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Medicina alternativa e complementare in psico-oncologia pediatrica. Il metodo Kids Kicking Cancer Complementary alternative medicine and pediatric psycho-oncology. Kids Kicking Cancer’s Method Stefano Tantillo1, Vincenza Guanciale2 Riassunto L’associazione Kids Kicking Cancer ha lo scopo di aumentare le risorse di coping nei bambini oncologici. Il suo metodo, globale ed innovativo, si pone all'interno della Medicina Alternativa e Complementare (CAM). Le conclusioni supportano la validità di un approccio multi-dimensionale nel dare sostegno al piccolo malato ed alla sua famiglia. Parole chiave Psico-oncologia pediatrica, Kids Kicking Cancer, Medicina Alternativa e Complementare, tecniche immaginative, tecniche di rilassamento. Abstract Kids Kicking Cancer is an association whose aim is to increase coping resources in oncologic children. The method, global and innovative, sets itself within Complementary and Alternative Medicine CAM. The conclusions support the validity of a multi-dimensional approach to help little patients and their families. Keywords Pediatric psycho-oncology, Kids Kicking Cancer, complementary alternative medicine, imagination techniques, relax techniques. La Medicina Alternativa e Complementare (CAM) e le altre attività nella psico-oncologica pediatrica L’obiettivo di cura di un bambino o ragazzo malato di cancro è di ristabilire la condizione di salute del soggetto, restituendo a lui e alla sua famiglia la massima sensazione di padronanza possibile a livello emotivo e sociale. Pertanto la terapia ottimale si basa non solo su trattamenti medici specifici, ma anche su una presa in carico globale, garantita da un team multidisciplinare esperto. Oltre alla sopravvivenza, diventa pertanto obiettivo fondamentale, la qualità della vita anche durante la cura, per

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questo una comunicazione aperta e sincera e lo svolgimento di attività che diano continuità rispetto alla pre-malattia, sono aspetti molto importanti (Spinetta et al., 2009). Negli ultimi anni, sempre più spesso presso i centri specialistici sono nate delle reti molto articolate intorno al piccolo malato formate non solo da operatori sanitari (medici, infermieri, psicologi), ma anche da operatori sociali (assistenti sociali, educatori, volontari), al fine di creare le condizioni necessarie a rispondere alle esigenze di salute psicofisica del degente e della sua famiglia. Del resto l’ospedalizzazione rappresenta di per sé, un’esperienza di perdita non solo del precedente stato di benessere, ma anche dell’ambiente familiare con i suoi rapporti, i suoi spazi, le sue cose, le sue abitudini e le sue attività (scuola, gioco, sport). La permanenza nei centri di cura si connota per aspetti di depersonalizzazione, noia, solitudine e si intasa di incontri ansiogeni, con la malattia, le infermiere, i medici e gli altri ricoverati, che rappresentano richiami evidenti alla sofferenza e alla debolezza. In quest’ottica, sono ormai molte le terapie e le tecniche “non convenzionali” che rientrano nell’ampio ventaglio della Medicina Alternativa e Complementare, che trovano applicazione nei reparti di oncologia pediatrica e che hanno largamente dimostrato la loro validità nel coadiuvare a vario titolo la degenza dei piccoli malati di cancro. Mamtani e Cimino (2002) del New York Medical Collage spiegano la differenza tra Medicina Complementare ed Alternativa (CAM): il termine “si riferisce ad un gran numero di terapie, sistemi e tecniche che esistono in gran parte al di fuori delle istituzioni in cui la medicina convenzionale è insegnata e fornita. Nel 1960 e 1970 le terapie che venivano effettuate in alternativa alle cure tradizionali divennero note come 'medicina alternativa'. Quando queste terapie vennero fornite in aggiunta ai trattamenti convenzionali, vennero conosciute come medicina complementare poiché sono 'complemento' di cure convenzionali. CAM e la medicina non convenzionale sono usati come sinonimi”. I vantaggi dell'affiancamento della CAM alla medicina tradizionale sono: un minor uso di medicine farmacologiche, un miglior stato di benessere psico-fisico della persona sia durante la malattia che dopo, una riduzione dei costi a carico del cittadino e del sistema sanitario nazionale. Molti studi controllati ci dicono che la CAM ottiene risultati promettenti nel campo del controllo e della gestione del dolore cronico, dell'ansia e della depressione. Ad esempio secondo Mamtani e Cimino (2002), vi sono evidenze sufficienti per sostenere l'uso dell'agopuntura per la cura di problemi di dipendenza e di dolore cronico; l'uso dell'ipnosi (Sawyer, Gannoni, Toogood, Antoniou, Rice, 1994) per il dolore oncologico e la nausea; l'utilizzo di terapie del massaggio per l'ansia, a favore dell'uso di tecniche mente-corpo (quali, ad esempio, la meditazione, il rilassamento, il biofeedback) per il trattamento del dolore, dell'insonnia e dei problemi connessi all'ansia. Nello specifico “i pazienti oncologici che utilizzano la CAM riportano benefici psicologici come la speranza e l'ottimismo” (Mamtani, Cimino, 2002, p. 368; Kapchuk et al., 1996). Le tecniche e le attività che rientrano nelle CAM provengono da molte discipline diverse. Mamtani e Cimino (2002) situano nell'ambito della CAM gli Interventi Mente-Corpo, tra cui la meditazione, l'ipnosi, il biofeedback e le terapie di manipolazione (massaggi e chiropratica), le terapie energetiche (Reiki, “Therapeutic Touch”) ed evidenziano delle linee guida nell'uso delle stesse (Mamtani, Cimino, 2002). I due studiosi dividono le tecniche di rilassamento in metodi profondi (training autogeno, meditazione e rilassamento muscolare progressivo) e metodi brevi che includono diverse tecniche di respirazione. Precisano inoltre che “una varietà di tecniche di meditazione e di immaginazione (...) sono utilizzate anche da molti pazienti. Per ogni

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paziente, possono essere efficaci uno o più approcci. Molte altre terapie con componente mente-corpo, come lo yoga, il tai chi e vari tipi di pratiche di meditazione (...) sono state segnalate per avere risposte fisiologiche benefiche, come ridurre l'ansia e lo stress” (Jacobs, 2001; Vickers, Zollman, 1999, Sawyer et al., 1994). La meditazione è uno strumento funzionale a fronteggiare la malattia oncologica (Klafke et al., 2014). Alla Stress Reduction Clinic presso l'Università del Massachusetts, John Kabat-Zinn (1990) utilizza una tecnica meditativa di cura basata sul riconoscimento del dolore: la persona viene invitata a osservare con distacco pensieri, emozioni e sensazioni che in quel momento sta provando, può così rendersi conto di come la sua reazione emotiva accresca il dolore e che, limitandosi a osservarlo, accettandolo, ha la possibilità di ridurlo. Si riesce a gestire meglio il dolore cronico o ricorrente perché la meditazione aiuta a disattivare la risposta del sistema nervoso simpatico che amplifica il disagio fisico: “Se nei confronti del dolore siamo rilassati, avvertiamo un leggero segnale e il corpo recupera lo stato di omeostasi”. (Harrison, 2001, p. 91; Leaman, 1992). Hirai (2007) ha condotto diverse ricerche sui monaci zen dimostrando come durante la meditazione venga attivato il sistema nervoso autonomo para-simpatico, svolgendo funzioni inibitorie che favoriscono il recupero di energie da parte dell'organismo: si abbassa la frequenza delle pulsazioni cardiache e degli atti respiratori, il cervello emette onde theta, aumenta la reazione galvanica della pelle, rimane costante il consumo di ossigeno nel sangue e diminuisce la presenza di acido lattico. Questo permette di riequilibrare la funzione del sistema nervoso autonomo, favorendo la ripresa dalla malattia. Harrison (2001) suggerisce, nel caso di malattie gravi, di fare della malattia l'oggetto della meditazione e propone diverse tecniche di meditazione: dalla consapevolezza pura, a visualizzazioni conflittuali e non conflittuali. Una visualizzazione conflittuale potrebbe ad esempio essere: "chi è affetto da cancro può visualizzare il tumore come una massa di piccoli granchi neri e immaginare le cellule T killer, i macrofagi e la chemioterapia come cavalieri in bianche armature scintillanti che attaccano il nemico" (p. 195). In questo caso è evidente che la tecnica meditativa sfuma in una tecnica immaginativa autoguidata che risulta utile per superare una barriera difensiva cognitiva e per aggirare la resistenza al cambiamento (Federico et al., 2014; Haley, 1963). La ricerca psicologica evidenzia come uno stato mentale in cui il malato sente di poter fare qualcosa per controllare il proprio stato fisico sia di maggior beneficio rispetto ad uno stato d'animo depresso nel quale la persona si vive come disarmata (Goleman, 1993). Inoltre promuove l'accettazione della realtà che passa anche per una rappresentazione, semplice oppure complessa, della malattia, osservata con distacco. Si riduce in questo modo l'ansia per la malattia e si agevola il funzionamento del sistema immunitario e dell'organismo nel suo insieme (Harrison, 2001). Studi clinici randomizzati e controllati dimostrano che sia le tecniche di rilassamento che quelle basate sull'ipnosi possono aiutare i pazienti oncologici, sia adulti che bambini, ad alleviare i sintomi relativi al dolore fisico, allo stress, all'ansia e quelli conseguenti alla chemioterapia tra i quali nausea, vomito, disturbi di panico, insonnia e dolore cronico (Mamtani, Cimino, 2002; Vickers, Zollman, 1999). Liossi e Hatira (2003) riportano uno studio su 80 bambini oncologici tra i 6 e i 16 anni, sottoposti a punture lombari. I bambini assegnati ai due gruppi dove era prevista l'ipnosi (diretta in un gruppo e indiretta nell'altro, sempre associati al trattamento medico standard) hanno riportato meno ansia e dolore di quelli che hanno ricevuto il solo trattamento medico standard. Lo studio è stato ripetuto successivamente (Liossi et al., 2006). Lang et al. (2000) hanno esaminato l’efficacia del rilassamento auto ipnotico come mezzo per ridurre il disagio durante i trattamenti medici: i gruppi di ipnoterapia

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mostravano minori effetti collaterali intraoperatori e livelli di dolore e di ansia più bassi. In due studi (Derbyshire et al., 2009; Mohor et al., 2005), è stata utilizzata la tomografia a emissione di positroni per studiare l’utilizzo e il funzionamento dell’ipnosi e, in entrambi i casi, gli Autori hanno riscontrato come questa moderi la funzione cerebrale durante la riduzione del dolore percepito. Nella ricerca di Sylvain Neron e Randolph Stephenson (2007) l'ipnoterapia ha aiutato i pazienti ad assumere un ruolo attivo nei trattamenti e nelle procedure mediche. Secondo Herbert Benson, psicologo americano, le persone che guariscono prima dalla malattia hanno il “ricordo del benessere” (1997, p. 27). Quando la sensazione di benessere è vicina alla nostra coscienza, ci comporteremo nella maniera migliore per amplificarla, richiamando il senso di energia e di fiducia di quando ci si percepiva in perfetta salute. Le ricerche sugli effetti placebo ci agevolano nel comprendere come il nostro cervello sia in grado di influenzare il nostro corpo e come riesca a stimolare la guarigione. Borgo e Sibilia (2014) riportano diversi studi che testimoniano come l'effetto placebo sia "parte integrale della pratica clinica quotidiana, non solo in psichiatria e psicoterapia, ma anche in medicina e in chirurgia. (…) Siamo quindi autorizzati a ritenere che almeno una parte degli effetti di qualunque intervento che sia chiamato “terapia” sia ascrivibile all'effetto placebo, cioè a fattori cognitivo-comportamentali aspecifici." (Borgo, Sibilia, 2014, p. 68). Secondo gli Autori nelle risposte placebo intervengono diversi “fattori biopsicosociali”, tra i quali la rassicurazione, chiaramente legata alle emozioni, quando è attivata da persona significativa per il soggetto; l'aspettativa di ricevere un esito positivo rispetto al trattamento e le emozioni positive che sono suscitate dall'aspettativa di un esito positivo; la pregressa esperienza (personale o vicaria) di trattamenti efficaci (per condizionamento o apprendimento); infine la liberazione di endorfine, associata ai fattori psicosociali, è la parte fisiologica della risposta emotiva. Quanto fin qui descritto non è -ovviamente- esaustivo di tutte le tecniche e le terapie che rientrano nella CAM. I modelli teorici alla base degli approcci diagnostico-terapeutici che possono essere inclusi, sono talmente eterogenei da rendere praticamente impossibile sia definirne una classificazione esauriente e definitiva, sia stabilirne dei confini netti. Molte altre sono inoltre, le attività che hanno trovato proficua attuazione nei reparti di oncologia pediatrica e che possono oppure no rientrare nel ventaglio della CAM. Oltre a spazi specifici dedicati alla scuola e al gioco, attività tese a richiamare quanto più possibile la normalità della vita dei piccoli pazienti, sono ad esempio largamente impiegate la comicoterapia, la pet-therapy e la musicoterapia, attività di cui è stata ampiamente dimostrata l’efficacia terapeutica con i piccoli pazienti (Lemma, 1999; Vagnoli et al., 2005; Barrera et al., 2002). Kids Kicking Cancer: la nascita del metodo Il fondatore del metodo Kids Kiching Cancer (KKC), Elimelech Goldberg, rabbino, professore in Pediatria alla Wayne State University School of Medicine e cintura nera di Choi Kwon Do, ha vissuto sia personalmente che professionalmente l'esperienza del cancro. Personalmente ne è stato toccato in quanto padre di Sara, una bambina portata via precocemente da una leucemia linfoblastica acuta nel 1981, all’età di due anni. Professionalmente perché chiamato a dirigere il Camp Simcha, un campus clinico che ospita bambini con malattie oncologiche ed ematologiche. Il professor Goldberg racconta: “Un giorno stavo entrando nella sala chemio ed ho visto un bambino di cinque anni, tenuto fermo da due infermiere con una terza che stava stringendo una grande

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siringa da infilare nel porter sul petto di questo piccolo. Lui urlava e si dimenava. Il bambino proveniva dal Texas, lontano da mamma e papà e dai medici a cui era abituato. Le infermiere erano fantastiche, ma lui non voleva sentirne di essere distratto o convinto. Aveva troppa paura e la sua chemio non era negoziabile. In passato si insegnava nelle scuole di medicina che esiste un centro del dolore nel cervello. Oggi, con l'uso della risonanza magnetica è stata dimostrata l’esistenza di un’intera neuro-matrice di ricezione del dolore, incluse parti del cervello che registrano paura, rabbia, sconforto ed altri parametri emozionali; più crescono la paura o la rabbia, maggiore è il dolore. Al contrario, le scansioni cerebrali indicano che le persone che hanno uno scopo per le loro lotte, sperimentano meno dolore. Questo ragazzino del Texas era tutto fuorché tranquillo. I timori provocati da un ambiente diverso e una routine quotidiana intrisa di dolore e disagio, gli stavano facendo vivere un’esperienza terribile. Mi sono avvicinato, proprio mentre l'infermiera stava per affondare la siringa nel petto, in mezzo alle sue travolgenti urla. Istintivamente ho esclamato ‘Aspetta!’. La stanza si fermò ed anche il ragazzo smise di urlare. Tutti mi guardarono. Non avevo idea di quello che stavo per dire. ‘Dammi cinque minuti con questo ragazzo’, mi uscì dalla bocca. Le infermiere erano ben felici di lasciarmi e il giovane paziente mi fissava come se fossi il Governatore ed avessi appena decretato la sua esecuzione. Mi avvicinai a lui e dissi ‘Io sono una cintura nera’. Francamente, ciò non significa un granché, ma per un ragazzino di 5 anni del Texas, era chiaramente forte. ‘Vuoi che ti insegni un po’ di karate?’ chiesi. Il ragazzino balzò sul lettino. ‘Nelle arti marziali – cominciai - il dolore è un messaggio che non bisogna ascoltare. Puoi invece introdurre questa sorprendente energia del karate e spegnere il dolore’. Cinque minuti dopo stavamo facendo insieme una semplice tecnica di respirazione Tai Chi. Venti minuti più tardi l'infermiera estraeva l'ago. Il ragazzo alzò lo sguardo. ‘L'hai già fatto?’ chiese. In questo preciso istante è nata Kids Kicking Cancer” (Goldberg, 2014, para. 2; Bagnulo et. al., 2014, pp. 11, 12). Da allora l'associazione KKC ha assistito oltre 6000 bambini in 18 ospedali negli Stati Uniti, 3 Ospedali in Canada e uno in Israele, ponendosi lo scopo di aiutare i bambini affetti da cancro e gravi patologie croniche e le loro famiglie, ad affrontare e gestire meglio la malattia, attraverso l'insegnamento delle tecniche e della filosofia proprie delle arti marziali. In Italia, Kids Kicking Cancer è nata nel novembre del 2011 come associazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS). In poco tempo è riuscita ad avviare progetti in 10 ospedali italiani con circa 50 volontari che ogni settimana prestano il loro tempo e impiegano le loro conoscenze per allenare ‘giovani eroi’. Si configura pertanto come una realtà emergente nel panorama della CAM. L'associazione mediante l’utilizzo delle tecniche e della filosofia delle arti marziali, aiuta i bambini affetti da cancro ad affrontare e gestire meglio la propria malattia, allenando il corpo, ma soprattutto la mente e lo spirito, attraverso esercizi di respirazione e meditazione. Nel far questo affianca i piccoli pazienti e loro famiglie, fornendo loro sostegno fisico, psicologico e spirituale, sia nella degenza che nella riabilitazione extra-ospedaliera, organizza eventi per la promozione e la raccolta dei fondi e promuove studi e ricerche aventi questi scopi.

Le caratteristiche del metodo KKC Lo scopo di KKC è quello di aumentare le risorse di coping dei ragazzi, di cambiare le loro strategie di fronteggiamento della malattia, di fare empowerment, utilizzando il “framing” proveniente dalle arti marziali. I volontari sono istruttori provenienti da diverse discipline marziali e da sport da combattimento e per questo chiamati Martial

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Art Therapist (MAT). I MAT, adeguatamente formati, mettono a servizio dei bambini ricoverati il loro tempo. La figura dell'istruttore volontario è fondamentale nel prestare un servizio di CAM. In un recente studio (Keshet et al., 2015) 152 pazienti - a 3 mesi da trattamenti di medicina complementare (in questo caso forniti da medico formato appositamente) - hanno riferito un’esperienza di cura centrata sul paziente, all'interno di un contesto che rilancia il senso di fiducia, di solidarietà ed unicità, che permette l'acquisizione di punti di vista diversi, di empowerment e di responsabilizzazione. Queste sensazioni sono esperite in maniera naturale e nascono spontaneamente in risposta all'attenzione ed alla “considerazione amorevole” del volontario nel qui ed ora, delle sessioni di allenamento. Il MAT cerca di interagire con i bambini in modo da influenzare positivamente la loro capacità di autoregolazione (ovvero la loro capacità di comprendere ed esprimere le emozioni proprie ed altrui) e di regalare un momento di pausa anche al genitore presente. Dal diario di un MAT: “5 luglio 2013: Suo padre appena sono entrato in stanza era con la testa bassa e si teneva le tempie credo per un mal di testa o per stanchezza ma mi ha dato subito il permesso di far lezione col bimbo. A circa metà lezione il papà si è alzato ed ha iniziato ad avere un dialogo con me anche scherzoso, ha iniziato a parlare di karate di arti marziali di parchi giochi per i bambini. La cosa mi ha fatto piacere e credo che veder suo figlio fare lezione anche se da sdraiato ma divertito ed attento, gli abbia dato una carica determinante” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 12 luglio 2013). La lezione tipo, secondo il metodo applicato da Kids Kicking Cancer (KKC), prevede una parte di attivazione fisica, l'esecuzione di semplici tecniche marziali e di rilassamento, tra cui, nello specifico, metodi di respirazione, di meditazione e di visualizzazione guidata. I momenti che possono far parte della sessione di allenamento, rispondono agli obiettivi che si pongono tutte le arti marziali: migliorare il benessere fisico, mentale e spirituale della persona, al fine di migliorare la società. Le sessione di allenamento non ha una struttura rigida e viene graduata sulle possibilità del ‘piccolo eroe’, gli obiettivi vengono cuciti su misura, in modo da sortire i migliori effetti possibili. La letteratura psicologica del resto suggerisce che il ri-aggiustamento degli obiettivi di vita del paziente oncologico, sia un processo essenziale nell'adattamento alla malattia (Zhu et al., 2015; von Blanckenburg et al., 2014). Ciò diventa necessario anche perché la variabilità delle condizioni fisiche ed emotive dei piccoli pazienti è molto ampia. L’instabilità è dovuta al ciclo della terapia medica oncologica ed ai suoi effetti. Inoltre vi sono variabili “situazionali”: talvolta è possibile coinvolgere anche il “vicino di letto” nelle attività, mentre in altre occasioni i movimenti del “piccolo eroe” sono limitati da cateteri e tubi. In ogni caso l'istruttore si adatta con flessibilità e ricerca nella propria cassetta degli attrezzi, cosa proporre al bambino. L'unico elemento veramente obbligatorio nella sessione di allenamento è il saluto (Power, Peace, Pourpose), all'inizio e alla fine della lezione, che viene effettuato nel seguente modo: si porge in avanti il braccio destro con il pugno chiuso (Power), la mano sinistra aperta va a coprire il pugno (Peace) mentre ci si inchina leggermente in avanti (Purpose). Questo saluto ha un significato particolare che viene spiegato ai bambini e ai loro genitori: attraverso l'esercizio fisico e le tecniche si diventa più forti (Power), la filosofia e la meditazione insegnano ad essere in armonia con gli altri e con se stessi e migliorano il proprio lato mentale (Peace), infine, progredendo nel KKC, si giunge alla consapevolezza che la cosa più importante – lo scopo del training - è non fare solo per sé, ma diventare ambasciatori e portare il messaggio del KKC anche agli altri,

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contribuendo così al loro benessere (Purpose). Dà molta soddisfazione quando, dopo la spiegazione da parte dell'istruttore del suo significato simbolico, anche i genitori si uniscono al bambino e all'istruttore nel saluto. Dal diario di un MAT: “19 luglio 2013: proseguiamo con il rilassamento che M. esegue con scrupolosità e serietà come se ne capisse l'importanza. Colgo allora l'occasione per dire a M. che può fare questo esercizio ogni volta che ne sente il bisogno per rilassarsi o per ricaricarsi di energia. Chiudo dicendo che Power è l'energia che sperimenta facendo karate e gli esercizi di respirazione, Peace è la pace e l'armonia che gli procura questa energia ed il rilassamento e che lo guida nel suo uso, Purpose vuol dire che lui è un messaggero, un ambasciatore, di quanto sta apprendendo e sperimenta e che potrà a sua volta insegnarlo ad altri, compreso suo padre (sorrisone di entrambi)” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 25 agosto 2013). Una sessione può dunque comprendere: a) attivazione fisica, b) esecuzione di tecniche delle arti marziali, c) esercizi di respirazione, meditazione e visualizzazioni guidate. Può sorprendere che si coinvolgano in esercizi fisici bambini malati e debilitati dalle terapie. Ma al contrario le ricerche dimostrano che l'esercizio fisico è importante per i bambini: dalla diagnosi di cancro, alla fase di trattamento e nelle fasi successive per i sopravvissuti. Gli effetti riguardano sia aspetti corporei che mentali difatti l'attività motoria migliora gli esiti chirurgici, riduce la sintomatologia legata agli effetti secondari della chemioterapia e della radioterapia, mantiene la funzionalità fisica dell'organismo, consente di ridurre il tessuto adiposo e di mantenere il tessuto muscolare ed osseo, contribuisce a ridurre il senso di fatica e a mantenere un atteggiamento psicologico positivo, favorisce la partecipazione anche ad altre attività ricreative e socializzanti (Leto, 2014; Huang e Ness, 2011). Winter et al. (2010) hanno compiuto una review su 28 studi e hanno concluso che, anche se il corpo è provato dalla malattia e dalla terapia, l'esercizio fisico produce risultati positivi sia in termini fisici che psicologici. La ricerca conclude che sono i bambini in regime di ricovero ospedaliero a trarre i maggiori benefici dall'attività fisica. Gli Autori suggeriscono che questo possa dipendere dal fatto che il minore è seguito quotidianamente ed è maggiormente stimolato alla partecipazione. L'efficacia è stata maggiore nel breve termine (16 settimane) piuttosto che nel lungo periodo (2 anni), ma il dato è da valutare considerando gli effetti sulla motivazione della lungo degenza e delle complicanze delle malattie. Come suggerisce Mauro Leto (2014, p. 80), mantenere un alto livello motivazionale in queste condizioni rappresenta una vera sfida, raggiungibile adattando "il programma di attività fisica alle esigenze e caratteristiche del singolo soggetto e quindi, in definitiva, tenendo conto del tipo di patologia, dell’età, del sesso, dello stato funzionale e delle preferenze del paziente. E’ ovvio che, in tale contesto, il sostegno sociale riveste un’importanza primaria". L'esecuzione delle tecniche delle discipline marziali risulta funzionale sul piano biologico, cognitivo ed emotivo. Sul piano biologico, poiché le arti marziali sono "attività globali da punto di vista neuro-fisiologico” durante la cui effettuazione sono attivati tutti i sistemi dell'organismo (cardiovascolare, respiratorio, endocrino e nervoso) (Bagnulo et. al., 2014, p. 95). Sul piano cognitivo risultano funzionali poiché vanno a stimolare le funzioni esecutivo-attentive e le capacità coordinative-propriocettive che possono essere danneggiate dalla terapia anti-blastica. Sul piano emotivo perché contrastano gli effetti della terapia sull'umore e perché aumentano la capacità di auto-controllo, l'atteggiamento positivo e lo spirito combattivo, facendo emergere la rabbia repressa, indirizzandola verso scopi costruttivi. Un bambino oncologico non può esimersi da una lotta costante contro la propria malattia, senza desistere, né stancarsi, il motto è: ‘cadere sette volte, rialzarsi otto’.

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Dal diario di un MAT: “13 dicembre 2013: Esco finalmente dalla stanza con una situazione diametralmente opposta a quella di quando sono entrato, due bambini disomogenei per età e nazionalità, hanno scoperto ciò che li può unire di fronte ad un nemico troppo più forte di loro, hanno lavorato nonostante tutte le avversità esistenti, hanno preso coscienza della loro forza...” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 16 dicembre 2013). Nello spirito combattivo proprio delle arti marziali è ravvisabile un'analogia con il concetto di resilience (Rutter, 1990), ovvero: “la capacità del soggetto di mantenere un discreto livello di adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli (la capacità di essere flessibile e di resistere agli urti)” (Zani, 2002, p. 183). La resilienza si sviluppa quando la persona ha la sensazione di poter incidere sul corso degli eventi (Zani, 2002). In quest’ottica le arti marziali aiutano ad accettare la malattia, sviluppando una diversa strategia di coping; a guardare la malattia con senso di realtà, senza mettere in atto comportamenti di fuga o evitamento, ma bensì con la consapevolezza della propria forza interiore; a riconoscere la propria dignità anche durante la malattia e nella sofferenza, oltre al diritto/dovere di aver cura di sé anche da pazienti; a sviluppare una “risposta eroica”, una fiducia nelle proprie potenzialità (“non si può non esiste”) (Bagnulo et. al., 2014, p. 95 e seg.). La progressione dei bambini nell'acquisizione di conoscenze tecniche viene testimoniata dal passaggio di cintura, aspetto vissuto dai bambini con molto entusiasmo e capace di donare loro un po' di energia e buon umore. Il cambio di cintura funge infatti da stimolo e motivazione per proseguire nel cammino intrapreso e come premio per l’impegno profuso. Inoltre permette ai “piccoli eroi” di cominciare a diventare ambasciatori e compiere, anche indirettamente, “Purpose”. Dal diario di un MAT: “27 dicembre 2013: Passo infine alla stanza di E. (12 anni che è' diventato cintura arancio ed è in dismissione) e T., ragazzo extracomunitario di 18 anni, molto provato, soprattutto nella sfera psichica. Comunque E. stimolato dalla cintura arancio (altro grande strumento a nostra disposizione), scalpita, non sta più nella pelle, richiede di poter cominciare, lo accontento e viene fuori un'ottima lezione, facciamo veramente tutto, anche il Kenkou Kata. E' migliorato (la cintura arancio in ogni caso, insieme alla gioia di uscire, lo ha stimolato a crescere). T., il diciottenne di cui ho parlato all'inizio, grazie all'aiuto indiretto di E., in qualche modo interagisce, colpisce scientificamente, svolgiamo uno spezzone di lezione, mi accerto che abbia ottenuto un buon messaggio di reazione alla malattia” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 30 dicembre 2013). Durante la fase “marziale” si utilizza il colpitore o pad, un bersaglio morbido al quale vengono indirizzate le tecniche. Il pad usato dai Martial Art Therapist è molto soffice perché i bambini sottoposti a chemioterapia hanno ossa fragili e soggette a fratture, la morbidezza ne è dunque un requisito essenziale per utilizzarlo in tutta sicurezza. Il colpitore si è dimostrato uno strumento molto valido sia per “agganciare” i bambini sia per aiutarli ad esprimere la rabbia. La manifestazione di questo sentimento rappresenta un importante momento di adattamento, di scarico della tensione e del malessere accumulato (Grassi et al., 2003). L'uso del pad non ha pertanto un mero significato tecnico poiché lo si utilizza per far esprimere al piccolo paziente le emozioni che prova: prima di farli colpire si chiede ai bambini di identificare il pad con ‘una cosa’, una situazione che dà loro molto fastidio, la loro più grande oscurità, spesso la rabbia, la paura, la nausea o il vomito, la malattia. Si prosegue con esercizi di respirazione e visualizzazione, durante i quali si fa immaginare ai piccoli pazienti di aver distrutto il bersaglio. Goldberg racconta “un bambino di 9 anni, un giorno, davanti al Pad ha esclamato: ‘l’obiettivo è la mia paura della morte e ora posso finalmente romperla!’

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ebbene, confrontandosi anche con lo staff medico, si viene a sapere che mai prima di allora quel ragazzino aveva fatto cenno della sua paura della morte, pur essendone oppresso” (Bagnulo et al., 2014, pp. 110, 111). Le emozioni represse possono aumentare la percezione del dolore (Sarno, 1998), tramite l'attivazione del sistema nervoso simpatico, causando la diminuzione della circolazione sanguigna in alcune parti del corpo e dell’ossigeno nel flusso. Ne risulta una sensazione di dolore, intorpidimento e formicolio (Harrison, 2001). Dal diario di un MAT: “12 giugno 2013: E' stato un po’ difficile coinvolgere E., molto debilitato, dimagrito, e, a detta della mamma, depresso causa aumento dei dosaggi dei medicinali, ma G. ha saputo rompere il ghiaccio, e il bambino ha fatto molti esercizi stando seduto sul letto, fino poi a meravigliarci con la potenza espressa con il colpitore...due pugni per ogni pasticca (odiata) della giornata.... S., il bambino a fianco, aveva già fatto i suoi esercizi prima del mio arrivo, ma quando ha visto E. iniziare, ha ricominciato anche lui, forse perchè coinvolto, forse per solidarietà, non so...insomma, praticamente ad un certo punto ne seguivamo due in contemporanea, e, ovviamente, la pretesa finale è stata quella di usare il colpitore....anche se l'obiettivo odiato, a suo dire, era il fratello!!!” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 12 luglio 2013). “14 giugno 2013: I fondamentali, tutti fatti almeno una trentina di volte ciascuno, spesso col Kiai, la respirazione, il combattimento, io in kiba dachi, davanti al Suo letto, il makiwara (esercizio di percussione col pugno contro un bersaglio reale, tradotto approssimativamente) fatto contro il cuscino posto sul mio addome, visualizzando tutti i tremendi nemici con cui questo giovanissimo e sfortunatissimo amico deve combattere: nausea, dolore, paura, noia di stare chiuso ventiquattro ore al giorno, ogni santo giorno, da mesi e mesi, in una stanza dentro ad un ospedale, (..), non preoccupandosi delle emorragie, delle infezioni, degli ematomi....ed infine quella 'stramaledetta della mia malattia' (testuale). Alla fine lo ho dovuto frenare, si era troppo infervorato.....” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 12 luglio 2013). “19 giugno 2013: Gli ho chiesto di immaginare di colpire qualcos'altro mentre colpiva il colpitore, e lui, prima di colpire, mi ha detto 'la pancia di papà' e ha dato 4 colpi. Poi gli ho chiesto di colpire qualcosa che non gli piaceva mangiare. E lui, sorridendo, mi ha detto 'la verdura' e via altri 4 colpi. Poi gli ho chiesto di colpire qualcosa che non gli piaceva tanto in generale e lui mi ha detto, 'la scuola', altri 4 colpi. Io 'una cosa che proprio non ti piace', lui 'l'ospedale', altri 4 colpi. 'Dai.. pensa a qualcos'altro' cercando di fargli tornare al discorso scuola, ma lui, sorriso svanito, denti serrati ha cominciato a colpire. Non c'era più bisogno di parlare, stava colpendo il suo peggiore nemico” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 12 luglio 2013). Le tecniche di rilassamento, respirazione e meditazione favoriscono un comportamento diverso nella gestione della rabbia, della paura e del dolore. Elimelech Goldberg (in Bagnulo et al., 2014, pp. 130 e ss.) racconta come tramite le tecniche di neuro-imaging sia emerso con chiarezza come le persone arrabbiate o spaventate sentano molto più dolore a parità di stimolo, suggerendo come porvi rimedio: "Uno sguardo alla corteccia cingolata posteriore del cervello indica che le persone che associano il loro dolore ad uno scopo, avvertono meno dolore rispetto a quelli che si sentono vittime della loro angoscia. (…) La paura e la rabbia, con tutte le sostanze chimiche stressogene associate, influenzano il modo in cui rispondiamo al dolore, non solo fisicamente ma anche emotivamente. (…) Ogni volta che ci troviamo in una situazione di stress il nostro corpo si contrae. Basta semplicemente usare il respiro per rilassare i muscoli dicendo al cervello che si sta andando in modalità parasimpatica (rilassamento) abbandonando la risposta simpatica (lotta o fuga). " La respirazione ha un effetto profondo sul benessere fisico e psicologico, mettendo in

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connessione corpo e mente (Bradley, 1999). Una respirazione profonda, lenta e controllata, agisce sul sistema nervoso centrale, rafforza il sistema neuro-psico-endocrino, attiva le endorfine e riduce le catecolamine, è determinante per un coping adattivo di fronte a stress, ansia e frustrazione. Durante la sessione il MAT cerca sempre di inserire esercizi di respirazione, partendo da semplici esercizi di controllo del respiro dalla posizione naturale, a diverse varianti della respirazione addominale. Dal diario di un MAT: “29 agosto 2013: Proseguo poi con S., un altro simpatico bambino di 6 anni, molto sveglio e dalla buona parlantina. Dopo la ginnastica e le tecniche, non voleva fare tecniche di rilassamento e quando gliene ho chiesto il motivo mi ha detto che non voleva chiudere gli occhi. Così ho basato l'esercizio sull'ascolto del respiro come guida per il rilassamento muscolare e per sentire meno dolore allo stomaco (cosa che mi aveva detto prima)” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 29 agosto 2013). “27 novembre 2013: anche la lezione con G. è stata molto ricca. Come sempre, desiderava tanto che arrivassimo e si è subito preparato. Riscaldamento e kihon, inframmezzati dalla respirazione; in questa occasione abbiamo inspirato i colori, tutti, perché gli piacciono tutti, tranne il grigio, che abbiamo espirato. Ho cominciato ad insegnargli il Kata della Salute (...), ed anche in questo caso il nostro nemico è stato il colore grigio” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 1 dicembre 2013). Fra le tecniche proposte, la respirazione “Pulling not Pushing” insegna ai bambini ad affrontare il dolore di iniezioni e prelievi: la principale indicazione che viene data è non respingere il dolore, bensì attirarlo verso di sé, lasciarlo entrare da una parte e buttarlo fuori dall’altra, immaginando così la circolarità del flusso. La tecnica è molto utile per controllare i pensieri e modulare le emozioni. Con la respirazione “Breath Break” invece, si insegna al bambino a sollevare il proprio corpo mentre inspira e poi a rilassare ogni muscolo mentre espira. Successivamente si aggiungono tecniche immaginative: ad ogni inspirazione il bambino è invitato a pensare a una luce brillante che riempie il suo corpo e dà ‘il potere’ di affrontare la malattia, lo stress, la rabbia, il dolore, la paura. Durante l'espirazione immaginerà invece di buttare fuori tutta ‘l'oscurità’. "Chiedete a qualsiasi bambino di Kids Kicking Cancer che cosa è la sua oscurità e vi sentirete rispondere: ‘il mio cancro’, ‘il mio dolore’, ‘la mia paura’, ‘la mia rabbia’, a volte ‘la mia nausea’. Una volta ogni tanto si sente rispondere ‘mio fratello’: i bambini saranno sempre bambini, non importa quello che stanno affrontando" (Goldberg in Bagnulo et al., 2014, p. 137). La visualizzazione guidata è una fantasia in cui il piccolo paziente viene accompagnato. Le tecniche immaginative hanno in sé un potere suggestivo: il MAT ‘aggancia’ il paziente, partendo da un suo ricordo o da un suo desiderio di essere altrove, in un posto reale o di fantasia, e da qui parte, arricchendo il setting e la situazione con stimoli sensoriali ed emotivi, adatti a risvegliare l'energia del piccolo paziente e la sua voglia di vivere, l'istruttore può proporre ad esempio: una discesa subacquea, una passeggiata in montagna, una gita in campagna. Altre volte sono gli stessi bambini che scelgono la propria fantasia: partecipare ad una partita di calcio della propria squadra, stare sdraiati al mare con i propri compagni, giocare nel giardino di casa. Nelle visualizzazioni viene usata una tecnica simil-ipnotica. Fruttero e Varetto (2012) affermano che la funzione dell'ipnosi è quella “di suscitare immagini, emozioni e sentimenti nel paziente utilizzando una comunicazione metaforica che si rivolge proprio all'emisfero destro, ponte di comunicazione tra corpo e psiche”. Il linguaggio utilizzato invece ripropone i “predicati” del sistema rappresentazionale primario del bambino. Il sistema rappresentazionale, concetto proprio della Programmazione Neurolinguistica

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(PNL), “è un processo sensoriale che dà origine e regola il comportamento: il ricordo di qualcosa che si è visto o udito; una sensazione sia viscerale che tattile provata, il ricordo di un sapore o di un odore (…) In altri termini noi, attraverso i nostri canali sensoriali, riceviamo costantemente informazioni dal mondo esterno. Di alcune di queste informazioni siamo consapevoli, di altre no. Ciò che percepiamo esternamente (consciamente o inconsciamente) lo traduciamo in rappresentazioni interne che, alternativamente, condizionano il nostro comportamento” (Lankton, 1989, p. 21). Il canale sensoriale maggiormente utilizzato dalla persona viene chiamato “sistema rappresentazionale primario”. I “predicati” del sistema rappresentazionale sono “gli avverbi, gli aggettivi e i verbi” utilizzati (Lankton, 1989, p. 23). Quindi nella PNL i “nostri sistemi rappresentazionali formano gli elementi strutturali dei nostri modelli di comportamento”. Attraverso le sequenze di sistemi rappresentazionali, chiamate strategie, le persone elaborano le informazioni ricevute e vi attribuiscono significato (Dilts et al., 1982, p. 36; Bandler, MacDonald, 1991; Bandler, Grinder, 1981). Quando non è chiaro quale sia la modalità preferita, si utilizza una modalità “mista”, integrando elementi visivi, suoni, profumi, odori e stimoli sensoriali cinestesici. L'ambiente della visualizzazione viene dunque co-creato insieme al piccolo paziente. Il MAT guida la visualizzazione, tenendo presente tre momenti: la discesa (approfondimento del rilassamento), una fase centrale e la riemersione. Le induzioni immaginative date dal MAT sono volutamente indeterminate, per lasciare spazio ai contenuti del paziente, ricche di termini che richiamano il sistema rappresentazionale prevalente del piccolo paziente, tinteggiate con i colori fondamentali (rosso, blu e verde). Alla fine della visualizzazione, si ascolta la restituzione del bambino sul viaggio proposto. Il feedback è importante per capire se la visualizzazione è stata efficace e per significare l'esperienza vissuta. Come già accennato, le visualizzazioni permettono al bambino di ricordare il pre-malattia e sono funzionali a ri-orientare il suo comportamento tramite il “ricordo del benessere” (Benson, 1997). Dal Diario di un MAT: “14 giugno 2013: Alla fine ho fatto body scan con lui facendogli immaginare una partita di calcio, lui è attaccante e si è immaginato di correre verso la porta e segnare un gol sentendo l’odore della terra bagnata ed il rumore del pallone che si insacca nella rete. E’ rimasto molto contento quando ha riaperto gli occhi erano pieni di luce molto più di quanto non lo fossero ad inizio lezione” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 12 luglio 2013). “14 giugno 2013: Notando che sul pigiamino aveva disegnata una barca pirata col mare gli ho chiesto se volesse eseguire Body scan immaginando di essere in spiaggia e costruire castelli di sabbia. E’ stato disponibile e rilassato ed alla riapertura degli occhi molto divertito quando gli ho detto scherzosamente di pulire il lettino sporco di sabbia. Un particolare che mi ha colpito è stato suo papà che alla nostra entrata in stanza non aveva uno sguardo molto entusiasta mentre a fine lezione aveva un sorriso gigante e ci ha stretto la mano” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 12 luglio 2013). “19 giugno 2013: Bella la visualizzazione che gli ha poi proposto D., quella con la scala dei colori: arrivato in fondo alla scala, lo ha 'lasciato' nel posto magico che lui aveva scelto per tutto il tempo che voleva; quando, da solo, ha riaperto gli occhi, F. aveva il viso rilassato e sereno” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 12 luglio 2013). “5 luglio 2013: Alla fine l'episodio che mi ha molto toccato e commosso, e che in ogni caso credo che condizionerà la mia esistenza da oggi in poi... il Suo body scan con visualizzazione di una situazione banale forse per la maggior parte dei bambini, NON PER LUI: trovarsi a casa sua a fare i biscotti in cucina con la Mamma.... Ho trattenuto

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la commozione ed ho proseguito imperterrito, dalla Sua faccia beata, ho capito di aver fatto bene il mio "lavoro" (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 12 luglio 2013). “27 novembre 2013: la scorsa settimana aveva partecipato con piacere alle attività, ma oggi non si è detto disponibile a farlo... ragione per la quale ho proposto lui una meditazione guidata in un luogo che egli desiderava visitare. Lui e la mamma sono parsi disponibili e collaborativi sin da subito. L. ha scelto di esplorare gli abissi del mare: abbiamo quindi immaginato di dotarci di muta, pinne e bombole per affrontare al meglio questa avventura. Al termine dell'esercizio, il piccolo ha rimandato di aver visto pesci di molti colori ('i colori dell'arcobaleno') e di aver anche trovato 'un tesoro' in un relitto sul fondo dell'oceano che gli avevo suggerito di esplorare durante la meditazione. Ci ha detto di aver portato con sé tutto ciò che ha trovato: monete d'oro e coppe d'oro, in un apposito 'retino' utilizzato durante l'immersione. L'intervento si è rivelato particolarmente emozionante per tutti i presenti, per via della dolcezza e disponibilità di questo piccolo guerriero!” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 2 dicembre 2013). “6 dicembre 2013: La bimba ha voluto immaginare la festa di una principessa al castello. Colori vivaci dal vestito giallo della principessa ai festoni variopinti. Dalle finestre del castello si poteva scorgere un cielo azzurro ed un sole splendente con poche nubi subito spazzate via da un leggero vento (M. le ha fatte andar via sorridendo ). Una volta riaperti gli occhi la bimba più sorridente che mai era dispiaciuta che me ne andassi ed ha abbracciato forte la mamma” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 9 dicembre 2013). “25 dicembre 2013: Alcune tecniche le facciamo in piedi ma dopo un po' E. mi chiede il permesso di tornare a letto dicendo che le sue gambe si sono stancate. Lo faccio mettere a letto per la visualizzazione, gli faccio immaginare che è un leone nella Savana che camminando sposta prima una mano poi l'altra poi una gamba e poi l'altra per diverse volte aumentando la velocità finché non sembra che stia correndo nel letto. Terminiamo la lezione con tanti complimenti e auguri” (Kids Kicking Cancer Italia Onlus, comunicazione personale, 30 dicembre 2013). Nelle arti marziali la meditazione viene chiamata “mokuso”, termine composto da diversi ideogrammi che, tradotti, significano “guardare in silenzio il proprio cuore”. La meditazione mokuso deriva dalle pratiche buddiste zen. Esistono diverse pratiche di meditazione, con la possibilità di assumere diverse posizioni. Comune a tutte è la respirazione diaframmatica. La meditazione che ha in comune con le discipline marziali, il vivere nel qui ed ora e la sospensione del giudizio: "E’ una pratica mentale che, attraverso appositi esercizi, produce un particolare stato della coscienza caratterizzato da una diversa modalità di percepire sé stessi e il mondo circostante." (Berra in Bagnulo et al., 2014, p. 123). Con il termine “coscienza”, si indica la consapevolezza di se stessi (fisica, psicologica) e dell'ambiente circostante. La coscienza opera a diversi livelli di attenzione. Quando si orienta l'attenzione dall'esterno al nostro interno o al nostro corpo, è possibile cambiare lo stato di coscienza. La meditazione prolungata attiva l’area pre-frontale sinistra della corteccia cerebrale; ha come effetti il raggiungimento di uno stato di tranquillità, attraverso la diminuzione delle attività dell’amigdala destra in risposta a stimoli negativi e positivi (e perciò diminuisce anche la risposta all'ansia), la diminuzione del flusso dei pensieri, una maggior chiarezza mentale, un aumento del flusso sanguigno cerebrale, la diminuzione del flusso di ossigeno, la diminuzione della percezione del dolore, l'aumento dei livelli di serotonina e un potenziamento del sistema immunitario. Da un punto di vista anatomico-funzionale la meditazione favorisce l’ispessimento delle aree del cervello nell’area destra della corteccia cerebrale, legate all’attenzione ed alla concentrazione.

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L'attivazione di queste aree comporta un rafforzamento della memoria e una minore probabilità di ammalarsi di demenza senile. Altra tecnica utilizzata nel KKC è il body scan nel quale si porta l'attenzione del bambino sulle varie parti del corpo, indicandole con un leggero tocco del dito, e lo si invita ad immaginarle come pesanti e rilassate, procedendo poi progressivamente con il resto del corpo. Tecniche particolari più specifiche come il Training Autogeno (TA) e l'Ipnosi sono riservate a Medici e Psicologi specializzati. Negli Stati Uniti, Kids Kicking Cancer ha compiuto uno studio su 244 bambini, utilizzando la Scala Analogica Visiva per controllare l'efficacia del suo metodo per ridurre la percezione del dolore nei bambini. 37 bambini non hanno sperimentato alcuna diminuzione del dolore; 207 hanno invece riferito una diminuzione nella percezione del proprio dolore dopo aver eseguito le tecniche di respirazione, meditazione e di empowerment psicologico previste da KKC. Dunque in questo studio l'88% dei bambini ha ottenuto una riduzione del dolore percepito, con una differenza media, tra prima e dopo il training, di 3 punti e un quarto. L'analisi statistica mostra un valore altamente significativo. Il bambino ha appreso un metodo, non farmacologico, che può utilizzare in autonomia che gli permette di ridurre la percezione del dolore e gli restituisce una modalità di controllo nella sua malattia. Un secondo studio, condotto su 94 bambini coinvolti per 12 mesi in un programma di KKC (comprendente meditazione, Qi Gong, tecniche e approccio interiore delle arti marziali) è stato compiuto da Cohen et al. (2013). I valori del livello di dolore percepito (da 0 a 10 su Scala Analogica Visiva, illustrazione 1) sono stati registrati prima e dopo l’intervento.

I valori prima dell'intervento hanno costituito la baseline. I dati sono stati riportati come variazione percentuale rispetto ai valori della baseline, ricorrendo al Wilcoxon Signed Ranks Test, confrontando la media del punteggio del dolore rilevato in tutti i casi, con significatività p<0.05. Il Test di Wilcoxon dei ranghi, test non parametrico, analizza le differenze tra le prestazioni dello stesso soggetto in due condizioni sperimentali diverse (per esempio: prima e dopo un trattamento) per verificare se esiste una differenza tra la medie dei ranghi della popolazione (Ercolani et al., 2002; Greene, D'Oliveira, 2000). La maggioranza dei partecipanti era afro-americana, con un rapporto femmine/maschi pari a uno su tre. La maggioranza dei pazienti ha riscontrato un miglioramento nella percezione del dolore dopo 1-3 incontri. I pazienti hanno espresso una riduzione nella percezione di dolore dal 14% al 30.2%. Una maggiore differenza, anche se non significativa, si è registrata nei pazienti più vecchi, mentre non sono state riscontrate differenze di genere significative. Gli Autori concludono che il Metodo di Kids Kicking Cancer sia uno strumento utile per diminuire il dolore nell'oncologia pediatrica, migliora la compliance del paziente rispetto alle terapie medico-chirurgiche e, conseguentemente, consente di diminuire i

Illustrazione 1: Scala Analogica Visiva

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costi sanitari e la morbilità delle malattie. Riflessioni conclusive Come risulta da molteplici studi le terapie complementari sono efficaci nel coadiuvare una gestione più funzionale della malattia oncologica (Mamtani, Cimino, 2002, p. 368; Kapchuk et al., 1996). Come già affermato, la metodologia sviluppata da Kids Kicking Cancer si inserisce all'interno della Medicina Alternative e Complementare fornendo, con la sua completezza e modularità, un valido strumento per aiutare il piccolo paziente a sentirsi capace di avere un controllo sul dolore e sulle conseguenze della terapia antiblastica (Cohen et al., 2013). La completezza è data dall'integrazione all'interno del metodo di esercizi fisici e di tecniche delle arti marziali, di respirazione, di meditazione e di visualizzazione guidata (immaginativa). La modularità permette all'istruttore MAT di essere flessibile rispetto alle esigenze del malato, come richiesto dall'esperienza “paradossale e tumultuosa” della malattia del cancro (Leal et al., 2015). Il metodo favorisce il coping delle principali problematiche, fisiche e psicologiche, che un bambino si trova ad affrontare nel corso della malattia oncologica e a migliorare la sua compliance al trattamento, consente inoltre di percepirsi capaci di progettare il futuro; di avere un controllo sulla malattia, attivando lo spirito combattivo; di gestire l'ansia e la paura di non farcela tramite la respirazione e la meditazione. Tutto questo migliora la Self-Efficacy e le strategie di coping sia del bambino sia della famiglia. Un moderato esercizio fisico (Huang, Ness, 2011; Winter et al., 2010) ha effetti positivi sia sulla stanchezza cronica che sugli aspetti psicologici e relazionali; le tecniche di respirazione agiscono sul sistema nervoso centrale e sul sistema endocrino e sono determinanti per favorire un coping adattivo di fronte a stress, ansia e frustrazione (Bradley, 1991); le tecniche marziali stimolano l'apparato cardiovascolare e neurovegetativo, le competenze esecutive, attentive e coordinative, migliorando equilibrio e bilateralità; l'utilizzo del colpitore permette di esprimere le emozioni, manifestazione che ha un grande significato adattivo (Grassi et al., 2003; Harrison, 2001; Sarno, 1998); la filosofia e lo spirito delle arti marziali aiutano a sviluppare resilience restituendo loro un controllo sulla propria vita (Zani, 2002), strategie di coping adattivo (Bagnulo et. al., 2014), uno scopo per la propria esistenza che le aiuta a ridurre l'ansia ed ampliare l'empowerment (Goldberg, 2014); la meditazione aiuta a comprendere come ci sia anche una componente emotiva nel dolore sperimentato e che su questa è possibile esercitare un controllo (Klafke et al., 2014; Harrison, 2001; Benson, 1997; Leaman, 1992; Kabat-Zinn, 1990); le tecniche di respirazione stimolando i sistemi nervoso, circolatorio e linfatico, aiutano i bambini a sentire di poter fronteggiare situazioni stressanti; le tecniche di visualizzazione stimolano il ricordo del benessere (Benson, 1997). Esse, insieme alle altre tecniche di integrazione mente-corpo, hanno anche il compito di arricchire le esperienze sensoriali del nostro cervello e di orientare il nostro comportamento verso il benessere; la meditazione aiuta ad accettare ciò che non può essere cambiato, a percepire se stessi e il mondo circostante in modo diverso. La sessione di KKC permette anche al resto della famiglia di partecipare sia fisicamente che emotivamente al training. In questo modo, come suggerito dalle ricerche, è possibile migliorare la capacità di coping dell'intero nucleo familiare, facilitando la condivisione di emozioni e la comunicazione e la diminuzione della conflittualità interna, come nelle famiglie con un buon adattamento (Kissane et al., 1998). Con un conseguente miglioramento della qualità della vita del paziente stesso (Lim, 2014; Milberg et al., 2014).

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Due studi scientifici riportano l'utilità del training di KKC per la riduzione del dolore percepito con un valore altamente significativo da un punto di vista statistico: nel primo l'88% dei bambini ha riferito una differenza media, tra prima e dopo l'allenamento, di 3 punti e un quarto; nel secondo studio di Cohen et al. (2013) i 94 pazienti, seguiti per un periodo di 12 mesi, hanno espresso una riduzione nella percezione di dolore dal 14% al 30.2%. Ulteriori studi potrebbero essere compiuti per ripetere le ricerche di Cohen et al. (2013) nel contesto italiano. Molteplici sono gli ulteriori campi di ricerca che sarebbe possibile indagare, principalmente in tre principali direzioni. La prima riguarda l'efficacia del metodo rispetto al paziente. Si può infatti ipotizzare che pazienti diversi nel tipo di malattia, nella personalità e nell'ambiente di provenienza, abbiano risonanze diverse al metodo. Si collega a ciò, anche la possibilità di un confronto con altre attività che non siano globali come il metodo KKC. Ci si può infatti domandare se il metodo KKC presenti un vantaggio nel lavorare su più aspetti contemporaneamente: fisico, psicologico, sociale. La seconda direzione riguarda il burnout dei volontari KKC rispetto a campioni di controllo nei quali i volontari prestino attività diverse. Come verificato da Eelen et al. (2014), coloro che lavorano professionalmente con la malattia oncologica soffrono di burnout in maniera significativamente maggiore rispetto alle altre unità di cura. Dalla loro ricerca, condotta nel Flanders (parte del Belgio di lingua tedesca), su 550 lavoratori (medici, assistenti sociali, psicologi, infermieri e infermieri specialisti) dei reparti oncologici, emerge che il 51,2% soffriva di esaurimento emotivo, il 31,8% di depersonalizzazione e il 6,8% di mancanza di realizzazione personale. Si potrebbe considerare se gli istruttori volontari di Kids Kicking Cancer possano sviluppare una resilienza maggiore riguardo al burnout, grazie al percepirsi come una squadra all'interno di un'organizzazione (Ginossar et al., 2014), alla possibilità di esprimere le proprie emozioni all'interno dei report/diari, all'utilizzo personale di tecniche respiratorie, meditative e immaginative, come riportato da alcuni Autori (Mamtani, Cimino, 2002; Owen et al., 2001). La terza direzione potrebbe prendere in esame il contributo specifico della relazione che si viene a creare tra i volontari MAT e i bambini; ci si potrebbe legittimamente chiedere quanto di questo rapporto contribuisce al loro benessere. In conclusione, la forza del metodo sembra essere quella di usare una strategia integrata che permette al paziente in età evolutiva ed alla sua famiglia, di raggiungere obiettivi misurabili e concreti già dalle prime lezioni. Si può perciò concludere che il metodo KKC, all'interno della Medicina Alternativa e Complementare, si presenta come uno strumento utile per il decremento della percezione algesica nell'oncologia pediatrica, per accrescere la compliance, migliorare il modo di affrontare la malattia e la resilienza del paziente. “La gente spesso mi chiede come faccio a gestire l’emotività di fronte alla sofferenza e alla morte dei bambini. La risposta è semplice: piango. Ai nostri Martial Art Therapist tutti di un pezzo, mi limito a dire loro che nel momento in cui non sono più capaci di piangere, è meglio che smettano” (Goldberg, 2014, citato in Bagnulo et. al., 2014, pp. 166, 167). Bibliografia Bagnulo G., Berra L., Cembran E. et al., (2014). Manuale del Martial Art Therapist. Kids Kicking Cancer, II° edizione. Bandler R., Grinder J., (1981). La struttura della magia. Roma: Astrolabio.

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1 Psicologo clinico - Istituto per lo Studio delle Psicoterapie, Roma

2 Psicologa clinica - Istituto per lo Studio delle Psicoterapie, Roma


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