deleuze, gilles - lezioni su leibniz (corso viennese 1980-1981)

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Gillies Deleuze Lezioni su Leibniz Corso viennese Lezione del 15/04/1980 Saremo occupati per un po di tempo da una serie (di lezioni) su Leibniz. Il mio scopo è molto semplice: per quelli che non lo conoscono per nulla, provare a progredire, farvi amare quest autore e darvi una certa voglia di leggerlo. Per cominciare Leibniz, c è uno strumento di lavoro ineguagliabile. Fu il compito di una vita, una vita molto modesta, ma molto profonda. E una signora, signora Prenant, che già da molto tempo ha fatto una raccolta di pezzi scelti di Leibniz. D abitudine i pezzi scelti sono molto dubbiosi, ma in questo caso si tratta di un capolavoro. E un capolavoro per una ragione molto semplice: perché anche se Leibniz ha dei procedimenti di scrittura che di sicuro sono molto correnti alla sua epoca (inizio XVIII° sec.) lui li spinge fino a un punto straordinario. Certo, come tutti i filosofi fa dei grossi libri, ma al limite, potremmo dire che questi grossi libri non sono l essenziale della sua opera perché l essenziale della sua opera è nella corrispondenza e nei piccoli scritti memoriali. I grandi testi di Leibniz, sono molto spesso dei testi di quattro o cinque pagine, dieci pagine, o appunto delle lettere. Scrive un po in tutte le lingue e in un certo modo, è il primo grande filosofo tedesco. Rappresenta l arrivo in Europa della filosofia tedesca. L influenza di Leibniz sarà immediata sui filosofi romantici del XIX° sec. Tedesco, non solo, essa si farà sentire particolarmente in Nietzsche. Leibniz è uno dei filosofi più adatti per dare una risposta adeguata a questa domanda: che cos è la filosofia? Chi è un filosofo? Di cosa si occupa? Se si pensa che le definizioni come la ricerca del vero, o della saggezza, non siano adeguate, c è un attività filosofica? Vorrei dire molto velocemente come io vedo il rapporto del filosofo con la sua attività. Si possono confrontare le attività solo in funzione di ciò che esse creano e del loro modo di creazione. Bisogna domandarci cosa crea un falegname? Cosa crea un musicista? Cosa crea un filosofo? Un filosofo, è per me qualcuno che crea dei concetti. Ciò implica diverse cose: che il concetto sia qualcosa che deve essere creato, che il concetto sia il termine di una creazione. Non vedo nessuna possibilità di definire la scienza se non s' indica qualcosa che è creato dalla e nella scienza. Ora, può darsi che ciò che è creato dalla e nella scienza, io non sappia bene cosa sia, ma non saranno dei concetti propriamente parlando. Il concetto di creazione è stato molto più legato all arte piuttosto che alla scienza o alla filosofia. Che cosa crea un pittore? Crea linee e colori. Ciò implica che le linee e i colori non sono già dati, sono i termini di una creazione. Ciò che è già dato, al limite, potremmo sempre nominarlo un flusso. Sono i flussi che sono già dati e la creazione consiste nel ritagliare, organizzare, connettere dei flussi, in modo tale che si delinei o si compia una creazione intorno a certe singolarità estratte dai flussi. Un concetto non è per niente qualcosa di già dato. Inoltre un concetto non è la stessa cosa che il pensiero: possiamo facilmente pensare senza concetto, e anche tutti quelli che non fanno della filosofia, io credo che essi pensino, che pensino a tutti gli effetti, ma che non pensano per concetti - se voi accettate il fatto che il concetto sia il termine di una attività o d una creazione autentica. Io direi che il concetto, è un sistema di singolarità prelevate da un flusso di pensiero. Un filosofo, è qualcuno che fabbrica concetti. E qualcosa d intellettuale? A mio avviso, no. Poiché un concetto in quanto sistema di singolarità prelevate da un flusso di pensiero& immaginate il flusso di pensiero

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Page 1: Deleuze, Gilles - Lezioni Su Leibniz (Corso Viennese 1980-1981)

Gillies DeleuzeLezioni su Leibniz

Corso viennese

Lezione del 15/04/1980

Saremo occupati per un po� di tempo da una serie (di lezioni) su Leibniz. Il mio scopo è molto semplice: per quelli che non lo conoscono per nulla, provare a progredire, farvi amare quest� autore e darvi una certa voglia di leggerlo.Per cominciare Leibniz, c� è uno strumento di lavoro ineguagliabile. Fu il compito di una vita, una vita molto modesta, ma molto profonda. E� una signora, signora Prenant, che già da molto tempo ha fatto una raccolta di pezzi scelti di Leibniz. D� abitudine i pezzi scelti sono molto dubbiosi, ma in questo caso si tratta di un capolavoro. E� un capolavoro per una ragione molto semplice: perché anche se Leibniz ha dei procedimenti di scrittura che di sicuro sono molto correnti alla sua epoca (inizio XVIII° sec.) lui li spinge fino a un punto straordinario. Certo, come tutti i filosofi fa dei grossi libri, ma al limite, potremmo dire che questi grossi libri non sono l� essenziale della sua opera perché l� essenziale della sua opera è nella corrispondenza e nei piccoli scritti memoriali. I grandi testi di Leibniz, sono molto spesso dei testi di quattro o cinque pagine, dieci pagine, o appunto delle lettere. Scrive un po� in tutte le lingue e in un certo modo, è il primo grande filosofo tedesco. Rappresenta l� arrivo in Europa della filosofia tedesca. L� influenza di Leibniz sarà immediata sui filosofi romantici del XIX° sec. Tedesco, non solo, essa si farà sentire particolarmente in Nietzsche. Leibniz è uno dei filosofi più adatti per dare una risposta adeguata a questa domanda: che cos� è la filosofia? Chi è un filosofo? Di cosa si occupa? Se si pensa che le definizioni come la ricerca del vero, o della saggezza, non siano adeguate, c� è un� attività filosofica? Vorrei dire molto velocemente come io vedo il rapporto del filosofo con la sua attività. Si possono confrontare le attività solo in funzione di ciò che esse creano e del loro modo di creazione. Bisogna domandarci cosa crea un falegname? Cosa crea un musicista? Cosa crea un filosofo? Un filosofo, è per me qualcuno che crea dei concetti. Ciò implica diverse cose: che il concetto sia qualcosa che deve essere creato, che il concetto sia il termine di una creazione. Non vedo nessuna possibilità di definire la scienza se non s' indica qualcosa che è creato dalla e nella scienza. Ora, può darsi che ciò che è creato dalla e nella scienza, io non sappia bene cosa sia, ma non saranno dei concetti propriamente parlando. Il concetto di creazione è stato molto più legato all� arte piuttosto che alla scienza o alla filosofia. Che cosa crea un pittore? Crea linee e colori. Ciò implica che le linee e i colori non sono già dati, sono i termini di una creazione. Ciò che è già dato, al limite, potremmo sempre nominarlo un flusso. Sono i flussi che sono già dati e la creazione consiste nel ritagliare, organizzare, connettere dei flussi, in modo tale che si delinei o si compia una creazione intorno a certe singolarità estratte dai flussi. Un concetto non è per niente qualcosa di già dato. Inoltre un concetto non è la stessa cosa che il pensiero: possiamo facilmente pensare senza concetto, e anche tutti quelli che non fanno della filosofia, io credo che essi pensino, che pensino a tutti gli effetti, ma che non pensano per concetti - se voi accettate il fatto che il concetto sia il termine di una attività o d� una creazione autentica. Io direi che il concetto, è un sistema di singolarità prelevate da un flusso di pensiero. Un filosofo, è qualcuno che fabbrica concetti. E� qualcosa d� intellettuale? A mio avviso, no. Poiché un concetto in quanto sistema di singolarità prelevate da un flusso di pensiero& immaginate il flusso di pensiero

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universale come una specie di monologo interiore, il monologo interiore di tutti quelli che pensano. La filosofia scaturisce con l� atto che consiste a creare dei concetti. Per me, c� è tanta creazione nella fabbricazione di un concetto che nella creazione di un grande pittore o di un grande musicista. Possiamo concepire anche un flusso acustico continuo (forse non è che un idea, ma poco importa se questa idea è fondata) che attraversa il mondo e che comprenda anche il silenzio. Un musicista è qualcuno che preleva da questo flusso qualche cosa: delle note? No? Che cosa chiameremo il nuovo suono di un musicista? Sentite bene che non si tratta semplicemente del sistema di note. E� la stessa cosa per la filosofia, solo che non si tratta di creare dei suoni ma dei concetti. Non è questione di definire la filosofia con una ricerca qualunque della verità, e per una ragione molto semplice: ovvero che la verità è sempre subordinata al sistema di concetti di cui disponiamo. Qual� è l� importanza dei filosofi per i non-filosofi? E� che i non-filosofi possono benissimo non saperlo, o mostrare di disinteressarsene, che lo vogliano o no essi pensano attraverso dei concetti che hanno dei nomi propri. Riconosco il nome di Kant non alla sua vita, ma ad un certo tipo di concetti che sono firmati da Kant. Allora, essere discepolo di un filosofo è qualcosa che possiamo facilmente concepire. Se voi siete nella situazione di dire che tal filosofo ha segnato dei concetti per cui voi sentite il bisogno, in quel caso siete kantiani, leibniziani etc. E� una cosa che non stupisce il fatto che due grandi filosofi non siano d� accordo l� uno con l� altro nella misura in cui ognuno crea un sistema di concetti che gli serve da riferimento. Dunque non abbiamo solo questo da giudicare. Possiamo benissimo non essere discepoli che localmente, su questo o quel punto � la filosofia, se ne distacca (ça se détache). Voi potreste essere discepoli di un filosofo nella misura in cui voi ritenete avere una necessità personale per questo tipo di concetti. I concetti sono delle firme spirituali. Ma ciò non vuol dire che siano nella testa, perché i concetti sono anche dei modi di vita � e non è per scelta o per riflessione, il filosofo non riflette di più rispetto al pittore o al musicista -; le attività si definiscono per un' attività creatrice e non per una dimensione riflessiva. Quindi, cosa vuol dire: aver bisogno di questo o quel concetto? In un certo modo, mi dico io, i concetti sono delle cose talmente vive, veramente delle cose a quattro zampe, si muovono, ecco! Sono come un colore, come un suono. I concetti, sono talmente vivi, da non essere senza rapporto con ciò che a prima vista sembrerebbe qualcosa di molto lontano dal concetto, a ben vedere il grido. In un certo modo, il filosofo, non è qualcuno che canta, è qualcuno che grida. Ogni volta che voi avete bisogno di gridare, penso che non siate lontani da una specie di chiamata della filosofia. Che cosa vuol dire che il concetto sarebbe una specie di grido o una specie di forma del grido? E� questo, aver bisogno di un concetto: aver qualcosa da gridare! Bisognerà trovare il concetto di questo grido, qui& Possiamo gridare mille cose. Immaginate qualcuno che grida: � Comunque bisogna che tutto questo abbia una ragione� . E� un grido molto semplice. Nella mia definizione: il concetto è la forma del grido, immaginiamo subito una serie di filosofi che direbbero � si, si� ! Sono i filosofi della passione, i filosofi del pathos, distinti dai filosofi del logos. Per esempio, Kierkegaard, fondò tutta la sua filosofia su dei gridi fondamentali. Ma Leibniz è della grande tradizione razionalista. Immaginate Leibniz: c� è qualcosa che ci lascia sbigottiti. E� il filosofo dell� ordine; di più, dell� ordine e della polizia, in tutti i sensi della parola polizia. Nel primo senso della parola polizia soprattutto, ovvero l� organizzazione ordinata della città. Non pensa se non in termini d' ordine. In questo senso è estremamente reazionario, è l� amico dell� ordine. Ma stranamente, con questo gusto per l� ordine e per fondare quest� ordine, si abbandona ad una folle (démente) creazione di concetti mai vista in filosofia. Dei concetti scompigliati, i più esuberanti, i più disordinati, per giustificare ciò che è. Bisogna che ogni cosa abbia una ragione. In effetti, ci sono due tipi di filosofi, se voi accettate questa definizione della filosofia come l� attività che consiste nel creare concetti, ma ci sono come due poli: ci sono quelli che attuano una creazione di concetti molto sobria; creano dei concetti di tale singolarità ben distinta dalle altre, e infine, io sogno una specie di quantificazione dei filosofi nella quale si classificherebbero in base al numero di concetti che hanno firmato o inventato. Se io mi dico: Descartes, questo è il tipo di una creazione di concetti molto sobria.

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La storia del cogito, storicamente, possiamo sempre trovare tutta una tradizione, dei precursori, ma ciò non toglie che ci sia qualcosa firmato Descartes nel concetto cogito, a ben veder (una proposizione può esprimere un concetto) la proposizione: � io penso, quindi sono� , è veramente un nuovo concetto. E� la scoperta della soggettività, della soggettività pensante. E� firmata Descartes. Certo, si potrà sempre cercare in S. Agostino, verificare se non fosse già preparato � c� è sicuramente una storia dei concetti, ma è firmato Descartes. Descartes, non abbiamo fatto troppo alla svelta? Possiamo assegnargli cinque o sei concetti. E� qualcosa di grande aver inventato cinque o sei concetti, ma è una creazione sobria. E poi ci sono i filosofi esasperati. Per essi, ogni concetto copre un insieme di singolarità, e poi hanno sempre bisogno di altre, sempre di altri concetti. Assistiamo ad una folle creazione di concetti. L� esempio tipico è Leibniz; non la smette mai di creare qualcosa di nuovo. E� questo che vorrei spiegare. E� il primo filosofo a riflettere sulla potenza della lingua tedesca in rapporto al concetto, in cosa il tedesco è una lingua eminentemente concettuale, e non è per caso che essa possa essere anche una grande lingua del grido. Attività multiple � si occupa di tutto -, gran matematico, grandissimo fisico, valente giurista, molte attività politiche, sempre al servizio dell� ordine. Non smette mai, è molto ambiguo. C� è una visita di Leibniz a Spinoza (quest' ultimo, è l� anti-Leibniz): Leibniz fa leggere dei manoscritti, ci si immagina Spinoza esasperato domandarsi che cosa vuole questo tipo. A riguardo, quando Spinoza è attaccato Leibniz dice di non esser mai andato a fargli visita, dice che è stato da lui solo per sorvegliarlo& Abominevole. Leibniz è abominevole. Date: 1646-1716. Una lunga vita, a cavallo di molte cose. C� è infine una specie d' umore diabolico. Direi che il suo sistema è piuttosto piramidale. Il grande sistema di Leibniz ha diversi livelli. Nessuno di questi livelli è falso, questi livelli simbolizzano gli uni con gli altri e Leibniz è il primo grande filosofo a concepire l� attività e il pensiero come una vasta simbolizzazione. Quindi tutti questi livelli simbolizzano, ma sono tutti più o meno vicini a ciò che potremmo chiamare provvisoriamente l� assoluto. Ora, fa anche parte della sua opera. Seguendo il corrispondente di Leibniz o il pubblico al quale si rivolge, presenta tutto il suo sistema a tale livello. Immaginate che il suo sistema sia fatto di livelli più o meno contratti o più o meno distesi; per spiegare qualcosa a qualcuno, si installa a tale livello del suo sistema. Supponiamo che il qualcuno in questione sia sospettato da Leibniz di avere un� intelligenza mediocre: molto bene, è rapito (ravi), si installa ad un livello fra i più bassi del suo sistema; se si rivolge a qualcuno di più intelligente, salta a un altro livello. Come questi livelli facciano parte implicitamente degli stessi testi di Leibniz, ciò crea non pochi problemi per i commenti. E� complicato perché, a mio avviso, non si può mai basarsi su un testo di Leibniz se non si è dapprima sentito il livello del sistema al quale il testo in questione corrisponde.

Per esempio, ci sono dei testi in cui Leibniz spiega ciò che secondo lui è l� unione dell� anima e del corpo; bene, è a questo o a quel corrispondente. Ad un corrispondente spiegherà che non c� è nessun problema riguardo l� unione di anima e corpo poiché il vero problema, è il problema del rapporto delle anime tra loro. Le due cose non sono affatto contraddittorie, sono due livelli del sistema. Cosicché se non si valuta il livello di un testo di Leibniz, allora avremmo l� impressione che non la smetta mai di contraddirsi, ma in effetti non si contraddice per nulla. Leibniz è un filosofo molto difficile. Vorrei dare dei titoli ad ogni parte di ciò che ho da proporvi. Il grande 1) vorrei chiamarlo uno strano pensiero (Drôle de pensée). Quindi, sono autorizzato dall� autore stesso. Leibniz sognava molto, ha un lato fantascientifico assolutamente formidabile, immagina senza sosta delle istituzioni. In questo piccolo testo � Drôle de pensée� , immaginava un� istituzione molto inquietante che era la seguente: avremmo bisogno di un� accademia dei giochi. In quell� epoca, come anche in Pascal, o in altri matematici, in Leibniz stesso, venne allestita la grande teoria dei giochi e delle probabilità. Leibniz è uno dei grandi fondatori della teoria dei giochi. E� un appassionato dei problemi matematici di gioco, lui stesso doveva essere un buon giocatore. Immagina quest� accademia dei giochi che presenta come dover essere allo stesso tempo � perché allo stesso tempo? Perché il punto di vista in cui ci installiamo per vedere questa istituzione, o per parteciparne � essa sarebbe allo stesso tempo una sezione dell� accademia delle

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scienze, un giardino zoologico e botanico, una esposizione universale, un casinò dove si gioca, e un� impresa di controllo poliziesco. Non è niente male. Chiama tutto ciò un drôle de pensée.

Supponete che io vi racconti una storia. Questa storia consiste nel prendere uno dei punti centrali della filosofia di Leibniz, e che io ve la racconti come se fosse la descrizione d� un altro mondo, e anche qui numererò le proposizioni principali che formano un drôle de pensee. a)Il flusso di pensiero, da sempre, trascina con se un principio dal carattere molto particolare perché è uno dei pochi principi di cui possiamo esser sicuri, e allo stesso tempo non vediamo come potrebbe esserci utile. E� qualcosa di certo, ma vuoto. Questo celebre principio è il principio d� identità. Il principio d� identità ha un� enunciato classico: A è A. Ciò è sicuro. Se io dico il blu è blu, o Dio è Dio, non dico con questo che Dio esiste, in un certo senso mi trovo nella certezza. Soltanto, ecco: penso qualcosa quando dico A è A, oppure non penso? Proviamo comunque a dire cos� è che comporta questo principio d� identità. Si presenta sotto la forma di una proposizione reciproca. A è A, ciò vuol dire: soggetto A, verbo essere, A attributo o predicato, c� è una reciprocità del soggetto e del predicato. Il blu è blu, il triangolo è triangolo, sono proposizioni vuote e certe. Tutto qua? Una proposizione identica è una proposizione tale che l� attributo o il predicato è la stessa cosa del soggetto e può scambiarsi con esso. C� è un secondo caso, giusto un pochino più complesso, in cui il principio d� identità può determinare delle proposizioni che non sono semplicemente delle proposizioni reciproche. Non c� è più soltanto reciprocità del predicato col soggetto e del soggetto con il predicato. Supponete che io dica: � Il triangolo ha tre lati� , non è la stessa cosa che dire � il triangolo ha tre angoli� . � Il triangolo ha tre angoli� è una proposizione identica perché reciproca. � Il triangolo ha tre lati� è un po� diverso, non c� è reciprocità. Non c� è identità del soggetto e del predicato. In effetti, tre lati, non è la stessa cosa che tre angoli. Tuttavia c� è una necessità detta logica. E� una necessità logica nel senso che voi non potete concepire tre angoli che compongono una figura senza che questa figura abbia tre lati. Non c� è reciprocità ma inclusione. Tre lati sono inclusi in triangolo. Inerenza o inclusione. Allo stesso modo, se io dico che la materia è materia, � materia è materia� , è una proposizione identica sotto la forma di una proposizione reciproca; il soggetto è identico al predicato. Se io dico che la � materia è estesa� , è ancora una proposizione identica perché io non posso pensare il concetto di materia senza introdurci già da subito l� estensione. L� estensione è nella materia. Non è affatto una proposizione reciproca visto che io posso benissimo pensare un� estensione senza niente che la riempia, cioè senza materia. Non è quindi una proposizione reciproca, ma una proposizione d� inclusione; quando io dico � la materia è estesa� , questa è una proposizione identica per inclusione. Direi quindi che le proposizioni identiche sono di due tipi: sono proposizioni reciproche quelle in cui il soggetto e il predicato sono lo stesso e proposizioni d� inerenza o d� inclusione quelle in cui il predicato è contenuto nel concetto del soggetto. Se io dico � questa foglia ha un dritto e un rovescio� � no lasciamo perdere, sopprimo il mio esempio& A è A, è una forma vuota. Se io cerco un enunciato più interessante del principio di identità, direi alla maniera di Leibniz che il principio d� identità si enunci così: ogni proposizione analitica è vera. Cosa vuol dire analitica? In base agli esempi che abbiamo fatto, una proposizione analitica è una proposizione tale che il predicato o l� attributo è uguale al soggetto, esempio: � il triangolo è triangolo� , proposizione reciproca, sia proposizione d� inclusione � il triangolo ha tre lati� , il predicato è contenuto nel soggetto in modo che quando voi abbiate concepito il soggetto il predicato era già contenuto in lui. Vi basta quindi un� analisi per trovare il predicato nel soggetto. Fino a questo punto, Leibniz come pensatore originale non è ancora venuto in luce. b) Leibniz viene si mette in evidenza. Si mette in evidenza sotto la forma di questo grido molto strano. Gli darò un enunciato più complesso di quello di prima. Tutto ciò che si dice non è della filosofia, è della pre-filosofia, è il terreno sul quale scaturirà una filosofia molto prodigiosa. Leibniz arriva e dice: molto bene. Il principio d� identità ci da un modello certo. Perché un modello certo? Nel suo stesso enunciato, una proposizione analitica è vera se voi attribuite ad un soggetto

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qualcosa che non fa che uno con il soggetto stesso, o che si confonde, o che è già contenuto nel soggetto. Voi non rischiate di sbagliarvi. Quindi ogni proposizione analitica è vera. Il colpo di genio pre-filosofico di Leibniz, sta nel dire: analizziamo la reciproca! Qui comincia qualcosa di assolutamente nuovo e pertanto molto semplice � bisognava pensarci. E cosa vuol dire � bisognava pensarci� , ciò vuol dire che bisognava averne bisogno, che risolvesse qualcosa di molto urgente per lui. Che cos' è la reciproca del principio d� identità nel suo enunciato complesso � ogni enunciato analitico è vero� ? La reciproca pone molti problemi in più. Leibniz arriva e dice: � ogni proposizione vera è analitica� . Se è vero che il principio d� identità ci da un modello di verità, perché ci imbattiamo sulla difficoltà seguente, ovvero: è vero ma non ci fa pensare niente. Forziamo il principio d� identità a farci pensare qualcosa; lo invertiamo, lo rigiriamo. Voi mi direte che invertire A è A, da A è A. Sì e no. Fa A è A nella formulazione formale che impedisce il rovesciamento del principio. Ma nella formulazione filosofica, che riviene esattamente allo stesso tuttavia, � ogni proposizione analitica è una proposizione vera� , se voi rigirate il principio, � ogni proposizione vera è necessariamente analitica� , che cosa vuol dire? Ogni volta che voi formulate una proposizione vera, bisogna (ed è qui che c� è il grido), che voi lo vogliate o no, che sia analitica, cioè che essa sia riducibile a una proposizione d� attribuzione o di predicazione, e che non soltanto essa sia riducibile a un giudizio di predicazione o d� attribuzione (il cielo è blu), ma che essa sia analitica, cioè che il predicato sia o reciproco con il soggetto o contenuto nel concetto del soggetto? E� qualcosa d' evidente? Si lancia in una strana cosa, e non è una questione di gusto per cui dice tutto ciò, ne ha bisogno. Ma si immette in una cosa impossibile: avrà bisogno in effetti di concetti completamente storpi per riuscire a compiere il compito che si è dato. Se ogni proposizione analitica è vera, bisogna che ogni proposizione vera sia analitica. Non è per niente semplice da concepire che ogni giudizio sia riducibile a un giudizio d� attribuzione. Non sarà facile da dimostrare. Si lancia in un' analisi combinatoria, come lo dice lui stesso che è fantastica. Perché non è facile da concepire, non è evidente? � La scatola di fiammiferi è sulla tavola� , dirò che è un giudizio di cosa? � sulla tavola� , è una determinazione spaziale. Potrei dire che la scatola di fiammiferi è � qui� . � Qui� che cos� è? Direi che è un giudizio di localizzazione. Ancora, ridico delle cose molto semplici, ma esse sono sempre state dei problemi fondamentali per la logica. Giusto per suggerire che in apparenza tutti i giudizi non hanno per forma la predicazione o l� attribuzione. Quando io dico: � il cielo è blu� , io ho un soggetto, cielo, e un attributo, blu. Quando io dico: � il cielo è la in alto� , o � io sono qui� , � qui� , localizzazione nello spazio, è assimilabile a un predicato? Posso formalmente ridurre il giudizio � io sono qui� ad un giudizio del tipo � io sono biondo� ? non è sicuro che la localizzazione nello spazio sia una qualità. E � 2+2=4� è un giudizio che chiamiamo normalmente di relazione. O se io dico � Piero è più piccolo di Paolo� , è una relazione fra due termini, Piero e Paolo. Senza dubbio oriento questa relazione su Piero: se io dico � Piero è più piccolo di Paolo� , io posso dire che � Paolo è più grande di Piero� . Dov� è il soggetto, dov� è il predicato? Ecco esattamente il problema che ha turbato la filosofia fin dal suo inizio. Da quando si ha la logica, ci si è domandati in quale misura il giudizio d� attribuzione poteva essere considerato come la forma universale di ogni giudizio possibile, oppure soltanto un caso di giudizio tra gli altri. Posso trattare � più piccolo di Paolo� come un attributo di Piero? Non è sicuro. Non c� è niente di evidente. Forse bisogna distinguere dei tipi di giudizi molto diversi gli uni dagli altri, a ben vedere: giudizio di relazione, giudizio di localizzazione spazio-temporale, giudizio d� attribuzione, e d� altri ancora: giudizio d� esistenza. Se io dico: � Dio esiste� , posso tradurlo formalmente con � Dio è esistente� , essendo esistente un attributo? Posso dire che � Dio esiste� è un giudizio della stessa forma che � Dio è onnipotente� ? senza dubbio no, poiché non posso dire � Dio è onnipotente� se non aggiungendo � si, se esiste� . Dio esiste? L� esistenza è un attributo? Non è certo. Vedete quindi che enunciando l� idea che ogni proposizione vera debba essere in un modo o nell� altro una proposizione analitica, cioè identica, Leibniz si è già dato un compito molto difficile; si impegna a dimostrare in quale modo ogni proposizione possa essere riducibile al giudizio di attribuzione, le proposizioni che enunciano delle relazioni, le proposizioni che enunciano delle esistenze, le proposizioni che enunciano delle localizzazioni, e che, al limite, esistere, essere in relazione con,

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possano essere tradotti come l� equivalente dell� attributo del soggetto. Deve venir in luce nel vostro cervello l� idea di un compito infinito. Supponiamo che Leibniz ce la faccia; che mondo ne viene fuori? Quale strano mondo? Che cos� è questo mondo in cui io posso dire � ogni proposizione vera è analitica� ? Vi ricordate bene che ANALITICA, è una proposizione in cui il predicato è identico al soggetto o è incluso nel soggetto. Ne verrà fuori uno strano mondo. Che cos� è la reciproca del principio d� identità? Il principio d� identità, è quindi ogni proposizione vera è analitica, non l� inverso � ogni proposizione analitica è vera. Leibniz dice che c� è bisogno di un altro principio, la reciproca: ogni proposizione vera è necessariamente analitica. Gli darà un nome molto bello: principio di ragione sufficiente. Perché ragione sufficiente? Perché pensa di essere pienamente nel suo grido? BISOGNA CHE TUTTO ABBIA UNA RAGIONE. Il principio di ragione sufficiente può essere enunciato in questo modo: ogni cosa accada ad un soggetto, che siano delle determinazioni di spazio e di tempo, di relazione, evento, ogni cosa accada ad un soggetto, bisogna per forza che ciò che gli accade, ovvero ciò che si dice di lui con verità, bisogna che tutto ciò che si dice di un soggetto sia contenuto nella nozione del soggetto. Bisogna per forza che ogni cosa che accade ad un soggetto sia già contenuta nella nozione del soggetto. La nozione di � nozione� sarà essenziale. Bisogna che blu sia contenuto nella nozione di cielo. Perché è il principio di ragione sufficiente? Perché se così fosse, ogni cosa avrebbe una ragione; la ragione, è precisamente la nozione stessa in quanto contiene tutto ciò che accade al soggetto in questione. Allora tutto ha una ragione. Ragione = la nozione del soggetto in quanto questa nozione contiene tutto ciò che si dice con verità di questo soggetto. Ecco il principio di ragione sufficiente che è quindi proprio la reciproca del principio d� identità. Piuttosto che cercare delle giustificazioni astratte, mi domando quale strano mondo nascerà da tutto questo? Un mondo dai colori molto strani, riprendendo la mia metafora con la pittura. Un quadro firmato Leibniz. Ogni proposizione vera deve essere analitica o, ancora una volta, ogni cosa che voi dite con verità di un soggetto deve essere contenuta nella nozione del soggetto. Sentite che comincia già a divenire folle, c� è del lavoro per tutta la vita. Cosa vuol dire, la nozione? Questo, è firmato Leibniz. Come c� è una concezione hegeliana del concetto, c� è una concezione leibniziana del concetto.

c) ancora una volta il mio problema, è quale mondo sorgerà e in questo piccolo c) vorrei cominciare a dimostrare che, a partire da qui, Leibniz creerà dei concetti veramente allucinanti. E� veramente un mondo allucinatorio. Se voi volete pensare ai rapporti della filosofia con la follia, per esempio, esistono delle pagine poco convincenti di Freud sul rapporto intimo della metafisica con il delirio. Possiamo cogliere la positività di questi rapporti soltanto con una teoria del concetto, e la direzione in cui vorrei andare, sarebbe il rapporto del concetto con il grido. Vorrei farvi sentire questa presenza di una specie di follia concettuale nell� universo di Leibniz così come lo vedremo nascere. E� una dolce violenza, lasciatevi andare. Non si tratta di discutere. Capiate la sciocchezza delle obiezioni. Faccio una parentesi per complicare. Voi sapete che c� è un filosofo posteriore a Leibniz che ha detto che la verità, è quella dei giudizi sintetici? Si oppone a Leibniz. D� accordo! Cosa ci interessa? E� Kant. Non si tratta di dire che non sono d� accordo l� uno con l� altro. Quando dico questo, accredito a Kant un nuovo concetto che è il giudizio sintetico. Bisognava inventarlo questo concetto, e fu Kant ad inventarlo. Dire che i filosofi si contraddicono, è una frase da sciocchi, è come se diceste che Velasquez non era d� accordo con Giotto, è vero � non è neanche vero, è un non senso. Ogni proposizione vera deve essere analitica, cioè tale che essa attribuisce qualcosa a un soggetto e che l� attributo deve essere contenuto nella nozione del soggetto. Facciamo un esempio. Non mi domando se è vero, mi domando cosa vuol dire. Facciamo un esempio di proposizione vera. Una proposizione vera potrebbe essere una proposizione elementare concernente un evento che ha avuto luogo. Prendiamo gli esempi di Leibniz stesso: � CESARE HA ATTRAVERSATO IL RUBICONE� . E� una proposizione. Essa è vera o noi abbiamo delle forti ragioni per supporre che essa sia vera. Altra

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proposizione: � ADAMO HA PECCATO� . Ecco una proposizione altamente vera. Che cosa ne dite? Vedete che ognuna di queste proposizioni scelte da Leibniz come esempi fondamentali, sono delle proposizioni di eventi (événementielles), non si da un compito facile. Ci dice questo: poiché questa proposizione è vera, bisogna, che voi lo vogliate o no che il predicato � attraversare il Rubicone� , se la proposizione è vera, che questo predicato sia contenuto nella nozione di Cesare. Non in Cesare stesso, nella nozione di Cesare. La nozione del soggetto contiene tutto ciò che accade ad un soggetto, cioè tutto ciò che si dice di un soggetto con verità. In � Adamo ha peccato� , peccato in quel momento appartiene alla nozione di Adamo. Attraversare il Rubicone appartiene alla nozione di Cesare. Direi che qui Leibniz mette in gioco uno dei suoi primi grandi concetti, il concetto d' inerenza. Tutto ciò che si dice con verità di qualcosa è inerente alla nozione di questo qualcosa. E� il primo aspetto o lo sviluppo della ragione sufficiente.

d) quando diciamo ciò, non possiamo più fermarci. Quando si è cominciato nel dominio del concetto, non ci possiamo più fermare. Nel dominio dei gridi, c� è un grido famoso di Aristotele. Il grande Aristotele che, d� altronde, ha esercitato su Leibniz una forte influenza, esprime in un momento de La metafisica una formula molto bella: � bisogna proprio fermarsi� (anankéstenai). E� un gran grido. E� il filosofo davanti l� abisso della concatenazione dei concetti. Leibniz se ne frega, non si ferma. Perché? Se voi riprendete la proposizione c), tutto ciò che voi attribuite a un soggetto deve essere contenuto nella nozione di questo soggetto. Ma ciò che voi attribuite con verità a un soggetto qualunque nel mondo, che sia cesare, è sufficiente che voi gli attribuiate una sola cosa con verità per rendervi conto con spavento che, da quel momento, voi siete forzati di mettere nella nozione del soggetto, non solo la cosa che voi gli attribuite con verità, ma la totalità del mondo. Perché? In virtù di un principio ben conosciuto che non è in nessun caso quello della ragione sufficiente. E� il semplice principio di causalità. Perché in fin dei conti il principio di causalità va all� infinito, è questa la sua caratteristica. Ed è un infinito molto particolare poiché va verso l� indefinito. Il principio di causalità dice che ogni cosa ha una causa, ciò che è diverso dal dire che ogni cosa ha una ragione. Ma la causa, è una cosa, ed è a sua volta una causa, ecc., ecc. Posso fare la stessa cosa, ogni causa ha un effetto e questo effetto è a sua volta causa di effetti. Ci si presenta quindi una serie indefinita di cause e di effetti. Che differenza c� è fra la ragione sufficiente e la causa? Si capisce bene. La causa non è mai sufficiente. Bisogna dire che il principio di causalità pone una causa necessaria, ma non sufficiente. Bisogna distinguere la causa necessaria e la ragione sufficiente. Ciò che le distingue in tutta evidenza, è che la causa, è sempre altra cosa. La causa di A, è B, la causa di B, è C, ecc. serie indefinita di cause. La ragione sufficiente non è per niente altra cosa dalla cosa. La ragione sufficiente di una cosa, è la nozione della cosa. Quindi la ragione sufficiente esprime il rapporto della cosa con la sua propria nozione tanto è vero che la causa esprime il rapporto della cosa con un� altra cosa. E� chiaro.

e) Se voi dite che tal evento è compreso nella nozione di Cesare, � attraversare il Rubicone� è compreso nella nozione di Cesare. Non potete fermarvi, in che senso? E� che, di causa in causa e di effetto in effetto, è in questo momento che la totalità del mondo deve essere compresa nella nozione di tal soggetto. Ciò diventa curioso, ecco che il mondo accade all� interno di ogni soggetto, o di ogni nozione di soggetto. In effetti, attraversare il Rubicone ha una causa, questa causa ha essa stessa più cause, di causa in causa, in causa di causa, e in causa di causa di causa. Tutta la serie del mondo passa da qui, almeno la serie antecedente. Inoltre, attraversare il Rubicone, ciò ha degli effetti. Per restare a dei grossi effetti: instaurazione di un impero romano. L� impero romano a sua volta ha degli effetti, noi dipendiamo direttamente dall� impero romano. Di causa in causa e di effetto in effetto, voi non potete dire che tal evento è compreso nella nozione di tale soggetto senza dire che, in questo modo, il mondo intero è compreso nella nozione di tale soggetto.

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C� è proprio un carattere super-storico (trans-historique) della filosofia. Cosa vuol dire essere leibniziano nel 1980? E ce ne sono, in ogni caso è possibile che ce ne siano. Se voi avete detto, conformemente al principio di ragione sufficiente, che ciò che accade a un soggetto qualunque, e che lo riguarda personalmente � quindi ciò che voi gli attribuite con verità, avere gli occhi blu, attraversare il Rubicone, etc. � appartiene alla nozione del soggetto, cioè è compreso in questa nozione del soggetto, voi non potete arrestarvi, siete obbligati a dire che questo soggetto contiene il mondo intero. Questo non è più il concetto d� inerenza o d� inclusione, è il concetto d' espressione che, in Leibniz, è un concetto fantastico. Leibniz si esprime in questa forma: la nozione del soggetto esprime la totalità del mondo. Il suo proprio � attraversare il Rubicone� si estende infinitamente all� indietro e in avanti per il doppio gioco delle cause e degli effetti. Ma allora, è venuto il tempo per quanto ci riguarda, poco importa ciò che ci accade e l� importanza di ciò che ci accade. Bisogna dire che è ogni nozione di soggetto che contiene o esprime la totalità del mondo. Il che significa che ognuno di voi, io, esprime o contiene la totalità del mondo. Tutto come Cesare. Né più né meno. Diventa più complicato, perché? Grande pericolo: se ogni nozione individuale, se ogni nozione di soggetto esprime la totalità del mondo, ciò vuol dire che c� è un solo soggetto, un soggetto universale, e che voi, io, Cesare, non saremmo che delle apparenze di questo soggetto universale. Sarebbe una possibilità per poter dire questo: ci sarebbe un solo soggetto che esprime il mondo. Perché Leibniz non può dirlo? Non ha scelta. Sarebbe come negarsi. Tutto ciò che ha fatto precedentemente con il principio di ragione sufficiente, dove lo portava? Era a mio avviso la prima grande riconciliazione del concetto e dell� individuo. Leibniz stava costruendo un concetto del concetto tale che il concetto e l� individuo divenivano alla fine adeguati l� uno all� altro. Perché? Che il concetto vada fino all� individuale, perché e� qualcosa di nuovo? Nessuno aveva mai osato. Il concetto, che cos� e� ? Si definisce con l� ordine della generalità. Abbiamo un concetto quando si ha una rappresentazione che si applica a più cose. Ma che il concetto e l� individuo si identifichino, questo non si era mai fatto. Nessuna voce aveva mai riecheggiato nel dominio del pensiero per dire che il concetto e l� individualità� sono la stessa cosa. Si era sempre distinto un ordine del concetto che rinviava alla generalità e un ordine dell� individuo che rinviava alla singolarità. Ancor di più, si era sempre considerato come ovvio che l� individuo non era come tale comprensivo nel concetto. Si e� sempre ritenuto che il nome proprio non fosse un concetto. In effetti, � cane� e� un concetto, � Medor� non lo e� . C� e� , si, una caninità di tutti i cani, come dicono certi logici in uno splendido linguaggio, ma non c� e� una medorità di tutti i Medor. Leibniz e� il primo a dire che i concetti sono dei nomi propri, vale a dire che i concetti sono delle nozioni individuali. C� e� un concetto dell� individuo come tale. Quindi, capite bene che Leibniz non può ripiegarsi sulla proposizione poiché ogni proposizione vera e� analitica; il mondo quindi e� contenuto in un solo ed unico soggetto che sarebbe un soggetto universale. Non può poiché il suo principio di ragion sufficiente implicava che ciò che era contenuto in un soggetto � dunque ciò che era vero, ciò che era attribuibile ad un soggetto � era contenuto nel soggetto a titolo di soggetto individuale. Quindi non può darsi una specie di spirito universale. Bisogna che resti fisso alla singolarità, all� individuo come tale. E in effetti, questa sarà una delle grandi originalità di Leibniz, la sua formula perpetua: la sostanza (nessuna differenza fra sostanza e soggetto per lui), la sostanza e� individuale. E� la sostanza Cesare, e� la sostanza voi, la sostanza me, etc. Domanda urgente nella mia piccola d) poiché egli si e� sbarrato la strada per invocare uno spirito universale. Esiste anche un piccolissimo testo di Leibniz, intitolato Considerazioni sullo spirito universale, in cui mostra in cosa c� e� uno spirito universale, Dio, ma che ciò non impedisce alle sostanze di essere individuali. Poiché ogni sostanza esprime il mondo, o piuttosto ogni nozione sostanziale, ogni nozione di un soggetto, poiché ciascuna esprime il mondo, voi esprimete il mondo, da sempre. Ci diciamo, in effetti, ed e� in questione la vita perché l� obiezione viene spontanea, gli diciamo: ma allora, la libertà? Se tutto ciò che accade a Cesare e� incluso nella nozione individuale di Cesare, se il mondo intero e� compreso

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nella nozione universale di Cesare, Cesare, attraversando il Rubicone, non fa che svolgere � parola curiosa, evolvere, che appare spesso in Leibniz � o esplicare (e� la stessa cosa), cioè alla lettera dispiegare, come voi dispiegate un tappeto. E� la stessa cosa: esplicare, dispiegare, svolgere. Quindi attraversare il Rubicone come evento non fa che svolgere qualcosa che era compreso da sempre nella nozione di Cesare. Come vedete e� un vero problema. Cesare attraversa il Rubicone in tale anno, ma che attraversi il rubicone in tale anno, era compreso da sempre nella sua nozione individuale. Quindi, dov� e� questa nozione individuale? Essa e� eterna. C� e� una verità eterna degli eventi datati. Ma allora, e la libertà? Gli cade il mondo addosso. La libertà e� qualcosa di pericoloso nel regime cristiano. Allora Leibniz farà un piccolo opuscolo, Della libertà, in cui spiega cos� e� la libertà. Sarà qualcosa di molto strano per lui la libertà. Ma lasciamo da parte questo argomento per il momento. Ma cos� e� che distingue un soggetto da un� altro? Questa questione non possiamo lasciarla da parte per il momento, altrimenti spezziamo il nostro discorso. Che cosa distingue voi da Cesare poiché lui come voi esprimete la totalità del mondo, presente, passato e futuro? E� curioso questo concetto d' espressione. E� qui che lancia una nozione molto ricca.

f) Ciò che distingue una sostanza individuale da un� altra, non e� difficile. In un certo modo bisogna che sia irriducibile. Bisogna che ognuno, ogni soggetto, per ogni nozione individuale, ogni nozione di soggetto comprenda la totalità del mondo, esprima questo mondo totale, ma da un certo punto di vista. E qui comincia una filosofia prospettivista. E non e� poco. Voi mi direte: che cosa c� e� di più banale dell� espressione � un punto di vista� ? Se la filosofia significa creare dei concetti, cosa vuol dire creare dei concetti? In generale, sono delle formule banali. I grandi filosofi hanno ognuno delle formule banali alle quali strizzano l� occhio. Strizzare l� occhio per un filosofo e� , al limite, prendere una formula banale e divertirsi, voi non sapete cosa ci metterò dentro. Fare una teoria del punto di vista, cosa implica? Poteva esser fatta in qualsiasi momento? E� un caso che sia Leibniz a fare la prima grande teoria proprio in quel momento? Nel momento in cui lo stesso Leibniz crea un capitolo di geometria particolarmente fecondo, la geometria detta proiettiva. E� un caso che sia accaduto in seno ad un� epoca in cui si sono elaborate, in architettura come in pittura, ogni sorta di tecnica di prospettiva? Teniamo giusto di conto di questi due domini che simbolizzeremo così: l� architettura-pittura e la prospettiva nella pittura da una parte, e dall� altra la geometria proiettiva. Capite dove vuole arrivare Leibniz. Dirà che ogni nozione individuale esprime la totalità del mondo, si, ma da un certo punto di vista. Cosa vuol dire? Come non c� e� niente banalmente, pre-filosoficamente, anche qui non può più fermarsi. Lo costringe a mostrare che ciò che costituisce la nozione individuale in quanto individuale, e� un punto di vista. E dunque che il punto di vista e� più profondo di ciò che su di lui si posa. Bisogna proprio che ci sia, al fondo di ogni nozione individuale, un punto di vista che definisce la nozione individuale. Se volete, il soggetto e� secondo in rapporto al punto di vista. Ebbene, dire ciò, non e� affatto un gioco, non e� qualcosa di trascurabile. Fonda una filosofia che troverà accoglienza in un altro filosofo che tende così la mano a Leibniz al di là dei secoli, ovvero Nietzsche. Nietzsche dirà: la mia filosofia, e� il prospettivismo. Il prospettivismo, voi capite che diventa banale o idiota se ciò consiste nel dire che tutto e� relativo al soggetto, o che tutto e� relativo. Tutti lo dicono; fa parte di quelle proposizioni che non fanno male a nessuno poiché essa e� priva di senso. Ma aiuta la conversazione. Fin quando prendo la formula come significante tutto dipende dal soggetto, ciò non vuol dire niente, ho provocato, come si dice...

(Fine banda sonora)

...Ciò che fa me=me, e� un punto di vista sul mondo. Leibniz non potrà fermarsi, dovrà andare verso una teoria del punto di vista tale per cui il soggetto sia costituito dal punto di vista e non il punto di vista costituito dal soggetto. Quando, nel pieno del XIX secolo, Henry James rinnovò le tecniche del

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romanzo con un prospettivismo, con la mobilizzazione di punti di vista, anche in James, non sono i punti di vista che si esplicano dal soggetto, e� l� inverso, sono i soggetti che si esplicano dai punti di vista. Un' analisi dei punti di vista come ragione sufficiente dei soggetti, ecco la ragione sufficiente del soggetto. La nozione individuale, e� il punto di vista sotto il quale l� individuo esprime il mondo. Tutto ciò e� bello e anche poetico. James ha delle tecniche sufficienti per far sì che non ci sia un soggetto; diventa questo o quel soggetto colui che e� determinato ad essere in quel punto di vista. E� il punto di vista che esplica il soggetto e non l� inverso. Leibniz: � ogni sostanza individuale e� come un mondo intero e come uno specchio di Dio o se si vuole di tutto l� universo che ognuna esprime della sua maniera: più o meno come una stessa città e� diversamente rappresentata secondo le diverse situazioni di colui che la osserva. Così l� universo e� in qualche modo moltiplicato tante volte quante sono le sostanze, e la gloria di Dio aumenta allo stesso modo per quante rappresentazioni diverse del suo [????].� Parla come un cardinale. Si può anche dire che ogni sostanza porta in qualche modo il carattere della saggezza infinita e di tutta la potenza di Dio, e limita tanto quanto essa e� suscettibile. In questo e) dirò che il nuovo concetto di punto di vista è più profondo che di quello di individuo e di sostanza individuale. E� il punto di vista che definirà l� essenza. L� essenza individuale. Dobbiamo credere che, ad ogni nozione individuale corrisponde un punto di vista. Ma ciò si complica perché questo punto di vista varrebbe dalla nascita alla morte dell� individuo. Ciò che ci definirebbe, e� un certo punto di vista sul mondo. Dicevo prima che Nietzsche ritrovò questa idea. Non gli piaceva ma ciò che gli prese... La teoria del punto di vista, e� un� idea del rinascimento. Il Cardinale di Cuses, grande filosofo del rinascimento, invocò il ritratto mutante in base al punto di vista. Al tempo del fascismo italiano, era possibile vedere un ritratto molto strano un po� dappertutto: frontalmente rappresentava Mussolini, sulla destra rappresentava suo genero, e se ci si metteva sulla sinistra, rappresentava il re. L� analisi dei punti di vista, in matematica � ed anche qui e� Leibniz che fa fare a questo capitolo della matematica un progresso considerevole sotto il nome di analysis situs � (ed) e� evidente che e� legato alla geometria proiettiva. C� e� una specie d' essenzialità, d� oggettività� del soggetto, e l� oggettività� , e� il punto di vista. Concretamente, che ognuno esprima il mondo dal suo punto di vista, cosa vuol dire? Leibniz non si tira indietro davanti ai concetti anche i più strani. Non posso neanche più dire � dal suo proprio punto di vista� . Se io dicessi � dal suo proprio punto di vista� , farei dipendere il punto di vista del soggetto preliminare, oppure l� inverso. Ma che cos� e� che determina questo punto di vista? Leibniz: capite bene, ognuno di noi esprime la totalità del mondo, soltanto che la esprime oscuramente e confusamente. Oscuramente e confusamente, cosa vogliono dire nel vocabolario di Leibniz? Vogliono dire che la totalità del mondo e� sì in lui, ma sotto forma di piccola percezione. Le piccole percezioni. E� un caso che Leibniz sia uno degli inventori del calcolo differenziale? Sono delle percezioni infinitamente piccole, in altri termini delle percezioni incoscienti. Io esprimo tutto il mondo, ma oscuramente e confusamente, come un clamore. Più tardi, vedremo perché tutto questo e� legato al calcolo differenziale, ma sentite che le piccole percezioni o l� inconscio, sono come dei differenziali della coscienza, delle percezioni senza coscienza. Per la percezione cosciente, Leibniz si serve di un� altra parola: l� appercezione (aperception). L� appercezione, (apercevoir) scorgere-accorgersi-intravedere, e� la percezione cosciente, e la piccola percezione, è la differenziale della coscienza che non e� data nella coscienza. Tutti gli individui esprimono la totalità del mondo oscuramente e confusamente. Allora, cosa distingue un punto di vista da un altro punto di vista? In compenso, c� e� una piccola porzione del mondo che io esprimo chiaramente e distintamente, e ogni soggetto, ogni individuo ha la sua piccola porzione, in che senso? Nel senso molto preciso che questa porzione del mondo che io esprimo chiaramente e distintamente, la esprimono anche tutti gli altri soggetti, ma confusamente e oscuramente. Ciò che definisce il mio punto di vista, e� come una specie di proiettore che, nel rumore del mondo oscuro e confuso, salvaguarda una zona limitata d� espressione chiara e distinta. Anche stupidi che voi possiate essere, o insignificanti che

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possiamo essere, noi abbiamo il nostro piccolo affare (truc), anche il più piccolo parassita ha il suo piccolo mondo: non esprime molte cose chiaramente e distintamente, ma ha la sua piccola porzione. I personaggi di Beckett, sono degli individui: tutto e� confuso, dei rumori, non si capisce nulla, sono dei brandelli; c� e� il grande rumore del mondo. Pietosi che siano nel loro bidone della spazzatura, hanno una piccola zona tutto loro. Ciò che il grande Molloy chiama � le mie proprietà� . Non si muove più, ha il suo piccolo gancio e, nel raggio di un metro, con il suo gancio, padroneggia delle cose, le sue proprietà. E� la zona chiara e distinta che egli esprime. Siamo tutti in questa situazione. Ma la nostra zona e� più o meno grande, e ancora non e� certo, ma non e� mai la stessa. Ciò che fa il punto di vista, che cos� è? E� la proporzione della regione del mondo espressa chiaramente e distintamente da un individuo in rapporto alla totalità del mondo espressa oscuramente e confusamente. E� questo, il punto di vista. C� e� una metafora cara a Leibniz: voi siete vicini al mare e ascoltate le onde. Voi ascoltate il mare e sentite il rumore di un� onda, e ho un' appercezione: distinguo un� onda. E Leibniz dice: voi non sentireste l� onda se non aveste avuto prima una piccola percezione inconscia del rumore di ogni goccia d� acqua che scivola l� una in rapporto all� altra, e che fanno l� oggetto delle piccole percezioni. C� e� il rumore di tutte le gocce d� acqua, e voi avete la vostra piccola zona di chiarezza, cogliete chiaramente e distintamente una risultante parziale di questo infinito di gocce, di questo infinito del rumore, e ne fate il vostro piccolo mondo, la vostra proprietà. Ogni nozione individuale ha il suo piccolo punto di vista, ciò vuol dire che da questo punto di vista, essa preleva sull� insieme del mondo che egli esprime una porzione determinata d� espressione chiara e distinta. Dati due individui, voi avete due possibilità: o le loro zone non comunicano assolutamente, e non simbolizzano l� una con l� altra � non ci sono soltanto delle comunicazioni dirette, possiamo pensare che ci siano anche delle analogie � e in questo caso non abbiamo niente da dirci; oppure sono come due cerchi che si intersecano: c� e� una piccola zona comune; in questo caso si può fare qualcosa insieme. Leibniz può quindi dire con forza che non ci sono due sostanze individuali identiche, non ci sono due sostanze individuali che abbiano lo stesso punto di vista o che abbiamo esattamente la stessa zona chiara e distinta d� espressione. E infine, colpo di genio di Leibniz: che cosa definirà la zona d� espressione chiara e distinta che io ho? Io esprimo la totalità del mondo ma non ne esprimo chiaramente e distintamente che una porzione ridotta, una porzione finita. Quello che io esprimo chiaramente e distintamente, ci dice Leibniz, e� ciò che ha attinenza col mio corpo (qui a trait à mon corps). E� la prima volta che interviene questa nozione di corpo. Vedremo cosa vuol dire questo corpo, ma ciò che io esprimo chiaramente e distintamente è ciò che affetta il mio corpo. Quindi, si capisce che io non esprimo chiaramente e distintamente il passaggio del Rubicone � questo, questo concerneva il corpo di Cesare. C� e� qualcosa che concerne il mio corpo e che io sono il solo ad esprimere chiaramente e distintamente, sul fondo di questo rumore che ricopre tutto l� universo.

g) In questa storia della città, c� e� una difficoltà. Ci sono diversi punti di vista � molto bene. Questi punti di vista preesistono al soggetto che ci si posa sopra, molto bene. A questo momento, il segreto del punto di vista e� matematico; e� geometrico e non psicologico. In ogni caso almeno psichico-geometrico. Leibniz e� un uomo di nozione, non e� un uomo di psicologia. Ma tutto mi spinge a pensare che la città esiste fuori dai punti di vista. Ma nella mia storia di mondo espresso, nella maniera in cui siamo partiti, il mondo non ha nessuna esistenza al di fuori del punto di vista che lo esprime � il mondo non esiste in se. Il mondo, e� unicamente l� espresso comune di tutte le sostanze individuali, ma l� espresso non esiste al di fuori di ciò che lo esprime. Il mondo non esiste in se, il mondo, esso e� unicamente l� espresso. Il mondo intero e� contenuto in ogni nozione individuale, ma non esiste se non in quest� inclusione. Non ha esistenza al di fuori. E� in questo senso che Leibniz sarà sovente, e non a torto, dalla parte degli idealisti: non c� e� un mondo in se, il mondo non esiste se non nelle sostanze individuali che l� esprimono. E� l� espresso comune di tutte le sostanze individuali. E� l� espresso di ogni sostanza individuale, ma l� espresso non esiste fuori delle sostanze che lo esprimono.

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E� un vero problema! Che cosa distingue queste sostanze? Il fatto e� che esse esprimono tutte lo stesso mondo, ma non esprimono la stessa porzione chiara e distinta. E� come un gioco di scacchi. Il mondo non esiste. E� la complicazione del concetto d' espressione che ci pone di fronte a quest� ultima difficoltà. Inoltre bisogna che tutte le nozioni individuali esprimano lo stesso mondo. Allora è strano � è strano, perché in virtù del principio d� identità che ci permette di determinare ciò che è contraddittorio, ovvero ciò che è impossibile -, sarebbe A che non è A. E� contraddittorio. Esempio: il cerchio quadrato, è un cerchio che non è un cerchio. Quindi, a partire dal principio d� identità, io posso avere un criterio della contraddizione. Secondo Leibniz, io posso dimostrare che 2 + 2 non può fare 5, io posso dimostrare che un cerchio non può essere quadrato. Tanto che, al livello della ragione sufficiente, è molto più complicato. Perché? Perché Adamo non peccatore, Cesare che non attraversa il Rubicone, non sono come il cerchio quadrato. Adamo non peccatore, non è contraddittorio. Sentite come proverà a salvare la libertà, una volta immessosi in una situazione difficile per salvarla. Non è per niente impossibile: Cesare avrebbe potuto non attraversare il Rubicone, tanto è vero che un cerchio non può essere quadrato � qui non c� è libertà. Allora, siamo di nuovo bloccati, ancora Leibniz ha bisogno di un nuovo concetto e, fra tutti i suoi folli concetti, sarà senza dubbio il più folle. Adamo avrebbe potuto non peccare, quindi in altri termini, le verità rette dal principio di ragione sufficiente non sono dello stesso tipo delle verità rette dal principio d� identità, perché? Perché le verità rette dal principio d� identità sono tali che il loro contraddittorio è impossibile, tanto che le verità rette dal principio di ragione sufficiente hanno un contraddittorio possibile: Adamo non peccatore è possibile. Ciò è anche tutto quello che distingue, secondo Leibniz, le verità dette d� essenza e le verità dette d� esistenza. Le verità d� esistenza, sono tali per cui il loro contraddittorio è possibile. Come farà Leibniz ad eliminare quest� ultima difficoltà: come può mantenere allo stesso tempo tutto ciò che Adamo ha di fatto contenuto da sempre nella sua nozione individuale (e potrà essendo Adamo non peccatore possibile)? Sembra bloccato, è delizioso perché sotto questo aspetto i filosofi, sono un poco come dei gatti, è quando sono bloccati che si disimpegnano, oppure come un pesce: è il concetto divenuto pesce. Ci racconterà la cosa seguente: che Adamo non peccatore, è perfettamente possibile, come Cesare che non ha attraversato il Rubicone; tutto ciò è possibile ma non si è prodotto perché, anche se possibile in se, è incompossibile. Ed ecco che crea il concetto molto strano di incompossibilità. Al livello delle esistenze, non basta che una cosa sia possibile per esistere, ma abbiamo bisogno di sapere con cosa essa è compossibile. Adamo non peccatore, nel momento in cui è possibile in se stesso, è incompossibile con il mondo che esiste. Adamo avrebbe potuto non peccare, si, ma a condizione di avere un altro mondo. Vedete che l� inclusione del mondo nella nozione individuale, e il fatto che un� altra cosa fosse possibile, concilia in un sol colpo, con la nozione di compossibilità, Adamo non peccatore fa parte di un altro mondo. Adamo non peccatore sarebbe stato possibile, ma questo mondo non è stato scelto. E� incompossibile con il mondo esistente. Esso non è compossibile se non con altri mondi possibili che non sono passati all� esistenza. Perché è proprio questo mondo che è passato all� esistenza? Leibniz spiega quella che è, secondo lui, la creazione dei mondi fatta da Dio, e capiamo bene in che modo essa sia una teoria dei giochi: Dio, nel suo intelletto, concepisce un infinità di mondi possibili, solo che questi mondi possibili non sono conpossibili gli uni con gli altri, e ciò risulta chiaro dal fatto che è Dio a scegliere il migliore. Sceglie il migliore dei mondi possibili. E notiamo che il migliore dei mondi possibili implica Adamo peccatore. Perché? Sarà orribile. Ciò che è interessante logicamente, è la creazione di un concetto proprio di compossibilità per designare una sfera logica più ristretta di quella della possibilità logica. Per esistere, non basta che qualcosa sia possibile, c� è bisogno anche che questa cosa sia conpossibile con le altre che costituiscono il mondo reale. In una formula celebre de La monadologia, Leibniz dice che le nozioni individuali sono senza porte e senza finestre. Questo correggerà la metafora della città. Senza porte né finestre, ciò vuol dire che non

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ci sono aperture. Perché? Perché non c� è l� esteriore. Il mondo che le nozioni individuali esprimono è interiore, è incluso nelle nozioni individuali. Le nozioni individuali sono senza porte e senza finestre, tutto è incluso in ognuna, e tuttavia c� è un mondo comune a tutte le nozioni individuali: il fatto è che ogni nozione individuale include, a ben vedere la totalità del mondo, lo include sotto una forma in cui ciò che essa esprime è conpossibile con ciò che le altre esprimono. Che meraviglia. E� un mondo in cui non c� è nessuna comunicazione diretta tra i soggetti. Tra Cesare e voi, tra voi e me, non c� è nessuna comunicazione diretta, e come diremmo oggi, ogni nozione individuale è programmata in tal modo che ciò che essa esprime forma un mondo comune con ciò che esprime l� altra. E� uno degli ultimi concetti di Leibniz: l� armonia prestabilita. Prestabilita, è assolutamente un� armonia programmata. E� l� idea dell� automa spirituale, e allo stesso tempo è la grande era degli automi, questa fine del XVII° secolo. Ogni nozione individuale è come un automa spirituale, ovvero ciò che essa esprime è interiore a essa, essa è senza porte né finestre; essa è programmata in tal modo che ciò che essa esprime sia in compossibilità con ciò che un� altra esprime. Ciò che ho fatto oggi è stata unicamente una descrizione del mondo di Leibniz, anzi solo una parte di questo mondo. Quindi, abbiamo illustrato successivamente le nozioni seguenti: ragione sufficiente, inerenza e inclusione, espressione o punto di vista, incompossibilità.

Lezione del 22/04/1980L� ultima volta, come d� accordo, abbiamo cominciato una serie di studi su Leibniz che dobbiamo concepire come introduzione ad una lettura � la vostra � di Leibniz. Per introdurre una chiarezza di tipo numerico, io vorrei numerare i paragrafi per non rischiare di mescolare il tutto. L� ultima volta, il nostro primo paragrafo era una specie di presentazione dei concetti principali di Leibniz. Sullo sfondo di tutto questo, c� era un problema riguardante Leibniz, anzi era forse qualcosa di molto più generale: che cosa significhi precisamente fare della filosofia, e abbiamo visto, partendo da una nozione molto semplice che fare della filosofia significherebbe creare dei concetti, come fare della pittura significa creare delle linee e dei colori. Fare della filosofia, significa creare dei concetti, perché i concetti non sono qualcosa di già preesistente. Non sono qualcosa che sia dato già tutto fatto, e in questo senso bisogna definire la filosofia come un� attività creativa: creazione di concetti. Questa definizione sembrava convenire perfettamente a Leibniz che, precisamente in una filosofia d� apparenza fondamentalmente razionalista, si lascia andare ad una specie di creazione esuberante di concetti insoliti di cui ci sono pochi esempi nella storia della filosofia.Se i concetti sono l'oggetto di una creazione, allora dobbiamo dire che questi sono firmati. C� è una firma, non che la firma stabilisca un legame tra il concetto e il filosofo che lo crea, sono molto di più i concetti stessi ad essere delle firme. Tutto il primo paragrafo aveva fatto venire in luce un certo numero di concetti propriamente leibniziani. I due principali che avevamo visto erano l� inclusione e la compossibilità. Tutti i tipi di cose sono incluse in certe altre cose, oppure inviluppate in certe cose. Inclusione, inviluppamento (avvolgimento, fr.enveloppement). Poi un tutt� altro concetto, molto strano, quello di compossibilità: ci sono cose che sono possibili in se stesse ma che non sono compossibili con altre.Oggi, vorrei dare come titolo a questo secondo paragrafo, a questa seconda ricerca su Leibniz, � Sostanza, Mondo e Continuità� . Questo secondo paragrafo si promette di analizzare più precisamente questi due concetti maggiori di Leibniz: Inclusione e Compossibilità. Nel punto in cui ci siamo fermati l� ultima volta, ci trovavamo davanti a due problemi: il primo era proprio quello dell� inclusione. In che senso? Abbiamo visto che se una proposizione era vera, bisogna che in un modo o in un altro il predicato o l� attributo sia contenuto o incluso non nel soggetto, ma nella nozione del soggetto. Se una proposizione e� vera, bisogna che il predicato sia incluso nella nozione del

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soggetto. Lasciamoci andare, diamo fiducia a tutto questo, e, come dice Leibniz, se Adamo ha peccato bisogna che peccato sia contenuto o incluso nella nozione individuale d'Adamo. Bisogna che tutto ciò che accade, che tutto ciò che si può attribuire, tutto ciò che si predica di un soggetto sia contenuto nella nozione del soggetto. E� una filosofia della predicazione. Davanti ad una proposizione così strana, se accettiamo questa specie di scommessa di Leibniz, ci imbattiamo da subito in alcuni problemi. A ben vedere, se un evento qualunque, un evento qualunque che concerne tale nozione individuale, come Adamo o Cesare � Cesare attraversa il Rubicone, bisogna che attraversare il Rubicone sia incluso nella nozione individuale di Cesare � molto bene, d� accordo, siamo tutti pronti a sostenere Leibniz. Ma se diciamo questo, non possiamo più fermarci: se una sola cosa e� contenuta nella nozione individuale di Cesare, come � attraversare il Rubicone� , bisogna proprio che di effetto in causa e di causa in effetto, la totalità del mondo sia contenuta in questa nozione individuale. In effetti, attraversare il rubicone ha esso stesso una causa che deve a sua volta essere contenuta nella nozione individuale, ecc., ecc., all� infinito, salendo e discendendo. A questo punto bisogna che l� impero romano che, in generale, scaturisce dall� attraversamento del Rubicone, e che tutte le vicissitudini dell� impero romano, bisogna che in un modo o nell� altro esse siano incluse nella nozione individuale di Cesare. Così che ogni nozione individuale sarà gonfiata dalla totalità del mondo che essa esprime. Essa esprime la totalità del mondo. Ecco che la proposizione diventa sempre più strana. Ci sono sempre stati dei momenti deliziosi nella storia della filosofia e uno di quei momenti fu quando l� estremo limite della ragione, voglio dire quando il razionalismo spinto al limite delle sue conseguenze generò e coincise con una specie di delirio. E fu un delirio della follia. In quel momento si assiste ad una specie di corteo, di sfilata, in cui sono la stessa cosa il razionale spinto fino al limite della ragione e il delirio, ma il delirio della follia la più pura. Quindi ogni nozione individuale, se è vero che il predicato è incluso nella nozione del soggetto, bisogna proprio che ogni nozione esprima la totalità del mondo, e che la totalità del mondo sia inclusa in ogni nozione. Abbiamo visto che ciò conduceva Leibniz ad una teoria straordinaria che, la prima grande teoria della filosofia della prospettiva, o del punto di vista, poiché ogni nozione individuale sarà detta esprimere e contenere il mondo; si, ma da un certo punto di vista che e� più profondo, a ben vedere è la soggettività che rinvia alla nozione di punto di vista e non la nozione del punto di vista che rinvia alla soggettività. Ciò avrà molte conseguenze in filosofia, a cominciare dall� eco che si farà sentire in Nietzsche nella creazione di una filosofia prospettivista. Il primo problema è questo: quando affermiamo che il predicato è contenuto nel soggetto, ciò supponeva che venisse sollevata ogni sorta di difficoltà, a ben vedere, le relazioni possono essere riportate a dei predicati? Gli eventi possono essere considerati come dei predicati? Ma accettiamo tutto questo. Non possiamo dare torto a Leibniz se non partendo da un insieme di coordinate concettuali (diverse) da quelle di Leibniz. Una proposizione vera è tale che l� attributo è contenuto nel soggetto, vediamo bene cosa ciò può voler dire al livello delle verità d� essenza. Le verità d� essenza, ossia le verità metafisiche (riguardanti Dio), o le verità matematiche. Se io dico 2 + 2 = 4, ci sarebbe molto da discutere al riguardo, ma capisco immediatamente ciò che Leibniz vuol dire, sempre indipendentemente dalla questione se abbia ragione o torto, è già così difficile sapere cosa qualcuno stia dicendo, se poi, ci domandiamo se ha ragione, ma non abbiamo finito. 2 + 2 = 4 è una proposizione analitica. Io ricordo che una proposizione analitica è una proposizione tale che il predicato è contenuto nel soggetto o nella nozione del soggetto, in altre parole è una proposizione identica o riducibile all� identica. Identità del predicato con il soggetto. In effetti, ci dice Leibniz, io posso dimostrare, alla fine di una serie di passi, di un numero finito di tappe operative, io posso dimostrare che 4, in virtù della definizione, e 2 + 2, in virtù della loro definizione, sono identiche. Posso veramente dimostrarlo? E in che modo? Evidentemente io non pongo il problema del come? In generale si capisce cose vuol dire: il predicato è compreso nel soggetto, ciò vuol dire che, alla fine di un insieme di operazioni, io posso dimostrare l� identità dell� uno con l� altro. Leibniz fa un esempio in un piccolo testo che si chiama � Della libertà� . Dimostra che ogni numero divisibile per dodici è per ciò stesso anche divisibile per sei.

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Ogni numero dodicinale (doudenaire) è sestiario (sexaire). Notate che nella logistica del XIX° e del XX° secolo, voi ritroverete delle dimostrazioni di questo tipo che hanno fatto, com� e� noto la gloria di Russell. La dimostrazione di Leibniz è molto convincente: dimostra dapprima che ogni numero divisibile per dodici è identico ai divisibili per due, moltiplicati per due, moltiplicati per tre. Non è difficile. Dimostra anche che divisibile per sei è uguale a divisibile per due, moltiplicato per tre. Cosa voleva dirci? Ci ha fatto vedere un� inclusione poiché due moltiplicato per tre è contenuto in due moltiplicato per e moltiplicato per tre. E� un esempio, ci fa capire al livello delle verità matematiche che noi possiamo affermare che la proposizione corrispondente è analitica o identica. Cioè che il predicato è contenuto nel soggetto. Ciò vuol dire, alla lettera, che io posso fare in un insieme, in una serie d� operazioni determinate, una serie finita di operazioni determinate � e su questo insisto -, io posso dimostrare l� identità del predicato con il soggetto, o io posso far sorgere un� inclusione del predicato nel soggetto. Ed e� lo stesso. Io posso manifestare questa inclusione, io posso mostrarla. O io dimostro l� identità oppure mostro l� inclusione. Ha mostrato l� inclusione quando ha mostrato, per esempio... [????] una identità pura sarebbe stata: ogni numero divisibile per dodici è divisibile per dodici, ma qui siamo davanti ad un altro caso di verità d� essenza: ogni numero divisibile per dodici e� divisibile per sei, questa volta non si accontenta di dimostrare un� identità, mostra un � inclusione alla in base al risultato di una serie di operazioni finite, ben determinate. Queste sono le verità d� essenza. Io posso dire che l� inclusione del predicato nel soggetto e� dimostrata dall� analisi e che questa analisi risponde alla condizione di essere finita, cioè che essa non comporta che un numero limitato di operazioni ben determinate. Ma quando io dico che Adamo ha peccato, o che Cesare ha attraversato il Rubicone, che cos� e� ? Ciò non rinvia più ad una verità d� essenza, c� è una data, Cesare ha attraversato il Rubicone qui e ora, ciò ha un riferimento all� esistenza, Cesare attraversa il Rubicone solo se esiste. 2 + 2 = 4 si fa in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Quindi, abbiamo tutte le ragioni per distinguere le verità d� essenza dalle verità d� esistenza. La verità della proposizione � Cesare ha attraversato il Rubicone� non è dello stesso tipo di 2 + 2 = 4. Ma tuttavia, in virtù dei principi che abbiamo visto l� ultima volta, per le verità d� esistenza non meno che per le verità d� essenza, bisogna che il predicato sia nel soggetto e compreso nella nozione del soggetto; compreso quindi da sempre nella nozione del soggetto, è incluso da sempre che Adamo peccherà in tal luogo e a tal momento. E� una verità d� esistenza. Non meno che per le verità d� essenza, anche nelle verità d� esistenza, il predicato deve essere contenuto nel soggetto. Non meno, vuol dire allo stesso modo. E in effetti, ed è questo il nostro problema, qual� è la prima grande differenza che c� è tra la verità d� essenza e la verità d� esistenza? Lo sentiamo da subito. Per le verità d� esistenza, Leibniz ci dice che anche in questo caso il predicato è contenuto nel soggetto. Bisogna che � peccatore� sia contenuto nella nozione individuale d� Adamo, solo che: se peccatore è contenuto nella nozione individuale d� Adamo, è il mondo intero che è contenuto nella nozione individuale d� Adamo, rimontando per le cause e discendendo agli effetti, visto che è il mondo intero, capite che la proposizione � Adamo ha peccato� deve essere una proposizione analitica, soltanto che in questo caso l� analisi è infinita. L� analisi va all� infinito. Che cosa può voler dire? Sembra voler dire questo: per dimostrare l� identità� di � peccatore� e di � Adamo� , o l� identità� di � chi attraversò il Rubicone� e � Cesare� , abbiamo bisogno questa volta di una serie infinita di operazioni. E� chiaro che non siamo capaci, o che almeno sembra che non ne siamo capaci. Siamo capaci di un� analisi all� infinito? Leibniz è molto formale: no, voi non potrete, noi uomini, noi non possiamo. Allora, per orientarci nel dominio delle verità d� esistenza, dobbiamo aspettare l� esperienza. Allora perché abbiamo bisogno di tutta questa storia sulle verità analitiche? Aggiunge: si, ma l� analisi infinita è, in compenso, non solo possibile ma fatta nell� intelletto di Dio. Ma ci viene in aiuto il fatto che Dio, lui che non ha limiti, lui che è infinito, possa fare l� analisi infinita? Ne siamo contenti, siamo contenti per lui, ma a prima vista ci si domanda cosa Leibniz ci stia raccontando. Ritengo che la nostra prima difficoltà sia questa: che cos� è l� analisi infinita? Ogni

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proposizione è analitica, solo che, c� è tutto un altro dominio delle nostre proposizioni che rimanda ad un� analisi infinita. Abbiamo una speranza: se Leibniz è un grande creatore del calcolo differenziale o dell� analisi infinitesimale, senza dubbio è un matematico, ed ha sempre distinto le verità filosofiche da quelle matematiche, e quindi non è questione di mischiare tutto; ma è impossibile pensare che, nel momento in cui egli scopre in metafisica una certa idea dell� analisi infinita, essa non abbia certe eco in rapporto a un certo tipo di calcolo che ha inventato lui stesso, cioè il calcolo dell� analisi infinitesimale. Quindi, ecco la mia prima difficoltà: quando l� analisi va all� infinito, di quale tipo o quale è il modo dell� inclusione del predicato nel soggetto? In quale modo � peccatore� è contenuto nella nozione d� Adamo, una volta detto che l� identità di peccatore e di Adamo non può apparire se non in una analisi infinita? Cosa vuol dire analisi infinita quando sembra invece che non ci siano analisi se non sotto le condizioni di una finitezza ben determinata? E� un bel problema. Secondo problema. Ho appena illustrato una prima differenza tra le verità d� essenza e le verità d� esistenza. Nelle verità d� essenza l� analisi è finita, nelle verità d� esistenza l� analisi è infinita. Non è la sola, c� è una seconda differenza: secondo Leibniz, una verità d� essenza è tale che il contrario è impossibile, in altre parole è impossibile che 2 + 2 non faccia 4. Perchè? per la semplice ragione che io posso dimostrare l'identità di 4 con 2 + 2 alla fine di una serie di passaggi finiti. Quindi 2 + 2 = 5, possiamo dimostrare che è contraddittorio e che è impossibile. Adamo non peccatore, Adamo che non avrebbe peccato, prendo il contraddittorio di peccatore. E� possibile. La prova è che, seguendo il grande criterio della logica classica � e al riguardo Leibniz resta nella logica classica -, io non posso pensare niente quando dico 2 + 2 = 5; io non posso pensare l� impossibile, come non posso pensare niente secondo questa logica quando dico cerchio quadrato. Ma posso pensare benissimo un Adamo che non avrebbe peccato. Le verità d� esistenza sono dette verità contingenti. Cesare avrebbe potuto non attraversare il Rubicone. Ammirevole è la risposta di Leibniz: certo, Adamo avrebbe potuto non peccare, Cesare non attraversare il Rubicone. Soltanto che, ciò non era compossibile con il mondo esistente. Un Adamo peccatore include un altro mondo. Questo mondo era possibile in se stesso, un mondo in cui il primo uomo non avrebbe peccato è un mondo logicamente possibile, solo che non e� compossibile con il nostro. Ciò vuol dire che Dio ha scelto un mondo nel quale Adamo pecchi. Adamo peccatore implicava un altro mondo: questo mondo era possibile ma non era compossibile con il nostro. Perchè Dio ha scelto questo mondo? Leibniz lo spiegherà. Capite che a questo livello, la nozione di compossibilità diventa molto strana: che cosa mi dirà che due cose sono compossibili e che altre due sono incompossibili? Adamo non peccatore appartiene ad un mondo diverso dal nostro, e così anche Cesare non ha attraversato il Rubicone sarebbe stato un altro mondo possibile. Che cos� è questa relazione molto insolita di compossibilità? Capite che potrebbe essere la stessa domanda di che cos� è l� analisi infinita?, ma essa non ha lo stesso aspetto. Ed ecco che possiamo ricavarne un sogno, possiamo fare questo sogno su molti livelli. Voi sognate, e una specie di strega vi fa entrare in un palazzo; questo palazzo... (E� il sogno di Apollodoro raccontato da Leibniz.) Apollodoro va a vedere una dea e questa dea lo porta in questo palazzo, e questo palazzo è composto da più palazzi. Leibniz ama molto tutto ciò, delle scatole che contengono altre scatole. In un testo che dovremo analizzare, spiega che nell� acqua c� è pieno di pesci, che nei pesci c� è acqua, e che nell� acqua di questi pesci ci sono pesci di pesci: è l� analisi infinita. L� immagine del labirinto lo persegue. Non la smette di parlare del labirinto del continuo. Questo palazzo ha la forma di una piramide, il vertice è verso l� alto, ma non c� è una fine. Poi mi rendo conto che ogni sezione della piramide costituisce un palazzo. In seguito, guardo più da vicino e, nella sezione più alta della mia piramide, più vicino alla punta, vedo un personaggio che fa una certa cosa. Poco più in basso, vedo lo stesso personaggio che fa un� altra cosa in un altro posto. Ancora più in basso lo stesso personaggio in un� altra situazione, come se ogni sorta di rappresentazione teatrale fosse recitata simultaneamente, del tutto diversa, in ognuno dei palazzi, con dei personaggi che hanno dei lineamenti comuni. E� un grosso libro di Leibniz che si chiama Teodicea, vale a dire, la giustizia divina.

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Voi capite, quello che vuol dire, il fatto è che ad ogni livello, è un mondo possibile. Dio ha scelto di far passare all� esistenza il mondo estremo, il più vicino alla punta della piramide. Su cosa si è basato per sceglierlo? Lo vedremo, non dobbiamo avere fretta perché sarà un problema difficile, i criteri della scelta di Dio. Ma, una volta detto che ha scelto tale mondo, questo mondo implicò Adamo peccatore; in un altro mondo, chiaramente tutto ciò è simultaneo, ci sono delle varianti, possiamo concepire altra cosa e ogni volta avremmo un mondo. Ognuno di essi è possibile. Sono incompossibili gli uni con gli altri, uno solo può passare all� esistenza. Ora, tutti tendono con tutte le loro forze di passare all'esistenza. La visione che Leibniz ci propone della creazione del mondo da parte di Dio diventa molto stimolante. Ci sono tutti questi mondi che si trovano nell� intelletto di Dio, ed ognuno di questi spinge con la pretensione di passare dal possibile all� esistente. Hanno un peso reale, in funzione delle loro essenze. In funzione delle essenze che contengono tendono a passare all� esistenza. E non è possibile perché non sono compossibili gli uni con gli altri: l� esistenza è come uno sbarramento. Una sola combinazione passerà. Quale? Immaginate già quale sarà la splendida risposta di Leibniz: sarà la migliore! E non la migliore in virtù di una teoria morale, ma in virtù di una teoria dei giochi. E non a caso Leibniz è uno dei fondatori della statistica e del calcolo dei giochi. E tutto questo si complicherà... Che cos� è questa relazione di compossibilità? Ora voglio giusto segnalare un autore, oggi celebre, che è leibniziano. Cosa vuol dire essere leibniziani oggi? Credo che voglia dire due cose: una non molto interessante e una molto interessante. L� ultima volta, affermavo che il concetto è in un rapporto speciale con il grido. C� è una maniera non interessante di essere leibniziani o d� essere spinoziani oggi, quella per necessità di mestiere, dei tipi lavorano su un autore, ma c� è un� altra maniera di fare appello ad un filosofo. In questo caso, non è professionale. Sono dei tipi che possono non essere filosofi. Ciò che trovo formidabile nella filosofia, è quando un non filosofo scopre una specie di familiarità che non posso più chiamare concettuale, ma che coglie immediatamente una familiarità fra i suoi propri gridi e i concetti del filosofo. Penso a Nietzsche, aveva letto Spinoza molto presto e, in una lettera, dopo averlo riletto da poco, esclamava: stento a crederci! Stento a crederci! Non ho mai avuto una relazione con un filosofo come quella che ho avuto con Spinoza. E ciò mi interessa ancor di più quando accade a dei non filosofi. Come quando il romanziere inglese Lawrence esprime in poche linee lo sconvolgimento che gli da Spinoza. Grazie a Dio non diventa comunque filosofo. Cosa coglie? Che cosa vuol dire? Quando Kleist si imbatté in Kant, alla lettera, non si riprese. Che cos� e� questa comunicazione? Spinoza ha scosso molti incolti... Borges e Leibniz. Borges, e� un autore estremamente sapiente, che ha letto molto. Lavora sempre a due cose: il libro che non esiste...

(Fine banda sonora.)

& gli piacciono le storie poliziesche, Borges. In Finzioni, c� è il racconto � Il giardino dei sentieri che si biforcano� . Riassumo la storia mentre voi tenete in mente il famoso sogno della Teodicea. � Il giardino dei sentieri che si biforcano� , che cos� è? E� il libro infinito, il mondo delle compossibilità. L� idea del filosofo cinese alle prese con il labirinto, è un� idea dei contemporanei di Leibniz. Appare in pieno XVII° secolo. Esiste un celebre testo di Malebranches che è l� intervista con il filosofo cinese, contiene cose molto curiose. Leibniz è affascinato dall� Oriente, cita spesso Confucius. Borges ha fatto una copia conforme di Leibniz ma con una differenza essenziale: per Leibniz, tutti i mondi diversi in cui, che Adamo pecchi in un certo modo o che pecchi in un altro oppure che non pecchi per niente, un infinità di mondi che però si escludono gli uni con gli altri, sono incompossibili gli uni con gli altri. Tanto è vero che mantiene un principio di disgiunzione molto classico: o è questo mondo o è l� altro. Tanto che Borges, invece, mette tutte queste serie incompossibili nello stesso mondo. Ciò permette una moltiplicazione degli effetti. Leibniz non avrebbe mai ammesso che le incomposibilità facciano parte di uno stesso mondo. Perché? Ecco le nostre due difficoltà: la prima, è di sapere cos� è un analisi infinita; in secondo luogo, che cos� è questa relazione di d� incompossibilità? Labirinto dell� analisi infinita e labirinto della compossibilità.La maggior parte dei commentatori di Leibniz, che io sappia, tenta infine di riportare la compossibilità

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al semplice principio di contraddizione. Quindi ci sarebbe una contraddizione fra Adamo non peccatore e il nostro mondo. Ma a riguardo, la lettera di Leibniz ci è parsa di tale natura da far si che ciò non sia possibile. Non è possibile poiché Adamo non peccatore non è contraddittorio in se e la relazione di compossibilità è assolutamente irriducibile alla semplice relazione di possibilità logica. Quindi provare a vederci una semplice contraddizione logica vorrebbe dire ancora una volta ridurre le verità d� esistenza alle verità d� essenza. In questo modo sarà difficile definire la compossibilità. Sempre in questo paragrafo sulla sostanza, il mondo e la continuità, vorrei porre la domanda che cos� è un� analisi infinita? Vi chiedo di essere molto pazienti. Bisogna diffidare dei testi di Leibniz perché sono sempre adattati a dei corrispondenti ben determinati, e se io riprendo il suo sogno dovrei variarlo, e una variante del sogno sarebbe che, anche all� interno dello stesso mondo, ci sarebbero dei livelli di chiarezza e di oscurità tali che il mondo potrebbe essere presentato da tal o tal� altro punto di vista.. Cosicché dobbiamo sempre sapere a chi sono rivolti i testi di Leibniz per poterli giudicare. Ed ecco un primo tipo di testo di Leibniz in cui ci dice che in ogni proposizione il predicato è contenuto nel soggetto. Soltanto che esso è contenuto o in atto � attualmente � o virtualmente. Il predicato è contenuto nel soggetto, ma questa inclusione, questa inerenza, è o attuale o virtuale. Si ha voglia di dire che tutto ciò va molto bene. Conveniamo che in una proposizione del tipo Cesare ha attraversato il Rubicone, l� inclusione non è che virtuale, ovvero attraversare il Rubiconde è contenuto nella nozione di Cesare, ma non è che virtualmente contenuto. Secondo tipo di testo: l� analisi infinita sotto la quale peccatore è contenuto nella nozione di Adamo, è un� analisi indefinita, cioè io rimonterò da peccatore a un altro termine, poi a un altro termine ancora, ecc. Esattamente come se peccatore = I/2 + I/4 + I/8, ecc., all� infinito. Questo darebbe un certo statuto: diremmo che l� analisi infinita è un� analisi virtuale, è un� analisi che va verso l� indefinito. Ci sono dei testi di Leibniz che ci dico tutto questo, per esempio nei Discorsi di metafisica, ma in questo libro, Leibniz presenta e propone la totalità del suo sistema ad uso di persone che conoscono poco la filosofia. Ora prendo un altro testo che sembra contraddire il primo. In un testo più sapiente, Della libertà, Leibniz impiega la parola virtuale, ma molto stranamente impiega questa parola non riguardo alle verità d� esistenza, la impiega riguardo alle verità d� essenza. Questo testo è sufficiente per dire che non è possibile che la distinzione verità d� essenza/verità d� esistenza si riduca al fatto che nelle verità d� esistenza l� inclusione sia solo virtuale, poiché l� inclusione virtuale, è un caso delle verità d� essenza. In effetti, voi vi ricorderete che le verità d� essenza rinviano a due casi: la pura e semplice identità con cui si dimostra l� identità del predicato e del soggetto, e ricavarne un� inclusione del tipo ogni numero divisibile per 12 è divisibile per 6 (io dimostro l� inclusione in base ad un� operazione finita). Ora, è per questo caso che Leibniz dice: ho fatto sorgere un� identità virtuale. Quindi non basta dire che l� analisi infinita è virtuale. Possiamo dire che è un� analisi indefinita? No, perché un� analisi indefinita sarebbe come dire che è un� analisi infinita solo per difetto della mia conoscenza, ovvero sarebbe come dire che non riesco ad arrivare fino alla fine. Invece Dio, con il suo intelletto, arriverebbe fino alla fine. Potremmo dirla così? No, non è possibile che Leibniz voglia dire questo perché l� indefinito non è mai esistito per lui. Sarebbe una nozione incompatibile, anacronistica. Indebito, non è un qualcosa che appartiene a Leibniz. Cos� è precisamente l� indefinito? Che differenza c� è fra l� indefinito e l� infinito? L� indefinito, è il fatto che io debba sempre passare da un termine ad un altro termine, sempre, senza sosta, ma senza che il termine seguente al quale pervengo preesista già. E� il mio proprio procedimento che consiste a far esistere. Se io dico 1 = ¼ + 1/8, ecc., non dobbiamo credere che � ecc.� preesista, è il mio processo che ogni volta lo fa sorgere, cioè l� indefinito esiste in un procedimento per il quale io non smetto di respingere il limite al quale mi oppongo. Niente preesiste. Fu Kant il primo a dare uno statuto all� indefinito, e questo statuto sarà precisamente che l� indefinito rinvia a un insieme che non è separabile dalla sintesi successiva che lo percorre. Ovvero che i termini della serie indefinita non preesistono alla sintesi che va da un termine all� altro. Leibniz non conosce tutto questo. Inoltre, l� indefinito gli sembra puramente convenzionale o simbolico � perché? C� è un autore che ha detto molto bene ciò che caratterizza i filosofi del XVII° secolo, Merleau-Ponty. Ha fatto un piccolo testo sui

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filosofi detti classici del XVII° sec., e prova a caratterizzarli in vivo modo, diceva che quello che c� è d� incredibile in questi filosofi, è una maniera innocente di pensare a partire dall� infinito e in funzione dell� infinito. E� questo il secolo classico. Questo è molto più intelligente che dire che fu un epoca in cui la filosofia era mischiata con la teologia. E� facile dir così. Bisogna dire che se la filosofia è ancora mischiata con la teologia nel XVII° secolo, ciò avvenne perché in quel momento la filosofia non era separabile da una maniera innocente di pensare in funzione dell� infinito. Quali differenze ci sono fra l� infinito e l� indefinito? L� indefinito è del virtuale: in effetti, il termine seguente non preesiste prima che il mio processo l� abbia costituito. Che cosa vuol dire? L� infinito, è dell� attuale, non c� è dell� infinito se non in atto. Allora ci possono essere ogni sorta di infiniti. Pensate a Pascal. E� un secolo in cui non si smetterà di distinguere diversi ordini di infiniti, e il pensiero degli ordini di infiniti è fondamentale in tutto il XVII° secolo. Ci ricadrà addosso, questo pensiero alla fine del XIX° e nel XX° secolo, precisamente con la teoria degli insiemi detti infiniti. Con gli insiemi infiniti ritroviamo qualcosa che lavorava dalla base la filosofia classica, vale a dire la distinzione degli ordini di infiniti. Ora, quali sono i grandi nomi in questa ricerca sugli ordini di infinito? Chiaramente Pascal, Spinoza con la famosa lettera sull� infinito, e poi Leibniz che subordinò tutta una struttura matematica all� analisi dell� infinito e gli ordini di infiniti. Ossia, in quale senso possiamo dire che un ordine di infiniti è più grande di un altro? Che cos� è un infinito che è più grande di un altro infinito?, ecc. Maniera innocente di pensare a partire dall� infinito, ma in nessun senso confusamente poiché viene introdotta ogni sorta di distinzione. Nel caso delle verità d� esistenza, l� analisi di Leibniz è chiaramente infinita. Non è indefinita. Quindi, quando impiega le parole di virtuale, ecc., c� è un testo formale che da ragione a questa interpretazione che io cerco di delineare, è un testo tratto da Della libertà in cui Leibniz dice esattamente questo: � quando si tratta di analizzare l� inclusione del predicato peccatore nella nozione individuale Adamo, Dio vede certamente, ma non la fine della risoluzione, fine che non ha luogo.� Quindi, in altri termini, anche per Dio questa analisi non ha fine. Allora, voi mi direte che è dell� indefinito anche per Dio? No, non è dell� indefinito poiché tutti i termini dell� analisi sono dati. Se era dell� indefinito, non ci sarebbero tutti i termini, sarebbero conosciuti mano a mano. Non sarebbero già preesistenti. In altri termini, a quale risultato arriviamo in un� analisi infinita: voi avete un passaggio di elementi infinitamente piccoli gli uni negli altri, essendo data l� infinità degli elementi infinitamente piccoli. Diremo di un tale infinito che è attuale, poiché la totalità degli elementi infinitamente piccoli è data. Voi mi direte che allora si può arrivare alla fine! No, per natura, voi non potete arrivare alla fine, visto che si tratta di un insieme infinito. La totalità degli elementi è data, e voi passate da un elemento ad un altro, ed avete quindi un insieme infinito di elementi infinitamente piccoli. Voi passate da un elemento ad un altro: voi fate un� analisi infinita, i.e. un� analisi che non ha fine, né per voi né per Dio. Che cosa vedete se fate questa analisi? Supponiamo che ci sia solo Dio che può farla: voi fate dell� indefinito perché il vostro intelletto è limitato, ma Dio, lui fa dell� infinito. Non vede la fine dell� analisi perché non c� è fine all� analisi, ma fa l� analisi. Inoltre, tutti gli elementi dell� analisi gli sono presenti in un infinito attuale. Ciò vuol dire che peccatore è legato ad Adamo. Peccatore è un elemento. E� legato alla nozione individuale di Adamo per un infinità di altri elementi attualmente dati. D� accordo, è tutto il mondo esistente, ovvero tutto questo mondo compossibile che è passato all� esistenza. Incontriamo qui qualcosa di molto profondo. Quando faccio l� analisi, io passo da cosa a cosa? Passo da Adamo peccatore a Eva tentatrice, da Eva tentatrice a serpente cattivo, poi a mela. E� un� analisi infinita ed è questa analisi infinita che mostra l� inclusione di peccatore nella nozione individuale di Adamo. Che cosa vuol dire: elemento infinitamente piccolo? Perché il peccato è un elemento infinitamente piccolo? Perché la mela è un elemento infinitamente piccolo? Perché attraversare il Rubicone è un elemento infinitamente piccolo? Capite cosa voglia dire? Non ci sono elementi infinitamente piccoli, e allora elemento infinitamente piccolo è evidente che vorrà dire, neanche a dirlo, un rapporto infinitamente piccolo fra due elementi. Si tratta di rapporti, non si tratta di elementi. In altri termini, un rapporto infinitamente piccolo fra due elementi, che cosa può essere? Che cosa ci cambia se diciamo che non si tratta di elementi infinitamente piccoli, ma bensì di rapporti

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infinitamente piccoli fra due elementi? Voi capirete che se io parlo a qualcuno che non ha nessuna idea del calcolo differenziale, potremmo dirgli che sono degli elementi infinitamente piccoli. Leibniz ha ragione. Se è qualcuno che ne ha una conoscenza molto vaga, bisognerà che capisca che sono dei rapporti infinitamente piccoli fra elementi finiti. Se è qualcuno di molto informato sul calcolo differenziale, io potrei forse dirgli altre cose. L� analisi infinita che dimostrerà l� inclusione del predicato nel soggetto al livello delle verità d� esistenza, essa non procede per dimostrazione d� una identità, anche virtuale. Non è questo. Ma Leibniz, in un altro cassetto, ha un� altra formula da darci: l� identità, regola le verità d� essenza, non regola le verità d� esistenza � ogni volta dice il contrario, ma non ha nessuna importanza, domandatevi a chi lo dice. Ma allora cos� è? Ciò che lo interessa a livello di verità d� esistenza, non è l� identità del predicato e del soggetto, ma passare da un predicato ad un altro, ecc., dal punto di vista di un� analisi infinita, cioè del massimo di continuità. In altri termini, è l� identità che regola le verità d� essenza, ma è la continuità che regola le verità d� esistenza. E che cos� è un mondo? Un mondo è definito per la sua continuità. Che cosa separa due mondi incompossibili? Il fatto che ci sia discontinuità fra i due mondi. Che cosa definisce un mondo compossibile? La compossibilità di cui è capace. Che cosa definisce il migliore dei mondi? E� il mondo il più continuo. Il criterio di scelta di Dio sarà la continuità. Di tutti i mondi incompossibili gli uni con gli altri e possibili in se stessi, Dio farà passare all� esistenza quello che realizza il massimo di continuità. Perché il peccato di Adamo è compreso nel mondo che ha il massimo di continuità? Bisogna credere che il peccato di Adamo è una formidabile connessione diretta fra il peccato di Adamo e l� incarnazione e la redenzione di Cristo. C� è continuità. Ci sono delle serie che vanno ad inscatolarsi al di là delle differenze di tempo e di spazio. In altri termini, nel caso delle verità d� essenza, io dimostravo un� identità in cui facevo vedere un' inclusione; nel caso delle verità d� esistenza, io testimonierò una continuità assicurata dai rapporti infinitamente piccoli fra due elementi. Due elementi saranno in continuità nel momento in cui potrò assegnare un rapporto infinitamente piccolo fra questi due elementi. Sono passato dall� idea di elemento infinitamente piccolo a un rapporto infinitamente piccolo fra due elementi, ma non basta. Ci vuole qualcosa di più. Poiché ci sono due elementi, c� è una differenza tra i due: fra il peccato di Adamo e la tentazione di Eva, c� è una differenza; ma qual è la formula della continuità? Si potrà definire la continuità come l� atto di una differenza in quanto essa tende a svanire. La continuità, è una differenza che tende a scomparire. Che cosa vuol dire che c� è continuità tra la seduzione di Eva e il peccato di Adamo? Il fatto è che la differenza fra i due è una differenza che tende a svanire. Direi quindi che le verità d� essenza sono regolate dal principio d� identità, le verità d� esistenza sono regolate dalla legge di continuità o dalle differenze svanenti, non fa differenza. Quindi tra peccatore e Adamo voi non potrete mai dimostrare un� identità logica, ma voi potrete dimostrare � e la parola dimostrazione non cambierà di senso -, una continuità, cioè una o più differenze che tendono a svanire. Un� analisi infinita è un� analisi del continuo operante per differenze svanenti. Ciò rinvia ad una certa simbolica, simbolica del calcolo differenziale o dell� analisi infinitesimale. Ed è nello stesso momento che Newton e Leibniz teorizzano il calcolo differenziale. Ora, l� interpretazione del calcolo differenziale con le categorie che tendono a svanire, appartiene a Leibniz. In Newton& tutti e due lo inventano veramente allo stesso tempo, l� armatura logica e teorica è molto diversa in Leibniz e in Newton, lo stesso tema della differenziale concepita come differenza svanente, è interamente di Leibniz. Del resto, ci tiene moltissimo, e ci fu una grande polemica fra i newtoniani e Leibniz. La nostra storia si fa più precisa: che cos� è questa differenza svanente? [Gilles Deleuze fa un disegno con il gesso]. Le equazioni differenziali, oggi, sono fondamentali. Non c� è fisica senza equazione differenziale. Matematicamente, oggi, il calcolo differenziale si è tolto di dosso ogni considerazione sull� infinito � la specie di statuto assiomatico del calcolo differenziale per cui non è più assolutamente questione d� infinito appare alla fine del XIX° secolo. Ma ritorniamo al tempo di Leibniz, mettetevi nei panni di

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un matematico: che cosa farà nel momento in cui si troverà davanti a delle grandezze o delle quantità di potenza diversa, delle equazioni le cui variabili hanno diversa potenza, equazioni del tipo ax2 + y? Voi avete una quantità alla potenza 2 e una quantità alla potenza 1. Come fare per confrontarle? Voi sapete tutta la storia delle quantità incommensurabili. Nel XVII° secolo, le quantità a potenza diversa hanno preso un nome simile: sono le quantità incomparabili. Tutta la teoria delle equazioni si blocca, nel XVII° secolo, su questo problema che è un problema fondamentale, anche nell� algebra la più semplice: a cosa serve il calcolo differenziale? Il calcolo differenziale vi permette di procedere ad una comparazione diretta di quantità a potenza diversa. E non solo a questo. Il calcolo differenziale trova il suo livello più proprio di applicazione quando ci troviamo davanti a degli incomparabili, cioè davanti a delle quantità di potenza diverse. Perché? In ax2 + y, supponiamo che in qualche modo voi estraiate dx e dy. Dx è la differenziale di x, dy è la differenziale di y. Che cosa vuol dire? Lo diremo verbalmente, per convenzione diremo che dx o dy, è la quantità infinitamente piccola che supponiamo aggiunto o sottratta da x o da y. Ecco un' invenzione! La quantità infinitamente piccola& cioè la più piccola variazione della quantità considerata. Essa è inassegnabile per convenzione. Quindi dx = 0 in x, è la più piccola quantità per cui possa variare x, quindi uguale a zero. Dy = 0 in rapporto a y. Comincia a prendere corpo la nozione di differenza svanente. E� una variazione o una differenza, dx o dy; essa è più piccola di qualsiasi quantità data o che potrebbe essere data. E� un sistema matematico. In un certo senso è qualcosa di folle, in un altro operativo. Di cosa? Ecco cosa è formidabile nel simbolismo del calcolo differenziale: dx = 0 per rapporto a x, la più piccola differenza, il più piccolo accrescimento di cui sia capace la quantità x o la quantità y inassegnabile, è l� infinitamente piccolo. Miracolo, dy non è uguale adxZero e anche di più: dy ha una quantità finita perfettamente esprimibile. dx Sono dei relativi, unicamente dei relativi. Dx non è niente in rapporto a x, dy non è niente in rapporto a y, ma ecco che dy è qualcosa. DxStupefacente, ammirevole, grande scoperta matematica. E� qualcosa, perché in un esempio come ax2 � by + c, voi avete due potenze delle quali voi avete delle quantità incomparabili: y2 e x. Se voi considerate il rapporto differenziale, esso non è zero, ma è determinato, è determinabile. Il rapporto dy vi da modo di mettere a confronto le due quantitàDxIncomparabili che avevano potenze differenti poiché attua una depotenzializzazione delle quantità. Quindi vi da un modo diretto di confrontare delle quantità incomparabili di potenze diverse. Da questo momento tutta la matematica, tutta l� algebra, tutta la fisica si inscriveranno nel simbolismo del calcolo differenziale& [& ] E� questo rapporto fra dx e dy che ha reso possibile questa specie di compenetrazione della realtà fisica e del calcolo matematico. C� è un piccolo appunto di tre pagine che si chiama � Giustificazione del calcolo degli infinitesimali con quello dell� algebra ordinaria� . Con questo, capirete tutto. Leibniz prova a spiegare che in un certo modo il calcolo differenziale era già in funzione ancor prima di esser scoperto, e che non poteva essere altrimenti, anche al livello dell� algebra la più ordinaria. [Lunga spiegazione di Gilles Deleuze alla lavagna, con disegno: costruzione dei triangoli] X non è uguale a y, né in un caso né nell� altro poiché sarebbe contrario ai dati stessi della costruzione del problema. Nella misura in cui in questo caso voi potrete scrivere x = c, c ed e sono degli zero. Y e sono, come dice lui, dei niente, ma non dei niente in assoluto, sono dei niente rispettivamente. Ovvero sono dei niente ma che conservano la differenza del rapporto. Quindi c non diventa uguale a e poiché resta proporzionale a x e x non è uguale a y.

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YE� una giustificazione del vecchio calcolo differenziale, e l� interesse di questo testo è che è una giustificazione fatta con l� algebra più facile o ordinaria. Questa giustificazione non mette in causa niente della specificità del calcolo differenziale. Leggo questo testo molto bello: � Quindi nel caso presente, ci sarà x-c = x. Supponiamo che questo caso sia compreso sotto una regola generale e che tuttavia c ed e non saranno dei niente in assoluto poiché tengono insieme la ragione di cx per xy, o quella che c� è fra il seno intero o raggio e la tangente che tocca l� angolo in c, il quale angolo, noi abbiamo supposto che rimanga sempre lo stesso. Poiché se c, C ed e fossero dei niente in assoluto in questo calcolo ridotto al caso della coincidenza dei punti c, e ed a, siccome un niente vale l� altro allora c ed e sarebbero uguali e dell� equazione o analogia x = c faremmo x = 0 = 1. Y ed e ed y 0Sarebbe come dire che x = y ovvero un� assurdità.� � così troviamo nel calcolo dell� algebra le tracce del calcolo trascendente delle differenze (i.e. il calcolo differenziale), e le sue stesse singolarità per cui qualche sapiente si fa degli scrupoli, e anche il calcolo algebrico non potrebbe andare avanti se dovesse conservare i suoi vantaggi dei quali uno dei più considerabili è la generalità che gli è data al fine di poter comprendere tutti i casi.� E� esattamente in questo modo che io posso che io posso considerare il riposo come un movimento infinitamente piccolo, o che il cerchio è il limite di una serie infinita di poligoni i cui lati aumentano all� infinito. Che cosa c� è che possiamo mettere a confronto in tutti questi esempi? Bisogna considerare il caso in cui c� è un solo triangolo come nel caso dei due triangoli somiglianti opposti alla loro estremità. Ciò che Leibniz ha dimostrato in questo testo, è come e in quali circostanze un triangolo può essere considerato come nel caso estremo dei due triangoli somiglianti opposti alla loro estremità. Qui forse sentite che stiamo per dare al � virtuale� il senso che cercavamo. Potrei dire che nel caso della mia seconda figura in cui c� è solo un triangolo, l� altro triangolo c� è, ma c� è solo virtualmente. C� è virtualmente poiché a contiene virtualmente e, c è distinto da a. Perché c ed e restano distinti da a quando non esistono più. C ed e restano distinti da a quando non esistono più perché essi intervengono in un rapporto che, lui, continua ad esistere quando i termini sono svaniti. E� in questo modo che il riposo sarà considerato come il caso particolare di un movimento, ovvero un movimento infinitamente piccolo. Nella mia seconda figura, xy, non dirò affatto che è il triangolo CEA che è sparito, nel senso comunemente inteso, ma dobbiamo dire che allo stesso tempo è divenuto inassegnabile e pertanto è perfettamente determinato visto che in questo caso c = 0, e = 0, ma c non è uguale a zero. EC è un rapporto perfettamente determinato uguale a x. e yQuindi è determinabile e determinato, ma è inassegnabile. Allo stesso modo il riposo è un movimento perfettamente determinato, ma è un movimento inassegnabile; uguale il cerchio è un poligono inassegnabile e tuttavia perfettamente determinato. Capirete ora cosa vuol dire virtuale. Il virtuale non significa affatto l� indefinito � e qui tutti i testi di Leibniz possono testimoniarlo. Attuò un� operazione diabolica: prese la parola virtuale, senza dire niente � è un suo diritto -, gli darà una nuova accezione molto rigorosa ma senza dire niente. Non lo dirà se non in altri testi: non voleva più dire andare verso l� indefinito, ma voleva dire inassegnabile e tuttavia determinato. E� una concezione del virtuale allo stesso tempo molto nuova e molto rigorosa. C� era ancora bisogno della tecnica e dei concetti per far sì che questa espressione, un po� misteriosa ai suoi inizi, prendesse un senso. E� inassegnabile poiché c è divenuto uguale a zero, e poiché e è divenuto uguale a zero. Tuttavia è completamente determinato visto che c, ovvero 0 non è uguale a e 0zero né a 1, è uguale a x.

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YInoltre aveva molto talento per fare il professore. Riusciva a spiegare anche a qualcuno che avesse soltanto delle nozioni di algebra elementare cos� è il calcolo differenziale. Senza presupporre nessuna nozione sul calcolo differenziale. L� idea che ci sia continuità nel mondo, mi sembra ci siano troppi commentatori di Leibniz che fanno più teologia di quanto Leibniz avesse auspicato: si accontentano di dire che l� analisi infinita, è nell� intelletto di Dio, e ciò è vero seguendo alla lettera i testi; ma ci troviamo nella situazione in cui abbiamo forse, con il calcolo differenziale, l� artificio non per uguagliare l� intelletto di Dio, ciò è sicuramente impossibile, ma il calcolo differenziale ci da un artificio tale da poterci permettere di operare un� approssimazione ben fondata di ciò che accade nell� intelletto di Dio così come possiamo avvicinarlo grazie a questo simbolismo del calcolo differenziale; poiché dopo tutto anche Dio opera per simbolica, non la stessa chiaramente. Quindi, questa approssimazione della continuità sta nel fatto che il massimo di continuità è assicurato quando dato un caso, il caso estremo o contrario di questo può essere considerato da un certo punto di vista come incluso nel caso definito precedentemente. Voi definite il movimento, oppure definite il poligono, poco importa, considerando il caso estremo o contrario: il riposo, il cerchio sprovvisto di angoli. La continuità, è l� instaurazione del processo secondo il quale i casi estrinsechi, il riposo contrario al movimento, il cerchio contrario al poligono, possono essere considerati come inclusi nella nozione del caso intrinseco. C� è continuità quando il caso estrinseco può essere considerato come incluso nella nozione del caso intrinseco. Leibniz ha appena mostrato il perché. Ritroviamo la formula della predicazione: il predicato è incluso nel soggetto. Fate attenzione. Io chiamo � caso generale estrinseco� il concetto di movimento che ricopre tutti i movimenti. In rapporto a questo primo caso, io chiamo caso estrinseco il riposo oppure il cerchio in rapporto a tutti i poligoni, o anche il triangolo unico in relazione a tutti i triangoli combinati. Mi incarico di costruire un concetto che implichi tutto il simbolismo differenziale, un concetto che, allo stesso tempo, corrisponda al caso generale intrinseco e che, tuttavia, comprenda anche il caso estrinseco. Se io ci riesco, posso dire a tutti gli effetti che il riposo è un movimento infinitamente piccolo, proprio come io dico che il mio triangolo singolo è l� opposizione di due triangoli somiglianti opposti alla loro estremità, semplicemente, l� uno dei due è divenuto inassegnabile. A questo punto, c� è continuità del poligono col cerchio, continuità del riposo col movimento, continuità dei due triangoli somiglianti opposti dalla loro estremità ad un solo triangolo. In pieno XIX° secolo, un grande matematico, che si chiamava Poncelet, creò la geometria proiettiva nel suo senso più moderno � era completamente leibniziano. La geometria proiettiva è interamente fondata su quello che Poncelet chiamava un assioma di continuità molto semplice: se voi prendete un arco di cerchio tagliato in due punti da una retta, se poi voi fate salire la retta, c� è un momento in cui essa tocca l� arco del cerchio in un solo punto, e un momento in cui essa esce dal cerchio, non lo tocca più in nessun punto. L� assioma di continuità di Poncelet reclama la possibilità di trattare il caso della tangente come un caso estremo, ovvero non è che uno dei punti sia sparito, i due punti sono sempre presenti, ma virtuali. Quando tutto esce, non è che i due punti siano spariti, sono sempre presenti, ma tutti e due sono virtuali. E� l� assioma di continuità, precisamente, che permette tutto un sistema di proiezione, tutto un sistema proiettivo. I matematici manterranno ciò integralmente � è una tecnica formidabile. C� è qualcosa di disperatamente comico in tutto questo, ma non disturberà per niente Leibniz. Ed anche a questo riguardo i commentatori si comportano stranamente. Ci ingarbugliamo fin dall� inizio in questo campo nel quale si tratta di mostrare che le verità d� esistenza, non sono la stessa cosa che le verità d� essenza o verità matematiche. Per mostrarlo, o ci sono delle proposizioni molto generali piene di genio presenti in Leibniz, ma che ci lasciano perplessi: l� intelletto di Dio, l� analisi infinita � e allora, cosa vuol dire tutto ciò? Ed infine quando si tratta di mostrare in cosa le verità d� esistenza sono irriducibili alle verità matematiche, quando si tratta di mostrarlo concretamente, tutto ciò che Leibniz dice di convincente, è matematico. E� divertente, no?

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Una persona potrebbe obiettare a Leibniz: ci annunci che ci parlerai dell� irriducibilità delle verità d� esistenza, e questa irriducibilità tu non puoi definirla concretamente se non utilizzando delle nozioni puramente matematiche... Che cosa risponderebbe Leibniz? In ogni sorta di testo si è sempre voluto farmi dire che il calcolo differenziale designa una realtà. Io non l� ho mai detto � risponderebbe Leibniz -; il calcolo differenziale, è una convenzione ben fondata. Leibniz tiene moltissimo al fatto che il calcolo differenziale sia solo un sistema simbolico, non designa una realtà, designa una maniera di trattare la realtà. Cos� è una convenzione ben fondata? Non è in rapporto alla realtà che può dirsi convenzione, ma in rapporto alla matematica. E� qui che non si deve creare un controsenso. Il calcolo differenziale, è simbolismo, ma in rapporto alla realtà matematica, per niente in rapporto alla realtà del reale. E� in rapporto alla realtà matematica che il sistema del calcolo differenziale è una finzione. Impiega spesso anche l� espressione � finzione ben fondata� . E� una finzione ben fondata in rapporto alla realtà della matematica. In altri termini, il calcolo differenziale mette in moto dei concetti che non possono giustificarsi dal punto di vista dell� algebra classica, o dal punto di vista dell� aritmetica. E� evidente. Delle quantità che non sono niente e non sono uguali a zero, è un non senso aritmetico, ciò non ha né realtà aritmetica, né realtà algebrica, è una finzione. Quindi, a mio avviso, egli non intendeva dire che il calcolo differenziale non designi niente di reale, vuole dire che il calcolo differenziale è irriducibile alla realtà matematica. E� quindi una finzione in questo senso, ma proprio in quanto finzione, può farci pensare l� esistenza. In altri termini, il calcolo differenziale è una specie di unione della matematica e dell� esistente, in altre parole: è la simbolica dell� esistente. Proprio perché è una finzione ben fondata in rapporto alla verità matematica esso è un modo di esplorazione fondamentale e reale della realtà d� esistenza. Capirete dunque cosa vuol dire � svanente� , � differenza svanente� : quando il rapporto continua anche se i termini del rapporto sono svaniti. Il rapporto c nel momento in cui c e c sono svaniti, cioè coincidenti con a. Avete così costruito una continuità con il calcolo differenziale. Leibniz è poi anche più estremo, quando dice: capirete che nell� intelletto di Dio, fra il predicato peccatore e la nozione di Adamo, c� è una continuità. C� è una continuità per differenza svanente a tal punto che quando crea il mondo, Dio non fa che calcolare. E che calcolo! Chiaramente non è un calcolo aritmetico... a riguardo oscilla tra due spiegazioni. Quindi, Dio fa il mondo calcolando. Dio calcola, il mondo si crea. L� idea di un Dio giocatore, la troviamo dappertutto. Possiamo sempre dire che Dio ha fatto il mondo giocando, ma tutti l� hanno gia detto. Non è molto interessante. Ma i giochi, non si assomigliano. C� è un testo di Eraclito, in cui si parla del bambino giocatore che veramente costituisce il mondo. Gioca, ma a cosa? A cosa giocano i greci e i bambini greci? Diverse traduzioni danno giochi diversi. Ma Leibniz non dirà questo: quando si spiega sul gioco, ha due spiegazioni. Nei problemi di pavimentazione, a cavallo tra i problemi di matematica e d� architettura: data una superficie, con quale figura riempirla completamente? Problema più complicato: se prendete una superficie rettangolare che voi volete pavimentare con dei cerchi, voi non la riempirete completamente. Con dei quadrati, la riempireste completamente? Dipende dalla misura. Con dei rettangoli? Uguali o non uguali? Poi, se voi supponete due figure, le quali si combinano per riempire completamente una spazio? Se voi volete pavimentare con dei cerchi, con quale altra figura riempireste i vuoti? O vi arrendete a non riempire il tutto... Vedete che ciò è molto legato al problema della continuità. Se voi decidete di non riempire tutto, in quali casi e con quali figure e quali combinazioni di figure diverse riuscireste a riempire il massimo possibile? Questo chiama in causa degli incommensurabili, mette in gioco degli incomparabili � tutto ciò appassiona Leibniz, i problemi di pavimentazione. Lui, quando dice che Dio fa esistere e sceglie il migliore dei mondi possibili, l� abbiamo visto, sarebbe giudicare Leibniz prima che abbia parlato: il migliore dei mondi possibili, questa è stata la crisi del leibnizianismo, da qui l� anti-leibnizianismo generalizzato del XVIII° secolo: non hanno sopportato la storia del migliore dei mondi possibili. Voltaire, aveva ragione Voltaire, aveva un� esigenza filosofica che non fu evidentemente risolta da Leibniz, come sappiamo, dal punto di vista della politica. Quindi, non poteva perdonare Leibniz. Ma se

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accettiamo di procedere in questo cammino, che cosa vorrà dire Leibniz, con il migliore dei mondi possibili? Una cosa molto semplice: ci sono più mondi possibili, solo che essi non sono compossibili gli uni con gli altri, Dio sceglie il migliore, e il migliore non può essere quello in cui si soffre il meno possibile. L� ottimismo razionalista, è anche di una crudeltà infinita; non è per niente un mondo in cui non si soffrirebbe, ma il mondo che realizza il massimo di cerchi. Se oso fare una metafora inumana, è perché il cerchio soffre nel momento in cui diventa soltanto un� affezione del poligono. Quando il riposo è solo affezione del movimento, immaginate la sofferenza del riposo. Semplicemente, è il migliore dei mondi perchè realizza il massimo di continuità. Altri mondi erano possibili, ma avrebbero realizzato meno continuità. Questo mondo è il più bello, il più armonioso, unicamente sotto il peso di questa frase senza pietà: perché effettua il massimo di continuità possibile. Poi, se ciò si fa a prezzo della vostra carne e del vostro sangue, poco importa. Dio non è soltanto giusto, cioè persegue il massimo di continuità, ma avendo allo stesso tempo anche altre pretese, vuole variare il suo mondo. Allora Dio nasconde questa continuità. Mette un segmento che dovrebbe essere in continuità con l� altro, questo segmento lo mette altrove per nascondere le sue strade. Noi, non rischiamo di ritrovarci. Questo mondo si fa alle nostre spalle. E� evidente allora, che il XVIII° secolo non trovi tutta questa storia di Leibniz molto appagante. Capite allora il problema della pavimentazione: il migliore dei mondi sarà quello le cui figure e le forme riempiranno il massimo di spazio-tempo lasciando il minimo di vuoto. Seconda esplicazione di Leibniz, e questa è ancora più forte: il gioco degli scacchi. Come fra la frase d' Eraclito che fa allusione a un gioco greco e Leibniz, che fa allusione al gioco degli scacchi, c� è tutta la differenza che c� è fra i due giochi nel momento stesso in cui la formula comune � Dio gioca� poteva far credere che fosse una specie di beatitudine. Ecco come Leibniz concepisce il gioco degli scacchi: la scacchiera, è uno spazio; i pezzi, sono delle nozioni. Quel' è la miglior mossa da fare con gli scacchi, o il migliore insieme di mosse? La miglior mossa o insieme di mosse, è quella che fa si che un numero determinato e con dei valori determinati di pezzi si impadronisce o occupa il massimo di spazio, essendo lo spazio totale quello della scacchiera. Si devono piazzare i propri pedoni in modo tale che comandino più spazio possibile. Perché sono solo delle metafore? Anche qui c� è una specie di principio di continuità � il massimo di continuità. Cosa c� è che non va, sia nella metafora del gioco degli scacchi che in quella della pavimentazione? E� che in tutti e due i casi, si fa riferimento a un ricettacolo. Si presentano le cose come se i mondi possibili rivalizzassero per incarnarsi in un ricettacolo determinato. Nel caso della pavimentazione, è la superficie da pavimentare, nel caso degli scacchi è la scacchiera. Ma nelle condizioni della creazione del mondo, non ci sono ricettacoli prestabiliti. Dobbiamo quindi dire che il mondo che passa all� esistenza è quello che realizza in se stesso il massimo di continuità, cioè che contiene la più grande quantità di realtà o di essenza. Non posso dire d� esistenza, poiché esisterà il mondo che contiene, non la più grande quantità d� esistenza, ma la più grande quantità d� essenza sotto le specie della continuità. La continuità, è in effetti precisamente il modo per contenere il massimo di quantità di realtà. Ecco, è una visione molto bella, come filosofia. In questo paragrafo ho risposto alla domanda: che cos� è l� analisi infinita? Non ho ancora risposto alla domanda: che cos� è la compossibilità? Ecco.

Lezione del 29/04/1980Oggi ci occuperemo di cose divertenti, ricreative, ma allo stesso tempo molto delicate. Risposta ad una domanda sul calcolo differenziale: mi sembra che non si possa affermare che alla fine del XVII° secolo e nel XVIII° secolo ci siano delle persone per le quali il calcolo differenziale sia un artificio e altre per le quali il calcolo differenziale rappresenti qualcosa di reale. Non possiamo dirlo perché la questione non era posta in questi termini. Leibniz non ha mai smesso di affermare che il calcolo differenziale è un

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puro artificio, un sistema simbolico. Quindi su questo punto siamo tutti perfettamente d� accordo. Può esserci disaccordo solo quando ci domandiamo che cosa sia un sistema simbolico, ma riguardo all� irriducibilità dei segni differenziali ad ogni realtà matematica, cioè alla realtà geometrica, aritmetica e algebrica, tutti sono d� accordo. Si mette in atto una differenza nel momento in cui affermiamo che alcuni pensano che il calcolo differenziale sia solo una convenzione, e una convenzione molto dubbia, e gli altri che al contrario pensano che il suo carattere artificiale in rapporto alla realtà matematica gli permetta di essere adeguato a certi aspetti della realtà fisica. Leibniz non ha mai pensato che la sua analisi infinitesimale, il suo calcolo differenziale, come lui li concepiva, siano sufficienti a esaurire il dominio dell� infinito tale come lui, Leibniz, lo concepiva. Per esempio: il calcolo. C� è quello che Leibniz chiama il calcolo del minimo e del massimo che non è per niente dipendente dal calcolo differenziale. Quindi il calcolo differenziale corrisponde ad un certo ordine d� infinito. Se è vero che un infinito qualitativo non può essere colto dal calcolo differenziale, in compenso, Leibniz è talmente cosciente di questo che instaura altri modi di calcolo relativo ad altri ordini d� infinito. Ciò che ha liquidato questa direzione dell� infinito qualitativo, o anche dell� infinito attuale preso tout court, non deriva da Leibniz. Ciò che ha impedito questa strada, è la rivoluzione kantiana; è la rivoluzione kantiana che ha imposto una certa concezione dell� indefinito e che ha attuato la critica più assoluta dell� infinito attuale. Ciò è dovuto a Kant, non a Leibniz. In geometria, dai greci fino al XVII secolo, abbiamo due tipi di problemi. Sono presenti dei problemi che consistono nel trovare delle linee dette rette e delle superfici dette rettilinee. La geometria e l� algebra classica sono sufficienti. Abbiamo dei problemi e otteniamo le equazioni necessarie; è la geometria d� Euclide. Già per i greci, poi anche nel medioevo chiaramente, la geometria non smise di trovarsi davanti ad un tipo di problema d� altra natura: ovvero quando siamo obbligati a cercare e determinare delle curve e delle superfici curvilinee. In questo caso tutti i geometri sono d� accordo nel dire che i metodi classici della geometria e dell� algebra non bastano più.I greci ebbero gia modo di inventare un metodo speciale che verrà chiamato di esaustione, esso permetteva di determinare le curve e le superfici curvilinee in quanto dava delle equazioni di gradi variabili, al limite infiniti, un� infinita di gradi diversi nell� equazione. Sono questi problemi che renderanno necessaria e che ispireranno la scoperta del calcolo differenziale, e la maniera in cui il calcolo differenziale riprenderà il discorso cominciato dal metodo d� esaustione. Se non colleghiamo un simbolismo matematico a una teoria, se non lo colleghiamo al problema per il quale è stato fatto, non ci capiremmo più niente. Il calcolo differenziale ha senso soltanto se voi vi trovate di fronte ad un'equazione i cui termini hanno potenze diverse. Senza questa condizione non avrebbe senso parlare di calcolo differenziale. E� giusto considerare la teoria che corrisponde ad un simbolismo, ma dobbiamo anche considerare interamente la pratica. A mio avviso, inoltre, non possiamo capire niente dell� analisi infinitesimale senza renderci conto che tutte le equazioni fisiche sono per natura delle equazioni differenziali. Un fenomeno fisico non può essere studiato � e Leibniz lo dirà molto bene: Cartesio disponeva soltanto della geometria, dell� algebra e di ciò che lui stesso aveva inventato e chiamato geometria analitica, ma anche lontano che possa essere andato, questa invenzione gli diede soltanto i modi per cogliere le figure e i movimenti sotto la specie rettilinea; essendo però l� insieme dei fenomeni della natura di tipo curvilineo, questo metodo si dimostra insufficiente. Cartesio resta nel campo delle figure e del movimento. Leibniz tradurrà: è la stessa cosa affermare che la natura procede in modo curvilineo o affermare che al di là delle figure e del movimento, c� è qualcosa che è il dominio delle forze. Ed al livello stesso delle leggi del movimento, Leibniz cambierà tutto, grazie precisamente al calcolo differenziale. Dirà che ciò che si conserva non è MV, non è la massa e la velocità, ciò che si conserva è MV2. La sola differenza in questa formula è l� elevazione di V alla seconda potenza, ciò è reso possibile dal calcolo differenziale perché esso permette di fare il paragone delle potenze e dei rejets. Cartesio non aveva i mezzi per dire MV2. MV2, dal punto di vista del linguaggio, della geometria, e dell� aritmetica e dell� algebra è un puro e semplice non-senso. Con il sapere scientifico odierno, possiamo in ogni caso spiegare che ciò che si conserva è MV2 senza fare appello all� analisi

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infinitesimale. Ciò viene fatto nei manuali del liceo, ma per provarlo, e per far si che la formula abbia un senso, ci vuole tutto l� apparato del calcolo differenziale.

Intervento di Comptesse.

Gilles: il calcolo differenziale e l� assiomatica hanno un punto in comune, ma questo punto in comune è di completa esclusione. Storicamente, lo statuto rigoroso del calcolo differenziale verrà fatto molto tardivamente. Cosa vuol dire? Vuol dire che tutto ciò che è convenzione viene espulso dal calcolo differenziale. Ora, per Leibniz, che cos� è un artificio? Ciò che è artificio è tutto un insieme di cose: l� idea di un divenire, l� idea di un limite del divenire, l� idea di una tendenza ad avvicinarsi al limite, tutto queste sono considerate dai matematici delle nozioni assolutamente metafisiche. L� idea che ci sia un divenire quantitativo, l� idea del limite di questo divenire, l� idea che un� infinità di piccole quantità si avvicinino al limite, sono tutte nozioni considerate assolutamente impure, quindi come realmente non assiomatiche o non assiomatizzabili. Quindi, all� inizio, sia in Leibniz sia in Newton che nei suoi successori, l� idea del calcolo differenziale non è separabile e non è separata da un insieme di nozioni giudicate non rigorose e non scientifiche. Essi stessi lo riconoscevano. Alla fine del XIX° secolo e all� inizio del XX°, poi, il calcolo differenziale o l� analisi infinitesimale riceverà uno statuto rigorosamente scientifico, ma a quale prezzo? Viene espulso ogni riferimento all� idea d� infinito; espulso ogni riferimento all� idea di limite ed all� idea di tendere verso un limite. Chi è stato a farlo? Verrà data un� interpretazione e uno statuto del calcolo molto strano perché smette di operare con quantità ordinarie, e ne verrà data un� interpretazione puramente ordinale. A quel punto, diverrà un modo d� esplorazione del finito, del finito come tale. Fu un grande matematico che fece tutto questo: Weyerstrass (?), ma molto tardivamente. Quindi lui fece un� assiomatica del calcolo, ma a che prezzo? Lo trasformò completamente. Oggi, quando facciamo un calcolo differenziale, non abbiamo nessun riferimento alle nozioni d� infinito, di limite e di tendenza ad avvicinarsi al limite. C� è un� interpretazione statica. Nessun dinamismo nel calcolo differenziale. Abbiamo un� interpretazione statica e ordinale del calcolo. Bisogna leggere il libro di Vuillemin � Philosophie de l� algebre� . Questo fatto è molto importante perché ci fa capire che il calcolo differenziale � si, ma anche prima dell� assiomatizzazione tutti i matematici erano d� accordo nel dire che il calcolo differenziale interpretato come metodo di esplorazione dell� infinito era una convenzione impura, Leibniz era il primo a dirlo, ma dovremo però anche sapere qual è il suo valore simbolico. Le relazioni assiomatiche e i rapporti differenziali, no. C� è un� opposizione. L� infinito ha completamente cambiato di senso, di natura, e successivamente fu completamente escluso. Un rapporto differenziale del tipo DY/DX è tale da poter essere estratto da X e Y. Allo stesso tempo DY non è niente in rapporto a Y, è una quantità infinitamente piccola, DX non è niente in rapporto a X, è una quantità infinitamente piccola rispetto a X. In compenso DY/DX è qualcosa. Ma qualcosa del tutto diverso da Y/X. Per esempio, se Y/X designa una curva, DY/DX designa una tangente. Per adesso non importa quale tangente. Diremo quindi che il rapporto differenziale è tale che non significa niente di concreto in rapporto a ciò da cui deriva, in altre parole in rapporto a X e a Y, ma significa qualcos� altro di concreto, ed è così che assicura il passaggio ai limiti. Assicura qualcos� altro di concreto, cioè una Z. E� proprio come se io dicessi che il calcolo differenziale è completamente astratto in rapporto ad una determinazione del tipo a/b ma che in compenso determina un c. Tanto è vero che la relazione è completamente assiomatica da tutti i punti di vista, se essa è formale in rapporto ad a e b, essa non determina però un c che invece, lui, sarebbe concreto. Quindi essa non ci assicura un passaggio. Questa sarebbe tutta l� opposizione classica fra genesi e struttura. L� assiomatica è veramente la struttura comune ad una pluralità di domini. L� ultima volta eravamo rimasti al mio secondo grande titolo il quale verteva su queste nozioni: SOSTANZA, MONDO E COMPOSSIBILITA� . La prima parte cercava di analizzare ciò che Leibniz chiamava l� analisi infinita. La risposta fu questa: l� analisi infinita soddisfa questa condizione: essa appare nella misura in cui la continuità e le piccole differenze o differenze che tendono a svanire si sostituiscono all� identità. E� quando procediamo per continuità e differenze svanenti che l� analisi

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diviene propriamente analisi infinita. Poi finivo sul secondo aspetto della questione. Ci sarebbe analisi infinita e materia per l� analisi infinita quando mi trovo davanti ad un dominio che non è più regolato direttamente dall� identico, dall� identità, ma bensì un dominio regolato dalla continuità e dalle differenze svanenti. Demmo una risposta relativamente chiara. Da qui il secondo aspetto del problema: che cos� è la compossibilità? Che cosa vuol dire che due cose sono compossibili oppure non compossibili? Ancora una volta Leibniz ci dice che Adamo non peccatore è possibile di per se stesso ma non è compossibile con il mondo esistente. Quindi mette in gioco una nozione di compossibilità che inventa lui stesso, e capite bene come ciò sia strettamente legato all� idea di analisi infinita. Il problema è che l� incompossibile non è la stessa cosa del contraddittorio. E� complicato. Adamo non peccatore è incompossibile con il mondo esistente, ci sarebbe voluto un altro mondo. Detto questo, vedo soltanto tre soluzioni possibili per cercar di caratterizzare la nozione d� incompossibilità.Prima soluzione: diremmo che in un modo o in un altro, l� incompossibilità implica una specie di contraddizione logica. Bisogna che ci sia contraddizione fra Adamo non peccatore e il mondo esistente. Soltanto che, questa contraddizione non potremmo renderla chiara se non procedendo all� infinito; sarebbe una contraddizione infinita. Come c� è una contraddizione finita fra cerchio e quadrato, c� è una contraddizione infinita fra Adamo non peccatore e il mondo. Certi testi di Leibniz lavorano in questo senso. Ma, diciamolo ancora, noi sappiamo di dover fare sempre attenzione ai livelli dei testi di Leibniz. In effetti tutto ciò che abbiamo detto precedentemente implicava che la compossibilità e l� incompossibilità siano veramente una relazione originale irriducibile all� identità e alla contraddizione. Identità contraddittoria. Anzi, abbiamo anche visto che l� analisi infinita, sulla base della nostra prima parte, non è un� analisi che sfocia nell� identico alla fine di una serie infinita di passaggi. Tutti i risultati a cui siamo arrivati l� ultima volta furono tali che, lontani dallo scoprire l� identico alla fine di una serie, al limite di una serie infinita di passaggi, invece di procedere così l� analisi infinita sostituiva il punto di vista della continuità a quello dell� identità. Quindi ci troviamo in un campo diverso da quello dell� identità/contraddizione. Ecco un� altra soluzione che dirò molto brevemente perché certi testi di Leibniz la suggeriscono: è che supera il nostro intelletto perché il nostro intelletto è finito, e la compossibilità sarà quindi una relazione originale, ma non conosceremmo la sua radice. Leibniz ci fa scoprire un nuovo campo, non c� è solo il possibile, il necessario e il reale. Ci sono anche il compossibile e l� incompossibile. Pretendeva di aver scoperto tutta una regione dell� essere. Ecco l� ipotesi che vorrei fare: Leibniz era un uomo indaffarato, scrisse in tutti i sensi, dappertutto, non pubblicò o pubblicò veramente poche cose da vivo. Leibniz ha tutta la materia, tutti gli argomenti per dare una risposta relativamente precisa a questo problema. Ciò risulta chiaro poiché è lui che lo inventa, ed è lui che ha la soluzione. E poi che cosa non ha fatto che raggruppi tutto questo? Credo che ciò che potrà dare una risposta a questo problema, e allo stesso tempo dell� analisi infinita e della compossibilità, è una teoria molto strana che Leibniz fu senza dubbio il primo a introdurre in filosofia, e che potremo chiamare teoria delle singolarità.In Leibniz, la teoria delle singolarità è frammentaria, è dappertutto. E� talmente discreto che si rischia di leggere delle pagine di Leibniz senza rendersi conto che ci siamo completamente dentro. La teoria delle singolarità mi sembra avere in Leibniz due poli: dovremmo dire che è una teoria matematico-psicologica. E il lavoro di oggi sarà questo: che cos� è una singolarità a livello matematico, e che cosa Leibniz crea con questo? E� vero che fece la prima grande teoria delle singolarità in matematica? Seconda domanda: che cos� è la teoria leibniziana delle singolarità psicologiche? Un ultima domanda: in che modo la teoria matematico-psicologica delle singolarità, tale come Leibniz la delinea, ci da una risposta a quest� altra domanda: che cos� è l� incompossibile, e quindi anche alla domanda che cos� è l� analisi infinita? Che cos� è questa nozione matematica di singolarità? Perché salata fuori? In filosofia accade molto spesso: un qualcosa che ha importanza in un certo momento e che viene poi abbandonato. E� il caso di una teoria alla quale Leibniz lavorò molto ma che non ha avuto un seguito, non ha avuto fortuna, nessun seguito. Mi domando se potrebbe essere interessante per noi di riprenderla. Sono sempre titubante fra due cose, riguardo la filosofia: tra l� idea che essa non necessiti di un sapere

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speciale, in questo senso chiunque può essere adatto per la filosofia, e che allo stesso tempo non si possa fare della filosofia senza essere sensibile ad una certa terminologia filosofica, voi potrete sempre creare una nuova terminologia ma non potete crearla facendo le cose a caso. Voi dovrete sapere il significato di termini come: categorie, concetto, idea, a priori, a posteriori, esattamente come non potremmo fare della matematica senza sapere cosa siano a, b, xy, variabili, costanti, equazioni; c� è un minimo. Ora, voi dovete fare attenzione a tutto ciò. Singolare esiste da sempre all� interno di un certo vocabolario logico. Singolare e non differenza, e allo stesso tempo in relazione con universale. C� è un� altra coppia di nozioni, particolare, che si dice in riferimento al generale. Quindi il singolare e l� universale sono in rapporto l� uno con l� altro; e il particolare è in rapporto con il generale. Che cos� è un giudizio di singolarità, non è la stessa cosa di un giudizio detto particolare né la stessa cosa di un giudizio detto generale. Dico giusto che, formalmente, singolare veniva pensato, nella logica classica, in riferimento con universale. Ma ciò non basta a definire una nozione: quando i matematici impiegano l� espressione singolarità, con cosa la mettono in rapporto? Dobbiamo farci guidare dalle parole. Esiste certamente un� etimologia filosofica o una filologia filosofica. Singolare in matematica si distingue o si oppone a regolare. Il singolare è ciò che sfugge alla regola. C� è un� altra coppia di nozioni impiegata dai matematici, speciale e ordinario. I matematici ci dicono che ci sono delle singolarità speciali e delle singolarità che non lo sono. Ma noi, per comodità, Leibniz non fa questa distinzione fra singolare speciale e singolare non speciale, Leibniz impiega come termini equivalenti singolare, speciale e notevole. Tanto è vero che quando troverete la parola notevole in Leibniz, direte che necessariamente ci strizza l� occhio, essa non vorrà dire ben conosciuto; egli gonfia la parola con una significazione insolita. Quando parlerà d� una percezione notevole, direte voi, ci sta dicendo qualcosa. Ma perché ci interessa? Ecco che le matematiche rappresentano in rapporto alla logica una svolta. L� uso matematico del concetto di singolarità orienta la singolarità verso un rapporto con l� ordinario o il regolare, e non più con l� universale. Ci conviene distinguere ciò che è singolare da ciò che è ordinario o regolare. Che interesse può avere per noi? Supponete che qualcuno dica: le cose in filosofia vanno male perché la teoria della verità si è sempre sbagliata, si è sempre domandato prima di tutto che cosa fosse vero e cosa falso in un pensiero, ma in un pensiero non sono il vero e il falso che contano, ma il singolare e l� ordinario. Ciò che è singolare, ciò che è speciale, ciò che è ordinario in un pensiero. Ma allora che cosa è ordinario. Penso a Kierkegaard che, molto più tardi, dirà che la filosofia ha sempre ignorato l� importanza della categoria di interessante! Ma non può essere vero che la filosofia l� abbia ignorato, c� è almeno un concetto matematico-filosofico della singolarità che ha forse qualcosa di interessante da dirci sul concetto di interessante. Questa bella idea della matematica è che la singolarità non sia più pensata in rapporto all� universale, ma che lo sia in rapporto all� ordinario o al regolare. Il singolare è ciò che esce dall� ordinario e dal regolare. Affermare questo significa andare già molto lontano, poiché dirlo implica la volontà di voler fare della singolarità un concetto filosofico, trovando le ragioni per farlo in un campo favorevole, cioè la matematica. Ora, in quale caso la matematica ci parla del singolare e dell� ordinario. La risposta è semplice: a proposito di certi punti presi su una curva. Non per forza su una curva, ma particolarmente, o anche molto più generalmente a proposito di una figura, una figura potrà comportare per natura dei punti singolari e dei punti regolari o ordinari. Perché una figura? Perché una figura è qualcosa di determinato! Ma allora il singolare e l� ordinario farebbero parte della determinazione, sarebbe interessante! Vedete che a forza di non dire niente e di battere i piedi, avanziamo comunque di molto. Perché non definire la determinazione in generale, dicendo che è una combinazione di singolare e di ordinario, cosicché ogni determinazione sarebbe così fatta? Potremmo farlo? Prendo una figura molto semplice: un quadrato. La vostra legittima esigenza sarebbe quella di domandarmi quali sono i punti singolari di un quadrato? Di punti singolari nel quadrato ce ne sono quattro, cioè le quattro estremità a, b, c, d. Cerchiamo di definire la singolarità, ma restiamo fermi a degli esempi, facciamo una ricerca bambinesca, parliamo di matematica, ma non ne sappiamo niente. Sappiamo giusto che un quadrato ha quattro lati, e che quindi ci sono quattro punti singolari che sono degli estremi. Sono i punti che segnano, precisamente, che una linea retta è finita e che un� altra

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d� orientazione diversa, comincia a 90 gradi. Ma cosa saranno i punti ordinari? Saranno l� infinita dei punti che compongono ogni lato del quadrato; ma le quattro estremità saranno dette dei punti singolari.Domanda: un cubo, quanti punti singolari ha secondo voi? Vedo lo stupore nei vostri volti! In un cubo ci sono otto punti singolari. Ed ecco come, nella geometria la più elementare, potremmo definire i punti singolari: i punti che segnano l� estremità di una linea retta. Ma voi sentite che non siamo che all� inizio. Vorrei opporre quindi i punti singolari e i punti ordinari. Pensando ad una curva o ad una retta, posso veramente dire che i punti singolari sono necessariamente degli estremi? Forse no, ma supponiamo che a prima vista io possa dire qualcosa di questo genere. Per una curva, diventa difficile. Prendiamo l� esempio più semplice: un semicerchio, a voi la scelta di immaginarlo concavo o convesso. Al di sotto faccio un secondo semicerchio, convesso se l� altro è concavo, concavo se l� altro è convesso. I due semicerchi si incontrano in un punto. Disegno poi al di sotto una linea retta che chiamo, conformemente alla natura delle cose, l� ordinata. Disegno l� ordinata. Erigo le perpendicolari all� ordinata. E� un� esempio di Leibniz, contenuto in un testo dal titolo raffinato: � Tantanem anagocicum� , un piccolo opuscolo di sette pagine scritto in latino, e che vuol dire saggio analogico. AB ha quindi due caratteristiche: è il solo segmento eretto a partire dall� ordinata ad essere unico, tutti gli altri hanno, come dice Leibniz, un doppio, il proprio piccolo gemello. In effetti, xy ha il suo specchio, la sua immagine in x� y� , e voi potrete avvicinarvi ad AB soltanto con delle differenze quasi inesistenti, solo AB e� unico, senza gemello. Secondo punto: AB può essere detto ugualmente sia un massimo sia un minimo, massimo per rapporto ad uno dei semicerchi, minimo per rapporto all� altro. Avrete già capito. Dirò che AB è una singolarità. Ho introdotto l� esempio della curva più semplice: il semicerchio. Ma è un po' più complicato: ciò che ho dimostrato è che il punto singolare non è necessariamente legato, non è ridotto all� estremo, può trovarsi benissimo nel mezzo, e in questo caso è nel mezzo. Ed è sia un minimo, sia un massimo, sia tutte e due allo stesso tempo. Da qui deriva l� importanza di un calcolo che Leibniz contribuirà a spingere molto lontano, e che chiamerà il calcolo dei massimi e dei minimi, ancora oggi questo calcolo ha una importanza immensa per esempio nei fenomeni di simmetria, nei fenomeni fisici, nei fenomeni ottici. Direi quindi che il mio punto A è un punto singolare; tutti gli altri sono ordinari o regolari. E sono ordinari o regolari in due modi, il fatto è che sono al di sotto del massimo e al di sopra del minimo, e infine hanno sempre un doppio. Si chiarisce un po' questa nozione di ordinario. E un altro caso; una singolarità di un altro caso. Un altro sforzo: prendete una curva complessa. Cos� è che chiameremo le sue singolarità? Le singolarità di una curva complessa sono, detto semplicemente, i punti in vicinanza dei quali, � e voi sapete che la nozione di vicinanza, in matematica, che è molto diversa dalla nozione di contiguità, è una nozione chiave in tutto il campo della topologia, ed è la nozione di singolarità che è capace di farci capire che cos� è la vicinanza � dunque in vicinanza di una singolarità qualcosa cambia: la curva cresce o decresce. Questi punti di crescita o di decrescita, io li chiamerò singolarità. L� ordinario è la serie, ciò che è fra due singolarità; ciò che va dalla vicinanza di una singolarità alla vicinanza di un� altra singolarità, è l� ordinario o il regolare. Cogliamo come dei rapporti, come degli sponsali molto strani: la filosofia detta classica non ha la sua sorte relativamente legata, e inversamente, con la geometria, l� aritmetica e l� algebra classica, cioè le figure rettilinee? Voi mi direte che le figure rettilinee comprendono gia dei punti singolari, d� accordo, ma una volta che ho scoperto e costruito la nozione matematica di singolarità, io posso dire che era già presente nelle figure rettilinee le più semplici? Mai le figure rettilinee le più semplici avrebbero potuto darmi un� occasione reale, una necessità reale di costruire la nozione di singolarità. E� semplicemente al livello delle curve complesse che ciò s'impone. Una volta trovato al livello delle curve complesse, allora si, posso tornare indietro e dire: ah, era già in un semicerchio, era già in una figura semplice come il quadrato rettilineo, ma prima non avrei potuto.

Intervento: xxx

Gilles brontola: ...pietà...Dio mio...m� ha rotto. Sapete, parlare è una cosa fragile. Pietà...ah pietà...ti lascerò parlare per un� ora quando vuoi, ma non ora...pietà...oh la la...è l� inferno.

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Vi leggo un piccolo testo tardivo di Poincaré il quale si occuperà molto della teoria delle singolarità che si svilupperà durante tutto il XVIII e XIX secolo. Ci sono due tipi di lavori di Poincaré, dei lavori di logica e filosofia, e dei lavori di matematica. E� prima di tutto un matematico. Esiste una tesi di Poicaré sulle equazioni differenziali. Ne leggo una parte riguardante i tipi di punti singolari in una curva rinviante ad una funzione o ad una equazione differenziale. Dice che ci sono quattro tipi di punti singolari: prima di tutto i colli. Sono i punti dai quali passano due curve definite dall� equazione, e due soltanto. In questo caso, l� equazione differenziale è tale che, in vicinanza di questo punto, definirà e farà passare due curve, soltanto due. Ecco un tipo di singolarità. Secondo tipo di singolarità: i nodi dove si incrociano un� infinita di curve definite dall� equazione. Terzo tipo di singolarità: i punti focali intorno ai quali queste curve ruotano avvicinandosi alla maniera di una spirale. Infine il quarto tipo di singolarità: i centri intorno ai quali le curve si presentano sotto forma di cicli chiusi. E Poicare nel seguito della tesi spiega che, secondo lui, uno dei suoi grandi meriti matematici è d� aver messo la teoria delle singolarità in rapporto con la teoria delle funzioni o delle equazioni differenziali. Perché cito questo esempio di Poincaré? Potreste trovare le stesse nozioni in Leibniz. Qui abbiamo un curioso paesaggio che si delinea davanti a noi, con i colli, i punti focali, i centri. E� veramente come una specie di astrologia di geografia matematica. Vedete che siamo andati dal più semplice al più complesso: al livello di un semplice quadrato, di una figura rettilinea, le singolarità erano degli estremi; al livello di una curva semplice, sono presenti delle singolarità ancora molto facili da determinare, per le quali il principio di determinazione era facile, la singolarità era il caso unico che non aveva dei doppi, oppure era il caso in cui massimo e minimo s� identificavano. Ma troverete delle singolarità più complesse quando passerete a delle curve più complesse. Quindi il campo delle singolarità è, a ben vedere, come infinito. Quale sarà la formula? Fino a quando voi avete a che fare con dei problemi detti rettilinei, per i quali si tratta di determinare delle rette o delle superfici rettilinee, voi non avete bisogno del calcolo differenziale. Voi avrete bisogno del calcolo differenziale quando vi troverete di fronte al compito di determinare delle curve e delle superfici curvilinee. Cosa vuol dire? In cosa consiste il legame fra la singolarità e il calcolo differenziale? Il fatto è che il punto singolare è il punto in vicinanza del quale il rapporto differenziale dy/dx cambia di segno. Per esempio: vertice, vertice relativo di una curva prima che discenda, per la quale voi direte che il rapporto differenziale cambia di segno. Cambia di segno in questo luogo, in qual misura? Nella misura in cui diviene uguale, in vicinanza di questo punto, a zero o all� infinito. Ritroviamo qui il tema del minimo e del massimo. Tutto questo consiste nel dire: prendete lo spazio di relazione fra singolare e ordinario, tale che voi definirete il singolare in funzione dei problemi curvilinei che sono in rapporto con il calcolo differenziale, e in questa tensione od opposizione tra punto singolare e punto ordinario, o punto singolare e punto regolare. E� questo che la matematica ci fornisce come materiale di base, e ancora una volta è vero che nei casi più semplici il singolare è l� estremità, in altri casi semplice è il massimo o il minimo o anche tutti e due allo stesso tempo; le singolarità sviluppano in questo caso dei rapporti sempre più complessi al livello di curve sempre più complesse . Prendiamo la formula seguente: una singolarità è un punto prelevato o determinato su una curva, è un punto in vicinanza del quale il rapporto differenziale cambia di segno, e il punto singolare ha come proprietà il fatto di prolungarsi su tutta la serie delle ordinarie che ne dipendono fino alla vicinanza delle singolarità seguenti. Diremo quindi che la teoria delle singolarità è inseparabile di una teoria o di un'attività di prolungamento. Potrebbero essere degli elementi per una possibile definizione della continuità? Potrei dire che la continuità o il continuo è il prolungamento di un punto speciale su una serie ordinaria fino alla vicinanza della singolarità seguente. Ne sarei molto contento perché avrei almeno una definizione ipotetica di ciò che è il continuo. E� molto strano che per ottenere questa definizione del continuo io mi sia servito di ciò che apparentemente introduce una discontinuità, cioè una singolarità dove qualcosa cambia; invece di opporsi, è proprio essa che mi permette questa definizione approssimativa. Leibniz ci dice che tutti noi sappiamo di avere delle percezioni, che per esempio vedo qualcosa di rosso, sento il rumore del mare. Sono delle percezioni; dovremmo addirittura riservargli un nome speciale perché sono coscienti. Una percezione dotata di

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coscienza, cioè la percezione percepita come tale da un me, la chiameremo appercezione, come apercevoir (percepire). Perché in effetti è la percezione che io appercepisco. Appercezione significa percezione cosciente. Ma allora, dice Leibniz, bisogna per forza che ci siano delle percezioni incoscienti delle quali non ci rendiamo conto. Le chiameremo piccole percezioni, cioè delle percezioni incoscienti. Perché questa necessità? Perché bisogna per forza che ci siano queste piccole percezioni? Leibniz ci da due ragioni: le nostre appercezioni, le nostre percezioni coscienti, sono sempre globali. Ciò di cui ci appercepiamo è sempre un tutto. Ciò che cogliamo per mezzo della percezione cosciente sono delle totalità relative. Ora, bisogna per forza che ci siano delle parti poiché c� è un tutto: questo è un ragionamento che Leibniz fa costantemente, deve esserci anche del semplice se c� è del composto, erige ciò a principio; e non è così ovvio, capite cosa vuol dire? Vuol dire che non ci sono indefiniti, e non è qualcosa di ovvio visto che ciò implica l� infinito attuale. Bisogna che ci sia del semplice poiché c� è del composto. Ci saranno persone che penseranno che tutto è composto all� infinito, saranno i partigiani dell� indefinito, ma Leibniz per altre ragioni pensa che l� infinito sia attuale, quindi bisogna che ci sia del ??????? Poiché noi percepiamo il rumore globale del mare quando siamo seduti sulla spiaggia, dobbiamo per forza avere delle piccole percezioni di ogni onda, come dice grosso modo, anzi, di ogni singola goccia d� acqua. Perché? E� una specie di esigenza logica, vedremo cosa intende. Lo stesso ragionamento al livello di tutto e di parti, lo fa anche in questo caso, non invocando un principio di totalità ma un principio di causalità: ciò che noi percepiamo è sempre un effetto, ci devono essere allora delle cause. E certo le cause devono esse stesse essere percepite altrimenti l� effetto non sarebbe percepito. In questo caso le goccioline non sono più le parti che compongono l� onda, e le onde le parti che compongono il mare, ma intervengono bensì come cause che producono un effetto. Voi mi direte che non fa una gran differenza, ma voglio farvi notare che in tutti i testi di Leibniz ci sono sempre due argomenti distinti che lui porta perpetuamente a far coesistere: un argomento fondato sulla causalità e un argomento fondato sulle parti. Rapporto causa-effetto e rapporto parte-tutto. Ecco allora che le nostre percezioni coscienti sono immerse in un flusso di piccole percezioni incoscienti. Da una parte, bisogna che sia così logicamente, in virtù dei principi e delle loro esigenze, ma i grandi momenti sono quando l� esperienza conferma l� esigenze dei grandi principi. Quando avviene la bella coincidenza dei principi e dell� esperienza, la filosofia ha i suoi momenti di felicità, anche quando ciò comporta la disgrazia personale del filosofo. E a questo punto il filosofo dice: tutto va bene, tutto è come deve essere. Allora bisognerebbe che l� esperienza mi dimostri che sotto certe condizioni di disorganizzazione della mia coscienza, le piccole percezioni forzino la porta della mia coscienza e m� invadano. Quando la mia coscienza si rilassa, io sono quindi invaso dalle piccole percezioni che non diverranno pertanto delle percezioni coscienti, esse non divengono appercezioni poiché io sono invaso nella mia coscienza solo quando essa è disorganizzata. In quel momento, un fiume di piccole percezioni incoscienti m� invade. No è che queste piccole percezioni cessino di essere incoscienti, sono io che smetto di essere cosciente. Ma io le vivo, esiste un vissuto incosciente. Non le rappresento, non le percepisco, ma ci sono, brulicano. In quali casi. Mi viene dato un gran colpo sulla testa: lo stordimento, è un esempio molto frequente in Leibniz. Sono stordito, mi svengo e un fiume di piccole percezioni incoscienti arriva: un rumore nella mia testa. Rousseau conosceva Leibniz, fece la crudele esperienza di svenire per aver ricevuto un brutto colpo, raccontò poi il suo risveglio e il brulichio di piccole percezioni. E� un testo molto celebre di Rousseau contenuto in � Sogni di un viandante solitario� (1776-1778), il ritorno alla conoscenza.

Cerchiamo delle esperienze di pensiero: non abbiamo neanche bisogno di fare questa esperienza di pensiero, sappiamo che è così, cerchiamo allora col pensiero il tipo di esperienza che corrisponde al principio: lo svenimento. Leibniz va molto oltre e dice: non sarà questa la morte? Ciò comporterà dei problemi in teologia. La morte sarebbe lo stato di un vivente che non cesserebbe di vivere, la morte sarebbe una catalessi, sembra di parlare di Edgar Poe, siamo ridotti semplicemente alle piccole percezioni. E ancora una volta, non è che esse invadano la mia coscienza, ma è la mia coscienza che si

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spenge, tutto il suo proprio potere, che si diluisce perché perde coscienza di sé, ma molto stranamente essa diviene coscienza infinitamente piccola delle piccole percezioni incoscienti. Questa sarebbe la morte. In altri termini, la morte non sarebbe nient� altro che un avvolgimento, le percezioni cessano di essere sviluppate in percezioni coscienti, esse vengono avvolte in un infinità di piccole percezioni. Dobbiamo dire ciò soltanto riguardo alla percezione? No. E qui, di nuovo, genialità di Leibniz. C� è una psicologia firmata Leibniz. E� stata una delle prime teorie dell� inconscio. Ne ho parlato forse abbastanza per far si che voi capiate che è una concezione dell� inconscio che non ha niente a che vedere con quella di Freud. Tutto questo per dire cosa c� è di nuovo in Freud: certo non l� ipotesi di un inconscio che già era stata fatta da numerosi autori, ma bensì la maniera in cui Freud concepisce l� inconscio. Ora, fra i successori di Freud si trovano dei fenomeni molto strani di ritorno a una concezione leibniziani , ma parlerò di questo più tardi. Capite che non può dire ciò solo della percezione, visto che secondo Leibniz, l� anima ha due facoltà fondamentali: l� appercezione cosciente che composta da piccole percezioni incoscienti, e ciò che chiama l� appetizione, l� appetito, il desiderio. E noi saremmo fatti di desiderio e di percezioni. Ora, l� appetizione è l� appetito cosciente. Se le percezioni globali sono fatte di un� infinità di piccole percezioni, le appetizioni o grossi appetiti sono fatti di un� infinità di piccole appetizioni. Come potete vedere le appetizioni sono i vettori corrispondenti alle piccole percezioni, diventa un inconscio molto strano. La goccia del mare alla quale corrisponde la goccia d� acqua, alla quale corrisponde una piccola appetizione presso colui che ha sete. E quando io dico: � Oddio, ho sete, ho sete� , che cosa faccio? Esprimo grossolanamente un risultato globale delle mille e mille piccole percezioni che mi attraversano, e delle mille e mille appetizioni che mi attraversano. Che cosa vuol dire? All� inizio del ventesimo secolo, un grande biologo spagnolo caduto nell� oblio, si chiamava Turro, fece un libro col titolo in francese: � Les origines de la connaissance� (1914-Le origini della conoscenza) ed è un libro straordinario. Turro diceva che quando diciamo � io ho fame� � aveva una formazione puramente biologica -, e ci diciamo che è Leibniz che si è svegliato -, e Turro dice che quando diciamo � io ho fame� , è un vero risultato globale, ciò che egli chiama una sensazione globale. Impiega i suoi concetti: la fame globale e le piccole fami specifiche. Dice che la fame come fenomeno globale è un effetto statistico. Di cosa è composta la fame come sostanza globale? Di mille piccole fami: fame di Sali, fame di sostanze proteiche, fame di grassi, fame di sali minerali, ecc& Quando dico � io ho fame� , io faccio alla lettera, dice Turro, l� integrale o l� integrazione di queste mille piccole fami specifiche. Le piccole differenziali sono le differenziali della percezione cosciente, la percezione cosciente è l� integrazione delle piccole percezioni. Molto bene. Vedete bene che le mille piccole appetizioni sono le mille fami specifiche. E Turro continua perché c� è tuttavia qualcosa di strano a livello animale: come fa l� animale a sapere di cosa ha bisogno? L� animale vede delle qualità sensibili, ci si getta sopra e le mangia, tutti mangiamo delle qualità sensibili. La mucca mangia del verde. Essa non mangia dell� erba, e tuttavia non mangia un verde qualsiasi poiché riconosce il verde dell� erba e non mangia soltanto il verde dell� erba. Il carnivoro non mangia delle proteine, mangia la cosa che ha visto, non vede delle proteine. Il problema dell� istinto, al livello più semplice, è: come si spiega il fatto che le bestie mangiano pressappoco ciò che gli conviene? In effetti, le bestie per il loro pasto mangiano la quantità di grassi, la quantità di sale, la quantità di proteine necessaria all� equilibrio del loro � ambiente� (milieu) interiore. E il loro ambiente interiore che cos� è? L� ambiente interiore è il luogo di tutte le piccole percezioni e le piccole appetizioni.Che buffa comunicazione fra la coscienza e l� inconscio. Ogni specie mangia pressappoco ciò di cui ha bisogno, salvo gli errori tragici o comici che invocano sempre i nemici dell� istinto: i gatti, per esempio, che mangiano ciò che li avvelenerà, ma è molto raro. E� questo il problema dell� istinto. Questa psicologia alla Leibniz delinea delle piccole appetizioni che investono delle piccole percezioni; la piccola appetizione fa l� investimento psichico della piccola percezione, e che mondo viene fuori? Non smettiamo di passare da una piccola percezione ad un� altra, anche senza saperlo. La nostra coscienza coglie solo le percezioni globali e i grossi appetiti, � ho fame� , ma quando io dico � ho fame� , sono presenti ogni sorta di passaggi, di metamorfosi; la mia piccola fame di sale che diventa un� altra fame,

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piccola fame di proteine; piccola fame di proteine che diventa piccola fame di grassi, o tutto ciò che si mescola, sono degli eterogenei. Che ne pensate dei bambini mangiatori di terra? Per quale miracolo mangiano della terra nel momento in cui hanno bisogno della vitamina che questa terra contiene? Dev� essere l� istinto. Sono dei mostri! Ma Dio ha fatto i mostri in armonia.Allora, qual è lo statuto della vita psichica inconscia? E� successo a Leibniz di incontrare il pensiero di Locke, e Locke aveva scritto un libro che si chiamava � Saggio sull� intelletto umano� . Leibniz si interessò molto a Locke, soprattutto per il fatto che secondo lui Locke si sbagliava su tutto. Leibniz si divertì a scrivere un grosso libro che intitolò � Nuovo saggio sull� intelletto umano� nel quale, capitolo per capitolo, dimostrava che Locke era uno scemo. Aveva torto, ma fu una grande critica. Alla fine poi non l� ha pubblicato. Ha avuto una reazione morale molto onesta, perché, nel frattempo, Locke era morto. Tutto il suo grosso libro era finito ma lo lasciò da parte, lo inviò a degli amici. Vi racconto questa storia perché Locke, nelle sue pagine migliori, costruisce un concetto per il quale utilizzerò la parola inglese � uneasyness� . Significa, grosso modo, il malessere, lo stato di malessere. E Locke cerca di spiegare che è questo il grande principio della vita psichica. Come vedete è molto interessante perché ci fa sortire dalle banalità sulla ricerca del piacere o della felicità. Locke, in generale, dice che certo possibile che si cerchi il proprio piacere, la propria felicità, forse è possibile, ma non è questa la questione; esiste una specie di inquietudine del vivente. Inquietudine, non angoscia. Lanciò così il concetto psicologico di inquietudine. Non siamo né assetati di piacere, né assetati di felicità, né angosciati, la sua impressione è che siamo prima di tutto inquieti. Non restiamo mai al nostro posto. E Leibniz, in una pagina molto bella, dice che possiamo cercare di tradurre questo concetto, ma che una sua traduzione è alla fine molto difficile; questa parola funziona bene in inglese, un inglese vede subito di cosa si tratta. Noi, diremo qualcuno che è nervoso. Sentite come lo prende in prestito da Locke e come lo trasforma: questo non sentirsi a proprio agio del vivente, che cos� è? Non è affatto il malessere del vivente. E� che, anche quando è immobile, quando ha la sua percezione cosciente ben inquadrata, brulica comunque: le piccole percezioni e le piccole appetizioni che investono le piccole percezioni fluenti, percezioni fluenti e appetiti fluenti non smettono di muoversi, è questo il punto. Allora, se c� è un Dio, e Leibniz è persuaso Dio c� è, questa uneasyness è molto meno un malessere che una cosa che fa tutt� uno con la tendenza a sviluppare il massimo di percezione, e lo sviluppo del massimo di percezione definirà una specie di continuità psichica. Ritroviamo il tema della continuità, cioè un progresso indefinito della coscienza. In cosa troviamo il malessere? Il fatto è che si possono fare sempre dei brutti incontri. E� come la pietra quando tende a cadere: essa tende a cadere seguendo una traiettoria perpendicolare ad esempio, e poi, essa potrebbe incontrare una roccia che la faccia sbriciolare o scoppiare. E� veramente un incidente legato alla legge della più grande pendenza. Ciò non vuol dire che la legge della più grande pendenza sia la migliore. Si capisce facilmente cosa voglia dire. Ecco dunque un inconscio definito dalle piccole percezioni, e le piccole percezioni sono allo stesso tempo delle percezioni infinitamente piccole e le differenziali della percezione cosciente. E i piccoli appetiti sono allo stesso tempo degli appetiti incoscienti e i differenziali dell� appetizione cosciente. Esiste una genesi della vita psichica a partire dalle differenziali della coscienza. In questo modo l� inconscio leibniziano è l� insieme delle differenziali della coscienza. E� la totalità infinita delle differenziali della coscienza. C� è una genesi della coscienza. L� idea delle differenziali della coscienza è fondamentale. La goccia d� acqua e l� appetito per la goccia d� acqua, le piccole fami, il mondo dello stordimento. Tutto questo concorre a creare uno mondo bizzarro. Apro una parentesi molto breve. Questo inconscio ha una lunga storia nella filosofia. Grosso modo possiamo dire che è la scoperta e la teorizzazione di un inconscio propriamente differenziale. Capite che questo inconscio è strettamente legato all� analisi infinitesimale, per questo parlavo di dominio psico-matematico. Come ci sono dei differenziali della curva, ci sono dei differenziali della coscienza. I due domini, il dominio psichico e il dominio matematico simbolizzano. Se cerco la sorgente, è Leibniz che lancia la grande idea, la prima grande teoria di questo inconscio differenziale, che poi non si fermerà qui. C� è una lunga tradizione di questa concezione differenziale dell� inconscio a

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base di piccole percezioni e piccole appetizioni. Tutto ciò culminerà con un grande autore che è stato stranamente sempre sottovalutato in Francia, un tardo-romantico tedesco che si chiama Fechner. E� un discepolo di Leibniz che svilupperà la concezione dell� inconscio differenziale. Che cosa ha apportato Freud? Certamente non l� inconscio, che già faceva parte di una forte tradizione teorica. Non che per Freud non ci fossero delle percezioni incoscienti, ci sono secondo lui anche dei desideri incoscienti. Vi ricordate che in Freud c� è l� idea che la rappresentazione può essere incosciente, e che in un altro senso anche l� affetto può esserlo. Ciò corrisponde a percezione e appetizione. Ma la novità di Freud è che concepisce l� inconscio � ed ora dirò una cosa veramente elementare per sottolineare una grossa differenza -, egli concepisce l� inconscio in un rapporto di conflitto o d� opposizione con la coscienza, e non in un rapporto differenziale. E� una cosa completamente diversa concepire un inconscio che esprime dei differenziali della coscienza dal concepire un inconscio che esprime una forza che si oppone alla coscienza e che entra in conflitto con essa. In altri termini, in Leibniz, c� è un rapporto tra la coscienza e l� inconscio, un rapporto a differenze che tendono a svanire, in Freud c� è un rapporto d� opposizione di forze. Potrei dire che l� inconscio attrae delle rappresentazioni, le strappa alla coscienza, sono veramente due forze antagoniste. Potrei dire che filosoficamente Freud dipende da Kant e da Hegel, è evidente. Coloro che avevano orientato esplicitamente l� inconscio nel senso di un conflitto di volontà, e non più di differenziale della percezione, erano della scuola di Schopenhauer che Freud conosce molto bene e che discendevano da Kant. Dobbiamo quindi salvaguardare l� originalità di Freud, salvo il fatto che trovò in effetti una preparazione in certe filosofie dell� inconscio, non certamente facenti parte della corrente leibniziana. Quindi la nostra percezione cosciente è composta da un� infinità di piccole percezioni. Il nostro appetito cosciente è composto da un� infinità di piccoli appetiti. Leibniz fa in questo modo un� operazione bizzarra, e se non ci trattenessimo, avremmo voglia di protestare subito. Potremmo dirgli, d� accordo, la percezione ha delle cause, per esempio la mia percezione del verde, o la mia percezione di un colore qualunque, essa implica ogni sorta di vibrazione fisica. E queste vibrazioni fisiche non sono esse stesse percepite. Che ci siano un� infinità di cause elementari in una percezione cosciente, con quale diritto lui conclude che queste cause elementari sono esse stesse oggetti di percezioni infinitamente piccole, perché? E cosa vuol dire quando dice che la nostra percezione cosciente è composta da un� infinità di piccole percezioni, esattamente come la percezione del rumore del mare è composto dalla percezione di tutte le gocce d� acqua? Se fate attenzione ai testi, è molto strano perché questi testi dicono cose diverse, delle quali una è detta in modo manifesto per semplificazione e l� altra esprime il vero pensiero di Leibniz. Ci sono due sezioni: le une sono sotto la sezione parte-tutto, così da voler dire che la percezione cosciente è sempre quella di un tutto, questa percezione di un tutto suppone non soltanto delle parti infinitamente piccole, ma anche che queste parti infinitamente piccole siano esse stesse percepite. Quindi la formula: la percezione cosciente è fatta di piccole percezioni, dirò in questo caso che � è fatta di� è uguale a � essere composta di� . Leibniz si esprime molto spesso così. Prendo un testo � Altrimenti non sentiremo per niente il tutto� & se non ci fossero queste piccole percezioni, non avremmo coscienza del tutto. L� organo di senso mette in atto una totalizzazione delle piccole percezioni. L� occhio è ciò che totalizza un� infinità di piccole vibrazioni, e in questo modo compone con le sue piccole vibrazioni una qualità globale che io chiamo il verde, o che chiamo rosso, ecc& il testo è chiaro, si tratta del rapporto tutto-parti. Quando Leibniz vuol fare alla svelta, ha tutto l� interesse per parlare così, ma quando vuole veramente spiegare le cose, parla in modo diverso, dice che la percezione cosciente deriva dalle piccole percezioni. Non è la stessa cosa dire composto da o derivato da. In un caso avete il rapporto parti-tutto, nell� altro caso avete un rapporto di tutt� altra natura. Di che natura? Il rapporto di derivazione, ciò che si chiama una derivata. Anche questo ci riporta al calcolo infinitesimale: la percezione cosciente deriva dall� infinità delle piccole percezioni. A questo punto non posso più dire che l� organo di senso totalizza. Notare che la nozione matematica d� integrale riunisce le due: l� integrale è ciò che deriva da ed anche ciò che opera una integrazione, una specie di totalizzazione, ma una totalizzazione molto speciale, non una totalizzazione per addizioni. Possiamo

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dire senza rischiare di sbagliarsi, che anche se Leibniz non lo fa notare, sono i secondi testi che hanno l� ultima voce in capitolo. Quando Leibniz ci dice che la percezione cosciente è composta di piccole percezioni, non è il suo vero pensiero. Al contrario, il suo vero pensiero è che la percezione cosciente deriva dalle piccole percezioni. Che cosa vuol dire � deriva da� ? prendiamo un altro testo di Leibniz: � La percezione della luce o del colore di cui ci rendiamo conto, i.e. la percezione cosciente � è composta da quantità di piccole percezioni delle quali non ci rendiamo conto, sia da un rumore di cui non ci rendiamo conto, sia da un rumore che avevamo percepito ma che diventa percepibile inavvertitamente � i.e. passa allo stato di percezione cosciente -, a causa di una piccola addizione o di un aumento� . Non passiamo più dalle piccole percezioni alla percezione cosciente per totalizzazione come lo suggeriva il primo testo, passiamo dalle piccole percezioni alla percezione cosciente globale a causa di una piccola addizione. Credevamo aver capito e all� improvviso non capiamo più niente. Una piccola addizione, è l� addizione di una piccola percezione; allora passiamo dalle piccole percezioni alla percezione globale cosciente con una piccola percezione? Viene da pensare che le cose che non vanno più bene. All� improvviso sentiamo il bisogno di basarci sull� altro tipo di testo, almeno era più chiaro. Era più chiaro ma insufficiente. I testi sufficienti sono sufficienti ma non ci si capisce più niente. Situazione deliziosa, salvo nel caso in cui ci imbattiamo in un testo vicino dove Leibniz dice: � bisogna considerare che noi pensiamo a quantità di cose alla volta. Ma noi non facciamo attenzione se non ai pensieri che sono i più distinti& � . Perché ciò che è rimarchevole (remarquable) deve essere composto di parti che non lo sono � qui Leibniz sta mischiando tutto, ma lo fa apposta. Noi che non siamo più innocenti, conosciamo la parola � rimarchevole� , e sappiamo che ogni volta che egli impiega notevole, rimarchevole, distinto, lo fa in un senso molto tecnico, e allo stesso tempo fa confusione, perché l� idea del chiaro e del distinto, a partire da Cartesio, era un� idea che trovavamo un po� ovunque. Lui, fa trafilare il suo piccolo � distinto� , i pensieri più distinti. Capite, il distinto, il rimarchevole, il singolare. Che cosa vuol dire: passiamo dalle piccole percezioni incoscienti alla percezione cosciente globale a causa di una piccola addizione. Evidentemente non è una qualunque piccola addizione. Non è né un� altra percezione cosciente, né una piccola percezione incosciente in più. Ma cosa vuol dire allora? Vuol dire che le vostre piccole percezioni formano una serie di ordinari, una serie detta regolare: tutte le piccole gocce d� acqua, percezioni elementari, percezioni infinitesimali. Come fate a passare dal rumore del mare alla percezione globale? Prima risposta: per globalizzazione-totalizzazione. Risposta del commentatore: d� accordo, è facile da dire. Non penseremmo mai di fare obiezioni. C� è bisogno di amare abbastanza un autore per sapere che non si sbaglia, che parla così solo per fare alla svelta. Seconda risposta: accade a causa di una piccola addizione. Non può essere l� addizione di una piccola percezione ordinaria o regolare, non può essere neanche l� addizione di una percezione cosciente poiché la coscienza sarebbe allora presupposta. La risposta è che io arrivo in vicinanza di un punto rimarchevole, del quale non opero una totalizzazione, ma una singolarizzazione. E� quando la serie delle piccole gocce d� acqua percepite si avvicina o entra nelle vicinanze di un punto singolare, di un punto rimarchevole che la percezione diventa cosciente.E� una visione del tutto diversa perché a questo punto una gran parte delle obiezioni che si fanno all� idea di un inconscio differenziale svaniscono. Cosa vuol dire? Questo è il senso che sembrano avere i testi più completi di Leibniz. Fin dall� inizio ci facciamo l� idea che dei piccoli elementi, è anche un modo di dire perché ciò che è differenziale non sono gli elementi, non dx in rapporto a x, visto che dx in rapporto a x non vale niente. Ciò che è differenziale non è dy in rapporto a y perché dy per rapporto a y non vale niente. Ciò che è differenziale è dy/dx, è il rapporto. E� questo che conta nell� infinitamente piccolo. Vi ricordate che a livello dei punti singolari il rapporto differenziale cambia di segno. Leibniz ingravida Freud senza saperlo. A livello della singolarità delle crescite o delle decrescite, il rapporto differenziale cambia di segno, cioè il segno s� inverte. Nel caso della percezione, qual� è il rapporto differenziale? Perché non si tratta di elementi ma di rapporti? Ciò che determina un rapporto è precisamente un rapporto fra gli elementi fisici e il mio corpo. Le vibrazioni e le molecole del mio corpo. Abbiamo quindi dy e dx. E� il rapporto dell� eccitazione fisica con il mio corpo biologico. E� il

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rapporto differenziale della percezione. Voi capite che a questo punto non possiamo più parlare di piccole percezioni. Parleremo del rapporto differenziale fra l� eccitazione fisica e lo stato fisico assimilandolo a dy/dx, poco importa. Ora, la percezione diviene cosciente quando il rapporto differenziale corrisponde a una singolarità, cioè cambia di segno. Per esempio quando l� eccitazione si avvicina sufficientemente. E� la molecola d� acqua la più vicina del mio corpo che definirà il piccolo aumento per mezzo del quale l� infinito delle piccole percezioni diventa percezione cosciente. Non è per niente un rapporto fra parti, è un rapporto di derivazione. E� il rapporto differenziale dell� eccitante e del mio corpo biologico che permetterà di definire la vicinanza della singolarità. Capite in che senso Leibniz potrebbe dire che le inversioni di segno, cioè i passaggi dal coscienza all� inconscio e dall� inconscio alla coscienza, le inversioni di segno rinviano ad un inconscio differenziale e non ad un inconscio di opposizione. Quando facevo allusione ai seguaci di Freud, Young per esempio, presenta un lato leibniziano, e reintroduce mandando su tutte le furie Freud, e per questo Freud pensava che Young tradisse assolutamente la psicanalisi, un inconscio di tipo differenziale. E ciò lo deve alla tradizione del romanticismo tedesco che è molto legato lui stesso all� inconscio in Leibniz. Quindi passiamo dalle piccole percezioni alla percezione inconscia per addizione di qualcosa di notevole, cioè quando la serie degli ordinari arriva in vicinanza della singolarità seguente, così come la vita psichica o la curva matematica sarà sottomessa ad una legge che è quella della composizione del continuo. C� è composizione del continuo poiché il continuo è un prodotto: il prodotto dell� atto per il quale una singolarità si prolunga fino alla vicinanza di un� altra singolarità. E tutto questo non vale solo per l� universo del simbolo matematico, ma anche per quello della percezione, della coscienza e dell� inconscio. A questo punto non abbiamo che una sola domanda: cosa sono il compossibile e l� incompossibile? Deriva strettamente da ciò che abbiamo detto. Abbiamo la formula della compossibilità. Riprendo il mio esempio del quadrato con le sue quattro singolarità. Prendete una singolarità, è un punto; fatene il centro di un cerchio. Quale cerchio? Fino alla vicinanza dell� altra singolarità. In altri termini, nel quadrato abcd, voi prendete a come centro di un cerchio che si ferma o del quale la periferia è in vicinanza della singolarità b. Fate la stessa cosa con b: che si ferma in vicinanza della singolarità a e tracciate poi un altro cerchio che si ferma in vicinanza della singolarità c. Questi cerchi si intersecano. Costruirete così, di singolarità in singolarità, ciò che potrete chiamare una continuità. Il caso più semplice di continuità è una linea retta, ma c� è continuità anche con linee non rette. Con il vostro sistema di cerchi che s� intersecano, voi direte che c� è continuità quando i valori delle due serie ordinarie, quelle a-b, e quelle b-, coincidono. Quando c� è coincidenza dei valori delle due serie ordinarie comprese nei due cerchi, voi avete una continuità. Potete quindi costruire una continuità fatta di continuità. Potete costruire una continuità di continuità, esempio: il quadrato. Se le serie degli ordinari derivano da singolarità divergenti, allora avrete una discontinuità.Voi mi direte che un mondo è costruito per mezzo di una continuità di continuità. E� la composizione del continuo. Una discontinuità viene definita quando le serie di ordinari o di regolari che derivano da due punti singolari divergono. Terza definizione: il mondo esistente è il migliore? Perché? Perché è il mondo che assicura il massimo di continuità. Quarta definizione: cos� è il compossibile? Un insieme di continuità composte. Ultima definizione: cos� è l� incompossibile? Quando le serie divergono, quando voi non potete più comporre la continuità di questo mondo con la continuità di quest� altro mondo. Divergenza nella serie d� ordinari che dipendono dalle singolarità, a quel punto non può più far parte dello stesso mondo. Abbiamo così una legge di composizione del continuo che è psico-matematica. Perché non lo vediamo? Perché c� è bisogno di tutta questa esplorazione dell� inconscio? Perché, ancora una volta, Dio è perverso. La perversità di Dio sta nell� aver scelto il mondo che implicava il massimo di continuità, calcolo del massimo, ha scelto il mondo e fatto passare all� esistenza il mondo che implicava il massimo di continuità, ha composto il mondo scelto sotto questa forma, solo che ha disperso le continuità poiché si tratta di continuità di continuità. Le ha disperse. Che vuol dire? Si ha l� impressione, dice Leibniz, che ci siano nel nostro mondo delle discontinuità, dei salti, delle rotture. Con un termine molto bello, dice che si ha l� impressione che ci siano delle cadute di musica. Ma non ci

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sono. Alcuni hanno l� impressione che ci sia un fossato tra l� uomo e l� animale, una rottura. E� chiaro perché Dio, nella sua malizia estrema, ha concepito il mondo scegliendo sotto la forma del massimo di continuità, quindi esiste ogni sorta di grado intermediario fra l� animale e l� uomo, ma è stato attento a non metterceli sotto gli occhi. Nel bisogno li ha messi in altri pianeti diversi dal nostro mondo. Perché? Perché così era bene fare, bene per noi perché possiamo così credere al nostro dominio sulla natura. Se avessimo tutta le transizioni tra la bestia peggiore e noi, saremmo stati meno vanitosi, ma questa vanità è in fin dei conti buona perché permette all� uomo di acquietarsi sul suo potere nei confronti della natura. Alla fine non è una perversione di Dio, è che dio il fatto è che Dio non ha smesso di rompere le continuità che aveva costruito per introdurre della varietà nel mondo scelto; per nascondere tutto il sistema delle piccole differenze, delle differenze svanenti. Allora ha proposto ai nostri organi di senso e al nostro stupido pensiero, ha presentato un mondo che al contrario è molto spezzettato. Passiamo il nostro tempo a dire che le bestie non hanno un� anima (Cartesio), oppure che esse non parlano. Ma non è così: ci sono tutte le transizioni, tutte le piccole definizioni. Qui troviamo una relazione specifica che è la compossibilità o l� incompossibilità. Vorrei ripetere ancora una volta che la compossibilità è presente quando le serie ordinarie convergono, le serie di punti regolari che derivano da due singolarità e quando i loro valori coincidono, altrimenti c� è discontinuità. In un caso avete la definizione di compossibilità, nell� altro caso, la definizione dell� incompossibilità. Perché Dio ha scelto questo mondo piuttosto che un altro, visto che un altro era possibile? Risposta splendida di Leibniz: perché è il mondo che matematicamente implica il massimo di continuità, ed è unicamente in questo senso che è il migliore dei mondi possibili. Un concetto è sempre qualcosa di molto complesso. La seduta di oggi la mettiamo sotto il segno del concetto di singolarità. Ora, il concetto di singolarità ha come ogni sorta di linguaggio che si riunisce in lui. Un concetto è sempre polivalente (polyvoque), necessariamente. Il concetto di singolarità non potete coglierlo senza un minimo di strumentazione matematica: i punti singolari in opposizione ai punti ordinari o regolari, a livello di esperienze di tipo psicologico: che cos� è lo stordimento, che cos� è un mormorio, che cos� è il rumore, ecc& E a livello filosofico, nel caso di Leibniz, la costruzione di questa relazione di compossibilità. Ciò non...

Lezione del 06/05/1980L� ultima volta, abbiamo concluso con questa domanda: che cos� è la compossibilità, e che cos� è l� incompossibilità? Cosa sono queste due relazioni? La relazione di compossibilità, la relazione d� incompossibilità. Come definirle?

Abbiamo constatato che ciò ci metteva di fronte ad ogni sorta di problemi e che ci lanciava verso l� esercizio, anche se sommario, dell� analisi infinitesimale. Oggi, vorrei fare un terzo grande capitolo che consisterebbe a dimostrare fino a che punto Leibniz organizza in modo nuovo, ed anche crea dei veri e propri principi. Creare dei principi, non è un bisogno corrente. Questo terzo grande capitolo di una introduzione ad una lettura possibile di Leibniz, lo chiamerò: � deduzione dei principi� . Che i principi siano oggetto di una deduzione particolare, di una deduzione filosofica, anche questo non è ovvio. C� è una tale ricchezza di principi in Leibniz, invoca continuamente dei principi dandogli, quando ne ha bisogno, dei nomi che prima non esistevano. Per orientarsi in questi principi, dobbiamo ritrovare il filo della deduzione leibniziana.

Il primo principio che Leibniz si da con una giustificazione rapida, è il principio d� identità. È il minimo, il minimo che si conceda. Che cos� è il principio d� identità? Ogni principio ha una ragione. A è A. Una cosa, è la cosa. Una cosa è cio che è. Sono andato già un pò avanti. Una cosa è cio che è, è meglio che A è A, perché? Perche ciò mostra quale sia la regione governata dal principio d� identità. Se il principio d� identità può esprimersi sotto la forma � una cosa è cio che è� , è perché l� identità consiste a manifestare l� identità propria tra la cosa e ciò che la cosa è. Se l� identità regola il rapporto della cosa e

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di ciò che la cosa è, ci dice che la cosa è identica alla cosa e che la cosa è identica a ciò che è, io posso dire, che cos� è la cosa? Ciò che la cosa è, tutti l� hanno sempre chiamata l� essenza della cosa. Direi che il principio d� identità è la regola delle essenze. La regola delle essenze, o se volete, del possibile. In effetti, l� impossibile è il contraddittorio. Il possibile, è l� identico. Cosicché, il principio d� identità è una ragione, una ratio, quale ratio? È la ratio delle essenze oppure, come dicevano i latini o secondo la terminologia del medio evo molto tempo prima: ratio essendi. Prendo questo esempio tipico perché credo che sia molto difficile fare filosofia senza avere una certa familiarità terminologica; non dovete mai pensare di poterne fare a meno, e non pensate che sia difficile da acquisire. È esattamente la stessa cosa delle scale per pianoforte. Se voi non conoscete abbastanza precisamente il rigore dei concetti, cioè il senso delle grandi nozioni, allora sarebbe troppo difficile. Si deve prendere ciò come esercizio. I filosofi, è normale che abbiamo le loro proprie scale, hanno il loro pianoforte mentale. C� è bisogno di cambiare l� aria delle categorie. La storia della filosofia non può essere fatta se non dai filosofi; ora, è vero, che essa è stata presa in mano dai professori di filosofia, e ciò non è un bene perché ne hanno fatto una materia d� esame e non una materia di studi, di scale.Ogni volta che parlerò di un principio secondo Leibniz, gli darò due formulazioni. Una formulazione volgare e una formulazione erudita. È un fatto molto bello al livello dei principi, il rapporto necessario fra la pre-filosofia e la filosofia, questo rapporto di esteriorità per il quale la filosofia ha bisogno di una pre-filosofia.Formulazione volgare del principio d� identita: la cosa è cio che la cosa è, identità della cosa e della sua essenza. Vedete che già la formulazione volgare, implica molte cose. Formulazione erudita del principio d� identità: ogni proposizione analitica è vera. Che cos� è una proposizione analitica? È una proposizione in cui, il predicato e il soggetto sono identici. Una proposizione analitica è vera: A è A, è vera. Andando nel dettaglio delle formule di Leibniz possiamo ampliare la formulazione erudita. Ogni proposizione analitica è vera secondo due casi: o per reciprocità o per inclusione.Esempio di proposizione di reciprocità: il triangolo ha tre angoli. Avere tre angoli, è questo il triangolo. Secondo caso: inclusione: il triangolo ha tre lati. In effetti, figura chiusa avente tre angoli inviluppa, include, implica l� avere tre lati. Diremo che le proposizioni analitiche di reciprocità sono l� oggetto di intuizioni, e che le proposizioni analitiche d� inclusione sono l� oggetto di dimostrazioni. Quindi, principio d� identità, regola delle essenze o del possibile, ratio essendi, a quale domanda risponde? A quale grido risponde il principio d� identità? Il grido patetico che costantemente appare in Leibniz corrispondente al principio d� identità è: perché qualcosa piuttosto che niente? È il grido della ratio essendi, della ragione d� essere. Se non ci fosse l� identità, un� identità concepita come identità della cosa e di ciò che la cosa è, a quel punto non ci sarebbe niente.

Secondo principio: principio di ragione sufficiente.Questo ci rimanda al dominio che abbiamo classificato come il dominio delle esistenze. La ratio corrispondente al principio di ragione sufficiente, non è piu la ratio essendi, la ragione delle essenze o della ragione d� essere, è la ratio esistendi, la ragione d� esistere. La questione non è più: perché qualcosa piuttosto che niente poiché il principio d� identità ci ha assicurato che c� era qualcosa, cioè l� identico. Non è più: perché qualcosa piuttosto che niente, ma perché questo puttosto che quello? Quale ne sarebbe l� espressione volgare? Abbiamo visto che ogni cosa ha una ragione. Bisogna che ogni cosa abbia una ragione. Quale ne sarebbe l� espressione erudita? Vedete che in apparenza siamo del tutto fuori dal principio d� identità. Perché? Perché il principio d� identità riguarda l� identità della cosa e ciò che essa è, ma non dice se la cosa esiste. Il problema se la cosa esista oppure no, è del tutto diverso dal problema di ciò che essa sia. Posso in ogni momento determinare ciò che una cosa è indipendentemente dal problema di sapere se essa esista oppure no. Per esempio so che il licorno non esiste, ma posso dire che cosa esso sia. Quindi c� è proprio bisogno di un principio che ci faccia pensare l� esistente. Come può un principio apparentemente cosi vago come � tutto ha una ragione� farci pensare l� esistente? Sarà la formulazione erudita a spiegarcelo. Troviamo in Leibniz una formulazione erudita

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sotto forma del seguente enunciato: ogni predicazione (cioè l� attività del giudizio che attribuisce qualcosa ad un soggetto; quando io dico � il cielo è blu� , attribuisco blu a cielo e faccio una predicazione), ogni predicazione ha un fondamento nella natura delle cose. È la ratio existendi.

Cerchiamo di capire meglio come ogni predicazione abbia un fondamento nella natura delle cose. Ciò vuol dire: tutto quello che si dice di una cosa, l� insieme di ciò che si dice di una cosa, è la predicazione riguardante questa cosa, tutto ciò che si dice una cosa è compreso, contenuto, incluso nella nozione della cosa. Ecco il principio di ragione sufficiente. Come vedete, la formula che prima ci sembrava innocente, ogni predicazione ha un fondamento nella natura delle cose, presa alla lettera, diventa molto più strana: tutto ciò che si dice di una cosa deve essere compreso, contenuto, incluso nella nozione della cosa. Allora, tutto ciò che si dice di una cosa, che cos� è? prima di tutto è l� essenza. In effetti, l� essenza si dice della cosa. Soltanto che, su questo piano, non ci sarebbe nessuna differenza fra ragione sufficiente e identità. Ed è normale perché la ragione sufficiente riprende tuto il contenuto del principio d� identità, aggiungendoci qualcosa: ciò che si dice di una cosa non è soltanto l� essenza della cosa, è l� insieme delle affezioni, degli eventi che si rapportano o che appartengono alla cosa.Quindi, non soltanto l� essenza sarà contenuta nella nozione della cosa, ma il più piccolo degli eventi, la più piccola delle affezioni riguardanti la cosa, cioè ciò che si attribuisce con verita alla cosa saranno contenuti nella nozione di essa.L� abbiamo visto: attraversare il Rubicone, che lo si voglia o no, bisogna per forza che sia contenuto nella nozione di Cesare. Gli eventi, le affezioni del tipo amare, odiare, bisogna che siano contenute nella nozione del soggetto che prova queste affezioni. In altri termini, ogni nozione individuale � e l� esistente è precisamene l� oggetto, il correlato di una nozione individuale � ogni nozione individuale esprime il mondo. È questo il principio di ragione sufficiente. A tutto c� è una ragione significa che tutto quello che accade ad una cosa deve essere contenuto per tutta l� eternità nella nozione individuale della cosa .La formulazione definitiva del principio di ragione sufficiente è molto semplice: ogni proposizione vera è analitica, ogni proposizione vera � per esempio ogni proposizione che consiste nell� attribuire a qualche cosa un evento che si è effettivamente prodotto e che concerne questo qualcosa -, ebbene, se è vero, bisogna per forza che l� evento sia compreso nella nozione della cosa.In che ambito ci troviamo? Nell� ambito dell� analisi infinita, mentre al contrario, al livello del principio d� identità, ci troveremmo di fronte soltanto a delle analisi finite. Ci sarà un rapporto analitico infinito fra l� evento e la nozione individuale che comprende l� evento. In breve, il principio di ragione sufficiente è il reciproco del principio d� identità � ma cosa è accaduto nella reciproca? La reciproca ha conquistato un ambito radicalmente nuovo, la reciproca ha conquistato il dominio delle esistenze. Era sufficiente fare la reciproca, di capovolgere la formula dell� identità per ottenere quella della ragione sufficiente; bastava reciprocare la formula dell� identità che concerne le essenze per disporre di un nuovo principio, principio di ragione sufficiente riguardante le esistenze. Mi direte voi che non era affatto complicato. Era molto complicato invece, perché? La reciproca non era possibile, questa azione di reciprocità non era possibile se non si fosse portata l� analisi all� infinito. La nozione, il concetto di analisi infinita è una nozione assolutamente originale. Consisterà nel dire che essa può esistere soltanto nell� intelletto di Dio, che è infinito? Certo che no. Ciò implica tutta una tecnica, la tecnica dell� analisi differenziale o del calcolo infinitesimale.

Terzo principio: è vero che la reciproca della reciproca darebbe il primo principio? Non è una cosa certa. Dipende, ci sono talmente tanti punti di vista. Cerchiamo di variare le formulazioni del principio di ragione sufficiente. Dicevamo, per la ragione sufficiente, che tutto ciò che accade ad una cosa deve essere compreso, incluso nella nozione della cosa, e questo implica l� analisi infinita. Tanto vale dire: per tutto ciò che accade o per ogni cosa c� è un concetto. Avevo insitito su questo punto, ciò che è importante dire è che Leibniz non vuole affatto riprendere un celebre principio. Tutto il contrario, non vuole affatto questo � tale principio sarebbe il principio di causalità. Quando Leibniz dice che a tutto

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c� è una ragione, ciò non vuol dire per niente che tutto abbia una causa. Tutto ha una causa significa A rinvia a B, B rinvia a C, ecc. A tutto c� è una ragione significa che bisogna rendere ragione della causalità stessa, a ben vedere tutto ha una ragione significa che il rapporto che A intrattiene con B deve essere in un modo o in un altro compreso nella nozione di A. Allo stesso modo come il rapporto che B intrattiene con C deve essere in un modo o in un altro compreso nella nozione di B. Quindi il principio di ragione sufficiente è un superamento del principio di causalità. È in questo senso che il principio di causalità enuncia soltanto la causa necessaria ma non la ragione sufficiente. Le cause sono soltanto delle necessità non autosufficienti e che suppongono delle ragioni sufficienti.Posso quindi enunciare il principio di ragione sufficiente nella forma seguente: per ogni cosa c� è un concetto che rende conto sia della cosa che dei suoi rapporti con le altre cose, comprese le sue cause e i suoi effetti.

Per ogni cosa c� è un concetto, non è per niente una cosa ovvia. Molte persone penseranno che è proprio dell� esistenza non avere un concetto. Per ogni cosa c� è un concetto, quale sarà la reciproca? Capite che reciproca non ha affatto lo stesso senso. Aristotele ha fatto un trattato di logica antica riguardante unicamente la tavola degli opposti. Che cos� è il contraddittorio, che cos� è il contrario, che cos� è il subalterno, ecc. Non potete dire contraddittorio quando invece è contrario, non potete dire le cose a caso. Qui, impiego la parola reciproco senza precisare. Quando dico che per ogni cosa c� è un concetto (ridiciamolo che non è per niente una cosa sicura), supponete di accordami quest� idea. A quel punto non posso più sfuggire alla reciproca. Che cos� è la reciproca?

Per una teoria del concetto, dovremmo partire dal canto degli uccelli. La grande differenza fra i gridi e i canti � i gridi d� allarme, i gridi di fame, e poi i canti degli uccelli. E si può spiegare acusticamente quale sia la differenza fra i gridi e i canti. Allo stesso modo, al livello del pensiero, ci sono dei gridi del pensiero e dei canti del pensiero. Come distinguere questi gridi e questi canti? Non possiamo comprendere come si sviluppi una filosofia come canto, o un canto filosofico, se non lo si rapporta a delle coordinate che sono delle specie di gridi, dei gridi che continuano. È una cosa complicata, gridi e canti. Se ripenso alla musica, l� esempio che mi viene in testo ogni volta, sono le due grandi opere di Berg: contengono due grandi gridi di morte. Il grido di Maria e il grido di Lulu. In entrambi i casi abbiamo un grido di morte. Quando si muore non si canta, e tuttavia c� è qualcuno che canta intorno alla morte: colei che piange. Colui che perde l� essere amato canta. O grida, non lo so. In Woyzzeck è un si, è una sirena. Se mettete delle sirene nella musica, ci mettete il grido. È strano. Ora, i due gridi non sono dello stesso tipo, anche acusticamente: c� è un grido che corre verso l� alto e un grido che rasenta la terra. E poi c� è il canto. Il grande amico di Lulu canta la morte. È fantastico. È firmato Berg. Direi che la firma di un filosofo è la stessa cosa. Quando un filosofo è grande, può scrivere tutte le pagine astratte che vuole, ma esse sono atratte soltanto perché non avete saputo estrapolarci il momento nel quale grida. C� è un grido là sotto, un grido che fa paura. Ritorniamo al canto della ragione sufficiente. � Tutto ha una ragione� è un canto. È una melodia, potremmo armonizzare. Un armonia dei concetti. Ma al di sotto ci sarebbero i gridi ritmici: no, no, no. Riprendiamo la mia formulazione cantata del principio di ragione sufficiente. È possibile cantare in modo stonato una filosofia. Le persone che cantano stonatamente una filosofia, la conoscono molto bene, ma essa è completamente morta. Potremmo parlare all� infinito. Il canto della ragione sufficiente: per ogni cosa c� è un concetto. Qual� è la reciproca? In musica, parleremo di serie retrogradabili. Cerchiamo la reciproca di � ogni cosa ha un concetto� . La reciproca è: per ogni concetto, una cosa e una soltanto.

Perché è questa la reciproca di � per ogni cosa un concetto� ? Supponete che un concetto abbia due cose che gli corrispondono, c� è una cosa che non ha concetto e a quel punto la ragione sufficiente è fregata. Non posso dire � per ogni cosa un concetto� . Dal momento che ho detto che per ogni cosa c� è un concetto, ho affermato implicitamente che un concetto debba avere necessariamente una cosa e una soltanto, poiché se un concetto ha due cose, c� è qualcosa che non ha concetto e quindi non avrei potuto

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dire � per ogni cosa un concetto� . Quindi la vera reciproca del principio di ragione sufficiente in Leibniz si enuncerà come segue: per ogni concetto una cosa e una soltanto. È una reciproca, in un senso strano. Ma in questo caso di reciprocità la ragione sufficiente e l� altro principio, cioè per ogni cosa un concetto e per ogni concetto una cosa e una soltanto, non posso dire l� una senza dire l� altra. Fare la reciproca è assolutamente necessario. Se non riconosco la seconda, distruggo la prima.Quando dicevo che la ragione sufficiente è la reciproca del principio d� identità, non lo dicevo nello stesso senso, perché se voi vi ricordate l� enunciato del principio d� identità, vale a dire ogni proposizione analitica è vera, io faccio la reciproca e ottengo la ragione sufficiente, cioe ogni proposizione vera è analitica: qui non c� è alcuna necessità. Posso dire che ogni proposizione analitica è vera senza dover per forza dire che ogni proposizione vera è analitica. Potrei benissimo dire che ci sono delle proposizioni vere che non sono analitiche. Quindi quando Leibniz ha fatto la reciproca dell� identità, ha forzato la cosa. Ha forzato la cosa perché aveva i mezzi per farlo, cioè ha fatto scaturire un grido. Aveva creato lui stesso un metodo per l� analisi infinita. Altrimenti, non avrebbe potuto.Tanto è vero che nel caso del passaggio dalla ragione sufficiente al terzo principio che non ho ancora battezzato, fare la reciproca è assolutamente necessario. Bisognava scoprirla. Che cosa vuol dire, � per ogni concetto c� è una cosa e non ce n� è che una� ? Qui la cosa diventa strana, cerchiamo di capire. Ciò vuol dire che non ci sono due cose identiche, o che ogni differenza è in ultima istanza concettuale. Se voi avete due cose, bisogna che ci siano due concetti, altrimenti non ci sarebbero due cose. Cosa vuol dire, non ci sono due cose identiche rispetto al concetto? Vuol dire che non ci sono due gocce d� acqua identiche, che non ci sono due foglie d� albero che siano identiche. Leibniz qui è eccezionale, delira con questo principio. Afferma che voi evidentemente credete che due gocce d� acqua siano identiche, ma solo perché non andate abbastanza lontano con l� analisi. Esse non possono avere lo stesso concetto. Questo è molto curioso perché la logica classica ci dice piuttosto che il concetto comprende, per natura, una pluralità infinita di cose. Il concetto di goccia d� acqua si applica a tutte le gocce d� acqua. Certo, dice Leibniz, se voi avete bloccato l� analisi del concetto a un certo momento, a un momento finito; ma se continuate l� analisi ci sarà un momento in cui i concetti non saranno piu li stessi. Per questo la pecora riconosce il suo piccolo agnello. È un esempio di Leibniz: in che modo la pecora riconosce il suo piccolo agnello? Altri pensano che sia tramite concetto. Un piccolo agnello non ha lo stesso concetto del concetto individuale, è così che il concetto va verso l� individuo, un piccolo agnello. Che cos� è questo principio: non c� è che una cosa soltanto; c� è necessariamente una sola cosa per ogni concetto ed una soltanto. Leibniz lo nomina principio degli indiscernibili. Possiamo dunque enunciarlo: c� è una cosa per ogni concetto ed una soltanto oppure ogni differenza è concettuale in ultima istanza.

Non ci sono differenze se non concettuali. In altri termini, se voi assegnate una differenza tra due cose, c� è necessariamente una differenza nel concetto. Leibniz chiama questo principio, principio degli indiscernibili. Se cerco la ratio corrispondente, quale sarebbe? Capite che ciò consiste nel dire che non conosciamo se non tramite concetto. In altri termini, il principio degli indiscernibili mi sembra corrispondere alla terza ratio, la ratio come ratio conoscendi, la ragione come ragione del conoscere. Vediamo le conseguenze di un tale principio. Se questo principio degli indiscernibili fosse vero, cioè se ogni differenza fosse concettuale, ci sarebbero differenze soltanto concettuali. Qui Leibniz ci domanda di accettare qualcosa di enorme. Procediamo con ordine. Quale sarebbe un tipo di differenza non concettuale? Diciamolo subito: la differenza numerica. Io dico per esempio una goccia d� acqua, due gocce d� acqua, tre gocce. Distinguo le gocce per il numero. Soltanto per il numero. Conto gli elementi di un insieme, uno due tre quattro, trascuro la loro individualità, le distinguo con il numero. È questo un primo tipo di distinzione molto classica, la distinzione numerica. Secondo tipo di distinzione: se io vi invito a prendete questa sedia, qualcuno di gentile prende una sedia e io gli dico: non questa, ma quella. In questo caso abbiamo una distinzione spazio-temporale del tipo qui-ora. La cosa che è qui in un determinato momento, e quest� altra cosa che è là in un altro. Infine ci sono delle distinzioni di figura e

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di movimento: qualcosa che ha tre angoli, o altro. Direi che sono delle distinzioni fatte per estensione e per movimento. Estensione e movimento.

Vedete che il principio degli indiscernibili spinge Leibniz verso qualcosa di strano. Bisogna che dimostri che tutte questi tipi di distinzioni non concettuali � e in effetti sono delle distinzioni non concettuali poiché due cose possono distinguersi a seconda del numero pur avendo lo stesso concetto. Voi ad esempio, pensate al concetto di goccia d� acqua e dite: prima goccia d� acqua, seconda goccia d� acqua. È lo stesso concetto. C� è la prima e c� è la seconda. Una che è qui e una che è là. Una che va veloce l� altra lenta. Abbiamo quasi fatto l� insieme delle distinzioni non concettuali. Arriva Leibniz, e tranquillamente ci dice no, no. Sono pure apparenze, cioè mezzi provvisori per esprimere una differenza di un� altra natura e questa differenza è sempre concettuale. Se ci sono due gocce d� acqua, esse non hanno lo stesso concetto. Che cosa c� è dietro di molto importante? È una cosa molto importante nei problemi d� individuazione. È noto che, per esempio, Cartesio dice che i corpi si distinguono tra di loro in base alla figura e al movimento. Molti pensatori hanno pensato la stessa cosa. Come potete notare, nella formula cartesiana, ciò che si conserva nel movimento (mv � il prodotto della massa a causa del movimento) dipende strettamente da una visione del mondo nella quale i corpi si distinguono per la figura e per il movimento. Che cosa cerca di fare Leibniz nel momento in cui ci dice no: bisogna che a ognuna di queste differenze non concettuali corrispondano delle differenze concettuali; esse la traducono imperfettamente. Ogni differenza non concettuale traduce imperfettamente una differenza concettuale di base. Leibniz si pone così un problema di fisica. Deve trovare una ragione per la quale un corpo sia un numero, che sia qui e ora, che abbia una figura e una velocità. Tradurrà tutto questo nella sua critica verso Cartesio quando dirà che la velocità è un relativo puro. Cartesio si è sbagliato, ha preso qualcosa di puramente relativo per un principio. Bisogna quindi che figura e movimento vadano verso qualcosa di più profondo. Questo significa qualcosa di enorme per la filosofia del XVII secolo.

Cioè che non ci sono sostanze estese o che l� estensione non può essere una sostanza. Che l� estensione, è un puro fenomeno. Che essa rinvia a qualcosa di più profondo. Che non c� è un concetto per l� estensione, che il concetto è di un� altra natura. Bisogna quindi che la figura e il movimento trovino la loro ragione in qualcosa di più profondo � dunque l� estensione non ha alcuna sufficienza. Non è un caso che sia lo stesso che fa una nuova fisica, rigenera completamente la fisica delle forze. Oppone la forza alla figura e all� estensione, essendo la figura e l� estensione soltanto delle manifestazioni della forza. È la forza il vero concetto. Non c� è un concetto per l� estensione perché il vero concetto, è la forza. La forza, è la ragione della figura e del movimento nell� estensione.Da qui l� importanza di questa operazione che sembrerebbe puramente tecnica nel momento in cui dice che ciò che si conserva nel movimento non è mv, ma mv2. L� elevazione della velocità alla seconda, è la traduzione del concetto di forza. Cioè tutto cambia. È la fisica corrispondente al principio degli indiscernibili. Non ci sono due forze somiglianti o identiche, e sono le forze ad essere i veri concetti che dovranno rendere conto o darci la ragione di tutto ciò che è figura o movimento nell� estensione.La forza non è un movimento, è la ragione del movimento. Rinnovamento completo della fisica delle forze, e anche della geometria, della cinematica. Tutto cambia con la sola elevazione della velocità al quadrato. mv2 è una formula delle forze, non è una formula del movimento. Capite bene che sta in questo l� essenziale.Per riassumere il tutto, porrei anche dire, bisogna che la figura e il movimento superino se stessi verso la forza. Bisogna che il numero superi se stesso verso il concetto. Bisogna che lo spazio e il tempo superino se stessi anche loro verso il concetto.

Ma ecco apparire un quarto principio. Ed ecco che Leibniz lo nomina legge della continuità. Perché usa il termine legge? Ecco un problema. Quando Leibniz parla della continuità, che considera come un principio fondamentale, e come una delle sue grandi scoperte, non impiega il termine principio, utilizza

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quello di legge. È una cosa che dovremo spiegare. Se cerco la formulazione volgare della legge di continuità, sarà molto semplice: la natura non fa salti. Non c� è discontinuità. Ma ci sono due formulazioni sapienti. Se due cause si avvicinano tanto quanto vogliamo, al punto di non differire se non per una differenza decrescente all� infinito, bisogna sia lo stesso per gli effetti. Dico subito cosa aveva in mente perché è talmente in disaccordo con Cartesio... Che cosa ci viene detto nelle leggi della comunicazione del movimento? Ecco due casi: due corpi con la stessa massa e la stessa velocità si incontrano; uno dei due corpi ha una massa più grande o una velocità più grande, quindi prevale sull� altro. Leibniz dice che non è possibile. Perché? Abbiamo due stati della causa. Primo stato della causa: due corpi con la stessa massa e la stessa velocità.

Secondo stato della causa: due corpi con massa diversa. Leibniz dice che possiamo far decrescere la differenza all� infinito, che possiamo far si che questi due stati si avvicinino l� un l� altro nelle cause. Ora, ci viene detto che i due effetti sono completamente differenti: in un caso c� è uno scontro dei due corpi, nell� altro caso il secondo corpo è trascinato dal primo, nella direzione del primo. C� è una discontinuità nell� effetto nel momento in cui si può concepire una continuità nelle cause. È in modo continuo che si può passare da masse differenti a masse uguali. Quindi non è possibile che ci sia discontinuità nei fatti se c� è continuità possibile nella causa. Ciò lo spinge verso uno studio fisico del movimento molto importante che sarà basato sul rimpiazzamento di una fisica delle forze ad una fisica del movimento.Ma c� è una formulazione erudita dello stesso principio, e vedrete che è la stessa cosa della precedente: dato un caso, il concetto di questo termina nel caso opposto. È l� enunciato puro della continuità. Esempio: dato un caso, il movimento, il concetto del movimento termina nel caso opposto, cioè nel riposo. Il riposo, è il movimento infinitamente piccolo. È ciò che abbiamo visto con il principio infinitesimale della continuità. Dirò allora che l� ultima possibile formulazione erudita della continuità, è: data una singolarità, essa si prolunga su tutta una serie d� ordinari fino alla vicinanza della singolarità seguente. È questa la legge di composizione del continuo. Ciò che abbiamo fatto l� ultima volta. Ma nel momento in cui credevamo aver finito, ci si presenta un problema molto importante. Qualcosa mi spinge a dire che, tra il principio tre e il principio quattro, c� è una contraddizione, in altre parole tra il principio degli indiscernibili e il principio di continuità, c� è una contraddizione. Prima domanda: in cosa consiste la contraddizione? Seconda domanda: Leibniz non ci ha mai visto la minima contrddizione. Eccoci spinti ad amare e ammirare profondamente un filosofo, ad essere imbarazzati perché alcuni testi ci sembrano contraddittori mentre lui non vede per niente cosa potremmo rimproverargli. Dove sarebbe la contraddizione se ce ne fosse una? Ritorno al principio degli indiscernibili, ogni differenza è concettuale, non ci sono due cose con lo stesso concetto. Dirò al limite che ad ogni cosa corrisponde una differenza determinata, non soltanto determinata ma assegnabile nel concetto. La differenza non soltanto è determinata o determinabile, essa è assegnabile nel concetto stesso. Non ci sono due gocce d� acqua aventi lo stesso concetto, cioè la differenza uno due deve essere compresa nel concetto. Essa deve essere assegnata nel concetto. Cosa ci dice il principio di continuità? Ci dice che le cose procedono per differenze che tendono a svanire. Delle differenze infinitamente piccole, cioè delle differenze non attribuibili. Diventa terribile. Possiamo dire che ogni cosa procede per differenze non attribuibili? E dire allo stesso tempo che ogni differenza è attribuita e deve essere attribuita nel concetto? Ah! Leibniz si contraddice? Possiamo avanzare un pò cercando la ratio del principio di continuità poiché ho trovato una ratio per ognuno dei primi tre principi. L� identità, è la ragione dell� essenza o ratio essendi; la ragione sufficiente, è la ragione dell� esistenza o ratio existendi; gli indiscernibili, sono la ragione del conoscere o ratio conoscendi; il principio di continuità, è la ratio fiendi, cioè la ragione del divenire. Le cose divengono per continuità. Il movimento diventa riposo, il riposo diventa movimento, ecc. Il poligono, moltiplicando i suoi lati, diventa cerchio, ecc. È una ragione del divenire, molto diversa dalle ragioni d� essere o d� esistere. La ratio fiendi aveva bisogno di un principio , del principio di continuità.

Come conciliare la continuità e gli indiscernibili? Oltre ciò bisogna che la maniera con la quale li

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riconcilieremo renda conto anche di questo: che Leibniz aveva ragione di non vedere fra loro alcuna contraddizione. Qui facciamo l� esperienza di un pensiero. Riprendo la proposizione: ogni nozione individuale esprime il mondo intero. Adamo esprime il mondo, Cesare esprime il mondo, ognuno di voi esprime il mondo. Questa formula, è molto strana. I concetti in filosofia, non sono una parola. Un grande concetto filosofico è un complesso, una proposizione o una funzione proposizionale. Bisognerebbe fare degli esercizi di grammatica filosofica. La grammatica filosofica consisterebbe in questo: dato un concetto, trovate il verbo. Se non lo trovate, vuol dire che non lo avete dinamizzato. Non potete viverlo in quel caso. Il concetto è sempre soggetto di un movimento, di un movimento di pensiero. Una sola cosa conta, il movimento. Dal momento che farete della filosofia, la vostra attenzione sarà rivolta al movimento, solo che è un tipo di movimento particolare, è il movimento del pensiero. Qual� è il verbo? A volte il filosofo lo dice esplicitamente, a volte non lo dice. E Leibniz lo dice? In ogni nozione individuale esprime il mondo, c� è un verbo, esprimere. Ma cosa vuol dire? Vuol dire due cose allo stesso tempo, come se ci fossero due movimenti coesistenti.

Leibniz ci dice allo stesso tempo: Dio non crea Adamo peccatore, crea il mondo dove Adamo ha peccato. Non crea Cesare che attraversa il Rubicone, crea il mondo in cui Cesare attraversa il Rubicone. Quindi, ciò che Dio crea, è il mondo, e non le nozioni idividuali che esprimono il mondo. Seconda proposizione di Leibniz: il mondo esiste solo nelle nozioni individuali che lo esprimono. Se voi privilegiate una nozione individuale rispetto ad un� altra... Se voi accettate questo, scoprirete come due letture o due concezioni complementari e simultanee, due concezioni di cosa? Potete considerare il mondo, ma diciamolo ancora una volta il mondo non esiste in sé, esiste solo nelle nozioni che lo esprimono. Ma potete fare questa astrazione, considerate il mondo. Come lo considerate? Consideratelo come una curva complessa. Una curva complessa ha dei punti singolari e dei punti ordinari. Un punto singolare si prolunga sui punti ordinari fino alla vicinanza di un� altra singolarità, ecc., ecc., facendo così voi componete la curva in modo continuo, con il prolungamento delle singolarità sulle serie di ordinari. Per Laibniz, è questo il mondo. Il mondo continuo, è la distribuzione delle singolarità e delle regolarità, o delle singolarità e degli ordinari che costituiscono precisamente l� insieme scelto da Dio, cioè quello che riunisce il massimo di continuità. Se non uscite da questa visione il mondo è retto dalla legge di continuità poiché la continuità è precisamente questa composizione dei singolari in quanto prolungantesi sulle serie di ordinari che ne dipendono. Avrete il vostro mondo completamente dispiegato sotto forma di una curva sulla quale si distribuiscono singolarità e regolarità. È il primo punto di vista, il quale è interamente sottomesso alla legge di continuità.

Soltanto che, questo mondo non esiste in sé, esiste solo nelle nozioni individuali che lo esprimono. Ciò vuol dire che una nozione individuale, una monade, ognuna ingloba una piccola quantità determinata di singolarità. Essa racchiude un piccolo numero di singolarità. È il piccolo numero di singolarità... Vi ricordate che le nozioni individuali o monadi, sono dei punti di vista sul mondo. Non è il soggetto che spiega il punto di vista, è il punto di vista che spiega il soggetto. Di qui la necessità di domandarsi: che cos� è questo punto di vista?Un punto di vista è caratterizzato da questo: un piccolo numero di singolarità prelevate sulla curva del mondo. È questo che sta alla base di una nozione individuale. Ciò che fa la differenza fra voi e me, è che voi siete, su questa curva fittizia, costruiti attorno di questa e quella singolarità, ed io attorno a tale e tal� altra singolarità. E ciò che voi chiamate l� individualità è un complesso di singolarità in quanto formanti un punto di vista. Ci sono due stati del mondo. Ha uno stato sviluppato.