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Diario di Viaggio nella Cina del Nord Alla scoperta dello “Shanxi” e della “Mongolia Interna” nel regno dei Ming La Cina si estende su una superficie talmente vasta che non ci si deve stupire della varietà dei suoi paesaggi, delle differenze climatiche e di quelle ambientali. Eppure l’immenso mondo cinese andava considerato, da sempre, diviso in due sole grandi aree: il sud ed il nord e la differenza era visibile in tutti i campi a partire dal clima per arrivare alle caratteristiche degli abitanti. Nella programmazione a tavolino di un nuovo, ennesimo viaggio in Cina ho dunque prediletto il nord, meno battuto dal turismo, dove la coltura principale invece del riso era il grano e l’animale da tiro per eccellenza era il forte cavallo mongolo.. una Cina più legata alla terra, alle tradizioni, ad un’architettura che però era sempre vera e propria arte!

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Diario di Viaggio nella Cina del NordAlla scoperta dello “Shanxi” e della “Mongolia Interna” nel regno dei Ming

La Cina si estende su una superficie talmente vasta che non ci si deve stupire della varietà dei suoi paesaggi, delle differenze climatiche e di quelle ambientali.

Eppure l’immenso mondo cinese andava considerato, da sempre, diviso in due sole grandi aree: il sud ed il nord e la differenza era visibile in tutti i campi a partire dal clima per arrivare alle caratteristiche degli abitanti.

Nella programmazione a tavolino di un nuovo, ennesimo viaggio in Cina ho dunque prediletto il nord, meno battuto dal turismo, dove la coltura principale invece del riso era il grano e l’animale da tiro per eccellenza era il forte cavallo mongolo.. una Cina più legata alla terra, alle tradizioni, ad un’architettura che però era sempre vera e propria arte!

Diario di Viaggio nella Cina del NordAlla scoperta dello “Shanxi” e della “Mongolia Interna” nel regno dei Ming

Ogni viaggio in Cina deve iniziare sempre dalla capitale e ogni volta, non mi stanco di ripeterlo, la si trova cambiata.

Sono aumentate le immense costruzioni in mattoni simili a fabbriche o a case popolari europee, perché sono stati rasi al suolo un certo numero di antichi edifici, comprese alcune porte monumentali… tutto per rendere possibile la costruzione di enormi e moderni palazzi!

Ma per fortuna a Pechino è rimasta la mitica “Città Proibita”, un città preservata da tante rivoluzioni, una città conservata e restaurata nonostante le diverse ideologie, una città a misura d’uomo di “suprema armonia”, come il nome di un suo palazzo!

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E all’interno di quella “città purpurea”, così chiamata anche per il colore violetto dell’intonaco, dato alle mura che racchiudono in uno spazio di 72 ettari, 980 edifici… si visitano sempre con emozione tutti i favolosi palazzi imperiali risalenti per lo più all’epoca Ming.

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Ho già parlato molto di questa “città nella città”, in altri diari o nelle “destinazioni” del mio sito, perché quando si arriva a Pechino si sente sempre impellente il desiderio di rivisitarla per scoprire qualcosa di nuovo, qualche angolo che ci era sfuggito in un viaggio precedente o anche solo per ricordare e rivivere la bellezza dell’insieme.

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Anche questa volta ho guardato, “con gli occhi del cuore”, la “Città Proibita” ed ho ammirato il fatto che le costruzioni non seguivano un rigido schema architettonico, come si sarebbe potuto supporre a prima vista, quanto piuttosto uno schema di estremo rispetto per gli ambienti naturali che erano stati in un certo senso assecondati.

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Ecco allora una libera disposizione dei corsi d’acqua, degli stagni, dei pendii… ecco allora la leggerezza dei grandi spazi aperti davanti agli edifici più solenni, spazi che mitigavano l’impressione di maestosità e di pesantezza.. I palazzi erano dunque avvolti da una morbida luce e potevano essere ammirati anche da lontano in tutta la loro bellezza.

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Il “Palazzo della Divina Armonia” , il Tai Ho Tien, è stato quello che, ancora una volta, immediatamente mi ha colpito.. si adagiava in una largo spazio, un po’ sopraelevato, con un bellissimo intreccio di terrazze marmoree, con il tetto spiovente, pacatamente inclinato e poi rivolto verso l’alto… era un vero spettacolo!

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Anche l’interno si presentava come un trionfo di audaci accostamenti di colori, di raffinatezze decorative create da giochi di ombre e di luce.. in questo contesto spiccavano le colonne dorate.. infatti il tempio era usato per la cerimonia con cui si festeggiava l’anno nuovo per l’investitura di un nuovo imperatore o per la proclamazione di importanti editti imperiali.

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Era bello camminare in quel luogo fuori dal tempo che mi faceva rivivere un passato di grandezza, e nello stesso tempo di intrighi e misteri, dove viveva il “figlio del cielo”, l’imperatore, con i suoi guardiani, i servitori, le mogli e le concubine, gli eunuchi, i parenti tutti… ad ogni edificio si accedeva attraverso ampie scalinate che immettevano in spianate, terrazze e corridoi marmorei.

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Ovunque, guardandomi intorno, mi colpiva il contrasto tra la nitida massa del bianco del marmo delle scalinate, delle balaustre, delle terrazze, con il rosso delle lacche alle pareti e ai soffitti.. se poi si aggiungeva il giallastro delle tegole di maiolica dei tetti, l’effetto era stupefacente. La città proibita era rimasta un’oasi fiabesca ed irreale!

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In quella profusione di cultura, arte e storia, scoprivo nei vari edifici anche un mondo di poesia, dato dai loro nomi dolcissimi, quasi da sogno, “il Palazzo della Pace e della Longevità”, “la Porta della Tranquillità Celeste” “il Palazzo della Conservazione dell’Armonia”, “della Purezza Celeste”, del “Nutrimento dello Spirito”, “della Longevità” “della Gloria Letteraria”.

Quegli edifici mi suggerivano pensieri di riservatezza e di raffinatezza, tutti elementi connaturati alla cultura cinese… in uno spazio limitato, si era voluto racchiudere tutta la poesia, la bellezza di un mondo inaccessibile, si erano voluti ricreare, sempre per il figlio del cielo, veri angoli di paradiso.

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All’interno dei padiglioni poi gli artisti del tempo avevano creato alle pareti decorazioni pittoriche estremamente elaborate; qualcuno ha chiamato quest’arte “poesia silenziosa” e mai espressione mi è parsa più adeguata… ed ecco paesaggi, scene di vita, oppure aspetti minori della natura, come bambù, orchidee, fiori di pruno, uccelli di varie forme e colore. Per questo, passeggiare da una corte all’altra, da una sala all’altra era sempre una continua scoperta ed un vero incanto.

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Se poi alzavamo lo sguardo verso le cuspidi dei tetti, sugli spigoli delle terrazze, spiccavano inconfondibili, molti mitici, strani animali, tra cui la figura originale di un animale cornuto cavalcato da un essere umano… tutti avevano la funzione di sentinelle per scacciare gli spiriti maligni.

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Di fronte al “Tempio della Purezza Celeste”, per esempio, era posta una scultura rappresentante un leone d’oro, un bel maschio solitario, appoggiato su un piedistallo di marmo… era il guardiano del tempio! In altri templi c’era invece il leone femmina con una zampa poggiata sul suo cucciolo, tutti dell’epoca Ming e poi ancora draghi, unicorni….

Soprattutto i draghi erano favolosi: avevano la testa di toro, corna di corvo, occhi di coniglio, corpo di serpente, scaglie di carpa, artigli di tigre, baffi e barba di saggezza e una perla sotto il mento… il drago cinese era l’immagine del potere celeste dell’imperatore e difendeva contro l’avarizia, l’egoismo, era simbolo di coraggio, pazienza e nobiltà!

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Dalla “Porta della Pace Celeste” si accedeva nel simbolico cuore della nazione cinese, la piazza Tienanmen, importante soprattutto per la proclamazione, da parte di Mao Tse Tung, nel 1949, della Repubblica Popolare Cinese. Qui davanti all’ingresso che portava appunto alla città proibita, troneggiava ancora l’effige di Mao e la scritta “lunga vita all’unità dei popoli, lunga vita alla repubblica cinese”.. intorno spuntavano monumentali costruzioni abbastanza anonime!

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Nella parte meridionale della città sorgeva poi il bellissimo Tempio del Cielo o Tempio del Paradiso, il Tiantan, un complesso di architettura religiosa taoista del periodo Ming… qui il figlio del cielo, l’imperatore, trascorreva una notte di digiuno, preghiera ed astinenza, prima di dedicarsi, il mattino seguente, alle cerimonie sacrificali, che sarebbero servite, nel solstizio d’inverno, a ringraziare per il buon raccolto e a benedire quello futuro e poi nel giorno del solstizio estivo, per pregare a favore della pioggia.

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La costruzione del tempio era iniziata nel 1420 e successivamente completata da tutti gli imperatori delle dinastie Ming e Qing. Il complesso si estendeva dunque su di un'area di 2,73 chilometri quadrati e comprendeva tre gruppi principali di costruzioni...

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“l’Altare circolare a tre piani”, circondato da una balaustra di pietra dove avvenivano i sacrifici imperiali al cielo..

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... il “Tempio del Dio dell’Universo”, un edificio circolare dal tetto spiovente dove venivano conservati gli altari per i sacrifici!

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...e infine il “Tempio della Preghiera per il Buon Raccolto”, forse il più suggestivo… una grande struttura circolare a tre piani dove l’imperatore si ritirava a pregare per il raccolto estivo.

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Questo complesso era bellissimo e gli antichi maestri artigiani avevano dato prova di una abilità impareggiabile ed anche di una raffinatezza artistica. Per esempio, al posto delle tegole classiche di maiolica gialla, simbolo del potere imperiale, usate nella “città proibita”, qui nel Tempio del Cielo erano state utilizzate tegole prevalentemente blu, come il delicato colore del cielo!

“Vedere è facile, capire è difficile” diceva un vecchio detto cinese e infatti, in Cina, spesso si correva il rischio di vedere troppe cose e di capirne poche.

Sotto molti profili la Cina era sempre stata una nazione lontana, isolata dal resto dell’Europa, quasi inaccessibile e le sue tradizioni spesso risultavano incomprensibili nei loro eccessi; era una nazione che aveva, per un certo tempo, rigettato il passato, eppure in cuor suo, era rimasta legata a leggende, culti di antenati, ad una religiosità che nessuna imposizione politica era riuscita a debellare, ed ora stava, per fortuna, rispolverando tutto ciò che aveva cercato di cancellare!

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Prima di iniziare il mio viaggio verso nord ci siamo concessi una tappa alla Grande Muraglia dato che era sempre un’esperienza unica ed emozionante, essa aveva testimoniato la potenza dell’impero cinese e aveva inoltre rappresentato un’ottima protezione per i mercanti che viaggiavano lungo di essa sfruttandola come difesa.

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Serpeggiava, quasi scomparendo nella nebbia, come un esile ed interminabile drago, intervallata da solitarie torri di vedetta, dal Mar Giallo, attraverso cinque province e due regioni autonome, fino al deserto del Gobi. Era semplicemente fantastica… sembrava varcare i confini del mondo!

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Quella monumentale, faraonica costruzione, poteva essere visitata partendo da tronchi diversi, vicini o lontani dalla capitale. Per cui questa volta non siamo andati a Badeling, un tratto molto più accessibile, già visitato in altri viaggi, ma piuttosto a Mutianyu, più lontano, a circa 80 Km a nord est di Pechino..

...un tratto il cui nome era già di per se stesso invitante, infatti significava "valle da cui si ammirano i campi".

La sua costruzione era iniziata in epoca ming e si snodava su un antico tracciato eretto nel VI secolo per presidiare un passo strategico frequentemente violato.

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Con una simpatica cabinovia che saliva tra le montagne siamo entrati nella spirito di quella spettacolare e monumentale costruzione e una volta posato il piede su quelle mitiche mura il panorama, pur avvolto da una sottile nebbia di calura, era da mozzafiato. La muraglia che si mostrava in tutta la sua imponenza, si inerpicava sulle dorsali delle montagne intorno, si insinuava come un drago, senza interruzioni in un serpeggiare continuo ed infinito.. non c’era vita… solo natura, solo una massa boscosa di pini e cipressi, verdi tutto l’anno immersi nel silenzio.. e poi in lontananza terra e cielo.

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Con viva emozione ho posato i piedi su quel camminamento storico che si arrampicava sulle montagne circostanti fino all'orizzonte.. ho percorso quello stretto sentiero delle mura, costruito migliaia e migliaia di anni lontani nel tempo… ho proseguito… salivo i gradini, costeggiavo le torri di vedetta che si ergevano ancora maestose e sopraelevate, pronte a difendere i confini del regno.

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Sentivo tutta la gioia di poter godere di quel capolavoro in tutta tranquillità, mi sembrava che ogni tanto il vento portasse l’eco di parole lontane, che non capivo, ed ascoltavo la guida che in quel silenzio che ci circondava ha iniziato a declamare una poesia cinese: “Montagne azzurre a nord della muraglia, orlate di un bianco fiume di pietra. Qui ci dobbiamo separare e incamminarci per mille miglia di erba morta., la mente come una gran nube guarda l’orizzonte!”.

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Il giorno dopo ho ripreso il viaggio… ero nello Shanxi, una delle province cinesi del nord, pressoché sconosciute al turismo internazionale, uno scrigno di tesori che racchiudeva una serie di bellezze naturali ed artistiche di incredibile valore. Abbiamo iniziato con la visita, a sud est del centro di Taiyuan, del favoloso Jinci Temple, risalente al 1000 a.C. nato, all’inizio, come tempio buddista e divenuto poi una combinazione di storica architettura raffinata, immersa in un bellissimo romantico paesaggio.

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Questo complesso di più templi, nato per onorare gli antenati della dinastia imperiale, si sposava meravigliosamente con lo scenario naturale circostante, si trovava infatti ai piedi del monte Xuanweng e alla sorgente del fiume Jin.. quindi il monte, le acque ed in più una miriade di sale, padiglioni, terrazze e ponti creavano un insieme armonioso simile ad un prezioso dipinto, tale da lasciare incantati tutti i visitatori.

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Mentre camminavo mi sembrava di avvertire, in quel complesso templare, tutta l’importanza di quei padiglioni che risaltavano proprio perché circondati dal “giardino cinese”, vero obiettivo d’amore e di culto… che aveva la caratteristica, come ha ben spiegato Maurizio Paolillo nei suoi scritti, “di esaltare la natura come ispirazione, rifugio, luogo di meditazione”.

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Allora alberi, acque, montagne erano il tema ricorrente anche dei dipinti all’interno dei padiglioni, delicati nel colore, costruiti per suggerire precise immagini di suggestione.

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Continuavo ad aggirarmi in quel mondo, accompagnata dal silenzio e rapita da sogni lontani… dopo aver apprezzato il pittoresco e lussureggiante giardino mi è apparsa la prima pagoda chiamata “Terrazza dello Specchio dell’Acqua”. Poi attraverso romantici ponticelli ho incontrato “gli immortali”, alcuni terribili guerrieri guardiani, a grandezza naturale, che parevano proteggere il luogo.

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Ho attraversato atri, cortili, altre pagode tra cui quella chiamata “della campana” perché attraverso il suono delle sue campane venivano, il mattino, aperte le porte della città e la sera di conseguenza chiuse. Mi sono fermata davanti a romantiche pozze d’acqua, espressione di eleganza e poesia…

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...un piccolo chiosco della sorgente al cui interno c’erano le bellissime statue delle ancelle, eleganti e serene figure dell’epoca Ming… quello era un angolo di Cina che se ne stava in silenzio all’ombra di vecchi alberi, un mondo affascinante che viveva ancora immerso in tradizioni secolari!

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Più avanti, a sud del recinto, ho ammirato la “Pagoda delle Sacre Reliquie”, un edificio ottagonale a sette piani costruito alla fine del VII secolo. Quel monumento di pietra scaldato dal sole era anch’esso un simbolo del passato ed aveva per me, come tutto il complesso nel quale mi trovavo, un grande fascino.

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Lasciato il Jinci temple ci siamo diretti a Pingyao una cittadina sempre nello Shanxi, originale, autentica, tanto che il regista Zhang Yimou vi aveva ambientato il suo capolavoro, il famoso film “Lanterne Rosse”.

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Pingyao era anche nota per la sua maestosa cinta muraria alta ben dodici metri, con un perimetro di circa sei chilometri… la sua costruzione si faceva risalire al 1370 per volere dell’imperatore Hongwu.

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Ho ammirato le monumentali porte d’ingresso, le torri di osservazione tutte merlate, i fossati e davanti ai miei occhi d’improvviso mi è apparsa una pagina di storia, che parlava di un passato di guerra e furore con attacchi di cavalieri urlanti, che brandivano le lance dai loro cavalli spronati al galoppo…era una pagina anche di vita!

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All’interno delle mura poi erano sorti piccoli musei e vari templi, ma il più interessante che ci ha trasportato in un ambiente mistico e ricco di emozione, è stato, senza dubbio, il tempio buddista di Shuanglin Si, chiamato anche “il Monastero delle Due Foreste”, perché alla morte del Buddha erano cresciute, in quel luogo, due fitte foreste.

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In quel tempio venivano conservate circa 2000 figure in argilla dipinta e stupende statue che risalivano alle varie dinastie Song, Ming e Qing. Tra tutte la più bella era quella della dea della misericordia, Guanyn, dalle molte braccia, il cui nome significava letteralmente «colei che rivolge lo sguardo al suono delle grida del mondo», una statua risalente all’epoca Song.

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Dopo Shuanglin ci siamo spostati ad un altro tempio, quello di Zhenguo ed anche qui, in questo bellissimo tempio buddista che conteneva stupendi ed unici dipinti e statue del X secolo della dinastia Han del nord, mi sono fermata davanti ad un’altra statua di Guanyn, in atteggiamento dolcissimo, di totale relax, sembrava guardarci con fiducia, sembrava comprendere veramente tutte le nostre preoccupazioni e consolarci.

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Dopo queste sommarie visite, con un tempo grigio e piovoso, ci siamo diretti verso la montagna sacra del buddhismo, il Wutaishan, “la Montagna delle Cinque Terrazze”, le cui cime erano praticamente protette dal dio buddista della saggezza, Wenshu.. e quindi disseminate di antichissimi monasteri che si stagliavano in un paesaggio naturale alpino di estrema suggestione.

Mi hanno raccontato che un tempo, intorno alla montagna sacra sorgevano ben 200 templi, ma poi le varie guerre e la rivoluzione ne avevano distrutto una parte ed ora ne erano rimasti circa 40.

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Lasciato il nostro mezzo di trasporto ci siamo diretti a piedi, purtroppo sotto la pioggia, verso il primo tempio da visitare, quello di Pusadingsi o Tempio di Bodhisattva.. il paesaggio che ci circondava, di un intenso verde, si estendeva solitario e deserto, ravvivato, ogni tanto, da masse di fiori colorati.. anche i tronchi degli alberi, neri, erano bagnati e sembravano sottili linee d’inchiostro!

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Camminavamo compatti anche se, ad un certo punto, abbiamo dovuto affrontare la ripida scalinata di 108 gradini, sotto una pioggia scrosciante, dono del dio Wenshu… 108 era un numero significativo e sacro secondo la numerologia del buddhismo, ma percorrerli con quel tempo infame è stata un’impresa ardua!

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Siamo comunque arrivati alla Terrazza Centrale ed anche se bagnati fradici, la magica bellezza dei colori, delle viuzze lastricate, dei tetti d’oro delle pagode, è stata ugualmente viva ed intensa.

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In quel complesso templare si respirava un’aria di puro misticismo.. ricordo il fumo d’incenso che usciva da una stufa per sacrifici e un gruppo di fedeli intenti a pregare mentre, attutito, echeggiava il suono di una campana.. sembrava di essere in un’altra dimensione.

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E allora anche gli scorci che mi circondavano, così grigi e plumbei, acquistavano una loro particolare suggestione: sembravano foto in seppia ed ocra su carta da acquerello bagnata di pioggia. Erano luoghi solitari e deserti di intensa preghiera, di meditazione, e aiutati dal silenzio che circondava gli edifici, si poteva immaginare come i monaci trovassero in quel luogo un avvicinamento alla divinità!

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Quando ormai il cielo si stava avviando al crepuscolo abbiamo fatto una puntata al Tempio di Xiantong, risalente alla dinastia degli Han occidentali (58-75 d.C.), molto più antico degli altri, e anche più grande, con bellissime sale dell’epoca Ming e Qing. Il Padiglione di bronzo poi con i 10.000 buddhini appunto in bronzo che decoravano il muro, con al centro un grande ed insolito Buddha chiamato “del futuro”, era un'incantevole sala fatta interamente di metallo.

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Ma la suggestione di quel luogo veniva anche dalla sua posizione, posta a terrazzamenti con templi e tempietti finemente decorati, con i tetti in legno lavorato, colorati, cesellati, tutti sembravano incastrati tra loro e si stagliavano in quel cielo tumultuoso che non voleva proprio lasciar trapelare i pochi timidi raggi di sole.. ma era tutto stupendo, stavamo vivendo un percorso a ritroso nella cultura religiosa cinese!

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Il giorno dopo, di buon mattino, percorrendo scarpate e strade poco asfaltate siamo arrivati in vista dello Xuan Kong Si, letteralmente “il Tempio Sospeso Sulla Roccia” .. da un dirupo roccioso lo vedevo emergere, quasi schiacciato dalla roccia che lo sovrastava, in bilico sul baratro sottostante…

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...era bellissimo e impressionante, tutto in legno e si reggeva su lunghi e sottilissimi pilastri che sembravano piegarsi da un momento all’altro. Apparentemente sembrava instabile, ma la sua struttura era invece solida e ben incollata alla parete.

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Quel tempio sospeso, scolpito sulle balze della montagna, con le sale interamente scavate nella roccia, era stato costruito da un solo uomo, un monaco chiamato Liao Ran durante il periodo della dinastia dei Wei Settentrionali circa 1500 anni fa, ma era stato, in seguito, ricostruito e mantenuto durante la dinastia Ming.

Quando sono salita, mi sono ritrovata in un interno piccolo e stipato da una interessante collezione di statue.. tutte espressione delle tre dottrine, magicamente racchiuse in un solo tempio… Taoismo, Buddismo e Confucianesimo.

Un detto cinese ha affermato che “ci voleva una vita per capire che non era necessario capire tutto” eppure in questo tempio mi è sembrato significativo vedere come le diversità religiose fossero minimizzate… si era capito che in fondo era importante solo credere in qualcosa di superiore e seguire una retta via e… “al pozzo si può andare per molte vie”, che fosse dunque Buddha o Confucio ad ispirare l’animo umano non contava!

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Attraverso scale, scalette, sono entrata nelle varie sale, sono sbucata su terrazze sospese nel vuoto, provando un leggero senso di vertigine, ma nello stesso tempo anche di una piacevole pace.

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Prima di arrivare ad un altro tempio importante abbiamo percorso un lungo tratto a piedi, una passeggiata per conoscere anche le diverse caratteristiche della gente del luogo e ci siamo imbattuti in un mercato del bestiame dove una folla varia ed eterogenea si ammassava in uno spiazzo sterrato pieno di polvere, sporcizia e povertà.

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Abbiamo camminato, fotografato e sorriso a tutti quelli che ricambiavano il nostro sorriso.. poi abbiamo ripreso il viaggio per andare a vedere la Grande Pagoda Yingxian, alta e maestosa, costruita nel 1056 dalla dinastia Liao, interamente in legno di pino coreano, di ben nove piani.. tre dei quali sono stati affrontati con grande fatica data l’altezza degli scalini.

Quella pagoda del tempio Fogong, era sopravvissuta a molti grandi terremoti nel corso dei secoli e attestava quindi una progettazione rigorosamente scientifica con una struttura perfetta.

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Aveva forma ottagonale per ricordare il fiore di loto, con in cima un’asta di ferro, simbolo del mondo buddhista. Sulla base ottagonale erano poggiati nell’ordine, una struttura a bottiglia, una serie di anelli concentrici (simbolo degli anelli delle reincarnazioni), un “globo di fiamma” e una struttura a perla. Sui cornicioni dei vari piani erano appesi dei campanellini che ondeggiano al vento.

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All’interno, salendo, mi sono trovata davanti la grande statua del Buddha Sakyamuni inserito tra vari affreschi e ovviamente i soliti quattro terribili guardiani. Anche gli altri piani erano affollati di statue del Buddha in terracotta con l'anima in legna , alcuni dei quali poeticamente appoggiati su fiori di loto.

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Ci hanno raccontato che durante i terremoti verificatisi presso il distretto di Yingxian, la pagoda aveva oscillato come un pendolo mentre i campanellini risuonavano a distanza, tuttavia la struttura d’insieme non era stata toccata.

Durante poi gli scontri fra i signori della guerra, la pagoda era stata colpita da più di 200 proiettili d’artiglieria, tuttavia l’intera struttura non era mai stata danneggiata.

Molte pagode in legno di notevole altezza nell’antichità era cadute per colpa dei fulmini, ma non la pagoda di Yingxian.

Era quindi naturale chiedersi quale divino segreto possedesse per sfuggire alle calamità...

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Lasciata quindi la pagoda ben salda sul suo piedestallo, ci siamo diretti a Datong, la prima storica capitale della dinastia Wei, una città molto interessante nel suo centro storico racchiuso da antiche mura ancora ben conservate e meravigliosi templi buddisti..

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A differenza della zona storica, la parte moderna mi è apparsa invece piuttosto anonima, caotica, polverosa e molto inquinata.. per cui siamo rimasti ad esplorare, a piedi, solo la città antica. La vita pullulava nelle viuzze un po’ fatiscenti… povertà, serenità e tanta umanità andavano a braccetto, eravamo a contatto con un mondo tanto diverso dal nostro...

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...mi ha inoltre colpito la marea di biciclette, accatastate ai muri delle case, accanto alle bancarelle che esponevano in enormi pentoloni, strani intrugli locali, di cui donne con i loro piccoli andavano a cibarsi, ricordo un vero fiume di quei cicli e quasi nessuna auto!

E poi tra le vecchie case dai portali in pietra che facevano intravedere un passato più prospero, spuntavano alcuni negozietti di venditori di santi e dei.. ben allineati su tavolini in legno.

Era bello esplorare quegli angoli incredibili dove persino i manichini abbandonati a terra in posizioni disarticolate, sembravano creare una sorta di quadro artistico!

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Nel nostro vagare abbiamo costeggiato la bella Torre del Tamburo a tre piani che risaliva alla dinastia Ming, ma non abbiamo potuto visitarla per cui ci siamo diretti al simbolo della città, “il Muro dei Nove Dragoni”, ospitato all’interno di un parco, un muro particolare, ricoperto da maioliche smaltate del XIV secolo che riproducevano appunto nove dragoni rappresentanti il potere imperiale.. era ciò che si era conservato di un antico palazzo imperiale. Ma perché nove draghi?

La guida a quel punto ci ha spiegato che nove era il numero sacro all’imperatore e quindi una specie di portafortuna, inoltre il drago con quattro artigli, amato dal popolo cinese, era il sacro simbolo del potere imperiale, “un potere paterno e benevolo che svolazzava tra le nuvole ordinate e portatrici di pioggia, sotto soli splendidi, simbolo di eternità, e giocava anche con la perla infuocata simbolo delle buone intenzioni”.

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Ai piedi del muro c’era un pittoresco laghetto e la guida ci ha detto che nelle notti di luna piena lo spettacolo dei dragoni che si specchiavano nell’acqua, creando un’infinità di riflessi colorati, era suggestivo.. pareva quasi che il drago prendesse vita e si muovesse nuotando nel lago.

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Il giorno dopo, è stato dedicato alla visita del Monastero buddista di Huayan Si, situato alla periferia della città, suddiviso in due complessi, quello superiore, lo Shangsi ancora in funzione, abitato da un discreto gruppo di monaci che vedevamo seduti a meditare o girovagare qua e là, e quello inferiore, bello, ma ormai diventato una specie di museo.

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Siamo entrati, nelle sale della parte superiore, attraverso la porta quadrata, quella dedicata ai comuni mortali, simbolo della terra, perché quella rotonda era riservata ai credenti buddisti, ed era simbolo del cielo e ci siamo trovati in un grande giardino, ricco di vita.. qui sorgevano le abitazioni dei monaci.

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Attraverso una scalinata abbiamo avuto accesso alla sala più grande, dove troneggiava un enorme padiglione del XII secolo con decorazioni abbastanza sfarzose che contrastavano con l’esterno sobrio e volutamente semplice… sempre all’interno bellissimi i cinque Buddha Ming, fatti di stucco o legno dorato, seduti su troni e affiancati da guardiani a dimensione naturale, lievemente inclinati su se stessi.. che sembravano ascoltare con devozione le parole del maestro.

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Alzando poi lo sguardo verso i tetti li ho trovati particolarissimi, decorati ciascuno in modo diverso… ecco allora alcuni piccoli elefanti che portavano sul dorso delle pagode e ancora più avanti un bordo del tetto incurvato verso l’interno come un corno.. quella particolare decorazione era unica in quella regione!

Uscendo dal complesso siamo poi scesi alla parte inferiore, ben ricostruita nota soprattutto per la grandiosa sala della libreria, dall’aspetto severo, un raro ricordo della dinastia Liao… le pareti erano rivestite di armadi-librerie a forma di casette che racchiudevano i Sutra, i libri sacri della “via buddista” che non erano stati distrutti dai vari incendi.

In altre stanze spiccava una collezione varia e poco ordinata di tre grandi Buddha, quello del passato, del presente e del futuro con i loro discepoli preferiti e 29 statue in argilla di Bodhisattva … tutti se ne stavano solitari e dimenticati, forse bisognosi di offerte, seduti al buio tra la polvere.

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Dopo una breve sosta relax per il pranzo a Datong ci siamo poi diretti alle suggestive grotte buddiste di Yungang, nome traducibile come “Cresta delle Nuvole”, a dieci km dalla città e siamo arrivati, pieni di aspettative, davanti a quei favolosi templi rupestri dove caverne e statue erano state ricavate dalla roccia in falesia arenaria del monte Wuzhou, soprattutto durante la dinastia Wei.

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Per un buon chilometro abbiamo costeggiato grotte, nicchie, anfratti che seguivano, quasi adagiate, il pendio del monte, e contenevano un’impressionante serie di immagini religiose e del Buddha che ora mi risulta difficile ricordare nei minimi particolari.. erano ben 45 grandi grotte, 252 nicchie ed oltre 51.000 statue di pietra!

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Tra tutti quegli intarsi e ceselli le molteplici statue e statuine, gli affreschi che facevano da cornice ad un paesaggio di artistica bellezza, parevano veramente invitare alla preghiera. L’intera area era fantastica.. si poteva toccare da vicino tanta storia e tanta arte.. tutto era maestoso e ricco,

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Mi è rimasta impressa, tra le varie caverne, la grotta numero 5 per l’enorme Buddha seduto della dinastia Tong alto 17 metri e la numero 6, la grotta chiamata di Shakyamuni dominata al centro da un’enorme pagoda di pietra a nove piani, scavata nella roccia e con affreschi che la ornavano narrando la vita del Buddha terreno.

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Ovviamente tutti gli stupendi affreschi alle pareti avevano l’importante significato di narrare la vivida storia del buddismo, ma al di là dell’aspetto didattico non si poteva negare la particolare bellezza artistica dell’insieme ed il suo magico fascino.

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Il nostro soggiorno nello Shanxi era terminato ora ci attendeva un’altra provincia del nord, la Mongolia interna molto più selvaggia, primitiva ed intatta, e quasi interamente semidesertica. Abbiamo viaggiato per tutto il giorno attraverso ambienti naturali straordinari, radicalmente cambiati, un aspro entroterra di pianure in parte semi abbandonate, che esprimevano l’intera dimensione di un mondo rurale con antiche tradizioni.

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E poi, per contrasto, ecco arrivare i colori dei campi in fiore.. azzurro per il lino, giallo e bianco per il miglio.. distese immense che trasmettevano un’immagine di fresca primavera.

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Ogni tanto spuntava qualche villaggio “argilloso” con povere case di pietra un po’ diroccate che spezzava quella miriade di colori. Qualche uomo seguiva il suo gregge ciondolando come un cow boy solitario in quei terreni di cui non si vedeva la fine.. scorgevo di sfuggita qualche volto, qualche carretto che incrociavamo.. ma per lo più eravamo circondati da distese silenziose.

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Finalmente, verso sera, siamo arrivati nella capitale, della regione autonoma della Mongolia Interna, ad Hohhot, che nella lingua mongola significava “città verde”, una città moderna ed anonima che sorgeva a più di 1000 metri di altitudine, fondata nel tardo XVI secolo dal sovrano mongolo Altan Khan. Purtroppo solo la parte vecchia, in alcune sue particolarità, conservava tracce del nobile passato, ed era riuscita a mantenere ancora il “sapore della Cina”, per il resto abbondavano palazzoni informi e senza stile.

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Il giorno dopo ci siamo catapultati al Museo Etnografico Mongolo per cercare di entrare in contatto con tutte le tradizioni di quell’angolo di Cina e mi ha colpito molto tutto il dettagliato assortimento della storia, dei modi di vivere dei mongoli… c’era addirittura un percorso che descriveva tutte le conquiste di Gengis Khan.. e poi armi, oggetti quotidiani, abiti classici della tradizione mongola, un’antica yurta e tra i fossili addirittura uno scheletro di Mammut.

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Per raggiungere il palazzo imperiale ed i vari templi in programma abbiamo attraversato un lungo tratto della città vecchia e devo dire che ero emozionata ed entusiasta.. si viveva praticamente per la strada, c’erano vecchi e giovani accanto alle loro bancarelle di cibo…

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...vedevo gruppetti che forse stavano addirittura preparando un banchetto, tale era la dimensione del loro pentolone dove bolliva qualcosa di indescrivibile...

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...e accanto dolci donnette dai piedi piccoli! Intorno a noi scorreva una folla caotica e disordinata, di gruppi etnici diversi, che si muoveva tra le bancarelle con la merce ovviamente esposta alla polvere, e le biciclette sempre molto numerose.

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Nel museo avevamo avuto un assaggio del glorioso passato, ma il presente era decisamente più vivace e vero… guardavo quella vecchia parte di città con i suoi viottoli dissestati e pensavo a quello che ci aveva appena detto la guida, cioè che tutto quel rione tra vari anni sarebbe scomparso, sopraffatto dalla civiltà che avanzava purtroppo inesorabilmente.

La Cina, pur avendo iniziato a rispettare ed a rivalutare certi periodi del suo passato, voleva guardare al futuro e allora via le vecchie e fatiscenti case e largo spazio ai grandi casermoni muniti di igiene e servizi!

Forse era anche giusto che questi luoghi poco salubri lasciassero spazio ad una nuova città… ma con loro sarebbero scomparse tante tradizioni… i piccoli artigiani, i fabbri, i panettieri che esponevano lungo la strada, ogni tipo di venditore con la sua bancarella di legno.. scompariva un’umanità che viveva per strada facendo quello che avevano fatto i loro avi, scompariva appunto un passato di tradizioni, un mondo fatto di piccole cose che si sarebbe documentato solo nei musei…

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Tra i vari templi che siamo andati poi a visitare il più conosciuto era il “Tempio delle Cinque Pagode”, il Wuta Si, dell’epoca Qing, costruito, durante la fine del 1700, in stile indiano buddista, con una particolare struttura.. pagode più pagode, con bellissimi bassorilievi raffiguranti il Buddha. Ci hanno raccontato che il tempio vero e proprio era stato distrutto ed ora rimaneva visibile quella bellissima pagoda in pietra a base quadrangolare, chiamata “Del Diamante”, rivestita, in più punti, di maiolica verde e gialla.

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I muri sulla parte anteriore della pagoda erano ornati da rilievi, da iscrizioni in mongolo, tibetano e sanscrito che riportavano testi del Jingangjing Sutra di diamante.

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Sono salita sulla terrazza dove poggiavano a loro volta cinque pagode e un padiglione… la pagoda centrale era la più alta e in ciascuna di esse al primo piano c’erano altre bellissime statue di Buddha e di Bodhisattva.. una meraviglia!

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Poi, per continuare la visita dei templi ci siamo diretti a quello lamaico di Dazhao, del 1580, chiamato anche “Tempio dell’Infinito” o “tempio del Buddha d’Argento”.. perché era qui che si poteva ammirare una statua d'argento rara di Sakyamuni che misurava 2,5 metri di altezza .. che purtroppo non abbiamo visto..

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...il tempio era utilizzato ancora come luogo di culto e infatti ci hanno raccontato che il terzo Dalai Lama era venuto per presiedere alla cerimonia di inaugurazione dopo il periodo buio di persecuzioni nei confronti dei lamaisti da parte dei cinesi…

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Bisogna sapere, come ci ha spiegato la guida, che quando Gengis Khan aveva voluto impadronirsi del Tibet, aveva pensato ad un sottile stratagemma, farlo con la religione più che con le armi!

Aveva scritto al Lama cercando di intimidirlo, ma il venerando padre non aveva ceduto di fronte alle sue pretese… solo più tardi il nipote Kublai Khan aveva conquistato il Tibet con le armi e assoggettato il lamaismo che dal Tibet si era propagato a macchia d’olio verso est, incontrando grande successo presso i mongoli.

Ma la sua storia non fu fortunata infatti venne anche qui proibito perché predicava una vita di non violenza e questo atteggiamento poteva essere sfruttato.. dagli invasori per sottomettere un popolo senza usare le armi!

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Prima di entrare a visitare il tempio vero e proprio, nel cortile centrale, dopo la bella sala dei quattro guardiani c’era la possibilità di ricreare con l’abbigliamento, il mondo degli antichi Mongoli e, con uno spirito di allegria e un pizzico di gioia fanciullesca, insieme ad alcuni amici, mi sono abbigliata in costume per andare alla corte del Gran Khan!

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Poi, tornata seria… sono entrata nel tempio che mi ha subito trasportato nel serio mondo lamaista.. ecco allora la ruota della vita, i tamburi, i sedili dei monaci per il “puggia”, il lungo corno… in quel mondo di spiritualità si avvertiva però anche l’influenza cinese.. mancava forse l’inserimento magico dei templi tibetani nella bellezza e nel silenzio della natura, ma era ugualmente un luogo pittoresco ed unico.

Bisogna sapere che i templi lamaisti enfatizzavano il mistero della religione.. le sale dei loro templi erano alte ed ampie con cilindri di stoffa multicolore alle pareti… anche le colonne erano addobbate con broccati e gli interni sempre piuttosto bui tanto da creare quasi un’atmosfera di mistero e di aspettativa. L’esterno invece, per contrasto, era sempre vivace con mura dipinte di rosso, cappelle e pagode bianche, finestre con bordi neri..

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Il secondo tempio lamaista, di Xilituzhao, situato sempre nella parte antica di Hohhot era il gemello più piccolo, ma, a detta della nostra guida, più importante, perché era stato fatto costruire del venerando 3° Lama durante la visita al tempio precedente e qui vi aveva poi vissuto fino alla morte.

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Per concludere la nostra carrellata di monumenti nella periferia orientale della città siamo andati a visitare l’originale Pagoda Bianca, chiamata la pagoda Huayan, una torre a sette piani a pianta ottagonale costruita all’epoca della dinastia Liao, abbellita da diecimila sutra scolpiti su pietra…. e così abbiamo concluso il nostro viaggio in una parte della Cina del nord.

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Ora come sempre bisognava filtrare i ricordi e unirli alle immagini ancora vive… ogni monumento, ogni città, ogni paesaggio danzava ancora davanti ai miei occhi ed erano vive tutte le emozioni, tutti i bei momenti trascorsi… avevamo calpestato una terra dove erano transitate miriadi di persone, conquistatori ed oppressi.. avevamo liberato la nostra mente pronti a ricevere quel passato così lontano dal nostro sentire.

Ci eravamo mescolati ad un popolo che pur volendo recuperare quel passato era proiettato verso la civiltà del futuro, avevamo cercato di capire le sue tradizioni, la sua cultura.. non solo i sogni, ma anche le certezze. A questo punto, alla fine di questa bella esperienza ho sentito la necessità di aprire lo scrigno di tutte le mie immagini ed i miei ricordi ed ho voluto farne un bel bagaglio per poterlo condividere con altri viaggiatori che, come me, avvertono il pressante, unico piacere di scoprire il mondo….

“A piedi e a cuor leggero, prendo la strada maestra, in salute, libero, il mondo davanti a me. Davanti a me la lunga strada polverosa che porta dove voglio”. Lo dice Whitman, ma lo dicono anche tutti coloro che amano viaggiare!