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L’ARTE DI ESSERE CAPOG. COURTOISEDITRICE ÀNCORA

COLLANA<< EDIFICARE >15

CoIIana << EDIFICARE>>

diretta dalProf. Mons. ANDREA GHETTI

<< Secundum gratiam Dei, ut sapiensarchitectus, fundamentum posui:Christus Jesus. Unusquisque autemvideat quomodo superaedificet >>.(1 Cor 3, 10 -11)

E’ stato scritto che il nostro secolo è caratterizzato da una profondainquietudine.Essa è diffusa negli spiriti e nelle istituzioni, si appalesa negli incontripolitici, nella letteratura, si sistematizza nelle scuole filosofiche.Nasce da un pessimismo dell’uomo e dalla sfiducia nelle sue capacità diricupero, dal dubbio continuo di un reciproco inganno.E’ necessario superare con coraggio questa stasi talora sofferta. Pensoche sia un compito - attuale ed urgente - del cattolicesimo d’oggi, quello di

ridare fiducia, mostrando le risorse ascose in ogni anima, le capacità diripresa, le inesauribili energie di ognuno.Fiducia in Dio e nel suo amore, nella vita e nelle gioie, nell’oggi e neldomani.Fiducia nell’uomo, creatura e redento, perché sappia godere di tutto ciòche è bello e giusto e santo.A tale scopo muove questa collana dell’Editrice Ancora indicando, AlGIOVANI le bellezze della loro età e i momenti di una loro sodacostruzione, AGLI EDUCATORI gli strumenti di un lavoro efficace eduraturo.

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C’è una <<pietra d’angolo >> eterna e viva - Cristo - principio di ognisperanza e centro di ogni amore: su essa, e solo su essa, potremoedificare per innalzare una civiltà migliore, ove la speranza dia il senso

della pace e della serenità agli uomini in attesa

GASTONE COURTOIS

L’ARTE DI ESSERE CAPO

II EDIZIONE

EDITRICE ÀNCORA MILANOROMA MILANO BOLOGNA BRESCIA GENOVA MONZA PAVIA TRENTO

(4)Titolo dell’opera originaleL’ART D’ÊTRE CHEFEditions Fleurus - Paris

Traduzione dal Francese di Armando Sellani

IMPRIMATURin Curia Arch. Mediolanidie 17-2-59J. SCHIAVINI - Vic. Generale.

I°Edizione: Aprile 1959II°Edizione: Dicembre 1960

PROPRIETÀ RISERVATA EDITRICE ÀNCORAN. A. 1512 (Dicembre 1960)

Scuola Tipografica Artigianelli << Pavoniani >> - Milano

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39. Comandare è servire: servire Dio nel cui nome si comanda perché ogniautorità che non si fondi in Lui è illusoria e usurpata; servire coloro a cui sicomanda e che, senza il capo, rischierebbero di restare mandria senza

pastore; servire la causa che ci supera e che merita adesione, obbedienzae, nel caso, il sacrificio di se stessi.

40. Bel mestiere quello di capo! Ma è più di un mestiere, è una vocazione,una chiamata, una sorta di predestinazione: perché ogni autorità provieneda Dio e questo pone colui che riveste funzioni di capo come intermediariofra Dio e i sottoposti.Il testo della scrittura non ammette restrizioni o riserve. Si è capi <<in nomedi Dio>> e al solo scopo di realizzare negli altri uomini una immagine piùvicina a Dio, aiutandoli a diventare più uomini, facendo loro acquistarecoscienza della loro dignità di creatura divina, aiutandoli a tradurre inazione quei doni che a loro sono stati dati.

41. L’autorità è un servizio, ma un meraviglioso servizio. Essa non sta nelsoddisfare dei capricci personali, ma nel far fare alla Nazione ciò che lasua natura e la sua coscienza esigono da essa.Così, anche quando il capo resiste all'opinione pubblica sviata, quandospinge la Nazione a sacrifici duri e necessari, nulla ha di dispotico; egliserve semplicemente, proprio come un coraggioso e leale servitore.

42. <<Servendo>> visibilmente il bene comune, il capo offre alla suamaniera l’esempio dell’obbedienza e, oltre a questo, mostra con evidenza aogni sguardo ciò che legittima ed esige l’obbedienza: il bene comunerichiesto dalla natura e da Dio.

43. Il capo è colui che comanda; ed è pure colui che assume con fiducia edi fronte a tutti il più pesante carico d’obbedienza. Il capo non cade mainell’arbitrario; la sua regola è di cercare risonanza nel più profondo di

coloro che guida. Egli è colui che orienta e aiuta. Coloro che sentono in séla forza della volontà si rallegrino, il capo è lì solo per aiutarli a volere.

44. All’autorità, per affermarsi, basta di essere esercitata secondo la suanatura, cioè servendo il bene comune.Nel capo, l’individuo deve scomparire in un certo senso, assorbito nella suafunzione. Questa scomparsa virile e coraggiosa gli conferisce un prestigioe una forza che nessuna guardia del corpo può donare. Diventandopersona pubblica in maniera intensa e visibile, si eleva automaticamente aldi sopra degli stretti individualismi.

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mettersi al servizio della comunità. Ciò non è senza difficoltà, perché lapigrizia è veramente una legge di natura.

60. Solo colui che si commuove di fronte alla realtà umana, che è imbevutodall’immensità della vita, è degno d’essere capo.

61. Un uomo soddisfatto di quel che trova in sé e fuori di sé, senza ilpensiero di mutare la situazione, manca in partenza di qualcosa che gliconsenta di diventare un capo; tutt’al più potrebbe riuscire a sbrigaredell’ordinaria amministrazione.

62. Per esser capo occorre riuscire ad individuare quel che manca ad ungruppo per realizzare la propria ragion d’essere, sapergli donare la giustaquantità d’impulso che gli occorre e, avendo ricevuto effettivamente ilmandato, agire di conseguenza.

63. Temperamento di capo è quello che ha la vocazione di affrontare nonsolo il normale carico personale di responsabilità e di rischi, ma tutto ilpeso delle responsabilità degli uomini che gli si assiepano intorno. Egli èinnanzitutto uno che si sobbarca, non un domatore che asservisce, unprincipe tiranno, o un privilegiato che si imbosca.Dev’essere più sveglio degli altri, per essere il primo a riconoscere il

pericolo o la favorevole opportunità; più perspicace, per megliocomprendere il piano d’azione; di giudizio più sicuro, per metterlo bene inopera: più pronto alla decisione, perché l’azione si avvii al momento giusto:più audace nell’accettazione dei rischi ineliminabili per trascinare gli altri adaffrontare i propri: più coraggio o, per dominare le timidezze altrui: piùperseverante per fronteggiare la stanchezza del tempo e degli ostacoli, piùresistente alla solitudine e nello stesso tempo più ricco di umana cordialità.Non si ingrandisce questa vocazione, circondandola di cauto mistero. Tuttoil suo mistero consiste nella complessità e nel raro equilibrio delle

numerose doti che essa pretende.(25)

LE DOTI DEL CAPO

FEDE NELLA PROPRIA MISSIONE

64. Il capo che non crede nella causa che serve non è degno dicomandare. Ma non basta credere, occorre partecipare agli altri la propriafede e il proprio entusiasmo. Occorre che ciascuno di quelli che sono da lui

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una disciplina troppo rigida delle preferenze individuali, per poter fare ameno di una fede.

75. Ogni essere vivente è animato da un soffio vitale. Chi non possiedequesto soffio è morto.

76. Si fa bene solo quel che si fa per passione. Chi lavora semplicementeper il denaro, senza la passione del proprio mestiere, non potrà mai essereun uomo di valore, tanto meno un capo.

77. Tutte le imprese umane, le più umili o le più nobili, le profane comequelle religiose sono soggette alle medesime esigenze organiche. Credere,sperare, amare sono le virtù che occorrono a tutti quegli uomini chevogliono compiere opere vive e feconde. Credere in quel che si intraprendeè sperarne il successo, amare il proprio lavoro e offrirne per amore il fruttoagli uomini: nessuna impresa sfugge a queste condizioni inderogabili.L’intelligenza non può perseguire uno sforzo creativo se non crede nellaverità e nell’utilità del proprio compito. Il coraggio non può vincere gliostacoli se non spera di vincerli.In conclusione, tutte le molle dell’azione, se non sono comandatedall’amore, diventano tanto più fragili quanto più sono violente di loronatura.

78. Il capo che non è riuscito a comunicare agli altri l’entusiasmo perl’impresa comune orientata al bene comune assomiglia a un macchinistache voglia mandare avanti la locomotiva senza vapore.

79. L’entusiasmo deriva innanzitutto da una convinzione profonda, da unpensiero fortemente maturato e diventato così prepotente nell’interno dadover prorompere necessariamente al di fuori.

80. Si richieda ai capi, prima d’ogni altra cosa, di essere convinti e capacidi convincere; di essere, diciamolo pure, degli apostoli dotati nel più altogrado della capacità di accendere il << fuoco sacro >> nelle animegiovanili; le anime fresche sono aperte alle impressioni profonde; unascintilla può infiammarle per tutta la vita, ma lo scetticismo dei primi capiincontrati può raffreddarle per sempre.

81. L’ascendente dei veri capi proviene dall’ampiezza delle loro vedute.L’uomo ha bisogno di larghi orizzonti; nella meschinità, soffoca.

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 119. C’è gente che possiede ottime doti, ma ha stoffa solo per fare ilsottoposto; la caratteristica del capo è l’iniziativa e il coraggio di assumersi

le responsabilità.

120. L’uomo che << si assume le sue responsabilità >> è colui che hafreddamente valutato la situazione; veduti i rischi e soppesatili col risultatoche si propone, ha stimato che questo vale largamente quelli, e allora si èdeciso all’azione.

121. Il capo che teme le responsabilità e limita la sua ambizione a cosefacili e normali non possederà mai lo slancio per trasportare gli altri.

122. Una discreta decisione, magari imperfetta, ma seguita da una risolutaesecuzione, è meglio di una prolungata attesa della soluzione ideale chevenga realizzata troppo tardi o mai.

123 Ecco come Pietro de la Force descrive le mentalità dei ministri dellacorte di Luigi XVI:<<La preoccupazione di muoversi secondo la tradizione li rendeva timidi efaceva sì che ogni progetto marcato di una troppo netta personalitàparesse pericoloso e, se ardiva profilarsi una iniziativa coraggiosa, ci si

metteva in mezzo l’etichetta che la rallentava cosicché le idee prima diarrivare al Re dovevano passare per tanti viottoli, cosicché, nel frattempo,le opportunità sfumavano>>.Tutti noi sappiamo a quale catastrofe abbia condotto quella estrematimidezza e quel paralizzante conformismo.

124. Nulla è più pericoloso per un capo che l’irresolutezza.La volontà incapace di ancorarsi all’accettazione o al rifiuto di un progetto èin perenne esitazione.

Certamente, prima di decidere, occorre procedere ad un esame attento ecoscienzioso di tutte le possibili soluzioni. Ma è un sogno pensare di poterrinvenire la soluzione perfetta <<ad hoc>>.In questo senso diciamo che la decisione è meglio della perfezione, perchéquesto continuo ondeggiamento del capo provoca lo snervamento deicollaboratori, l’incertezza degli esecutori, per non dire della perdita ditempo e di denaro; e, oltre a ciò, per sfuggire alla precipitazione, il capoindeciso provoca nuove complicazioni.

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Se, in pratica, il capo ne è sprovvisto, è la paralisi di tutto; se poi la usano isuoi collaboratori, è l’anarchia.

133. Bisogna essere di natura avidi delle responsabilità.Occorre prendere le decisioni, prima che ci vengano imposte; occorreprecedere le responsabilità.

134. Il capo nato concepisce con entusiasmo l’impresa, decide consicurezza e trascina gli altri con la prontezza della scelta.

135. E’ meglio avere poche idee e realizzarle, piuttosto che averne molte enon realizzarne nessuna.

136. L’obbedienza sarà spontanea e fiduciosa solo se il capo sa quello chevuole e se lo vuole con energia, cioè se manifesta spirito di decisione.Nulla nuoce di più al prestigio che l’esitazione, il mostrare d’essere allaricerca di una strada o di indietreggiare. Intacca sia l’ammirazione dovutaalla superiorità del capo, sia la tranquillità e la calma legittima delsubordinato.

137. Avete osservato i conducenti agli incroci stradali ?Davanti al conducente sicuro della sua strada, gli altri si tirano in disparte e

l’esitazione è, in questo caso, più pericolosa dell’audacia.

138. L’obbedienza passiva non significa l’abbassamento dell’uomo di frontea un altro uomo. E’ il volontario piegarsi di un individuo di fronte a unafunzione. Quando ci si mette sull’attenti davanti ad un superiore militare,non si battono i tacchi davanti a un uomo, ma davanti a un principiod’autorità, ritenuta utile e rispettabile, senza il quale le società umane checonsentono la vostra libertà non sarebbero mai esistite.

139. La decisione è la soluzione di un problema i cui dati, essendo vivi eumani, sono necessariamente complessi e delicati; di un problema nuovocui non si può adattare nessuna soluzione già fatta, bisogna innanzituttoraccogliere la propria attenzione su questi dati, osservarli, studiarli, esigereinformazioni precise e controllate, essere imparziale coi propri pensieri. Ma,una volta presa la decisione, andare in fondo energicamente.

140. Il <<forse>> di Montaigne conviene a un filosofo.A un capo si addicono solo i <<si>> e i <<no>>.

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Può darsi che ci siano parecchie strade per uscire da una foresta in cui cisi è perduti. Si deve però prendere quella prescelta dal capo debitamentenominato. Forse in teoria se ne possono vedere delle migliori, ma in pratica

la migliore è quella scelta da lui, per il solo fatto di essere stata prescelta.Perché, se ciascuno va per una propria strada, secondo la fantasiapersonale, il gruppo si spezza e, in quanto gruppo, perisce.D’altra parte, un capo possiede elementi di informazione che i sottopostiignorano. Avendo preso la sua decisione, egli deve essere certo che saràseguito, perché non potrebbe dedicarsi al bene collettivo senza la certezzaassoluta di questo consenso.(46)

ENERGIA REALIZZATRICE

161. Il capo non può accontentarsi di prendere una decisione: occorre chequesta decisione si incarni nella realtà. Ciò che conta non è l’ordine dato,ma l’ordine eseguito.

162. Un capo senza energia non può essere un capo. Ma non un’energiabrutale; una energia realizzatrice che, proporzionando lo sforzo all’effettoche si propone, conserva sempre qualche riserva per non trovarsi senzafiato proprio al momento di dover risalire una china.

163. Il capo deve essere tenace e non deve lasciarsi arrestare dalla primadifficoltà; egli conosce il suo motto: <<nulla d’impossibile ad un cuoreintrepido>>.Il vero capo, civile o militare, spirituale o temporale, sa rendere possibilel’impossibile; da questo egli verrà riconosciuto.

164. Tutto costa qualcosa e l’uomo d’azione non deve meravigliarsid’incontrare difficoltà. Ce ne sono che provengono da lui stesso e non sono

le più facilmente superabili. Altre provengono dai suoi sottoposti e ancheda coloro che dovrebbero essere per lui appoggio e aiuto. Altre vengonodalla natura delle cose e dalle circostanze. Il vero capo accetta semprel’inevitabile e, come diceva Lyautey, <<ne approfitta>>.

165. Il capo si aspetta le difficoltà, ma non se ne lascia ipnotizzare.Previste o impreviste, esse fanno comunque parte del suo piano.

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quella della fecondità invisibile della sua azione. E in questa fede egli trovala nascosta sorgente delle sue migliori energie.(50)

CALMA E PADRONANZA DI SE’

181. Per mantenere la calma, occorre prendere l’abitudine di nondrammatizzare nulla e, secondo il motto di Foch, << non prendere intragico le cose semplici e non semplicizzare le cose tragiche >>.

182. Il capo che vuol essere degno di comandare, deve cominciare conl’essere capace di comandare a se stesso. Senza essere padrone di sé,nessuno può pretendere di padroneggiare le cose o di comandare auomini.

183. Dalla persona del capo deve irraggiare un senso di serenità perchécoloro che lo circondano si sentano tranquilli.

184. Il più piccolo segno di inquietudine, di depressione e, peggio, dismarrimento che sarebbe senza conseguenza se foste solo, può avereripercussioni irreparabili sul gruppo di uomini che comandate.

185. Un capo non sà cosa sia paura, e se lo sà nessuno deveaccorgersene. Deve dare l’impressione che sarà dappertutto e sempre, piùforte delle circostanze. Riflessi soppressi, natura domata, facendo mostradi coraggio anche quando questo fosse per venir meno, egli accetta tutti irischi, provvedendo col suo sangue freddo a rassicurare i suoi e ad evitareil panico.

186. Istintivamente, nell’ora del pericolo, si guarda il capo: se gli sisorprende sul volto un segno di smarrimento o di timore, questa

impressione si riflette nella collettività tanto più fortemente quanto più ilcapo è benvoluto e si è pensato di poter fare affidamento su di lui.

187. Uno dei generali di Verdun che, nel suo posto di comando, attendevale notizie dell’attacco e poteva sapere solo quello che, a briciole, gli riferivail telefono, scrive. << L’inquietudine mi divora, l’angoscia mi tortura etuttavia io debbo mantenere il mio prestigio, debbo irraggiare fiducia, debbooffrire a chi mi osserva una maschera di impassibilità. I miei gesti debbonoconservarsi sobri, la voce ferma, il pensiero lucido. Non conosco prova piùdecisiva per la volontà di un capo! >>.

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195. Poiché ci sono sempre più cose da fare che non tempo per farle, epoiché questo mi lascia preoccupato, cercherò di non tener più conto dellecose da fare, ma del tempo che posso impegnare.

Userò il mio tempo, senza perderne, cominciando dalle cose più importanti;poi me la prenderò per quelle che non potrò fare.

196. Il capo evita i discorsi inutili: sa essere discreto, non rivela i suoiprogetti, né i suoi stati d’animo. Richelieu sosteneva che il segreto el’anima di ogni impresa è che bisogna molto ascoltare e poco parlare, perpoter agire efficacemente.

197. Il silenzio del capo, indice di volontà forte e di intensa riflessione,impone rispetto. La loquacità e la disposizione alle chiacchiere fannospesso diminuire il prestigio e fanno sempre perdere la fiducia.

198. Per poter restare calmo occorre che il capo non si lasci sopravanzarené dal lavoro, né dagli avvenimenti, né dagli uomini e si potrebbe dire,nemmeno da se stesso.

199. Un uomo d’azione non perde tempo a deplorare ciò che ostacola lasua azione: l’accetta come un nuovo dato del problema da risolvere.

200. Non dite mai: <<non ce la faccio più >>, perché in capo a un po’ ditempo, questa idea diventerà un’ossessione e sentirete il bisogno diripeterla di continuo. Finirete col crederci e ciò sarà la porta aperta a tuttele impazienze e alla stanchezza nervosa.

201. Ciò che stanca e snerva non è tanto quel che si fa, ma quello che nonsi riesce a fare; per questo occorre che il capo sappia disciplinare il suotempo. Avere il senso della gerarchia dei valori, stabilire un ordine diprecedenza per le proprie attività e proporzionare all’importanza di ogni

attività il tempo che le viene destinato.202. << La pazienza è una garanzia di ordine >>, dice l’educatoreamericano Hughes. << Perdere il controllo di sé, aggiunge, è il mezzo piùsicuro per perdere il prestigio sugli altri. Chi sa mantenersi calmo, non pertemperamento flemmatico, ma per disciplina personale, riesce adesercitare su altre persone eccitabili che non si controllano, unasuggestione cui esse non riescono a sottrarsi >>.

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 211. E’ un mestiere che non si adatta al beato ottimista, il cui candoreingenuo lo espone alla mercé degli scaltri e dei ciarlatani.

212. E’ un mestiere che non è fatto per i chiacchieroni che credono d’averagito solo perché hanno parlato, senza accorgersi che, contentadosi diparole, si nutrono di illusioni.

213. Il mestiere di capo ha bisogno di un uomo che abbia la testa sullespalle e i piedi sulla terra. Tutto può essere riassunto in questo principio:l’incapacità d’adeguarsi alla realtà rappresenta la principale inettitudine alcomando.

214. Oggi, per l’influsso delle filosofie soggettivistiche e per l’insegnamentoeccessivamente libresco, l’intelligenza non è intesa tanto come la capacitàdi comprendere la realtà, ma come la facoltà di speculare e di dissertarebrillantemente. Di un uomo capace di far lunghi discorsi si dice che << èintelligente >>.Si costruiscono sistemi cervellotici, si architettano ipotesi, e si crede diabbassarsi a scendere sul terreno per constatare come stanno le cose. E’questa la gran debolezza, in ogni settore della vita nazionale, dei nostristati-maggiori. Troppi spiriti brillanti abituandosi a destreggiarsi coi sistemi

finanziari, economici, militari, finiscono col perdere contatto con le umilirealtà della vita umana e soprattutto col buon senso.

215. Avere il senso della realtà significa prima di tutto conoscereobbiettivamente la realtà e conoscere le possibilità che, nel presente onell’avvenire, possono trovar posto in essa.

216. Veder chiaro, veder vero, veder giusto: così dev’essere lo sguardo delcapo.

217. Il peggior sbandamento spirituale sta nel vedere le cose come sivorrebbe che fossero, anziché vederle come sono veramente.

218. << Non accontentatevi di quello che vi riferiscono, diceva Foch,andate a vedere voi stessi. Non vi chiedo quel che ne pensate. Ditemi checos’è... I fatti sono lì. Occorre osservarli. Essi rimangono. Non li faretecerto scomparire facendo del sentimento >>.

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Sottomissione, e per primo si sottomette lui. Preferisce la realtà alla propriaidea, così come preferisce il dovere a se stesso.

235. Alcuni vedono solo difficoltà, altri pretendono di ignorarle. E’ megliovedere le possibilità tenendo conto delle difficoltà e trovare nelle prime laforza per vincere le seconde.

236. Quando si e veramente uomini, si prendono dal presente le cosecome sono e si lavora affinché, nell’avvenire, esse siano un po’ più comedebbono essere.

237. Se esiste lo scoraggiante pessimismo di chi incrocia le bracciadavanti alla fatalità, esiste anche il pericoloso ottimismo che alimenta leillusioni col pretesto di tener viva la fiducia.

238. Ci sono piani molto ben fatti: non sono i progetti che mancano o leidee, ma per ogni circostanza ce n’è soltanto uno buono. Può darsi che siail meno bello, il meno grandioso, quello che produrrà meno gloria, ma è ilsolo che la realtà rende possibile; ed è quello che si deve scegliere. Il capoche prende la decisione e ne porta la responsabilità deve possedere lanozione del possibile. Se questa gli manca, egli può essere un esteta delcomando, ma non è un capo.

(64)

COMPETENZA

239. Il valore o l’energia non è l’esclusivo fondamento dell’autorità delcapo. Il capo deve sviluppare la propria competenza professionale peressere in grado di servire meglio e la sua autorità morale aumenterà nellamisura con cui fornirà le prove della sua capacità.

240. La competenza del capo non è della stessa natura di quella deisottoposti. La sua competenza deve consistere soprattutto nel possessodelle nozioni generali necessarie e nella conoscenza essenziale delledifferenti branchie di attività in modo da poterle coordinare. Il capo, piùresponsabilità deve sostenere, più deve sollevarsi dalla specializzazione,mentre il sottoposto, più è esecutore diretto, più deve essere padrone dellasingola tecnica.

241. La competenza specifica del capo è una competenza di governoconsistente nel prevedere, organizzare, comandare, controllare in ordine

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senza avvilirne la immaginazione, costruire un piano, stabilire unprogramma, combinare orari, assicurarsi una linea di ripiegamento o delleposizioni di soccorso, è soltanto un << incaricato d’affari >> inerte, incerto,

abitudinario, che non riuscendo a dominare la vita verrà da essa dominato.

255. Più sarà dettagliata l’idea che dell’avvenire il capo si sarà fatto, piùessa avrà possibilità di mutarsi in realtà. Volere, non significa soltanto direquel che si vuole, ma pensare con energia a come ci si comporterà.(69)

CONOSCENZA DEGLI UOMINI

256. L’arte di guidare uomini e difficile. Lo è, innanzitutto, per via dei doninaturali inegualmente distribuiti, ma soprattutto perché le leggi psicologicheche sono alla base del rapporto tra capi e sottoposti non sono a sufficienzaconosciute.

257. Un uomo esperto che, già anziano, era riuscito a condurre in portouna impresa industriale nella quale impiegava numeroso personale,rispondeva agli amici meravigliati di un cosi sollecito successo: << Nonconoscevo le macchine, ma conoscevo bene gli uomini >>.

258. Prima di tutto, bisogna fare il giro del personale, come di una casa,per rendersi conto di quello che vale.

259. Buona cosa è conoscere il proprio mestiere, e può essere tutto perl’artigiano che lavora da solo; ma il capo, per definizione, deve comandarealtri uomini e la conoscenza degli uomini che deve comandare è altrettantonecessaria quanto la conoscenza del compito per il quale li devecomandare.

260. Il primo servizio del capo sta nello studiare e nel comprendere quelliche deve formare. Poiché l’educazione e contatto, non può esservi contattosenza un congiungimento tra i due soggetti: il capo e i sottoposti,adattamento di chi comanda a chi obbedisce, perché si possa avere ungiorno l’adattamento di chi obbedisce a chi comanda.

261. L’ideale per un capo è di collocare ciascuno al suo posto: “The rightman in the right place”. Un uomo che si trova di fronte ad un compito che lo

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269. Il capo deve dare a ciascuno l’impressione che ne riconosce laindividualità, che non lo confonde con gli altri, che lo distingue come aventeuna propria esistenza e un valore ben preciso, in mezzo alla moltitudine dei

suoi simili.

270. Questa profonda conoscenza è per il capo, nello stesso tempo, la piùgrande abilità e l’origine della maggior forza, è il segreto dei più illustricondottieri (Vedi Napoleone che batte sulla spalla al veterano: << Ti hovisto a Marengo >>.

271. Il capo chiama, tutte le volte che può, i suoi uomini per nome. Nondimentica che per ciascuno il nome è la parola più dolce e importante ditutto il vocabolario.

272. La conoscenza degli uomini consente di valutare esattamente ilmorale di un gruppo e di determinare quel che si può ad esso chiedere adun certo momento, senza rischiare di provocare un disastro. E’ questaconoscenza che dà il senso di ciò che si definisce << il fattibile >>, al di làdel quale la disciplina si spezza.

273. Poiché ormai ogni capo è più o meno un educatore, non puòesercitare una benefica influenza se non è abbastanza perspicace da

indovinare i bisogni, le attitudini, i gusti, i caratteri, le reazioni dei suoiuomini. Non basta la generica conoscenza del cuore umano; occorrepossedere l’istinto di indovinare quel che avviene nell’animo di coloro concui si ha a che fare.

274. Per ben conoscere gli uomini, il capo deve guardarsi dallesemplificazioni eccessive, L’essere umano non è sempre razionale esemplice. Ha tendenze molteplici che si compensano e si equilibrano avicenda, pur sottoposte a variazioni più o meno frequenti, secondo il

temperamento, il carattere, la salute, l’ambiente che circonda l’individuo, icasi che gli capitano.

275. Conoscere, secondo l’etimo, vuol dire << nascere con >>, << viverecon >>, << sentire con >> ; non c’è vera conoscenza se non nella misuracon cui si simpatizza, si dividono le pene e le difficoltà di ciascuno, nellamisura con cui ci si sa mettere al loro posto.

276. Un uomo inquieto cerca sempre qualcuno cui confidare l’oggetto dellasua inquietudine: niente di meglio che la confidenza venga raccolta dal

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fredda riservatezza che dimostrerebbe, d’altra parte, la sua scarsa fiducianel proprio ascendente personale.

288. Saper parlare ad un dipendente in modo da dimostrargli che lo siconosce e lo si comprende, e uno dei modi più sicuri per guadagnarsi lasua confidenza, per far nascere in lui la certezza che, in caso di pericolo, isuoi interessi saranno salvaguardati nella misura del possibile, perchéalmeno saranno stati riconosciuti.

289. La creatura umana cerca avidamente la simpatia comprensiva. Cosìle gioie e le ansie del lavoratore non debbono essere considerati fatti suoipersonali, ma una buona occasione offerta al dirigente dell’impresa diprendere contatto con un’anima.Il capo che si accosta ai suoi uomini nell’ora del dolore e dellasoddisfazione, riesce a conquistare in quei pochi istanti i loro cuori, assaipiù di quello che possa fare in lunghi anni di comando. In ogni occasione,una dimostrazione di simpatia gli sarà utile: l’assunzione, una promozione,la nascita di un bambino, la morte di un parente, un anniversario, sonotante occasioni per il capo di una impresa di manifestare il propriointeressamento e di stringere i legami che l’uniscono al personale,provocando con ciò una reciprocità di sentimenti.

290. Se talvolta esiste nel soldato un rancore segreto o violento neiconfronti dell’ufficiale, non è perché questo ultimo abbia preteso qualcosadi spiacevole o di pericoloso, ma l’avrà preteso con un tono implicanteindifferenza o disprezzo.Nove volte su dieci, un ufficiale duro in servizio di pace o di guerra, ma chesappia parlare umanamente ai soldati, dividere la loro vita, è più amato emeglio corrisposto che non un capo meno esigente, ma brutale, freddo ecostante.

291. Pensate al vostro superiore in guerra, al vostro direttore in tempo dipace, a chiunque sia appena un po’ sopra di voi e, un giorno, abbiatrascurato di trattarvi benevolmente. Poi ripetete a voi stessi che queldispetto, quella collera, quel rancore amaro, quella sofferenza che aveteprovato, vengono rivissuti cento volte al giorno - e se ti sognano, la notte -dagli uomini costretti a starsene sotto dei capi o dei superiori. Pensated’altra parte che tutte quelle nubi possono essere spazzate via da unosguardo benevolo; e certamente userete di gran cuore a tanti esseri che nehanno bisogno, la grande carità della vostra cortesia.

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Temete soprattutto che, trattandoli troppo duramente, non dobbiate farnascere attorno a voi la pianta della ipocrisia.

297. Tutti conoscono il celebre ordine del giorno del Gran Quartierefrancese durante la battaglia del 1917: << I nostri ufficiali esitano a farconoscere ai loro capi le difficoltà d’esecuzione che riscontrano, per timoredi essere tacciati di pusillanimi... Da questa astensione timorosa, ilComando supremo mantiene talora degli ordini che non avrebbe esitato arettificare o a sospendere - se fosse stato meglio informato >>.E’ così. Ci sono notizie preziose per i superiori che un inferiore non siazzarderà di fornire al suo capo se non sarà certo di essere ascoltato daun orecchio benevolo.E’ per questo che l’ordine del giorno aggiunge: << Il superiore deveriservare all’inferiore una benevola accoglienza, dimostrargli il desiderio diaiutarlo a risolvere le difficoltà che l’ostacolano, fare affidamento sulleinformazioni utili e addirittura provocarle. L’atteggiamento di benevolenzadel capo è conforme alle più nobili tradizioni dell’esercito... Quando essovien meno, da luogo ad una atmosfera incresciosa e biasimevole - gli spiritiinacerbiti confidano i loro rancori a indifferenti o incompetenti, provocandopoco alla volta una situazione di scontento e di inquietudine che può farsipericolosa>>.Ciò vale non solo per l’esercito, ma per ogni situazione.

(81)

BONTA’ D’ANIMO

298. <<Ogni altra scienza è dannosa, dice Montaigne, per chi nonpossiede la scienza della bontà, Anche se potessi farmi temere, preferireifarmi amare! >>.

299. Si può tener duro di fronte a un ragionamento, di fronte a un gestogentile, ma non si resiste all’influsso di un cuore buono... : esso promanaattorno a sé una atmosfera in cui le anime si bagnano e si impregnanodella sua stessa sostanza.

300. Quanto era inflessibile la sua severità nel corso dell’azione,altrettanto, subito dopo l’azione, si spiegava la sua bontà e la sualonganimità, in ogni occasione, nel suo modo di trattare e di giudicare lepersone... Lo sento ancora ripetermi: <<Un capo non sbaglia mai pereccesso di bontà>>.

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 301. C’è una maniera d’essere che influisce sul modo di vedere.Quelli che vedono il bene fuori di loro dimostrano che lo hanno già praticato

dentro di loro.

302. Quando ci sembra che la bontà abbandoni il mondo, pensiamo cheessa ha, prima ancora, abbandonato il nostro cuore.

303. Uno spirito retto, un cuore buono, non si lasciano allucinare dalpassivo o dal male.. .Senza essere assolutisti, essi si accontentano del midollo utile...;in una teoria, vedono l’embrione di verità...;in un gesto, il desiderio più grande di esso...;in un’anima, la potenzialità generosa...;nel granello di senape, l’albero in potenza...

304. La ricompensa del capitano non sta nelle note del superiore, ma nellosguardo dei suoi uomini.

305. La ricompensa del capo, più che nei rallegramenti del superiore, stanell’attaccamento muto ma totale di tutti coloro che, fino al più bassogradino, sentono di appartenere alla stessa famiglia.

<< In quanto ai grandi comandanti, la loro benevolenza mi ha sempremeno interessato che non quella dei miei sottoposti, l’unica cui io tenga...>>.

306. Un cuore duro riuscirà a farsi temere... ma si è assai mal serviti daglischiavi.

307. E’ un errore ritenere che la longanimità e la gentilezza siano lanegazione dell’autorità.

E’ risaputa la frase di Turenne a un ufficiale: <<Io non tratto malenessuno... Però, non mancherei di farvi tagliare la testa nel momentostesso che rifiutaste d’obbedire >>.Semplice battuta, d’altra parte, in bocca ad un uomo la cui autorità erasoprattutto fatta di equità e la cui indulgenza e umanità sono rimasteproverbiali; << severo con se stesso, considerava tutte le sue disgraziecome delle colpe personali: indulgente con quelli che avevano sbagliato,trattava le loro manchevolezze come delle disgrazie >>.

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308. Che potenza e il cuore! Chi non è riuscito ad impadronirsene nei nostripetti, stia attento nel dare ordini e non s’aspetti di condurci lontano sulcammino della obbedienza. Ma se qualcuno si è reso completamente

padrone dei nostri cuori, gli è consentito di essere audace in tutto. Puòtutto pretendere. L’autorità forte è quella che s’appoggia sulla forzadell’amore.

309. << Il massimo della capacità sta nel governare senza la forza >>,scrive giustamente Vauvenargues: e Lacordaire diceva ancor piùgiustamente: <<Non si può regnare sugli uomini, quando non si regna suiloro cuori >>.

310. Non esiste comando efficace senza amore, la volontà imposta con laforza è senza dubbio capace di ottenere la momentanea esecuzione di unordine determinato; però non può ottenere quella totale adesione dellevolontà, degli spiriti e dei cuori, assolutamente indispensabile al capo peradempiere alla sua missione.Questa adesione, gli inferiori l’accordano solo se sentono in colui che liguida un amore profondo e sincero, un desiderio di donare ad essi tutto ilsuo cuore e la sua intelligenza, una volontà di far loro concretare, infunzione della loro personalità, tutto ciò che esiste potenzialmente in loro,e, in questo modo, farli collaborare all’opera comune.

Così comandati, essi contraccambiano col loro amore chi si è loro donato;ed è soltanto dopo aver ottenuto questo che un uomo può tutto chiedere acoloro che ha la missione di condurre; allora soltanto può dirsi capo.Nulla si è ottenuto, in sostanza, finché la confidenza dell’inferiore noncorrisponde alla confidenza del superiore, finché un immenso scambio divero amore non si è stabilito fra tutti quelli che nei differenti gradi dellagerarchia, debbono collaborare all’impresa comune.

311. La nostra gente vale per dieci, sotto dei capi che stimi ed ami, ma è

inferiore a tutti, sotto un capo che non ispiri stima e confidenza.312. Una buona parola è spesso più efficace che una buona ragione.

313. Più si è in alto nella gerarchia e più si sale, più si deve essere buoni.

314. Con una pinza si possono aprire molti oggetti, ma non un cuore.

315. Quando La Bruyère ha voluto dipingere la vera grandezza d’animo, hatracciato il ritratto di Turenne:

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 321. La questione sociale è prima di tutto una questione di rispetto.

322. Il fondamentale dovere del capo nei confronti dei sottoposti e diriconoscere in servizio il loro valore umano e di trattarli secondo la lorodignità di persone ragionevoli e libere.

323. Poiché l’uomo è persona, appartiene soltanto a se stesso e a Dio; nonpuò appartenere come una cosa ad un altro uomo. Sarebbe un ritorno allapagana concezione dell’autorità, in forza della quale l’antico padronepossedeva i suoi schiavi alla stessa maniera degli armenti o delle terre.

324. Il servizio, avanti a tutto; è vero. Ma il servizio non è tutto: cosaservirebbe una bella impresa a vantaggio dell’umanità, se dovesseconcludersi nel rendere meno uomini quelli che vi lavorano ?

325. La disciplina è un mezzo, non un fine. Essa deve essere agile peressere formativa; deve consentire agli uomini di prendere le lororesponsabilità. Si agisce da uomini nella misura con cui si comprende laragione dei propri gesti.

326. Dalla sua formazione cristiana, l’uomo di oggi ha riportato l’idea bella

e profonda che ognuno di noi è un essere importante, non solo comesuddito o cittadino, ma come individuo e fratello.

327. L’uomo rifugge dalla servitù, ma non rifiuta di servire: trova anzi in ciòla soddisfazione di un naturale istinto di fedeltà, purché si senta certo dellastima e della confidenza di chi lo comanda, e si senta da lui trattato comeun uomo.

328. Vivace o pacato che sia, chi riconosce ad ogni uomo una individualità

che ne costituisce la ricchezza e l’orgoglio, non può non mettere nel suoeloquio la solennità di un appello, un appello di uomo a uomo; come ilsentimento, nonostante le differenze e la necessaria gerarchia, d’unaprofonda e fondamentale eguaglianza.Non parliamo di quella insultante eguaglianza, di quei colpi sul ventre, diquel cameratismo a buon mercato che ispira soltanto ripugnanza. Ma diquei seri rapporti da uomo a uomo, da uno a uno, uno superiore, l’altrosottoposto, legati dal rapporto indispensabile del comando edell’obbedienza. Così, nelle viscere del mondo feudale, tutto stretto inrapporti gerarchici e ricco di celebri e tragiche obbedienze, scorreva il

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fiume sotterraneo e vivificante della fratellanza cristiana delle anime egualidavanti a Dio, nonostante le differenze esteriori e necessarie da tuttiammesse.

329. Una parola sgarbata, una mancanza di riguardo un gesto aspro ospregiativo possono seminare un rancore che, domani, si muterà in rivolta.

330. Più si è elevati in dignità, più si deve aver riguardo alla suscettibilitàdei sottoposti, perché una freccia più cade dall’alto e più penetraprofondamente; e, se tocca il cuore, può essere mortale.

331. Una ingiuria in bocca al capo lo disonora e provoca una ferita che nonsi rimargina nell’animo del dipendente.

332. Il maresciallo de Bell-lsle scriveva a suo figlio: << Ti consiglio di nonusare mai coi tuoi soldati espressioni dure, epiteti offensivi e di nonpronunciare mai in loro presenza delle parole ignobili. Sta certo che questoè l’unico modo per far rispettare gli ordini, renderli accetti, accelerarnel’esecuzione e ispirare ai soldati quella confidenza nei loro ufficiali che èmadre di una buona disciplina e del successo >>.

333. Ecco un brano significativo di una lettera scritta nel 1831 da un

cannoniere al generale Drouot, sotto gli ordini del quale aveva servito nel1809:<< La cosa principale, secondo me, è di farsi amare dai soldati, perché seil colonnello non è amato, non si ha certo voglia di farsi ammazzare perqualcuno che si odia. A Wagram, dove faceva caldo e dove il nostroreggimento ha fatto tanto, pensate che i cannonieri della Guardia sisarebbero comportati come si sono comportati, se voi non foste stato comeeravate?Mio generale, non ho mai trovato un colonnello che sapesse parlare ai

soldati come voi! Voi eravate severo, ne convengo, ma eravate giusto: voiparlavate al soldato come se fosse stato un vostro pari. Ci sono ufficiali cheparlano ai soldati come se fossero loro eguali, ma, secondo me, questanon e la stessa cosa...! >>.

334. Il capo deve sforzarsi di creare fra se e i suoi sottoposti una atmosferae delle relazioni di vera collaborazione. Il mezzo migliore per farlo, non equello di interessarli a quel che debbono fare, facendoli partecipi nellamisura del possibile, dell’ideale che voi seguite?

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Parliamo sempre con dolcezza; ciò che non impedisce di parlare confermezza; dando ordini o facendo osservazioni in tono alterato, siconfondono i dipendenti, li si spingono a gridare essi stessi, si congestiona

il servizio.

339. Per lungo tempo, gli operai soggiogati dalla macchina, sono stativittime di un progresso senz’anima e di un liberalismo pagano che li haridotti al livello di materiale umano, talvolta considerati meno dellamacchina che servivano. Ne è risultato, nell’anima operaia, un complessodi inferiorità che ha provocato spesse volte reazioni violente.Nel momento in cui un capo comincia a rispettare la dignità personale deisuoi uomini e a trattarli davvero da uomini, comincia a risolversi laquestione sociale.(91)

SPIRITO DI GIUSTIZIA

340. La giustizia è la prima dote che un uomo, degno di questo nome,pretende da colui che ha autorità su di lui.

341. Il sentimento della giustizia è cosi radicato nel cuore dell’uomo, cheogni ingiustizia, anche da parte di un capo benvoluto, lo delude, lo rivolta,

lo fa impennare. Egli comprende che il superiore sia esigente, anchesevero, ma sarà ferito da una manovra sleale, da un atto arbitrario, e senon potrà esprimere chiaramente questo sentimento, conserverà in fondoal cuore la ferita segreta che, un giorno o l’altro, scoppierà in pianto amaro,in rancore tenace e forse in odio implacabile.

342. Essere giusto, vuol dire distribuire elogi e rimproveri condiscernimento, sapendo riconoscere la buona volontà di ciascuno, andandoin fondo alle cose e tenendo conto, quando sia il caso, delle ragioni

obbiettive che hanno ostacolato lo sforzo di colui che cercava di fare delsuo meglio.

343. Essere giusto, vuol dire attribuire a chi spetta, anche un inferiore, ilmerito di un’idea geniale, saper far lealmente partecipare ognicollaboratore alla parte di successo che gli spetta.

344. Essere giusto, vuol dire mantenersi imparziale in ogni circostanza,senza lasciarsi influenzare da simpatie o da antipatie, saper promuovere

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inclinazione che lusinga l’amor proprio, perché gli piace di avere una parteimportante e di rendere sensibile la propria superiorità. Ma è un giocopericoloso, perché a forza di circondarsi di cortigiani che vedono soltanto

attraverso i suoi occhi, egli si priva dell’aiuto che viene dalla sana critica dicoloro che vedono le cose secondo un diverso angolo di visuale, perdecosì il contatto con l’ambiente in cui vive. Non può più dirigere con veraconoscenza di causa.

399. Per quanto possa essere capace, il capo non è poi un superuomo eprima o poi il sottoposto finisce per accorgersi di averlo sopravalutato. Se ilsuperiore è modesto, il sottoposto finirà per attribuire soltanto a se stessol’errore di valutazione e non modificherà l’intensità della sua devozione. Seinvece dovrà pensare di essere stato ingannato da promesse nonmantenute, potrà sorgere in lui una tale reazione, da provocare persinodisprezzo per il capo.

400. Un capo non può durare a lungo ad illudere coloro che comanda.Dopo qualche incertezza, essi riescono a conoscerlo. L’umiltà di fronte ase stesso rende forte il capo di fronte ai sottoposti; essendo veritiero conse stesso, egli può pretendere dagli altri di essere veritieri con lui.C’è una maniera di dire alla gente senza asprezze e fissandola negli occhi:<< Questa a me non la racconti >>, che sgonfia tutte le vesciche enfiate. Si

riconoscono alla svelta i comandanti a cui non la si fa. Ed è a costoro checi si lascia andare a confidare le proprie debolezze non per rimediare allameglio, ma per chiedere come ad un medico: <<Come posso guarirne? >>.

401. Il capo non parla di sè. Non dice mai << io >>. Si include nellacollettività e pensa al plurale << noi >>. Finché l’<< io >> resta la suaprincipale preoccupazione, egli fa di se stesso lo scopo ultimo della propriaazione, e, più o meno coscientemente sfrutta gli altri a proprio vantaggio.Riesce a comprendere veramente la propria missione solo dal momento in

cui si strappa a se stesso per donarsi senza riserve all’interesse degli altri.402. Non fate mai il profeta trionfante e incompreso: << l’avevo detto io...l’avevo previsto... ho avuto ragione anche stavolta... avevo avvertito chesarebbe finita così... >>, perché se avete davvero previsto quel che èsuccesso, delle due, l’una: o avete preso le misure necessarie, e in questocaso non c’è bisogno di gridar vittoria, o non lo avete fatto e in questo casoavete tutto l’interesse a tacere perché, facendo il profeta incompreso, virendete ridicolo ed odioso a tutti i vostri collaboratori.

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403. Il segno più sicuro della fecondità del capo è di vederlo lavorare per ilproprio successore, conosciuto o sconosciuto, perché è questa la provache considera la durata della propria opera ancor più di se stesso.

404. Un uomo è soltanto un uomo, e, ogni giorno, deve ricordarsene. Chinon rientra spesso in se stesso e non si colloca al giusto posto davanti aDio, si perderà fatalmente nell’orgoglio: i suoi sforzi resteranno steriliperché non arriverà ad abbracciare tutto con la sua intelligenza limitata eavrà perduto la capacità di dare ascolto agli altri.

405. Virtù principe di un capo e forse la più rara è l’umiltà.Se i nostri capi non ne sono profondamente convinti, se non sannoaccettare le lezioni inevitabili che loro arrivano dagli uomini e dalle cose, sepersistono nelle loro opinioni al punto di non dare ascolto a nessuno,saranno presto esauriti e superati.Certamente, troveranno con facilità una corte di ammiratori e crederanno diessere sostenuti dai sottoposti, per lo meno dai più intelligenti ecomprensivi... Ma stiamo in guardia. I più servili ammiratori si rivolterannocontro di loro alla prima occasione, quando s’accorgeranno che sarà lorointeresse di adulare un altro.Nel frattempo, abuseranno del padrone che mostrano di servire, perservirsi prima essi stessi.

Troppi fan confusione tra volontà e testardaggine, carattere e cattivocarattere.Si mostra invece una grande forza d’animo, sapendo accettare un rilievo,ascoltare una osservazione, rifletterci su, spogliandosi delle proprie idee eriuscendo a piegare la propria volontà.L’uomo che riconosce lealmente di essersi sbagliato o, più semplicemente,che non sa tutto, si ingrandisce straordinariamente. E oltre a questo,conquistando se stesso, conquista anche una magnifica indipendenza.Questa è proprio la vera libertà: essere schiavo di un altro uomo è cosa

dura, ma esserlo di se stesso è ancora peggiore.(109)

IL MESTIERE DEL CAPO

L’ARTE DI FORMARE E DI EDUCARE

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406. Ogni vero capo deve essere educatore, perché deve sforzarsi diricavare dall’essere umano associato alla sua impresa tutte le capacitànascoste e sconosciute a lui stesso. Poco a poco, rivelandogliele, gli si da

anche la nostalgia di un << se stesso >> migliore, più in grado di realizzarela missione che gli è affidata.

407. Il vero capo non è il detentore di un privilegiato talismano tutto per lui;è invece un suscitatore di uomini a lui simili. Desidera che il più modestodei suoi subalterni sia fatto a sua immagine e somiglianza e gli rinvii comeuno specchio l’immagine di un uomo libero, fiero, creatore. Gode quandosente di aver suscitato attorno a sé iniziative, chiarezza, spirito didecisione, franchezza in tutti coloro che poco avanti erano ancora bambinidi fronte alla vita.

408. Uno dei modi migliori per conquistare la fiducia di un uomo è diguidarlo ad autosuperarsi e trattarlo come migliore di quello che è inapparenza.

409. Il capo educatore deve vedere al di là dello schermo dei difetti e deivizi le qualità profonde di cui occorre dare la coscienza all’individuoaffinché, preso dalla gioia per quelle ricchezze sconosciute, egli si dia atutt’uomo al compito di valorizzarle.

410. Nulla spinge a migliorarsi quanto la sensazione di essere compreso eincoraggiato dal proprio capo.

411. Noi facciamo sempre di buon animo lodevolmente le cose che ciinteressano e in cui riusciamo. In forza di questo principio, il capo devecercare di risvegliare l’interesse del sottoposto per il campito che devesvolgere e deve metterlo in grado di riuscirci.

412. L’educazione curata dal capo deve tendere a sviluppare nelsubordinato l’amore allo sforzo, il senso della responsabilità e il gusto dellavoro in comune.

(110)a) L’amore allo sforzo.

413. La tendenza al minor sforzo porta all’abitudine, distrugge lo slancio piùgeneroso e sterilizza le più promettenti attività.

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436. L’idea della responsabilità si accresce contemporaneamente allosviluppo del senso della solidarietà che ci fa comprendere come i nostri attici seguono e come tutto ciò che facciamo acquista importanza ai fini del

bene collettivo. L’arte del vero capo sta nel risvegliare la solidarietà di tutti isottoposti.

437. Riesce spesso difficile mantenere una perfetta intesa in seno a unacomunità umana. Il capo non deve ammettere che ogni servizio assumauno spirito castale ed esclusivista che lo metta in antagonismo cogli altriservizi. Si tratti di qualsiasi tipo di impresa, occorre che il capo facciacomprendere a tutti che un esercito, un’officina, un paese costituiscono uncorpo unitario e vivente cosicché ogni lotta intestina corrisponde ad unsuicidio.

438. Il solo fatto di lavorare insieme sotto lo stesso tetto non è sufficiente aprovocare la coesione e il senso unitario. Un gruppo d’uomini di qualsiasitipo, se non vuole isterilirsi in sforzi contraddittori, deve diventare unorganismo vivo in cui ogni opinione è in armonia con le altre, tutte ispiratedall’opinione del capo e trasmettentisi, giù giù per i vari collaboratori, fino aigradini più umili.

439. Ripartire il lavoro è cosa utile, ma occorre stare attenti che i servizi

non dimentichino l’azione collettiva, non si ignorino fra loro, collaborinoamichevolmente, perché non si abbia un mosaico di sforzi giustapposti, maun’azione multipla e concorde.

440. L’essere umano è facilmente portato a mettersi dal proprio esclusivopunto di vista per giudicare le cose. Nel provvedimento del capo è indotto avedere l’aspetto vessatorio o incomodo per lui. Non sa guardare dal puntodi vista dell’interesse generale che ha certe esigenze. Occorre una buonadose di abnegazione per giudicare le cose da un punto di vista generale;

funzione del capo è di proporsi di far afferrare ai sottoposti il rapporto checorre tra ogni sua disposizione e il bene collettivo.

441. Lo spirito di comunità si oppone diametralmente allo spirito diconcorrenza su cui è finora fondata la vita sociale e tutti i metodid’educazione e di insegnamento. Lo spirito di concorrenza oppone tra lorogli interessi particolari ed eccita gli egoismi. Ricaccia al secondo pianol’interesse generale e il bene comune. Esso crea le classi. Esso suscita lelotte sociali e le guerre.(117)

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 L’ARTE DI ORGANIZZARE

442. Prima di significare << comandare >>, ordinare significa << mettere inordine >>, cioè organizzare.

443. Un colonnello non comanda un certo numero di uomini: comandainvece due o tre battaglioni. Non dimentichiamolo.Istruiamo i nostri diretti sottoposti e comandiamo attraverso loro:soprattutto non sostituiamoci nei loro compiti; verremmo meno al nostro.

444. Nella vita come nell’esercito, il tecnico vien dopo all’organizzatore. Ungenerale francese conobbe parecchi rovesci proprio perché faceva la partedegli aiutanti, badando a rettificare il tiro, a raggiustare la posizione diun’arma o quella di un tiratore, mentre attorno a lui gli ufficiali dipendentistavano invano a mendicare un ordine o una disposizione.

445. Se vuol essere all’altezza del proprio compito, il capo deve prima ditutto organizzare il proprio tempo e trovare il modo di occuparsi deiproblemi che, come capo, non deve ignorare: la ripartizione del lavoro e lagiudiziosa attribuzione dei compiti in rapporto all’attitudine diversa di ognicollaboratore, eppoi la coordinazione dei vari movimenti in funzione

dell’idea madre da realizzare.

446. Per quanto riguarda ordine e metodo, la vita del Maresciallo Lyautey èricca di esempi. Per riuscire nelle grandi cose, ce ne sono di piccolissimeche il capo deve saper fare da solo.Fra queste piccole occupazioni giornaliere, ce n’era una che il Maresciallonon tralasciava, qualunque cosa accadesse.Non bisognava distorlo. << Comprendi, diceva, è troppo importante >>.Occorreva aspettare tra la stupefazione e l’impazienza che egli avesse

terminato di mettere ogni cosa al proprio posto. Metteva ogni attenzione afar sì che ogni carta, lettera od appunto, finisse nella sua giusta posizione,nel fascicolo di questo o di quello dei suoi ufficiali d’ordinanza, nel<<paniere>> della corrispondenza da evadere, nello <<scadenzario>> onel fascicolo dell’<<evidenza>>. Non era mania di burocrate, maconvinzione che alla base di ogni azione profonda e duratura c’è un ordinereale e metodico.

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447. In rapporto alla perfezione di un essere, aumentano i suoi organi e siaccresce la loro differenziazione: ogni organo, una funzione. E’ la leggedella divisione del lavoro, la cui inosservanza porta alla confusione.

448. Dopo averlo nettamente distinto, il lavoro deve essere distribuito aicollaboratori, tenendo conto delle attitudini di ognuno. Ne risulta un quadroorganizzativo che fissa ad ognuno il proprio compito.Principio fondamentale è che per una determinata azione, l’esecutore devericevere ordini da una sola persona. Resta cosi assicurata la unicità dicomando, cosa diversa dall’unicità di direzione ma altrettanto importante,poiché la violazione di questa legge è una delle cause più frequenti di tuttigli attriti, le indecisioni, le sclerosi organiche dei complessi gerarchici. Essaimpone al superiore più elevato di non interferire nei compiti dei superiorisubalterni, ma esige altresì una netta demarcazione di poteri.

449. La divisione del lavoro presenta alcuni inconvenienti che possonocondurre alla distruzione dell’unità vivente, impresa o gruppo. Dovere delcapo èe ovviare a tutte le tendenze centrifughe in vista di una fecondacoordinazione. Uno dei modi migliori per giungere a questo è il frequenterapporto collettivo di tutti i dirigenti dei servizi in modo che, alla presenzadel dirigente supremo, ciascuno possa fare conoscere agli altri le proprienecessita e si possano risolvere i problemi di comune interesse

assicurando l’armonioso cammino dell’insieme. Per rendere fruttiferi questirapporti sarà bene comunicare in anticipo a ciascuno l’ordine del giornodelle questioni che saranno trattate in modo che ciascuno abbia tempo dirifletterci. Trattare in pubblico soltanto le questioni che interessano tutti ipresenti: risolvere rapidamente le questioni sospese (ciò che non è maturoper una decisione rimandarlo allo studio, fuori dal rapporto), abituare idirigenti dei servizi a proporre ogni questione in termini chiari e concisi, ead indicare essi stessi le soluzioni che ritengono più adatte. Il compito delcapo consiste quindi nel condurre, con precise domande, i propri sottoposti

a precisare con esattezza il loro pensiero e a guidarli verso la soluzioneche desiderano, poi a sanzionare la decisione adottata.

450. In ogni rapporto, il capo deve evitare uno scoglio: quello dell’eccessivoparlare. I capi che parlano sempre loro, senza ascoltare i sottoposti nonpossono mai sapere bene quel che capita e, quel che è più grave,smorzano ogni iniziativa dei sottoposti.

451. Il programma di queste riunioni deve essere elaborato col concorso ditutte le competenze. Ognuno degli interpellati, dopo aver esaminato il

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470. Il comando non si può dividere e se la repubblica romana eleggevadue consoli, era tuttavia stabilito che dovessero comandare per turno. Ilcapo è il solo responsabile - è libero nei limiti stabiliti dalle sue attribuzioni.

471. Se il diritto di comandare è un diritto per l’autorevolezza, soltanto lacapacità di farsi obbedire da l’esatta misura di un capo.

472. Quando date un ordine, non dimenticate di designarenominativamente chi è responsabile dell’esecuzione.

473. Più la responsabilità viene divisa, più si avvicina a zero.

474. Certo che il capo non deve preoccuparsi di quel che pensino odesiderino i sottoposti per farne la somma; deve però tener conto della loroesperienza, della loro vicinanza alla realtà su cui debbono lavorare perpoter scoprire la verità della situazione. Per questo motivo, il capo sicirconda di consiglieri e richiede pareri: poi, quando abbia visto, sentito,scelto, deciso, deve dare gli ordini senza aver l’aria di scusarsene e senzapiù preoccuparsi se ciò corrisponda alla maggioranza dei pareri ascoltati.

475. Non c’è da aspettarsi che la scelta fatta sia infallibile. La realtà ètroppo complessa e la nostra intelligenza limitata. Ma si deve pensare che,

per la funzione che ricopre e per la posizione in cui si trova, la decisionepresa dal capo sia per lo meno quella approssimativamente la migliore.quella che permette di agire e che applicandosi a servirla con ogni energia,si potrà migliorarla nel corso dell’azione.

476. Ogni ordine dato impegna la responsabilità di chi lo ha dato. Un capodegno di comandare deve possedere la forza di carattere necessaria perassumersi tale responsabilità. Se la teme, è un incapace: se la rifiuta, è unindegno.

477. Le cose aspre, dolorose, pericolose non fanno paura alla nostragente, ma essa possiede una fierezza e una dignità che le fan compieretutto quello che occorre con impegno, con intelligenza, di cuor leggero,purché il capo sappia comandare.

478. Occorre farsi comprendere e perciò occorre dare ordini precisi, chiari,aperti che non sembrino dettati in modo da schivare le possibiliresponsabilità e lasciar cadere sulle spalle dell’inferiore il pesodell’insuccesso e la vergogna della sconfitta.

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 479. Il capo non deve implorare l’obbedienza: deve comandare con calma.Se ha il diritto e il dovere di spiegare gli ordini che da, non deve però

lasciarsi andare a discuterli. Il capo non deve lasciarsi manovrare daisottoposti.

480. Un ordine che per la sua forma o per il suo contenuto possa sembrarearbitrario, rischia di provocare risentimenti o anche ribellione; temperatelocon qualche adatto commento e subito otterrete una reazione psicologicaben diversa, aprirete le chiuse attraverso cui si rovescerà, arginata dallaragione, l’energia da voi suscitata.Supponiamo, ad esempio, che un ordine comporti la soppressione o larestrizione dei permessi: non mancherà di provocare sulle prime unareazione di ostilità. Ma supponete che nello stesso tempo il comando rendanota una epidemia che miete vittime nel paese vicino; ogni obbiezionesparisce davanti al pericolo da evitare.

481. E’ un dato dell’esperienza che i sottoposti realizzano assai megliol’idea del capo quanto più ne hanno compreso lo scopo e la portata. Sonotanto più ardenti nell’azione quanto più han fatto propria l’idea e quanto piùil capo ha suscitato in loro il desiderio di realizzarla.

482. Un comandante di compagnia disse ai congedandi, la sera avanti allaloro partenza: <<Siete stati dei bravi soldati fino ad oggi. Lo sarete finoall’ultimo minuto. Nonostante che domattina partiate assai presto, lasceretele camerate in perfetto ordine, voglio poterle mostrare alle reclute come unesempio>>. Mai, a memoria dei graduati, una caserma fu cosi in ordine ilgiorno del congedo.

483. Una decisione di cui si siano compresi e approvati i motivi saràosservata con coscienza ed efficacia. Una decisione accettata a

malincuore verrà sabotata, coscientemente o no.484. Gli ordini debbono essere chiari, perché nulla esautora l’autoritàquanto quegli ordini equivoci che sembrano fatti per permettere al capo dinon essere mai contento dei sottoposti.

485. C’è gente che pensa che sotto le armi non si deve <<cercare dicomprendere>>, confidando nell’unica risorsa dell’obbedienza passiva.Una simile teoria che conduce a negare al soldato i caratteri di creatura

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umana e a considerarlo ingranaggio di una macchina, porta allaconseguenza di uccidere ogni curiosità e la fiducia in se stesso.La fiducia morale che consegue all’ignoranza genera disordine. Lo spirito

umano è attivo e non può nutrirsi di vuoto; se non gli si offre alimentoalcuno, l’immaginazione provvede a deformare la realtà. Spesso puòessere più utile ammettere un insuccesso, anziché lasciare nell’incertezza.

486. Siate esigenti, ma non dimenticate che avete il diritto di esserlo tantodi più quanto meglio i vostri sottoposti avranno compreso il fondamentodelle vostre esigenze.

487. Bisogna fare in modo di non dover ripetere più volte un ordine. Perciòbisogna darlo soltanto quando si sia in condizioni tali per cui coloro chedebbono eseguirlo possano intenderlo e realizzarlo immediatamente.

488. L’esitazione del capo lascia supporre che, impartendo l’ordine, si siaegli stesso accorto che potrà essere difficilmente eseguito; perciò l’inferiorenon pensa minimamente ad eseguirlo e aspetta pazientemente ilcontrordine. Un ordine impartito perentoriamente induce all’adesione quasiautomatica.Può servirci di prova questa semplice osservazione tratta dalla vitaquotidiana: un viaggiatore esce da una stazione importante, reggendo con

una mano la valigia, mentre l’altra è affondata in tasca. Un individuo glioffre con decisione un foglietto. Senza riflettere, il viaggiatore estrae ditasca la mano e afferra il foglietto per buttarlo via subito dopo. Se, alcontrario, il distributore gli avesse offerto il foglio con esitazione, ilviaggiatore gli sarebbe passato accanto senza neppure guardarlo.Quando qualcuno vi offre la mano, occorre uno sforzo di volontà per nonstringerla, anche se l’individuo è antipatico. Un gesto risoluto induce allaripetizione di un gesto simile; allo stesso modo, un ordine dato senzaesitazione provoca un inizio di esecuzione.

489. Qualunque sia il metodo preferito nel rivolgersi alla gente, èraccomandabile procedere per affermazioni anziché per negazioni.La formula <<Fa il tuo dovere>> racchiude maggior forza di propulsionepsicologica che non la formula negativa <<Non fare il fannullone>>.Allo stesso modo è preferibile non puntare su una qualità negativa, come lapaura, quando per lo stesso scopo si possa puntare su di una qualitàpositiva come l’amor proprio.

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490. Ci sono dei capi che, pensando di imporsi, cercano di intimidire isottoposti e di avvilirli. Non si stupiscano se finiranno col perdere la fiduciae la devozione dei più fedeli collaboratori.

491. Se si è potuto dire che la vita militare spersonalizza l’uomo, dipendedagli esempi in cui l’autorità agisce d’abitudine per mezzo di ordiniperentori, senza impegnare la ragione e la volontà dell’esecutore. In talsenso la famosa espressione <<Non bisogna cercare di comprendere>>,potrebbe anche essere una candida manifestazione di disperazione difronte a uno sforzo di cui non si afferra lo scopo.Al contrario, il buon ufficiale deve quanto più spesso gli sia possibile farricorso tanto alla spirito del soldato quanto alle sue energie fisiche. Se agliuomini che scavano trincee sotto la pioggia si dice soltanto: <<Fate questibuchi e aspettate il rancio!>> si ottiene di avere di fronte solo dellemacchine umane, tormentate nel profondo dal senso della propria miseriae decadenza che alla fine, si volteranno contro di noi.Se, al contrario, si sa dire una parola opportuna, spiegando la ragionedell’ordine, l’utilità di un certo tracciato di trincee e insinuando negli umilioperai la persuasione della propria attiva partecipazione alla grande operacomune, si può sta certi di salvare degli uomini.

492. Innanzitutto, rispetto della forma; il che non vuol dire debolezza. Ogni

atto di capo comporta infatti due aspetti, la sostanza e la forma.Se è necessario preoccuparsi di dare ordini giusti, ispirati dall’utilità delservizio, occorre altresì sforzarsi di agire sempre con tatto e con buonamaniera.Troppo spesso si deve constatare che ordini giusti provocano, per la formacon cui vengono impartiti, critiche che ne neutralizzano l’effetto.Chiedersi spesso: cosa penserei io, se venissi comandato o ripreso aquesto modo? Quali sarebbero le mie istintive reazioni?

493. L’arte di comandare non è quella di pensare e di decidere in luogo ditutti i propri sottoposti, che la pigrizia spirituale induce poi alla indisciplina.Occorre lasciare ai capi in sottordine tutte le decisioni che loro spettano dicompetenza.

494. Quando avete affidato un compito, esigete dal vostro collaboratoreche vi presenti un piano, il programma della sua azione. In tal modo potreteconcedere la vostra approvazione con conoscenza di causa, verificando seil piano previsto armonizzi con quello generale, apportando per tempo inecessari ritocchi (prevenire e meglio che guarire) e mettendovi, se del

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caso, in grado di appoggiare l’opera del vostro collaboratore durante il suosviluppo.

495. Il capo deve imporre a se stesso di non dare ordini senza passare perla trafila gerarchica normale.

496. Quando un ordine urgente ha già ricevuto un inizio di esecuzione, noncercate di migliorarlo con modificazioni intempestive; gli ordini successiviservirebbero solo a confondere gli esecutori.

497. Vedere chiaro, non è molto. Dar l’ordine è la quarta parte di quel chesi deve fare; gli altri tre quarti stanno nel farlo eseguire...

498. Un ordine impartito senza che se ne sorvegli l’esecuzione, è un ordinesprecato.

499. Prima di prendere le decisioni, discussione; dopo averle prese,esecuzione. Tutti debbono accettare.

500. Tollerare che un ordine, qualunque esso sia, non venga eseguito è unconsenso ad abdicare.

501. Il concetto di << servizio>> non sopprime quello d’<< amicizia >>. Loarricchisce, anzi, donandogli un significato.Nei momenti in cui l’azione non è immediata, quando il capo ha bisogno diriflettere e di contornarsi di consiglieri, è naturale che egli ne parli coicollaboratori, sentendone i pareri. Ma, una volta che egli pensi di avereraccolto tutti i dati per la decisione e che l’abbia presa, non si tratta più diamicizia, ma di servizio. Dato un ordine, deve essere eseguito. Si èaffermata una idea, sono state date delle disposizioni, tutti le debbonoosservare e non far altro che quello.

502. Lyautey, benché fosse un autoritario, era però l’essere menocaparbio, meno prevenuto, meno rigido del mondo. Era altresì di unaelasticità quasi felina. Ascoltava seriamente tutti i pareri, scartando soloquelli che giudicava non intelligenti. Ma se una osservazione gli sembravafondata, ne teneva conto, anche se era in opposizione al suo parere.Questo, poi, andava formandosi gradualmente; cercava sempre dimigliorarlo. Dopo aver studiato tutto, pesato tutto, messo tutto a punto,prendeva la decisione. A partire da quel momento, si verificava una sorta difrattura. Non era più l’uomo che prepara un’azione. Era il capo che

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comanda. La sua volontà diventava una spranga di ferro. Non ammettevadiscussioni, ritardi, incertezza. Era tenace, esigente, stimolante,insaziabile.

Niente e nessuno lo poteva piegare. Massima serietà nella preparazione;massima volontà nell’esecuzione. Questa era la dottrina di Lyautey equesto fu lui stesso.

503. Qualunque possa essere la sua capacità iniziale di intuizione e la suaulteriore perseveranza, il capo potrà vedersi costretto a rettificare certedirettive. Ma, per legittimare il contrordine, non è sufficiente la valutazionedell’ostacolo. Occorre anche tenere conto, sull’altro piatto della bilancia,delle ripercussioni del contrordine, prevedendo il modo di evitare che possaingenerare disordine.In ogni caso, una precauzione non mai abbastanza raccomandata è quelladi spiegare chiaramente ai collaboratori interessati i motivi dell’eventualecambiamento nelle direttive iniziali. Temere di confessare d’essersisbagliati o di essere stati travolti dagli avvenimenti, sarebbe come pensareche i vostri collaboratori sono incapaci d’accorgersene da soli e, avendoneuna così cattiva opinione, avrete torto a tenerveli vicini. D’altra parte,spesso, una difficoltà che, vista da lontano, può sembrare insormontabile etale da giustificare ai vostri occhi un mutamento di direttiva, potrà apparirediversa ai vostri collaboratori, meglio in grado di giudicare i particolari: essi

stessi forse vi inviteranno a perseverare nell’orientamento iniziale, mentrevoi eravate disposto a mutarlo per timore di addossare loro un pesoeccessivo. Osservato da lontano, uno scoglio può apparire inaccessibile,ma gli uomini del paese potranno indicarvi le fessure per le quali si puòraggiungere la vetta.Naturale che i vostri collaboratori debbono essere gente che credononell’utilità dello sforzo e amano camminare sulle creste.

504. Non bisogna ripetere gli ordini: sarebbe un dimostrare di non nutrire

troppa fiducia nella loro efficacia.Se si teme che un ordine sia stato mal compreso o male interpretato, lamiglior cosa è di farlo ripetere da uno di quelli che lo debbono eseguire.Sarà allora facile rettificarlo e precisarlo.

505. I sottoposti si aspettano dai loro capi che questi siano conseguenti.Essere conseguenti, significa pretendere solo quello che si può e che si èdecisi di ottenere. Ciò è vero del resto anche nell’educazione dei bambini.Nelle case in cui la madre passa il tempo a ripetere <<Non fate questo, nonfate quello>>, senza intervenire seriamente quando il bambino lo fa,

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nonostante gli avvertimenti, c’è indisciplina e scontento perché la madrenon è conseguente.Quel che è vero per i ragazzi, non lo è di meno per gli adulti.

(135)

L’ARTE DI CONTROLLARE

506. <<Dare ordini è facile: assicurarne l’esecuzione lo è di meno. Ma èproprio in questo che, fra tutti i cupidi di potere, si distinguono i capi.

507. Avete dato gli ordini, e poi? Bisogna vedere se vengono eseguiti.Occorre sorvegliare gli uomini, star loro dietro. Certo che se il comandantesi dovesse limitare a dare degli ordini, il suo compito non sarebbe difficile.Bisogna farli eseguire.

508. Organizzare, comandare, coordinare non basta. Occorre che il capo sirenda conto della rispondenza dei fatti ai suoi progetti per potere operared’urgenza i salutari interventi.

509. Il controllo è una necessità per i sottoposti e un dovere per il capo.

510. Il controllo è ciò che spesso più manca. Per molti, l’organizzare è un

piacere di attività costruttrice come quello dell’inventore che monta lapropria macchina. Quel che segue l’esperimento al banco di prova, il colpod’occhio critico su quel che si è costruito, la constatazione delle partidifettose, i ritocchi, la briga di controllare l’esecuzione degli ordini, tutto ciòè sgradevole, impoetico e fastidioso all’amor proprio... E tuttavia è questo ilvero coronamento della responsabilità.

511. Troppi capi pensano che la cosa essenziale, nell’esercitare ilcomando, sia l’impartire gli ordini; e spesso e volentieri cercano di scolparsi

dei loro insuccessi ripetendo in tono sconsolato: <<Eppure avevo ben datoordine...>>.Dare un ordine è niente; l’esecuzione è tutto. Quel che conta sono i risultatie la responsabilità del capo si spinge fino a quelli.

512. L’ordine deve farsi vita, incarnandosi in coloro che debbono eseguirlo.Ma poiché l’uomo è manchevole, può sussistere uno scarto tra il pianoprevisto e la realtà vissuta. Ecco uno dei motivi per cui si impone ilcontrollo, non già un controllo pesante e fiscale, ma un controllo costruttivoche serva a verificare l’adattamento dell’idea alla realtà.

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 513. Il controllo del capo deve collocarsi in un giusto mezzo fra l’insistenzache non da tregua e il ritardo che lo rende inutile. Può assumere la forma

dell’ispezione periodica o meglio del <<sondaggio>> imprevisto chepermette di evitare l’abitudinarismo.

514. Il controllo deve essere esercitato senza odiosità, e i sottopostil’accettano volentieri quando sentono che esso non tanto è diretto a punirequanto piuttosto a correggere difetti e a suggerire il modo onde riparare allastorture e far meglio.

515. Il capo deve saper riconoscere quel che è ben fatto, ma non deveesitare a rilevare quello che avrebbe dovuto essere fatto; occorre coraggio.Può costare dover rilevare a un certo punto che un collaboratore è inferioreal suo compito e può costare ancor di più doverglielo dire. Tuttavia è debitodi lealtà nei confronti del bene comune di cui il capo è servitore, è debito dicarità nei confronti del collaboratore incapace che deve essere stimolatonel lavoro o messo ad un posto corrispondente alle sue capacità, è debitodi giustizia nei confronti degli altri collaboratori che possono restareimpacciati nel lavoro dall’insufficienza del collega.

516. Un gruppo qualsiasi nel quale non intervenga mai nessun controllo

corre rischio di finire vittima della legge della degradazione dell’energia chevale per il morale come per il fisico.

517. A forza di tollerare e di lasciar correre si arriva al punto di far le cosesolo per metà, come promettendo la causa alla quale ci si era consacraticon slancio di generosità, o il compito che si era assunto con ardore.

518. Un controllo rigoroso è particolarmente doveroso nel capo che,avendo largamente suddiviso negli altri la sua autorità, sa di essere tenuto

a rispondere dell’esercizio di questa autorità, sia in se stesso che negli altri.Il controllo per essere efficace deve essere personale, cioè operato dalcapo stesso, meno che sia possibile a mezzo di terzi, meno ancora amezzo di resoconti scritti, mai a mezzo dello stesso esecutore. Esso devearrivare fino in fondo alla scala gerarchica, fino al più piccolo esecutore.Al dire di quelli che lo conobbero nel Marocco, non c’era giorno cheLyautey non si sciogliesse per un’ora o due dalle catene dell’ufficio perscendere a Rabat, sotto pretesto di visitare i lavori, ma in realtà perprendere contatto diretto con la vita del <<suo popolo>>, per saltare labarricata e trovarsi sul piano del pubblico, nei panni dell’amministrato.

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Ad ogni occasione, partiva per vedere le cose sul posto, nelle città, neivillaggi, senza che protocolli o programmi gli impedissero di arrivaredirettamente all’imprenditore, al colono, al commerciante, all’indigeno, in un

contatto pieno di possibilità da cui spesso sprizzava la scintilla delladecisione.(139)

L’ARTE DI RIMPROVERARE

519. Un capo che ha paura di fare i giusti rimproveri per evitare storie, è unincapace che suscita attorno a sé l’atmosfera più idonea per il disordine el’abbandono, ottenendo l’inatteso risultato che, al posto delle speratesimpatie dei dipendenti, richiama su di sé il loro profondo disprezzo.

520. Quando un’osservazione è necessaria, si deve farla senza ritardo; chiriceve un vostro rimprovero dopo molto tempo dal fatto incriminato, èportato a pensare che in un primo momento lo abbiate approvato e chesolo influenze esterne o un partito preso contro di lui abbiano modificato ilvostro atteggiamento.

521. Far notare un errore con eccessiva durezza rappresenta unamancanza di tatto e spesso un’ingiustizia. Il colpevole non lo è mai tanto

quanto sembra al suo giudice e un rimprovero troppo vibrato rischia,sferzando l’amor proprio, di scoraggiare l’inferiore, oppure di farlo ribellaresenza vantaggio per nessuno.

522. Un rimprovero sproporzionato alla colpa perviene al risultatodiametralmente opposto a quello che si desidera. Il sottoposto si ribellacontro l’esagerazione che reputa immeritata, perde fiducia nel senso digiustizia del suo capo e trova motivo per dimenticare completamente lapropria parte di torto.

523. E’ regola costante che gli errori per i quali il capo è più fortementetentato di indignarsi sono generalmente quelli nei quali egli stesso ha unaparte di responsabilità, o per essersi espresso male o per non aver saputocontrollare l’esecuzione.

524. Quando si deve fare un rimprovero, è bene ricordare che si rischiameno di essere ingiusto, concedendo le circostanze attenuanti, piuttostoche giudicando con severità, i semplici fatti constatati. La maliziapropriamente detta è rara e così pure la cattiva volontà. Le stesse

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negligenze e sbadataggini possono anch’esse venir spiegate da cause cheil capo ha il diritto di ricercare e il dovere di rimediare.

525. Bisogna guardarsi dal generalizzare frettolosamente un errore alpunto da volerlo considerare conseguenza di un difetto congenito eirrimediabile, perché, fosse pur vero, questo sarebbe il metodo infallibileper escludere in partenza ogni possibilità di ripresa.

526. Non infliggete mai rimproveri in preda alla collera e ad una eccessivaeccitazione; esagerandoli, correreste il rischio di diminuirne la forza e lavostra mancanza di misura vi screditerebbe agli occhi dei collaboratori.

527. Quando si rimprovera, bisogna sempre aver chiaro lo scopo che ci sipropone, cioé l’educazione, la formazione dei sottoposti. E’ giusto quindipreoccuparsi delle reazioni che il rimprovero potrà in essi sollevare e nonlasciare libero corso al loro cattivo umore.

528. Se vi trovate sul punto di rivolgere parole scottanti ad uncollaboratore, sotto l’impulso dell’ira; se state per soffocare la sua iniziativacon un ordine improvviso; se state per usurpare gravemente le sueattribuzioni, mettetevi per un momento, col pensiero, al suo posto echiedetevi come reagireste voi, se la situazione si rovesciasse. Certo

eviterete qualche errore.

529. Occorre evitare attentamente, in occasione di un errore, di andare arivangare le previsioni fatte in passato. Non c’è niente che scoraggi di piùun uomo, quanto il pensiero di essere definitivamente catalogato inmaniera sfavorevole dai propri superiori.

530. Diffidate dell’ironia. In questioni poco importanti può rafforzaresottilmente un’osservazione; ma in questioni gravi, essa può assumere il

carattere di una ingiustizia.531. Abbiate il senso delle proporzioni. Mai fare rimproveri seri permancanze leggere.

532. Non intervenite ad ogni passo; interventi troppo frequenti o per coseda nulla, finiscono per esautorare l’autorità.

533. Non confondete fermezza e durezza. Il rimprovero più severo puòessere formulato in termini cortesi. Fortiter in re, suaviter in modo <<evitate

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soprattutto di esprimere in termini ingiuriosi le vostre osservazioni; i vostricollaboratori finirebbero per dimenticare l’oggetto specificodell’osservazione, per ricordare soltanto l’ingiuria.

534. Un capo esigente può essere amato e certo lo è sempre di più di uncapo apatico e debole. Il miglior modo di far accettare la propria severità èquello di tollerare accanto a sé soltanto gente che si stima.La gente sopporta facilmente ogni critica, quando sia fuori di questione lasua intelligenza e il suo valore.Saggia politica poi è quella di dire francamente ed energicamente quel chesi pensa. Un rimprovero duro, ma rapido, fa meno male che una prolungatamanifestazione di scontentezza. I sottoposti debbono sapere che, se noneseguono gli ordini, dovranno pagare, ma anche che, se l’esecuzione degliordini li porterà a sbagliare, saranno difesi. Un vero capo accetta sempre laresponsabilità totale dei propri atti.

535. Prima di coprire di rimproveri il responsabile di un servizio, studiatebene le disposizioni da lui prese e, in coscienza, domandatevi, se, con glielementi d’informazione da lui posseduti, non sareste incorso anche voi neimedesimi errori. In simili casi spiegategli i fatti in maniera obiettiva,analizzate insieme a lui le cause dell’errore; ma trattenetevi dai rimproveri eaiutate invece il vostro sottoposto a correggere le sue direttive: se è

umiliato per la sua sconfitta, gli offrirete un aiuto morale prezioso e viavvantaggerete nella sua stima, confessandogli francamente che, al suoposto, molto probabilmente non avreste agito diversamente.Se invece c’è stato un errore grossolano e se il vostro collaboratore si èlasciato sorprendere dagli avvenimenti, probabilmente ne è cosciente luistesso e non conviene quindi rinforzare la dose; mostrate soltanto chel’errore non è passato inavvertito e confidate nella buona fede nel buonsenso del responsabile perché l’errore venga riconosciuto e riparato.Insistendo fuor di misura, lo spingerete a cercare argomenti speciosi di

difesa; finirebbe per credere ai propri argomenti e, in preda alla reazioneper la vostra mancanza di tatto, si persuaderebbe alla fine che il suo erroreera completamente scusabile.Ma, se per caso ricade in un errore già commesso o se trasgredisce aordini formali, nessuna considerazione deve impedire di infliggergli ilbiasimo che si merita; per quanto possa essere amara la medicina, èindispensabile fargliela trangugiare senza esitazione. Tuttavia, sarà beneusare sempre moderazione perché anche i medicamenti più efficaci sononocivi se usati in dosi eccessive.

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536. C’è un modo di vivere e di pensare che chiamerei negativo e un altroche definirei positivo.Il primo consiste nel vedere di preferenza quel che c’è di manchevole negli

uomini e nelle istituzioni, non tanto per rimediarvi, quanto per goderne; neltenere di preferenza gli occhi rivolti all’indietro e nel rilevare quello che puòdisunire.Il secondo consiste in un guardare ottimisticamente verso la vita e i suoiimpegni, nel cercare in ogni essere quel che può esserci di buono pervalorizzarlo, nel non disperare mai dell’avvenire, frutto della nostra volontà:nel provare, infine, per i difetti e le miserie umane quella virile compassioneche provoca l’azione e non ci consente di vivere inutilmente.

537. Il capo che scarica ogni errore sulle spalle dei sottoposti non arriveràmai a nessun buon risultato; al contrario, deve sentirsi responsabile dellaloro formazione. Un dirigente d’industria soleva ripetere che ogni volta cheaveva fatto un rimprovero ad un sottoposto, aveva sentito di essere incolpa lui stesso, perché o aveva preteso troppo, o non avevasufficientemente preparato, diretto e sorvegliato il proprio sottoposto.

538. Nel rimproverare, occorre distinguere tra i fatti che sonomaterialmente contestabili e quelli che sono frutto di interpretazione; potetedire con tranquillità ad un collaboratore che non lavora a sufficienza

(constatazione positiva), ma lo ferireste nel profondo, e non vi crederebbemai, se gli diceste che è stupido (deduzione soggettiva).

539. Disgraziatamente, molti intendono l’educare come un prendere apretesto gli errori commessi per porli e riporli sott’occhio al responsabilefino a persuaderlo che è un incapace o un delinquente e a togliergli ognislancio di elevazione.

540. Se doveste fare un’osservazione, datele forma di un consiglio molto

fermo. Non tornate mai su quello che avete detto.541. Il rimprovero di un vero capo non è la doccia che spegne, ma il soffioche ravviva la fiamma.

542. Quando, a proposito del minimo inconveniente, ci si richiama a tutte levecchie pecche, e come se si cercasse di rinchiudere l’individuo nel cerchiodei suoi cattivi ricordi.

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543. Non è bene lasciare per molto tempo un dipendente sottol’impressione di un rimprovero anche meritato, poiché ogni rimproverodetermina un complesso di inferiorità che ricerca il proprio compenso in un

atteggiamento interiore di sfiducia o d’avversione, quando non sfoci nelloscoraggiamento o nel disprezzo. Per questo ogni rimprovero, per risultareeducativo, deve concludersi con un incoraggiante appello a quello che dimeglio ognuno ha dentro di sé.

544. Un ingegnere svizzero, alcuni anni fa, svolse una indagine franumerosissimi operai delle migliori imprese.Con domande indirette e apparentemente vaghe, egli cercò di appurarequel che sentono gli operai. Il risultato è stato che nel 90 per cento dei casiessi temono più di ogni altra cosa il dover << incassare >> rimproveriimmeritati. Il lavoro in sé e per sé, anche nelle condizioni più sfavorevoli,viene considerato solo al terzo o quarto posto fra le cose che tornano piùsgradite.(146)

L’ARTE DI PUNIRE

545. Punire, è rendere giustizia, senza che sia necessario alienarsi lasimpatia, perché gli uomini hanno il senso della giustizia, e certa gente

comprende la portata dei propri atti, solo quando se ne rendono evidenti leconseguenze.

546. La sanzione automatica e generica, collegata all’inosservanza di unadisposizione, è soltanto un modo empirico e rudimentale, magariindispensabile, di una giustizia primitiva e cieca. Per essere efficace egiusta, la punizione dovrebbe essere adattata ad ogni caso particolare.

547. Uno sguardo, poche parole bastano ad un capo amato per esprimere

la propria soddisfazione o il proprio scontento. Una punizione esemplareche venga al momento opportuno, raggiunge allora, con certezza, il proprioscopo.Quelli che alzano la voce e puniscono di frequente sono nocivi. Con gliammonimenti frequenti e le fiscalità distruggono la fiducia in se stessi enegli altri.Il medico non previene e non cura le malattie soltanto con l’uso deimedicinali. Egli sa anche di dover utilizzare le risorse meravigliose dellanatura, posta nella più favorevole condizione di svilupparsi e di resistere.

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548. Punire non è solo un diritto: è soprattutto un dovere, sgradito spesso,ma al quale non si ha il diritto di sottrarsi. Il punito deve comprendere chenon siamo noi a punirlo, ma la legge e i regolamenti di cui noi siamo i

rappresentanti.Non puniamo mai quando siamo irritati; in genere, è bene attenderel’indomani per fissare la punizione. Ascoltiamo colui che ha mancato ecerchiamo obiettivamente insieme a lui le circostanze attenuanti. Quandosiamo certi di avere a che fare con un cattivo soggetto, insensibile allebuone maniere, colpiamolo, colpiamolo fino a che cambi o se ne vada.Facciamo in modo di non lasciare uniti dei cattivi soggetti, perché, per icattivi come per i buoni, l’unione fa la forza.Non rimproveriamo mai un dirigente davanti ai suoi sottoposti; avvilendoloai loro occhi, sviliremmo anche il principio di autorità.Non mettiamo mai in dubbio, senza necessità, la parola di un sottoposto;sarebbe una ingiuria gratuita. Se ci accorgiamo che ci ha mentito, avremo ildiritto di punirlo tanto più severamente, quanta maggiore fiducia gli avremodimostrato.

549. Non avete idea quale gioia veramente superiore e completa sia ilsentire di avere in mano il bastone e di non servirsene. I forti sono miti …

550. Prima di stabilire una punizione, è spesso consigliabile sentire a

quattr’occhi, il colpevole, ascoltandone le giustificazioni senzainterromperlo, cercando di comprendere il modo di pensare e di valutare lecircostanze che hanno motivato la sua azione. Sarà allora più facileriscuotere le buone disposizioni che spesso esistono allo stato latenteanche nell’animo del delinquente e, se una punizione è necessaria, essasia come un avvertimento salutare, sia un esempio, in modo che egli lasenta come un mezzo di riabilitazione.

551. La colpa può essere motivata da varie ragioni:

1) L’ordine può essere stato mal concepito dal capo; è dunque questo ilpunto da correggere.2) L’ordine era ben concepito, ma è stato mal compreso dal sottoposto. C’èdunque colpa da parte di tutti e due: il capo avrebbe dovuto assicurarsi diessere stato ben compreso ( facendo ripetere l’ordine); il sottoposto nondoveva assumersi un compito senza aver bene afferrato la volontà delcapo. Ciascuno deve quindi sentirsi responsabile per la sua parte.3) L’ordine era giusto, la trasmissione buona, ma la persona incaricata dieseguirlo non possedeva le capacità necessarie a vincere le difficoltà cheesso comportava. Allora doppia responsabilità: il capo non avrebbe dovuto

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affidare al sottoposto un compito troppo difficile per lui; costui non avrebbedovuto accettarlo o, per lo meno, avrebbe dovuto far presente che non sisentiva in grado di adempiere alla missione che gli era stata affidata.

4) I punti 1, 2, e 3 erano tutti a posto, ma il sottoposto non ha fatto il suodovere.In quest’ultimo caso, e in questo soltanto, la colpa è tutta del dipendente, ameno che il suo capo non si senta egualmente responsabile di non averlosaputo sorvegliare a sufficienza.

552. Occorre che, nella mente del capo, la cattiva reputazione nonperseguiti in eterno il colpevole; la punizione deve essere considerata piùcome un modo per sollevare il colpevole dall’errore commesso, piuttostoche un modo di infierire contro di lui. Così pure occorre che il colpevolesappia che, dopo aver scontato debitamente la sua pena, egli saràconsiderato allo stesso modo che se non avesse meritato punizioni.

553. Soprattutto, non bisogna mai dare al colpevole la sensazione che è<<segnato>> (anche se naturalmente lo si sorveglia molto attentamente),che tutti i suoi atti sono criticati per principio; gli si deve invece dar provache, se fa bene, si è lieti di riconoscerglielo. In questo modo incominciano irisollevamenti.

554. Spezzare una volontà, vuol sempre dire annientare un essere, ma nonvuol dire eliminare uno spirito di ribellione.

555. Forse gli errori sarebbero meno numerosi, se si cercasse di svilupparedi più lo spirito di comunità, e di conseguenza il senso della responsabilitàcomune, La colpa di uno dei membri diventa così la colpa del corpo interoe, anziché accanirsi contro il disgraziato, ognuno si sforza di aiutarlo ariprendersi e a risollevarsi. Un po’ come in cordata: l’errore di uno èpericoloso per tutti; è interesse di tutti che chi sbaglia venga sostenuto e

incoraggiato.(150)

L’ARTE DI NEUTRALIZZARE LE RESISTENZE

456. Per il fatto stesso di essere obbligato, per la sua missione, apretendere dai sottoposti certi sforzi e certi sacrifici, il capo non devestupirsi se gli capita di scontrarsi contro delle resistenze.Queste resistenze saranno individuali o collettive, aperte o dissimulate,passeggere o tenaci. L’ideale sarebbe di prevenirle; in questo si riconosce

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il capo che ha stoffa. Ad ogni modo, occorre contenerle e neutralizzarle; ein questo si riconosce il capo che ha maniera.

557. Spesso, quel che fa inalberare un uomo non è tanto lo sforzo che glisi richiede, quanto la maniera con cui glielo si impone. Nessuno sopportabene di ricevere ordini. Un <<vorresti fare cosi?>> è spesso più efficace diun <<Fa così>>, perché non offende l’orgoglio del sottoposto e gli dal’impressione di collaborare piuttosto che di eseguire.

558. Ci sono sacrifici per pretendere i quali è opportuno attendere che sisia creato il clima favorevole, onde non scontrarsi in una opposizione che,per il fatto di provenire dall’istinto di conservazione, potrà apparire comeuna forma di legittima difesa.

559. In ogni essere umano esiste una complessità di sentimenti che nonaffiorano tutti a chiara consapevolezza. Rivolgendovi a quel che c’è dimeglio in un uomo, voi chiamate alla luce, all’insaputa dell’interessato, isuoi buoni sentimenti che diventeranno i vostri alleati.Lasciando vedere che temete una resistenza, non fate che provocarla edarle consistenza.

560. Malgrado il vostro tatto e ogni bontà, vi incontrerete certo in gente

scontenta, suscettibile, che darà false interpretazioni alle vostre intenzionie alle vostre parole. La stupidaggine umana è infinita e varia nelle suemanifestazioni.Non meravigliatevi di niente; mantenete innanzitutto la calma e nonprendete niente sul tragico. Sforzatevi di comprendere la ragione di talesorda opposizione. Spesso sarà una parola mal compresa, un gesto malinterpretato, una decisione giudicata arbitraria. L’immaginazioneingigantisce i fatti, li generalizza e tosto il sottoposto acquista di fronte a sestesso le sembianze della vittima e del perseguitato.

Non temete, con questi recalcitranti un po’ maniaci, di arrivare allaspiegazione sincera, che rimette le cose a posto. Sgonfiando la montaturae ristabilendo la fiducia, rinascerà anche la pace.

561. Non accettate mai di discutere con un dipendente davanti ad altri. Dasolo a solo, nel vostro ufficio, potrete fare appello a quegli argomenti adhominem che, né per voi, né per lui, saranno finzioni da mostrare aglispettatori, Tanto più che un uomo non vorrà mai ammettere di fronte aipropri compagni di aver avuto torto e, se risulterà troppo chiaramente chevoi avete ragione, non vi perdonerà più di averlo umiliato in pubblico.

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 562. Più sarà eccitato il vostro interlocutore, più converrà a voi di restarecalmo e affabile.

Quando avete a che fare con qualcuno che sentite eccitato, fate in modo diporgli delle domande cui egli debba rispondere di si. Il fatto stesso diottenerne un <<si>>, può servire per calmarlo.

563. A quelli che vedono dappertutto ostacoli e difficoltà, con la sadicagioia di ingrandirli, ricordate i successi riportati. Otterrete immediatamentel’alleanza del loro amor proprio.

564. La maggior parte di coloro che sono per istinto all’opposizione, sonovittime di un complesso di inferiorità contratto talvolta nella prima infanziaquando, ad esempio, temevano di essere annientati nella vita, dai più forti.Questa ansia si è trasformata in alcuni in fobia dell’umiliazione e li ha residi una timidezza paralizzante. In altri, essa ha provocato per reazione unatteggiamento di sfiducia e di diffidenza o addirittura di protesta a prioricontro ogni comando dell’autorità: essi hanno così l’illusione, che è per lorouna forma di compenso, di riconquistare la loro indipendenza e disalvaguardare la loro dignità. A poco a poco, questa maniera di reagire si èfatta abitudine, un vero e proprio riflesso di cui non hanno piùconsapevolezza.

Quel che importa, con certi temperamenti, è di restare dolci, indulgenti,invitanti, pur senza transigere su ciò che è essenziale. Quando impartite unordine, non fate caso al loro cattivo umore o alle loro recriminazioni; nondiscutete. Non esigete neppure un’esecuzione immediata, lasciate che siabituino all’idea dell’ordine stesso, tornate più tardi a completare il vostroordine senza neppure fare allusione alla loro resistenza e senza mostraredi esservene minimamente impressionato. Lo spirito si sarà assuefattoall’idea di obbedire e la resistenza sarà venuta meno da sola.

565. Un capo deve accettare le proteste dei sottoposti?Occorre distinguere, perché ci sono diversi tipi di protestanti.C’è il protestante occasionale che ritiene sinceramente di essere stato lesonei propri diritti. Questo, ascoltatelo benevolmente, sforzandovi dicomprenderne il punto di vista. Se la sua protesta è giustificata,ringraziatelo di essere venuto ad esporvela, perché vi ha dato il modo nonsolo di prevenire o di riparare una ingiustizia, ma di scoprire un puntodebole della vostra organizzazione.

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568. Quanto più prestigio vi sarete acquistato col vostro valore tecnico emorale, quanto più avrete conquistato i cuori con la vostra equità, con lavostra bontà, con la vostra dedizione disinteressata, tanto più facilmente

riuscirete a debellare tutte le resistenze.(156)

L’ARTE DI INCORAGGIARE E DI PREMIARE

569. Ci sono dei capi sempre pronti ad intervenire, quando si tratta dirimproverare o di infliggere punizioni, ma che non sanno mai trovare unaparola di elogio o di incoraggiamento, sotto il pretesto che, compiendo illoro compito, gli uomini fanno soltanto il loro dovere. Fare il proprio doverenon è sempre una cosa semplice e l’essere umano è fatto in una manieratale che ha bisogno di sentirsi sostenuto dall’approvazione di coloro chehanno la missione di guidarlo. E’ per lui motivo di fiducia sentirsi sullabuona strada, ed un incoraggiamento a progredire.

570. Nulla avvilisce tanto lo slancio di un uomo, quanto la sensazione che isuoi capi sono indifferenti alle sue angustie, alle sue gioie e al suo lavoro.

571. Non è facile rendersi conto di quanto il cuore umano possa esseresensibile ad un modo di fare improntato alla fiducia o alla sfiducia. Dubitare

a priori di un sottoposto soprattutto giovane, significa fermarlo. Dubitaredelle sue possibilità di rialzarsi, dopo una caduta, può significare perderlodel tutto.

572. Quante magnifiche energie distrutte perché, nel momento buono, nontrovarono una giusta ricompensa, un intelligente riconoscimento, unaamicizia che stimolasse il loro entusiasmo.

573. E’ legge psicologica che il miglior modo di provocare la ripetizione di

un atto buono è quello di legare il ricordo del dovere compiuto a qualcosadi gradevole. Per molti la soddisfazione della coscienza ha bisogno diessere rinforzata dal piacere di essere compresa e ricompensata.

574. In ogni essere umano esistono dei valori positivi e costruttivi chebisogna scoprire e sviluppare. L’uomo ha bisogno di valorizzare le sueforze e le sue capacità, per poter affermare la propria personalità. Non c’ènulla che possa dargli tanto coraggio, quanto la sicurezza di avere un capoche lo aiuta a mettere in valore le proprie qualità.

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575. L’operaio sopporta a fatica che le sue capacità vengano negate,ignorate o sottovalutate. Se qualcuno avvilisce la sua fiducia in se stesso,egli reagisce contro l’organizzazione di cui si considera vittima.

Il rimedio migliore consiste nell’offrirgli l’occasione di dimostrare la propriacapacità, la propria iniziativa e il proprio discernimento, facendo appello alsenso d’emulazione. Assegnandogli qualche volta dei compiti checomportino una certa responsabilità, si otterrà poi di cancellare quel sensodi subordinazione di cui sosteneva a fatica il peso.

576. State in guardia anche dal modo di fare dei vecchi capi brontoloni, aiquali il più lodevole sforzo riesce a strappare appena un <<non c’è male>>e che si accendono solo per condannare.

577. Se osservate attentamente chi sono quelli che non sanno lodare, cherimproverano sempre, che non sono contenti di nessuno, vi accorgetefacilmente che sono quegli stessi di cui nessuno è contento.

578. Il bisogno di sentirsi apprezzato, deriva dal bisogno di affermarsi, diriuscire, di imporsi. Il risultato dimostra l’utilità dello sforzo.L’apprezzamento altrui, in particolare quello dei capi, lo conferma ancor piùe riveste un enorme valore psicologico.

579. Nulla può rinvigorire un uomo che sia sul punto di abbandonarsi allosconforto, quanto l’accorgersi di essere osservato con simpatia dal suocapo e il vedere che il suo lavoro è apprezzato e valorizzato.

580. Quanto più osserverete le qualità positive di ciascuno, tanto più visentirete benevolo verso di lui. Cercate e troverete qualche dote perfino neipiù diseredati degli esseri umani. In ogni uomo, fosse anche un brigante,c’è almeno un cinque per cento di bontà, soleva dire Baden Powell.

581. Ho conosciuto un tale che aveva fatto molto bene e altresì un numeroconsiderevole di canagliate.Il giorno che ho cominciato a vederlo indeciso tra così diversi orientamenti,ho cominciato a suggerirgli certe frasi che cominciavano pressapoco così:- Tu che sei tanto buono...- l’uomo che hai fatto la tale e talaltra buona azione...Ebbene, è capitato che quell’uomo è diventato veramente buono, per nonvenir meno alla buona reputazione che si era fatta.Se io avessi richiamato la sua attenzione sulle bassezze della sua vita,forse egli sarebbe diventato un birbante.

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 582. Il rischio e la lotta plasmano il gruppo, ma esso finisce perscoraggiarsi e disgregarsi se i suoi sforzi non vengono coronati dal

successo. Un capo degno di tale nome, dovrà quindi mostrare ai propriuomini i risultati ottenuti, insieme alle difficoltà ancora da superare, in mododa dimostrare coi risultati che si è sulla buona strada e che si è in grado divincere.

583. Purtroppo è molto raro che un capo sappia esprimere al momentogiusto la propria soddisfazione per uno sforzo lodevolmente compiuto o perun lavoro ben fatto.Si parte dal presupposto che il lavoro <<deve>> essere fatto bene e che,quando non si dice niente, vuol dire che si è soddisfatti. E’ giusto; tuttavia ilsottoposto ha bisogno di sentirsi dire che si è contenti di lui.In tal modo gli si da la conferma che è sulla buona strada e che lo siapprezza. Occorre dunque distribuire lodi a dritta e a manca, senza posa?No, perché altrimenti perderebbero di valore.L’arte del capo sta nel saper dimostrare la propria soddisfazione neimomento in cui il sottoposto ne ha bisogno, sia dopo un notevole sforzoquando ha superato delle difficoltà interiori o quando ha realizzato unprogresso, sia per ridonargli slancio quando sta per perdere la fiducia in sestesso. Non bisogna mai dimenticare che il sottoposto ha bisogno della

stima e della fiducia del suo capo per rendere in pieno.

584. Tutto si può ottenere da un uomo cui si dica: <<Ti chiedo uno sforzo,e sono certo che lo puoi fare>>.

585. Non è bene colmare di regali la propria gente. Certamente è buonacosa far loro di quando in quando delle cose gradite. Ma non si deveprendere l’abitudine di ricompensare con questo il loro lavoro; il loro idealene resterebbe diminuito.

586. Saper apprezzare lo sforzo di un uomo, significa promuovere in luiquel senso di fierezza che lo lega a quel che fa, mettere in movimento quelche in lui c’è di meglio, riconoscere una giusta distinzione tra il serviziospontaneo e la schiavitù.(160)

L’ARTE DI FARSI AIUTARE

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a) Il vero capo non è colui che fa tutto da solo, ma colui che sa farsiaiutare.

587. Il capo non può fare tutto. E’ collocato in modo da vedere da lontano edall’alto. Egli deve molto meditare e preparare i piani. Se si smarrisce neiparticolari, egli si rinchiude, si soffoca, toglie all ampiezza delle sue visualiquello che dedica allo svolgimento di compiti più minuti. La profondità dellameditazione non si raccorda con la minuzia delle deduzioni di importanzasecondaria.

588. Secondo Lyautey, il comando, si esercita dall’alto al basso in tutti igradini dell’esecuzione. Eseguire, significa comandare secondo il proprioruolo. Ne deriva, di conseguenza, che comandare significa delegare inparte i propri poteri di capo; e un riconoscere ai sottoposti una propria sferad’autorità. Concezione concreta e vivente: non un capo e una massa, maun capo e dei capi. Una piramide di capi!

589. Quel che importa per il capo è di conservare lo spirito libero perspaziare, per pensare, per decidere e per agire. <<Quante volte, dice DeTarde, abbiamo sentito Lyautey scagliarsi contro la falsa mistica del “Capoche fa tutto da solo“, del “Capo che si fida solo di se stesso“, del “Capo chelavora diciotto ore al giorno”.

Questo preteso capo, egli diceva, non sa comandare:se fa tutto da sé, significa che non è capace di insegnare agli altri quelloche debbono fare;se ha fiducia solo in se stesso, significa che non sa avere fiducia negli altri,affidando a ciascuno il proprio compito;se lavora diciotto ore al giorno, significa che non sa usare il suo tempo>>.<<Un capo, aggiungeva ancora, non è mai soffocato dal lavoro; egli hasempre tempo>>.

590. Il capo non si interessa dei particolari cui possono provvederealtrettanto bene, se non meglio, i suoi subalterni, riservandosi lo studio deiproblemi generali che lui solo può risolvere.Non pensa dunque che una cosa sia mal fatta se lui non ci mette mano.Anziché indaffararsi per l’aumentare delle responsabilità, egli si assicuraquella libertà di pensiero e d’azione, che si rende necessaria per l’esame diproblemi diventati più vasti; e poiché non gli avanza tempo ed energia perbadare ad altro, si scarica di tutto ciò che non è strettamente tenuto a faredirettamente.

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Cosi, da solo, egli non produce nulla, pur facendo tutto, fedele alla regoladi << non fare niente, ma di fare tutto >>.

591. Il distintivo del vero capo è che sa trovarsi i collaboratori è che li sautilizzare secondo le loro attitudini. Si può anche dire che, più il capo èabile in questa arte, più è destinato a salire, perché è lì che si determina ladifferenza dei capi.Sa infatti ricavare dagli altri quello che nessun altro riuscirà mai adottenere.

592. Grave errore di un capo è di fare di persona le cose, per timore che glialtri le facciano male, preferendo di agire direttamente, anziché aver fiducianei collaboratori. Da una parte, il collaboratore messo in disparte perdeogni iniziativa e ogni piacere dell’azione; dall’altra parte, il capo, nonriuscendo a far tutto, concentra le sue forze su un particolare e finisce perperdere di vista l’insieme di cui è responsabile.

593. Il capo deve accettare che l’azione da lui comandata venga eseguitameno bene che se la facesse personalmente; ma arriverà il giorno e forseprima che se lo aspetti in cui i suoi collaboratori, applicandosi totalmente alcompito che loro si affida, si metteranno d’impegno e riusciranno meglio diquanto non potrebbe lui stesso.

594. La funzione del capo non è quella di sostituire i propri collaboratori,<<Ho i miei tecnici, diceva Lyautey, io sono il tecnico delle idee generali>>.

595. La grande arte del vero capo sta nel determinare nei collaboratoririflessi simili ai suoi. Così, avendo appreso ad agire e a decidere essistessi come il loro capo avrebbe fatto al loro posto, non sarà necessariomoltiplicare ordini particolareggiati secondo una minuta conoscenza diinfime circostanze; basterà mantenere i propri collaboratori in contatto con

l’idea direttrice, in modo che realizzino spontaneamente ed istintivamentequello che egli stesso farebbe al loro posto.

596. L’accentramento del comando nel capo soffoca le attitudini alcomando nei suoi collaboratori.

597. Facendo fare, ci si moltiplica; ingerendosi nei particolari,ricacciandone i singoli responsabili, si perde tempo e prestigio. Si crede difare <<meglio>>: è il meglio nemico del bene.

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606. Quelli che sono incapaci di decidersi, che esitano sempre, cherinviano a poi, che cambiano continuamente di parere e di direttiva, nonpossono essere capi.

607. Tuttavia esistono uomini, più numerosi di quanto non si creda, capacidi far strada.Le nullità non sono così numerose come si sostiene. Se non si riconoscequalche capacità nelle persone, è perché spesso non si è saputodistinguerla in esse.

608. Mettete i medesimi uomini sotto la guida di due diversi capi. Unoriuscirà ad infiammarli, a convincerli dell’importanza della loro missione eotterrà una mirabile dedizione. L’altro si lamenterà dell’incapacità deidipendenti, correrà dall’uno all’altro per rimproverarli e scoraggiarli. Fallirà.

609. Attorno al vero capo, si trova sempre il gruppo degli specialisti fedeli aiquali egli lascia carta bianca, persuaso che, in ogni circostanza, farannotutto quello che è umanamente possibile fare.

610. Bisogna cercare uomini dal carattere temprato, a patto di doversopportare talvolta gli eccessi del loro temperamento.

611. L’abnegazione e la devozione che sono caratteristiche dei buonicollaboratori, sono anche il segno di un’anima delicata: un’anima che èspesso sensibile fino alla suscettibilità, è capace di soffrire amaramenteper una parola male interpretata. Altri potranno considerare ridicolosentimentalismo tale suscettibilità, ma voi dovete comprenderlo, se aveteanche voi un’anima delicata; dovete soprattutto preoccuparvi di nonesacerbarla inutilmente, per non fare di collaboratori leali ma suscettibili ciòche uno scrittore contemporaneo definisce <<scorie viventi>>.

612. Se desiderate circondarvi di un gruppo di uomini di carattere, siateabbastanza di spirito per incassare un rabbuffo da parte di qualchecollaboratore impetuoso ma devoto; basterà riprenderlo dolcemente, nonappena sarà superata la crisi.

613. Non basta scegliere i capi; bisogna anche saper scegliere il momentoper nominarli.Se la promozione avviene troppo presto, è un pericolo, perché il soggettopuò non essere del tutto all’altezza del suo compito e corre il rischio difallire di fronte ad una eccessiva responsabilità, oppure di ricorrere ad

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espedienti nocivi al buon andamento delle cose. Se la promozione avvienetroppo tardi, c’è il pericolo di avere un capo ormai senza slanci, senzainiziativa, senza più le energie dell’uomo fresco.

614. La tentazione maggiore per un capo entusiasta è quella di cercare difar tutto da solo specialmente se non può essere del tutto contento diquello che fanno gli altri. Grave errore. Un vero capo lascia ai sottoposti lamassima iniziativa e autonomia compatibile col buon andamento dellecose, dando modo alle risorse dei dipendenti di formarsi e di svilupparsiliberamente.(167)

c) Il capo deve sviluppare nei collaboratori lo spirito di iniziativa e affidaread essi delle responsabilità.

615. Il capo che si attiene solo al suo compito non esaurisce la funzione dicomando. Anzi la suscita e la moltiplica. <<Comandare vuol dire produrrecomando; vuol dire far pullulare nel tessuto dell’organismo quelle cellulevive che sono i capi>>.Di conseguenza, l’esecuzione, anche negli ultimi scalini della gerarchia, èun grado del comando, poiché <<non c’è esecuzione senza iniziativa ed èproprio del capo suscitarla fino nei più bassi gradini dell’esecuzione dei

suoi ordini>>.

616. Per formare i propri collaboratori e favorire i loro rapporti coi colleghi, ilcapo non deve appartarsi solo con loro per trattare del loro servizio. Egli hainteresse ad aumentare la loro competenza e ad associarli al propriolavoro, facendo in modo che si rendano conto delle sue direttive.Comprendendo meglio lo svolgersi del vostro ragionamento, essi possonoarrivare più facilmente a quella condizione del gruppo ideale, in cui ognimembro afferra al volo le idee del capo. Ed è poi importantissimo, per

evitare il pericolo delle sovrapposizioni, approfittare di ogni circostanza permostrare come il compito di ognuno si ricolleghi a quello degli altri e comedebba armonizzarsi all’insieme.

617. Un’ora di collaborazione su un argomento specifico serve di più, ai finidell’educazione di un gruppo, che non una valanga di note di servizio o dirichiami all’ordine.

618. I capi non si formano mediante corsi ex cathedra.

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Gli uomini, allo stesso modo che si sentono estranei al loro compitoquando hanno l’impressione di essere le rotelle di una macchina ignorata,così si appassionano ad un problema quando diventa il loro problema e

sanno a che cosa tende e per quanta parte il suo successo dipende daloro.(170)

d) Il capo deve sostenere i suoi collaboratori e rafforzare la loro autorità.

625. Ci sono molte maniere per paralizzare, e quindi per scoraggiare, icollaboratori:- intervenendo di continuo nel settore ad essi affidato;- avocando di continuo al vostro tribunale le cause che sono di loro

competenza;- non riconoscendo nessuna loro iniziativa;- mostrando di trovare strana o fuor di proposito ogni idea da loro

enunciata;- facendo ricadere su di loro la responsabilità degli errori di cui si è invece

personalmente responsabili.

626. Il vero capo dimostra la sua forza, difendendo i suoi dipendenti. Animadi servo o anima di padrone?

La prima sacrifica gli umili per adulare i potenti.La seconda governa i sottoposti e poi li difende come il padre coi figli, finoal proprio sacrificio...Questa forza che manca ai contemporanei, specialmente ai militari, dovràessere riacquistata.

627. Tentazione molto viva per le forti personalità è quella di non fareaffidamento sugli altri. Si sentono spesso capi che si lagnano dei lorodipendenti:

<<Non è possibile contare su di loro>>,<<Sbagliano sempre >>,<<Non hanno iniziativa>>, ecc.E come potrebbe essere diversamente? Forse che si è cercatosistematicamente di rimediare a tutto questo?

628. Ci sono dei capi che per far risaltare la loro superiorità non esitano adenigrare i loro collaboratori. Compiono un’opera nefasta di cui essi stessisaranno le prime vittime.

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629. Evitate di infliggere un rimprovero ad un capo servizio, alla presenzadi terzi; ma evitate soprattutto di fargli delle osservazioni di fronte ad un suodipendente se non volete minare le basi dell’autorità e seminare il disordine

nel vostro organismo.

630. Se si sceglie un collaboratore per scaricare su di lui una parte dellavoro di cui si è accettata la responsabilità, significa che lo si stima, che siriconosce in lui una personalità, con tutti i suoi bisogni di responsabilità e disviluppo, ma anche col desiderio e la capacità di corrispondere a quel checi si attende.Bisogna saper fare affidamento sui propri dipendenti, attribuire loro delleresponsabilità, poiché solo così si semina la passione per il lavoro e siraccoglie riconoscenza.

631. Troppi capi dimenticano l’importanza del rispetto per la competenzadei dipendenti.Certo, quando la casa brucia, si spegne l’incendio prima di chiedere chil’abbia appiccato!E’ sempre possibile intervenire quando qualcosa <<brucia>>, ma in questocaso occorre subito avvertire gli intermediari, coloro che sono stati salvati,poiché quella che si fa è una ingerenza diretta nella loro competenza. Senon si fa questo, gli intermediari non possono più sentirsi responsabili, visto

che le loro disposizioni vengono cambiate senza consultarli e senzailluminarli. In tal modo, contemporaneamente si distrugge la loro passioneper il lavoro e si annienta la loro autorità sui dipendenti.

632. Capiterà qualche volta di dover vincere la gelosia o l’invidia che puòsollevare nei dipendenti contro il loro superiore? Il capo riconoscerà lacapacità tecnica e morale dei suoi collaboratori e rafforzerà la loroposizione non solo delegando ad essi la sua autorità per imporsi ereprimere, come si e soliti fare, ma anche per riconoscere e premiare.

(173)e) Il capo deve creare l’atmosfera.

633. L’atmosfera di simpatia che certi capi sanno creare attorno a sé, èquanto mai favorevole al miglioramento e all’armonia del gruppo. Icollaboratori si ispirano allora all’esempio del capo, mediante quell’istintivomimetismo che ci porta a plasmarci secondo i nostri sentimenti; e la lorodevozione può supplire a molte manchevolezze e può appianare moltedivergenze.

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 634. Il lavoro deve far bene a chi l’esegue.Tutti dovrebbero trovare nel loro lavoro il senso della utilità, che scaturisce

dalla valorizzazione di una forza viva riposta dentro di ognuno: il lavoro incomune, la collaborazione in una grande impresa, dovrebbe corrispondereall’istinto di socialità e al bisogno di non sentirsi isolato, proprio di ogniessere umano.Poter lavorare e donarsi per una cosa che lo supera, dovrebbe elevarel’uomo al di sopra di se stesso, riempiendolo di una profonda soddisfazioneinteriore.

635. Di qualunque natura possa essere il disagio morale che potrà sorgerefra i vostri collaboratori, troverete sempre un ottimo rimedio nel buonumore. Lyautey raccomandava di <<lavorare in bellezza>>; aggiungereiche occorre anche <<lavorare in allegria>>.Date voi stessi l’esempio della gioia; il vostro esempio sarà contagioso e,mentre accrescerete attorno a voi il trasporto al lavoro, vi guadagneretetante simpatie. Secondo il consiglio di Orazio, sappiate dimenticare almomento opportuno la vostra gravità – “desipere in loco” - e non temete,con collaboratori della vostra categoria sociale e di buona educazione, diavere un’uscita spiritosa, in mezzo ad una discussione seria; talvolta èun’utile distensione per rianimare l’attenzione e per suscitare nuove idee.

636. Capiterà spesso che si attribuisca ad una vostra parola un valoresuperiore alle vostre intenzioni; oppure si vedrà in una vostra osservazioneun’intenzione di rimprovero che non avete avuto. E’ impossibile evitare deltutto questi inconvenienti, soprattutto quando l’urgenza di una decisione oun tutt’altro ordine di preoccupazioni vi impediscono di pesareattentamente le vostre parole; ma, cercate di procurarvi, fuori dal periodo dilavoro, dei momenti di libera conversazione coi vostri collaboratori emettete costoro in condizione di ottenere una franca spiegazione.

(174)

L’ARTE DI FAR GRUPPO CON GLI ALTRI CAPI

637. Il <<Gruppo>> non è né una truppa asservita dalla necessità o dallacostrizione, né una clientela attratta dai favori del potente... Dev’essereun’unione di uomini stretti da un legame organico, cioè il servizio di unacausa comune cui tutti portano eguale devozione e per la quale essi sidistribuiscono il peso degli sforzi; e ciò, secondo le singole capacità, senza

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timore di rivalità o di intrighi, associati in nome del risultato comune e nonper il successo di qualche individuo. Fu questa la formula di tutte leimprese che costruirono la civiltà umana.

638. Perché un gruppo possa compiere opera feconda, occorre laconcordanza degli spiriti e delle volontà. Non che tutti debbano ripetere glistessi gesti, ma occorre che i gesti dell’uno non ostacolino quelli dell’altro.Ognuno dal suo posto deve favorire il compito del prossimo.Per questo occorre che ciascuno segua l’attività degli altri, non fosse altroche per sincronizzare ad essa la propria. Anche per questo, occorre checiascuno sappia dimenticare se stesso e non parta in quarta, col rischio diprovocare una rottura d’equilibrio.

639. Il lavoro di gruppo presuppone la completa fiducia reciproca di tutti imembri: fiducia nella lealtà e nella capacità di ciascuno.

640. Quando dei capi servizi non s’intendono fra di loro, ne deriva undisagio, un arresto di ingranaggi e tutta l’impresa ne soffre. D’altra parte èimpossibile che, prima o poi, i dipendenti non se ne accorgano; ed allora ildisagio si accentuerà, o essi parteggeranno per un capo contro gli altri,aggravando così la situazione col rischio di compromettere gravemente odi impedire la pacificazione degli spiriti, oppure essi congloberanno tutti i

capi in un medesimo senso di disprezzo, perdendo ogni fiducia in loro,visto che non sono neppure capaci di intendersi fra loro.

641. Non bisogna avere l’ingenuità di credere che sia facile intendersi fracapi vicini, quando esista davvero la necessità di lavorare insieme. Perdefinizione, ogni capo deve essere un carattere e più i caratteri sonodecisi, più possono essere taglienti. Ogni capo ha delle responsabilità daassumere, degli interessi da difendere che possono essere in contrastocon quelli del collega. Occorre perciò da entrambe le parti una volontà di

reciproca comprensione.642. Nulla è più pericoloso per l’unità e per l’efficienza di un gruppo, quantole critiche sistematiche di un eterno scontento.Come è tonificante la critica quando, benché vivace nella forma, siabenevola e costruttiva nella sostanza, altrettanto è dissolutrice quando,benché cortese nella forma, sia negativa.

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643. Chi non si da briga di progettare o di creare, non ha il diritto di criticarei falsi passi di chi fa... << Amico, non devi criticare con le parole ma coifatti, sforzandoti di fare meglio di noi>>.

644. L’atmosfera di un gruppo in cui ognuno è pronto a pescare altri infallo, si fa presto irrespirabile e paralizzante.

645. La prima legge del gruppo è l’aiuto scambievole, in vista dello scopodel gruppo. Farsi avanti alle spese degli altri, essere felice dellemanchevolezze di un compagno, significa distruggere l’unità del gruppo erenderlo inadatto a compiere la propria missione.

646. Comprensione, coordinazione, cordialità sono le tre virtù fondamentaliche deve avere a cuore ogni membro del gruppo, se vuole che il gruppostesso non venga distrutto.

647. Occorre che ciascuno sia ben deciso a non lasciarsi avvelenare daimalintesi per divergenze che, fra persone d’accordo sulla sostanza,vertono per lo più sulla forma.

648. Lo sforzo di reciproca comprensione presuppone:1) che si cerchi di comprendere gli altri;

2) che si cerchi di farsi comprendere dagli altri;Il capo non gioca mai a moscacieca.

649. Basta talvolta una spiegazione leale, fiduciosa, per dissipare gliequivoci e mettere le cose in chiaro. Quel che importa è la massima lealtàda entrambe le parti: la menzogna è corrosiva e dissolutrice. Le animecomunicano tra di loro in quello che hanno di più vero.

650. La franchezza tra capi non deve mai essere brutale e l’esperienza

prova che, più si deve lavorare in comune, più è necessario osservare tuttele finezze della più compita cortesia. Sarebbe un errore pensare dipotersene dispensare per il fatto che si vive in comune. In ogni casooccorre evitare le discussioni violente e quelle parole irrimediabili che sonoil segno delle anime che non si controllano più.

651. Fra uomini di buona volontà è sempre possibile arrivare a spiegazionimagari vivaci, senza che venga meno la stima e il rispetto reciproco.

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652. Spesso, se ci si prova a mettersi nei panni del collega, si comprendemeglio la sua posizione; non solo, ma si trovano anche più validi argomentiper sostenere la propria, se questa è veramente sostenibile.

653. Cordialità e buonumore costituiscono l’atmosfera ideale per un gruppodi capi e ciascuno ha il dovere di contribuirvi.Preoccupiamoci del nostro progresso morale o, per essere più semplici, delmiglioramento del nostro carattere ed evitiamo quegli urti puerili che, per uninteresse personale, seminano discordia, proprio quando c’è sempre tantobisogno di essere uniti. Non è questa l’origine dei nostri mali? Come si puòpredicare la pace e seminare la discordia ? Parlare di concordia e difraternità, conservando rancore nell’anima, è un tradimento per il proprioPaese.

654. Quando la collaborazione non è sincera, l’impresa comune ne risente.L’attore che cerca di brillare a spese degli altri, può anche riuscirci, mal’insieme ne soffre.

655. Talleyrand era troppo sottile e aveva troppa esperienza di battagliediplomatiche, per non sapere che si ha torto a cercare di aver tropporagione; bisogna negoziare, non scontrarsi e niente è tanto pericolosocome i successi appariscenti che diventano subito passivi per chi li ottiene,

visto che l’avversario cercherà in ogni modo di farglieli pagare.E aveva anche troppa dimestichezza coi <<cari colleghi>>, per non sapereche umiliarli non è il modo migliore per averli alleati o neutrali.

656. Lo spirito di gruppo non può sorgere o viene distrutto quando i membrinon credono nell’impresa comune, quando ognuno pretende di intendersisolo con chi gli piace o gli assomiglia, quando l’amor proprio diventa laregola di ogni sforzo e quando vengono meno quella stima e quella fiduciareciproca che, al di sopra di ogni inconveniente, sostengono la persuasione

di una comune dedizione, superiore a tutte le pecche occasionali.657. Lavorare in gruppo, vuol dire inserirsi in un movimento, e non giàmettersi il movimento in tasca.Far gruppo comporta un rinunciare a se stesso, in vista di un risultatocomune da ottenersi per la via della collaborazione.Ne conseguono, da una parte, sacrifizi, dedizione agli altri e umiltà di azionimodeste; ma, d’altra parte, una quantità di pure gioie, un comuneentusiasmo e l’armonia d’una azione organica. Far gruppo, significa

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sostanzialmente preferire all’amor proprio l’amore fraterno e, al successopersonale, il trionfo di Dio.(181)

CONCLUSIONE

IL SEGRETO DEL CAPO

658. Si sbaglia quando, per risolvere i grandi problemi dell’umanità, ci sidistacca dai fondamentali principi che reggono la nostra civiltà e che sonol’essenza del cristianesimo.

659. Da quando gli uomini pretendono di ordinare il mondo senza Dio, daquando rinunciano a quella vita contemplativa - o, come dice San Paolo, aquella <<celeste conversazione>> - per la quale sono fatti, essidimenticano rapidamente d’essere figli di uno stesso Padre e che sonotroppo grandi perché qualsiasi conquista terrena possa saziare il loroinestinguibile bisogno di felicità. Sentono, quindi, sempre un maggiorbisogno di ricchezza, di potenza, di conquista, di dominio; dover spartirequalcosa con altri sembra loro un’offesa al loro bisogno di grandezza ed’espansione; ogni individuo che frapponga un ostacolo, diventa nemico.

Se la ricerca dei beni terrestri è l’essenza dell’ uomo, non ci può esserlimite per questa ricerca.Se, al contrario, l’essenza dell’uomo sta nella cura dell’anima e nella suapreparazione alla vita eterna, diventa possibile introdurre un certo freno nella sua attività economica.Soltanto l’ “homo religiosus” può impedire all’ “homo faber” di trasformarsiin un bruto insaziabile, dominato dalla vertigine della grandezza materiale,veramente lupo per gli altri uomini.Rileggete, nel Vangelo di San Giovanni (cap. 13) quella che si potrebbe

chiamare la carta dell’autorità cristiana, quella scena mirabile in cui ilCristo, Maestro e Signore, depositario di tutta l’autorità, volle lavare i piedidei discepoli. Egli voleva insegnare a tutti quelli che, nel corso dei secoli,avrebbero avuto qualche briciola d’autorità, che si debbono considerare iservi dei loro inferiori. Intendeva così proteggerli contro l’orgoglio e lavanità, che sono le tentazioni professionali del capo.

660. Lettera indirizzata dal Presidente della Confederazione Elvetica Pilet-Golaz, nel 1934, ad una assemblea del Gruppo di Oxford:

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<<Ho lungamente cercato le ragioni profonde della crisi che il mondoattraversa. Soltanto una ne ho trovata che mi soddisfa: la nostra civiltàcristiana ha perduto lo spirito che l’animava, la sosteneva e l’elevava, cioè

lo spirito del Cristo.Se essa non riesce a farsene nuovamente permeare, è condannata amorte. I provvedimenti, quasi tutti superficiali ed esteriori, che vengono oggirichiesti per far fronte alla decadenza materiale e morale che ci minaccia,non serviranno a nulla, - anche ammesso che i più fra essi non siano nocivi-, se non saranno accompagnati da una concreta rigenerazione dei cuori.Ciò significa che io vedo la salvezza del mondo, come quella dell’anima,solo in un ritorno al cristianesimo; naturalmente intendo il cristianesimosostanziale, intimo e convinto, non quello formale e verbale di cui moltivorrebbero accontentarsi>>.

661. La dimenticanza di sé, l’abnegazione e l’amore del prossimo e cioèl’umiltà e la carità evangeliche - sono, per i capi come per i sudditi, i pilastridella Città cristiana. Esse sono estremamente necessarie a coloro che,come si deve, assumono con rispetto e con ansia il pauroso compito didirigere quelli che Dio ha creato eguali a loro e che Cristo ha fatto fratelliSuoi e loro.<<Dolce e umile di cuore>>, <<amarsi scambievolmente>>, <<cercare dinon essere serviti, ma di servire>>, queste parole del Salvatore sono nello

stesso tempo il programma della vera autorità e la magna chartadell’obbedienza veramente morale.

662. Fare il capo; compito massacrante se si è soli, e magnifico invece seci si appoggia a Dio.Fare il capo: l’anima di un <<gruppo>>, il campanile d’un villaggio,l’esempio, la guida, il primo, non tanto per gli onori quanto per i pesi, nontanto per i gradi quanto per le preoccupazioni: colui che deve essere il piùbravo, il più rassegnato, il più saggio, quello verso cui si dirigono gli sguardi

nell’infuriare della battaglia; colui che non può starsene nel suo rifugio, chenon ha diritto di aver paura, che è debitore davanti a Dio, non solo di sestesso, ma anche degli altri e deve dimenticarsi di sé e soffrire...Fare il capo: quante doti, non solo tecniche, ma morali, si esigono per farlo!Quanti doni occorrono, in pace e in guerra, per essere di quelli chevengono seguiti e imitati? Per rispondere, basterà elencare le virtùteologali: Fede, Speranza e Carità.

663. La vita sociale implica relazioni di autorità e di soggezione; poiché Dioha voluto che l’uomo fosse socievole, ha voluto anche il rapporto da

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inferiore a superiore. Sottomettersi all’autorità, significa accettare l’ordinedivino; comandare e farsi obbedire quando si è investiti di autorità, significaadempiere l’ordine divino. Bisogna che colui che comanda, possa avere la

forza di imporsi agli altri nel convincimento che egli coopereràall’esecuzione della volontà divina; e bisogna anche che colui cheobbedisce sappia scacciare ogni tentazione che può nascere dal pensieroche, dopo tutto, un uomo vale un altro uomo, e non si ribelli dicendo a sestesso <<Dio lo vuole>>.

664. L’anima del capo degno di questo nome, mi sembra tanto bella che iovedo in essa la più alta espressione del sogno che Dio ha fatto sullacreatura umana.

665. Occorrono ai nostri Paesi capi intelligenti, che comprendano i bisognidelle anime del loro tempo, che riescano, alla luce della fede, a penetrare idisegni di Dio sul loro popolo, capi attivi che, comprendendo il detto diLyautey: <<La gioia dell’anima è nell’azione>>, vogliono essere non solodei <<deboli sognatori>>, ma dei <<solidi costruttori>>, capi ricchi disperanza, alla maniera di Peguy, che ha cantato <<la meravigliosa piccolasperanza che trascina tutto e stupisce lo stesso Iddio>>; e finalmente capiamorosi e buoni, perché è tramontato il tempo dell’autorità dei tiranni ed èpiù vero che mai che <<il segreto del comando, è l’amore>>.

666. Il capo deve farsi amare. Ecco la risposta alle angosciose domandeche s’affacciano ad ogni istante, quando si esamina il difficile compito delcomandante. La confidenza e l’affetto risolvono in pratica tutte le difficoltà.Fare affermare ai dipendenti il concetto, il piano dell’impresa, infondere lapropria volontà in tutti gli esecutori. Ma, a ben pensarci, è unacomunicazione di anime in perfetta concordia, un adempimento in comunea un dovere collettivo, una coordinazione di sforzi per realizzare un’utilitàgenerale nella giustizia, in definitiva, è una unione di uomini verso Dio,

dovere supremo e bene assoluto. Detto in termini teologici, è la carità.667. Ogni volta che mi sono lasciato andare come cristiano, mi sonoindebolito come capo.

668. Dio è il Padrone supremo, autore di tutte le cose. La sua autorità èsovrana. Ma in uno slancio di amore, Egli associa gli uomini alla Suaazione nel mondo. Anziché fare di essi degli schiavi o dei servi, offre loro lapossibilità di diventare suoi collaboratori ed amici.

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Grandezza della missione del capo; la sua autorità è una partecipazionealla autorità divina.

669. Con gli strumenti che ha in mano, il capo, non è a sua volta unostrumento in mano al Creatore ?Egli ha l’incarico di realizzare il disegno di Dio. Debba condurre un esercitoo fondare un’istituzione, impiantare una fabbrica o mettere in mare dellenavi, egli deve sforzarsi di entrare in comunicazione col Cielo percomprendere a che cosa lo destini la volontà sovrana.Una tale conoscenza sarà il miglior fondamento del suo(dis?)interessamento e della sua tenacità. Avrà meno scrupoli nelpretendere dai suoi dipendenti di rinunciare alle loro preferenze perassumere tutti una volontà unanime e, sollevata a queste altezze, la stessaobbedienza sarà più spontanea.

670.Il capo che ha compreso la sua missione, non può non sentire ad uncerto momento che il suo compito lo supera. Troppa distanza esiste tral’ideale intravisto e la realtà vissuta; troppa distanza tra quel che è e quelche dovrebbe essere! Gli uomini sono così sconcertanti e gli avvenimenticosi travolgenti!E ancora, più un capo avanza, più sembra che aumentino le sueresponsabilità. E’ allora che il capo sente il bisogno di una luce e di una

forza superiori.Dove la troverà se non presso Colui la cui autorità è il fondamento di ogniautorità, la cui conoscenza è la sorgente di ogni luce, il cui amore èl’origine di ogni energia benefica ?Il segreto del capo altro non è che Dio stesso, che non respinge mai chi Locerca con fiducia e umilmente si appoggia a Lui; Dio che ha promesso dicompletare il lavoro di chi agisce in Suo nome da servitore buono e fedele:“complevit labores illius”.(189)

I N D I C ELA MISSIONE DEL CAPOChe cosa è il capo pag. 5Perché occorrono i capi 9La grande missione del capo: servire 14Cosa fa il capo 19

LE DOTI DEL CAPOFede nella propria missione 25

Page 113: L'arte di essere capo

7/27/2019 L'arte di essere capo

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Senso d’autorità 31Spirito di decisione e d’iniziativa 36Spirito di disciplina 42

Energia realizzatrice 46Calma e padronanza di sé 50Senso della realtà 56Competenza 64Spirito di preveggenza 67Conoscenza degli uomini 69Benevolenza di spirito 74Bontà d’animo 81Rispetto della dignità umana 85Spirito di giustizia 91Fermezza 96Esempio 100Umiltà 102

IL MESTIERE DEL CAPOL’arte di formare e di educare 109L’arte di organizzare 117L’arte di comandare 123L’arte di controllare 135

L’arte di rimproverare 139L’arte di punire 146L’arte di neutralizzare le resistenze 150L’arte di incoraggiare e di premiare 156L’arte di farsi aiutare 160L’arte di far gruppo con gli altri capi 174


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