ciclicamente, a turno, presso i palazzi nobiliari: Lilla Doria era quella che riceveva con più frequenza nel suo palazzo di San Matteo ed erano memorabili le sue partite a Cavagnola; la cioccolata con vaniglia era, invece, una leccor-nia di casa Spinola di Pellicceria, mentre Teresa Gentile Doria era la dama dei “limoni” (sorbetti) e della “neve” (probabilmente cioccolata fredda).

LE DANZEIl refolo di aria francese che diffondeva le nuove idee rivoluzionarie contagiava ogni ceto sociale, dai borghesi che imitavano i nobili agghindandosi con un’inutile spadino, al popolo che riversava nel ballo il suo desiderio di evasione: non si danza-va solo nelle sfarzose dimore patrizie ma si vol-teggiava per le strade, nelle piazze, sul molo, sul sagrato delle chiese, nelle taverne. Verso la fine ‘700 ed inizio ‘800 è il walzer, originato dal Landler (danza montana tirolese), a turbare le notti geno-vesi, reo di esprimere passioni ed emozioni attra-verso l’intimo abbraccio dei ballerini...

TEATRI & CAFFE’Ma la movida conquista anche altri spazi: gra-zie allo sviluppo drammaturgico, il teatro lascia

Fu Cristoforo Colombo ad importare in Europa i semi di cacao; solo una curiosità botanica finché Hernan Cortés non ebbe modo di assaggiare una bevanda fredda (chiamata xocotlatl) a base di semi macinati, miele, vaniglia e spezie. Intuita la possibilità di guadagno, i genovesi ne diven-nero veri maestri tanto da organizzarsi in “Arte” con tanto di statuto e dando il nome alla strada del loro primo insediamento, vico del Cioccolatte (tra Piazza del Carmine e Salita Carbonara). Indi-spensabile per una raffinata colazione, immanca-bile prima di un incontro amoroso perché ritenuta afrodisiaca, consumata a tarda sera per conciliare il sonno, la troviamo calda e fumante accompa-gnata da gustosi biscottini anche sulle alture della città dove cavalieri e dame aspettavano il corteo che lungo la Salita dell’Agonia, oggi Salita Ema-nuele Cavalli, accompagnava i condannati a mor-te alla fortezza del Castellaccio.

LA NOTTE DEI NOBILINel ‘700, allontanato il ricordo della terribile pesti-lenza del secolo precedente, accantonati gli in-gombranti parrucconi dai folti boccoli, dismessi gli abiti scuri e le fastidiose gorgiere, le donne diven-nero le protagoniste della movida cittadina. Na-scono i cosiddetti salotti di conversazione che si protraggono fino notte inoltrata, a cui fanno capo giovani aristocratiche genovesi e i loro immanca-bili cicisbei. Sono questi ultimi un’invenzione tutta genovese, accompagnatori di dame maritate ma pur sempre buongustaie, una pratica che fece

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d’avanguardia di quel tempo, questa aveva tro-vato una nuova sede accanto all’Acquasola in un famoso caffè-concerto, Il Giardino d’Italia, tra-sformato durante la guerra in Teatro del Soldato e del dopolavorista. Non vi è invece più traccia del Teatro Colombo di via Vernazza o del teatro Apollo nella contrada dei Lanaioli, spazzato via per far posto a Piazza Dante, così come l’Univer-sale (1838), un pezzo di storia della nostra città, o il piccolo teatro dei Postelegrafonici vicino a Piaz-za Dante. Stessa sorte per il Teatro Margherita (1853) o meglio Andrea Doria come si chiamava in origine o del più giovane Teatro Verdi (1902), famoso per i suoi “variété”. A ponente era attivissi-mo il Modena di Sanpierdarena voluto in risposta a quelli della “capitale”. A levante, sulla sponda sinistra del Bisagno, Borgo Pila (dove ora sorge Corte Lambruschini…) aveva ancora un aspetto campagnolo e i centri della movida locare erano l’emporio dell’olio di tal Baciccia, che faceva fari-nate leggendarie, e la trattoria dei Cipressi ubi-cata dove, nel 1930, verrà costruito l’Augustus. Questo, col piccolo Teatro della Gil (via Cesarea), “costituiva la più significativa realizzazione legata allo spettacolo-teatro dell’era fascista”. In occasio-ne dell’esposizione colombiana del 1892, sulla spianata del Bisagno viene demolito il vecchio te-atro Alfieri e se ne costruisce un altro a Carignano (1893) chiamato Arena Politeama Alfieri che ha come convicino, in via Corsica, l’Alcazar di Danie-le Chiarella (1892), un monumentale complesso con bagni, piscina, ristorante, caffè-concerto… Così veniva raccontato in un testo dell’epoca: “si entra per un graziosissimo peristiglio di tipo pom-peiano…. un salone caffè-chantant di 70 metri per 8 di larghezza…”: insomma il trionfo della movida di fine ‘800! All’Alcazar fanno da corollario ritrovi esclusivi disseminati lungo la via Giulia (oggi via XX Settembre) come Caffè del Genio, Caffè Italia, Caffè della Filarmonica, Caffè Restaurant “Le Quattro Stagioni” o i ritrovi di Galleria Mazzini dove la famosa birreria Zolezi ospitava celebrità

le strade e le piazze dove era nato e si trasferisce in sedi fisse, costruite per la “lungimiranza” (ov-viamente economica) di una famiglia genovese, i Durazzo, che ottengono, anche, un’ordinanza per l’esclusività. Accanto al teatro Falcone (1652) di via Balbi (incorporato nel Palazzo Reale, primo teatro pubblico genovese e uno dei primi in Italia si pregiò nel 1736 della presenza di Carlo Goldo-ni), nascono Il Teatro di Sant’Agostino (1702), che poi cambierà il nome in Nazionale, e quello delle Vigne. Raffinati e più orientati sul melodramma i primi due, più polare l’ultimo che era nato nei lo-cali di una precedente osteria aperta a spettacoli, in cui si prediligeva la prosa, le evoluzioni dei sal-timbanchi o le recite di burattini. Quest’ultimo era frequentato da gente della peggiore risma che, spesso, trasformava i palchi in bische per il gio-co dell’oca e il biribisso. Particolarità di quei primi anni di spettacoli: i teatri non si aprivano mai con-temporaneamente, ma “due anni l’uno e due anni l’altro” perché non vi fosse concorrenza; inoltre i palchi venivano “comprati” dai più facoltosi, tanto che il proprietario poteva arredarlo a suo gusto e usarlo anche per cenarvi. Non accontentandosi di cibi freddi, i servitori dovevano portare il fuoco a teatro in appositi scaldini (abitudine assai conte-stata dopo l’incendio di palazzo Ducale del 1777). Frequenti erano, anche, le diatribe sulle qualità delle artiste che spesso finivano a schiaffoni tra il divertimento generale… si ricorda che al Falco-ne fu addirittura necessario collocare un ufficiale sul palcoscenico per mantenere l’ordine! Solo nell’800, però, superato “l’empasse” Durazzo, il teatro diventerà il cuore della movida genovese. Nasce il Carlo Felice (1828) per espressa volontà del re sabaudo perché, come dicevano i roma-ni, panem et circensens, ovvero se ti diverti non pensi a congiurare… Quattro anni più tardi ecco il Politeama Genovese (che ai tempi si chiamava Diurno), un grande anfiteatro all’aperto adibito a spettacoli del circo e che sarà trasformato in strut-tura chiusa solo nel 1871. Sfrattata la compagnia

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IL LEVANTEL’antica via Aurelia era puntellata da osterie di ogni genere e per tutte le tasche. Dai raffinati lo-cali di Cicchetti (1860) a Quinto, ai muri sbilenchi dell’antica Osteria del Bai (1860) dove cenò Ga-ribaldi prima della partenza con i suoi mille e di cui si ricorda ancora la cena offerta a D’Annun-zio e Carducci, l’11 aprile 1911, per la lettura di un’ode all’eroe dei due Mondi e, salendo verso Bavari, a San Desiderio, sino al Bruxaboschi in attività dal 1862.In fondo a via Quarnaro, una “patella de schêug-gio”, così definita dal poeta genovese Firpo, sor-geva “La Marinetta” conosciuta come l’Osteria dei poeti per le frequentazioni di Guido Gozzano e dei suoi amici: la sera era uno dei “locali” più frequentati di tutto il levante. Poco più avanti sor-geva l’Osteria del Parroco con i suoi piatti di ac-ciughe salate condite con aglio e origano famosi in tutta la città. Poi nei primi anni del ‘900 giunse impetuosa la modernità: il Lido di Albaro (1908), ma soprattutto nel 1915 venne completata corso Italia, una promenade che cancella La Marinet-ta e modifica radicalmente le abitudini serali dei levantini.I riflettori della movida si spostano alla Foce. Dal 1933 in via Ruspoli opera l’Antica Osteria della Foce (ancora oggi in attività), ma il quartiere si anima nelle ore serali soprattutto nel primo do-poguerra... Mentre si suda in uno scatenato sha-ke o si sogna col ballo del mattone, in un baretto della Foce, che esiste ancora seppur con nome diverso, su un angolo di Via Cecchi, tra giornali-sti, contrabbandieri, prostitute e sfaccendati, si in-contravano i ragazzi del quartiere e tra essi nomi destinati a diventare celebri nel mondo della musica: Bruno, Gino, Luigi, Umberto, Fabrizio...

nazionali come Lina Cavalieri e il ristorante dopo-tea-tro Da Pippo annoverava tra gli avventori Mascagni, Puccini e il comico Musco. Ambiente più raffinato era invece il caffè Roma chiuso negli anni venti del 900: ai tavoli sedevano Luigi Antonio Vassallo (Gandolin), Anton Giulio Barrili e, più tardi, Sbarbaro e Montale...I primi anni del XX secolo vedono fiorire definitiva-mente la moda dei caffè. La Birreria Concerto Giu-seppe Verdi, aperta ad inizio 900 e dopo pochi mesi trasformata in un frequentatissimo locale di varietà, il Bar pasticceria Capurro (1910) che dopo i loca-li in via Corsica e via Balbi ne aprirà uno esclusivo in Piazza De Ferrari (1936), il Gran Caffè Centrale divenuto poi cinematografo, il Gran Caffè Borsa di Fanny Salvetti Bardi dove si organizzavano incontri e conferenze e che, nel dopoguerra (1958-1960) ospitò la Borsa di Arlecchino (spettacoli di avan-guardia), il Gran Salone Cabaret “Belloni”, il Gran Caffè Concerto Olimpia divenuto “Caffè- chantant” nel 1922, il Melofono dove si poteva sentire la mu-sica in appositi separé con un sistema simile ai futuri jukebox.

IL CINEMASul finir del secolo un nuovo motivo di aggrega-zione viene offerto da una strabiliante invenzione: il cinema. E’ del 1896 un articolo che parla della prima proiezione di “una fotografia animata” pro-iettata nella sala Sivori con tanto di luminare, Prof.Domenico Benucci, a “dare spiegazione scientifica del meraviglioso apparecchio”. Ma è nei primi ven-tanni del 900 che il cinema conquista nuovi spazi: il Gran Salone Liguria Cinematografo Moderno fu con il Dionisio ed il Massimo uno dei primi della cit-tà a cui seguirono il Cinematografo Regina Elena, Cinematografo Borsa, il Rex, l’Universale che fino al 1938 era il noto Ristorante Cairo e il Grattacielo, nell’omonima struttura inaugurata l’8 aprile 1939.

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quasi minaccia di peggio, portavamo la catena a casa e la schiacciavamo a forza di martellate sull’incudine e poi tutta contorta tornavamo a get-tarla nel giardino oltre il cancello. La lotta durò al-quanto, finché il cancello rimase aperto. Avevamo vinto la partita”.Nei primi 30 anni del XX secolo anche il mare diventa un momento di aggregazione e la balne-azione costituisce un vero e proprio fenomeno di massa. Ad anticipare la moda, nel 1859, a Pegli nasceva il primo Stabilimento Balneare per ini-ziativa della Società “Bagni di Pegli”, con sede nell’antico Palazzo Lomellini, successivamente trasformato, attorno al 1870, nel Grand Hotel Mediterranée. Lo Stabilimento, e la pratica della balneazione, ottennero una straordinaria promo-zione a seguito della pubblicazione a Genova nel 1862 della “Guida igienica ai bagni di mare” del Dott. Giovanni Battista Pescetto. Al primo sta-bilimento, cui fu aggiunto, nel 1900, un elegante “Chalet Liberty” sulla spiaggia, “per il ritrovo e il ballo”, altri ne seguirono; nel 1929 se ne conta-vano 16. A Sampierdarena furoreggiano l’Italia o il Margherita che fungono anche da ristorante per i raffinati palati della ricca borghesia e, per i meno abbienti, i più popolari bagni Savoia. A Sestri Po-nente, invece, fece grande clamore l’apertura del Grand Hotel, dotato di esclusiva spiaggia privata divenne per alcuni anni simbolo di “buone fre-quentazioni” e luogo di ritrovo per gli incontri serali d’alta società.Infine, all’alba dei ‘60, con i bombardamenti ae-rei ormai alle spalle, a Sestri sorge uno dei più frequentati “seminight” (ovvero night club non esclusivamente legati agli show femminili, ma an-che tavola calda, musica, ballo ecc...) della città di Genova, “El Greco”. Negli stessi anni uno dei punti di riferimento della movida genovese diven-ta “Il Ragno Verde” a Di Negro, uno dei primissimi esempi di “locale moderno” con birre, cocktail e tavola calda... e una particolarità non da poco: aperto 24 ore su 24!

La Foce e il suo anonimo bar saranno il centro di quella che qualche anno dopo sarà conosciu-ta in tutta Italia come la “scuola genovese” dei cantautori. Ma non solo. Sempre alla Foce, in via Trebisonda, il Teatro Instabile divenne il centro della comicità genovese, dove, tra gli altri, i gio-vani Antonio Ricci e Beppe Grillo intrattenevano il pubblico e studiavano per diventare grandi...

IL PONENTEA cavallo tra il XIX e il XX secolo gli spostamenti dalla “capitale” Genova verso il ponente iniziano a farsi un po’ meno rari. Qualche osteria lungo la spiaggia bianca di Sampierdarena sino al ponte di Cornigliano e alla rinomata Osteria del Barba (più o meno dove oggi troviamo i giardini Melis). Fino a quel momento le località ponentine erano realtà a sé stanti, poche case e pochi abitanti in riva al mare. Nella vecchia “Cornigén”, ad esem-pio, gli abitanti del posto, soprattutto i più giova-ni, si ritrovavano al calar del sole allo scoglio del Gabbaia “per fumare la pipa o per masticare la cicca di tabacco...”. Poco distante, sull’estremi-tà opposta della baia, sorgeva il promontorio di Sant’Andrea che sul finire del secolo divenne teatro di una vera e propria rivolta giovanile. Nel 1885 il conte Edilio Raggio comprò il promonto-rio per costruirci un castello sul modello del ce-lebre Miramare di Trieste; un testo antico ci offre il racconto di quelle notti avventurose... “Fu una dolorosa sorpresa per tutti noi abituati da anni all’accesso libero alla spiaggia”... la costruzione invase infatti il promontorio e il porticciolo venne inglobato nella proprietà e chiuso con un cancel-lo. Dopo vari ricorsi presentati invano dalla po-polazione, uniti con i pescatori del paese, i più giovani presero coraggio: “decidemmo di farci giustizia da soli. Di notte ci organizzavamo e fa-cevamo spedizioni per distruggere la serratura del cancello.” I custodi riparavano e, puntual-mente, la notte i ragazzi distruggevano. “Qual-che volta, per dare più impressione di forza,

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V INOVER I TASdi gianluca nicosia

IL BARBERA D’ASTI SU-PERIORE COLLI ASTIANI O BARBERA D’ASTI SUPE-RIORE ASTIANO è un vino DOCG prodotto esclusiva-mente all’interno dei comuni di Asti, Azzano, Isola d’Asti, Mongardino, Montaldo Sca-rampi, Montegrosso D’asti, Rocca d’Arazzo e Vigliano.

I vitigni con i quali è consen-tito produrlo sono Barbera percentuale minima 90% e altri vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltiva-zione nella Regione Piemon-te in un massimo del 10%.

Questa DOCG è stata istitui-ta con decreto il 30/11/2011. Il colore è rubino, intenso, tendente al granato con l’in-vecchiamento, l’odore è in-tenso ed il sapore secco ma armonico e rotondo. La gra-dazione alcolica minima è di 13°.

Questo Barbera richiede un invecchiamento di almeno 24 mesi a decorrere dal 1º ottobre successivo alla ven-demmia di cui minimo 6 in recipienti di legno e minimo 6 in bottiglia. Tutte le operazio-ni di appassimento delle uve, vinificazione, invecchiamen-to e imbottigliamento, deb-bono essere effettuate nella zona DOCG.

2 0 DI TUTTO UN po'

Esiste molta confusione riguardo alla domanda: che cos’è l’inglese? Se da un lato possiamo veder-lo come una materia “monolitica”, dall’altro l’English language presenta notevoli complessità date dalla sua diffusione globale. La confusione affligge anche i massimi linguisti mondiali, tra cui il grande David Crystal, che lavorano per cercare di “mettere ordine” nel caos dell’English di oggi.Tutto parte dal concetto fondamentale che le lingue si evolvono continuamente. Coniamo nuove espres-sioni per stare al passo con i tempi, mentre parteci-piamo con il nostro tocco personale all’evoluzione della nostra lingua. Tuttavia, è compresente a questo aspetto “centrifu-go” anche una tendenza “centripeta”, rappresentata da un modello - o standard - al quale tutti si sforzano di uniformarsi. Per esempio, studiamo che in italia-no il comparativo di maggioranza di “buono” è “mi-gliore” e non “più buono”. Analogamente, l’aggettivo “good” presenta il comparativo irregolare “better“, mentre “more good”, traduzione parola per parola di “più buono”, non è considerato inglese standard.Se in ogni lingua si confrontano queste tendenze, potete immaginare la complessità dell’inglese, allo sviluppo del quale contribuiscono oltre due miliardi di parlanti nativi e non. Se non possiamo presen-tare l’inglese come un monolite, altrettanto riduttiva è la divisione in British e American English, seppu-re essa abbia un senso, in quanto Gran Bretagna e USA rappresentano nel mondo dell’inglese i due principali punti di riferimento per motivi demografici (circa tre native speakers su quattro provengono da questi due paesi) ed economici. Si parla quindi or-mai anche di Australian English, Canadian English, ecc. o addirittura di Italenglish. Tuttavia, quest’ultima definizione vuole evidenziare l’afflusso sempre più numeroso di vocaboli inglesi nella nostra lingua, a volte per necessità, come nella tecnologia (tablet, mouse, ecc), e a volte come status symbol per darsi un tono, specialmente all’interno di conversazioni – tra italiani – in ambito business.

Nice 2 meet u

ENGLISHdi daniele canepa

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di tutto un po' 2 1

Possono essere indizi da non sottovalutare, difficoltà che, af-frontate precocemente, con le strategie giuste e la collabora-zione di tutti gli agenti educativi e di terapeuti qualificati, pos-sono essere superate o ben gestite prima di trasformarsi in un problema o un disturbo. In questo modo l’esperienza della scuola sarà piacevole e positi-va, a volte complessa ma non traumatica. Aiutiamo così i nostri bimbi a dare il via all’avventura, con lo zainetto e un bel sorriso!Per informazioni e contattiwww.psicologo-genova.it

Liberamente

confusione. Inoltre è importan-te avere un occhio di riguardo per i segnali di difficoltà dei figli, anche questo in collaborazione con gli insegnanti e senza an-sia. Il bambino piange e si rifiuta di andare a scuola per diverso tempo? E’ spesso solo e non riesce a stringere amicizia con i compagni? Rimane indietro nell’apprendimento in generale o in abilità specifiche come la lettura o la scrittura? Ha difficol-tà a mantenere l’attenzione sia a scuola che nel tempo libero o nello sport, non riesce a sta-re fermo e si fa spesso male?

A settembre, la fine delle vacan-ze e il rientro a scuola sono ap-puntamenti che coinvolgono tutti i bambini e i ragazzi, con reazioni emotive tra le più svariate, dall’en-tusiasmo alla disperazione!Gli adulti, in primis i genitori, pos-sono incidere molto sul modo in cui i figli affrontano la scuola, quindi di fatto sulla loro sere-nità, a partire dalle elementari.La maggior parte dei bambini, arrivati alle scuole primarie, han-no già vissuto qualche anno di scuola materna, alcuni anche il nido, e dovrebbero aver impa-rato a rispettare le regole e stare correttamente con i coetanei. Nel passaggio alla scuola elementa-re, però, il bambino perde alcuni punti di riferimento scolastici im-portanti e sente che le aspettative degli adulti su di lui sono maggio-ri, pertanto può avere una lieve “crisi” che solitamente si risolve in modo spontaneo dopo poco. I genitori e i familiari sono chia-mati a dare un sostegno ai loro bambini in questo momento, con piccoli ma importantissimi gesti.E’ bello che il papà e la mamma raccontino i loro ricordi positivi sui primi anni di scuola, rassi-curando sia verbalmente sia fisicamente i piccoli. La famiglia deve incontrare e conosce-re le insegnanti, creando con loro un clima collaborativo, in modo che i punti di riferimen-to educativi del bambino siano coerenti tra loro e non creino

a cura della psicologamichela alibrandi

Illustrazione di Gianluca Sturmann

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA ... E I SUCCESSIVI!

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2 2 il caffè degli artisti

prendere atto di una realtà che si è già materializzata ed è intor-no a noi.»Insomma, la malavita orga-nizzata non è un fenomeno presente solo in Meridione e, anzi, attecchisce ovunque ci sia indifferenza e connivenza. La nostra regione non ne è esen-te e secondo quanto sottolinea lo stesso Matteini «in Liguria l’incidenza è proporzionalmen-te maggiore rispetto a regioni come Toscana ed Emilia. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il Porto di Genova ha un’im-portanza strategica per l’econo-mia criminale e la vicinanza con la Francia e la Costa Azzurra rende la Liguria ancora più ap-petibile per gli scambi di merce tra frontiere. C’è, poi, il casinò che rappresenta un’efficace lavatrice per il denaro di prove-nienza illecita».“Che ci fa la mafia a Genova?” è andato in scena a Valle Christi l’otto agosto e a Imperia il nove mentre nella prossima stagio-ne, come detto, sarà in calen-dario al Teatro dell’Archivolto. «L’intenzione è di andare nelle scuole e parlare con gli studenti perché più si è giovani e più si ha voglia e forza di indignarsi, di fare qualcosa. Il problema sono i soldi. Lo scorso marzo i ragazzi del Liceo Colombo si sono autotassati per assistere allo spettacolo ma la speranza è che il Comune e la Regione reperiscano i fondi per ripetere l’esperienza in modo capillare e senza arrivare a tanto”.

avvalendosi della collaborazio-ne di alcuni giornalisti che l’han-no aiutato nella ricostruzione della cronistoria della mafia in Liguria dagli anni Cinquanta a oggi. «Dovendo interpretare un cantastorie sapevo che la mu-sica avrebbe rappresentato un elemento portante dell’ossatura dello spettacolo e per questo mi sono rivolto a Filippo Gambet-ta che conosco e stimo. Il suo repertorio di musica popolare era l’ideale per l’intenzione e il taglio che volevo dare e l’utilizzo di strumenti quali l’organetto, il mandolino e lo scacciapensieri, tanto per citarne alcuni, costitu-iscono un accompagnamento perfetto», aggiunge l’attore.A farla da padrone in “Che ci fa la mafia a Genova?” sono prima di tutto le parole. «Utiliz-zo per la maggior parte notizie prese da atti giudiziari e articoli di giornale e cerco di raccon-tare con ironia e provocazione i fatti, che purtroppo sono tutti veri. Quello che colpisce di più è l’ambivalenza di certi perso-naggi che vengono da questo mondo: molti di loro sono uo-mini apparentemente comuni e spesso con lati buffi per non dire comici.» Ovviamente la comici-tà resta tutta in superficie, sol-lecita la risata istintiva e piace-vole lasciando tuttavia un senso d’inquietudine che è difficile scrollarsi di dosso. «Il mio obiet-tivo non è certo quello di creare allarmismi o panico nei cuori dei genovesi. Si tratta piuttosto di risvegliare le coscienze e far

“Nenti sacciu e nenti vitti, nen-ti vitti iu un c’era, e si c’era iu durmia, e cu dormi nenti vidi”. I primi versi della canzone di Pino Veneziano “La Mafia nun esisti” danno un’idea chiara del problema cardine che è alla base del cancro mafioso: l’o-mertà. Non è un caso, quindi, che la canzone apra lo spetta-colo di Fabrizio Matteini “Che ci fa la Mafia a Genova?”, un monologo recitato e cantato il cui scopo precipuo è raccon-tare e informare sulla reale portata del fenomeno mafioso all’ombra della Lanterna. Lo spettacolo scritto e interpreta-to dall’attore genovese, in ca-lendario prossimo autunno al Teatro dell’Archivolto, offre un tragico resoconto del ruolo da protagonista che la mafia e in particolare la ‘ndrangheta, ri-copre a Genova. L’obiettivo è quello di portarlo nelle scuole e alimentare il dibattito.«Il Comune di Genova mi chie-se di realizzare un recital sulla mafia nell’ambito di Genova Città dei Diritti prendendo spun-to da un’idea di Nando dalla Chiesa - dice Matteini – con-fesso che fui sorpreso: fino a quel momento non mi ero mai interessato all’argomento con-dividendo forse quel sentimen-to misto d’indifferenza e sbadi-gli che hanno molte persone. Oggi mi è fin troppo chiaro che un clima di questo tipo non fa altro che favorire la prosperità della malavita organizzata».Matteini ha scritto il testo

di michele archinà

"che ci fa la mafia a genova?"lo spettacolo di fabrizio matteini

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il caffè degli artisti 2 3

tipo sono trainanti per l’interno e per l’esterno, ma se non ci sono questi punti fermi in una città, ecco che viene meno tutto il giro. Poi c’è un problema di mentali-tà, non c’è mentalità del rischio, quindi quando va bene l’autore in questa città sopravvive, oppure se ne deve andare. O altrimenti sta qui ma lavora fuori; io lavoro molto con gallerie di Milano. Ho lavorato molti anni con gallerie di qui ma il risultato è stato sem-pre piccolo. Le istituzioni adesso fanno quello che possono, ma in passato non hanno mai brillato. Chi ha fatto il lavoro sono sempre state le gallerie private. Adesso che non ci sono soldi poi è anco-ra più difficile. Per come è oggi a livello mondiale, il contempora-neo diventa remunerativo solo se si fanno grosse strutture, con grandi impegni e collaborazio-ni tra pubblico e privato; ci sono anche dei pericoli, perché ciò a cui stiamo assistendo è che l’arte contemporanea di alto mercato è solo mercato. Sono operazioni commerciali internazionali in cui si fanno alzare le quotazioni di un artista, ma l’arte non è quello».

di letteratura, poesia o musica nei tuoi lavori?«Sì, da sempre. Io amo molto an-che cinema e teatro, quindi gran-de attenzione alle sceneggiature, tant’è vero che quando faccio delle installazioni sono sempre molto te-atrali. Mi interessa come viene fuo-ri l’opera, ma soprattutto come dia-loga con lo spazio; non si può fare sempre un’installazione perché ci vogliono determinate condizioni, ma quando è possibile a me in-teressa stravolgere lo spazio. Per esempio in occasione di una mo-stra che avevo fatto alla Perma-nente a Milano avevo trasformato il grande spazio espositivo bianco, asettico, di 500 metri quadrati, in una grande quinta teatrale nera, dove ho collocato tutte le opere. Anche lì la cosa più importante per me è stato stravolgere lo spazio e farlo diventare un’altra cosa». Secondo te cosa manca a Ge-nova per favorire gli artisti con-temporanei?«Intanto mancano grosse gal-lerie e grossi mercati; negli anni sessanta e settanta ci sono state gallerie importanti a livello nazio-nale e non solo. Realtà di quel

Piergiorgio Colombara, artista genovese, è in attività dalla fine degli anni settanta; ha al suo attivo numerose personali e col-lettive sia in Italia sia all’estero, e una recente partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2009. A Genova ha esposto l’ultima volta nel 2011 presso il Palazzo della Borsa con una mostra intitolata “La sala delle grida”. Lo abbiamo incontrato nel suo studio dove abbiamo parlato del suo lavoro, circondati dalle sue opere, dise-gni, collages, e sculture leggere e dorate. «Io cerco di dare forma all’interno, a ciò che vivo interna-mente; è una scultura che – così come i miei disegni e i collages – parte da elementi come il tempo, la memoria. Sto attento alla poe-tica delle forme e dei contenuti».Che materiali prediligi e come li lavori?«In scultura ho lavorato, fino al 2000, materiali come ottone, rame, ferro, piombo, cera. Io faccio il modello e poi lo porto in fonderia, dove il lavoro va avan-ti insieme al fabbro. Da questo vanno escluse le cose piccole che invece faccio qui in studio. Fino al 2000-2001 avevo già fatto opere in bronzo ma in maniera sporadica (una molto grande per esempio quando avevo vinto un concorso a Venezia): da allora invece ho cominciato a lavorarlo in modo più sistematico, utiliz-zando prevalentemente questo materiale». La suggestione di certe superfici dorate mi ricor-da le “cascate d’oro brunito” di Baudelaire… c’è qualche eco

di claudia baghino

piergiorgio colombaraintervista allo scultore genovese

Fotografia di Daniele Orlandi

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Fermata a richiesta: una storia, una fotoTorno subito a cura di daniele aureli

e daniele orlandi

Giulia sognava di fare la veterinaria. Dove sarà ora? Marco ha fatto il benzinaio per sei anni. Sei giorni su sette, straordinari, poche ferie, stipendio che non ri-usciva a godersi e poi, d’improvviso, quel liberatorio Vaffanculo, io mi licenzio. Vado in Irlanda. Fabio si è fatto il macchinone: bmw, super accessoriato. Colore grigio canna di fucile interni in pelle 2000 sedici valvo-le turbo diesel hv ddt abc. Dopo si è fatto Michela. Fa-bio da quel giorno non l’ho visto più! Perso tra la pol-vere delle sgommate, una retromarcia veloce e una terza abbondante. Francesco è partito per la Spagna: Vado a Barcellona amici, mi sono innamorato./ Di chi?/ Di Flavio!/ Vuoi dire Flavia?/ No, ho detto Flavio! …Valerio, partito in cerca delle 3 f: Fama, Figa e For-tuna. Ludovico si è trasferito con Cristina a Ushuaia, per toccare la fine del mondo. Sandro fa il ricercatore in Svezia. Paola traduttrice ad Ancona. Federica è un punto interrogativo a Madrid. Lo sapevo! Per una vol-ta che decido di sposarmi, i miei amici non ci sono. Se fossero qui, riderebbero della mia follia. Mi sposo. Non lo avrei mai detto… Non lo avrebbe mai detto nessu-no. Non ci crede neanche mia madre: sono tre mesi che piange e non ho ancora capito se è un segno positivo. Io che non ho mai avuto fidanzamenti più lunghi di nove settimane e mezzo (111 minuti senza intervalli pubblicitari). Io che mi sposo e cambio vita. Io che sognavo di viaggiare, di andare ovunque, con una borsa, un quaderno, una penna e scrivere un dia-rio di bordo... ma non importa. E non importa se io e lei non andiamo molto d’accordo e che ogni volta mi urla

contro quando sporco la tovaglia pulita. Non impor-ta se due giorni su sette ha il mal di testa. Non im-porta se odia il mare. Non importa se mi ha tradito. Non importa se prima adoravo i suoi difetti mentre ora non ricordo neanche i suoi pregi. Non impor-ta se mi ha fatto vendere la moto. Non importa se mentre io sono a lavorare lei va dall’estetista. Non importa se io ho sempre preferito le bionde mentre lei è rossa tinta. Non importa se mi ha buttato via tutti i cd dei Led Zeppelin. Non importa se… Non, importa, se. Non importa se? I Led Zeppelin! Come è successo tutto questo? Che sto facendo? Perché indosso un abito da 400 euro, vicino a una ragazza, vestita di bianco, che non sopporto? Davanti a me un tizio parla d’amore con un libro in mano e io ho voglia di leggere Bukowski e bere vino rosso. Forse sto sognando, mi do un pizzicotto. Ca***, non sto sognando! Che faccio? Qui dentro mi censurano anche i pensieri. Mi sento osservato. Il cuore acce-lera, la sudorazione anche. Devo inventarmi qual-cosa. Come faccio però con il pranzo di nozze? E mia madre, smetterà di piangere? Perché il signore in bianco mi sta facendo una domanda?Siamo qui per celebrare questa unione. Giulio, vuoi tu prendere Barbara come tua sposa, amarla e onorarla nella buona e nella cattiva sorte finché morte non vi separi?/… Mi scusi, buon uomo… vado un attimo in bagno. In fondo a destra giusto?

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* Concorso video L’ emozione di essere in Liguria a cura dell’agenzia di promozione turistica In Liguria. Caricare sul sito zooppa.it un video durata max 90’’ sulla Liguria (paesaggio, gastronomia, borghi tipici ecc.). Sei premi per un valore complessivo di 19.000 $ (da convertire in euro) e la pubblicazione su canali web e offline dell’agenzia In Liguria. Scadenza 1 ottobre.

* On The Move: concorso di comunicazione per Pubblicità Progresso. Rivolto a studenti e neolaureati tra i 18 e i 30 anni. Tema: immaginare di essere un giornalista o un pubblicitario nel 2021. Invio degli elaborati a [email protected]. In palio 15 viaggi a Strasburgo con visita al Parlamento Europeo. Scadenza 19 ottobre.

* Io pretendo dignità: concorso fotografico di Amnesty International, sezione di Genova. Aperto a residenti in Italia di ogni età e nazionalità. Invio fino a tre immagini sul tema della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Considerato che il riconoscimento della dignità ine-rente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo“. In palio una targa ai primi tre classificati e pubblicazione sui canali web di Amnesty. Scadenza 27 ottobre.

* La seconda luna: bando rivolto a persone (singoli o gruppi) che hanno sviluppato e perse-guito una loro passione. Tre sezioni: Premio La Seconda Luna, Premio alla passione divenuta professione, Premio alla passione per l’innovazione scientifica e tecnologica. Inviare il mate-riale sul progetto a Comitato Premio Città di Laives - via Stazione 23/A, 39055 Laives (BZ). Nessuna quota di iscrizione. Premi in palio per un valore complessivo di 26.000 €. Scadenza 31 ottobre.

il caffè degli artisti 2 5

IL BANDITOREPer avere maggiori informazioni sui bandi e scoprire altreopportunità per gli artisti visita www.erasuperba.it

SEI UNO SCRITTORE? SCRIVICI!

VIDEOSCRITTORIIL NUOVO FORMAT DI ERASUPERBATVDue persone che non si conoscono. Una di fronte all’altra.La prima è uno scrittore. Alla seconda piace fare domande ed ascoltare.Una penna che scrive, una voce che legge. Il mondo di uno scrittore che si compone pian piano, la sua faccia, la sua storia, davanti alla telecamera per dieci minuti di libera creatività... Se sei interessato a partecipare scrivi una email a [email protected]

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l' angolo diGianni Martini

Contatto tra i nuovi fermenti musi-cali e le majors fu il “talent scout”. Questa figura professionale ti-pica di quel periodo, spesso era un giovane che, facendo parte di quell’ambiente, ne conosceva anche le espressioni artistiche. Improvvisamente, quindi, da qual-che costola delle odiate “major” si affacciarono sul mercato etichette discografiche fondate ad hoc per i nuovi linguaggi espressivi; oppu-re etichette nate come “indipen-denti”, nel giro di qualche anno vennero assorbite dalle grosse case discografiche che, tutt’al più, lasceranno loro la facciata di etichetta indipendente sempli-cemente per non perdere quel segmento di possibili acquirenti; ma soprattutto iniziano a compa-rire sul mercato discografico, pro-dotti “finti”, ossia realizzazioni di un “qualcosa che assomigliasse” nel suono, negli atteggiamenti, nell’immagine, nel logo, nei testi, nel “gesto musicale”, alle produ-zioni espressivamente più signi-ficative. Il tutto coniugato in una scala di “novità” pseudo originali, con l’obiettivo di accontentare tutti!! Ciò che veniva a mancare – banalmente – è “solo” l’insie-me delle profonde e autentiche motivazioni che spinsero a quelle creazioni originali!! Quando poi si arriva a sentire Beethoven, Miles Davis, Hendrix, Doors o F. De An-drè impiegati come “colonna so-nora” di spot pubblicitari…beh…ciao!!ormai, la loro carica innova-trice è stata centrifugata e resti-tuita come schiuma da barba!!!

Certo, tutto questo è successo – e succede tuttora - in particolare per la “musica giovanile”: rock, pop, canzone, funky, rap…ossia in pratiche musicali di maggior vendibilità. Meno, per quanto riguarda la scena jazz, blues e classico-contemporanea. Anche se occorre ricordare che il cosid-detto “easy listening” della fine degli anni ’70- e tuttora presen-te, in costante attualizzazione/adattamento – di grande riuscita discografica (l’etichetta america-na “GRP” di D. Grusin e L. Ree-tenour ne fu una delle massime espressioni) altro non è stato che confezionare un prodotto di ascolto immediato (in grado, cioè, di raggiungere un più vasto pubblico di consumatori – appas-sionati di musica) che potesse vantare grandi interpreti/autori, un alto livello qualitativo delle esecu-zioni, un richiamo a sonorità jazz e blues, lasciandone cadere, tut-tavia, gli aspetti espressivamente più spigolosi (e autenticamente “di rottura”), rendendo il suono più “moderno”, senza escludere riferimenti stilistici, vicini al pop e al rock. E volendo aggiunge-re un esempio nell’ambito della canzone, si potrebbe ricordare quella che L. Tenco menzionò nel suo drammatico e chiaris-simo messaggio d’addio: “La rivoluzione” cantata al Festival di Sanremo del 1967 da G. Pette-nati. Canzone finto-trasgressiva/ protestataria che, titolando espli-citamente “La rivoluzione”, pa-rola tabù, cercava di suggerire

un’immagine di anticonformismo giovanilista. Oltre vent’anni dopo un altro esempio di produzione musicale finto-ribelle trovò sem-pre nel palco del Festival di San-remo (e il fatto non va ritenuto un caso) il contesto “ideale”. E si trat-ta di un cantante, Scialpi, che, se non ricordo male, si presentò con i blue jeans mezzi stracciati, con una curatissima mise pseudo punk/pseudo trasandata/pseudo ribelle. A chi intendevano rivol-gersi G. Pettenati e Scialpi? Ob-biettivo dei loro produttori era evi-dentemente quello di agganciare quella parte di pubblico giovanile che si sarebbe accontentata di atteggiarsi a “ribelle”, non inten-dendo minimamente esserlo sul serio: uno scambio giocato tutto sul piano simbolico (il modo di vestire, i gadgets, l’ascolto mu-sicale…), tenendosi ben lontani dai processi sociali reali che quei simboli crearono. Anche la mu-sica classica non fu estranea a questo fenomeno. Ricordo un ensemble, “Rondò veneziano” che proponeva brani strumentali di sapore rinascimental-barocco, come dire una musica rilassante, melodica che non creava tensio-ni, rivolta trasversalmente ad un pubblico anonimo e conformista. Infatti sogno del direttore gene-rale di qualsiasi major ritengo sia quello di produrre un catalogo in grado di accontentare, come si diceva, “tutti” e semplicemente spingendo il prodotto che in quel determinato momento si ritiene possa vendere di più.

Dopo i primi anni, periodo in cui i movimenti innovatori vivono un’esi-stenza prevalentemente “underground”, le grandi case discografiche – intuendo l’enorme business – iniziano a inserirsi nel gioco, da un lato met-tendo sotto contratto gli artisti espressione autentica di quei movimenti, dall’altro producendo ad hoc artisti completamente inautentici, purché avessero il sapore della trasgressione, che semplicemente la evocassero.

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28 parla come mangi

MANGI

A CURA DI BRUNO GATTORNO canto IIO giorno o se n’andava incantôu da e mûse dall’erto inzëgnoche scrivan quello che ho visto e ritègno.Ma allòa mi perché devo vegní ? mi no sòn Paolo, no sòn Enea,mi sòn ûn’òmmo che de degne impreize foscia o se retïa,alloa ho capío perché sòn chi ! pe scròllame ad-dosso questa puïa.Mentre i mæ pensciëi sòn sospeixi, ûnn-a donna a me ciammacon quelli êuggi aççeixi, ûnn-a donna cosci’ bella chea soæ voxe a lea soave comme ûnn-a stella.(Oh ánima cortéixe e mantovann-a, no sta coscí smaxio,mi sòn Beatrice, perché no ti te avvardi de chinâ, o lè l’Imperatôche o ta mandóu a çercá, sòn mí che ammiândo i tœ êuggi luxenti, a luât’hò streppóu dai tœ turbamenti, faxendola svanì in tà brinn-a gianca

pe date e virtu’ de ûnn-a personn-a franca.Amigo mæ, no stà coscì smaxio, han parlòu ben de ti in çê,e han dito, pòrzighe aggiûtto, ti o devi consolâ, parli-ghe d’amô,che o l’avià in eterno, se o s’avvardià a intrà in te l’inferno,no temme quelle cöse immonde, nisciûn danno te pœan fà,e manco ûnn-a sciamma a te pœ strinâ.)Doppo aveime fæto raxionà da i mæ tormenti, le a se vòrta, lagrimando i sœ êuggi lûxenti ea me dixe: (Perché te coscí abbacciuccòu? ârvi o tœ chêu, no sta coscí allûggiòu, çerca d’intrà comme a brinn-a, quande o sô o l’ingianca de mattinn-a ) “Öh donna maveggio-sa”, ghe respondo, oua sòn disposto a quanto ti mæ proposto,oua che de intrâ sòn segùo, sento ancon a sò voxe, sciortî dall’antro scùo:(Vegni Ducca, mæ meistro, mæ baccán) me sento di da lontàn,dunca sòn intròu in te quello sentê sarvægo e arcán.

PREPARAZIONE Impastate la farina con il vino, le uova, il sale, fino ad ottenere un impasto liscio e compatto (se non gradite il vino sostitui-telo con dell’acqua o con un uovo). Lasciatelo riposare per almeno mezz’ora coperto da un canovaccio.Nel frattempo mettete la zucca in forno ricoperta da un foglio di alluminio per non farla asciugare troppo e mantenerla morbida e saporita, fatela appena scottare, sbucciatela, togliete i semi e i filamenti interni e tritatela finemente.A parte sbattete le uova, unitevi la maggiorana e il sale grosso precedentemente pestati nel mor-taio, la polpa di zucca, la ricotta, il parmigiano, il pangrattato, l’olio e mescolate bene.Tirate una sfoglia liscia e sottile di pasta, farcitela con il ripieno e ricopritela con un’altra sfoglia sot-tile ottenendo dei triangoli.Lessate i pansoti in abbondante acqua salata: appena cotti, scolateli e conditeli con burro fuso e foglioline di salvia oppure con un ragù di carne.

pansoti di zuccaINGREDIENTI Per la pasta: 450 gr di fa-rina, mezzo bicchiere di vino bianco sec-co, 2 uova, sale. Per il ripieno: 1,5 kg di zucca gialla, 3 uova, 120 gr ricotta, 100 gr parmigiano grattugiato, 20 gr pangratta-to, 60 gr burro, foglie di salvia, olio extra-vergine di oliva, sale, pepe, maggiorana.

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30 agenda

SEGNALA I TUOI EVENTI [email protected]

FINO A DOMENICA 14 OTTOBRERUMORS di Neil Simons. Un comico affresco sull’alta borghesia newyorkese, fatua e pettegola, uno spettaco-lo dai ritmi frenetici e dai dialoghi surreali che ha una for-za comica contagiosa. Teatro della Gioventù, da lunedì a venerdì h 21, sabato h 17 e 21, domenica h 17

DA GIOVEDI’ 20 A DOMENICA 30 SETTEMBREOKTOBER FEST IN PIAZZA DELLA VITTORIA: birra tedesca, mercatino dell’artigianato, area giochi per bam-bini, gastronomia e musica tipica bavarese a cura delle band Klobstoana, Kapuziner Bierband e Musikakapelle Bad-Endorf. Da lun a ven 17/02, sab e dom 12/02

DA VENERDI’ 21 A DOMENICA 23 SETTEMBREH 11/23 AGRICOLTURA IN PIAZZA. Mostra di prodotti agricoli certificati, biologici, ittici, zootecnici e florovivaistici, ristorazione di qualità, itinerari di valorizzazione, agrituri-smi e fattorie didattiche. Piazza delle Feste Porto Antico LUNEDI’ 24 SETTEMBREH 18 PROFESSIONE SCENEGGIATORE. Presenta-zione del libro di Sergio Badino, autore Disney, Sergio Bonelli Editore, Tunué, Deus, e insegnante di sceneg-giatura e storytelling: un libro per capire nel dettaglio come nascono le storie. La Feltrinelli

MARTEDI’ 25 SETTEMBREH 21 TRAJET KARAVANILN IN CONCERTO. Musica zingara franco-balcanica. Nouvelle Vague, Vico De Gradi

GIOVEDI’ 27 SETTEMBREH 19 CINETRUOGOLI, rassegna di cinema nel centro storico genovese. Proiezione di “Cose di questo mondo” di Michael Winterbottom. Piazza Truogoli di Santa Brigida

VENERDI’ 28 SETTEMBREH 21 MUSEI FUORI ORARIO “Gossip d´autore fra tele e pennelli” Alla scoperta delle curiosità relative alle opere più famose: dalla vita di alcuni pittori ai misteri di alcune iconografie, da strane ricette di colori fino ai pettegolezzi dell’epoca. I Musei di Strada Nuova sono aperti tutti i venerdì sera (ore 23) sino al 19 ottobre

DA VENERDI’ 28 A DOMENICA 30 SETTEMBREH 21 NERVI JAZZ. Tre serate di grande musica con

il cantante e polistrumentista jazz Gegè Telesforo, che si esi-bisce con alcuni degli artisti più importanti della scena inter-nazionale. Galleria d’arte Moderna di Nervi, ingresso 15 euro DA VEN 28 SETTEMBRE A DOM 14 OTTOBREH 15/20 “SENZA CONFINI” Un viaggio nell’ arte contem-poranea di Cuba attraverso le opere di otto giovani artisti cubani, diversi tra loro per età e linguaggio artistico, ma ac-comunati dal desiderio di confrontare il loro lavoro con la realtà artistica italiana. Sala Dogana Palazzo Ducale

VENERDI’ 28 SETTEMBREH 18 IL LINGUAGGIO SEGRETO DEL PROFUMO, pre-sentazione del libro di Marika Vecchiattini. La Feltrinelli

SABATO 29 SETTEMBREH 14 FESTA DEL TAGLIERE A SAMPIERDARENA. Un’intera giornata di festa nel quartiere con mercatini, stand gastronomici, animazione; dalle ore 20 musica e comicità in via Rolando con Paolo Traversa e i Pigreco R2, Enzo Paci e Andrea Bottesini, I Soggetti Smarriti.

SABATO 29 E DOMENICA 30 SETTEMBRESAGRA DELLA FARINATA. Lungomare di PegliMOSTRA MERCATO DELLA PATATA QUARANTINA 350 varietà di quarantina, mercatino dell’artigianato e di prodotti tipici. TorrigliaSAGRA DELLA POLENTA E DEL FUNGO PORCI-NO. Via Bolzaneto 14

DOMENICA 30 SETTEMBREH 20 GIPSY ART. Notte di musica, letteratura, poesia, cinema e arti figurative della cultura rom e dei sinti. Musi-che tradizionali e jazz manouche di Django Reinhardt con il gruppo sinto The Gipsyes Vàganes. Palazzo Ducale

MARTEDI’ 2 OTTOBREH 18 LA BALLATA DEL QUOTIDIANO presentazione del libro curato dal giornalista Giuliano Galletta, amico di lunga data di Edoardo Sanguineti, nel qual vengono raccolte tutte le interviste fatte nel corso di 15 anni dal grande poeta. La Feltrinelli

GIOVEDI’ 4 OTTOBREH 19 CINETRUOGOLI, rassegna di cinema nel centro storico genovese. Proiezione di “Essere&avere” di Nico-las Philibert. Piazza Truogoli di Santa Brigida

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DA VEN 5 OTTOBRE a DOM 7 APRILE 2013MOSTRA “MIRO’, POESIA E LUCE”: le opere del grande artista catalano, dagli olii Donna nella via e Sen-za titolo, i bronzi come Donna, agli schizzi tra cui quello per la decorazione murale per la Harkness Commons-Harvard University. Palazzo Ducale, ingresso intero 13 euro, ridotto 10 euro

SABATO 6 OTTOBREGENOVA RICORDA I GENESIS. Un’intera serata con ospite d’onore Steve Hackett. Dalle 19.30 mostra con documenti, fotografie e materiale video del tour italia-no dei Genesis nel 1972, incontri, testimonianze e una conferenza. Alle 22 concerto della tribute band genove-se “Real Dream”, che propone la scaletta originale del concerto di Genova del 1972 all’Alcione. Teatro Govi, Bolzaneto ingresso da 15 a 20 euro

DA SABATO 6 A DOMENICA 14 OTTOBREPANIFICIO ITINERANTE evento gastronomico a cura di Associazione Panificatori di Genova e Provincia. Piazzale Mandraccio Porto Antico

DOMENICA 7 OTTOBREH 10 SAGRA DELLA PATATA Esposizioni, giochi, pata-tine fritte e tradizionale lancio della mongolfiera. RovegnoH 13 SAGRA DEI RAVIOLI Passo della Scoffera, Davagna

GIOVEDI’ 11 OTTOBREH 19 CINETRUOGOLI, Proiezione di “Le voci del Ta-naro” di Sandro Bozzolo e Alessandro Ingaria. Piazza Truogoli di Santa Brigida H 2030 ATTENTI A QUEI TRE: Tullio Solenghi, Maurizio Lastrico e Enzo Paci sono i protagonisti di un recital orga-nizzato in occasione del Salone Nautico. Teatro della Corte

DA VENERDI’ 12 A DOMENICA 14 OTTOBREH 10/22 MOSTRA MERCATO BENEFICA DI VINTA-GE. Il ricavato servirà ad assicurare un pasto al giorno per i bambini di un campo profughi Etiopia. Palazzo Ducale

SABATO 13 E DOMENICA 14 OTTOBREMOSTRA DEL FUNGO E SAGRA DELLA BALLOT-TA. In più, stand gastronomici con polenta, asado, sca-loppine ai funghi, ballotte offerte. Gattorna

DOMENICA 14 OTTOBREH 1030 CASTAGNATA A CROCEFIESCHI polenta,

salami alla brace e patate fritte, rustie, panini con la mostardella e crepes.

DA MARTEDI’ 16 A DOMENICA 21 OTTOBREH 2030 (DOM ORE 16) LA GRANDE MAGIA: Luca De Filippo propopne una delle opere più significative del repertorio di Eduardo De Filippo. Teatro della Corte

VENERDI’ 19 OTTOBREH 21 ACIDO FENICIO Mimmo Carunchio, malavitoso pugliese racconta la sua vita, dall’infanzia da sottopro-letario al sacro giuramento, sino all’arresto e al rifiuto di sentirsi pentito. Musica dal vivo a cura dei Sud Sound System. Teatro Cargo, piazza Odicini Voltri

DA SAB 20 OTTOBRE A DOM 18 NOVEMBREIL MALLOPPO, spettacolo tratto da un’opera di Joe Orton. Teatro della Gioventù

DOMENICA 21 OTTOBREH 12 CASTAGNATA E POLENTATA A SCIARBO-RASCA. Primi e secondi piatti e altre prelibatezze di stagione. Sciarborasca

DA MARTEDI’ 23 A SABATO 27 OTTOBREH 21 FICARRA E PICONE nello spettacolo “Apriti cie-lo”. Politeama Genovese, ingresso da 20 a 24 euro

DA GIO 25 OTTOBRE A DOM 4 NOVEMBREFESTIVAL DELLA SCIENZA 2012: mostre, laborato-ri, spettacoli, conferenze, incontri ed eventi speciali per toccare con mano la scienza in modo efficace e diver-tente. Il tema dominante di questa decima edizione è l’immaginazione.

VENERDI’ 26/SABATO 27 OTTOBREIF THE BOMBS FALLS, festival delle autoproduzioni culturali, artistiche, musicali e artigianali. In programma workshop, laboratori, concerti e incontri Lsoa Buridda

DOMENICA 28 OTTBREROMAIN VIGO IN CONCERTO. Uno dei più talen-tuosi artisti reggae giamaicani presenta il nuovo album “The System”. Csa OPinelli, via Fossato Cicala

MARTEDI’ 30 OTTOBREH 21 CESARE CREMONINI IN CONCERTO. 105 Sta-dium, biglietti dal 25 a 35 euro

NEL MESE DI NOVEMBRE IL PRIMO GRANDE EVENTO DI ERA SUPERBA:

MUSICA, ARTE, DEGUSTAZIONI DI BIRRA E DJ SET…PER AGGIORNAMENTI SEGUICI SUI NOSTRI CANALI E SUL

NOSTRO SITO: www.erasuperba.it

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