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Anno XI n.39 marzo 2012 Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005 In caso di mancato recapito restituire al mittente C.M.P. Roserio - Milano, detentore del conto Foglio di formazione e informazione dell’Associazione Maria Immacolata N ella mia esperienza personale il verbo “custodire” ha una riso- nanza piacevole, per quel bello che ha significato intercettando cose e persone. Nella preadolescenza mi sono rimasti impressi due regali: un’edizione di lusso dei Vangeli e il Messalino quotidiano dal lab- bro in oro, che ho molto usato e che ho conservato gelo- samente e a lungo. Erano più che og- getti: erano il volto di una per- sona. Per questa relazione, in gene- rale, con le cose, credo di aver con- servato per alcune di esse un rapporto quasi affettivo che andava oltre l’utilità. Questa considerazione, legata a una nota biografica, mi suggerisce che l’atto del custodire ha una valenza particolare nel processo educativo. Mi spiego. Chi educa è chiamato a dare un peso a cose, parole, azioni, osservazioni perché l’educando possa elaborare e trovare in esse riferi- menti di crescita, di valutazione, di discernimento.È questo il senso del custodire che dà origine alla ricerca di completezza di vita insita nel- l’uomo. Nella tradizione biblica il verbo “cu- stodire” si riferisce talvolta a eventi della storia, di uomini e di genera- zioni, che trascendono la compren- sione immediata e rimandano a un disegno superiore. Il verbo “custo- dire”, così inteso, appartiene alla realtà storica che si coniuga con la tradizione di famiglia, di comu- nità, di patria, di società. Si coniuga soprattutto con cuore e mente, visibile in una chiamata. Il “custodire” è una responsabilità che riempie di gioia quando sa catturare i fatti della vita quoti- diana dando ad essi calore e spe- ranza. Oggi mi pare che venga a mancare, all’uomo in genere e alla famiglia in particolare, la condizione favorevole per valutare ed elaborare gli eventi per una comprensione più profonda che si traduca poi in memoria. Mi chiedo quali cause impediscono que- sta capacità di lettura: la pigrizia? la superficialità? il quasi inesistente confronto con sé stessi? la sottra- zione di spazi al silenzio? Il “custo- dire” biblico incrocia persone che vi- vono l’inquietudine di un senso della vita che si fa ricerca di una risposta. Maria ne è il paradigma. Mi sembra che oggi si dia eccessivo spazio alla curiosità, talvolta mor- bosa, di conoscere gli eventi me- diante il continuo, insistente chiac- chiericcio di parole e di immagini. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Non si è più capaci di una lettura più ampia e profonda che indirizzi verso responsabilità personali e a cammini educativi. Tutti insieme, giovani e adulti, davanti alle solle- citazioni dei fatti dobbiamo essere stimolati a una crescita personale e a uno sviluppo più equo della so- cietà. È su queste linee di riflessione che si colloca la famiglia oggi. Le nuove generazioni di coppie e di genitori non possono affidarsi solo ai criteri che offre la modernità ma devono fare un duplice sforzo: il primo è in- dirizzato alla storia che le ha prece- dute e introdotte nella società, il secondo fa appello a una fede nel Dio della storia che richiama ad es- sere protagonisti con lui di un mondo nuovo, fortemente e concre- tamente segnato dalla sua azione salvifica. A me uomo, Dio chiede di inserirmi umilmente nel suo disegno perché nell’intelligente obbedienza ai segni disseminati nella storia io possa realizzare la mia vocazione. Don Carlo in questo numero La famiglia: il custodire L’ATTO DEL CUSTODIRE UN’INCLUSIONE NECESSARIA ALLA VITA EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE

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Anno XI • n.39 • marzo 2012

Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005In caso di mancato recapito restituire al mittente C.M.P. Roserio - Milano, detentore del conto

Foglio di formazione e informazionedell’AssociazioneMaria Immacolata

Nella mia esperienza personale ilverbo “custodire” ha una riso-

nanza piacevole, per quel bello cheha significato intercettando cose epersone. Nella preadolescenza misono rimasti impressi due regali:un’edizione di lusso dei Vangeli e ilMessalino quotidiano dal lab-bro in oro, che ho molto usatoe che ho conservato gelo-samente e a lungo.Erano più che og-getti: erano ilvolto di una per-sona. Per questarelazione, in gene-rale, con le cose,credo di aver con-servato per alcunedi esse un rapportoquasi affettivo cheandava oltre l’utilità.Questa considerazione, legata a unanota biografica, mi suggerisce chel’atto del custodire ha una valenzaparticolare nel processo educativo.Mi spiego. Chi educa è chiamato adare un peso a cose, parole, azioni,osservazioni perché l’educando possaelaborare e trovare in esse riferi-menti di crescita, di valutazione, didiscernimento.È questo il senso delcustodire che dà origine alla ricercadi completezza di vita insita nel-l’uomo.Nella tradizione biblica il verbo “cu-

stodire” si riferisce talvolta a eventidella storia, di uomini e di genera-zioni, che trascendono la compren-sione immediata e rimandano a undisegno superiore. Il verbo “custo-dire”, così inteso, appartiene allarealtà storica che si coniuga con la

tradizione di famiglia, di comu-nità, di patria, di società. Si

coniuga soprattutto concuore e mente, visibile

in una chiamata. Il“custodire” è unaresponsabilitàche riempie digioia quando sacatturare i fattidella vita quoti-diana dando ad

essi calore e spe-ranza. Oggi mi pareche venga a mancare,

all’uomo in genere e alla famiglia inparticolare, la condizione favorevoleper valutare ed elaborare gli eventiper una comprensione più profondache si traduca poi in memoria. Michiedo quali cause impediscono que-sta capacità di lettura: la pigrizia?la superficialità? il quasi inesistenteconfronto con sé stessi? la sottra-zione di spazi al silenzio? Il “custo-dire” biblico incrocia persone che vi-vono l’inquietudine di un senso dellavita che si fa ricerca di una risposta.Maria ne è il paradigma.

Mi sembra che oggi si dia eccessivospazio alla curiosità, talvolta mor-bosa, di conoscere gli eventi me-diante il continuo, insistente chiac-chiericcio di parole e di immagini.Il risultato è sotto gli occhi di tutti.Non si è più capaci di una letturapiù ampia e profonda che indirizziverso responsabilità personali e acammini educativi. Tutti insieme,giovani e adulti, davanti alle solle-citazioni dei fatti dobbiamo esserestimolati a una crescita personale ea uno sviluppo più equo della so-cietà.È su queste linee di riflessione chesi colloca la famiglia oggi. Le nuovegenerazioni di coppie e di genitorinon possono affidarsi solo ai criteriche offre la modernità ma devonofare un duplice sforzo: il primo è in-dirizzato alla storia che le ha prece-dute e introdotte nella società, ilsecondo fa appello a una fede nelDio della storia che richiama ad es-sere protagonisti con lui di unmondo nuovo, fortemente e concre-tamente segnato dalla sua azionesalvifica. A me uomo, Dio chiede diinserirmi umilmente nel suo disegnoperché nell’intelligente obbedienzaai segni disseminati nella storia iopossa realizzare la mia vocazione.

Don Carlo

in questo numeroLa famiglia:il custodire

L’ATTO DEL CUSTODIREUN’INCLUSIONE NECESSARIA ALLA VITA

EDITORIALE • EDITORIALE • EDITORIALE • EDITORIALE • EDITORIALE • EDITORIALE • EDITORIALE

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2 • AscoltAmi n.39 • marzo 2012

Padre Ermes Ronchi (dell’Ordinedei Serviti di Santa Maria) ha

pubblicato qualche anno fa un libro,“Le case di Maria” (ed. Paoline,2009), che è una intensa riflessionesulla famiglia alla luce del Vangelo.Molti sono gli spunti che se ne pos-sono trarre sul tema di questo nu-mero del nostro giornale. Ci rivol-giamo quindi all’autore, perché ciindichi alcune idee-forza per una au-tentica vita familiare, che sa acco-gliere e custodire.

Ci ha colpito prima di tutto la ricchezzadi significati della parola “casa”, cheemerge dal testo.Casa, nel linguaggio biblico, ha undoppio significato: indica la casacome edificio e il casato come in-sieme di persone, i figli, la famiglia,ma anche la loro storia.L’ultimo dei comandamenti, la de-cima parola, che riassume tutto ildecalogo, suona così: “Non deside-rare la casa del tuo prossimo” (Es.20,17), dove la casa contiene l’ideadi totalità, la globalità del vivere,l’insieme delle persone e delle cosein cui investi il tuo sentimentod’identità e di appartenenza. La casaentra nella legge come metaforadella vita.L’immagine che ci resta di Gesù nonè quella della frequentazione deitempli, ma quella della frequenta-zione della vita: strade, campi, lago,case, la casa dove si banchetta, lacasa dove si piange, la casa degliamici, la casa dove qualcuno ti pro-fuma, e volti. Infine, l’immagine più frequente delregno di Dio, nella predicazione diGesù, è una casa lieta di pane, lietadel vino di parole nuove!

Dalla sua riflessione abbiamo trattoalcune espressioni che ci sono sembrateinteressanti e che la preghiamo di voler

commentare con riferimento all’argo-mento di questo numero del nostrogiornale. La prima è “fare casa”.“Fare casa” significa costruire lacasa, non soltanto come abitazione,ma come luogo dove accadono glieventi decisivi della vita. “Fare casa”significa stare con la persona amata,amare riamati. Significa creare co-munione, costruire comunicazione etenerezza, generare futuro insieme.In questo senso la casa è il luogodell’accoglienza, spazio ospitante,ma anche spazio dove ciascuno di-venta se stesso.Maria lascia la casa di suo padreper affidarsi a un altro in un cam-mino di comunione, che la porteràa costruire una nuova casa, un co-mune destino. Pensare a Maria chefa casa con Giuseppe significa pen-sarla come colei, che “presa incasa”, diviene l’ospitata in uno spa-zio di dono e colei che a sua volta“prende con sé” la vita di un uomo,diviene accoglienza ospitale. Mariadiventa se stessa, accolta e acco-

gliente, nella casa del falegname.

Cosa intende quando parla della coppiacome “custode dell’immagine”?Secondo il Vangelo di Luca l’annun-ciazione è fatta a Maria; secondo ilVangelo di Matteo l’annunciazione èfatta a Giuseppe. Se sovrapponiamoi due Vangeli, scopriamo che in re-altà l’annuncio è fatto alla coppia,la vocazione è rivolta allo sposo ealla sposa insieme, dentro il matri-monio. Con il suo amore e la capa-cità di dono la coppia è “custodedell’immagine” non solo del Creatore,ma della Trinità, di un Dio il cui mi-stero vibra di un infinito movimentod’amore, che è in se stesso scambio,reciprocità, dono, comunione, vitache dà vita.

Per quanto riguarda il rapporto con ifigli, lei delinea un vero e proprio per-corso per i genitori, che va “dal posse-dere al proteggere”. Bisogna essere prima sposi per poteressere poi genitori, per esserlo in-sieme. Bisogna essere con-sorti, scam-biare e condividere la medesima sorte,scegliere e intrecciare il medesimo de-stino, perché “lo Spirito non è piùnell’io, ma tra l’io e il tu” (M.Buber).

LA FAMIGLIA CHE ACCOGLIEE CUSTODISCE

PARLIAMO CON • PARLIAMO CON • PARLIAMO CON • PARLIAMO CON • PARLIAMO CON • PARLIAMO

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3AscoltAmi n.39 • marzo 2012

È nato ad Attimis il 16 agosto 1947 ed è un presbitero e teologo italianodell'Ordine dei Servi di Maria.

Ordinato sacerdote (1973), dà vita, insieme ad altri frati, ad una comunità spe-rimentale nella provincia di Vicenza (trasferitasi poi a Casale Monferrato)Chiede di andare a Parigi, dove lavora come insegnante di italiano e come spaz-zino comunale per mantenersi gli studi. Consegue due dottorati: in Storia dellereligioni con specializzazione in Antropologia culturale (alla Sorbona) e inScienze Religiose (all'Institut catholique de Paris).Nel 1980 torna in Italia, dove è destinato al convento dell'Annunciata di Rovatofino al 1991:Dal 1991 al 1994 è nella comunità dei Servi di Maria a Verona.Nel 1994, dopo sei mesi trascorsi a Parigi per rinfrescare gli studi, si stabilisce aMilano, dove attualmente svolge varie attività presso la Chiesa di San Carlo alCorso, dirigendo il Centro culturale Corsia dei Servi fondato da David Maria Turoldo.Ha redatto i testi di riflessione per la veglia di 500.000 ragazzi all'Incontro na-zionale dei giovani 2007.È docente di Estetica Teologica ed Iconografia alla Pontificia Facoltà TeologicaMarianum di Roma.È autore di numerosi libri su temi biblici e spirituali; collabora inoltre condiverse testate giornalistiche.

Generare un figlio è facile, ma es-sergli padre e madre, amarlo, farlocrescere, farlo felice, insegnargli ilmestiere di uomo, questa è tuttaun’altra avventura. Bastano pochiistanti per diventare genitori, mapadri e madri lo si diventa nel corsodi tutta la vita.Ogni madre, ogni genitore nei con-fronti del proprio figlio deve passaredal possedere al proteggere: è il per-corso di ogni amore vero.

“Ma essi non compresero le sue parole”.Nell’episodio di Gerusalemme, lei sot-tolinea alcune dinamiche importantiper “custodire” i figli nel delicato mo-mento di passaggio verso l’adolescenzae la giovinezza.In quell’episodio, come tutti i figli,Gesù si sta allontanando da casa.Maria e Giuseppe, come tanti, forsecome tutti i genitori, sentono chealla fine i figli non sono nostri, ap-partengono a Dio, al mondo, allaloro missione, ai loro amori, alla lorovocazione, ai loro sogni, persino ailoro limiti.Famiglia santa, eppure in crisi, dovefigli e genitori non si capiscono. Daquesta famiglia santa eppure imper-fetta, santa eppure limitata, scendecome una benedizione, una conso-lazione, un conforto per tutte le no-stre famiglie con tutti i loro limiti.Neppure la migliore delle famiglie èrimasta esente dall’incomprensionereciproca.Ma ecco la differenza: essi vanno in-sieme a Gerusalemme, insieme ritor-nano a Nazaret, insieme cercano ilfiglio. Insieme. Questo gesto semprepiù raro per le famiglie, dove ognunovive la propria strada, le propriemete, i propri segreti, dove non sifa quasi più nulla insieme.Ed ecco un’altra differenza. Mariachiede: “Perché ci hai fatto così?”Apre un dialogo, ma un dialogo pa-cato, senza risentimenti, senza ac-cuse, che sa interrogare e ascoltare,e sa accogliere perfino una rispostaincomprensibile. E c’è un figlio chea sua volta ascolta, che risponde,

che interroga, ed è una grande cosadi fronte a tutta quella mancanza dicomunicazione che minaccia le case.

“E stava loro sottomesso”. Sembra incontraddizione con l’immagine della“casa, dove la vita nasce, è custoditae cresce in età, sapienza e grazia”.Si può crescere in sapienza e graziaanche sottomessi ai limiti degli altri,ai limiti di mio marito, di mio padre,di mia moglie, al loro ritmo. Si puòcrescere in sapienza anche sotto-messi al non capire e al non esserecapiti. Questo può accadere perchéognuno di noi è ben più grande deisuoi problemi, perché nessuno siidentifica con i suoi limiti.Mio padre, mia madre, lo sposo,miofiglio non coincidono con i loro di-fetti, ma in loro abita il mistero, inloro abitano le cose di Dio. E’ il mi-stero che si fa strada attraverso idubbi, la fatica, la riflessione,l’ascolto reciproco.

“Custodire” è anche saper mantenerevive le buone regole, i sani orienta-menti che provengono da una famigliaunita. Lei parla di “arte di vivere”.

Ciò che Gesù impara nella casa diNazaret dalle cose, dal lavoro, dallerelazioni, è il sapere della vita. Nellasua casa riceve ed elabora il sensodella vita, come di una cosa buonada scegliere e a cui dedicarsi.L’arte di vivere è anche arte di pen-sare, l’arte della profondità. “Sua ma-dre conservava con cura tutte que-ste cose nel cuore”. Conservava laparola di Dio, la parola non capita,la risposta brusca, i fatti che stupi-vano, i semi seminati e non fioriti.Li tiene nel cuore meditando, con-servando, proteggendo. Il dono dachiedere a Dio è quello di esserepensosi, di non arrestarci all’incom-prensione, il dono di andare oltre oalmeno di intuire che c’è un oltre.Nei trent’anni di Nazaret, Gesù im-para la cura amorosa per ogni piùpiccola cosa di coloro che ami, lìcomprende l’infinita cura di Dio perl’infinitamente piccolo, l’attenzioneamorosa all’altro per cui nulla è in-significante di ciò che appartienealla persona amata. Il Vangelo giàaccade in quella casa.

A cura di Sara Esposito

ERMES MARIA RONCHI

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4 • AscoltAmi n.39 • marzo 2012

Nel percorso offerto dal Pon-tificio Consiglio per la Fa-

miglia in preparazione al VIIIncontro mondiale delle Fami-glie, che si terrà a Milano dalprossimo 30 maggio fino al 3giugno, una delle catechesi èdedicata al tema della famigliache vive la prova e viene svi-luppata a partire dal raccontoevangelico della fuga in Egitto.

Da questa riflessione riprendodue parole che mi sembranoutili per il nostro volontariato.La prima è: “custodire”. L’av-vertimento dell’angelo non esoneraGiuseppe dall’esercitare il proprio di-scernimento nell’emergenza, dal ri-flettere, valutare la situazione, pren-dere decisioni per proteggere la vitadella madre e del bambino.Anche le famiglie degli ospiti cheincontriamo nelle strutture si tro-vano in una situazione di emergenza,ma spesso osserviamo che sono psi-cologicamente e spiritualmente im-preparate ad affrontarla con le pro-prie sole forze. Alle difficoltà legatealla malattia del loro congiunto ealla necessità di conciliare gli impe-gni ordinari con le cure richieste siaggiungono quelle dovute all’im-patto con la struttura, soprattuttoalla scarsa comunicazione col per-sonale medico e infermieristico, alletensioni in relazione all’ambiente.Come può il volontario svolgere unruolo di sostegno nei confronti diqueste famiglie?In occasione del Convegno dioce-sano sul volontariato, nel 2008, de-dicato al tema del volontario comesupporto alla famiglia, don CarloStucchi, assistente spirituale al PioAlbergo Trivulzio, sottolineava che

in questi casi “la figura del volonta-rio è preziosa per la sua relazioneinsostituibile di carica umana e diequilibrio” e può svolgere un impor-tante lavoro di mediazione culturalenon solo accanto agli ospiti, ma an-che nei confronti dei familiari: aiu-tandoli a comprendere il precariostato psicologico in cui viene a tro-varsi il loro congiunto a causa delmanifestarsi della malattia e quindia porsi in maniera corretta nella re-lazione con lui; a ripensare al lorostile di vita per adattarlo alla attualesituazione di bisogno, a cercare, sepossibile, di interpretare la nuovarealtà alla luce della fede.

L’altra parola è: “viaggio”. Nella ca-techesi sulla famiglia che vive laprova la fuga in Egitto viene lettacome allusione “a una vicenda piùuniversale”, la necessità di intra-prendere il viaggio per raggiungereuna nuova maturità: “è il viaggio delfare famiglia”, un cammino impe-gnativo, in cui le tante difficoltàpossono talvolta scoraggiare.Analogamente, gli ospiti e i loro fa-miliari che arrivano nelle strutture

hanno dovuto intraprendere un viag-gio, l'emergenza della malattia li hafatti uscire dalla loro quotidianità e“incamminare per una strada imper-via, complicata, inquietante”. Mache può anche portare a scoprireorizzonti inattesi. Ancora nel convegno prima menzio-

nato il dr. Marco Triulzi,direttore sanitario delPoliclinico di Milano, os-servava che “la famigliae il malato esigono com-pagni di viaggio che liaiutino a sostenere ipassi incerti e indebolitidi chi lotta con la ma-lattia e il dolore”. Traquesti, il volontario hasicuramente un suoruolo da svolgere ac-canto agli ospiti e ailoro parenti, perché pos-sano affrontare la prova

“più insieme”, secondo un’espres-sione cara a Emmanuel Mounier.Quante incomprensioni, quante sof-ferenze non risolte vediamo affio-rare lungo questo cammino! Ma an-che quante conversioni, che portanoa rivedere la propria vita, personalee familiare, rafforzare dei legami,riscoprire affetti, valutare differen-temente le priorità. Il dr. Triulzi sottolineava infine l’im-portanza, in questo “viaggio”, discoprire o riscoprire le relazioni conle altre persone. Anche qui c’è per ilvolontario uno spazio di mediazioneper aiutare gli ospiti e le loro fami-glie a non isolarsi, a non ripiegarsisulle loro difficoltà. Offrendo risorsedi prossimità, di maturità umana ecristiana, può aiutarli a reagire e avivere la non facile esperienza dellamalattia aprendosi alla comunità cir-costante, formata dagli altri ospitie dai loro familiari, ma anche datutte le figure che operano nellastruttura: una famiglia più ampia,con la quale instaurare uno scambiodi reciproco sostegno e conforto.

a cura di Sara Esposito

IL VOLONTARIO: SUPPORTO ALLA FAMIGLIACHE VIVE LA PROVA

IL VOLONTARIATO RACCONTA • IL VOLONTARIATO RACCONTA • IL VOLONTARIATO RACCONTA

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5• AscoltAmi n.39 • marzo 2012

“Custodire: una parola oggi unpo' dimenticata, un po' fuori

moda. Sono più in voga altre parolecome consumare, usare, sfruttare;oppure, per altri aspetti, parole comedifendere, salvaguardare, proteggere.La parola custodire è certo menousata, almeno nel linguaggio cor-rente.Custodire è parola preziosa perché ècarica anzitutto di stupore: si cu-stodiscono le persone care, le ami-cizie, i ricordi belli del passato; sicustodisce cioè quello che nella no-stra storia ha generato meraviglia egratitudine.”Non trovo più, tra le mie carte, il ri-ferimento a queste parole, che misono sembrate piene di significatoe ho pensato al “custodire” propriocome si pensa a uno scrigno dove siripongono le cose per noi più im-portanti.Al di là delle persone, dei nostri cari,di quelli che più amiamo, a me piacesempre la ricostruzione della memo-ria. E’ così che custodiamo le nostretradizioni, le usanze della nostra fa-miglia, il nostro “credo”, in tutti isensi (religioso o sociale e politico),le nostre idee, le nostre radici, lanostra storia, il nostro lessico fami-gliare.E proprio anche del mio personalelessico famigliare io penso di essereuna custode devota.Ricordo ilbell issimolibro dellaGinzburg cheaveva appun-to questo ti-tolo, dove imodi di direusati in fami-glia danno sem-pre un’improntaai rapporti trapadri e figli, unlinguaggio in cui

ci si riconosce e che spesso si tra-manda.Io avevo una madre fiorentina e diorigine ebraica e un padre assoluta-mente lombardo. Milanesissimo.Ho ancora nelle orecchie i loro stra-ordinari dialoghi: lei che parlava inmodo forbito, intercalando con qual-che parola yiddish e lui che sbottavain qualche tipica espressione dialet-tale. A me, bambina, pareva tuttomolto normale, ma ripensandociadesso quello dei miei genitori eraun linguaggio davvero insolito, senon divertente. E sono parole,espressioni, che io custodisco nellamia memoria, ostinatamente, quasiper paura di perderle o di dimenti-carle. Tanto che me le sono appun-tate in un apposito quadernino.E qualche volta, se non spesso, miritrovo a ripeterle per abitudine an-che con i miei piccoli nipoti, chesono curiosi e chiedono il significatodi ogni cosa. E forse qualcosa cu-stodiranno anche loro.Ma non solo del linguaggio si è cu-stodi. Si è custodi delle nostre abi-tudini, dei nostri pensieri.Nel nostro ricordare la parola “cu-stodire” è il perno. Tutti noi siamocustodi, purchè il custodire sia unluogo di chiarezza e di luce, il “no-stro” luogo dove si ricordano le cose

degne e buone dellavita e dove anchealle cose dolorosevenga dato un po-sto, ma di riposo edi riparo, privo dirancore e di acre-dine. Perché inuno scrigno van-no riposte, ap-punto, solo lecose preziose.

AdrianaGiussani K.

Per scegliere il libro da proporre inquesto numero del giornale sono par-tita dalla riflessione che nella famigliavivono insieme persone di tutte le etàe, quando il fondamento è l’amore, lavita dell’altro è preziosa quanto la pro-pria, talvolta più preziosa della propria,ci si prende cura del benessere di tuttii componenti, ci si fa carico dei pro-blemi di ciascuno. Mi è stato di aiutoun pensiero di Jean Guitton, tratto dallibro “La famiglia e l’amore” (ed. Pao-line, 1986), che vi offro: “In ogni momento della vita le relazionidi famiglia ci presentano alcuni doveriestremamente precisi da assolvere, do-veri quotidiani, necessari e che dannouna soddisfazione di cuore e d’anima.Appunto perciò non sono mai doveri oobblighi, ma legami, incarnazioni, ser-vizi, in cui l’affetto e il sacrificio si fon-dono e si colorano a vicenda”. Talvolta non è facile orientarsi per svol-gere questo compito del “prendersicura” nell’ambito della famiglia: ognietà è caratterizzata da esigenze, fati-che, priorità, differenti. Una guida preziosa per orientarsi suquesto tema così delicato è il libro diCarlo Maria Martini, “Le età della vita”(Mondadori, 2010). Il saggio raccoglie la riflessione del Car-dinale maturata nel corso degli anni.In più occasioni nell’arco del suo mini-stero Martini ha analizzato, negli in-contri con giovani, lavoratori, anziani,gli aspetti positivi e negativi di ogni fa-scia d’età, sottolineando sempre cheogni età è degna di essere vissuta conil massimo impegno e consapevolezza.Il testo è organizzato seguendo un pro-verbio indiano, che parla di quattrostadi nella vita dell’uomo. Il primo èquello nel quale si impara, il secondoè quello nel quale si insegna e si ser-vono gli altri, mettendo a punto quantosi è imparato; il terzo stadio è quellodel silenzio, della riflessione, del ripen-samento. Il quarto è il tempo in cui siimpara a mendicare: è il sommo dellavita ascetica, ma è anche “lo stadio deldipendere da altri, quello che non vor-remmo mai, ma che viene, al quale dob-biamo prepararci”.

a cura di Sara Esposito

UNA PAROLA PREZIOSALA VOCE DEI FAMILIARI • LA VOCE DEI FAMILIARI • LA VOCE DEI • VISTI E LETTI PER VOI •

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6 • AscoltAmi n.39 • marzo 2012

Ce la sentiamo veramente di par-lare onestamente della Famiglia?

Vale a dire di quel nucleo di personeche forma la società, che prepara icittadini ad amare il proprio Paese,a rispettare gli altri, a non trasgre-dire alle leggi, a darsi comporta-menti perché attraverso ciò che si èsi rappresenta tutta la nostra so-cietà?Francamente ho qualche difficoltàad affrontare questo argomento per-ché di modelli edificanti non ne vedomolti intorno a me. Eppure ci sono,ci sono di sicuro ma non sono pur-troppo quelli che si mettono in mo-stra, i più evidenti.Psicanalisti e sociologi hanno riem-pito volumi e volumi sull’analisi dellafamiglia dei nostri tempi. Quindi l’ar-gomento è più che sviscerato a li-vello intellettuale e non sarò certoio che potrò aggiungere qualcosa disignificativo. Ho pensato che affi-dandomi ai ricordi forse sarà più elo-

quente il mio pensiero e ciascunopotrà sottolineare le differenze fraciò che eravamo e ciò che siamo di-ventati. Il custodire è il tema particolare diquesto numero. La prima cosa chemi viene in mente è custodire untesoro, o custodire un segreto. Siail tesoro che il segreto, secondo me,si possono applicare al concetto difamiglia. La famiglia patriarcale, quella checustodiva le tradizioni, che riunivasotto lo stesso tetto anziani e gio-vani perché queste tradizioni si tra-mandassero in modo semplice e na-turale con l’esempio, la parola e ilrispetto, potrebbe definirsi un te-soro. E tutto ciò che riguardavaquella piccola comunità veniva pro-tetto dal segreto perché la discre-zione voleva dire non volgarizzare isentimenti, i rapporti, i sacrifici, lesofferenze che inevitabilmente lacolpivano. Si parlava sempre e sola-

mente sottovoce come se tutto fosseriservato.In una famiglia così sono nata esono cresciuta fino a dieci anni, finoa quando cioè i miei nonni sonomorti, come era naturale.Poi i miei genitori sono stati l’unicoriferimento e l’impostazione dei rap-porti non è cambiata molto. Severitàsempre, obbedienza sempre, e co-municazione e confidenza pochis-sima. Quando, molto giovane misono sposata, ho dovuto creare ioun modello di famiglia. Forte del-l’esperienza che comunque avevo ac-cumulata ho puntato soprattutto sucustodire un tesoro: così ho vissutola nascita dei miei figli. Non più se-greti ma comunicazione, e nella co-municazione far risaltare il bisognodi rispettare gli altri anche se noncondividono le tue stesse idee e iltuo stesso stile di vita. Questo mi èsempre sembrato indispensabile pervivere nella società. La base di unaconvivenza umana che avrebbe per-messo anche ai miei figli di esserebuoni cittadini e di rispettare senzaalcuna forzatura il messaggio cri-stiano.Naturalmente, e ne sono sicura, nonsempre questo modello ha funzio-nato secondo le mie intenzioni. Manmano che l’esperienza da genitorecresce, man mano che si profilano itemperamenti dei figli bisogna mo-dificare e plasmare un progetto enon è sempre facile, anzi, a dirlasinceramente, è molto difficile. Per-ché spesso i progetti si scontranocon i cambiamenti della società econ l’impossibilità, a volte, di se-guire una impostazione iniziale. Maperseguire l’idea del custodire un te-soro è forse quella che non deve es-sere abbandonata a costo di errori,sacrifici, sofferenze. E c’è un mo-mento in cui ti rendi conto che nevaleva la pena, che, se ci hai cre-duto, i ritorni ci sono e che la Fami-glia non è una creatura che si puòaffrontare con superficialità.

Maria Grazia Mezzadri

POSSIAMO PARLARE DELLA FAMIGLIA?

LA VOCE DEI FAMILIARI • LA VOCE DEI FAMILIARI • LA VOCE DEI FAMILIARI • LA VOCE DEI FAMILIARI

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7• AscoltAmi n.39 • marzo 2012

Della donna e della cura della fa-miglia oggi se ne parla molto in

riunioni, dibattiti dove ognuno pro-pone itinerari educativi e percorsiche poco hanno a che vedere con ilrisolvere un problema che è in evo-luzione e al quale bisogna dare spa-zio per un’analisi non solo appro-fondita, ma ricca di quell’onestodiscernimento che non chiariscetutto e subito ma si stempera in unlungo arco di tempo. È sotto gli occhi di tutti che l’isti-tuto familiare è in crisi o piuttostocerca affannosamente una soluzioneche tuttavia per ora sembra difficileda individuare. Analizziamo le causee non guardiamo solo al passato; ilmondo evolve, le abitudini del quo-tidiano cambiano, la donna acquistafaticosamente giorno per giorno lasua libertà, l’uomo si sente sempremeno appagato e realizzato, i figliperdono alcuni punti di riferimento:dalla famiglia patriarcale alle attualimonadi familiari e al gruppo. Le esigenze aumentano, la tecnolo-gia, se da un lato benefica, da unaltro isola e drena le relazioni, laconoscenza si fa sempre più esigenteed impone scelte a volte difficili maobbligate costringendo a rimodellaree rivedere concetti e abitudini divita consolidati; tutto questo creaincertezze e insicurezze profonde.Da ciò è chiaro che la ricetta non siintravede, ma l’uomo e la donna delnostro tempo dovranno forse piùascoltare che decidere strategie, piùosservare e meditare affidandosi adun atteggiamento di responsabile ri-

flessione e di pacatezza con unesempio di vita che infonda più gioiavera, accoglienza, comprensione,ascolto e amore. Prendiamo ad esempio il percorsodella donna dal lontano passato:quanto è stato ricco e tormentato!Considerata poco più di un asino dasoma o un delizioso oggetto adibitoalla procreazione, nel tempo e contenacia ha acquistato dignità e forzatanto da essere ora punto impor-tante di riferimento da cui ripartireper una nuova rinascita. La libertàdella donna che deriva anche da unagestione apparentemente più perso-nale e programmata, ma a voltemeno responsabile della sua sessua-lità, e da una sua faticosa conquistanel mondo del lavoro, pur affrancan-dola da una dipendenza economica

dall’uomo crea uno stato di disu-nione familiare che ha come fonda-mento una vita non testimoniata albene operare e non dedita alla curadel NIDO. Forse nel tempo, rimodel-landosi in forme nuove di generosoaltruismo e di difesa del mondo fa-miliare, potrà costituire un impor-tante caposaldo di un nuovo istitutodi unione familiare ricco di quellalibertà e verità, consapevole e te-stimoniata, e di quel parlar chiaroche oggi ancora si manifestano comeun ostacolo del vivere quotidiano.Affrontare tutti insieme verità sco-mode o prendere decisioni corag-giose, slegate dalle abitudini ste-reotipate del nostro vivere,condizionato da estenuanti e subli-minari sollecitazioni, non solo ci ma-turano e ci fanno crescere ma creanoe radicano in ognuno di noi quellaconsapevolezza che la vita è dono ecome tale va difesa e vissuta.

Ersilia Dolfini

PRENDERSI CURA DELLA FAMIGLIA

IL PUNTO DI VISTA • IL PUNTO DI VISTA • IL PUNTO DI VISTA • IL PUNTO DI VISTA • IL PUNTO DI

PREGHIERE DI PACE6.11.2011

Dialogo interreligioso e preghiera incomune sotto la Loggia dei Mercanti,per il Forum delle Religioni. 150 per-sone si sono trovate per quella che gliorganizzatori hanno definito "unaesperienza giovane ma promettente,piccola ma significativa". Qualche cu-rioso ma soprattutto molti informati econsapevoli dell'incontro in atto,hanno tutti potuto ascoltare 5 pre-ghiere diverse ma sempre di pace: peri cristiani monsignorGianfranco Bottoni,responsabile per l'ecu-menismo e il dialogointerreligioso dell'ar-cidiocesi di Milano,per gli ebrei Rav. Al-fonso Arbib, rabbinocapo di Milano, per ibuddisti, Rosa RajaMyoen, monaca delmonastero buddhi-

sta Zen Ensoji "Il Cerchio", per gli in-duisti Svamini Hamsananda, monacainduista e vicepresidente dell'unioneinduisti italiana e per i musulmani Mu-hammad Danovaspostamenti, respon-sabile per il dialogo interreligioso dellaCasa della Cultura islamica di Milano.A coordinare il Forum dettando assiemeal gong gli interventi e gli sposta-menti, tutti caratterizzati da rispetto,silenzio e ordine, è stato Giuseppe Pla-tone, pastore evangelico della ChiesaValdese di Milano. Presente anche ilsindaco Giuliano Pisapia

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8 • AscoltAmi n.39 • marzo 2012

Parto dall’ovvietà che la famiglia siacambiata per cercare di cogliere dove

collocare il “custodire”. A me pare che,più che custodire la famiglia si debba rac-cogliere dei frammenti. Della tradizionenon si intravede neppure l’ombra.Eppure la famiglia è il luogo dove si tra-smette e custodisce la vita fin dalla suaorigine.Come mettere insieme i valori fondamen-tali della vita familiare con la frammenta-rietà e il suo sgretolarsi di oggi, difesi dauna cultura che radicalmente la vede fi-nita?Dentro a questo contesto mi chiedo comela famiglia possa custodire il malato, l’an-ziano, il morente. È questo il versante sucui i volontari sono impegnati ed è suquesto versante che si sviluppa la mia ri-flessione.Leggo, dal Vangelo di Luca, il dolore di

Maria e Giuseppe nella domanda “Figlio,perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padree io, angosciati, ti cercavamo.” (cfr. Lc.2, 48-52). Rivelatore di sofferenze che ac-compagnano la relazione familiare.Nulla è dato per scontato. I doni ricevuti,il ritmo dell’esistenza, le contrarietà e ledifficoltà chiedono, se accolti nella propriaintimità, di essere custoditi per capirequel “non sapevate che devo occuparmidelle cose del Padre mio?”.La famiglia dunque è chiamata a vegliaresui fatti che accadono in essa perché tutti,proprio tutti, hanno un senso, anche senon immediatamente evidente. La scuolache lo può far intravedere è indicata, se-condo me, nell’episodio evangelico citato:c’è un accadimento e un invito a cercarneil significato dall’alto. Ma questo non to-glie difficoltà, conflittualità e ricerca disignificato. “Grandissima è la sofferenza

di Maria e di Giuseppe nel sentirsi genitoriincapaci, inadatti a rispondere al loro man-dato, alla fiducia che Dio aveva loro di-mostrato.” (cfr. “Le età della vita” di C.M. Martini). Io ritrovo qui un criterio disosta davanti a lamentele, disagi, incom-prensioni, frequenti nella relazione d’aiuto.La lamentela non chiede immediatamenteuna risposta ma chiede di essere capitanel suo porsi.In una famiglia capace di generare, di ac-cogliere, di custodire dei valori, questiinevitabilmente divengono visibili anchein ambiti esterni. “Rientra nella missioneeducativa dei genitori insegnare e testi-moniare ai figli il vero senso del soffrire edel morire: lo potranno fare se saprannoessere attenti ad ogni sofferenza che tro-vano intorno a sé e, prima ancora, se sa-pranno sviluppare atteggiamenti di vici-nanza, assistenza e condivisione versomalati e anziani nell’ambito familiare.”(cfr. “La famiglia: il lavoro e la festa” -pg.31)Un volontario nasce in famiglia, là dovetrova i fondamenti per interessarsi dell’al-tro, per condividere con l’altro, per donarsiall’altro. Una famiglia è vera quando noncensura gli eventi essenziali della vita,ma li sa offrire ai figli. Non nasconde ma-lattie lunghe, lutti e perdite ma li sa pre-sentare con quella delicatezza, anzi leg-gerezza, che fa sì che l’evento sia coltonella sua verità proporzionata all’età e allecondizioni. Mi è piaciuto l’esempio che holetto in un’intervista al Cardinal Ravasi,in cui lui racconta del suo essersi trovatoin una famiglia di un villaggio irachenodove al centro di un’unica grande stanzadella casa stava adagiato un vecchio mo-rente attorniato dalle donne impegnatein cucina e dai bambini che, giocando, ditanto in tanto si staccavano per accarez-zare il nonno.

Marina Di Marco

Lisbona by night

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Direttore responsabile: don Carlo StucchiDirettore di redazione: Marina di MarcoGruppo redazionale: Ersilia Dolfini, Sara Esposito, Adriana Giussani K., Maria Grazia MezzadriFoto: Arch. AMI, Vetrina p.4 T. MavriciEditing: Adriana Giussani K.Progetto grafico e impaginazione: Raul MartinelloStampa: NAVA SpA, Via Breda 98, 20136 MilanoChiuso in redazione: 4 febbraio 2012

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FAMIGLIA MICROCOSMO PER IL VOLONTARIO

nel prossimo numeroLa famiglia:il distacco

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