emmaus settembre 2011

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ANNO 5 - N. 3 SETTEMBRE-OTTOBRE 2011 - Piazza Libertà, 2 - 30024 MUSILE DI PIAVE - Tel. e Fax 0421.52308 - E-mail: [email protected] Apriamo questo nuovo numero di Emmaus con la foto della nuova comunità di suore che verranno a vivere a Musile dal 14 ottobre prossimo e poco per volta si metteranno a servizio della nostra Collaborazione Pastorale. Perchè i loro volti in questa copertina? Perchè proprio i loro volti sono segno eloquente e di gran lunga controcorrente di questi tempi, in una società come la nostra. Perchè? Per vari motivi: • Le comunità di suore sono sempre più rare e ormai nella gran parte dei casi sono suore anziane; vedendo una suora un bambino mi ha chiesto se era una donna vesti- ta con il burka! Mancava una comunità di suore a Musile da 40 anni!!! • Il valore della consacrazione, del per-sempre, della scelta libera e liberante dei voti di povertà, castità e obbedienza sembrano non essere più di moda, anzi vengono derisi e disprezzati come “cose” retrograde, antiche e inumane. • Tutti noi ricordiamo le suore (di un tempo) con il loro abito, con il velo in testa e, i nuovi ordini presenti anche nella nostra diocesi, ci insegnano a guardare alla consacrazione femminile non dal punto di vista estetico ma come ad un servizio e una testimonianza dove la donna resta se stessa anche nella semplicità dell’abito: vederle con il loro abito ci dà un segno particolare di vicinanza e di rispetto... e “parla da solo”! • Soprattutto avere tra noi delle suore di un’altra cultura, di un altro “co- lore”, con ruoli diversi da quelli di un tempo (scuola materna, catechi- smo...) di questi tempi può farci solo un gran bene: vuol dire accoglienza della diversità, finalmente un possibile dialogo con chi consideriamo a volte “usurpatore” della nostra terra. Dopo il lungo tempo in cui noi “bianchi” siamo andati ad evangelizzare (e a volte a conquistare) i paesi più poveri, ora viviamo nell’ottica dello scam- bio tentando di essere un pò più umili e non mettere al centro solo il nostro modo di conoscere Gesù, ma anche la bellezza e la fantasia dello Spirito che apre vie e strade per noi ancora inedite. Siamo noi, forse, ad aver bisogno ora di essere evangelizzati... • Le suore che arrivano sono Francescane e potranno ricordarci, come ha sottolineato il nostro Vescovo nella lettera di consenso, che proprio lo spirito francescano, con tutti i suoi grandi valori, possa penetrare qui, nelle nostre parrocchie, nelle nostre famiglie. MUSILE DI PIAVE, CHIESANUOVA, MILLEPERTICHE, PASSARELLA, SANTA MARIA DI PIAVE, CAPOSILE, CROCE DI PIAVE

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Collaborazione Pastorale di Musile di Piave - Emmaus Settembre 2011

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Page 1: Emmaus Settembre 2011

ANNO 5 - N. 3 settembre-OttObre 2011 - Piazza Libertà, 2 - 30024 mUsILe DI PIAVe - tel. e Fax 0421.52308 - e-mail: [email protected]

CONTROCORRENTEApriamo questo nuovo numero di Emmaus con la foto della nuova comunità di suore che verranno a vivere a Musile dal 14 ottobre prossimo e poco per volta si metteranno a servizio della nostra Collaborazione Pastorale. Perchè i loro volti in questa copertina?Perchè proprio i loro volti sono segno eloquente e di gran lunga controcorrente di questi tempi, in una società come la nostra. Perchè?Per vari motivi:• Le comunità di suore sono sempre più rare e ormai nella gran parte dei casi sono suore anziane; vedendo una suora un bambino mi ha chiesto se era una donna vesti-ta con il burka! Mancava una comunità di suore a Musile da 40 anni!!!• Il valore della consacrazione, del per-sempre, della scelta libera e liberante dei voti di povertà, castità e obbedienza sembrano non essere più di moda, anzi vengono derisi e disprezzati come “cose” retrograde, antiche e inumane.• Tutti noi ricordiamo le suore (di un tempo) con il loro abito, con il velo in testa e, i nuovi ordini presenti anche nella nostra diocesi, ci insegnano a guardare alla consacrazione femminile non dal punto di vista estetico ma come ad un servizio e una testimonianza dove la donna resta se stessa anche nella semplicità dell’abito: vederle con il loro abito ci dà un segno particolare di vicinanza e di rispetto... e “parla da solo”!• Soprattutto avere tra noi delle suore di un’altra cultura, di un altro “co-lore”, con ruoli diversi da quelli di un tempo (scuola materna, catechi-smo...) di questi tempi può farci solo un gran bene: vuol dire accoglienza della diversità, finalmente un possibile dialogo con chi consideriamo a volte “usurpatore” della nostra terra. Dopo il lungo tempo in cui noi “bianchi” siamo andati ad evangelizzare (e a volte a conquistare) i paesi più poveri, ora viviamo nell’ottica dello scam-bio tentando di essere un pò più umili e non mettere al centro solo il nostro modo di conoscere Gesù, ma anche la bellezza e la fantasia dello Spirito che apre vie e strade per noi ancora inedite. Siamo noi, forse, ad aver bisogno ora di essere evangelizzati...• Le suore che arrivano sono Francescane e potranno ricordarci, come ha sottolineato il nostro Vescovo nella lettera di consenso, che proprio lo spirito francescano, con tutti i suoi grandi valori, possa penetrare qui, nelle nostre parrocchie, nelle nostre famiglie.

MUSILE DI PIAVE, CHIESANUOVA, MILLEPERTICHE,PASSARELLA, SANTA MARIA DI PIAVE, CAPOSILE, CROCE DI PIAVE

Page 2: Emmaus Settembre 2011

La nostra Fondatrice Madre Francesca Rubatto con altre cin-que giovani il 23 gennaio 1885 diede origine ad una nuova famiglia religiosa a Loano (in provincia di Savona). Nel 1892, a soli sette anni dalla fondazione e dopo aver dato vita già a sei case in Italia, partì per l’America Latina e nello stesso anno, dopo aver avviato un’attività apostolica a Montevideo (Uruguay), si portò a Rosario (Argentina), per aprirne un’altra. Nel 1899 da Montevideo si inoltrò con sei giovani suore nelle selve brasiliane del Maranhao con l’unico desiderio di portare il messaggio di salvezza ai fratelli più abbandonati: gli indios. Nel 1901 la Madre Fondatrice rimpiangerà di non aver avuto la grazia di essere stata inviata con le sue sette care sorelle missionarie martirizzate dagli stessi indios a cui avevano dedicato il meglio della loro esistenza.Grandi e diverse furono le opere che ella aprì nei vent’anni che guidò l’Istituto. Il 6 agosto del 1904, festa della Trasfigurazione, in Uruguay, sorella morte ferma il suo passo apostolico tra i suoi poveri per stare per sempre con quel Dio che già in terra aveva tanto amato.Lasciò una famiglia estesa oltre l’oceano, erano già tante le opere da lei iniziate e che continuano tuttora tra-mite le sue figlie presenti oggi in: Europa (Italia, Romania), America Latina (Uruguay, Argentina, Brasile, Perù, Ecuador), Africa (Eritrea, Etiopia, Kenya e Camerun). Noi figlie di Madre Francesca Rubatto, secondo le necessità, realizziamo il nostro apostolato educativo a fa-vore dei giovani tramite scuole, oratori..., aiutiamo la gioventù più povera e abbandonata in luoghi meno svi-luppati e sprovvisti di insegnamento religioso e particolare attenzione si presta agli orfani tramite le adozioni e con carità assistiamo i malati sia a domicilio che negli ospedali considerandoli come le membra sofferenti di Cristo. Seguendo l’esempio e lo zelo di Madre Francesca ci rechiamo in terra di missione per evangelizzare i nostri fratelli riconoscendo ciò come una grazia speciale fatta alla nostra comunità. Nei tempi di emergenza ci poniamo accanto ai nostri fratelli condividendo le loro sofferenze e disagi.

Ora vi accenniamo la nostra realtà di Suore Cappuccine, figlie della Beata Madre Francesca Rubatto, missio-narie in Eritrea 1964.

Breve storia delle suore CappuCCine di Madre ruBatto Missionarie in eritrea

La missione dell’Istituto delle Suore Cappuccine in Eritrea ha avuto inizio il 22 agosto 1964 nel villaggio di Segheneiti. Le prime missionarie ad arrivare in Eritrea sono state tre italiane e tre latino-americane uruguayane e comin-ciarono subito la loro missione con la formazione di ragazze locali (mentre il numero complessivo delle suore eritree, comprese le novizie, è di 113). Negli ultimi sette anni la nostra presenza in Eritrea è in 10 stazioni missionarie: Asmara, Segheneiti, Enghela, Mendefera, Adi Quala, Eden, Feledareb, Dellè e Bimbilna, Barentù, “Casa Betlemme” di Asmara.la casa di asmara è la casa centrale essendo anche la sede Provinciale della nostra Congregazione e punto di riferimento per tutte le altre.inoltre la Missione di asmara e il Centro adozioni a distanza per gli orfani assistenza ai poveri aperta nel 1970, è attualmente la Casa Madre dell’Istituto delle Suore Cappuccine in Eritrea.A questo Centro si rivolgono le suore che operano nelle 10 stazioni missionarie, con il nostro servizio. Nel campo educativo e sanitario, cerchiamo di rispondere alle innumerevoli necessità di un popolo bisogno-so e sofferente. In Africa siamo presente in Eritrea, Etiopia, Kenya e Camerun.In queste Nazioni l’Istituto realizza:- l’educazione soprattutto a favore dei piccoli nelle scuole (materne, elementari e medie); - la “promozione della donna” con corsi di economia domestica, taglio-cucito e telai, educazione sanitaria e offriamo un microcredito per avviare le ragazze ad un lavoro in autonomia;- l’assistenza sanitaria presso ambulatori o piccoli ospedali che abbiamo nelle periferie delle città ove dif-ficilmente vi è un servizio dello Stato e questa povera gente è abbandonata a se stessa perché non viene raggiunta da nessun servizio;

2 settembre - ottobre 2011

PRESENTAZIONE DELL’ISTITUTO SUORE CAPPUCCINE di Madre Francesca Rubatto

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3SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

- l’assistenza ai poveri, agli orfani e alle vedove malate che pur anziane si trovano a dover educare i piccoli bisognosi dei loro figli caduti in guerra; - la pastorale parrocchiale rivolta non solo agli adulti ma in particolare ai giovani e ai bambini presenti in Paesi poveri moralmente, spiritualmente ed economicamente.

presentazione delle tre suore Che saranno presenti nella parroCChia di Musile

Suor Francesca Weldemicael presta il suo servizio religioso nella nostra Comunità da circa 40 anni e in vari campi. Per 12 anni è stata Consigliera Generale in Italia, ora da 2 anni è rientrata in Patria come Responsa-bile del Centro missioni per Adozione a distanza a servizio dei poveri.Suor Medhin Indrias è religiosa da 27 anni. Nel 1996 a Roma si è Diplomata come Infermiera professionale presso l’Ospedale San Giovanni in Laterano poi in Eritrea ha prestato servizio nei nostri due Centri sanitari di Enghela, Bimbilna e di Feledareb. In quest’ultimo, dove non c’è la presenza del medico, per parecchi anni ha svolto con amore il suo servizio verso i poveri quale Responsabile del Centro. Sr. Biricti Yoseph per diversi anni ha fatto parte delle monache Cappuccine Clarisse in Eritrea ma avendo sempre nel cuore il desiderio di farsi Suora Cappuccina di Madre Rubatto, nel 2005 ha deciso di passare nel nostro Istituto che l’ha accolta con gioia. Grazie, unita nella preghiera

Suor Hiwot Angelica

La lettera della Superiora Generale

La risposta del nostro Vescovo

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4 settembre - ottobre 2011

Mancano veramente pochi giorni alla partenza di don Vanio e questo numero di Emmaus è caratterizza-to dai saluti: c’è chi arriva e c’è chi parte. Io, questa volta, seguo chi ci lascia… Scrivere qualche cosa su un sacerdote in partenza, a prescin-dere che sia piaciuto o meno, che vi si abbia lavorato insieme o meno, è sempre complicato.Cosa scrivere? Quali eventuali aneddoti ricordare? “Buttare tutto a tarallucci e vino” dicendo: era tanto bravo, bello e buono, ci mancherà? Togliersi, finalmente, qualche sasso-lino dalle scarpe?Ecco, io ho pensato che la strada migliore da percorrere fosse quella di parlare del don Vanio che io ho avuto la fortuna di scoprire.Faccio una premessa, rischiando di essere considerata un po’ bigotta: nonostante io giri tanto e da tanti anni in parrocchia, ho sempre rite-nuto che tra parrocchiani – anche quelli maggiormente impegnati – ed i sacerdoti ci debba essere la giu-sta distanza, quella giusta distanza che deve partire anche dal sempli-ce anteporre sempre, comunque ed ovunque il titolo “don” al nome del sacerdote in questione. Quan-do don Vanio è arrivato a Musile di Piave il mio impegno in parrocchia si limitava allo scrivere nel giorna-le parrocchiale e quindi la giusta distanza era molto, molto ampia. Il mio rapporto, di conseguenza, con lui si è limitato per tanto tem-po al saluto, a qualche sorriso ed ovviamente alla Santa Messa. Le

sue omelie mi sono sempre piaciu-te molto: mai troppo lunghe, atten-te a sottolineare dei passaggi che inizialmente non sembravano così rilevanti, spesso accompagnate da alcuni aneddoti particolari. Ecco, ho sempre pensato e continuo a pen-sarlo anche adesso che lo conosco un po’ di più che don Vanio durante la celebrazione della Santa Messa cambi completamente. Se incon-trato per strada può sembrare poco espansivo, tutt’altro che ciarliero, un po’ sulle sue, quando celebra ha una sorriso, un modo, un parlare af-fabile, un gesticolare particolare che inevitabilmente conquista l’assem-blea. Il primo passettino verso di lui l’ho fatto l’anno in cui don Mario ha lasciato la nostra parrocchia: di punto in bianco don Vanio ha do-vuto affrontare tutte quelle incom-benze – anche burocratiche – che una parrocchia comporta; in quella occasione, pur con timore di passa-re per pazza ma convinta che non fosse un periodo semplicissimo per lui, mi sono presentata alla sua por-ta per dirgli semplicemente “se hai bisogno sappi che ci sono…”. Da quel momento potrei dire che ho ini-ziato a conoscere e scoprire un don Vanio molto diverso da quello che appare: innanzitutto una persona ti-mida, una persona che sa ascoltare, una persona che – con i suo tem-pi – sa aprirsi. Una persona che sa dare consigli ma che li sa anche ac-cettare. Conoscendolo più da vicino ho potuto apprezzare il suo lavorare con i giovani e per i giovani, cercan-

do sempre modalità diverse e ac-cattivanti. Dall’altro canto ho potuto constatare che anche molti anziani hanno saputo trovare in d. Vanio una persona pronta all’ascolto.Per assurdo ritengo che l’atteggia-mento che mi ha permesso di sco-prire la parte più bella di don Vanio è stato proprio quello che dicevo inizialmente: con i sacerdoti ci deve essere sempre la giusta distanza e credo che questo modo di avvici-narmi a lui sia una delle cose che don Vanio ha apprezzato di più.Quanto detto fino ad ora non vuo-le essere un ritratto melenso: sono la prima che – bonariamente – ho criticato la sua auto dicendogli “ma quando vai agli incontri con altri sacerdoti vai in autobus per non far vedere la tua super automobi-le” oppure “quando butti via le tue bellissime magliette e indossi un bel clergyman che ti dà l’aria del prelato che altrimenti fatica a trasparire?” ma sono anche la prima che ritiene sia doveroso dire che don Vanio è una persona che va scoperta pian piano.Volete sapere quando ho capito di essere riuscita a fare un piccolo bu-chino nella corazza che la sua timi-dezza ha creato?Qualche mese fa –un sabato pome-riggio – mi ha raccontato la storia della sua vocazione: per me è stato un grande dono …Termino queste righe rivolgendomi direttamente a lui: “caro DON Vanio grazie per questi anni di tua presen-za e grazie per quanto sei riuscito a comunicare a tutti noi anche sem-plicemente con le tue omelie … Permettimi di dirti una cosa, che già una volta ti ho detto e che tu sai es-sere quello che penso veramente: non sei una persona semplice, non sei quello che perché è prete chiac-chiera con tutti, fa “commarò” con grandi e piccoli, considera tutti suoi amici e fa a gara per cenare o pran-zare ogni giorno in una casa diversa. Sei una perla o come tale non la si trova lungo le strade, e negli angoli delle casa ma va cercata con pa-zienza e non è detto che la ricerca sia fruttuosa ma se la si trova …”.

Barbara Fornasier

COME SALUTARE DON VANIO? 17 settembre 2011

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5SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

Carissimi amici, vi chiamo già così perché inizio a sentirvi tali. Per ora vi raggiungo tramite questo scritto, in attesa di incon-trarvi personalmente, magari uno ad uno se fosse possibile…Mi accingo a scrive-re questo articoletto di presentazione il giorno dopo aver salutato la comunità di Piombino Dese. E’ stata una giornata im-pegnativa, che non credevo di vivere in maniera così intensa anche dal punto di vita affettivo ed emotivo. Mi ero prepara-to al passaggio e alla vigilia del saluto ero piuttosto sereno. L’affetto della gente lo conoscevo, ma sono rimasto stupito di ciò che il Signore opera nelle nostre persone, nelle relazioni che si instaurano tra noi, so-prattutto se vissute nel Signore. Dico que-sto non con senso di nostalgia o volontà di non andarmene da Piombino. Lo dico perché penso che anche per don Vanio sia simile lo stato interiore… quando si lascia c’è sempre uno strappo. Però come dice-vo ieri alla gente di Piombino, fin da subito, quando ho saputo del mio trasferimento tra voi, una certezza si è stampata nel mio cuore e nella mia coscienza: è volontà di Dio ciò che sta succedendo. Non è una frase fatta per me… è una consapevolez-za di un’evidenza disarmante: è Dio che sta conducendo questa fase della mia e della vostra vita. Quando entro in questa prospettiva vengo invaso da pace e sere-nità. Per questo e con questa forza sento di poter superare senza eccessivi traumi il distacco da Piombino e vivere a pieno la nuova avventura con voi. Ora che ho sa-lutato sento nascere in me il desiderio di incontrarvi e ringrazio il Signore per que-sto desiderio… mi permetterà di buttarmi, di coinvolgermi con tutte le mie energie. Come ho accennato, sono stato 5 anni a Piombino Dese e sono stati i miei primi anni di sacerdozio, nei quali ho imparato ad essere prete. Onestamente riconosco che sto ancora imparando e questa acqui-sizione avviene stando in mezzo alla gen-

te, cioè vivendo il ministero. Ogni persona è fondamentale affinché io diventi sempre più sacerdote di Cristo. E’ bello questo perché anche ora, senza di voi, io non potrò diventare sempre più ciò che già sono per Grazia. Prima di diventa-re sacerdote sono stato tre anni a Spinea di Mestre dove ho incontrato una realtà sociale ed ecclesiale molto stimolante che ha svegliato in me l’interesse per l’evan-gelizzazione, interesse che ho coltivato in questi anni visto che ormai dappertutto bi-sogna entrare nella logica di trasmettere la fede in forme nuove, più che mantenere in piedi ciò che c’è. Anche questo, ma non ci si può accontentare di conservare l’e-sistente. Prima ancora di andare a Spinea ho fatto l’anno Siloe di animazione voca-zionale in giro per la diocesi e prima an-cora ho vissuto due anni di servizio il fine settimana a Salvarosa di Castelfranco. Non posso dimenticare le mie origini, an-che se probabilmente già le conoscete. Sono da Istrana e nacqui 34 anni fa da una famiglia che mi ha educato alla fede fin da piccolo. Ricordo questo perché se oggi sono quello che sono lo devo sicura-mente ai miei genitori che mi hanno dato la vita e mi hanno introdotto all’amicizia con Gesù. Ora vengo da voi…quali sono le mie attese? Beh, cerco di non farmene. Voglio vivere tutto quello che mi sarà chiesto di vivere, da prete, secondo i motti dello Spi-rito (almeno questa è la mia intenzione…spero di essere docile…). Porto nel cuore il desiderio di conoscervi, personalmente magari, il desiderio di amare, in Cristo. I giovani mi stanno particolarmente a cuo-re, ma so che per amare ed impegnarsi con i giovani è necessario vivere il vangelo come adulti, quindi non potrò di certo non coinvolgermi con le famiglie. Per incontra-re le famiglie il canale dei bambini è tra i privilegiati, quindi anche loro non possono essere messi in disparte. E poi gli anziani e gli ammalati sono fonte di Grazie spirituali per una comunità cristiana perché parteci-pano alla croce di Cristo, quindi sono fon-damentali le loro presenze e la loro cura. Insomma, desidero buttarmi a 360°, poi farò il possibile, cosciente della mia fragile umanità. Un forte stimolo mi è dato dalla realtà della collaborazione pastorale. E’ la mia prima esperienza di questo tipo, quin-di dovrò imparare. Invoco pazienza da voi e così già vi farò del bene perché la pa-zienza è la virtù dei forti.Bene, per ora mi fermo qui. Avremo modo di conoscerci i prossimi anni. Vi ringrazio fin d’ora dell’accoglienza e attendo di in-contrarvi per camminare assieme ed an-nunciare assieme a voi il vangelo a chi lo sta dimenticando. A presto!

don Michele Pestrin

UNA NUOVA AVVENTURA…1° ottobre 2011

ELENCO DEI CAPPELLANI SUCCEDUTISI NELLA PARROCChIA

DI MUSILE DAL 1866 AD OggI

1. don Agostino Cozzani 1866 2. don Giuseppe Cian 1868 3. don Giobatta Sondero 1873 4. don Giorgio Cassetti 1877 5. don Angelo Zappalorto 1880 6. don Mario Passapi 1883 7. don Antonio Boaro 1884 8. don Giovanni Tieppo 1888 9. don Giuseppe Manzan 1897 10. don Luigi Ziggiotti 1900 11. don Angelo Pastega 190112. don Angelo Barbisan 1902 13. don Luigi Bonaldo 1905 14. don Giovanni Tisato 1906 15. don Luigi Ferro 1921 16. don Angelo Bigolin 1922 17. don Giovanni Cusinato 1924 18. don Fiorino Stangherlin 1929 19. don Carlo Davanzo 1932 20. don Alberto Goegan 1937 21. don Antonio D’Andrea 1943 22. don Bruno Trento 1953 23. don Bruno Guarnier 1954 24. don Valentino Benetton 1955 25. don Mario Benacchio 1958 26. don Giovanni Mason 1959 27. don Enrico Cagnin 1964 28. don Luigi Pasinato 1966 29. don Giuseppe Momesso 1972 30. don Giancarlo Ruffato 1974 31. don Artemio Favaro 1975 32. don Carlo Parisotto 1982 33. don Livio Buso 1983 34. don Lino Magoga 1987 35. don Giuliano Comelato 1990 36. don Samuele Facci 1994 37. don Giulio Zanotto 1998 38. don Marco Cagnin 1999 39. don Vanio Garbujo 200540. don Michele Pestrin 2011

Page 6: Emmaus Settembre 2011

L’eremo della Ghisiola o Chiesa di Santa Maria della Rosa sorge nel comprensorio delle colline more-niche, in località Ghisiola, appe-na fuori Castiglione, in direzione Desenzano a pochi chilometri dal Lago di Garda.E’ un luogo essenzialmente di si-lenzio e di preghiera.Ma per quale motivo ci occupia-mo di quest’eremo nelle pagine del periodico della nostra colla-borazione parrocchiale? Perchè in quest’eremo vive una persona alla quale siamo molto lega-ti, alla quale ci uniscono molti ricordi, alla quale vogliamo molto bene; qui vive Moreno Pollon o per meglio dire qui vive Fratel Moreno della Comunità monastica di Bose.Molte volte in questi anni abbiamo cercato di coinvolgerlo chiedendo-gli di raccontare la sua storia e soprattutto il suo cammino ma, visto il suo riserbo, non siamo mai riusciti a farlo.Quest’anno però – e precisamente il 18 aprile – Moreno è diventato fratel Moreno : all’inizio del vespro, Fr. Enzo ha consegnato l’abito monastico a fr. Moreno Pol-lon, come approvato dalla comu-nità …: dopo alcuni anni di discer-nimento … da questo momento fr. Moreno vivrà ufficialmente la Re-gola di Bose come eremita asso-ciato alla nostro comunità..Questa occasione ci è sembrata il momento ideale per spezzare questo riserbo. Chi scrive conosce Moreno da tantissimi anni, ha fatto con lui i primi campi scuola ed ha iniziato insieme a lui a “lavorare” in par-rocchia; sembra ancora di sentirlo cantare a squarciagola “Margheri-ta” di Riccardo Cocciante o di ve-derlo muoversi con passo svelto nelle serre di famiglia.Poi la decisione di intraprendere un cammino diverso caratterizza-to da una particolare discrezione

: Fratel Moreno, che oggi ha 37 anni anni, ha iniziato il suo itine-rario vocazionale nel 1992 prima studiando Teologia a Treviso poi, dopo aver conosciuto Enzo Bian-chi – che gli ha permesso di an-corare il suo vivere solitario ad un riferimento comunitario – avvici-nandosi alla Comunità Monastica di Bose (frazione del Comune di Magnano prov. di Biella). La Co-munità di Bose è una comunità monastica formata da monaci di entrambi i sessi, provenienti da

chiese cristiane diverse.Per spiegare come Moreno sia arrivato all’Eremo della Ghisiola la strada migliore è quella di af-fidarci alla sue parole: “Da molti anni tento la mia sequela al Si-gnore Gesù nella via del celibato monastico per il regno, in una vita di sostanziale solitudine: prima di approdare qui ho abitato per quasi quattro anni un eremo sul Monte Grappa e, sempre in obbedienza al priore della nostra comunità, nel-la fraternità di Bose ad Ostuni, in Puglia e poi all’eremo di Camaldoli in Toscana. Ora mi è stato affidato questo luogo, nel quale vivo il mio “Sì” quotidiano e concretissimo al Signore, e cui tento di dare nuova linfa vitale”. La chiesa dell’eremo è aperta tutto l’anno e vi si svol-gono serate bibliche, ritiri spirituali … In realtà durante l’anno ci sono dei momenti in cui l’eremo non è accessibile; sono i momenti in cui

Moreno si ritira in un più profon-do silenzio come dall’Epifania alle Ceneri, la settimana santa, la set-timana che precede la Trasfigura-zione.Sono molte le persone che rag-giungono l’eremo per parlare con Moreno, per stare in silenzio e per un periodo di ascolto.Certamente l’eremo di Moreno non sarebbe quello che possia-mo ora vedere senza il lavoro e la passione del monaco che vi abita e che nel restauro dell’eremo inve-

ste tutti i suoi risparmi e tutte le offerte.Nell’ascoltare i rac-conti dell’eremo e del-la vita di Moreno tor-na alla mente quanto detto alcuni anni fa da un sacerdote fran-cese: un posto come questo non va cerca-to con la cartina geo-grafica ma trovato nel silenzio e nella pre-ghiera … lui si riferiva al Santuario di Nostra Signora de la Salette ma si possono riferire anche all’eremo della

Ghisiola dove vive il nostro amico Fratel Moreno.

Barbara Fornasier

6 settembre - ottobre 2011

FRATEL MORENO POLLON DELLA COMUNITà MONASTICA DI BOSE

A partire dai primi secoli vi sono stati uomini e donne, chiamati ben presto monaci, che hanno abbandonato tutto per tentare di vivere radical-mente l’evangelo nel celibato e riu-niti in comunità.

«Bose», in provincia di Biella, è una comunità monastica di uomini e donne provenienti da chiese cristia-ne diverse; è una comunità monasti-ca in ricerca di Dio nel celibato, nella comunione fraterna e nell’obbedien-za all’evangelo; è una comunità mo-nastica presente nella compagnia degli uomini e al loro servizio.

La Comunità di Bose

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7SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

Giovedì 4 agosto la Chiesa com-memora Giovanni Maria Vianney, noto come il Santo Curato d’Ars, protettore e modello dei sacerdo-ti. A Chiesanuova in quel giorno la santa messa infrasettimanale fu concelebrata, oltre al parroco don Saverio unitamente a Padre Italo Padovan – carmelitano scal-zo originario di Passarella, a lungo missionario in Madagascar – dai

fratelli gemelli Pietro e Paolo Zan-chetta, anch’essi religiosi carme-litani scalzi, da parte di madre – Emilia Contarin – concittadini di Chiesanuova. Il motivo della loro fugace presenza: il ricordo del 50° anniversario della loro consacra-zione sacerdotale avvenuta nella basilica di San Marco a Venezia il 18 marzo 1961. Nati a Stretti di Eraclea nel 1937, a soli 10 anni, nell’Italia appena uscita dal caos della seconda guerra mondiale, entravano come studenti nel colle-gio vocazionale di Verona, inizian-do così la loro formazione relisiosa e il lungo corso di studi di prepara-zione al sacerdozio. Nel 1965 p. Pietro s’involava verso il Giappo-ne, nazione a cui la pesante scon-fitta militare imponeva l’apertura totale al mondo occidentale di-ventando quindi territorio di nuova missione. La cultura giapponese da subito si dimostrò refrattaria all’annuncio cristiano e tuttora i cristiani sono una infinitesima mi-noranza, anche se sono spesso al centro dell’attenzione naziona-le per la loro presa di posizione

quando si tratta della difesa della vita e la loro costante presenza a fianco degli ultimi. In tutti questi 46 anni p. Pietro si è perfettamente inculturato dello stile di vita giap-ponese, molto diverso dal canone occidentale soprattutto per una maggiore sensibilità spirituale ed estetica, che non si oppone tutta-via ad uno stile di vita materialisti-co e consumistico, come lo è del

resto il nostro, di radice cristiana. Da sempre p. Pietro per vivere deve contare sul proprio lavo-ro di direttore di scuola per l’infanzia (300 alun-ni circa), ambiente che anima in prima persona anche facendo riscopri-re alle giovani coppie i valori tradizionali : è infatti maestro nell’arte della cerimonia del te e della composizione

floreale (ikebana). Per la sua lun-ga attività nel campo educativo e formativo nel 2010 ha ottenuto un prestigioso riconoscimento na-zionale (Ordine del Sacro Tesoro), molto esclusivo, consegnatogli dallo stesso imperatore con il qua-le ha condiviso nell’occasione un momento di preghiera.Di diverso respiro la storia paral-lela del gemello p. Paolo, sceso in Madagascar solo qualche anno dopo la partenza del fratello, na-zione dove ha profuso le proprie energie in situazioni classiche – catechi-smo e formazione, vita pastorale in varie par-ti dell’isola, costru-zione di asili, scuole, chiese - e soprattutto assistenza e cura di minori abbandonati e portatori di handi-cap. Per quest’ultima attività già nel 1999 ha ricevuto pure lui un riconoscimento nazionale. E’ stato simpatico vedere

l’orgoglio con cui i due acciacca-ti settantenni mostravano ai circa 100 partecipanti nel salone del-la parrocchia le pesanti medaglie appese al petto.Durante i discorsi celebrativi am-bedue hanno ricordato, infine, il ponte di aiuti concreti che per tanti anni, anche dopo il rientro avvenu-to in Italia di p. Paolo nel 2005, ha unito un paese ricco come il Giap-pone al Madagascar molto pove-ro: erano gli stessi bambini giap-ponesi dell’asilo a portare i propri risparmi e regali che assieme ad altro materiale raccolto venivano sistematicamente spediti via nave e poi dati ai coetanei malgasci. Storie molto singolari quelle emer-se in quelle poche ore e che hanno un denominatore comune: annun-ciare e testimoniare il Cristo Salva-tore, uomini tra gli uomini. Comu-ne e pressante anche la preghiera perchè il Padre mandi altri giovani operai – sono sempre pochi – nella sua messe, che è sempre molta.

Roberto Zanchetta

ChIESANUOVA: gEMELLI E MISSIONARI!

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8 settembre - ottobre 2011

Carissimi Padrini e Madrine, Amici e Amiche del Seminário San Giuseppe di Manaus, voglio mandarvi queste poche righe, dopo il mio ritorno in sede, per ringraziarvi della vostra collaborazione e della vostra condivisione in favore della nostra Casa di Formazione. Sono giá in casa e la danza del secondo semestre é giá in andamento. In questa settima-na si prevedono giá due delle 11 ordi-nazioni diaconali previste. Giá 3 preti sono entrati in questo período nella li-sta dei missionari per la grazia di Dio. Le celebrazioni che accompagneranno questo tempo fino a Natale e che costi-tuiscono la nostra grande trepidante e indicibile gioia, hanno anche giá comin-ciato a caratterizzare il decorrere della grande avventura del Seminario, sem-pre attento e vigilante nella dimensione formativa. In questa settimana stiamo preparando alcuni seminaristi perché partecipino a un Corso sulla Pastorale Giovanile legata alla Liturgia che si terrá in São Paolo; essi stessi giá vi ringra-ziano per la vostra solidarietá. Senza dubbio San Giuseppe, il nostro Patrono e la Madonna di Amazzonia, ci stanno assistendo con una speciale protezio-ne. Noi pensiamo, infatti, che é grazie a loro, a questa santa Famiglia cioé, che stiamo programmando le nostre attivitá formative insieme alla prossima inaugu-

razione del Seminario Propedeutico che abbiamo ristrutturato in una ala della nostra Casa San Giuseppe dopo che gli assalti dei banditi ci avevano costretto ad abbandonare, nella prima periferia a circa sette km da qui, il nostro Semi-nario Buon Pastore. Vi mando queste informazioni per dirvi che non stiamo dormendo e che ci stiamo preparando con perseveranza e fiducia alla festa del nostro Patrono che si terrá il 28 di ago-sto prossimo dopo aver invitato, come di consueto, tutte le comunitá cristiane di Manaus, che ci sostengono e simpa-tizzano per noi, a partecipare. Abbiamo trovato anche qui, infatti, Padrini e Ma-drine, Amici e Amiche che sostengono la nostra attivitá formativa basata sulle Nuove Direttrici emanate quest’anno dalla CNBB: Conferenza Episcopale del Brasile che, in comunione con il Vange-lo e con la 5a Conferenza di Aparecida che ha visto la partecipazione di nume-rosi Vescovi dell’ America Latina, vuole condurre tutti i Seminari del nostro Pa-ese brasiliano, in sintonia con il Con-tinente, alla formazione di Discepoli-Missionari qualificati e donati a Cristo e alla sua Buona Notizia. Come vi dicevo, é una danza avvincente la nostra, bem sapendo che l’ avventura che abbiamo accettato di vivere qui, non é senza sfi-de e impegni per tutti i nostri Seminari e,

in particolare, per il nostro che, dentro l’Area Amazzonica sta disponendosi ad accogliere qui, in Manaus, tutti i Forma-tori dei Seminari del Nord per una Prima e Generale Assemblea che si terrá dal 5 all’ 8 di settembre, in ascolto alle tante sollecitazioni e interpellazioni presenti in questo cambio di epoca, cosí com-plessa, globalizzata e segnata dall’era informatica e digitale. Il contenuto fon-damentale a essere passato per queste giovani generazioni che si dispongono alla Sequela, é sempre Gesú, la sua per-sona, il suo annuncio, dentro alla peren-ne novitá della missione. Sono convinto che continuerete a pregare per me, per noi tutti e, specialmente, per i prossimi ordinandi Diaconi, perché aprofonden-do l’ ANIMA del SERVIZIO e della sem-pre disponibile DIACONIA configurata a Cristro Servo, corrispondano sempre piú al vigore del Vangelo, all’ ardore del-la Missione e alla forza poderosa dello Spirito che, potrá renderli atti, anche grazie alla vostra costante intercessio-ne, ad assumere con coraggio la pro-pria martiría (testimonianza), fin alle piú estreme conseguenze come lo é stato per il Maestro Gesú: il Signore. Con rinnovato affetto vi saluto e vi ab-braccio.

Padre Olindo Furlanetto Manaus, 18 agosto 2011

LETTERA DI DON OLINDO FURLANETTO DA MANAUS (Brasile)

DUE INIzIATIVE MISSIONARIE

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9SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

Pare che denigrare la Chiesa vada di moda: certo, non sempre le scelte – soprattutto se riconducibili a certi ver-tici di questa nostra istituzione – della Chiesa sono condivisibili ma non per questo deve potersi far lecita ogni ge-nere di propaganda negativa, spesso riconducibile a personaggi che nel film “Il compagno don Camillo” sarebbero detti “mangiapreti”, volta a spazzare via tout court un’opera essenziale per le no-stre comunità. Non volendo né potendo retrocedere eccessivamente nel tempo, identifichiamo le origini della questione sul regime giuridico degli enti ecclesia-stici in Italia nell’epoca risorgimentale e nei primi anni successivi all’unità nazio-nale. È in questo contesto, pervaso da uno strano spirito liberale, che si regi-strano le prime discussioni sull’oppor-tunità di ridimensionare l’influenza della Chiesa nel neonato Regno d’Italia ed è in questo quadro storico che si inizia a parlare dei cosiddetti provvedimenti (le-gislativi) odiosi passati alla ribalta con la locuzione “leggi eversive dell’asse ecclesiastico”, volti, tra l’altro, a soppri-mere ogni ente ecclesiastico non dedi-to alla cura delle anime, all’istruzione e l’assistenza religiosa. Apice di questa corrente sarà la nota “legge Crispi”, probabilmente (ad avviso di chi scrive) ripresa dal tanto compianto spirito rivo-luzionario francese che nel 1791 diede vita alla legge “le Chapelier” finalizzata a generare il nulla tra il cittadino e lo Stato (vietava ogni forma di associazionismo o la costituzione di “corpi sociali inter-medi”) – per dirla riadattando un titolo di Rino Camilleri. Non ci si poteva atten-dere altro dalla “legge Crispi”: avviò la nazionalizzazione degli enti ecclesiastici di beneficienza, le opere pie e altri enti dediti, in tutto o in parte, all’assistenza ai poveri, all’educazione o al migliora-mento morale ed economico. Con ciò seguì altresì l’accentramento dell’eroga-zione di prestazioni caritatevoli e il con-trollo statale sui bilanci di questi enti, rinominati “IPAB”. Solo nel 1988, qua-si un secolo dopo l’introduzione della “legge Crispi”, con una sentenza della Corte costituzionale, sarà attuato – per quanto relativo agli “IPAB” – il principio dell’articolo 38 della Costituzione se-condo cui “l’assistenza privata è libera”. In ogni caso dalla “legge Crispi” ad oggi si devono ricordare numerosi passi che hanno definito, mediante leggi e accordi politici, il regime giuridico attuale degli

enti ecclesiastici che, per esse-re compreso, va letto nell’ambito del suo evolversi storico. Si ricor-dano, anzitutto, i Patti del 1929, rivisti nel 1984. E sarà dal 1984 che si giungerà alla legge 222/85, attuativa degli accordi dell’anno precedente. Sarà la 222 a forni-re la definizione, fondamentale ai fini della comprensione del fe-nomeno in analisi, di ente eccle-siastico civilmente riconosciuto, sita alla base di ogni altro ragio-namento per questa categoria giuridica di enti. Affinché un bene possa definirsi ecclesiastico e quindi anche sottoposto ad un determinato regime fiscale, esso deve rientrare nel patrimonio di un ente ecclesiastico riconosciu-to come tale dalla legge italiana. È così che la 222 traccia l’iden-tità dell’ente ecclesiastico come ente avente sede in Italia, costi-tuito o approvato dall’autorità ecclesia-stica e con fine di religione e di culto. È questa locuzione – “fine di religione e di culto” – ad essere essenziale ai fini della comprensione della questione poiché è tale il fine perseguito dagli enti facenti parte della costituzione gerarchica del-la Chiesa (ad esempio le parrocchie), gli istituti religiosi e i seminari. Per altri casi è necessaria una verifica di merito effettuata volta per volta per appurare se, effettivamente, il fine di religione e di culto è costitutivo ed essenziale in quel determinato ente che non sia rientrante nelle categorie citate. Deve intendersi – tra l’altro – per fine di religione e di culto quello diretto “all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero (…), a scopi missionari (…), all’edu-cazione cristiana. Sono quindi escluse dalla finalità di religione e di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, “in ogni caso, le attività commerciali e a scopo di lucro”. Ma è proprio vero che gli enti ecclesia-stici godono di particolari esenzioni? In linea di massima gli enti ecclesiastici non sono enti commerciali, tuttavia non sarebbe impossibile, dal punto di vista legale, prevedere provvedimenti gra-ziosi nei loro riguardi purché giustificati ed intrisi di ragionevolezza. Tuttavia la legislazione di riferimento è data legge 121/84 ci fornisce un immagine che fa-rebbe ricredere “L’Espresso” sotto molti punti di vista: agli effetti tributari – infatti

– gli enti ecclesiastici aventi fine di reli-gione o di culto sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione (non necessariamente cattolici) mentre le attività diverse da quelle di religione o di culto svolte dagli enti ecclesiastici deve applicarsi la legislazione, anche tributaria, prevista, ad esempio, per enti commerciali. È così che, ad esempio, l’immobile chiesa sarà esente dall’ici (perché rientrante nel patrimonio di un ente di religione e di culto facente par-te della costituzione gerarchica della Chiesa come la parrocchia) mentre, non essendo esclusa la possibilità per un ente avente fine di religione o di culto possedere un ramo operativo che non si occupa di fine di religione o di culto, l’asilo parrocchiale sarà soggetto ad un regime tributario non privilegiato o diffe-renziato rispetto ad altri asili in analoghe situazione di diritto. Certamente molti immobili, soprattutto in ambito ricetti-vo, oggi esenti da ici non hanno ragione alcuna d’avere esenzioni, tuttavia una precipitosa analisi, svolta sulla scorta – forse – di pulsioni ideologiche, può con-durre a confusioni gravi ed ingiustificate che dipingono la Chiesa più come una fiduciaria estera che come culla di sus-sidiarietà e di iniziativa caritatevole frut-to dell’impegno e della volontà di molti che hanno costruito “dal basso” un fu-turo per tante generazioni, cresciute an-che all’ombra degli oratori.

Luca Cadamuro

SPIEghIAMO UN PO’ qUESTA “SANTA EVASIONE”…

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E’ trascorso quasi un anno dall’inaugurazione della Canonica delle Collaborazioni Parrocchiali, adeguatamente ristrut-turata e rinnovata. Molteplici sono state le motivazioni che hanno spinto, a vario titolo, la comunità di Musile a proget-tare e realizzare la ristrutturazione globale della canonica stessa e nello stesso tempo, fare dei lavori significativi nell’o-ratorio. L’assetto architettonico e strutturale che essa ha acquisito è tuttavia dipeso, in buona parte, dall’orientamento espresso dal Vescovo Andrea Bruno Mazzocato, per questa ed altre aree della diocesi: l’edificio avrebbe dovuto soddi-sfare il principio delle “Collaborazioni Pastorali”, secondo il quale i sacerdoti, a servizio di parrocchie vicine, dovrebbero condividere momenti di vita comunitaria e scelte pastorali. La diocesi si è sentita coinvolta nella realizzazione di questo progetto di ristrutturazione, in quanto il vecchio edificio era inadeguato a rispondere alle esigenze di innovazione richie-ste anche dai profondi cambiamenti sociali in atto. Numerose sono state le difficoltà incontrate, affrontate e superate nel corso di questi anni: tra le varie si possono citare il lungo iter progettuale e le difficoltà per la parrocchia di reperire i fondi necessari per coprire l’impegno economico. E’ doveroso ringraziare nuovamente la Conferenza Episcopale Italiana per l’ingente contributo, la Regione Veneto e la sig.ra Teresa La Cara per il dono alla parrocchia della sua casa. Una nota importante consiste nella scelta di impiegare per il nuovo edificio impianti a notevole risparmio energetico, che per-mettono di rispettare maggiormente l’ambiente e di contenere i costi di gestione sia per la canonica che per l’Oratorio. Ora però desideriamo informare le comunità parrocchiali e pubblicare anche il conto consuntivo dei lavori eseguiti che in questo tempo sono stati definiti e regolarmente pagati e... il debito che resta da saldare.

CANONICA E ORATORIO DI MUSILE: I COSTI FINALI!

Costi CanoniCa

edili Opere edili € 529.956,00

iMpianti Impianti Termo idrico sanitario, condizionamento, elettrico, allarme, rete per PC, impianto fotovoltaico, ascensore € 165.405,00

Finiture Serramenti, pavimenti, scale, pitture, ringhiere ed inferriate € 174.885,00Mobili € 21.600,00Lampadari, tendaggi, lavatrice e lavasciuga € 21.960,00

esterni Marciapiedi interni ed esterni, cancelli e ringhiere, verde, ripristini asfalti € 39.429,00

Costi oratorio

Tetto, bagni, dipinture esterne e ripristini interni, impianti elettrici ed idraulici, fotovoltaico, € 134.303,00

spese teCniChe e aMMinistrative (per entrambi gli edifici) Spese notarili per atti di vincolo, tecniche, amministrative comunali, legali € 86.327,00

totale Costi € 1.173.865,00

FinanziaMentiContributo avuto dalla CEI ( 8 x mille) € 500.000,00Contributo regionale € 51.000,00Vendita beni proprietà della parrocchia € 230.000,00Fondi Parrocchia S.Donato € 49.304,00

totale FinanziaMenti € 830.304,00

deBito da paGare € 343.561,00

settembre - ottobre 2011

Come pagare i restanti 343.561 euro?Certamente con tanta fiducia nella Provvidenza, coscienti che in questi tempi è difficile per tutti arrivare anche alla fine del mese! La Canonica e l’Oratorio non sono proprietà dei preti ma sono proprietà della nostra comu-

nità cristiana. Chiediamo a tutti un gesto di aiuto concreto per poter estinguere il debito il più presto possibile e iniziare al-tri lavori importanti e necessari (mettere a norma l’impianto elettrico della Chiesa, munire la Chiesa di servizi igienici…).Grazie di cuore per ogni gesto di gene-rosità.

Il Consiglio per gli Affari Economici di Musile

P.S: Se qualcuno “con fantasia” vuole pro-porre iniziative per aiutarci ad estinguere il debito contatti pure don saverio.

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“DIO NON è qUEL ChE CREDI”

SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

In questa calda estate 2011 è stata riproposta l’esperienza dello scorso anno e un gruppo di persone (molto più numeroso ed eterogeneo che nel 2010) si è ritrovato il martedì sera, pres-so l’Associazione “Piccolo Rifugio” di San Donà di Piave, per la lettura condivisa di un li-bro di argomento religioso. Il libro proposto è stato “Dio non è quel che credi”, di Jean-Marie Ploux, edito nel 2010 dalle edizioni Qiqajon, la casa editrice della Comunità di Bose. L’autore, vivente (ha 74 anni), sacerdote e teologo, è sta-to vicario generale della Mission de France; ha condotto studi di arabo e islamistica, opera nella formazione ed è impegnato nel dialogo interreligioso e nell’ecumenismo. Un cristiano di grande spessore culturale e con una vasta esperienza pratica in tema di evangelizzazione, come si desume dal modo semplice, sintetico ma esauriente con il quale affronta le domande che da sempre gli uomini, credenti o meno, si pongono: chi è Dio? Come posso definir-Lo? Come posso rappresentarLo? Gli uomini delle varie epoche si sono dati diverse risposte che spesso si sono rive-late false, per cui ai più, siano essi atei, agnostici, credenti di varie religioni, cristiani, l’autore suggerisce: Dio non è quel che credi. Lo stesso mondo “moderno” in cui viviamo sem-bra sconfessare l’esistenza di Dio, non averne bisogno alcu-no. Nel corso della storia, gli uomini hanno cambiato le loro rappresentazioni del mondo e di conseguenza hanno dovuto cambiare la propria rappresentazione di Dio. Se non lo han-no fatto, sono stati combattuti tra la loro vecchia idea di Dio e la loro nuova vita e, non potendo rinunciare alla loro vita e al suo progresso, hanno abbandonato la loro religione. Le scoperte scientifiche e tecni-che e l’evoluzione della società hanno messo in crisi, bollandola come falsa, l’idea “tradizionale” del mondo, rispetto al quale Dio spiegava ogni cosa e così sono state giudicate false anche le rappresentazioni di Dio che fino ad allora l’uomo si era dato. Un Dio creatore? Come conciliarLo con le scoperte scientifiche sull’origine dell’uni-verso e sull’evoluzione dell’uomo? Un Dio padre? Come conciliarLo con l’apparente indifferenza con la quale tratta i suoi figli, gli uomini, lasciando che si uccidano e che cedano ogni giorno al ri-chiamo del male? Un Dio onnipotente? Come conciliarLo con la mancanza di intervento rispet-to alle catastrofi naturali e a quelle provocate dall’uomo? Un Dio castigatore e vendicatore? Come conci-liarLo con l’impunità dei tanti malvagi che popolano la terra e con l’apparente trionfo del male? Un Dio “dei cieli”? Come conciliarLo con la nostra vita, del tutto “terrena”? Un Dio a uso e consumo delle gerarchie, siano esse laiche o religiose, per gestire il potere? Come conciliarLo con quel “cammino libero della coscienza” che deve essere la fede e con le scia-gure causate da coloro che contestano la laicità dello stato, i fanatici, gli integralisti che vorrebbero conformare la società a questo o a quel credo religioso? A tutte queste rappresen-tazioni “tradizionali”, a tutti quelli che le accettano o che le rifiutano, l’autore dice: Dio non è quel che credi. Ma allora, in che modo possiamo parlare di Dio? In realtà, ogni rappre-sentazione rischia di essere falsa, perché Dio è “nascosto”, si può conoscere ma non “sapere” fino in fondo. Se credi di sapere tutto di Dio, puoi essere sicuro che Dio non è quel che credi. Eppure noi abbiamo bisogno di farci un’idea di Dio, di definirlo con qualche parola... Allora, dice l’autore,

esiste una prima regola cui attenersi per capire se quella che hai è una giusta rappresentazione di Dio: se essa va contro l’uomo, contro la sua vita, con la sua umanità, Dio non è quel che credi. Un Dio per l’uomo non può essere altro che un Dio che aiuta l’uomo ad essere più umano e che lo libera da ciò che, dentro o fuori di lui, lo disumanizza. A partire dal relega-re Dio in una dimensione “assoluta”, inalterabile, indiscutibi-le, perché questo uccide l’uomo. Rinunciare all’assoluto non significa che qualsiasi cosa sia uguale ad un’altra oppure che non ci sia alcun valore. Significa che nessuno possiede tutta la verità, che è necessaria la libertà critica, che è indi-spensabile il dialogo con gli altri, che non si è intelligente né credente da solo. Non ha senso nemmeno cercare di “dimo-

strare” l’esistenza di Dio. Un Dio “dimostrato” sarebbe innegabile e quindi si imporrebbe all’uo-mo, privandolo della sua libertà, della possibilità di una fiducia gratuita. In che Dio possiamo quindi credere? Non in un Dio racchiuso in paro-le e immagini valide per tutti i tempi e per tutte le culture poiché un Dio così non potrebbe pren-dersi cura di tutti gli uomini. Il dialogo è essen-ziale alla fede. Tra tutte le definizioni di Dio, le meno sbagliate sono quelle che lo raffigurano al servizio della vita e dell’umanità dell’uomo. Nemmeno vi può essere un Dio a servizio di questo o quel potere laico o religioso: Dio è per tutti e per essere sicuri che lo sia veramente bi-sogna che lo sia in primo luogo per gli ultimi, quelli che non hanno alcun potere. Non possia-mo volere un Dio dimostrato dalla ragione, un

Dio astratto. Né un Dio esattamente contrario a quel che è l’uomo. Insensibile ai suoi limiti e alle sue sofferenze. Né un Dio che giustifichi la sua grandezza sugli sbagli e sulle colpe dell’uomo, pronto a infliggergli giuste punizioni: sappiamo che l’uomo può fare e fa il male ma non vogliamo un Dio che ne approfitti. Non torneremo indietro al mondo “tradizionale” e quindi occorre trovare una strada perché le vecchie rap-presentazioni di Dio non ci oscurino nella nostra ricerca di Lui. Dio non è onnipotente, perché non può forzare la nostra libertà, nemmeno quando compiamo gli atti più orrendi. Dio non esiste in un “cielo” straniero al mondo e alla terra. Dio non è puro Spirito che si oppone alla materia e alla carne dell’uomo. Se così fosse, non ci riguarderebbe, dal momento che, per capirlo, noi abbiamo bisogno che parli il nostro lin-guaggio, che prenda aspetto umano. Molti non credono e non sperano più in Dio ma credono e sperano nell’uomo. Si può credere e sperare nell’uomo senza credere e sperare in Dio ma non si può credere e sperare in Dio senza credere e

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12 settembre - ottobre 2011

CELEBRAzIONE ANNIVERSARI DI MATRIMONIO

Millepertiche24 luglio 2011

Chiesanuova4 settembre 2011

sperare nell’uomo. E nemmeno amare Dio senza amare l’uo-mo perché per chi ha la fede amare Dio e amare l’uomo è la stessa cosa. Il male resta un mistero e l’uomo è grande quando non lo ammette, lo combatte e lo guarisce. E nella nostra sofferenza speriamo in un Dio che si coinvolga con la nostra vita, che ci sia vicino nel dolore e che ci aiuti a varca-re la soglia della morte. Come pensare a Dio, quindi? Per noi cristiani è essenziale una testimonianza: quella di Gesù, un uomo che, con la sua vita e con la sua morte, ci ha mostrato il volto di Dio. Gesù va oltre la concezione “tradizionale” di Dio, lo testimonia nel vivere quotidiano (e ne avrà solo guai, fino a venire ucciso) e manifesta un amore, non astratto ma incarnato, per il mondo e per gli uomini. Nessuno lo aveva capito, nemmeno i suoi discepoli. Non avevano capito il suo vagabondare, il suo stare tra la gente, la sua attenzione agli ultimi. Eppure, guardando la vita di Gesù, noi possiamo ca-pire molte cose di Dio: che Dio non schiva la miseria degli uomini, che è accessibile; che Dio agisce in mezzo agli uo-mini tramite gli uomini: se essi non si prestano, Dio rimane impotente; che l’amore di Dio è gratuito e che Egli ci invita a fare altrettanto per il nostro prossimo; che anche quando tut-to in noi sembra perduto, Dio crede ancora in noi. Se dunque Dio è diverso da quello che noi possiamo dirne, non è perché egli è il contrario dell’uomo, ma perché ci viene svelato in un uomo ed è solo cercando di capire Gesù che noi possiamo capire un po’ chi è Dio e la Sua presenza tra di noi attraverso il Suo Spirito. Da tutto ciò l’autore trae una conclusione ap-parentemente semplice ma enorme: Dio è amore, è solo questo. L’amore è forza e tenerezza, presenza nel rispetto, servizio e fedeltà, dolcezza e lotta quando occorre. Inoltre Dio non “serve” a nulla, non può essere pretesto per il pote-

re, né per isolarsi in una dimensione “ideale”, né per votarsi a Lui estraniandosi dai propri simili... E dov’è Dio? Dove gli uomini amano, si amano, hanno bisogno d’amore. l’a-more di Dio è l’estrema profondità dell’amore dell’uomo per l’uomo. L’amore è la dimensione divina dell’uomo e dell’umanità. L’amore è divino.Ma allora basta amare? Si, “basta” amare, ma è senza fine. E cambia qualcosa amare con o senza Dio? Non cambia nulla oppure cambia tutto. Cogliere che l’amore di Dio è im-pegnato nel nostro amore è la forza per vivere nella fedeltà il nostro intento di vivere per l’uomo. Credere, fidarsi total-mente, amare Dio gratuitamente al seguito di Gesù è gioia nella speranza che l’amore supererà la morte. E’ la gratitu-dine nella gratuità. E anche se non crediamo in Dio, se non possiamo rappresentarci Dio ma soprattutto se ci crediamo, siamo sicuri di non sbagliare e di non sprecare la nostra vita se amiamo gli altri, se li rispettiamo nelle loro differenze e ci sforziamo di dialogare con loro, se ci mettiamo al loro servi-zio e ci poniamo dalla parte dei poveri nella vita e nel mondo.

E’ stata una lettura impegnativa (la consigliamo però a tutti), che ha messo a dura prova molte convinzioni dei presenti. Tutti però hanno risposto attivamente alle provocazioni che emergevano dalle pagine del libro e si sono messi in gioco, dichiarando le proprie perplessità e le proprie difficoltà ad accogliere questi temi ma mai rifiutando il confronto. Se Dio infatti non è quello che ho creduto fino a questo momento, come devo pensarlo, come devo cercarlo, come devo dirlo? E’ un cammino difficile e irto di ostacoli ma il fatto che era-vamo ospiti di una struttura che si occupa dei meno fortunati forse ci indica la giusta strada.

Domenico Fantuz

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Il CPAE è l’organo consul-tivo che collabora con il parroco per una migliore e corretta gestione dei beni mobili, immobili e finanziari della Comunità Parrocchia-le e opera in sinergia con il Consiglio Pastorale Parroc-chiale. Il CPAE ha un nume-ro ristretto di componenti; si riunisce periodicamen-te sotto la presidenza del parroco, per individuare le priorità di intervento, di ma-nutenzione e adattamento

delle strutture parrocchiali, valutare i costi e le moda-lità con cui raccogliere e impiegare le risorse econo-miche necessarie.Il CPAE segue la realizzazione degli interventi stabiliti avvalendosi anche, se ritenuto necessario, di figure esterne, professionalmente competenti.Il CPAE redige annualmente il bilancio economico consuntivo che sarà pubblicato per l’opportuna infor-mazione di tutta la Comunità Parrocchiale.Il CPAE attualmente in carica è composto da vari membri, nominati con Decreto Vescovile, per un quin-quennio. I membri partecipano ai momenti formativi e spirituali promossi dalla parrocchia per tutti gli opera-tori pastorali. Il CPAE si avvale di un/una segretario/a che provvede alla notifica delle convocazioni dei con-sigli e redige i verbali di ogni incontro.Ecco di seguito i nominativi dei CPAE delle 6 parroc-chie della Collaborazione:

parroCChia Musile di piave1. FEDERICA ZOCCOLETTO (segretaria)2. FABRIZIO CALLEGHER (ser. sostegno econ. alla Chiesa) 3. MONICA BOEM4. ANDREA VENTURATO5. MARIO BIANCO6. WALTER MARION7. SAMUELE BENETTI8. GIUSEPPE PERISSINOTTO

parroCChia Chiesanuova1. CATERINA FLORIAN (segretaria)2. DOMENICO CONTARIN (ser. sostegno econ. alla Chiesa) 3. MAURIZIO CARPENEDO4. LUIGINO CARPENEDO5. ADRIANO FINOTTO

parroCChia MillepertiChe1. MARISTELLA DE ZOTTI (segretaria)2. ELIA VENTURATO (ser. sostegno econ. alla Chiesa) 3. PATRIZIA AMADIO4. ORAZIO ERVAS5. GRAZIANO MARIUZZO6. MARIO RUBIN7. ARTEMIO FORCOLIN

parroCChia passarella1. FERRAZZO MARA (segretaria) 2. LORENZON LORENZINO (ser. sostegno econ. alla Chiesa) 3. DALLA FRANCESCA LUCIANO4. DE GIRONIMO LORENZO5. MARIUZZO MAURIZIO6. SALGARELLA GIUSEPPE 7. SENNO DAVIDE8. SIMEONI GIUSEPPE9. ZANIN GIAMPIETRO

parroCChia santa Maria di piave1. TAGLIAPIETRA ELIO (segretario) 2. ZOIA ALESSIO (ser. sostegno econ. alla Chiesa) 3. BOTTAN LUCIA4. CARPENEDO STEFANO5. TALON GIANNI6. ROSSANESE FABIO

parroCChia CaposileNon è ancora completata la costituzione del Consiglio.

Buon lavoro a tutti Coloro Che hanno aCCettato di svolGere, per il Bene delle nostre parroCChie, Questo servizio iMpe-Gnativo.

don Saverio e don Flavio

NUOVI CONSIgLI PARROCChIALI PER gLI AFFARI ECONOMICI (CPAE)DELLA NOSTRA COLLABORAzIONE PASTORALE

SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

don Saverio, don Flavio, don Michele, don Giancarlo Suor Hiwot Angelica, Barbara Fornasier, Roberto Zanchetta, P. Olindo Furlanetto, Adalberta Contarin, Luca Cadamuro,

Domenico Fantuz, Giulia Pivetta, Gloria Basso, Nicola, Anna Carpenedo,Elena De Piccoli, Federico Contarin, Monica Scarabel, Elisa Montagner, Agnese Sternieri, Vittorina Mazzon

Vignette: Natalino Cadamuro

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Il 26 aprile 1986 - esplose il reattore nucleare n. 4 della centrale di Chernobyl nell’ ex stato sovietico. L’incidente rimase segreto per qualche giorno, fino a che la nube radioattiva che si era sol-levata non raggiunse i confini dell’Europa occidentale. Furono 65 le vittime ufficiali del disastro, ma il parlamento europeo ha stimato che le morti presunte riconducibili all’incidente, causate dalle malattie e dalle malformazioni indotte dalla radioattività, possano essere fino a 60 mila in un arco di 70 anni.Sono più o meno queste le parole che si trovano su internet digitando la parola “Chernobyl”; sono passati 25 anni ma nella mia memoria sono ancori vivi i ricordi di quei giorni: ero poco più di una bambina, le notizie che ci giungevano erano frammen-tarie e Chernobyl ci sembrava un al-tro mondo ma, nonostante questo, si capiva che era una cosa grave, una di quelle cose che sarebbero rimaste nella mente. La domanda che mi abitava in quei giorni era ab-bastanza semplice e forse un po’ sciocca: premesso che Chernobyl non è dietro l’angolo se qui da noi ci raccomandano di non mangiare verdura cruda, sperano che non piova perché temono che la pioggia possa essere con-taminata, quanto realmente gravi sono le cose? Effettivamente con il passare del tempo i fatti sono apparsi sempre più nitidi e certamente i racconti di molte donne provenienti da quelle terre in cerca di lavoro come badanti hanno aiutato a fare un’idea più chiara di quanto avvenuto. Un altro aspetto che sicuramente ha contribuito a tenere costantemente vivo il ricordo di quei tragici giorni è l’arrivo puntuale, grazie all’Ass.ne Progetto Chernobyl, ogni estate, di un gruppetto di ragazzini provenienti da quel-la terra martoriata. Volendo saperne di più su questi bambini ospitati nelle “nostre” famiglie ho pensato di chiedere qualche notizia all’assessore Gianni Tamai che in questi anni di incarico politico ha sempre aiutato e favorito questa iniziativa. L’asses-sore, pur ammettendo il suo appoggio incondizionato a questo lodevole progetto, sia favorendo ed aiutando – visto anche il suo incarico – l’associazione che cura e segue l’arrivo di questi bambini e la loro permanenza dei nostri comuni, mi ha suggerito che per comprendere fino in fondo l’esperienza, dove si sono messe in gioco anche varie famiglie del comune di Musile di Piave, l’unica strada da intraprendere fosse quella di andare a fare quattro chiacchiere con una delle famiglie che ha ospitato questi bambini. Quindi, vista l’amicizia di lunga data che mi lega a loro, ho deciso di andare a trovare la famiglia Piasentin.I bambini sono partiti da pochi giorni: com’è andata allora?Anche quest’anno è andata bene ! E’ stata la nostra terza espe-rienza e anche questa volta possiamo ritenerci contenti e non solo per quanto fatto e provato all’interno della nostra famiglia e con la bambina a noi affidata ma anche per quello che abbiamo vissuto anche con le altre famiglie e gli altri bambini.Sono tre anni che fate questa esperienza: come avete iniziato?L’idea ci “solleticava” e inizialmente ci siamo avvicinati solo per capire cosa volesse dire, come funzionasse e quali fossero le dinamiche poi abbiamo capito che se volevamo farlo doveva essere una scelta fatta come famiglia ed era fondamentale che tutti i componenti, ribadiamo tutti, fossero coinvolti.Certamente con il passare degli anni il coinvolgimento dei figli è venuto un po’ a mancare per motivi di lavoro ma continuiamo a sostenere che tutta la famiglia debba contribuire magari sem-plicemente dormendo per un mese sul divano o dividendo la camera con la nuova arrivata.Ma come funziona il prima?Non si deve pensare che tutto inizi e finisca con il mese in cui i bambini si fermano qui da noi. Non ci si può improvvisare geni-tori e fratelli di un bambino che non conosce la lingua, che viene da un paese lontano, che non ti ha mai visto, che arriva in un

“mondo” completamente diverso dal suo. Se i bambini devono abituarsi a noi anche noi dobbiamo abituarci a loro. Sicuramente l’associazione che organizza e segue il tutto è una guida sicura e un aiuto impareggiabile …sarebbe impossibile affrontare il tutto senza il cammino di preparazione che precede l’arrivo dei bam-bini: addirittura ci viene data un’infarinatura sulle basilari parole rus-

se per poter iniziare a comunicare …e poi … E poi finalmente arrivano i bambini. Sempre diversi. L’associazione Pro-getto Chernobyl organizza il mese di permanenza per bambini sempre nuovi: in qualche modo si vuol dare l’opportunità di questa “vacanza sa-lutare” a più bambini possibile.Il mese della loro permanenza è un mese colmo di impegni ludici e di svago ma soprattutto medici. Cer-tamente non si deve scordare che il loro viaggio è un viaggio che ha come primo scopo quello curati-vo: sono bambini che vengono dal-le zone devastate dal disastro delle centrale nucleare di Chernobyl e la

loro salute ed il loro fisico ne portano, purtroppo, i segni.Ma voi cosa sapete di questi bambini? Viene data una sche-da che Vi racconta la loro storia?A dire il vero quello che noi sappiamo di questi bambini è molto poco, qualcosa in più la capiamo da loro durante la loro perma-nenza: alcuni sono poverissimi – ad esempio non hanno nean-che il bagno in casa – altri hanno una situazione familiare più agiata. Quello che però ci viene chiesto dall’associazione è di non “strafare”: non riempirli di regali, non dar loro tutto quello che chiedono, non riempirli di eccessive attenzioni e questo per 2 motivi:1- dopo 30 giorni tornano a casa ed in certi casi potrebbe essere frustrante;2- i bambini tra di loro si guardano e non sarebbe bello che no-tassero differenze tra famiglia e famiglia.E’ ovvio che certe situazioni possano essere vantaggiose: la presenza in famiglia di altri bambini coetanei, un carattere più estroverso del bambino stesso, … ma il tentativo è quello di far sì che i bambini non notino differenze tra le famiglie.La “tecnica” che noi abbiamo adottato in questi anni è quello di considerarlo un po’ il nostro 4° figlio dicendogli i “NO” che diciamo ai nostri figli e permettendogli quello che permettiamo anche ai nostri figli.Ogni tanto qualche voce cattiva si sente … Effettivamente chi rema contro c’è sempre. Chissà se hanno ve-ramente bisogno? Chissà perché sono stati scelti proprio questi bambini? Noi viviamo da dentro questa esperienza e possiamo assicurare l’assoluta bontà del tutto: i bambini che vengono giù hanno ve-ramente bisogno, a volte basta guardare cosa hanno nella vali-gia, anzi spesso non è neanche una valigia bensì un sacchetto di plastica; l’aria che respirano tutto l’anno è veramente disastrosa per loro e purtroppo hanno veramente bisogno dei controlli me-dici che fanno qui da noi.un’ultima domanda: cosa direste per convincere altre fami-glie, per incoraggiarle a fare un’esperienza come la Vostra?Non fatevi domande: chi sono questi bambini? Cosa possiamo fare per loro? Cosa cambia in 30 giorni di permanenza? Sem-plicemente fate. Aprite la vostra famiglia ad un bambino che per 1 mese sarà un altro figlio. E provate a mettervi nei panni di quei genitori che lasciano venire i loro figli in Italia non per una super vacanza studio e per visitare Roma, Firenze, Napoli e Venezia ma per poter migliorare un po’ la loro salute … se vi immedesi-merete in quei genitori spalancherete le porte delle vostra case e, soprattutto, dei vostri cuori.

Barbara Fornasier

ASS. PROgETTO ChERNOBYL DEL BASSO PIAVE:QUATTRO CHIACCHIERE PER COMPRENDERE MEGLIO

settembre - ottobre 2011

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Anche quest’anno, come è abi-tudine fare, si è svolto il campo-scuola di terza media (dal 21 al 28 agosto) che a sorpresa di tutti non è stato vissuto a Valle di Cadore, bensì a Voltago Agordino, una lo-calità tranquilla nei pressi della cittadina di Agordo (BL). Eccitati di vivere quest’esperienza in un luogo diverso, noi giovani di ter-za media abbiamo iniziato così il campo a cui hanno partecipato 41 ragazzi, la maggior parte prove-niente da Musile, ai quali si sono aggiunti due gruppetti provenienti da Chiesanuova e Passarella.Così, dopo aver salutato per bene i nostri genitori, siamo saliti in pul-lman insieme ai nostri animatori e ci siamo avviati verso Voltago Agordino. Già dal viaggio iniziale in corriera si è capito che quello di quest’anno non sarebbe stato un campo tranquillo… Appena arri-vati, abbiamo scaricato le valigie, sistemato le camere e dopo me-

renda, abbiamo iniziato la prima attività del campo: la suddivisione in gruppi. I gruppi erano 4 ed era-no rappresentati dai 4 semi delle carte da poker: cuori, quadri, fiori e picche. Dopo questo momento “molto impegnativo” noi, ragaz-zi ed animatori ci siamo concessi un piccolo tempo di pausa per poi iniziare il momento più importan-te della giornata: la Santa Messa. Dopo aver cenato di gusto, ci sia-mo ritrovati nel piazzale esterno della casa per iniziare i giochi di buon inizio campo che sono durati fino a tarda notte. Successivamen-te ci siamo avviati verso le nostre camere per dedicarci al momento più “tranquillo” e “rilassante” (so-prattutto per il capo-campo) di tutto il campo-scuola…il riposo notturno!!! La giornata successiva, iniziata con un “dolce” risveglio, si è rivelata alquanto interessante e divertente non solo per le attività ed il “quizzone” dopo cena

(dove qualcuno ha fatto “strage” di punti!!!) ma per l’aspetto socia-le del campo in quanto noi ragaz-zi abbiamo potuto non solo fare amicizia tra noi, ma anche con gli animatori. Mercoledì è stata la giornata con più lamentele da parte delle ragazze…giorno della camminata! Molto faticosa quella di quest’anno, la classica passeg-giata in montagna si è suddivisa in vari momenti nel corso della gior-nata: l’andata, svoltasi camminan-do per il bosco; la pausa, in cui più volte il don ci aveva detto che ci saremmo accampati lì per la notte ed infine il ritorno, compiuto ini-zialmente percorrendo in discesa una pista da sci (non pochi sono i caduti in questa tratta) e poi tor-nando a casa, facendo un buon

Cari lettori, quest’ anno abbiamo fatto davvero una bella esperienza al campo scuola, piena di diverti-mento, giochi e attività interessan-ti!!! Quest’anno i nostri animatori ci hanno voluti portare a TONEZZA DEL CIMONE, un posto vicino a Vittorio Veneto.Per i ragazzi di seconda era un’e-sperienza già vissuta, ma come l’anno prima è stata un’avventu-ra del tutto nuova. Tutto questo grazie ai nostri fantastici e sem-pre presenti animatori, i quali ogni anno ci sopportano e ci fanno divertire! Appena arrivati siamo andati a portare le valigie nelle ca-mere scelte da noi e subito dopo ci sono state le suddivisioni dei vari gruppi: Gialli, aranCioni, Blu, rossi e verdi.Ci sono state molte altre attività nei giorni seguenti che, saremo sincere, non ci ricordiamo in quan-

to erano tantissime e divertenti, ma anche nelle quali dovevamo riflettere, ma andiamo subito al giorno della camminata folle che abbiamo fatto…Siamo par-titi alle 9.30 e siamo tornati alle 17.00 e già questo vi fa intuire la follia che abbiamo compiuto! Ci siamo sia divertiti che stan-cati, ma complessivamente è stato bello. Ne è valsa la pena! Dobbiamo dire però che la neb-bie e le vespe ci hanno favoriti! Ma oltre a questo, dobbiamo co-munque dire che i nostri animato-ri non ci hanno fatto fare solo un percorso fisico, ma anche spiri-tuale! La sera dei giochi notturni si è suddivisa in realtà in due serate: una nella casa e l’altra nel bosco, tutte e due avventurose, preparate dai nostri animatori che sono an-che dei bravissimi attori!!! E come se non bastasse, l’ultimo giorno c’è stata anche una pazza serata dance, dove abbiamo ballato fino allo sfinimento!! Insomma, è sta-to un camposcuola davvero indi-menticabile, per chiunque legga

questo articolo e non ci sia ancora stato… beh, andateci, perché non ve ne pentirete!!!

Dalle vostre reporter: Giulia Pivetta e Gloria Basso

I CAMPISCUOLA DELLA COLLABORAzIONE

1-2 MEDIA

3ª MEDIA

15SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

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tratto di strada sotto la guida degli animatori…e dei nostri piedi che ormai non esistevano più!!! Il quar-to giorno è stato il giorno più tran-quillo del campo, in quanto non ci siamo mossi ma siamo rimasti al campo-base per dedicarci alle attività proposte dagli animatori ed ai tornei esterni (di calcio e di pallavolo) ed interni (ping-pong). Venerdì mattina abbiamo vissuto uno dei momenti più importanti della settimana, il deserto, il quale si è svolto in un bosco poco lon-tano dalla casa. Nel pomeriggio abbiamo continuato i tornei. Dopo cena abbiamo svolto un gioco molto interessante, un gioco dove le squadre principali erano due: maschi contro femmine!!! Ognuno

di questi due gruppi doveva eleg-gere dei rappresentanti per ogni prova. Naturalmente le ragazze avevano qualche aiutino sulla pro-va di forza…stranamente l’han-no vinta loro…chissà perché… Il mattino seguente, sempre iniziato con un risveglio tranquillo basato su una musica a volume 100, ru-more di coperchi di pentole , noi giovani iniziavamo a rattristarci...il campo-scuola stava per finire! Ma nonostante tutto ci siamo divertiti lo stesso anche il penultimo gior-no, finendo il torneo di pallavolo e quello di ping-pong…ma non quello di calcio, poiché la finalis-sima è stata annullata…a causa di un’invasione…della parola-tor-mentone del campo, ossia…NU-

TRIE!!! Dopo questa grande de-lusione abbiamo partecipato alla Messa di fine campo per ringra-ziare il Signore di questa settima-na fantastica. E dopo cena via alla serata danzante!!! Rimasti svegli fino a tarda notte grazie al rumore di un computer e due casse, noi ragazzi abbiamo potuto ballare musica di tutti i tipi con le persone a cui ci eravamo affezionate di più, per dimenticare la tristezza della fine del campo.Poche ore dopo…la sveglia…per la fine. La fine di un periodo di libertà e divertimento… In segui-to, dopo aver fatto colazione, ab-biamo dovuto sistemare la casa, e, dopo un po’ di foto, ci siamo avviati verso la nostra madre pa-tria…Musile!!!“Il campo mi è sembrato diver-tente e pieno di giochi, mi sono divertito molto ed inoltre è stato bello anche perché ho fatto nuove conoscenze!” ha detto un ragazzo che per la prima volta è venuto al campo scuola “E’ stato diverten-te!!!” mi ha risposto una ragazza che, anche lei, partecipava per la prima volta al campo. Mah, un commento posso farlo anch’io…non vedo l’ora che finisca la scuo-la per andare al prossimo campo!!!

Nicola

1-2 SUP.Non ho mai mancato un camposcuola,e sono felice di tornarci ogni anno,il fatto è che considero questi sei giorni,o poco più, prove contro se stessi.Esperienze che spesso diamo per scontate ma che in silenzio fanno cre-scere. La convivenza con i propri amici,il distacco dal prorio paese e

dalle comodità elettroniche alcune volte scoraggia e non è sempre facile farci l’abitudine, tanto che alcune volte si litiga e ci si stanca ma quando torniamo a casa capiamo che tutti questi oggetti, questo’’comfort’’ non erano così necessari come pensavamo. Il camposcuola si svolge nell’arco di sette giorni dove siamo nel pieno ascolto di noi stessi e degli altri, divisi da momenti di attività e preghiera nel quale ricerchiamo la compagnia e l’ascolto di tutti mentre i nostri sentimenti si aprono verso chi ha orecchie per ascoltare. Aiuto e sorrisi sono la cosa che più ti manca nel viaggio del ritorno,ma sono ricordi che ti accompagneranno nell’arco della crescita. A.D

16 settembre - ottobre 2011

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Dopo alcuni frenetici giorni di lunghi viaggi in macchina per vedere sva-riati mosaici in posti disparati, ec-coci finalmente ad un momento di forte intensità spirituale e interiore. Eccoci, come ogni volta, arrivati al

momento in cui inevitabilmente, si arriva a contatto con la Storia, con quegli episodi in cui il dolore travol-ge e abbatte, e sembra quasi che nemmeno la fede possa bastare a

rincuorare e dare delle spiegazioni. Eccoci qui, di fronte ad uno dei mo-saici forse più rappresentativi e più contestati di Padre Rupnik. Qui, nel cuore del bosco, a pochi metri dallo scenario di uno dei più tragici mo-

menti della Storia a noi molto vicina, a pochi metri dalle foibe di Kocevski Rog, si erge un mosaico che rap-presenta Pilato che libera Barabba e la mensa del Re-gno dei Cieli, dove vengono accolti sia le vittime che i loro persecutori. Ma ciò che colpi-sce, che cattura e ipnotizza come nere calamite, sono gli occhi. Oc-chi che ti guarda-

no, ti chiamano. Ti amano. Gli occhi di quel Cristo che ha anche il volto dei poveri e dei malati. Quel Cristo che accoglie alla Sua mensa le vitti-me, morte nelle foibe, accanto ai loro

uccisori. Questo ha fatto in-nalzare proteste da parte di chi sosteneva gli uccisori, i quali nega-vano l’accaduto, ma anche da par-te dei parenti delle vittime, che non accettavano la possibilità del per-dono. Ma quello che Padre Rupnik infonde nelle sue opere con la sua arte, è fondamentalmente un mes-saggio, univoco, uguale e immuta-to in ogni opera: l’immenso Amore di Cristo. La sua immensa carità, il suo donarsi, il suo essere tanto grande da resuscitare dalla morte, ma anche il suo saper farsi tanto piccolo da perdonare e donare tutto Se stesso, fino alla morte. E quegli occhi, grandi e neri, che sembrano fissarti e scrutarti dentro l’anima, ir-rompono nel mormorio dei pensieri con un grido forte, una chiamata, una voce che dice mille parole in un’unica, continua melodia. E’ il gri-do dell’Amore infinito, che non può essere udito perfettamente, se non nei luoghi dove il Dolore, richiede la forza di amare due, tre, cento volte più del “normale”.

Elena De Piccoli

RIFLESSIONI DALLA SLOVENIAIN CAMMINO CON PADRE RUPNIk

Un’occasione per divertirsi, passa-re indimenticabili momenti di felicità e spensieratezza, conoscere altre persone, stringere nuove amicizie, imparare a mantenerle. In questo e in molto altro consiste il Campo-scuola, incontro di ragazzi e ragazze appartenenti alle più svariate fasce d’età. Dopo le fresche emozioni dei campi rivolti a ragazzi delle medie (spesso incorniciati dall’aria legge-ra della montagna) vi è un leggero cambiamento. Col passare degli anni,infatti, le esperienze si intensifi-cano quanto la maturità nell’affron-tarle. Si impara a scoprire cosa c’è dietro al gioco e ai tornei di calcetto o pallavolo: un vero e proprio cen-tro di crescita personale spiritua-le, un’occasione che la parrocchia regala a noi giovani per avviarci a prendere in mano le nostre stes-se vite e, perché no, cambiarle. E’

proprio questa la sensazione che ha scaturito in me il Campo di Servizio. L’incredibile opportunità di rendersi utili, in un modo o nell’altro, a chi ha bisogno di noi o a chi semplicemen-te fa piacere la nostra presenza, a chi magari non ha la nostra stessa fortuna. Quest’anno i luoghi pres-so i quali abbiamo prestato servizio sono stati il “Piccolo Rifugio”, la ”Casa del Girasole”,”Il Giardino di Hana”, e la “Cooperativa Alterna-tiva”. La cosa a mio avviso più importan-te quando ci si appresta a parteci-pare ad un campo simile, è sapersi mettere in gioco e conoscere le pro-prie capacità. Nella vita delle perso-ne con le quali si condivide questa esperienza non c’è bisogno di noia e negatività: è fondamentale stac-carsi dai brutti pensieri e prepararsi a donare tutto il nostro meglio, sicu-

ri del fatto che a chiunque abbiamo davanti farà tanto piacere. Grazie alla mia esperienza di Campo e gra-zie anche ai racconti e alle testimo-nianze di coloro che sono entrati in contatto con altre realtà ho capito la meraviglia del legarsi a chi di legami probabilmente ne ha avuti troppo pochi o troppo instabili, dell’ascol-tare chi fatica a cercare,tra la folla, un orecchio teso verso di lui. Invito chiunque a dedicarsi a questa atti-vità di Servizio gratuito, volontario. Ricordo a tutti che non è mai troppo tardi per aiutare il prossimo, non si è mai troppo vecchi o troppo gio-vani per dare una svolta alle proprie vite spesso piatte o poco gratifican-ti. Lasciatevi arricchire. Il saluto o il sorriso di quelle persone, anche una volta finita l’esperienza, è una cosa che non auguro mancare nella vita di nessuno. Anna Carpenedo

3-4 SUP.

CAMPO EDUCATORI

UN CAMPO PER SERVIRE30 luglio-6 agosto

17SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

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Parliamo ancora un po’ di Grest... Ancora?!? Sì beh in effetti ogni anno è la stessa storia, avete ragione cari lettori! Ogni anno qual-cuno della redazione di questo gior-nale si incarica di fare una rassegna delle varie attività estive all’interno delle parrocchie della Collabora-zione... Cosa piuttosto ripetitiva... Quest’anno infatti preferiamo fare insieme delle riflessioni sul signi-ficato di queste attività: insomma cercheremo di annoiarvi in un modo un po’ diverso! Circa l’andamento dei Grest nelle parrocchie, basterà dire che i numeri - più di 600 iscrit-ti complessivi! - e le attività sono quelle ormai consolidate negli anni. Questo dato significa, se non altro, che il Grest continua ad essere una proposta appetibile per molti! ... Allora forse non è sempre la stes-sa storia ogni estate! Cosa può spingere un ragazzino e i suoi ge-nitori a scegliere il Grest di anno in anno? Qual è la formula alla base di quest’alchimia vincente? ... Posso provare a dare una risposta? Credo si tratti dell’impatto sempre nuovo che dà lo stare in compagnia: la freschez-za della vita di relazione. Una cosa di cui abbiamo tanto bisogno noi uomini contemporanei (anzi: noi uomini di ogni epoca! ... Proprio perché uomini: animali sociali che vi-vono di relazioni!). Non sembra così irragione-vole come spiegazione... Ma, se è così, cos’è che rende possibile tutto ciò?

Forse la domanda più appropriata è, non “cos’è?”, ma “chi è?”! Tutti questi ragaz-zi si trovano infatti e stanno assieme grazie all’energica e corale organiz-zazione messa in piedi dalla par-rocchia. Il che vuol dire sacerdoti genitori e finanche nonni,

animatori e collabora-tori parrocchiali a vario titolo, gente di buona volontà in una parola direi! A garantire in particolare la riuscita del gioco, in scala così vasta, è la partecipazione straordinaria di per-sone che in genere non svolgono un servizio in parrocchia ma che in occasione del Grest donano il proprio tempo generosamente. Si tratta soprattutto di genitori. Quindi non sono proprio così veridiche le critiche un po’ generiche di chi ten-derebbe a dire che il Grest è solo un parcheggio per i bambini durante l’estate... Il Grest è molto di più: è stare insieme, è un canale di evan-gelizzazione. Questo perché tutte le attività che hanno nella parrocchia un fulcro sono tese all’evangelizza-zione almeno per via indiretta. Ma allora, qualcuno si chiederà, perché mandare i nostri figli al Grest? Per “far contento il prete”? No: evange-lizzazione infatti non significa “far contento il prete”, significa avvici-nare a Dio... quindi semmai far con-

tento Lui... che ci ama, e visto che Dio ci ama e vuole il bene per noi, far contento Lui vuol dire far con-tenti noi stessi, fare il nostro bene! Non è forse per stare bene che cerchiamo una cosa buona per noi come lo stare assieme? Ma il bene che vogliamo per noi, se autentico, coincide con il bene che il buon Dio ci vuole! Però allora se il Grest è un momento così importante, pur nella sua semplicità, nella vita della par-rocchia, se è vero che è volto all’e-vangelizzazione e non al parcheggio dei nostri figli perché, ci si potrebbe chiedere, molte delle persone che prestano servizio in questa occasio-ne non hanno la stessa sollecitudine anche in altri momenti della vita di evangelizzazione come il catechi-smo, ad esempio? Se è vero, come sembra essere, che la parrocchia non è un parcheggio, allora non lo è d’estate come tutto l’anno. E in effetti è vero che la presenza di genitori e altri collaboratori in molti casi registra significativi cali in pe-riodi che non siano quello delle ferie estive. Si tenga però presente che molti di coloro che donano genero-samente le proprie energie in estate possono farlo perché approfittano - e in parte “sacrificano” - le proprie ferie... e durante tutto l’anno non hanno quindi la stessa possibilità di partecipazione alla vita di parroc-chia. Ciò non toglie che la presenza costante sarebbe opportuna là ove possibile perché non possiamo sco-prire che siamo uniti solo in occa-sione del Grest: ci sono molte altre

occasioni spesso più im-portanti e fruttuose per noi! Ma intanto cogliamo il bene di quello che è stato fatto: questo tem-po, questo sentimento assieme in questi Grest! Ognuno di noi fa ciò che può, ciò che sa! Ed è già stato fatto molto di buo-no! Continuando a stare assieme ed aiutandoci questo bene crescerà! intanto grazie a tutti co-loro che han dato un po’ di se stessi per i nostri fratelli più piccoli.

Federico Contarin

ANCORA gREST della Collaborazione...

18 settembre - ottobre 2011

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LE CINQUE MEGHILLOTSono cinque libri che vengono letti, essenzialmente a scopo liturgico,

durante alcune festività ebraiche. Il significato del termine Meghillà è “rotolo” per indicare il rotolo di pergamena su cui viene scritta.

shir hashirim - CantiCo dei CantiCiIl nome ebraico è un superlativo: è il canto per eccellenza. L’autore è re Salomone. Si tratta di un testo puramente simbolico poiché, se in apparenza può essere inteso come una poesia d’amore fra l’amato e la sua fidanzata, descrive invece il fortissimo sentimento che lega la nazione d’Israele a Dio.Viene letto in sinagoga l’ottavo giorno della festa di Pesach e, in alcune comunità sefardite, tutti i venerdì sera.

rutSi tratta di un breve testo, le cui vicende si situano all’epoca dei Shoftim.Alla morte del marito Rut, una moabita, insiste nel voler restare al fianco della suocera Noemi quando questa de-cide di tornare a Betlechem (cap. 1). Rut finisce per sposare Boaz, un parente di Noemi.Questo rotolo viene letto durante la festa di Shavuot, giorno della nascita di Re David di cui Rut era la bisnonna.

eCha - Libro deLLe LamentazioniÈ una serie di cinque poemi che costituiscono una lamentela funebre sulla caduta di Yerushalayim e la distruzione del Bet Hamikdash (il Santuario). L’autore è il profeta Geremia il quale, attraverso le sbarre della prigione a cui l’avevano costretto gli invasori babilonesi, detta questo triste canto al suo discepolo Baruch ben Neriyà.Tutti i poemi (tranne il quinto) sono acrostici, ossia si presentano come una serie di strofe in ordine alfabetico.Nel primo poema viene evocata la decadenza di Gerusalemme, che prende la parola per implorare il perdono divino. Dopo aver descritto il modo in cui la collera divina si è abbattuta sulla città (cap. 2), il poeta esprime la sua fiducia e la sua speranza (cap. 3). Il quarto capitolo tratta della punizione che incomberà sui sacerdoti e sui falsi profeti. Il quinto capitolo è un vibrante appello alla pietà di Dio.Il libro viene letto il nove di Av.

QoheLet - QoeLetIl testo presenta le riflessioni di un Saggio, che potrebbero essere riassunte con due parole della prima frase: hevel havalim cioè “vanità delle vanità”. L’autore, che secondo la tradizione viene identificato nella persona di Re Salo-mone, fa un bilancio della vita umana. Accanto a un apparente pessimismo profondo, viene riaffermata la fede in Dio come unica salvezza dell’uomo.Il libro è letto durante la festa di Sukkot.

esterLa storia si svolge a Susa, nell’antica Persia, sotto il regno di Achashverosh (Assuero).Il re che, in stato di ubriachezza, aveva ordinato l’uccisione di sua moglie Vashti, prende in sposa Ester - bellissima donna ebrea educata e accudita dal cugino Mordechai - la quale, durante la sua permanenza al palazzo reale, non rivela mai le proprie origini. Haman viene scelto come primo ministro e, con il consenso del re, emana un decreto di sterminio di tutti gli ebrei dell’impero. Spinta da Mordechai, Ester ottiene l’annullamento del decreto. Haman viene impiccato e Mordechai, che un giorno aveva salvato la vita del re rivelandogli un complotto ordito contro di lui, gli succede nella carica. L’ultimo capitolo descrive la felicità degli ebrei e fornisce alcuni dettagli della festa di Purim, durante la quale viene letto questo rotolo.

RIpRENdE aNCHE QUEsT’aNNO IL CORsO dELLa BIBBIa a CHIEsaNUOva E L’asCOLTO dELLa paROLa a passaRELLa

pER IL 2011-2012 aBBIaMO sCELTO dI LEGGERE E dI COMMENTaRE 5 BREvI LIBRI dELL’aNTICO TEsTaMENTO CHIaMaTI:

19SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

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Collaborazione pastorale di Musile di piaveLETTURa dELLa BIBBIa

“Forte come la morte è l’amore”LETTURa E COMMENTO

di CINQUE LIBRI dELLa BIBBIa (MEGHILLOT):Cantico dei Cantici, Ruth, Lamentazioni, Qohelet, Ester

IL PROGRAMMA - CALENDARIO DI LETTURA:

Giovedì 3 noveMBre: Introduzione al corso venerdì 18 noveMBre: Il Cantico dei cantici venerdì 2 diCeMBre: Il Cantico dei cantici venerdì 16 diCeMBre: Il libro di Ruth venerdì 13 Gennaio: Il libro di Ruth venerdì 27 Gennaio: Libro delle Lamentazioni venerdì 24 FeBBraio: Libro delle Lamentazioni venerdì 2 Marzo: Il libro di Qohelet venerdì 16 Marzo: Il libro di Qohelet venerdì 20 aprile: Il libro di Ester venerdì 27 aprile: Il libro di Ester

Tutti gli incontri si svolgeranno alle ore 20.30 presso le sale parrocchiali di Chiesanuova. Portare con sé la Bibbia, un quaderno e una penna.

dURaNTE IL CORsO pROpONIaMO: • Incontro con fratel Moreno Pollon, monaco eremita legato alla comunità di Bose • Serata sul tema: L’amore sponsale” • Testimonianze sul tema “Cercare il Signore” • Visione del film: “Ester”

asCOLTO dELLa paROLa Presso la canonica di Passarella, da martedì 18 ottobre e per ogni martedì alle 20.30, insieme a don Flavio, si ascolta il Vangelo della Domenica successiva dando spazio al dialogo ed alla condivisione. Questi incontri sono aperti a tutti coloro che vogliono prendere sul serio la Parola preparandosi alla Liturgia della Domenica.

VI ASPETTIAMO! I VOSTRI SACERDOTI

Guidati da don Saverio, in questo quarto anno, proseguiamo il percorso di lettura continuata di alcuni libri della Bibbia dando spazio ad una semplice esegesi, a un tempo di riflessione e di preghiera.

20 settembre - ottobre 2011

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Dal 22 al 26 agosto si è tenuta a Trieste la 62° settimana liturgica nazionale sul tema: “dio educa il suo popolo: la liturgia sorgente inesauribile di catechesi”.Giornate ricche, scandite dalle lodi al mattino, rifles-sioni, pranzi condivisi, lavori di gruppo e celebrazioni eucaristiche molto curate. Diverse sono state le perso-ne di rilievo che hanno dato il loro contributo in que-sta settimana così intensa tra i quali Mons. Crepaldi, il Card. Comastri, Mons. Monari, Mons. Forte ed Enzo Bianchi. Con i loro interventi e quelli di altri liturgisti si è riflettuto sull’importanza della liturgia nell’educare il cristiano, sui problemi e le potenzialità della cateche-si, sull’iniziazione cristiana, sulla maternità della Chiesa e la sua missione evangelizzatrice. Tema di riflessione molto esteso e significativo sul quale si è interrogata una Chiesa aperta al confronto e attenta all’ascolto. Dio educa il suo popolo: ma cosa vuol dire “educare”? Riportando le parole di Mons. Monari: “L’educazione è un processo attraverso il quale un cucciolo d’uomo diventa adulto, critico, responsabile e intelligente”.Per far questo servono molti “attori”. La fede cristia-na può dare un valore aggiunto a questo processo in quanto attraverso la Liturgia e la Parola ogni persona può realizzarsi in pienezza. Cercando di imitare Cristo, cercando di amare come ci ha amato lui, la nostra vita diventa più ricca. Ma come ben sappiamo, AMARE è un’arte e come tale va imparata. Dobbiamo andare a “bottega” da chi sa amare, da Gesù, imparando i suoi modi e le sue parole. La Liturgia permette quindi all’uo-mo di uscire da se stesso e di tendere verso Dio. In que-sto modo l’uomo cresce, si educa all’amore e il mondo viene trasformato e salvato prendendo la “forma” di

Dio. In altre parole impariamo a dare un corpo a Cristo in questo mondo e diventare noi stessi liturGia del prossiMo. Già da questa riflessione comprendiamo ancora una volta quanto vive e profonde dovrebbero essere le nostre liturgie. In ogni Eucarestia noi parteci-piamo alla rivelazione di Dio, ogni rito dovrebbe comu-nicarci sempre la gioia del Cristo, altrimenti può essere un rito perfetto ma destinato a rimanere vuoto.Ogni rito e ogni liturgia non sono pietre tombali bensì pietre vive. Nelle nostre Eucarestie, nei nostri cam-mini di fede noi cristiani non siamo soli, non siamo iso-le, dobbiamo rimanere tutti uniti nella “barca di Pietro” ossia nella nostra Chiesa. Una Chiesa non sempre pura ma sempre santa perchè nata dallo Spirito Santo. Essa vive in una Pentecoste continua poichè tutte le sue at-tività devono essere continuamente esposte al soffio dello Spirito Santo che le rinnova e le libera dalle paure e dalle malinconie. Per fortuna lo Spirito Santo non va mai in pensione! Continua a mandarci doni e carismi affinchè noi cristiani li possiamo condividere, metterli in circolo e viverli nel desiderio di incontrare Dio.Anche la maternità della Chiesa non è a tempo, è per sempre! La Chiesa è una madre che genera figli per Dio, una madre che non vuole dominarli ma solo educarli alla preghiera, all’ascolto della Parola, aiutarli a vivere la propria santità insieme agli altri. E si diventa santi nella preghiera liturgica, pregando non un Dio ma pregando in Dio, lasciandoci amare e trasformare da Lui in comu-nione con la nostra Chiesa perchè come scrive San Cri-sostomo: “La tua salvezza è la Chiesa. Amala perchè è lei che ti ha dato la vita.”

Monica Scarabel

TRIESTE: SETTIMANA LITURgICA

LA COLLABORAzIONE PASTORALE DI MUSILE DI PIAVE TI INVITA AD UN CORSO PER LETTORI DELLA PAROLA NELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 14-16 OTTOBRE 2011

venerdì 14 ottoBre presentazione del Corso e dei parteCipanti - CateChesi: la liturGia della Chiesala BiBBia CoMe parola di dio - Brevi nozioni di dizione, FonetiCa, respirazione – esercitazioni pratiche di letturasaBato 15 ottoBre CateChesi: uno sGuardo all’antiCo testaMento: il pentateuco, i libri storici, i libri poetici e sapienziali, i libri profetici la lettura in puBBliCo: testiMoniare la parola – eserCitazioni pratiChe di lettura - ripresa delle esercitazioniCateChesi: uno sGuardo al nuovo testaMento: i vangeli sinottici e gli atti degli apostoli, le lettere paoline, le lettere giovannee, le altre lettere, l’apocalisse.il deCaloGo per il lettore della parola – eserCitazioni pratiChe di letturadoMeniCa 16 ottoBre CateChesi: i ministeri nella Chiesa a servizio del popolo di dio (in particolare il ministero del lettore istituito e di fatto) - i libri della parola (evangeliario e lezionario) e il luogo della parola (l’ambone) aCCorGiMenti teCniCo-espressivi - eserCitazioni pratiChe di lettura ripresa delle esercitazioni - la celebrazione eucaristica: “l’anello della sposa”.ConClusioni – eserCitazioni pratiChe di letturaGuide del Corso• sr. M. EMMANUELA VIVIANO PDDM • CRISTINA DEL SORDO Speaker di Radio VaticanaCosto: Euro 20,00 ciascuno • INIZIO CORSO: Venerdì 14 ottobre 2011 ore 15.00 presso i locali della Parrocchia di Passarella.

21SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

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Cara Nòna,Te si de l’ùndeʃe, Noveʃento, però.E no ghe ièra ancora stà dó Guère.E girèa ancora i càri co ‘i sérci de ‘égno e de fèro.I ‘ndéa arar co ‘i bò e a taiàr el gran co ‘a séʃoea.D’inverno ghe ièra ‘a mónega par scaldar el let co ‘i paióni fati de scartòssi sièlti tra i pi’ tènari.No ghe ièra ‘a tiviʃion e par quél nàssèa tanti putèie ghe voéa tanta poènta par farli sgionfar.A ‘i oméni: i campi, el lavoro e l’ostaria.A ‘e fémene come ti: calièra, fioi e campi.Gnénte paréci, ne bàgoeiqualche narànsa e qualche biscoto par far festa ‘a Nadal.E far fiò in stàea a giustàr calsèti che no ‘i finìa mai,e a contar ‘na storia par far star boni i putèi che ‘i fèa ‘e ‘ezion par tèra.E spacar el iàz del canàl Bova Rosa par lavar i nizioei.E far ‘a lìssia co ‘a ʃenere e l’aqua calda.No ghe gèra gnénte, ma forse bastèa ‘na paroea s-cèta, drita al cuor,un s-ciafon a ‘i putèi che ‘i féa ‘i dispèti,óʃarse: «fiòl d’un can!» co ‘i se rabiea.A gèra ‘na vita dura ma senpliʃe,come a stréta de man co ‘i cài de ‘na vita de badil.Incùo no resta pi’ gnènte, vèmo perso ‘e paròe de chi tempi e anca el so décoro.Me ricordo che prima de ‘ndar a scuoèa te me diʃéa sénpre: vàrda de far puìto!A San Martin adèso magnemo el dolze e no fén pi’ su ‘e straʃe mandai via dal pàron.Adèso sémo tuti ciapài, de corsa, no scoltèn pi’ ‘e storie de ‘na volta, no vemo tempo.Inveʃe ti, Nòna Teresa, t’a fato ‘na impresa:ʃento àni passài a vedar canbiar el mondo!

LA RICONOSCENzA PER UNA NUOVA VITA NEL DECIMO ANNIVERSARIO DEL TRAPIANTO DI CUORE DEL NOSTRO COMPAESANO GIORGIO MONTAGNER

A dieci anni dall’intervento di trapianto del cuore, Giorgio desidera esprimere la propria gioia e riconoscenza per il dono di un cuore che gli ha ridato una nuova vita. Una nuova esperienza che Giorgio sta vivendo nel volontariato e nell’asso-ciazionismo verso la comunità ed il pros-simo. In questa occasione abbiamo volu-to intervistare Giorgio che ha accettato di raccontarci della sua seconda vita. “Sono ormai trascorsi dieci anni da quel 18 set-tembre 2001 e nelle vicissitudini della mia malattia, mai avrei immaginato di poter-cela fare e di riconoscere il prezioso dono della vita che tutti noi abbiamo ricevuto. La mia grande volontà di sopravvivenza mi ha sempre sostenuto e dato il corag-gio di affrontare con fiducia le difficoltà ed i rischi di un delicato intervento al cuore. Pensate che prima di ammalarmi ero iscritto all’A.I.D.O. (Associazione Italiana Donatori Organi) e nel 2001 ho io ricevuto il cuore di un donatore! É stata l’occasione per mettere alla prova il mio ottimismo, la speranza e la fiducia nei nostri medici. Un abbandonarsi alle cure del prossimo che è stato ripagato da grande professionalità e umanità del personale medico che, quotidianamente, lavora per

preservare quel bene inestimabile che è la nostra salute. Molto però, dipende anche da noi, nell’affidarsi con serenità alle cure dei nostri medici”. Chiedo a Giorgio cosa sente di consigliarci nel caso del bisogno o di estrema necessità per la nostra salute. “Credo che sia importante saper ascoltare con fiducia le indicazioni dei medici curan-ti, seguendo scrupolosamente le terapie consigliate e la periodicità dei controlli di prevenzione”. Ma ciò che più mi ha colpito è l’aspetto umano che Giorgio ha vissuto e mi ha trasmesso della sua esperienza di trapianto. “E’ importante saper accettare, valorizzando ciò che generosamente ci è stato donato, nella consapevolezza che la nuova vita è frutto di un’altra che non c’è”. Continua dicendomi che: “Nell’esperienza in questi anni, i momenti particolari e le gio-

ie vissute intensamente sono sempre stati sostenuti dalla vicinanza dei miei familiari e degli amici. Ma non è mancata anche una grande fede e una vita in-teriore molto intensa”. Ringrazio Giorgio per aver voluto condividere con noi le sue emozioni, le speranze e il suo nuovo progetto di vita.

Elisa Montagner

NONNA TERESA TONET

100 ANNI

22 settembre - ottobre 2011

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Ci è giunta in redazione la lettera di una persona che, dopo tanti anni di lontananza ci porta ancora nel cuore. Grazie alla moderna tecnologia ed alle innovative vie di comunicazione ha scovato il sito della Collaborazione Pastorale di Musile di Piave, e preso da nostalgia ci ha scritto questa bellissi-ma lettera che volentieri pubblichiamo, con una speciale richiesta.Si tratta di “Joanin nonzolo”, ossia del Sig.Giovanni Vazzoler già organista e maestro di coro a Chiesanuova, ma che ha proseguito questo servizio anche a Lentate sul Seveso in Lombardia dove si è trasferito con la sua famiglia tanti anni fa.... “...Sono nato a Musile di Piave in via Intestadura e da tanti anni vivo lontano dalla mia terra con molta nostalgia di Chiesanuova dove ho vissuto con la mia famiglia per venti anni, fino al 1961. Mio padre era sacrestano ed organista e direttore di coro della parrocchia, servizio che ho anche io

svolto fino al 1961, con don Luigi Mazzarollo (all’ora parroco di Chiesanuova). Quando sono partito lasciai il mio posto al caro amico , l’indimenticabile Bruno Contarin. Poi a malincuore lasciai Chiesanuova.Navigando su Internet cercando notizie , ho scoperto “Collaborazione Pastorale di Musile di Piave”, e di conseguenza Emmaus, bello davvero, e subito mi è venuta l’idea di chiedervi di pubblicare un inserto apparso su Famiglia Cristiana,. Lo dedico principalmente a Chiesanuova dove sono cresciuto e formato musicalmente e, dove molti ancora mi ricorda-no. Questa richiesta non per dimostrare nulla a nessuno. Le mie potenziali capacità in materia, nei suoi limiti sono note a tutti e come facevo l’organista a Chiesanuova ho continuato a farlo a Lentate, mettendo a frutto tutta l’esperienza acqui-sita negli anni che ho vissuto a Chiesanuova e dintorni. E’ un segno di affetto verso questo paese dove sono cresciuto e dove sono stato con il mio Coro di Lentate per un concerto nel 1998...Grazie alla redazione di Emmaus per avermi dedicato del tempo prezioso, per la lettura della presente lettera, e mi scuso se ho recato disturbo. Un cordiale saluto a tutta la redazione buon lavoro.” Vazzoler Giovanni Grazie sig. Giovanni, del suo affetto e rinoscenza, immutata nel tempo per Chiesanuova, pubblichiamo volentieri l’l’in-serto che ci ha spedito e siamo convinti che queste righe hanno risvegliato tanti cari ricordi in molte persone che ci leggono, soprattutto quelle un pò avanti con gli anni che hanno avuto la possibilità di conoscerla ed apprezzare la sua bravura come “direttore di coro” in parrocchia.

Adalberta C.

Il maestro Giovanni Vazzoler, organista e direttore del coro Schola Cantorum della parrocchia S. Vito di Lentate sul Se-veso (Mb), a fine giugno 2010, ha lasciato l’incarico, per raggiunti limiti d’età e dopo ben 30 anni di servizio, nei quali ha messo a disposizione tutto il suo sapere con dedizione, competenza, conoscendo bene in tutti i suoi aspetti il mestiere di organista parrocchiale. Si lascia alle spalle 30 anni della sua (e nostra) storia, ma lascia anche nel cuore di tutti noi della Schola Cantorum che l’abbiamo avuto come pregevole guida. Per tutto quello che ci ha dato, grazie maestro Giva!

I tuoi amici della Schola Cantorum - Lentate sul Seveso (Mb)

Chiesanuova: UN AMICO CI SCRIVE...

CLASSE DI FERRO...1941(22 Maggio 2011)

SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

Auguri

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Il pellegrinaggio, promosso dalla Collaborazione pastorale di Musile, del 19 e 20 settembre 2011 ci ha portati nei luoghi di San Carlo Borromeo. S. Carlo Borromeo è il patrono di Chie-sanuova, forse si tratta di un santo non molto conosciuto dalle nostre parti e sarebbe interessante scoprire la motiva-zione del suo essere patrono di Chiesanuova. Certo è che si tratta di una figura molto importante nella storia della Chiesa essendo stato uno dei grandi promotori dell’attuazione dei decreti del Concilio di Trento. Figlio di Margherita dei Medici (sorella di papa Pio IV) nacque nel 1538 nella rocca di Arona, sulla riva occidentale del Lago Maggiore e morì a Milano il 4 novembre del 1584, quindi a soli 47 anni. Abbiamo potuto visitare, dopo la celebrazione della S.Messa nel santuario di Arona per ricordare il santo, la colossale statua del “S. Carlo-ne”, visibile anche dal lago, voluta dal card. Borromeo – cu-gino di san Carlo - per tramandare nei secoli la grandezza della figura di questo Santo. C’è un bellissimo quadro nella residenza della famiglia Borromeo nell’isola Bella, tuttora di proprietà della stessa, che abbiamo potuto ammirare (assie-me alla maestosa residenza barocca ed ai giardini terrazzati, spettacolari, con una vista stupenda sul lago e sull’ambiente circostante ) che lo ritrae, ancora piccolo, assieme ai due fra-telli ed alla madre. I lutti che lo colpirono ancora giovane, la

morte del fratello maggiore Federico e quella della madre, cambiarono sicuramente la sua vita. Una vita coraggiosa, controcorrente per quei tempi, sicuramente non facile: la sua famiglia si attendeva e aveva programmato un percorso di vita molto diverso da quello che lui invece preferì e scelse con fermezza di carattere. Fu arcivescovo di Milano, proclamato santo a soli 25 anni dalla sua morte, grande riformatore di costumi, grandissimo benefattore dei poveri, rinunciò ai suoi possedimenti per aiutare i più deboli facendo, del motto della sua famiglia “humilitas”, che sottintende l’umiltà dinnanzi a Dio e alle virtù, un vero, umanissimo e profondo stile di vita. Carità, energia e santità lo hanno reso celebre in tutto il mon-do. Lo abbiamo ricordato e conosciuto un po’ di più visitando i luoghi che lo hanno visto operare e che lo commemorano. Il pellegrinaggio si è concluso con la visita all’Eremo di Santa Caterina del Sasso, arrivando in battello dal lago e potendo così, complice un tempo atmosferico di piena estate, ammi-rare questo solitario monastero abbarbicato sulla roccia a strapiombo in uno dei posti più profondi del Verbano, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. La tradizione vuole che l’Eremo sia stato fondato da Alberto Besozzi, ricco mercante locale, scampato ad un nubifragio durante la traversata del lago, che decise di ritirarsi su quel tratto di costa per condur-vi una vita da eremita. Lì il Beato Alberto fece costruire una cappella dedicata a Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto. Si racconta di un “miracolo” di inizio settecento quando cinque enormi massi “ballerini” precipitarono sulla chiesa ma resta-rono impigliati nella volta di una cappella. Sembra che que-sti sassi traballanti abbiano dato il nome all’Eremo che per esteso è santa Caterina del Sasso Ballaro. Grazie, ancora una volta, per queste opportunità di imparare, visitando luoghi di questa nostra bellissima terra, e di onorare, commemorare e conoscere più in profondità queste importanti figure di perso-ne che con la loro vita sono state e sono tuttora esempio di grande umanità, di carità, di fede e di santità . Una pellegrina

PELLEgRINAggIO “SULLE ORME DI SAN CARLO BORROMEO”

settembre - ottobre 2011

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25SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

“passarella il nostro paese” Anniversario 1911 - 2011

Nell’ultima edizione delle attività estive del luglio 2011, è stato proposto un Corso di coltivazione dell’orto, e i bambini e ragazzi si sono fatti convinti che, senza scavare, “incoltar”, far tesoro delle esperienze altrui, è inutile seminare, piantare, far crescere piantine nuove e avere frutti. Così è per la storia in quest’ anno del 150° Centenario dell’avvio dell’Unità d’Italia a cui leghiamo i 100 anni della costituzione della Parrocchia di Passa-rella, passata da “curazia” a Parrocchia indipendente e autonoma (10 giugno 1911), come aveva cercato di essere, con le richieste e le attese di secoli. È indispen-sabile scavare, arare e solo così si avranno speranze di futuro, orti ben coltivati e qualche ortaggio e frutto saporito e sicuro. Il parroco attuale, don Flavio Gobbo, l’ultimo nominato, ha sostenuto e incoraggiato questa iniziativa. Essa riprende e aggiorna l’opera unica dello scrittore e saggista Dott. Prof. Mons. Costante Chimen-ton, che nel 1931 scrive, per documentare i danni di Guerra e averne benefici per la ricostruzione, il volume PASSARELLA DI SOPRA E LA SUA NUOVA CHIESA: cenni di vita civile, memorie di guerra e documenti per la storia della ricostruzione, Treviso, S.A. Tip. Editrice Trevigiana 1931. A questa edizione facciamo riferimen-to e sintetizziamo per questa nostra carrellata storica. Le notizie, con i riferimenti di date e relativi aggiorna-menti, sono poi inquadrate e incastonate su ciò che è accaduto dopo, ma sostanzialmente si devono alla sua ricerca e alla sua documentazione fino a quell’anno, con particolare attenzione alla vicende religiose, ma an-che civili. Non abbiamo preso in considerazione il perio-do della Ia Guerra mondiale, di cui esistono sufficienti notizie e dati in tanti altri libri e volumi sull’argomento. Abbiamo sintetizzato la storia del nostro paese fin da-gli inizi, molto incerti, della presenza di popolazione e famiglie nel territorio, con tutte le continue variazioni, che sono intervenute naturalmente, soprattutto quelle legate al Piave e alle sue scorribande nel basso corso e alla sua deviazione. Poi con lo scavo del tratto “Nuo-vo”, è stato interrotto il rapporto diretto con San Donà di Piave e le sue vicende. Questo ha fatto nascere il sentimento di autonomia e del dovere per tutti di dar-si da fare per organizzarsi, fare solidarietà, richiedere il rispetto dei diritti fondamentali, come l’educazione, l’assistenza religiosa, l’accompagnamento nella malat-

tie e nella morte, che restano anche oggi richiamo alla comune responsabilità di “nascere come popolo” e di sostenersi a vicenda. È l’obiettivo primario di questo scritto, che vuole far prendere coscienza che abbiamo una nostra storia, che si intreccia profondamente con quella degli altri, ma che non va sottovalutata, anche in vista di una società armonica, diversificata, consapevo-le, accogliente, da “corale” cantata insieme. Tutto que-sto non è esaustivo e vuole sollecitare anche altri tenta-tivi simili e multiculturali, per i tanti aspetti rimasti nello sfondo. Si ringraziano profondamente le collaborazioni e tutte le persone che hanno lavorato alla realizzazio-ne di questo volumetto o che lo hanno incoraggiato e sostenuto. Esso diventa anche la presentazione della Mostra Fotografica e Documentale, in occasione della Sagra di Passarella del 2011

Don Giancarlo responsabile del Gruppo “El Solzariol”

PASSARELLA COMPIE 100 ANNI: AUgURI!!

ps. Questa è l’introduzione al volumetto di storia di Passarella in sintesi, che è a disposizione nei giorni della Sagra di Passarella in cui si celebra anche il CENTENARIO della costituzione della Parrocchia (10. Giugno 1911-2001) con il titolo di Presentazione della B. V. Maria e San Girolamo di Passarella di sopra, anniversario voluto e caldeggiato da don Flavio Gobbo attuale parroco e da altri cittadini, primo fra tutti Furlan Fausto, che presenta nelle Mostra storico documentale fotografica, molte delle sue testimonianze storiche scritte e raccolte.

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26 settembre - ottobre 2011

La storia di Alem Saidy è simile alle tra-vagliate storie di molti che sono costretti a lasciare le loro terre d’origine, la fami-glia, gli affetti, i loro beni a causa di un solo motivo: la guerra.La guerra provoca destabilizzazione, fame, povertà, morte. Si presenta così Alem: “Il mio nome è Alem, che in dari ( nome ufficiale della lingua persiana, localmente conosciu-ta come farsi) significa “scienziato “ o “persona istruita” senza che io abbia comunque potuto o voluto esserlo.Alla nascita non avevo emesso alcun vagito, a differenza dei fratelli e sorelle che mi avevano preceduto, i quali con diversi modi di pianto comunicavano ai genitori

le loro esigenze. Probabilmente, se non piangevo, io non avevo bi-sogno di nulla: ero naturalmente felice così, contento di essere nato. Crescevo robusto, sereno, sano ed ero felice e stavo proprio bene nella mia casa con la mia famiglia a Jalez.”... A causa della guerra civile scoppiata nel suo paese, l’Afganistan, la situazione un pò alla volta è precipitata e l’instabilità economica e la mancanza di qualsiasi libertà, nonchè il clima di terrore e di persecuzione incombente con i nuovi conquistatori, hanno fatto sì che con la sua famiglia Alem ab-bia dovuto trovare rifugio nel vicino Pakistan. La vita di Alem è stata continuamente segnata da spostamenti e peregrinazioni alla ricerca di un lavoro (il falegname era il suo preferito) e di un pò di stabilità. Dubai negli Emirati Arabi, Teheran , in Iran e poi via via, Urmia, Mezan Istanbul, Smirne, un viaggio lungo, a volte massacrante, continua-mente in balia di persone crudeli e senza scupoli che promettevano mezzi di trasporto e modalità di viaggio insicure e pericolose. Molti i compagni di viaggio incontrati, alcuni si sono rivelati veri amici, altri profittatori. Spesso pescato senza documenti dalle Polizie locali, era costretto a ritornare indietro nel luogo da dove era partito, oppure ro-cambolescamente fuggire e cercare riparo altrove. Salem aveva solo 12 anni quando decise, con l’approvazione del padre e della ma-dre tanto amati, di fuggire dal suo Paese, l’Afganistan, per trovare un luogo dove poter realizzare il sogno della sua vita, in una terra dove pace, concordia, democrazia potessero essere garantite. Sono state tante le situazioni difficili, nelle quali veniva messa a dura prova la propria integrità fisica e morale, ma la caparbietà, l’onestà del cuore, la naturale predisposizione benevola verso il prossimo, ed in primis la sua fede, Islamica, lo hanno aiutato con determinazione a superare grandi e piccole difficoltà, vista anche la sua giovane età. Il libro che racconta la sua storia “Fino alla vita” nella prefazione dice cosi’..” Il kalashnikov e gli attrezzi da falegname, sono questi i giochi di un ragazzino nato e cresciuto in Afganistan.... Alem sogna una vita, una vita vera..E questo sogno lo porterà ad attraversare monti desolati, mari in burrasca, sotto cieli immensi, fianco a fianco di persone che hanno perso la capacità di provare pietà per i più piccoli.” Il viaggio lungo e travagliato di Alem si conclude a San Donà di Piave, dove è giunto grazie ad un camion frigorifero per il trasporto di arance. Qui trova un ambiente accogliente, comprensivo che gli ridà nuova speranza e fiducia. Dopo aver appreso la morte atroce di Salem, suo caro amico, dice: La diffidenza e la paura verso gli sconosciuti sono aumentate, ma l’attenzione affettuosa di tutte le persone che mi vo-gliono bene, tuttavia, hanno saputo curarmi le ferite. Ora ha 18 anni, è una ragazzo cresciuto in fretta, provato duramente fin nelle viscere, il cuore più volte ha sanguinato per il dolore e la tristezza più cupa, la vita è stata davvero dura per lui. Ma il bene ha avuto il sopravvento ed il suo libro autobiografico conclude così: “Ho sempre sentito dire, da tanti, che la vita è un’avventura, un viaggio, e allora capisco che il mio viaggio è stato indispensabile per condurmi fortunatamente fino alla vita. Grazie caro Alem per la tua testimonianza. Adalberta Contarin

Terraferma è un film di confini, quello fra il mare e il continente, fra un lavoro antico come la pesca e le sirene della modernità, fra le leggi del mare e quelle scritte. Fatto di orizzonti, di luci lontane nel mare che per i disperati che cercano di attra-versarlo verso nord sembrano fari di speranza, ma si dimostrano spietate illusioni. In un’isola siciliana una famiglia di pescatori è alle prese con la crisi della pesca, divisa fra chi vuole aprirsi alla moder-nità e lavora con i turisti e chi vorrebbe che le cose non cambiassero mai. Nel frattempo continuano ad arrivare clandestini. Una donna africana col fi-glio viene salvata dal peschereccio e nascosta in casa. Un film che cerca e raggiunge la semplicità, scrosta via sovrastrutture e complessità ciniche della società contemporanea per far risaltare gli elementi base dell’uomo, il suo rapporto con l’al-tro, la natura, le tradizioni. Un po’ puro e un po’ spietato è un mondo in cui le leggi del mare sono in conflitto ormai con quelle scritte e imposte da chi viene da lontano, da chi non vive in un mare ormai privo di pesci ma pieno di uomini disperati. Un mondo in contrasto fra chi viene dalla terrafer-ma per turismo e porta ricchezza e chi arriva alla ricerca di una nuova vita, verso un nuovomondo. In fondo sono sempre uomini, spogliati di tutto di-ventano confondibili, tanto che la consueta imma-gine di un barcone strapieno di immigrati in mezzo al mare che spuntano ovunque e si buttano qui diventa quella di un gruppo di turisti che ballano e cantano in una delle tante immagini forti che ri-mangono impresse in Terraferma. Quando si parla di immigrazione si rischia spesso il politicamente corretto o il suo opposto qui il film arriva all’essenza del rapporto fra gli uomini, quasi primordiale, quello che segue l’istinto di porgere

la mano all’altro in difficoltà, ad aiu-tarlo, a rispettare le leggi del mare. Qui non si fug-ge dalla Sicilia come in Nuovo-mondo, ma si ha a che fare con chi fugge, con l’acco-glienza di chi arri-va. Ma Terraferma è soprattutto un film su un micro-cosmo che si ri-bella ad un mondo che cambia isteri-

camente, spesso senza riflettere. Qualcuno abuse-rà del termine buonismo (parola mai troppo odiata) per una vicenda che piuttosto ha il grande merito della semplicità, come quella di due donne, sen-za uomini per motivi diversi, una vedova isolana e una africana arrivata con il figlio. Un rapporto fatto di sguardi, diffidenza, rispetto, che diventa il vero nucleo emotivo del film, con la donna che custodi-sce il focolare, segna il territorio, ma lo apre anche all’accoglienza. La dimostrazione di come si pos-sa fare del buon cinema anche senza una storia troppo originale.

UN TESTIMONE UN FILMaleM saidY terraFerMa di Emanuele Crialese

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LE VIgNETTE

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Arrivano le Suore

Passaggio di testimone

Campanili a... rischio

SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

UN LIBROBianCa CoMe il latte, rossa CoMe il sanGue

di Alessandro d’Avenia

Leo è uno studente come tanti, ha sedici anni e una vita da-vanti di cui ancora non sa che fare. Ride e scherza con gli amici a scuola, adora gioca-re a calcetto, il suo motorino con il quale scorrazza per le strade della città insieme ai suoi amici e non si sepa-ra mai dal suo iPod. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori “una specie protetta che speri si estingua definitivamente”. Così, quando arriva un nuo-vo supplente di storia e filo-

sofia, lui si prepara ad accoglierlo con cinismo e distacco. Ma questo giovane insegnante è diverso: una luce gli brilla negli occhi quando spie-ga, quando sprona gli studenti a vivere intensamente, a cercare il proprio sogno. Il professore vuole che i ra-gazzi maturino e imparino a trovare gli stimoli per vivere al massimo e attivamente, diventare protagonisti della propria vita e delle scelte che essa comporta. Il bianco è l’assenza: tutto ciò che nella sua vita riguarda la priva-zione e la perdita è bianco. Il bianco è la grande paura di Leo. Ma c’è un sogno, dentro di lui. Un sogno rosso. Il rosso è il colore dell’amore, della passione, del sangue; rosso è il colore dei capelli di Beatrice. Leo è innamorato di Beatrice, anche se lei ancora non lo sa. Ma Beatrice è ammalata e la malattia ha a che fare con quel bianco che tanto lo spaventa. Leo dovrà scavare a fondo dentro di sé, sanguinare e rinascere, per capire che i sogni non possono morire e trovare il coraggio di credere in qualcosa di più grande. C’è anche Silvia nel-la vita di Leo, l’amica fedele, l’ancora di salvataggio, la presenza discreta che ti dice: quando hai bisogno io ci sono. Bianca come il latte, rossa come il sangue” è un romanzo che con dolcezza fa emergere le emozioni, le paure, le gioie, le insicurezze adolescenziali. Ma è anche un romanzo di formazione che, nel giro di un solo anno scolastico, assiste alla crescita interiore di un normale ragazzo. Non smetterà di sbagliare, né di soffrire. Ma impara ad amare. Conosce il valore dei sogni.E’ questo che fa di questo libro uno di quei romanzi la cui emozione non finisce con le ultime righe, con poche parole. Alessandro D’Avenia, trentadue anni, laureato in Lettere classiche, insegna al liceo ed è sceneggiatore. Questo è il suo primo romanzo ma ha già collaborato con riviste per recensioni e interviste. Voto: 10 e lode!Vi auguro buona lettura.

Agnese

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Per gli assidui alla messa è l’uomo di dio

Per i lontani è una funzionario della religione

Per alcuni è un solitario

Per altri l’uomo di tutti

se Parla con i ricchi è un caPitalista

se sta con i Poveri è un comunista

se ha un volto gioviale è un gaudente

se è Pensoso è un eterno insoddisfatto

se è bello, Perchè non si è sPosato?

se è brutto, nessuno l’ha voluto

se va in clergyman è un uomo di mondo

se veste con la tonaca è un conservatore

se è grasso non si lascia mancar niente

se è magro è un avaro sicuramente

se Predica Più di dieci minuti, non finisce Più

se Parla breve, non sa dire ProPrio niente

se ha i caPelli lunghi è un contestatore

se ha i caPelli corti è un sorPassato

se battezza e sPosa tutti, straPazza i sacramenti

se è Piuttosto esigente, allontana la gente

se fa visita ai Parrocchiani, è un ficcanaso

se sta in canonica, è un menefreghista

se non organizza delle feste, non fa mai nulla

se fa dei lavori in Parrocchia, butta via i soldi

se Parla di teologia è astratto e noioso

se Parla di Problemi Pratici è un Politicante

se ha il consiglio Pastorale, si lascia comandare

se non lo ha, è un Prete autoritario e clericale

se cita il concilio vaticano ii è un visionario utoPista

se ci tiene al catechismo è ancora con il concilio di trento

se è giovane, non ha esPerienza

se è anziano Potrebbe andare in Pensione

ma se Poi se ne va… chi lo sostituirà?

Il prete come dovrebbe essere?