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CRISTIANI NON SI NASCE, MA SI DIVENTA Lettera pastorale per il biennio 2004 - 2006 Presentazione 1. “Cristiani si diventa, non si nasce”, è l’espressione con cui Tertulliano, un cristiano dei primi secoli, ha cercato di dare ragione della novità che aveva cambiato la sua vita. È questo l’intento che dovrebbe sollecitare anche i cristiani di oggi: darsi ragione di che cosa vuol dire essere cristiani. Non è così scontato dire chi è il cristiano. Per curiosità, vado a leggere sul vocabolario dei sinonimi del Gabrielli alla voce ―cristiano‖ e trovo questa varietà di significati: battezzato, fedele, cattolico, acattolico, copto, giacobita, gnostico, protestante, luterano, calvinista, greco-ortodosso, valdese, evangelico, metodista, episcopale. C’è di tutto! Questa Lettera Pastorale intende rispondere soprattutto alla domanda: chi è il cristiano? L’interrogativo è sollecitato dagli Orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. I Vescovi italiani hanno proposto di dedicare questo decennio a una revisione attenta di tutto il tessuto pastorale per dare forza e luminosità alla comunicazione della fede, in particolare alle nuove generazioni. Alla domanda “Chi è il cristiano?” si collegano, come tante strade verso la stessa meta, altre domande: “Dove si diventa cristiani?” e “Come lo si diventa?”. E ancora: “Insieme a chi?”. Sono domande a cui ho già incominciato a rispondere con le Lettere pastorali precedenti. A partire dalla grazia dell’evento del Giubileo del 2000, la prima attenzione è stata al volto di una Chiesa che vive sotto la Parola, ricominciando dal Vangelo del ―farsi prossimo di Dio all’uomo‖ come la buona notizia da comunicare a tutti (anni 2001-2); poi alla riscoperta dell’Eucaristia domenicale come il centro propulsore della vita e della missione della intera comunità ecclesiale (anni 2003-4). Si tratta ora, ―allargando i pali della tenda‖ dell’assemblea eucaristica, di dare un volto missionario alle nostre parrocchie e realtà ecclesiali, diventando accoglienti verso tutti coloro che bussano alla porta e desiderano e chiedono di diventare cristiani (anni 2005-6).

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CRISTIANI NON SI NASCE, MA SI DIVENTA

Lettera pastorale per il biennio 2004 - 2006

Presentazione

1. “Cristiani si diventa, non si nasce”, è l’espressione con cui Tertulliano, un cristiano dei primi secoli, ha

cercato di dare ragione della novità che aveva cambiato la sua vita.

È questo l’intento che dovrebbe sollecitare anche i cristiani di oggi: darsi ragione di che cosa vuol dire essere

cristiani. Non è così scontato dire chi è il cristiano.

Per curiosità, vado a leggere sul vocabolario dei sinonimi del Gabrielli alla voce ―cristiano‖ e trovo questa

varietà di significati: battezzato, fedele, cattolico, acattolico, copto, giacobita, gnostico, protestante, luterano,

calvinista, greco-ortodosso, valdese, evangelico, metodista, episcopale. C’è di tutto!

Questa Lettera Pastorale intende rispondere soprattutto alla domanda: chi è il cristiano? L’interrogativo è

sollecitato dagli Orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.

I Vescovi italiani hanno proposto di dedicare questo decennio a una revisione attenta di tutto il tessuto

pastorale per dare forza e luminosità alla comunicazione della fede, in particolare alle nuove generazioni.

Alla domanda “Chi è il cristiano?” si collegano, come tante strade verso la stessa meta, altre domande:

“Dove si diventa cristiani?” e “Come lo si diventa?”. E ancora: “Insieme a chi?”.

Sono domande a cui ho già incominciato a rispondere con le Lettere pastorali precedenti. A partire dalla

grazia dell’evento del Giubileo del 2000, la prima attenzione è stata al volto di una Chiesa che vive sotto la

Parola, ricominciando dal Vangelo del ―farsi prossimo di Dio all’uomo‖ come la buona notizia da comunicare a

tutti (anni 2001-2); poi alla riscoperta dell’Eucaristia domenicale come il centro propulsore della vita e della

missione della intera comunità ecclesiale (anni 2003-4).

Si tratta ora, ―allargando i pali della tenda‖ dell’assemblea eucaristica, di dare un volto missionario alle nostre

parrocchie e realtà ecclesiali, diventando accoglienti verso tutti coloro che bussano alla porta e desiderano e

chiedono di diventare cristiani (anni 2005-6).

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INTRODUZIONE

A CHI È RIVOLTA QUESTA LETTERA?

2. Mi sono chiesto, in queste settimane d’estate, quale forma dare a questa mia Lettera Pastorale. Mi sono trovato

a pensare che sarebbe molto stimolante mettere in primo piano la testimonianza concreta di un giovane che

diventa cristiano.

Allora il mio pensiero si è rivolto a S. Agostino, una figura di cristiano convertito e battezzato, la cui

memoria viene celebrata dalla Chiesa il 28 di agosto.

Il suo nome non è oscuro, perché la sua vicenda e i suoi scritti hanno avuto un peso enorme per tutta la storia

della Chiesa, e lo hanno tuttora. Lungo la sua esistenza, la conversione al cristianesimo è stato l’avvenimento più

travagliato, e, alla fine, il più decisivo.

Intendo trattare l’esperienza della conversione di S. Agostino soltanto per cenni. Esistono sul tema moltissimi

studi di grande pregio. Chissà che questa Lettera Pastorale non conduca qualcuno a dire: “Voglio conoscere

meglio Sant’Agostino!”. Sarebbe un bel colpo!

Egli, con la sua storia mirabilmente raccontata nelle Confessioni, ha qualcosa di importante da dire a tutti.

Penso anzitutto ai giovani della nostra Diocesi e a chi li può aiutare a rileggere se stessi in profondità.

Penso alle nostre comunità, in particolare agli adulti, e allo sforzo di capire come essere oggi luogo di

testimonianza del Vangelo, come comunicarlo ai giovani perché diventino discepoli di Cristo.

Penso ai catechisti, agli educatori, ai miei sacerdoti e diaconi che possono incontrare qualche nuovo

Agostino, nei confronti del quale essere figure di accoglienza e di accompagnamento.

Penso soprattutto alle mamme e ai papà, che vorrei incoraggiare nel loro compito di ―primi educatori alla

fede‖, a essi affidato dallo stesso evento generativo, con il sostegno delle altre realtà, a incominciare dalle nostre

comunità cristiane.

Dovrò infine pensare a me stesso, come Vescovo, in quanto responsabile di una Chiesa particolare: qui,

infatti, ci sono persone che, oggi, aspettano di vedere una Chiesa simile a quella che ha accolto Agostino, come

figlio in grembo alla madre, generandolo nella fede e aiutandolo a diventare cristiano.

A chi dunque mi rivolgo con questa lettera pastorale?

Ai cristiani adulti

3. ―Diventare cristiani‖ è un invito anzitutto che riguarda quanti già hanno ricevuto il Battesimo e la Cresima,

dato che l’adesione della fede deve essere sempre rinnovata, anche da parte di chi è già credente.

Non è un caso che nella Veglia Pasquale, nel cuore della vita della Chiesa, tutti sono invitati a rinnovare le

promesse battesimali. Poiché il ―diventare cristiani‖ è strettamente legato a quella ―porta della fede‖ che è il

Battesimo, al centro del nostro cammino pastorale nel prossimo anno sarà il Battesimo come dono da riscoprire

per tutti, aiutati in questo, tra l’altro, anche dal fatto che la Quaresima del 2005 riproporrà i grandi testi

battesimali del Vangelo di Giovanni: l’incontro con la samaritana, la guarigione del cieco nato, la risurrezione

di Lazzaro.

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Saremo accompagnati in questo cammino di riscoperta del Battesimo dalla Prima Lettera di Pietro, scelto

come libro biblico di riferimento per l’anno. Si tratta di un bel testo, scritto dall’Apostolo o da qualcuno del suo

ambiente, come esortazione ai cristiani battezzati, consapevoli del dono ricevuto ma insieme messi alla prova

dal contesto in cui sono chiamati a vivere e testimoniare la fede.

Ai cristiani genitori, catechisti, educatori

4. ―Diventare cristiani‖ è un invito fatto anche a chi vive la fede in un contesto di crescita. Penso ai bambini,

ai ragazzi e ai giovani che, ancora in larga maggioranza, intraprendono il cammino dei sacramenti di iniziazione

cristiana: Battesimo, Cresima e Prima Eucaristia.

Ovviamente questa lettera non è scritta per essere letta da loro, avvalorando l’idea di un ennesimo testo di

scuola da imparare per dare e superare gli esami. Essa è piuttosto diretta a coloro che accompagnano il cammino,

perché risulti un effettivo cammino di fede, di adesione a Cristo e di appartenenza alla vita della comunità

cristiana: ai genitori, quindi, ai catechisti, agli educatori, a tutti coloro che esercitano, in qualche forma,

ministeri specifici legati all’ingresso nella fede.

Ai cristiani in ricerca

5. ―Diventare cristiani‖, infine, è una proposta che rivolgo a chi ha ―dimenticato‖ il Battesimo. Non si tratta

più oggi di casi isolati, a certi livelli sociali, come quando il poeta G. Carducci scriveva: “Che vedete? Il

cristianesimo è un romanzo che fa chiasso. Ci scordammo del Battesimo, ma cantiamo col compasso, con

un’aria di Lucia, Paternostro e Ave Maria‖ (Al beato Giovanni della Pace, maggio 1856).

Il fenomeno di un rapporto a distanza dal Battesimo e dalla vita di fede che ne nasce è oggi assai più diffuso,

assurgendo a fatto culturale. Oggi ―diventare cristiani‖ è fortemente ostacolato dai processi di scristianizzazione;

il senso religioso innato dell’uomo è minato dall’indifferentismo collettivo; un progressivo ―alleggerimento‖ dei

costumi corrode i valori più sacri e gli affetti più significativi della persona.

Diventare cristiani riguarda sempre più il mondo degli adulti, dei non praticanti, per scoprire le difficoltà che

essi incontrano nel rapporto con la Chiesa, per cogliere le loro domande di senso, per suscitare attenzione alla

fede cristiana anche tra gli immigrati da altri Paesi e culture.

Come si vede, si tratta di una lettera rivolta a tutti coloro che desiderano risvegliare la loro fede, o conoscerla per

diventare anch’essi cristiani.

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CAPITOLO I

IDENTITÀ DEL CRISTIANO

Agostino prima della conversione

6. Agostino nasce in un ambiente cristiano e viene educato fin dalla fanciullezza nella religione cristiana dalla

madre, Monica, nella totale assenza del padre. Dalla madre ha imparato a pregare, invocando il nome di Gesù.

Anche se non ha ricevuto subito il Battesimo, rinviato secondo l’uso delle famiglie del tempo a un’età più

matura, Agostino già da piccolo incontra la comunità cristiana, e non si può dire avulso del tutto da una iniziale

conoscenza della fede.

Ma si trattava di una conoscenza assai fragile, superficiale, talvolta falsa e distorta dal contatto con alcuni

gruppi dissidenti e turbolenti all’interno della Chiesa del tempo, come i seguaci del Manicheismo. Il

Manicheismo era una setta religiosa molto diffusa e vivace a quel tempo, perché prometteva una sorta di

religione più libera e razionale.

Più libera, perché, pur riconoscendo la presenza e la forza operante del male nel mondo, non lo metteva però

in conto alla libertà e alla responsabilità dell’individuo, bensì in conto negativo ed esclusivo del mondo (si

direbbe, oggi, delle strutture e della società).

Nello stesso tempo, quella manichea si proponeva come una religione più razionale, poiché prometteva una

ragione di tutto, una spiegazione dell’universo, Dio compreso. Questa promessa di razionalità era accattivante

per un Agostino allora persuaso “che ci si dovesse affidare più a coloro che usano la ragione, che a coloro che

usano l’autorità” (La vita beata I,4).

Con il passare del tempo, Agostino si era però sempre più convinto che dietro a quelle promesse di maggiore

razionalità, mai in vita sua aveva finito per “credere a un così grande numero di favole del tutto assurde, dal

momento che erano indimostrabili” (Confessioni VI,7). Mai come in quegli anni era diventato devoto

dell’astrologia e aveva visto giustificare comportamenti assurdi, come quello della astensione dal lavoro nei

campi con credenze ridicole (tra cui l’idea che le piante soffrirebbero come creature sensibili). La cosa più

ridicola era che tale astensione era lecita solo agli eletti della setta, non ai catecumeni, che invece dovevano

lavorare anche per i primi (Conf. III,18)!

Deluso, Agostino decise di restare catecumeno tra quella setta, ma ormai senza più convinzione e speranza di

trovare la verità. La crisi era intellettuale e morale: intellettuale, perché spesso gli “sembrava che non si potesse

trovare la verità”, e insieme morale, perché nel suo desiderio di amare e sentirsi amato si era legato da ormai

quattordici anni a una donna, avendone anche un figlio, senza mai farne un progetto di vita. “Nel mio dubitare di

tutto, e nel fluttuare fra tutte le dottrine, risolsi di abbandonare davvero i manichei... poiché ignoravano il nome

di Cristo” (Conf. V,25). Aveva 29 anni, alle soglie della maturità.

Riassumendo, Agostino, prima della conversione e del Battesimo, si considera credente, perché nato in un

ambiente cristiano, educato dalla madre ad una prima conoscenza di Gesù e alla preghiera (cf. Conf. I,11, 17). E,

tuttavia, il suo essere cristiano non è stato un fatto scontato, deciso da altri una volta per sempre. La fede, una

volta data, può essere anche perduta. La conoscenza di Gesù può svanire.

È quello che una indagine tra gli adolescenti e i giovani di Roma, intitolata Il volto giovane della ricerca di

Dio, ha messo in luce. Un significativo interesse per la persona di Gesù sembra attirare anche oggi il mondo dei

giovani, in particolare delle ragazze. E, tuttavia, pure questo ritorno di interesse per Gesù e il Vangelo sembra

dissolversi e svanire, se non è accompagnato da un esplicito e vitale riferimento alla fede e alla vita della

comunità cristiana.

Alla luce della esperienza di Agostino e del mondo giovanile oggi, la domanda sulla identità del cristiano è

ancora la domanda sulla fede, sul credere oggi. Capita spesso di ascoltare nelle conversazioni abituali che si

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parli di fede. Ma come se ne parla? Conviene chiarire alcuni ―luoghi comuni‖ sul modo di intendere la fede,

oggi.

La fede non è una questione facoltativa

7. L’opinione più diffusa, quando non è ostile, pensa all’atto di fede come a qualcosa di facoltativo. Si dice:

―Io non ho la fede‖, pressappoco come si dice: ―Io non ho gli occhi azzurri‖, ―Io sono basso di statura‖. Tutto

sommato, avere la fede è visto come una condizione fortuita, una sorta di colpo di fortuna che capita a qualcuno

nella vita. ―Beato te che hai la fede‖, si dice.

E anche quando si avverte una specie di nostalgia e di rimpianto, perché il credere è ritenuto un valore, una

forza positiva della vita, l’atteggiamento mentale non cambia. Molti dicono: ―Io purtroppo non ho la fede‖,

pressappoco come quando uno dice: ―Purtroppo sono stonato‖, o: ―Purtroppo non riesco in matematica‖, quasi

supponendo che l’assenza della fede sia qualcosa che non dipenda da noi.

La fede è un dono, ma è anche un compito, anzi una necessità per la salvezza. Basterebbe ricordare la finale

del Vangelo di Marco, le cui parole sono iscritte anche sulla porta del Battistero cittadino: “Chi crederà e sarà

battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16). Appare chiaro che credere non è

facoltativo, se all’atto di fede è legata la propria salvezza definitiva.

Credere è un fatto tutt’altro che fortuito e occasionale: dipende anche dalla decisione responsabile dell’uomo.

La fede non è una alternativa alla ragione

8. Tra i vari luoghi comuni sul modo di intendere la fede c’è anche quello di chi ritiene la fede una alternativa

alla ragione: chi ragiona non avrebbe perciò bisogno di credere, e chi crede uscirebbe per ciò stesso dall’ambito

della ragione. Si sente spesso dire: ―Io ragiono da laico‖, contrapposto a: ―Tu credi da cattolico‖. Confesso che

mi sento a disagio tutte le volte che trovo nei giornali o sento nei dibattiti questa contrapposizione laici-cattolici.

Cerco di spiegare il perché.

Chi è il laico, secondo il comune modo di pensare? È colui che si affida alla ragione. È un uomo che, in forza

della ragione, cerca continuamente, è curioso di tutto, non si preclude alcun spazio alla propria esplorazione

intellettuale. E per il fatto di affrontare razionalmente la propria avventura umana, il laico è colui che non può

accettare nessuna forma di fanatismo e di intolleranza.

Se è così, anch’io mi sento laico. Laico e cattolico insieme. Perché so con assoluta certezza che la mia fede

non mortifica la mia ragione. Il mio Dio mi dice: ―Non stancarti mai di pensare, anche quando pensare è fatica.

Anzi, cerca di pensare con coraggio, senza accettare luoghi comuni o idee prefabbricate. Cerca di esplorare fin

dove puoi arrivare, come gli altri e, se ti fosse possibile, più degli altri. E là dove non puoi arrivare, perché il

mistero è impenetrabile, affidati alla fede‖.

La fede perciò non è una conoscenza mortificata, ma una conoscenza dilatata: è un di più di conoscenza,

perché attinge alla conoscenza divina. Diventa lo sguardo sulla realtà che informa la ragione, aprendola a tutte le

sue potenzialità. Era questo il programma che il filosofo e teologo ROMANO GUARDINI si proponeva con i suoi

giovani universitari: educare a guardare a tutta la realtà (poesia, arte, cultura...) dal punto di vista della coscienza

cristiana.

Sicché, per me, l’alternativa al credere non è il ragionare, ma piuttosto il rassegnarsi al ―così pensano tutti‖ e,

talvolta, all’irrazionale e all’assurdo. Non è un caso che, là dove la fede svanisce, non è che non si creda più a

niente. Al contrario, si finisce per credere un po’ a tutto, anche alle proposte razionalmente meno fondate, come

avvenne per Agostino nella setta dei manichei. E così si crede agli oroscopi, alla cartomanzia, alla pubblicità più

improbabile; purtroppo si arriva anche ad affidarsi alle ideologie più aberranti e disumane, come quelle che

hanno caratterizzato le diverse tragedie del secolo Ventesimo.

La fede è un’esperienza da far crescere

9. Ma anche tra i credenti, o coloro che si considerano tali, circolano idee non molto chiare sulla fede. Spesso

ci si accontenta di accogliere la fede con rispetto, ma senza indagare troppo sulla natura della fede, la sua

incidenza sulla propria vita, le sue prerogative, i problemi che essa suscita. Ma così facendo, ci si espone anche

al rischio di approdare a concezioni errate o insufficienti.

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Perché si crede? C’è chi crede, perché il credere ―fa bene‖: al cristianesimo si chiede di star bene, di sentirsi

gratificati e consolati. ―Pregare — si sente dire — mi fa sentire più rilassato!‖: dire che un’esperienza è

rilassante sembra oggi l’apprezzamento migliore. Ma questa è una fede appiattita sul presente, senza più un vero

futuro, una vera speranza.

Rileggo alcune pagine roventi de L’avventura cristiana di E. MOUNIER, il fondatore del personalismo

cristiano: “In verità io non amo quelli per i quali tutto va bene, e che stimano questo mondo il migliore dei

mondi. Li chiamo soddisfatti. La soddisfazione che gusta tutto, ma non è il gusto migliore. Onoro invece le

lingue e gli stomachi recalcitranti e difficili, che hanno imparato a dire SÌ e NO”.

Non è che oggi manchi la fede. Il mondo è pieno di tante piccole fedi. Manca invece la grande fede. Noi

purtroppo coltiviamo ciascuno una piccola fede, che è quella che ci tranquillizza un poco, rimedia a certi nostri

scompensi, colma qualche vuoto e medica qualche ferita. Ma dove è la grande fede che parla del fuoco dello

Spirito, della presenza e del ritorno del Cristo, del peccato e della misericordia, della croce e della risurrezione?

Dove sono i veri credenti, cioè gli inquieti?

Sul filo dei precedenti interrogativi, penso alle attese dei genitori nei confronti dei figli. E mi pare di dovere

sospettare che, anche in questo caso, le domande rivolte alla Chiesa siano piccole. Piccole, come le piccole fedi.

Che cosa chiedono i genitori oggi alla Chiesa, quando domandano il Battesimo per i loro figli e, crescendo, li

iscrivono alla catechesi per ricevere i sacramenti?

In un mondo pericoloso come il nostro, soprattutto nelle grandi città, è più che comprensibile che diversi

genitori si rivolgano ai responsabili della pastorale con questo aperto desiderio: ―Aiutateci a salvare questi

ragazzi. Date loro norme di vita, rendeteli consapevoli di certi pericoli, inventate forme di vita associata,

appassionateli attorno a qualche progetto di solidarietà‖.

Le domande sono sincere e pertinenti. Ma basta chiedere questo? Non c’è il rischio di ridurre il cristianesimo

a una forma, sia pure nobile, di umanesimo, e la pastorale della Chiesa a semplice servizio sociale? Può ―tenere‖,

poi, nella vita un’esperienza religiosa che non conosca la scottatura di un incontro con l’amore estremamente

esigente, ma anche gioiosamente appassionante del nostro Dio? Al limite, il termine ―cristiano‖ può allora

diventare sinonimo di ―brava persona‖, senza alcun riferimento a Gesù Cristo e alla Chiesa.

Si dovrebbe incominciare a sognare il giorno — e a lavorare per questo — in cui i genitori si rivolgeranno

alle nostre parrocchie con queste parole: ―Parlate ai nostri figli del mondo, di quello che succede nel mondo.

Discutete i loro problemi e aiutateli ad affrontarli. Ma soprattutto parlate di Dio. Non fate solo psicologia. Non

fate solo della sociologia. E neppure solo della morale, sia pure la più alta e illuminata. Fate profezia, e rivelate,

per quello che vi riesce, il vero volto di Dio. Fate in modo che, anche attraverso le vostre parole, sia dato loro di

contemplare sul volto di Cristo l’immagine viva, stupenda, incancellabile dell’amore del Padre‖.

È di questa grande fede che tutti abbiamo bisogno.

Credere è diventare discepoli

10. “Passando lungo il mare di Galilea, Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le

reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: Seguitemi, vi farò pescatori di uomini. E subito, lasciate le

reti, lo seguirono” (Mc 1,16-18).

È bastato dunque uno sguardo: “vide”. È bastata una parola: “seguitemi”. Ma non è avvenuto tutto troppo in

fretta? Viene voglia di pensare che questi due uomini non si siano comportati molto ragionevolmente. Sembrano

come accecati e travolti da una specie di incantamento acritico e irresistibile. Il sospetto di plagio nei confronti

dei cristiani del suo tempo era l’accusa di Giuliano, l’imperatore romano prima cristiano e poi diventato apostata,

che come molti nostri contemporanei conosceva l’avvenimento cristiano solo quanto bastava per non capirlo!

La decisione apparentemente frettolosa dei primi discepoli di seguire Gesù era stata preceduta invece da un

lungo cammino. Dal Vangelo di Giovanni veniamo a sapere che quei pescatori erano stati discepoli di Giovanni

il Battista e, proprio su indicazione di quel loro primo maestro, avevano cercato di entrare nella familiarità del

giovane profeta di Nazareth.

“Dove abiti, Maestro?”, gli avevano domandato. “Venite e vedete”, aveva risposto Gesù (cf. Gv 1,38-39). E

così, a poco a poco, erano entrati nella familiarità con Gesù. Essi dunque, quando Gesù viene a chiamarli sulle

rive del lago, lo conoscono già. Probabilmente stavano già pensando a Lui. La decisione di mettersi al suo

seguito, a tempo pieno, è stata certamente la risposta di un cuore innamorato. Ma, prima ancora, l’invito del

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Signore è stato il venire alla luce di una attesa segreta, di una ricerca che già da tempo risuonava nei loro

pensieri.

Questa è la legge fondamentale per la sequela evangelica: non si ama, se non si conosce; ma anche non si

conosce davvero, se non amando e impegnando la vita. Conoscere Gesù e il Vangelo non è come conoscere il

teorema di Pitagora. Si può sapere che il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati

costruiti sui cateti, senza essere innamorati dell’ipotenusa né vibrare di particolare affetto verso i cateti!

Conoscere Gesù e il suo Vangelo è seguire Gesù e diventare suoi discepoli. E il segno più chiaro del crescere

di questa conoscenza di Gesù è il fatto che tutte le altre conoscenze si relativizzano. Non scompaiono, ma si

relativizzano. Le apprezziamo tutte, le ricerchiamo, ma non ci saziano più. Anzi, non ci interessano più, se non

come riverberi della luce che è Lui. Il Vangelo non è una teoria o un insieme di idee a cui aderire, ma una scelta

di vita che nasce dall’incontro personale con Gesù.

Spesso nel Vangelo Gesù loda la fede che nasce dall’incontro con Lui. È il caso della confessione di Pietro

alla domanda di Gesù ai discepoli: “Voi chi dite che io sia?... TU sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (cf. Mt

16,15-16). Gesù loda la fede di Pietro, perché in quel ―Tu sei‖ ha sentito palpitare l’amore, la fiducia, l’emozione

di una persona che si consegnava totalmente a LUI, riconoscendo in lui il senso pieno della sua storia e della

storia del suo popolo. Era come se Pietro recitasse non un articolo del Credo, ma una intensa e vibrante

preghiera: ―Tu sei per me, per tutti noi, la presenza, la rivelazione, l’amore, il volto di Dio. Lo sei ora e lo sarai

sempre‖. Pietro, credendo, si è fatto contemplatore di quel volto.

È quello che Giovanni Paolo II ha ricordato quest’anno ai giovani per la XIX Giornata mondiale della

gioventù con il messaggio Vogliamo vedere Gesù:

“Volete anche voi, cari giovani, contemplare la bellezza di questo volto? Ecco la domanda che vi rivolgo in

questa Giornata mondiale della gioventù. Non rispondete troppo in fretta. Innanzitutto fate dentro di voi il

silenzio… Il cristianesimo non è semplicemente una dottrina; è un incontro di fede con Dio fattosi presente nella

nostra storia con l’Incarnazione di Gesù… E non dimenticate di cercare il Cristo e di riconoscere la sua

presenza nella Chiesa” (Messaggio nn. 3.5).

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CAPITOLO II

DOVE SI DIVENTA CRISTIANI

S. Agostino e la conversione come incontro con la Chiesa

11. Di solito si pensa alla conversione come ad un fatto strettamente personale, cresciuto in un rapporto

interiore dell’anima con Dio. E indubbiamente lo è, per iniziativa e grazia di Dio. Agostino stesso, ripensando al

suo cammino di conversione, scrive nelle Confessioni che tutto è partito dalla grazia. “Tutto è grazia!”, dirà un

grande cristiano dei nostri tempi, GEORGES BERNANOS. Il primato nel cammino di fede è certamente della

grazia.

E, tuttavia, la Chiesa non è estranea. Non viene dopo che uno si è convertito, come a coglierne i frutti. La

Chiesa, nella conversione di Agostino, è già presente dall’inizio del suo cammino. È la ricostruzione che ad

esempio ne fanno attenti lettori di Agostino come R. Guardini, A. Trapé, il Card. G. Biffi. Diventare cristiano,

chiedere il Battesimo e poi vivere da battezzati è per Agostino il cammino di incontro con la Chiesa, e con una

Chiesa particolare.

Anzitutto, nella Chiesa di Milano, dove era arrivato per ragioni professionali e ormai scettico religiosamente,

Agostino ha potuto incontrare una vera comunità cristiana: quella che ha familiarità con la Parola di Dio; quella

che prega la domenica, ma non solo; quella che vive i ritmi dell’anno liturgico, che si anima e accende per la

dignità delle sue celebrazioni, la bellezza dei suoi canti e delle sue basiliche; quella che con fatica cerca di

formarsi e di conoscere sempre più il volto di Dio che Gesù Cristo le ha svelato; quella che cerca di essere

attenta ai poveri che abitano tra la sua gente, stranieri compresi; quella che non ha paura di mettersi a confronto

con la società e la cultura del tempo.

Agostino, per dire il carattere ―popolare‖ della Chiesa incontrata a Milano, usa questa espressione: “Vedevo

la Chiesa piena di fedeli che avanzavano, l’uno in un modo, l’altro in un altro; invece mi disgustava la mia vita

nel mondo” (Conf. VIII,1,2). Chiesa piena dunque, ma non per questo meno libera di consentire ai suoi membri

itinerari diversi, ciascuno secondo il suo dono. In una Chiesa piena c’è posto per tutti: grandi e piccoli, semplici

e dotti, lavoratori e commercianti, addirittura santi e peccatori.

È ―vedendo‖ questo volto di Chiesa popolare, accogliente, missionaria, che Agostino ha potuto maturare un

giorno la decisione di diventare cristiano e di chiedere il Battesimo.

Il volto della Chiesa madre

12. Conviene da subito andare alla questione centrale del Battesimo cristiano. Quando si parla di domanda di

Battesimo, si ha ancora l’impressione che molti pensino a ciò che la Chiesa (in concreto il prete ed

eventualmente i laici che collaborano con lui) deve esigere da coloro che vengono a chiedere il Battesimo per se

stesso o per i figli. In questa prospettiva, la Chiesa si pone come chi possiede i Sacramenti, e deve stabilire i

criteri in base ai quali darli o meno. Il problema, dunque, è ―che cosa chiedere agli altri‖.

Pare che, impostando così le cose, si parta col piede sbagliato. Domandare il Battesimo alla Chiesa è

domandare ―la‖ Chiesa: la sua fede, la sua preghiera, la comunione e la partecipazione alla sua vita. Significa

essere accolti come un figlio dalla madre, generati in essa come in un grembo. In questa prospettiva, il problema

non è anzitutto la domanda: ―Che cosa esigere da chi ci chiede il Battesimo?‖, ma l’interrogarsi sul come creare

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le condizioni, perché la Chiesa sia capace di accogliere e accompagnare la richiesta di chi ad essa si rivolge e

bussa alla sua porta.

Certo, la Chiesa ha sempre posto delle condizioni per ricevere i sacramenti: la fede, anzitutto. Questo, non con

l’intenzione di allontanare i ragazzi, ma porli di fronte a delle scelte che non possono eludere, e di aiutarli a

crescere: aiuto che, in situazione di scristianizzazione, la Chiesa è chiamata a dare di più, incominciando dagli

adulti.

È noto che in passato le migliori energie, il tempo a disposizione, i sacerdoti, le suore, le strutture in genere

sono state spese a servizio della educazione dei minori. L’attenzione agli adulti era quasi una risultanza di quella

ben più impegnativa dedicata ai minori. Occorre il coraggio di ribaltare la gerarchia degli investimenti delle

energie pastorali. Non si tratta di non puntare sui minori, ma di evangelizzare piccoli e grandi, facendo perno sui

piccoli in vista dei grandi, e sui grandi coinvolgendoli nell’edificazione di una comunità adulta, e quindi di

essere davvero a servizio dei piccoli.

Nelle comunità parrocchiali

13. All’impegno di accogliere e accompagnare la domanda di Battesimo è chiamata la Chiesa particolare

nella sua figura tradizionale, che è la comunità parrocchiale. Ancora oggi la parrocchia costituisce il referente

più ovvio, al quale si rivolge chiunque cerchi anche in forma saltuaria il servizio della Chiesa: Battesimi,

Matrimoni, funerali. La parrocchia in tal senso rappresenta il volto vicino e accessibile della Chiesa, la forma

fondamentale nella quale si produce per ognuno l’incontro personale con la Chiesa.

Lo ribadiscono i Vescovi italiani con la loro ultima Nota Pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un

mondo che cambia (Pentecoste 2004): “Con l’iniziazione cristiana la Chiesa madre genera i suoi figli e

rigenera se stessa. Essa esprime il suo volto missionario verso chi chiede la fede, e verso le nuove generazioni.

La parrocchia è il luogo ordinario in cui questo cammino si realizza” (n. 7). Una rinuncia a questo compito da

parte delle parrocchie, inclinando a facili deleghe, comprometterebbe di fatto il volto oggettivo, profondo della

Chiesa che accoglie.

Di fatto, si constata nelle nostre parrocchie più l’assenza che il coinvolgimento della comunità, sicché il

cammino di iniziazione cristiana risulta incredibilmente impoverito già nel momento stesso della catechesi,

quando è vissuta dai ragazzi in spazi e tempi appositamente riservati (magari dopo l’ultima ora di scuola, e prima

di uno dei tanti corsi di nuoto o di tennis, ma proprio per questo ai margini dei ritmi normali della comunità).

Tale povertà di cammino continua poi anche nel momento stesso della celebrazione dei sacramenti. A partire

dal Battesimo, le nostre parrocchie, adducendo motivi organizzativi, spesso relegano la celebrazione dei

sacramenti in spazi e tempi che di fatto scoraggiano la partecipazione della comunità, alimentando così

l’impressione che tutto il percorso di iniziazione sia una questione privata, che riguarda solo le famiglie

interessate, il parroco, le catechiste. Questa rischia di essere tutta l’immagine che si riesce a dare della comunità

cristiana, soprattutto a quei ragazzi che, non frequentando le nostre eucaristie domenicali, hanno soltanto la

catechesi per farsi un’idea della parrocchia.

Abbiamo tutto sommato dei cammini di iniziazione alla fede ripiegati su di un ―modello scolastico‖,

sbilanciati più sulla trasmissione dei contenuti, che non della vita cristiana che ne consegue. Almeno questo è

l’uso che si riesce a fare dei catechismi, pur validi in sé e pensati come catechismi per la vita cristiana, non solo

per la dottrina.

L’impostazione sostanzialmente scolastica del nostro attuale percorso è resa visibile anche dal vuoto che noi

lasciamo tra il momento della celebrazione del Battesimo e l’inizio della preparazione alla Prima Eucaristia.

Dopo avere detto ad una famiglia che il suo figlio, grazie al Battesimo, è stato accolto e introdotto ad una

esperienza di Chiesa, noi ci dimentichiamo di questo bambino, fino al momento in cui lo invitiamo a frequentare

il catechismo.

“Un ripensamento si impone — chiedono i Vescovi italiani — se si vuole che le nostre parrocchie

mantengano la capacità di offrire a tutti la possibilità di accedere alla fede, di crescere in essa e di

testimoniarla nelle normali condizioni di vita‖ (Il volto missionario..., n. 7). Occorre perciò riportare al centro

della vita della comunità e della progettazione pastorale il percorso di iniziazione alla fede delle nuove

generazioni, vero ―grembo‖ in cui nascono e si formano nuovi cristiani. Si ricorderà quanto osservava il

Documento Base per il rinnovamento della catechesi al famoso n. 200: “Prima vengono i catechisti, e poi i

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catechismi, anzi, prima ancora, vengono le comunità”. ―Far diventare cristiani‖, per le nostre comunità, non sarà

semplicemente un’attività da aggiungere alle altre, ma il compito principale della missione stessa della Chiesa.

Ci si aspetta perciò che le parrocchie siano più attente alla realtà che le circonda: parrocchie gioiosamente

accoglienti, essendo l’accoglienza dimensione fondamentale del ―venire alla fede‖ di tutti. Una nota distintiva di

questo stile di accoglienza è costituita dalla gratuità: che vuol dire, tra l’altro, accogliere senza chiedere nulla in

cambio, evitando la tendenza ad accogliere per accalappiare in qualche servizio, o comunque per un qualche

tornaconto. Una pista che viene ritenuta importante è quella della attenzione ai ―nuovi arrivati‖.

Diverse le attenzioni che ritengo di dovere raccomandare ai sacerdoti, ai diaconi e ai Consigli

pastorali.

* La visita alle famiglie da poco arrivate in parrocchia, accompagnato non solo dal parroco ma anche

da una coppia o due di sposi, ha costituito uno dei punti qualificanti il programma della visita pastorale

del Vescovo in questi anni: spesso, oltre che un segno di attenzione e un richiamo ai vicini di casa per una

prima conoscenza, risulta il primo passo per le coppie giovani con bambini, per un graduale inserimento

nella vita stessa della comunità.

* Sono inoltre da valorizzare, in questa prospettiva, anche le benedizioni pasquali alle famiglie come

occasione privilegiata di accoglienza e di conoscenza dei nuovi arrivati. Su questo punto delle benedizioni

pasquali alle case credo che sia opportuno fare una verifica e un confronto sul piano diocesano: ho

l’impressione che si stiano affermando, anche per necessità, prassi diverse, ma al di qua di ogni confronto

e valutazione condivise in proposito.

In famiglia

14. È da apprezzarsi la fiducia che tante famiglie ripongono ancora nelle nostre parrocchie e nei nostri oratori,

a cui chiedono di educare cristianamente i propri figli. È, invece, da superare una sorta di ―delega in bianco‖ da

parte di genitori che non si lasciano coinvolgere e rimangono ―assenti‖. Sovente le famiglie sono immerse in

forti tensioni, a causa dei ritmi di vita, del lavoro che si fa incerto, della precarietà che avanza, della stanchezza

in un compito educativo che si fa più arduo. Le famiglie stesse, che hanno preso coscienza delle loro difficoltà,

sentono bisogno del sostegno della comunità, fatto di accoglienza, di ascolto e di annuncio del ―Vangelo della

famiglia‖, di accompagnamento nel loro compito educativo.

E i Vescovi italiani recepiscono con coraggio questa istanza, arrivando ad affermare: “Le parrocchie oggi

dedicano per lo più attenzione ai fanciulli: devono passare a una cura più diretta delle famiglie, per sostenerne

la missione” (Il volto missionario…, n. 7).

Esistono, in Italia, esperienze accomunate dall’obiettivo di far sì che la famiglia abbia un ruolo attivo nel

processo di trasmissione della fede. Questo obiettivo è perseguito con scelte diverse, che vanno da un

coinvolgimento diretto ed esigente a forme di collaborazione più graduali e intermedie. Alcune parrocchie

formano i genitori perché siano in grado di fare la catechesi ai loro figli, nelle loro case, fornendo loro

un’assistenza in questo compito.

Alcune proposte fanno leva sulla preparazione della liturgia affidata ai bambini e ai loro genitori. Frequente è

la proposta di incontri familiari una volta al mese, legati alla celebrazione eucaristica domenicale oppure al

pomeriggio della domenica o tutto il fine-settimana. Abbiamo pure proposte di incontri serali mensili con ragazzi

e genitori insieme, anche sotto forma di celebrazioni. È da sottolineare infine la disponibilità ad accompagnare e

coinvolgere coppie in situazioni irregolari e genitori singoli.

L’intento di coinvolgere la famiglia chiede però qualche precisazione. Il compito della catechesi, in quanto

ministero ecclesiale, è primariamente assunto da coloro che nella comunità esercitano la responsabilità di guide

convincenti e sicure attorno alla fede cristiana, ottenendone il mandato e curando in proposito una propria

formazione specifica. Non è escluso che questo compito possa essere favorevolmente assunto per certi aspetti

anche da madri (e padri?). Quello della famiglia, però, rappresenta piuttosto il momento ―domestico‖ della

formazione alla fede attorno ai tre doni fondamentali che la generazione umana custodisce e trasmette anche per

la nascita dei figli di Dio: la fiducia nella vita, la responsabilità personale, l’apertura al mondo.

Perciò il rapporto della parrocchia con la famiglia, nell’attuale condizione di debolezza della sua funzione

educativa, dovrà essere particolarmente intenso e stretto, senza per questo sovraccaricarla di compiti che non sa

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oggettivamente portare, ma per stimolarla a riscoprire il senso genuino della generazione umana, aiutandola nel

contempo a relazionarsi con le altre famiglie e a costruire insieme un nuovo modello educativo familiare.

A questo scopo ritengo importante un confronto, attorno a due ambiti, che vorrei sfociasse in una

assemblea diocesana.

* Non mancano nelle nostre parrocchie esperienze di coinvolgimento delle famiglie già prima dell’età

scolare: penso alla catechesi cosiddetta del ―Buon Pastore” per i bambini di 3-8 anni, adottata con

promettenti risultati in alcune comunità. Una particolare e significativa esperienza, legata alla stessa

domanda battesimale, è quella dei Catechisti battesimali per coadiuvare i sacerdoti nella preparazione

(ma non solo) dei genitori al Battesimo dei loro bambini.

Chiedo agli Uffici pastorali per la catechesi, liturgia e famiglia, con la collaborazione dei diaconi

permanenti, di studiare e promuovere un Progetto diocesano per la definizione della proposta e la

formazione dei catechisti battesimali, la sensibilizzazione dei sacerdoti e dei laici attraverso incontri

vicariali.

* Ben più rilevante e complesso è il coinvolgimento delle famiglie nell’intero arco della iniziazione ed

educazione cristiana dei figli, soprattutto oggi che i figli rimangono in casa dei genitori più a lungo. Si

tratta di ricollocare i cammini di iniziazione nel vissuto familiare, nella quotidianità dei giorni di lavoro e

di festa; sarà poi il Vangelo della famiglia che bisognerà annunciare, ritrovando le parole giuste per

comunicarlo; dobbiamo chiederci come aiutiamo le famiglie a farsi carico delle altre famiglie,

specialmente quelle che stanno vivendo momenti difficili o sono nel bisogno, costruendo “reti di famiglie

solidali nel compito educativo”; infine domandarsi come accompagnare le famiglie nel passaggio all’età

adulta dei figli, orientandolo in senso vocazionale. Come si vede, gli obiettivi sono di ampio respiro, da

perseguire con metodo e discernimento comunitario, senza fretta.

Chiedo pertanto ai Consigli presbiterale e pastorale diocesani di studiare e predisporre una Proposta

di Assemblea diocesana, rappresentativa delle parrocchie e della varie realtà ecclesiali, sul tema

Cristiani si diventa in famiglia, allo scopo di trovare vie convergenti e ricche di prospettive, che avremo

poi cura di avviare e sperimentare nelle nostre comunità.

Insieme alle altre realtà ecclesiali

15. Un compito come quello di iniziare ed educare alla fede non può essere messo a carico della singola

parrocchia come anche della singola famiglia. Gli aspetti di un progetto educativo alla fede sono tra loro troppo

intrecciati per essere risolti dalle varie parrocchie separatamente le une dalle altre. È necessario pertanto che le

scelte da fare non riguardino solo le piccole parrocchie, ma coinvolgano anche le più grandi.

Per rispondere a questa istanza si è incominciato a parlare di ―pastorale integrata‖. Il senso di questa

espressione è duplice. Essa anzitutto richiede che le parrocchie abbandonino la tentazione dell’autosufficienza,

per intensificare la collaborazione con le parrocchie vicine, al fine di sviluppare insieme e senza dissonanze,

nello stesso ambito territoriale, quelle attenzioni e attività pastorali che di fatto superano le normali possibilità di

una singola parrocchia. Si pensi, ad esempio, in ambito di iniziazione ed educazione cristiana, alla necessità di

équipe di educatori per la pastorale d’Oratorio e giovanile.

L’integrazione va inoltre perseguita con le varie realtà ecclesiali che possono essere presenti sul territorio:

dalle comunità religiose alle associazioni, gruppi e movimenti. Essi hanno un ruolo importante nella sfida ai

fenomeni di scristianizzazione e nella risposta a domande di religiosità. Un apporto da valorizzare è ad esempio

quello di persone, gruppi, associazioni e movimenti in grado di testimoniare ai ragazzi e particolarmente ai

giovani la fede vissuta in varie situazioni; come anche da promuovere è la presenza pastorale e la testimonianza

di carismi di vita religiosa, di spiritualità laicale e missionaria.

L’esperienza conduce a dare oggi sempre maggiore importanza alla vita associativa, che si manifesta nella

molteplicità di gruppi variamente articolati. Fra i tanti, hanno rilievo i gruppi che assumono le finalità

apostoliche della Chiesa, collaborano con i Pastori in modo loro proprio e trovano nella formazione spirituale e

nella catechesi i momenti fondamentali della loro attività, i motivi profondi dell’azione apostolica. Senza

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rinunciare alla responsabilità dell’iniziazione cristiana, la parrocchia può avviare, nell’ambito dell’itinerario

offerto a tutti di formazione, anche un qualche momento associativo, come ad esempio la proposta dell’Azione

Cattolica Ragazzi o l’esperienza scout con l’AGESCI.

L’esperienza associativa è consigliata per quei ragazzi e adolescenti che sono notevolmente portati al

dinamismo associativo, pur raccomandando alle associazioni lo sforzo, con la loro proposta, di raggiungere

anche quei fanciulli e ragazzi che, mancando di un adeguato ambiente familiare di fede, hanno bisogno di un

gruppo, dove fare esperienza prolungata di vita cristiana, incarnando in questa maniera la tensione missionaria

della Chiesa.

In cammino con i giovani

16. Particolare attenzione chiede il mondo degli adolescenti e dei giovani. Che ne pensa il Signore di quanto

stiamo portando avanti, in termini di pastorale d’oratorio e giovanile, nelle nostre parrocchie? C’è qualcosa da

cambiare? Vi è qualche nuovo sentiero in cui inoltrarci? E, ancor prima: come intendiamo la pastorale giovanile?

La intendiamo come l’esprimersi concreto della responsabilità della Chiesa di comunicare la fede in Gesù Cristo

a tutti i giovani, anche a quelli che hanno perso i contatti con la Chiesa, o sono caduti nell’indifferenza religiosa,

o hanno dimenticato il loro Battesimo? E cosa fare per i non pochi giovani che, non ancora battezzati, entrano in

contatto con i nostri gruppi giovanili mossi da incontri di amicizia, di scuola, di volontariato?

Abbiamo bisogno di comunità parrocchiali accoglienti verso i giovani, perché esse stesse capaci di rinnovarsi

nella fede. La Chiesa è certamente “esperta in umanità‖, ci hanno ricordato più volte Paolo VI e l’attuale Papa

fin dall’inizio del suo pontificato, quando parla dell’―uomo via della Chiesa”; ma questo non vuol dire che noi,

vescovi, preti, popolo delle parrocchie, associazioni e movimenti, laici… siamo abbastanza esperti di questa

umanità.

Del modo con cui gli altri — i giovani in particolare — vedono il mondo, la vita, le istituzioni religiose

comprese, noi abbiamo alle volte un’immagine sfuocata, intellettualistica, devota. Li giudichiamo contrari,

indifferenti, agnostici in certi atteggiamenti — e in parte lo sono certamente —, per poi scoprire che in realtà essi

sentono il fascino di correnti di pensiero intrise di spiritualità.

L’umile riconoscimento della nostra inesperienza è un passo non facile. Ma necessario. Noi ―dobbiamo di bel

nuovo imparare la lingua di questa umanità che non parla nessun linguaggio a noi abituale‖ (Paolo VI). Non si

tratta di adattare il Vangelo ai destinatari, ma di adattare noi testimoni del Vangelo ai destinatari.

Ritengo fondamentale che ci mettiamo in discussione. Naturalmente lo si deve fare senza pessimismi o inutili

autoflagellazioni, ma anche con umiltà e verità. E lo dobbiamo fare tutti: genitori e figli, adulti e giovani,

sacerdoti, religiosi e laici impegnati nel lavoro educativo.

A questo scopo indico tre piste di discernimento pastorale.

* Il biennio sui cammini di iniziazione cristiana è un momento favorevole anche per un ripensamento

istituzionale della pastorale giovanile. Intendo dire che può essere una circostanza particolarmente

idonea per “fare il quadro”, anche diocesano, della pastorale giovanile: del molto che si è già fatto, come

ad esempio con l’inchiesta-ricerca Educatoricercasi, ma anche del non poco di un progetto ancora da

condividere.

* Si tratterà di chiarire come i responsabili diocesani, e anche quelli vicariali e zonali, possano

attuare il loro compito, intendendolo non come sostitutivo di ciò che viene fatto (e spesso molto bene)

nelle parrocchie, quanto come ispirazione, incoraggiamento, luogo fraterno di confronto, valido aiuto per

elaborare i necessari sussidi.

* Occorrerà poi chiarire come i vari soggetti diocesani, che in un modo o in un altro si occupano dei

giovani, possano essere valorizzati in sinergia, evitando sovrapposizioni indebite e, ancor prima, un

vuoto nella comunicazione vicendevole.

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Altri contesti educativi: la scuola

17. La riscoperta del compito della comunità cristiana, e in essa della famiglia e di altre realtà ecclesiali, nel

cammino di iniziazione cristiana, non esime tuttavia da una effettiva attenzione anche agli altri luoghi e contesti

in cui i ragazzi si trovano a vivere l’esperienza educativa. Il riferimento è anzitutto alla scuola, già per il solo

fatto del tanto tempo che i nostri ragazzi vi trascorrono, in larga maggioranza, rispetto ai nostri ambienti.

Se vogliamo davvero che il cristianesimo conservi un’immagine pubblica nelle nostre società attuali,

contrastando in questo modo il processo di marginalizzazione e privatizzazione che invece sta conoscendo,

dovremo impegnarci a mostrare meglio il contributo che esso sa offrire al processo educativo di formazione di

uomini e donne del nostro domani. La pedagogia cristiana resta perciò un buon terreno di confronto, di dialogo e

di inserzione del cristianesimo nelle culture abitate dalle nostre stesse comunità cristiane.

Nel contesto italiano attuale, poi, in piena riforma scolastica, una simile motivazione acquista valore di sfida.

In un momento in cui la scuola tende a diventare l’agenzia che ingloba dentro di sé tutti i possibili itinerari

formativi, non possiamo rassegnarci ad una posizione di meri osservatori di ciò che sta accadendo. Dobbiamo

piuttosto assumere posizioni di dialogo e di confronto più marcate, mostrando quello che abbiamo da offrire a

livello educativo, e permettendo in questo modo a tutto ciò che è linguaggio, cultura e valori cristiani di essere

ascoltati e accolti anche in contesti esterni ai nostri. Senza nulla togliere alla identità del cristiano e al carattere

compiuto della fede battesimale, che esigono specifici percorsi catechetici-liturgici ed esperienziali, l’iniziazione

cristiana non può disattendere il contesto nel quale avviene.

Dentro la storia di ciascuno

18. Sono tante e diverse le situazioni che provocano domande di fede e sollecitano la missionarietà della

Chiesa. Anche in età adulta ricorrono momenti che possono diventare crocevia esistenziali significativi per una

nuova visione della vita: la ricerca di un lavoro, l’avvio della vita affettiva con la prospettiva di costruire una

famiglia, l’esperienza alle volte traumatica della solitudine, della sofferenza, della morte provocano delle

domande di senso e determinano crisi, che talora approdano verso scelte di valori durevoli e impegnativi.

Anche esperienze di volontariato, di solidarietà verso i poveri, di servizio nelle missioni possono far nascere

il proposito di dedicare la propria vita a Cristo nella carità. Così come le sollecitazioni provenienti da

avvenimenti apparentemente casuali come, ad esempio, una celebrazione liturgica ben fatta, che riporta con i

ricordi lontani al risveglio della fede; una conversazione con un testimone; la lettura di un libro (le lettere di

Paolo in Agostino, la Vita di Gesù in Ignazio di Loyola, la autobiografia di Teresa d’Avila in Edith Stein…),

possono risvegliare interrogativi da lungo tempo sopiti, provocando il bisogno di dare una risposta personale.

Non mancano battezzati che, dopo anni di lontananza dalla pratica religiosa, si riaccostano ai sacramenti. È il

caso di chi decide di celebrare il sacramento del Matrimonio, talvolta collegato con la domanda di ricevere la

Confermazione e la Comunione, o domanda il Battesimo per il proprio figlio. Né si devono dimenticare cristiani

di altre confessioni che, attraverso l’incontro con comunità cattoliche vive o con fedeli seriamente impegnati,

possono essere condotti verso l’adesione alla Chiesa cattolica e, in alcuni casi, a intraprendere l’itinerario di

completamento della iniziazione cristiana.

A partire da tutte queste situazioni, la vicinanza e il sostegno di un credente possono risultare determinanti,

perché l’altro possa ridefinire le proprie attese e intraprendere cammini di fede, di preghiera e di graduale

inserimento nella vita della comunità cristiana. Diventare capaci di accoglienza verso uomini e donne di oggi;

realizzare luoghi di fraternità sincera; preparare gradualmente alla celebrazione di un sacramento: è questa la

prospettiva che può aprire a una rinnovata missionarietà le nostre comunità.

Faccio mia, concludendo questo secondo capitolo, una convinzione che trovo ben espressa in un recente

contributo del pastoralista L. BRESSAN: nella gestione di tutta l’azione pastorale in tema di iniziazione cristiana,

occorre passare da una “logica dell’organizzazione a quella della relazione”. Si tratta cioè di far sì che coloro

che si rivolgono alle nostre comunità trovino in esse una rete di rapporti umani e sociali, segnati dalla novità

della fede cristiana e, quindi, in grado di mostrarsi effettivamente accoglienti nei confronti dei nuovi venuti. Nei

nostri percorsi di iniziazione cristiana, senza ridurre le attese nei confronti dei singoli ragazzi, occorre imparare

ad aumentare il grado di testimonianza, il grado di fascino esibito direttamente da noi, dal nostro essere

comunità. Oltre a domandare la testimonianza di una vita di fede a delle famiglie, dovremo innanzitutto sapere

mostrare il volto di una comunità che testimonia la sua fede vissuta.

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CAPITOLO III

COME SI DIVENTA CRISTIANI

Agostino, un giovane che diventa cristiano

19. L’incontro con la Chiesa ha indubbiamente influito sulla decisione del giovane Agostino di ricevere il

Battesimo e di iniziare una effettiva vita cristiana. Ma come? Attraverso quale cammino? E quali passi?

La fede nasce anzitutto dall’ascolto (cf. Rm 10,17). Ciò che doveva colpire il giovane Agostino era la

familiarità del vescovo Ambrogio con la Parola di Dio. Inizialmente, ad attirare Agostino alla predicazione del

vescovo Ambrogio, era più la forma che il contenuto. Poi, insieme alle belle parole, egli incominciava ad

apprezzare pian piano anche i contenuti. Da qui la sua decisione: “Decisi di restare catecumeno nella Chiesa

cattolica, alla quale mi avevano educato i miei genitori, fino al momento in cui una luce non mi avesse indicato

qualcosa di certo verso cui orientare i miei passi” (Conf. V,14.25).

Come catecumeno — letteralmente ―uno che ascolta‖ — Agostino doveva frequentare le assemblee domenicali,

attento alla predicazione del Vescovo, edificato dal modo con cui l’assemblea pregava. Agostino ascoltava

commosso questo popolo che cantava la sua fede, “allorché il canto di uomini, di donne, di fanciulli, a guisa di

risonante fragore d’onda, fa eco nei responsori dei Salmi” (AMBROGIO, I sei giorni della creazione III,5,23). E

lo ammirava soprattutto perché cantava anche nei giorni difficili, ad esempio quando vegliò di notte per

difendere le proprie chiese dalle usurpazioni del potere, solidale con il proprio vescovo.

Non solo la liturgia e il canto contribuivano a dare fascino e bellezza alla Chiesa di Ambrogio. A decidere

Agostino verso il Battesimo è la testimonianza degli stessi cristiani battezzati, in particolare l’esempio di

intellettuali convertiti, come il filosofo Mario Vittorino; la presenza di piccole comunità di monaci nei pressi

della città e di vergini consacrate nelle proprie case, sotto la guida del vescovo; l’immagine di una Chiesa attenta

anche al confronto con la società e la cultura del tempo. Ambrogio stesso sosteneva un lavoro culturale e

coltivava la sensibilità nei confronti del cammino della società, soprattutto in favore della giustizia sociale.

“Giunto il momento in cui dovevo dare il mio nome per il Battesimo, lasciammo la campagna per fare

ritorno a Milano” (Conf. IX,6,14). Come ogni catecumeno adulto, anch’egli doveva ―iscriversi‖ al Battesimo,

dando il proprio nome. Era un modo per affermare la decisione di prendersi la responsabilità nei confronti del

dono di grazia che avrebbe ricevuto. Il vescovo Ambrogio guidava personalmente questo periodo di

catecumenato. Era come il momento fondamentale di tutto l’anno liturgico, dal quale nessuna altra

preoccupazione doveva sottrarre il vescovo.

Proponeva istruzioni catechetiche, chiedeva una pratica religiosa assidua, esortava all’esercizio delle virtù

cristiane. Momento particolarmente significativo della Quaresima era la ―consegna del Simbolo di fede‖,

insieme alla preghiera del ―Padre nostro‖. Il Battesimo, comprendente la Confermazione e la piena

partecipazione all’Eucaristia con la Comunione, aveva luogo durante la solenne Veglia pasquale davanti

all’intera comunità cristiana.

Un’esperienza simile sta vivendo la nostra Chiesa, da alcuni anni, prendendosi cura dell’accompagnamento

dei catecumeni giovani e adulti (e non solo provenienti da altri paesi), con più di una decina di Battesimi ogni

anno, nella Veglia pasquale presieduta dal Vescovo. Si tratta di un itinerario che, tra l’altro, prevede la iscrizione

del nome dei battezzandi nel corso della stazione quaresimale cittadina, e che vuole coinvolgere — almeno in

alcuni momenti — l’intera Chiesa locale, innanzitutto per evitare una preparazione ―troppo privata‖ (come se

fosse una vergogna ricevere il Battesimo da adulti o una situazione da ―regolarizzare‖, magari il più velocemente

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possibile!) e dare invece un’impronta più ecclesiale, comunitaria alla formazione e alla celebrazione stessa

dell’iniziazione cristiana, quasi un essere accolti da tutta la Chiesa.

Il primato della grazia

20. Tutta la storia di Agostino mostra quanto sia importante quello che Giovanni Paolo II nella sua lettera ai

cristiani del terzo millennio, la Novo Millennio Ineunte, chiama il ―primato della grazia‖: ―C’è una tentazione

che da sempre insidia ogni cammino spirituale e la stessa azione pastorale: quella di pensare che i risultati

dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare. Certo, Iddio ci chiede una reale collaborazione alla

sua grazia, e dunque ci invita a investire, nel nostro servizio alla causa del Regno, tutte le nostre risorse di

intelligenza e di operatività. Ma guai a dimenticare che senza Cristo non possiamo fare nulla” (NMI 38).

La domanda sul ―dove si diventa cristiani‖ ha messo in luce il compito della Chiesa e, in essa, della comunità

parrocchiale, della famiglia e delle altre realtà ecclesiali. Ma, andando più alla radice, emerge un’altra domanda:

―come si diventa cristiani?‖. L’accento qui è posto soprattutto sul verbo ―divenire, diventare‖, che esprime un

inizio, ma anche una continuità; un dato di fatto, ma anche un evolversi della situazione; come un seme che

l’uomo — dice la parabola — getta nella terra, e poi germoglia… prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno

nella spiga‖ (cf. Mc 4,26-28).

Diventare cristiani comporta il far crescere ―l’essere cristiani‖. Ne è consapevole la Chiesa, la quale, essendo

madre, non solo genera dei figli alla fede, ma li nutre, li educa, li porta alla maturità. Per questo ha messo in atto,

fin dal suo inizio, il cammino dell’iniziazione cristiana.

In questi ultimi decenni, il cammino è stato percepito come un essere iniziati ai sacramenti del Battesimo,

della Eucaristia e della Confermazione. Occorre rilevare che questa prassi vede i sacramenti del Battesimo,

dell’Eucaristia e della Cresima ―isolati‖ l’uno dall’altro, occupanti ciascuno un posto nella vita del cristiano,

senza considerare i legami reciproci, il tessuto connettivo proprio di un organismo vivo.

La difficoltà di questa prassi è nella mentalità che porta a staccare i momenti della catechesi da quelli più

propriamente orientati alla partecipazione alla vita della comunità cristiana: alla vita liturgica, alla preghiera, alle

feste e alla esperienza della sua vita di carità. Ne è conferma il fatto della diserzione dalla Messa domenicale e

dagli altri momenti esperienziali di vita cristiana già negli anni stessi del cammino di iniziazione cristiana,

avvalorando così la tendenza generale, caratterizzante la cultura contemporanea, secondo cui il processo di

apprendimento della fede si realizzerebbe principalmente mediante l’istruzione.

Dato che l’attuale divario culturale rispetto a una società di cristianità si è fatto più largo e il contesto in cui

viviamo non sostiene il credente nel suo cammino di fede, questo modello dell’iniziazione cristiana va ripensato.

Senz’altro recuperando, come ho già detto nel capitolo precedente, il compito della comunità cristiana nel suo

insieme quale grembo generatore della fede, ma poi sapendo incrociare il criterio delle ―fasce di età‖ con un

altro, ancora più determinante, che è il diverso livello di fede. Soprattutto va ripensato tenendo presente la prassi

della Chiesa antica, la quale, nell’esperienza del catecumenato, aveva colto la profonda unitarietà dei tre

sacramenti. È mediante essi che si è iniziati alla vita di fede cristiana, nella consapevolezza che il cammino di

iniziazione cristiana debba comportare l’insieme di momenti catechetici-liturgici ed esperienziali.

In questa prospettiva, il ―diventare cristiani‖ mette in evidenza alcune questioni: il Battesimo orientato

all’Eucaristia; l’Eucaristia al centro del diventare cristiani; la collocazione della Cresima; itinerario ordinario e

itinerari differenziati.

L’intento, nel presentare queste problematiche, è di offrire elementi per orientare la riflessione nei Vicariati e

nelle parrocchie e per indirizzare l’attuale azione pastorale verso obiettivi comuni, tenendo presenti le esperienze

che in proposito verranno promosse.

Il Battesimo orientato all’Eucaristia

21. L’orientamento del Battesimo all’Eucaristia è già iscritto nel dono stesso che Dio fa alla creatura,

generandola alla vita dei figli di Dio, e facendola entrare a far parte del suo corpo: la Chiesa. Il battezzato è

membro effettivo della comunità cristiana, pertanto è invitato al banchetto del pane di vita eterna; può sedersi

alla tavola preparata per la festa delle nozze dello Sposo. Recuperare la prospettiva eucaristica del Battesimo

vuol dire cogliere non un momento a sé del cammino di fede, ma il dinamismo che porta il battezzato a vivere in

pienezza il suo essere figlio di Dio.

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Già l’antica tradizione liturgica — ripresa dai nuovi Rituali dell’iniziazione cristiana degli adulti e dei ragazzi

dai 7 ai 14 anni — invitava a guardare al Battesimo in questa prospettiva, tanto da prevedere la celebrazione

unitaria dei sacramenti di Battesimo, Confermazione, Eucaristia, nella grande Veglia pasquale. Lo stesso rituale

nuovo del Battesimo dei Bambini conferma questo orientamento del Battesimo all’Eucaristia, introducendo un

rito espressivo del ―voto o desiderio dell’Eucaristia‖, con l’accompagnamento del battezzato all’altare, e lì la

monizione rivolta ai genitori e padrini, conclusa con la preghiera del Padre nostro.

Sarà opportuno approfondire il legame tra Battesimo e Eucaristia, per coglierne la ricaduta sulla prassi

battesimale attuale.

È vero che, anche nella nostra Chiesa, si può constatare una maggior intraprendenza sul versante della

pastorale pre-battesimale. È diffusa, infatti, la prassi dei diversi incontri prima del Battesimo, come l’iniziale

colloquio con il parroco, la visita di catechisti battesimali presso le case per l’ascolto della Parola e la preghiera,

la spiegazione del rito ai genitori, padrini e madrine in prossimità della celebrazione.

Meno diffusa, o forse non ancora presente, una pastorale post-battesimale, che prospetti un

accompagnamento delle famiglie, con celebrazioni di anniversari di Battesimo, iniziative di partecipazione alla

Messa dei genitori con bambini piccoli, famiglie in cammino per diventare ―chiesa domestica‖.

Su questo tema desidererei una maggiore riflessione e qualche orientamento pratico, chiedendoci:

“come ricondurre la richiesta del Battesimo, che ancora molti genitori fanno, a una proposta di

partecipazione alla vita della comunità?”.

L’Eucaristia al centro del processo del “diventare cristiani”

22. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in Lui” (Gv 6,56). È l’Eucaristia il

sacramento che crea questa misteriosa relazione tra il battezzato e il suo Signore; una relazione che è per la vita:

“Colui che mangia di me, vivrà per me”. Proprio perché ―questo pane disceso dal cielo‖ è continuamente

offerto, non chiude il cammino di fede, ma lo rinnova ogni settimana, lo rende più solido di celebrazione in

celebrazione; fa sì che il battezzato prenda sempre di più, di giorno in giorno, la ―forma dell’essere figlio di

Dio‖. Non solo, ma ―poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti

partecipiamo dell’unico pane‖ (1 Cor 10,17).

Non è questa l’esperienza che facciamo alla domenica? Il giorno del Signore, avendo al centro l’Eucaristia,

va dunque riconosciuto come momento costitutivo del proprio diventare cristiani e della vita di Chiesa. Qui la

comunità cristiana (la parrocchia) ―si riceve dall’alto‖ e si riconosce come evento di grazia. L’Eucaristia

domenicale diventa così la carta d’identità della vita del battezzato e della vita della parrocchia e, nello stesso

tempo, ne dice la destinazione missionaria a tutti (cf. il cammino della Nota pastorale 2003-2004 Andate e

annunciate: è la missione).

Per rendere più esplicita la centralità dell’Eucaristia nella vita del cristiano e della Chiesa, perché non ridare

alla domenica il suo significato profondo di giorno del Signore, giorno in cui veniamo tutti iniziati alla fede in

Gesù? Allora la domenica verrà riscoperta non solo come precetto della partecipazione all’Eucaristia, ma come

tempo in cui fare esperienza significativa dell’intensificare il proprio cammino di fede e luogo di annuncio,

testimonianza dell’amore di Dio: un giorno in cui tutta la comunità si rimette in stato di iniziazione e sa iniziare

alla fede le nuove generazioni.

Per raggiungere questo obiettivo, non si potrebbe privilegiare una domenica al mese, chiedendo alle famiglie,

ai loro ragazzi, all’intera comunità, di fare di questo appuntamento mensile un tempo di ricupero della propria

identità di fede e del proprio essere comunità cristiana?

Le modalità di attuazione possono variare. Si può pensare ad incontri che occupano tutta la domenica e

prevedono momenti separati tra genitori e ragazzi con la celebrazione eucaristica insieme, seguiti dal pranzo o

cena insieme. Oppure, per la celebrazione eucaristica, come già avviene in alcune parrocchie, la Liturgia della

Parola si celebra in un luogo proprio per i fanciulli con un’attenzione più precisa alla loro situazione. Altre

modalità lo Spirito potrà suggerire.

Ma la domanda alla quale continuamente i battezzati, nel loro essere comunità, sono invitati a

rispondere è questa: “L’Eucaristia domenicale è il motore segreto del cammino personale e comunitario

di fede in Gesù?”.

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La collocazione della Cresima

23. Oggi è impressione diffusa che, con la celebrazione della Cresima, sacramento non ripetibile, si concluda

il cammino di fede di molti battezzati, mentre con l’Eucaristia, che è il sacramento più ripetibile di tutti, il

cammino dà la possibilità di sfociare nella vita cristiana che continua. Questo modo di vedere l’Eucaristia come

vertice del cammino di iniziazione cristiana e, come tale, sacramento continuamente da celebrare per diventare

cristiani, non sembra aiutato dall’attuale collocazione della Cresima, del resto introdotta solo recentemente.

Da qui la proposta di riprendere l’ordine della tradizione antica, la quale prevede Battesimo, Confermazione,

Eucaristia. Anche la Nota Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (n. 7) ripropone questo

orientamento, valutandolo alla luce delle sperimentazioni che, secondo le disposizioni date dai Vescovi e

limitatamente ad alcune parrocchie, alcune diocesi hanno già avviato o stanno avviando circa una successione

diversa da quella attuale.

Resta però il fatto che non è facile collocare pastoralmente la Cresima, sia per motivi che riguardano

l’approfondimento teologico circa il suo significato, sia perché l’età della preadolescenza non sembra la più

adatta, in quanto è l’età in cui si mette in discussione tutto ciò che è stato proposto e vissuto fino a quel

momento. Si tratta di difficoltà che non ci esimono dal mettere a fuoco il significato stesso della Confermazione

come ―conferma della fede‖.

Due le riflessioni e le domande che propongo.

* La prassi, ormai vigente da trent’anni in Italia con cui la Cresima viene conferita “dopo” la Prima

Comunione, favorisce la conferma della fede da parte del soggetto. La necessità, tuttavia, di

responsabilizzare i ragazzi non può far dimenticare che la “conferma” non è chiesta solo a loro, ma

anche alla Chiesa nella persona del Vescovo e quindi alla comunità e alla famiglia.

Perché allora non investire di più su figure di accompagnamento dei già confermati, con proposte di

itinerari educativi più mirati alle esigenze dell’età adolescenziale e giovanile verso la maturità cristiana?

* Il rimando al Vescovo, che la tradizione occidentale vuole come ministro ordinario della

Confermazione, non può risolversi solo nel fatto che la celebrazione non è presieduta dal parroco, ma

deve sostanziare l’itinerario stesso, permettendo ai ragazzi di fare esperienza di Chiesa locale.

L’iniziativa, felicemente avviata a partire dal Giubileo, dell’incontro annuale dei cresimati e dei

cresimandi, ha proprio questo scopo: non tanto incontrare il Vescovo, conoscerlo come si fa con un

personaggio, ma poter vivere un incontro che faccia sentir parte di questa Chiesa diocesana, estesa dal

Po al Cerreto, dalla valle del Secchia alla valle dell’Enza.

Perché, allora, non proporre ai ragazzi momenti significativi come questi, vissuti con altre parrocchie

e con la comunità diocesana nel suo insieme, a contatto con i coetanei che stanno facendo la stessa

esperienza? Ne potrà risultare una proposta di ampio respiro, capace di far maturare la fede e la gioia di

essere cristiani.

Verso itinerari differenziati?

24. Le problematiche che emergono da questi punti chiave del cammino dell’iniziazione cristiana dicono

quanta attenzione l’azione pastorale debba avere alle persone, perché abbiano ad accogliere il dono di Dio nei

tempi e nei modi in cui questo dono si offre. Diventa indispensabile, pertanto, progettare ―itinerari differenziati‖

e ―personalizzati‖.

Proprio la diversità e pluralità delle situazioni di fede sollecitano a relativizzare un rigido riferimento all’età

scolare, per sperimentare itinerari in base alle diverse offerte e risorse messe a disposizione della comunità,

senza dimenticare che il riferimento all’età scolare e, quindi, a una data comune, almeno quella dell’anno di

Prima Comunione e della Confermazione, ha il senso di offrire a tutti la possibilità di accesso ai sacramenti

senza alcuna discriminazione.

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Si possono allora configurare due itinerari sperimentali, che descrivo brevemente per rendere più concreto il

discorso. Non sono cammini da adottare subito, senza una previa e adeguata riflessione, che invece chiedo di

sviluppare in questi due anni.

a) Itinerario ordinario

È l’itinerario che riprende quello seguito normalmente nelle nostre parrocchie con alcune significative novità,

in particolare nella proposta della celebrazione unitaria della Confermazione e dell’Eucaristia e nella maggiore

attenzione alla globalità dell’esperienza cristiana (catechesi-liturgia-vita).

L’itinerario, ricalcando quello tradizionale, che è sempre stato offerto a tutti i fanciulli e ragazzi che devono

completare l’iniziazione cristiana, mantiene la stessa caratteristica di apertura a tutti.

Il cammino dura complessivamente circa 5 anni e prevede:

• un tempo (di circa due anni) che si potrebbe chiamare di prima evangelizzazione, nel quale si annunciano

gli elementi essenziali del Vangelo, si introduce nella storia della salvezza e si riscopre il proprio

Battesimo con il rinnovo delle promesse battesimali (verso la fine del primo anno) e con la celebrazione

del sacramento della Riconciliazione (verso la fine del secondo anno);

• il tempo (di circa due anni) per la preparazione e celebrazione dei sacramenti della Confermazione e

dell’Eucaristia, valorizzando molto, insieme agli incontri catechistici, alcuni momenti celebrativi nelle

Eucaristie domenicali lungo l’anno liturgico: iscrizione al cammino per ricevere i sacramenti della

Confermazione e dell’Eucaristia – presentazione alla comunità – consegna dei Vangeli – consegna del

Credo – consegna della Croce – consegna del Padre nostro e della preghiera cristiana;

• il tempo (di circa un anno) della mistagogia, durante la quale i ragazzi sono aiutati a fare esperienza di vita

cristiana: comunitaria, caritativa, missionaria.

b) Itinerario catecumenale

È l’itinerario proposto dalla seconda Nota pastorale sull’iniziazione cristiana, pubblicata nella Pentecoste del

1999 a cura del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti per l’iniziazione dei

fanciulli e dei ragazzi dai 7 anni ai 14 anni, che chiedono il Battesimo; poiché esso prevede un gruppo di

coetanei che cammini con i catecumeni, è accessibile anche a dei fanciulli già battezzati, in particolare a quelli

che, pur essendo già battezzati, partono per così dire ―da zero‖, non avendo avuto nessuna (o quasi) educazione

cristiana.

L’itinerario comprende:

• la prima evangelizzazione (non meno di un anno) che termina con la celebrazione dell’ammissione al

catecumenato;

• il catecumenato in tre fasi (di circa un anno ciascuna), che termina con la celebrazione della elezione o

chiamata al Battesimo;

• l’ultima Quaresima, che termina con la celebrazione unitaria dei tre sacramenti di iniziazione cristiana:

Battesimo, Confermazione, Eucaristia (possibilmente nella Veglia pasquale o nel tempo pasquale);

• la mistagogia (non meno di un anno), durante la quale i ragazzi sono aiutati a fare esperienza di vita

cristiana: comunitaria, caritativa, missionaria.

Si tratta di un cammino globale, che fa molto spazio ai momenti celebrativi; si regge sulla presenza viva della

comunità, rappresentata dal ―gruppo catecumenale‖; celebra i sacramenti nella loro unitarietà e secondo l’ordine

tradizionale intorno agli 11 anni.

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Per camminare verso questa sperimentazione, sollecito a riflettere su una domanda e su una proposta

operativa intermedia.

* Ci dobbiamo chiedere: nella nostra azione di evangelizzazione e di catechesi come favorire una

maggiore integrazione tra i momenti catechistici, liturgici ed esperienziali?

* Perché non pensare, d’accordo coi genitori, nell’anno in preparazione ai sacramenti, all’iniziativa

del ―pomeriggio educativo‖ (ogni 15 giorni) in sostituzione dell’ora settimanale di catechismo, sempre

così sacrificata? Si darebbe la possibilità di far vivere ai ragazzi un’esperienza globale di vita cristiana in

quanto ci sarebbe il tempo per pregare insieme, per ascoltare la Parola di Dio e l’annuncio del

catechista, per giocare e fare attività, e anche per esperienze celebrative e caritative.

Verso itinerari di “primo annuncio”

25. Ripensare il modello dell’iniziazione cristiana per i fanciulli e i ragazzi non esaurisce il ―diventare

cristiani‖. Lo conferma il fatto che si fa sempre più presente la situazione di coloro che desiderano risvegliare la

loro fede in Cristo: sono battezzati, ma non sono mai stati veramente evangelizzati; oppure si tratta di coloro che,

una volta iniziati alla fede, hanno poi abbandonato la comunità cristiana subito dopo la celebrazione della

Cresima, non compiendo mai la mistagogia e lasciando incompiuta la loro vita di fede.

È a partire da questa consapevolezza che occorre sviluppare un’organica pastorale di accompagnamento, in

modo che ciascuno, partendo dal punto del cammino di fede in cui si trova, possa essere sempre più introdotto

nella conoscenza e nella partecipazione al mistero di grazia del Signore. Progressivamente diventerà decisiva

non una prospettiva di catechesi per persone che hanno già la fede, ma il coraggio di un primo annuncio della

fede, distinguendo tra evangelizzazione e catechesi, come già precisava il Documento Base sul rinnovamento

della catechesi al n. 25. Il primo annuncio — primo non necessariamente in senso cronologico, ma fondativo —

mira alla nascita o alla rinascita della fede; la catechesi alla sua maturazione.

Il coraggio del primo annuncio è già presente nelle comunità dei primi cristiani, come ci ha richiamato il libro

degli Atti degli Apostoli. Ci sono forme di primo annuncio in forma pubblica nei discorsi di Pietro: davanti alle

folle (At 2,14), dopo la guarigione dello storpio alla porta del tempio (3,12), davanti al Sinedrio (4,8).

La riflessione sul ―primo annuncio‖ si è fatta in questi ultimi anni via via più attenta e mirata, e nella terza

Nota pastorale del Consiglio Permanente dei Vescovi, pubblicata nella Pentecoste 2003 col titolo Orientamenti

per il risveglio della fede e il completamento della iniziazione cristiana in età adulta, trova utili indicazioni

riguardanti contenuti, finalità e precisi percorsi attuativi, insieme alle figure di accompagnamento e ai ministeri

implicati.

Si impone, allora, sempre di più non solo il problema dei sacramenti, ma della fede in Cristo. Come Chiesa

siamo di fronte al problema di come proponiamo, comunichiamo, testimoniamo, viviamo la fede, in modo che

possa essere accolta per una libera, convinta e matura scelta.

Chiedo pertanto:

* ai Consigli pastorali vicariali, d’intesa con gli Uffici pastorali per la catechesi e la liturgia di studiare

e configurare percorsi per il completamento della iniziazione cristiana per battezzati adulti che chiedono

la Confermazione e una più consapevole partecipazione all’Eucaristia, in aiuto alle parrocchie, evitando

le pericolose scorciatoie del “fai-da-te” o dei “corsi accelerati”;

* all’Azione Cattolica, d’intesa con la Consulta delle Aggregazioni laicali, di promuovere presso le

varie associazioni, gruppi e movimenti itinerari di formazione cristiana che possano servire al primo

annuncio del Vangelo, in riferimento alle varie situazioni di vita e alle corrispondenti domande di fede,

testimoniando così una più accentuata propensione missionaria.

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CAPITOLO IV

IL CRISTIANO NELLA COMUNITÀ

E NEL MONDO

S. Agostino e il Battesimo come vocazione

26. “Fummo battezzati, e si dileguò da noi l’inquietudine della vita passata” (Conf. IX,7,15). È dunque sul

Battesimo che Agostino fonda le sue scelte di vita. Inizialmente, la scelta è quella di un progetto di vita insieme

con Alipio e altri amici: ―Stavamo sempre insieme, e avevamo fatto il santo proposito di abitare insieme anche

per l’avvenire‖ (Conf. IX,17). Con il termine ―proposito‖ si voleva designare un progetto di vita radicalmente

ispirato al servizio di Dio e del Vangelo: in un primo tempo pensato nella vita coniugale, ma poi tradotto in una

scelta di vita celibataria.

È interessante, inoltre, osservare che è a partire dalla sua conversione che Agostino incomincia una intensa

attività culturale, come testimoniano i Dialoghi all’indomani del Battesimo ricevuto a Milano nella Pasqua del

387. Prima aveva scritto solamente, come esercizio di scuola, un De musica sulle strutture melodiche. C’è

dunque un impegno culturale che nasce dalla stessa vocazione battesimale di servizio al Vangelo presso ogni

uomo.

È noto però che, a distaccarlo dal progetto di vita come semplice cristiano battezzato, sarà la chiamata da

parte del suo Vescovo. Diventato prete e poi vescovo, per rispondere alle necessità della Chiesa di Ippona in quel

momento, Agostino non mancherà di ricordare con profonda nostalgia la scelta originaria di vivere la vocazione

battesimale da semplice cristiano.

Rivolgendosi un giorno alla sua Chiesa, che quotidianamente lo caricava di impegni fino a non lasciargli più

il tempo di pregare, il vescovo Agostino sembra fare sua la richiesta dei discepoli sul monte della

Trasfigurazione: “Maestro, è bello per noi stare qui” (Lc 9,33). Come Pietro, anche Agostino ne aveva

abbastanza di vivere in mezzo alla folla, di fronte alla dolce solitudine di quella montagna. Ma “ecco che alla

fine Gesù trascinò subito Pietro giù dal monte tra la folla in attesa” (Sermone 78,3). Questa fu anche la

conclusione della predica del Vescovo!

Bisogna allora pensare, alla luce della figura di Agostino, che dal Battesimo derivino diverse vocazioni, e che

la vita del cristiano battezzato, che vuole essere fedele alla chiamata di Dio e della Chiesa nella storia, sia un

fascio di vocazioni: alcune più stabili come il sacerdozio, la consacrazione religiosa, il matrimonio; altre invece

più occasionali. Ci possono essere anche servizi volanti d’emergenza, alla ―buon samaritano‖, richiesti al

cristiano fuori da qualsiasi continuità con l’orientamento generale della sua vita.

Vedremo ora alcuni aspetti della vocazione del cristiano battezzato: la santità nel quotidiano, il culto della

bellezza, la vigilanza nella preghiera, la partecipazione e la corresponsabilità nella vita della comunità, la

presenza cristiana nella cultura e nella società. Sono temi che provo a considerare a partire dalla Prima Lettera di

Pietro, il libro biblico di riferimento per l’anno pastorale 2004-2005.

Cristiani santi nel quotidiano

27. ―Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma ad

immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto:

Voi sarete santi, perché io sono santo” (1 Pt 1,14-16).

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Della santità cristiana, Pietro parla qui non in termini astratti e statici, ma concreti e dinamici di conversione

di vita, di rottura senza rimpianti con il passato. Immagine tradizionale di questa santità dinamica è l’esodo del

popolo di Dio dalla schiavitù d’Egitto alla Terra Promessa.

È come dire che non si tratta di un cammino riguardante alcuni individui o alcuni stati di vita particolari, ma

tutto un popolo è chiamato alla santità.

“Credo la Chiesa santa”, recitiamo nel Credo della Messa. Lo recitavano già i primi cristiani come

professione della fede battesimale. “Salutate la Chiesa santa” che è a Corinto, Efeso, Roma: iniziano così le

lettere di Paolo. “Santi” e “sante” erano chiamati i cristiani battezzati, e il Battesimo era considerato un vero

ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione dello Spirito.

La santità nella Chiesa, prima che un ideale, è un fatto. È il fatto che lo Spirito Santo, lo Spirito del Risorto, le

è irrevocabilmente donato e la fa esistere. È la ininterrotta presenza di Santi e Sante lungo tutta la sua storia. Tale

fatto non è cancellato né cancellabile dall’altro fatto, altrettanto innegabile, delle colpe storiche dei cristiani, che

la storia della Chiesa conosce e di cui il Papa ha chiesto più volte perdono.

La santità cristiana è anche un fatto che non si presenta sempre allo stesso modo. C’è ad esempio una santità

eroica come quella di S. Carlo Borromeo o S. Teresa d’Avila e, prima ancora, del martire S. Ignazio di

Antiochia. Il santo diventa così l’eroe cristiano, sia egli martire o santo, per la straordinarietà delle sue virtù. E

c’è invece una santità nel quotidiano, dentro le condizioni comuni di vita.

Così si esprimeva S. Agostino: “Il bel giardino del Signore, o fratelli, possiede non solo le rose dei martiri,

ma anche i gigli dei vergini, l’edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove” (Ufficio di

lettura del 10 agosto, festa di S. Lorenzo). E S. Francesco di Sales: “È un errore, anzi una eresia, voler

escludere la vita devota — cioè la ricerca della santità — dalle caserme, dalle officine degli artigiani, dalla

corte dei principi, dalla vita di famiglia degli sposi...” (Introduzione alla vita devota, cap. 3).

Sul tema della santità della Chiesa, il Concilio si è pronunciato esplicitamente con la preoccupazione di

allargare l’idea, gli orizzonti e le figure della santità, proclamando l’universale vocazione alla santità del popolo

di Dio (cf. Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, cap. 5).

Collocandosi nel solco di questa tradizione, Giovanni Paolo II, nella sua lettera ai cristiani del Terzo

Millennio, a conclusione del Giubileo del 2000, come primo passo del cammino per ripartire da Cristo, invita

alla santità: “Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità resta più che mai

un’urgenza pastorale” (NMI 30). E ne fonda la ragione sul Battesimo: “Chiedere ad un catecumeno: Vuoi

ricevere il Battesimo? significa al tempo stesso chiedergli: Vuoi diventare santo?” (NMI 31).

Questa istanza di vocazione alla santità non viene meno dopo il Battesimo, con l’esperienza del peccato. Il

peccato dei cristiani battezzati mette in luce una situazione paradossale: da una parte il Battesimo chiama tutti

alla santità; dall’altra, con il peccato, il battezzato tende a sottrarre il ―cuore‖ alla chiamata battesimale. Un

contributo non secondario a ritrovare la grazia battesimale è il ricorso frequente al sacramento della Penitenza o

Riconciliazione, spesso oggi messo tra parentesi come momento del cammino di educazione alla fede e alla vita

cristiana. Eppure, anche tramite il sacramento della Penitenza — che già la più antica tradizione cristiana collega

esplicitamente al Battesimo —, il cristiano è continuamente educato a convertirsi. Anche da peccatori, come

Agostino, siamo chiamati alla santità.

Le vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno. Non a caso, il Papa ringrazia il

Signore di avere proclamato santi e sante tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle

condizioni più ordinarie della vita: il giovane Piergiorgio Frassati, i coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi,

la mamma Gianna Beretta Molla, e tanti sacerdoti, religiosi e religiose. Troppi? Sì, ma sempre pochi, se è vero

che è ora di riproporre a tutti con convinzione la santità come “misura alta della vita cristiana ordinaria” (NMI

31). È quanto già richiamavo nella Lettera Pastorale Ricominciare dal Vangelo, affermando come la

testimonianza di santità che siamo chiamati a dare al mondo “ha come luogo primo e decisivo le condizioni

ordinarie della nostra esistenza di uomini e di donne nel mondo” (n. 10).

* Trovo una conferma in questo dalla nostra storia. A differenza di altre Chiese, la nostra di Reggio Emilia -

Guastalla non sembra brillare nel proprio calendario liturgico di tanti Santi e Sante locali: il vescovo S. Prospero,

la beata Giovanna Scopelli; recentemente il beato Cardinale Andrea Carlo Ferrari, vescovo di Guastalla per

pochi mesi, e il beato Artemide Zatti, cooperatore salesiano originario di Boretto. Si possono dunque contare

sulle dita di una mano.

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* Non è da escludere, anzi ritengo ormai giunto il momento di raccogliere l’istanza, che mi viene sollecitata

da più parti, di avviare il cammino di riconoscimento di qualche figura di ―santo di casa‖: tra il clero diocesano,

tra le vittime degli opposti estremismi durante la guerra e nell’immediato dopoguerra, tra le religiose e i

missionari, e tra le famiglie stesse.

* Mi domando però se questa povertà di santi e sante d’altare non costituisca come un invito implicito a

impegnarci tutti su forme e figure di quella che è definita la ―santità popolare‖. Prima che in figure di santi

d’eccezione, la santità popolare si manifesta nella vitalità del costume cristiano, nella unità della famiglia, nella

qualità delle istituzioni educative come la scuola e gli oratori, nella ricchezza della proposta cristiana rivolta a

tutti nelle parrocchie e, con forme più recenti, offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla

Chiesa.

Come si vede, dobbiamo ritornare ancora al Battesimo come vocazione alla santità. E alla vita delle nostre

comunità cristiane come palestre di santità, prima ancora che centri di servizi.

Amanti della Bellezza

28. “Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché

proclami le opere meravigliose di Lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1 Pt 2,9).

Le immagini per definire la comunità cristiana iniziata nel Battesimo sono molteplici: casa spirituale (cf. 1 Pt

2,3), sacerdozio santo e regale, stirpe eletta, popolo di Dio. Convergono, in questa rassegna elogiativa, tutti i

titoli e compiti che caratterizzavano alcuni soggetti dell’antico popolo di Israele: il sacerdozio del capo di

famiglia, la funzione regale dei capi tribù, il sacerdozio speciale dei discendenti di Aronne.

A differenza però dell’antico popolo di Israele, che poteva solo fermarsi sulla soglia del tempio, ora la

comunità cristiana, grazie a Cristo, può entrare nel cuore del tempio, anzi considerarsi essa stessa ―tempio

spirituale‖. Qui tempio o casa spirituale ha il significato di tempio e casa ―conforme all’azione dello Spirito‖ (cf.

Rm 12,1), il quale da gente di ogni classe, età, sesso fa un popolo santo, un sacerdozio regale, una stirpe eletta.

La comunità perciò del ―nuovo Israele‖, che è la Chiesa dei battezzati, conserva la forza aggregante e

unificante del proprio culto non in termini puramente intimi, individuali e coscienziali, ma visibili, rituali,

comunitari: come tempio o casa spirituale, dove risuona la Parola che sta all’origine della iniziazione cristiana,

viene celebrato il mistero eucaristico, e ci si apre alla testimonianza della vita.

Così la vita della comunità cristiana diventa mistagogia per coloro che vi si accostano. ―Mistagogia‖,

letteralmente ―il mistero (cristiano) in azione‖, è di più che una semplice istruzione sui sacramenti; diventa

piuttosto un lasciare che i Misteri celebrati esprimano tutta la loro forza di attrazione lungo la vita cristiana.

È ispirandosi a questa tradizione mistagogica che, prima il movimento liturgico e poi il Concilio Vaticano II,

hanno fatto maturare nella coscienza del popolo dei battezzati la consapevolezza di essere soggetti delle

celebrazioni liturgiche, non solo destinatari. Ma cosa vuol dire celebrare da battezzati? Agostino, nella sua

Regola di vita, qualifica i cristiani battezzati come “innamorati della Bellezza spirituale” (n. 48). C’è qui un

ricordo della sua esperienza di convertito alla fede, anche partecipando alla bellezza della liturgia della Chiesa

che lo aveva accolto.

* Ritengo che ci sia uno stretto legame tra liturgia ed evangelizzazione. È vero, la liturgia non è per i non

credenti, ma per i già credenti. Essa suppone i cristiani già iniziati nella fede. E, tuttavia, la liturgia esercita la

sua forza rivelativa ed educativa alla fede anche per i non credenti, che si affacciano alla porta delle nostre

chiese. Ma ha da essere una liturgia ―bella‖: bella non solo per i canti, le preghiere, le omelie, l’altare e lo stesso

edificio, ma bella nel senso che i Padri nella fede, come Agostino, davano al senso della liturgia. Celebrare nella

fede è un modo bello di dire chi è Dio, Gesù Cristo e il suo Vangelo, quasi un fare esperienza sensibile del

Mistero di Dio.

* La liturgia è anche un modo di dire la bellezza e la gioia di credere. ―Celebrate bene e farete la Chiesa‖;

così si potrebbe fare nostro l’antico detto: ―La regola del pregare diventa la regola del credere‖ (lex orandi, lex

credendi). Suggerisco una piccola controprova a ciascuno: mettiti in fondo alla Chiesa alla domenica; guarda

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come la comunità celebra l’Eucaristia, e vedrai come questa comunità si lascia plasmare dal Mistero che celebra.

Guarda la sua fretta, e vedrai una comunità funzionale; guarda i suoi protagonisti, e vedrai invece la sinfonia

delle sue vocazioni e dei suoi ministeri; ascolta il suo canto, e vedrai la sua finezza e preparazione; ascolta le sue

preghiere, e sentirai la forza della sua carità.

Vigilanti nella preghiera

29. “La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera” (1 Pt 4,7).

L’Apostolo, in queste poche righe, ha condensato l’insieme degli elementi caratteristici della esortazione

cristiana alla preghiera. Anzitutto pregare ha senso in un contesto escatologico. È dell’ordine dei fini, non dei

mezzi, come insegna la stessa preghiera del Padre nostro. Rivela ed educa il cristiano, come singolo e come

comunità, a mantenere la tensione verso il compimento della salvezza.

Letto nella prospettiva della salvezza, anzi in un certo senso quasi affrettandone il compimento, il pregare

diventa l’espressione della vigilanza cristiana, vigilando nell’attesa. Come tale chiede, secondo l’Autore, di

essere accompagnata da saggezza e sobrietà: due qualità spirituali che definiscono il giusto rapporto con la realtà

mondana. Pregando, si scioglie la pressione che nel tempo le cose da fare, le circostanze della vita e le

preoccupazioni esercitano sulla libertà stessa di credere e di vivere tutto come ―alla presenza di Dio‖. Così

intesa, la preghiera diventa la ―cartina di tornasole‖ della intera esperienza cristiana. Ma non è facile pregare

così. Affrontare, oggi, il problema della preghiera significa far emergere nello stesso tempo i problemi nodali

dello stesso vivere cristiano.

Il problema del pregare è innanzitutto un problema di soggetti e di situazioni, di clima spirituale in cui si

colloca, nasce, si sviluppa oppure muore l’attività stessa del pregare. La crisi della preghiera non è solo di forme,

modalità, testi e gesti con cui pregare, ma è innanzitutto crisi di soggetti. Se pregare è essere presenti alla

preghiera con tutta la propria umanità, storia, situazione, dov’è l’uomo che prega? ―Adamo, dove sei?‖ (cf. Gen

3,9).

―Non ho tempo‖ è la difficoltà più immediata e spontanea che sorge a chi inizia a pensare alla preghiera. La

preghiera non è tanto rifiutata, ma rimandata. La giornata di uno studente o di un lavoratore oggi non è

organizzata attorno ai ritmi della preghiera, ma attorno ad altri ritmi. È vero che il tempo dell’uomo moderno è

―pieno‖, ma dobbiamo riconoscere che è anche tempo ―riempito‖, riempito di cose da fare, di appuntamenti, di

televisione, di reali o presunte necessità.

A livello più profondo, la preghiera è spesso frenata da una vera paura, tipica dei nostri giorni: la paura

dell’intimità e della responsabilità verso l’altro insita in essa. Ancora oggi l’uomo cerca Dio e occasionalmente

si rivolge a lui, ma al contempo teme il silenzio, il luogo dell’incontro personale, perché ha paura che in esso il

Signore lo chiami a giocarsi in prima persona, ad assumersi una responsabilità verso la vita propria ed altrui, ad

entrare in un rapporto di comunione più grande. Non sta forse qui il cuore dell’attuale crisi vocazionale dei nostri

giovani?

Quali indirizzi per una risposta? Come tornare ad essere uomini e donne di preghiera?

* Innanzitutto, è necessario riscoprire la preghiera come ―buona notizia‖: tornare alla Parola per gustare il

dono di un Dio che si fa vicino, è per noi terra promessa, luogo di riposo, luce nelle tenebre. Una preghiera che è

prima dono che impegno, accoglienza di una parola di ―Vangelo‖ che sostiene, motiva, rilancia la nostra vita.

Dobbiamo confessare che non si è ancora riusciti a delineare uno stile di preghiera sulla Parola adatta alla vita

del laico, ai suoi tempi ed alle sue esigenze; questo però non deve scoraggiarci dal cercare ancora.

* Inoltre, è necessario accogliere la povertà di tempo per pregare come una situazione nella quale il Signore si

china sulla miseria della sua creatura. Non dobbiamo temere per la povertà del nostro stile di preghiera. Come

dice R. VOILLAUME, fondatore con Ch. De Foucauld dei ―Piccoli Fratelli‖: “Dobbiamo pregare come possiamo,

e non tormentarci per tentare di pregare come non possiamo… A forza di coraggio perseverante, con atti di fede

e di amore semplici e nudi, potrete mettervi là, davanti a Dio, ed attenderlo aprendogli il fondo del vostro essere

com’è… Il risultato sarà spesso una preghiera dolorosa, pesante in apparenza poco spirituale, ma attraverso

questo sforzo di fede… si tradurrà la sete e l’attesa di Dio che, nondimeno, è nell’intimo vostro” (Come loro,

Ed. Paoline, 111987, pp. 107-109).

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I sentieri della preghiera sono molti e ciascuno deve seguire il suo.

* Rimane però viva un’esigenza: se la vita è così com’è, se il ritmo quotidiano è spesso incalzante per chi

lavora, anche in campo pastorale, non possiamo semplicemente prenderne atto. Occorre intervenire sui fattori

che lo rendono tale. C’è quindi anche una battaglia da combattere, quella di umanizzare il tempo, dilatarlo, se

possibile, alle esigenze dello spirito e dell’uomo, della persona e della famiglia, della festa e non solo del lavoro.

Bisogna favorire un ritmo che permetta l’incontro con le persone nella famiglia, nella comunità, dilatando e

arricchendo il cosiddetto ―tempo libero‖. Venendo al concreto, in questa prospettiva sono da ricuperare alla

preghiera i tempi più distesi lungo l’anno. Innanzitutto la domenica: purtroppo anche quel giorno continua

spesso l’opera di alienazione che già percorre tutta la settimana; poi altri spazi lungo l’anno, seguendo il

cammino della Chiesa, come giornate di ritiro, di esercizi spirituali.

Partecipi e corresponsabili nella comunione

30. “Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori

di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia

con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale

appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!” (1 Pt 4,10-11).

Rilevante anzitutto in questo invito è che l’esercizio della ministerialità o diaconia per il bene della comunità

sia fatto scaturire dalla “grazia ricevuta”, che è la grazia battesimale. È questa la motivazione che rende

ciascuno responsabile verso tutta la comunità, e perciò ne configura l’azione come un servizio per l’utilità

comune, non come un hobby da esercitare secondo propri criteri e interessi.

Significativa, poi, è l’espressione ―parole di Dio”, al plurale (“chi parla, lo faccia come con parole di Dio”),

per qualificare il servizio alla Parola nelle sue varie forme: di primo annuncio, di catechesi, di testimonianza. E

così molteplici sono anche le forme della diaconia nell’assistenza e guida della comunità (cf. paralleli in 1 Cor

12,28; 13,1 e 14,1). L’Autore della Lettera è convinto che ciascuno, nella Chiesa, abbia la propria grazia, il

proprio carisma. Quindi tutti possono contribuire alla ricchezza della Chiesa: nessuno è inutile, ma ognuno ha la

sua importanza e dignità. La comunità ha bisogno del singolo, ma anche il singolo ha bisogno della comunità.

Così, nella comunione, sono presenti insieme unità e molteplicità.

Per questo, gli accenni alla diffusa carismaticità e ministerialità della Chiesa sono continuamente collocati nel

quadro del ―popolo di Dio, regale sacerdozio, gente santa‖ (cf. 1 Pt 2,10), conformemente alla ecclesiologia di

comunione che caratterizza l’intero messaggio pastorale della Lettera di Pietro. E, dunque, con altrettanta forza,

questa prospettiva chiede oggi di essere applicata alla nostra realtà di Chiesa, in particolare a quelle comunità

cristiane che lungo i secoli hanno assunto il termine, ma più ancora il significato, di ―comunità tra le diverse

case‖ che sono le parrocchie.

Di solito non mancano, nei cristiani di oggi, l’impegno o la dedizione nelle varie forme di servizio nella

Chiesa, nelle nostre parrocchie e varie realtà ecclesiali. E questo è senz’altro uno dei frutti più belli della Chiesa

del Concilio. Ma spesso si tratta di dedizione limitata a questo o a quell’altro impegno prevedibile, misurato

dalle cose che si fanno, mai tanto grave da impegnare la stessa persona, i suoi pensieri e sentimenti più rilevanti,

la sua fedeltà incondizionata. Abbiamo tanti volontari, collaboratori, a tempo determinato. Cristiani a ore.

Mancano cristiani corresponsabili, stabili e formati. Il Concilio, quarant’anni fa, indicava tra i ―segni dei

tempi‖ dell’epoca contemporanea quello di una diffusa esigenza di partecipazione, di corresponsabilità di tutti a

tutto ciò su cui si decide o si può decidere (cf. Gaudium et Spes 31.75). Tale istanza, nella nostra società attuale,

non è più avvertita come fondamentale e certo i nostri cristiani risentono della generale disaffezione all’impegno,

della scarsa considerazione per lo studio approfondito, per la ricerca insieme delle soluzioni ai problemi. Ne

sono un segno la stanchezza di diversi Consigli pastorali o la fatica a portare avanti alcune iniziative vicariali,

zonali o lo scarso interesse, in questi ultimi anni, per il cammino di formazione sistematica nella Scuola di

Teologia per laici. Non è escluso, poi, che i vari organismi di partecipazione nella Chiesa ancora siano visti

troppo simili a esperienze analoghe in campo civile o politico, quali ad esempio una riunione di condominio o un

consiglio di amministrazione o un consiglio comunale.

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Vale la pena ricordare che ―partecipazione‖ e ―corresponsabilità‖ nella Chiesa hanno una loro originalità di

contenuti, di forme ed espressioni, che non si possono ricavare semplicemente e direttamente dall’esperienza o

dalle formule della convivenza civile e politica. Quale l’originalità?

La risposta più completa a questo interrogativo appare contenuta in un testo paolino e in un passo del

Concilio. Quando Paolo presenta la Chiesa come ―corpo di Cristo‖ (cioè un unico corpo composto di diverse

membra: cfr. 1 Cor 12) e, più esplicitamente, quando il Concilio afferma che “vi è nella Chiesa pluralità di

carismi ma unità di missione” (Decr. sull’apostolato dei laici, Apostolicam Actuositatem 2), viene offerta una

risposta generale molto semplice, limpida e scarna, e nello stesso tempo capace di porre le basi a ogni ulteriore

riflessione.

Volendo concretizzare l’invito alla partecipazione e alla corresponsabilità, mi sento di chiedere un

atteggiamento nuovo.

* Alle diverse associazioni, ai vari gruppi e movimenti ecclesiali, chiedo di cercare e attuare la

comunione con le comunità parrocchiali come una componente necessaria di quella comunione più ampia

che deve essere vissuta nella Chiesa locale e universale. Del resto, voi appartenete di fatto a queste

parrocchie: mentre offrite i vostri carismi, accogliete i doni che sono realmente presenti e operanti nelle

comunità, anche in quelle più piccole e povere; in particolare accogliete le persone concrete che

compongono queste comunità, siano esse simpatizzanti o meno delle vostre realtà aggregative.

* Alle comunità parrocchiali, nello stesso tempo, chiedo di aprirsi, farsi accoglienti verso tutto ciò che

di nuovo lo Spirito suscita nella Chiesa mediante le varie realtà aggregative, facendosi aiutare da esse a

vivere in maniera più convinta e intensa il proprio slancio missionario. Solo se missionarie, infatti, le

comunità parrocchiali potranno rispondere alla convinzione profonda dei Vescovi italiani, secondo cui

―anche in futuro non si potrà fare a meno della parrocchia, per il suo legame con il territorio e il suo

radicamento popolare‖ (cf. Il volto missionario…, n. 5).

Stranieri, ma non estranei nella società e nella cultura

31. “Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra

all’anima. La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al

vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1 Pt 2,11-12).

Viene qui richiamata la condizione di minoranza dei cristiani nella società del tempo della lettera di Pietro,

quasi come ―stranieri‖ (paroikoi nel testo originale), cioè senza diritti di cittadinanza, e perciò come

“pellegrini”, cioè gente sempre pronta a camminare e andare oltre, poiché non hanno qui radicato le proprie

speranze.

Interessante la comparsa del termine paroikoi, da cui è derivato poi anche il termine ―parrocchiani‖ per

qualificare i cristiani residenti in un luogo, ma come stranieri, che vivono come paraoikia, letteralmente

―accanto alle case‖, accanto a questa società, come gente precaria, sempre in procinto di partire: non dentro

questa società come fosse la loro casa definitiva, a loro agio, stimati e benvoluti, chiusi in se stessi, appagati

delle loro opere, come ironicamente viene inteso spesso il termine ―parrocchiano‖.

E, tuttavia, l’essere come stranieri e pellegrini non giustifica il comportarsi da estranei di fronte a questo

mondo, a questa concreta società e alle sue istituzioni. Probabilmente era questa la tentazione dei primi cristiani

all’epoca della lettera. L’invito dell’Autore è invece chiaro: “State sottomessi ad ogni istituzione umana per

amore del Signore, sia ai re come al sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e

premiare i buoni” (cf. 2,13-14). In altre parole, l’invito ai cristiani è quello di essere ―leali‖ verso le istituzioni

umane e le autorità costituite.

La lealtà verso le istituzioni e le rispettive autorità umane, che non giustifica né l’assenteismo del ―tanto

peggio tanto meglio‖, né la ribellione e l’anarchia, è anche la condizione che permette ai cristiani di dare la loro

testimonianza di opere, conservando la propria identità e anche libertà cristiana. Liberi non solo come singoli,

ma anche come fatto associato e culturale.

Le “opere” (“opere belle”, come si esprime il testo originale, in parallelo con Mt 5,16) non sono soltanto le

opere buone nel senso delle opere di misericordia (materiali e spirituali) della tradizione cristiana, ma sono anche

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tutte quelle opere, che sono dal punto di vista civile apprezzabili, come apporto costruttivo e arricchente per la

vita e la società degli uomini. Si pensi alla professione, al lavoro, alla stessa vita di famiglia. Implicito in questo

senso è anche il carattere di testimonianza della rilevanza della fede e della Chiesa nella società e nella cultura.

Il tema dei rapporti tra Chiesa e società civile ha acquistato rilievo crescente nell’attenzione pastorale degli

ultimi decenni in Italia. Molteplici ragioni sembrano suggerire questa evidenza: la vita pratica e la stessa

coscienza del cristiano è segnata dalla qualità complessiva della vita sociale oggi, assai più di quanto accadesse

ieri.

Il cristiano assiste, e partecipa, a un processo di cambiamento accelerato della società civile, della cultura, dei

costumi di vita, delle istituzioni sociali e dei partiti politici, che provocano disorientamento e confusione nel

comune sentire della gente. Anche per questa ragione appare più urgente il compito della Chiesa di occuparsi

assiduamente e laboriosamente del contesto civile, entro il quale essa vive ed opera.

Un compito che in particolare si pone oggi alla Chiesa è quello di accordare maggiore attenzione alla

questione ―cultura‖, e alle ragioni che sollecitano un’azione in proposito. Anzitutto, perché questo è esigito dalla

missione stessa della Chiesa di rendere testimonianza del Vangelo a ogni coscienza. Inoltre, e congiuntamente,

perché su questo fronte è configurabile un servizio immediato della Chiesa al bene della società civile.

Alludendo al compito missionario della parrocchia oggi, il Cardinale Presidente della CEI, Camillo Ruini,

diceva all’assemblea di Assisi (novembre 2003): “Una delle linee-guida è certamente quella di formare i

cristiani che frequentano le nostre comunità, e per primi gli stessi sacerdoti e seminaristi, ad una fede che sia

consapevolmente missionaria, nelle varie situazioni di vita e non soltanto nell’ambito parrocchiale ed

ecclesiale. Nelle attuali circostanze una tale fede non può sottrarsi al confronto con le persone e gli ambienti

che sono condizionati da una mentalità e cultura estranea o anche avversa al Vangelo, e a volte se ne fanno

sostenitori espliciti”.

Reggio Emilia è una città ricca, dove vige uno stile di vita tranquillo, rassicurante, consumistico, e dove la

mentalità dominante è un certo pragmatismo. Non mancano certo personalità spiccate nel mondo della cultura,

come pure fondazioni benemerite per la promozione dei giovani nello studio e nella professione. Reggio,

tuttavia, forse per la sua vicinanza-dipendenza da città di più antica tradizione culturale universitaria, non ha una

vita culturale proporzionata al suo peso economico, sociale e amministrativo, accontentandosi più di

―consumare‖ che non di ―produrre‖ cultura.

Produttiva in senso culturale, in una società frammentata e divisa come quella attuale, potrebbe diventare la

presenza dei cristiani con iniziative culturali, non separate però dalle comunità locali, nelle quali essi vivono.

Non mancano centri culturali, anche se pochi in verità, sparsi sul territorio diocesano. L’intento è quello di dare

loro maggiore visibilità, mettendoli in rete attorno a qualche progetto comune.

Ambiti da privilegiare, almeno inizialmente negli obiettivi e programmi dei centri, dovrebbero essere quelli

riguardanti:

* le tematiche in cui si giocano i valori fondamentali della convivenza, dal localismo al mondialismo,

comprese le problematiche della bioetica, quelle politico-economiche e quelle sollevate dai documenti sociali

della Chiesa;

* la promozione di una saggezza eticamente ricca presso gli uomini di cultura (intellettuali, insegnanti,

scrittori…) e, in particolare, presso le categorie professionali della città (avvocati, giornalisti, medici, operatori

sociali…), spesso guide e consiglieri di fatto della nostra gente nelle scelte quotidiane di vita;

* la cura dei beni culturali (basiliche, chiese, museo e biblioteche…) che in gran parte la Chiesa custodisce

come patrimonio di tutti, bene comune della città e del territorio, e valorizza come via di evangelizzazione

particolarmente apprezzata dai laici e dai lontani;

* tra gli ambiti da privilegiare si aggiunga quello della ricerca educativa e padagogica che, oltre a essere

un’urgenza sociale, è anche una tradizione della città e spesso oggi va insieme con una incipiente ricerca di

―benessere spirituale‖ non meglio identificato che, comunque, cerca un ―oltre‖ rispetto al benessere puramente

materiale.

Per dare maggiore efficacia a questo lavoro comune propongo la creazione di un “Osservatorio” che,

effettuando un costante lavoro di ricognizione sui fatti inerenti al sociale, al politico e in genere alla vita

della città, consenta di conoscere i comportamenti che mettono in gioco i nostri valori cristiani; di

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“autoconoscere” le nostre realtà che operano a livello fra Chiesa e società civile, suggerendo ai centri

culturali i temi più caldi.

CONCLUSIONE

32. Lascio la parola finale, ancora una volta, a S. Agostino, facendo riecheggiare, con qualche mio libero

adattamento, quanto egli disse nella sua maturità rivolgendosi in particolare ai giovani: ―Conosco i vostri

problemi, cari giovani! Sono invecchiato in queste battaglie, ho gli stessi avversari che avete voi, più deboli ora

che sono vecchio, e tuttavia non cessano di turbare la quiete della mia vecchiezza. Lo so, più violenta è la vostra

battaglia, ma che volete? Che non esistano cattive persuasioni del tipo: chi te lo fa fare di essere cristiano?

Continuate a combattere e sperate anche voi di arrivare alla mèta‖.

Faccio mio l’invito di S. Agostino ai giovani e a tutti coloro che li accompagnano nel cammino di fede a

incontrare il Signore della vita e a spendersi al suo servizio nella Chiesa e nel mondo: genitori, educatori,

comunità parrocchiali e altre realtà ecclesiali. Quello della trasmissione della fede alle nuove generazioni

sarebbe un compito grave ed esorbitante, se fatto carico a una sola persona, o tutt’al più a un gruppo ristretto di

collaboratori. Leggero invece e accettabile, con gioia, se accompagnato dalla partecipazione e corresponsabilità

di molti.

Affido perciò anche a voi il cammino della nostra Chiesa nei prossimi anni, con timore e tremore, ma

confidando nel “Dio di ogni grazia: egli stesso ci confermerà e ci renderà forti e saldi” (cf. 1 Pt 5,10). Forse, il

cammino che ci attende non sarà così breve nel tempo, come quando si scrive una lettera pastorale, ma chiederà

pazienza, costanza, chiarezza di obiettivi e insieme saggezza di metodo per fare i passi insieme. Come confidava

Paolo VI a un amico, all’indomani del Concilio: “Io sono forse un po’ lento, ma so quello che voglio”.

+ Adriano VESCOVO

28 agosto 2004,

nella festa di S. Agostino, cristiano e vescovo

LINEE OPERATIVE

per l’anno 2004-2005

Premessa

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33. Sul tema della lettera pastorale Cristiani non si nasce, ma si diventa non si parte da zero.

Sia il Consiglio presbiterale sia il Consiglio pastorale della Diocesi hanno già avviato un cammino,

raccogliendo riflessioni, interrogativi e qualche esperienza in proposito.

È noto che il tema ha trovato in questi anni attenta considerazione presso i Vescovi italiani con le due

assemblee su Iniziazione cristiana: nodi problematici e prospettive di orientamento (maggio 2003) e Il volto

missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (maggio 2004).

Il tema, tuttavia, considerato esplicitamente in questa lettera, chiederà tempo per una sua comunicazione e

traduzione nell’azione pastorale delle nostre comunità e realtà ecclesiali.

Anche per l’esperienza maturata in questi anni, ci sarà di bisogno di un biennio di approccio al tema nei suoi

aspetti, necessario sia per dare le motivazioni della rilevanza che il tema assume nella pastorale, sia per

intraprendere le opportune sperimentazioni in alcuni suoi aspetti innovativi.

La Lettera pastorale necessita perciò di almeno due anni di cammino. Ad essa si accompagnerà, a breve

distanza, uno Strumento di lavoro indirizzato ai Consigli e operatori pastorali, in cui raccogliere le esperienze

già in atto, le proposte maturate negli Uffici Pastorali, le modalità per avviare un discernimento più approfondito

su alcuni interrogativi aperti anche da questa Lettera.

Confidando in “Dio che suscita il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni‖ (Fil 2,13), mi preme già

sin d’ora indicare alcuni eventi come punti di riferimento per tutti: sacerdoti, diaconi, consacrati con incarichi

pastorali, laici, e anche associazioni, gruppi e movimenti presenti e operanti sul territorio della Diocesi.

La prima lettera di Pietro, una Parola da ascoltare

34. La scelta di essere comunità adulta di fede in ascolto della Parola è ormai diventato un punto di non

ritorno nel cammino di fede delle nostre comunità. Sono sempre più numerose le parrocchie che promuovono

incontri sulla Parola, come pure le diverse realtà ecclesiali: gruppi, associazioni e movimenti.

Continuando la tradizione di questi anni si propone come libro biblico di riferimento la Prima lettera di

Pietro. Si tratta di una lettera che l’Autore (Pietro o uno del suo ambiente) rivolge alle prime comunità cristiane,

per sostenerle e incoraggiarle nel periodo di prova e di difficoltà, mosse dai vari ambienti ostili del mondo

pagano in cui vivono la loro fede. Non a caso, alla base dell’esortazione apostolica c’è una omelia battesimale,

che ispira e sostiene nei cristiani le ―ragioni della speranza‖, declinate nei vari ambiti di vita: famiglia, affetti,

lavoro, cultura.

Le forme di una comunità in ascolto della Parola possono essere diverse. Una forma, che si è diffusa in questi

anni, è la catechesi svolta nei luoghi stessi del vissuto quotidiano, quali sono anzitutto le case. L’esperienza è

nota e ormai positivamente avviata anche in alcune parrocchie. A propiziarne una sua ripresa e un suo maggiore

incremento è soprattutto il suo carattere missionario, più facilmente accessibile anche alle famiglie lontane o in

difficoltà. Molto dipende dalla capacità di accoglienza della famiglia ospitante, oltre che dalla qualità umana e

testimoniale, non giudicante, degli animatori del gruppo di ascolto.

Quaresima 2005, un cammino da condividere

35. La Quaresima, sorta come tempo favorevole per il cammino verso la Pasqua del popolo cristiano, ha

come centro di gravitazione la Veglia Pasquale, cuore di tutto il Mistero cristiano che celebra la beata Passione,

Morte e Risurrezione gloriosa del Signore Gesù. A caratterizzare il cammino di preparazione quaresimale sono i

temi della conversione: penitenza, digiuno e preghiera. Sono i temi su cui l’intera comunità cristiana è chiamata

a coinvolgersi.

Sappiamo quanto anche le tradizioni più consolidate del passato come la Quaresima siano oggi messe in crisi

dai cambiamenti di costume e di mentalità. Simbolo eloquente di queste difficoltà è la tendenza alla

banalizzazione delle feste cristiane: il Natale del Signore Gesù con la festa del Babbo Natale; la

commemorazione dei santi e dei morti con Halloween; l’inizio della Quaresima all’ombra del Carnevale. Si

fanno le feste, ma senza sapere il perché.

Ebbene, al cuore della festa di Pasqua, nella Veglia Pasquale, la comunità cristiana rinnova le Promesse

battesimali: fa memoria del Battesimo e, al tempo stesso, accoglie ed accompagna coloro che con il Battesimo

vengono iniziati alla fede e alla vita cristiana. La Quaresima ritorna così ad essere il cammino congiunto

dell’intera comunità e dei suoi nuovi figli nel grembo della Chiesa madre.

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Penso che varrebbe la pena fare una proposta unitaria, semplice ma ―forte‖, per vivere insieme la Quaresima

del 2005 in vista della rinnovazione delle promesse battesimali nella Veglia Pasquale e nella domenica di

Pasqua, valorizzando, per tutti i praticanti, esperienze, riti e gesti di ordine ―catecumenale‖.

La proposta per la Quaresima 2005 prevede:

* il riferimento ai Vangeli domenicali, che non a caso nell’anno A riguardano altrettante figure di fede

battesimale: la Samaritana, il Cieco nato, la risurrezione di Lazzaro;

* a queste, ed altre figure bibliche, si possono ispirare le tradizionali Stazioni quaresimali, da

riproporre più decisamente in città, nei vicariati e zone pastorali dell’intera Diocesi;

* alle stesse figure sono già orientate le proposte tematiche e la valenza educativa dei tre “Incontri

diocesani” a cura della Pastorale giovanile;

* chiedo infine agli Uffici Pastorali catechistico, liturgico e della famiglia, coadiuvati dall’Istituto

Diocesano di Musica e Liturgia, di predisporre un sussidio per le celebrazioni domenicali con la

partecipazione, insieme alle famiglie, dei fanciulli, ragazzi, adolescenti che sono in cammino di iniziazione

cristiana, valorizzando elementi rituali dell’itinerario catecumenale, previsto nel caso di ragazzi non

ancora battezzati.

La domenica, un giorno da “custodire”

36. Dopo Pasqua, a maggio del 2005, avrà luogo a Bari il Congresso Eucaristico Nazionale sul tema “Senza

la domenica non possiamo vivere”. È questa la testimonianza che i primi cristiani hanno dato alla società pagana

del tempo, quando venivano arrestati dai soldati dell’imperatore romano. Il tema della domenica è di una

sorprendente attualità, non solo per la pastorale della comunità cristiana, ma anche per la cultura della festa e le

sue ricadute sulla vita di famiglia.

Il tema trova un’eco significativa nella Nota pastorale dei Vescovi italiani Il volto missionario delle

parrocchie in un mondo che cambia. Vi si afferma, subito dopo il tema della iniziazione cristiana, la necessità di

ripresentare la domenica in tutta la sua ricchezza di ―Giorno del Signore‖, ―Giorno della Chiesa‖, ma anche di

―Giorno dell’uomo‖ attorno ai due obiettivi:

* difendere anzitutto il significato religioso, ma insieme antropologico, culturale e sociale della domenica;

* promuovere la qualità delle celebrazioni eucaristiche domenicali e festive, in particolare per quanto riguarda:

l’omelia, la preghiera eucaristica, il canto e il silenzio, il numero, gli orari, la distribuzione sul territorio.

In parte il tema è già stato affrontato nel biennio dedicato alla Eucaristia con la Lettera pastorale del 2002

Cinque pani, due pesci e la folla e la Nota successiva del 2003 Andate e annunciate: è la missione. Il Congresso

eucaristico potrebbe essere l’occasione per fare una verifica del cammino fatto, sia sul piano pastorale che

culturale, e tenere così aperto il cammino della nostra Chiesa come ―comunità eucaristica‖.

Chiedo pertanto:

* agli Uffici pastorali catechistico e liturgico di predisporre un sussidio da offrire alle comunità

cristiane per una esperienza di “domenica a tempo pieno” da vivere in parrocchia nei suoi vari aspetti:

preparazione remota (sul tema del Congresso eucaristico) e vigiliare (sull’omelia della domenica),

celebrazione unitaria della Eucaristia, agape fraterna, incontri pomeridiani tra famiglie in clima di festa,

assemblea conclusiva;

* alle comunità parrocchiali di valorizzare con cura la tradizionale festa del Corpus Domini con la

processione: meglio se, come già positivamente esperimentata in città a Reggio, la sera di Giovedì 26

maggio, unendo le parrocchie vicine in zona o in vicariato;

* al Consiglio pastorale diocesano, con il supporto del Vicario per la cultura e dell’Ufficio di Pastorale

sociale, di promuovere luoghi e iniziative di confronto tra la cultura della festa cristiana e le attuali

dinamiche temporali della famiglia, del lavoro, del commercio... in città e sul territorio.

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Incontri di riflessione del clero

37. Le difficoltà circa l’ammissione ai sacramenti e la caduta di impegno dopo la Cresima sono un travaglio

comune. Portiamo da anni, dentro di noi, interrogativi e attese. Siamo al punto di dovere dare delle risposte

pensate, motivate e adeguatamente sperimentate, per intensificare l’opera di evangelizzazione verso il nostro

popolo. Una ―tre giorni‖ del clero, che si sta programmando verso l’inizio dell’anno 2005, potrà essere

l’occasione opportuna per affrontare alcuni nodi, quali: l’iniziazione cristiana nella storia: per metterci in ascolto

della tradizione; iniziazione cristiana e parrocchie: il loro volto missionario; iniziazione cristiana e famiglie: il

compito dei genitori; iniziazione cristiana e catechisti: verso nuove figure; iniziazione cristiana e ministero

pastorale: responsabilità del parroco.

Cristiani laici in un mondo che cambia: verso il Convegno di Verona

38. Nell’autunno del 2006 si terrà, a Verona, il Convegno Ecclesiale nazionale: un appuntamento che da

Roma (anni ’70) a Loreto (anni ’80) a Palermo (anni ’90), ha segnato in modo profondo la vita delle Chiese in

Italia. Per l’appuntamento di Verona, il tema indicato dai Vescovi è: Testimoni di libertà e di speranza. Cristiani

in un mondo che cambia. È importante che anche la nostra Chiesa vi si prepari per tempo. Una prima occasione

ci sarà offerta, tra pochi mesi, dalla ricorrenza del 50° di ordinazione presbiterale del Cardinale Camillo Ruini. Il

Cardinale ha accettato volentieri di celebrarlo in questa Chiesa, che per oltre trent’anni lo ha visto sacerdote e

poi Vescovo ausiliare; e ha molto gradito la proposta di fare dell’anniversario un’occasione di riflessione, di

studio, di sguardo sul cammino della Chiesa, incentrandolo sulla condizione della ―Chiesa in stato di missione‖,

e sulla vocazione e testimonianza che i laici sono chiamati a rendere in questo contesto.

Invito tutti, pertanto, la sera di martedì 23 novembre, vigilia di San Prospero, a un momento di

incontro e riflessione che, sotto il titolo Il Vangelo nella nostra storia, metterà a fuoco:

- il contesto ecclesiale, con l’intervento introduttivo dello stesso Cardinale Camillo Ruini sul tema

―Chiesa in stato di missione: verso un’immagine di Chiesa‖;

- la proposta di testimonianza cristiana soprattutto laicale, quale verrà suggerita dalla relazione su

―Professioni e spiritualità: luoghi della testimonianza cristiana‖, tenuta dal Prof. Lorenzo Ornaghi, Rettore

dell’Università Cattolica di Milano.

Il mattino seguente, il Cardinale presiederà, nella Basilica di San Prospero, la solenne

concelebrazione in onore del Santo Patrono, alle ore 11, con la partecipazione del clero reggiano-

guastallese, in particolare dei confratelli che festeggiano con lui il 50° di Ordinazione.

Confido che l’appuntamento, oltre a raccogliere una presenza numerosa e partecipe, aiuterà la nostra

Chiesa a rilanciare il suo impegno culturale, rinnovando tra l’altro la missione del Centro “Giovanni

XXIII”, di cui il Card. Ruini fu fondatore e animatore instancabile.

Il rinnovamento dell’Azione Cattolica

39. L’Azione Cattolica, quale esperienza associativa del ―diventare cristiani‖, offre la propria disponibilità

all’azione pastorale delle parrocchie e dei vicariati. Intende prepararsi a questo con due importanti appuntamenti:

* il primo, domenica 10 ottobre 2004, con la presentazione e l’approvazione dell’Atto Normativo che indica,

in conformità allo Statuto nazionale aggiornato e approvato dai Vescovi, le modalità con le quali l’Associazione

svolge il suo ruolo di servizio all’azione pastorale della Diocesi;

* il secondo, domenica 20 febbraio 2005, con l’elezione e il rinnovo dei responsabili del Consiglio diocesano,

i quali, dopo aver eletto il Consiglio di Presidenza e indicato al Vescovo la terna per la figura del Presidente,

avranno il compito di mettere in atto quegli itinerari formativi che il Progetto Perché sia formato Cristo in voi

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propone, e che i Vescovi, negli Orientamenti Pastorali per il primo decennio del 2000 chiedono all’Azione

Cattolica quale segno di “esemplarità formativa” così preziosa in passato e oggi così urgente per le nostre

comunità.

Ritorno in Terra Santa

40. Desidero che il pellegrinaggio in Terra Santa diventi un evento abituale nella nostra Diocesi e nelle nostre

parrocchie. Fin da adesso, annunzio che un pellegrinaggio diocesano verrà programmato entro l’estate del 2005.

Tornare a Gerusalemme è anzitutto una straordinaria occasione per rileggere il Vangelo. “Il Verbo si è fatto

carne” (Gv 1,14): e questa carne è anche un luogo, una cultura, una tradizione spirituale. Chi va in Terra Santa,

ha una percezione ancora più forte dell’amore con il quale Dio si lega all’uomo.

Ma il viaggio a Gerusalemme è anche l’incontro con una Chiesa, sorella e Madre: una tradizione ininterrotta

la lega alla Chiesa apostolica. Essa vive nella sua carne il conflitto che oppone due popoli, ma che sempre più

rischia di inquinare il rapporto fra le religioni che discendono da Abramo. La pace a Gerusalemme sarebbe

ragione di pace in tutto il mondo: la Chiesa di Terra Santa ha bisogno di essere sostenuta dal nostro affetto e dal

nostro aiuto, e la sua testimonianza ci soccorre nell’impegno di accoglienza e di pace che è richiesto anche a noi,

nella nostra terra.

Riscoperta della Cattedrale

41. Il recupero della Cattedrale nella sua bellezza estetica e nella sua funzionalità liturgica esige una ―riscoperta‖

e una ―riappropriazione‖ da parte dell’intera Comunità non solo religiosa.

Per questo, nella primavera e nell’autunno del 2005, si amplieranno le iniziative culturali finalizzate ad una

maggiore conoscenza tanto delle valenze teologiche ed ecclesiologiche dell’arciedificio, come di quei significati

culturali (artistici, storici, urbanistici, politici, sociali) che fanno il Duomo parte integrante della stessa essenza

della Città e del territorio.

Sono convinto che anche la Città può riscoprire un’anima, vivere esperienze di coralità, sentirsi un popolo

attorno alla propria Cattedrale.

Agenda pastorale

2004

Mercoledì 8 settembre: NATIVITÀ DELLA B. VERGINE MARIA

S. Messa presieduta dal Vescovo e avvio del nuovo anno pastorale (Basilica della Ghiara, ore 11)

Domenica 12 settembre: Consacrazione nell’Ordo Virginum diocesano (Basilica della Ghiara, ore 18)

Sabato 18 settembre

Assemblea pastorale diocesana e consegna della Lettera pastorale Cristiani non si nasce, ma si diventa (Oratorio

cittadino, ore 9 - 13)

Lunedì 27 settembre: Inizio Anno scolastico 2004/05 dell’Istituto di Scienze Religiose

Martedì 28 settembre: Inizio Anno scolastico 2004/05 dello Studio Teologico Interdiocesano

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Giovedì 30 settembre

1ª Assemblea diocesana del presbiterio. Comunicazione annuale del Consiglio Presbiterale e relazione del prof.

Don Luca Bressan su Iniziazione cristiana e parrocchia (Seminario, ore 9 – 12)

Venerdì 1° ottobre: Nella festa di Santa Teresa di Lisieux, solenne professione monastica presso le Carmelitane Scalze di

Sassuolo (Montegibbio, ore 19)

Sabato 2 ottobre: Convegno diocesano delle Caritas parrocchiali (ore 9-13)

Sabato 2 ottobre: Meeting missionario con tutti coloro che hanno partecipato ai vari campi missionari nell’estate 2004 (Reggio -

Sant’Agostino, pomeriggio)

Domenica 3 ottobre: Convegno diocesano della pastorale familiare (Oratorio cittadino, ore 10 -13)

Domenica 3 ottobre

Pellegrinaggio diocesano delle famiglie (Duomo - Basilica della Ghiara, ore 16)

Lunedì 4 ottobre: S. FRANCESCO D’ASSISI, patrono di Guastalla e della Diocesi

S. Messa presieduta dal Vescovo e commemorazione dei Vescovi guastallesi defunti (Concattedrale di Guastalla,

ore 21)

Lunedì 4 ottobre: Inizio Anno scolastico 2004/05 dell’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia

Giovedì 7 ottobre: 1ª Riunione del Consiglio Presbiterale Diocesano (Seminario, ore 9 – 12.30)

Sabato 9 ottobre

Giornata ecclesiale della montagna (Centro di spiritualità di Marola, ore 9-17)

Domenica 10 ottobre

Assemblea dell’Azione Cattolica per l’approvazione dell’Atto normativo diocesano (Seminario, ore 9 -17)

Venerdì 15 ottobre: Festa della Congregazione Mariana delle Case della Carità (Palasport di Reggio, ore 17)

Sabato 16 ottobre: Ordinazione diaconale di due giovani Frati minori (Correggio - Basilica di San Quirino, ore 18)

Domenica 17 ottobre

Mandato per l’annuncio a catechisti, educatori, animatori biblici e di centri d’ascolto con la presentazione della

Prima lettera di Pietro (Reggio, ore 15-18)

Sabato 23 ottobre

Veglia missionaria diocesana

Domenica 24 ottobre: GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE

* Si celebra nelle parrocchie la 78ª Giornata missionaria mondiale: Eucarestia e missione

- S. Messa presieduta dal Vescovo nella solennità (anticipata) dei SS. Crisanto e Daria martiri, patroni della

città di Reggio e compatroni della Diocesi (Cattedrale, ore 10.30).

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Domenica 24 ottobre: Raduno diocesano Scout in città per l’80° dello scoutismo a Reggio e del 30° dell’AGESCI reggiana

27–31 ottobre: Pellegrinaggio diocesano promosso dall’UNITALSI a Fatima e a Santiago de Compostella

Giovedì 4 novembre

2ª Assemblea diocesana del presbiterio. Relazione di Mons. Giuseppe Busani sul nuovo Rito del Matrimonio

(Seminario, ore 9 – 12)

Domenica 14 novembre: GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO

* Nelle parrocchie si celebra la Giornata del ringraziamento per i frutti della terra

- S. Messa presieduta dal Vescovo nella solennità della Dedicazione Cattedrale (anticipata), con l’istituzione di

accoliti tra i candidati al diaconato permanente (Cattedrale, ore 18)

14-19 novembre: Esercizi spirituali per preti e diaconi sulla figura del ministero pastorale nella Seconda lettera ai Corinti, guidati

dal Vescovo di Piacenza – Bobbio, S. E. Mons. Luciano Monari (Centro di spiritualità di Marola)

Domenica 21 novembre: Celebrazione diocesana del ringraziamento con i lavoratori rurali (Basilica della Ghiara, ore 11)

Martedì 23 novembre: VIGILIA DI S. PROSPERO

Convegno diocesano Il Vangelo nella nostra storia. Missione e formazione del laicato. Prolusione di S. Em. il

Card. Camillo Ruini, vicario del Papa per la Diocesi di Roma; relazione del prof. Lorenzo Ornaghi, Rettore della

Università Cattolica (ore 20.30 - 23).

Mercoledì 24 novembre: S. PROSPERO, Patrono della Città e della Diocesi

- Solenne pontificale presieduto da S. Em. il Card. Camillo Ruini, nel 50° della Sua Ordinazione presbiterale

(Basilica di S. Prospero, ore 11)

- Inaugurazione del Museo diocesano di arte cristiana (Curia vescovile)

Venerdì 26 novembre

Primo incontro diocesano dei giovani (ore 20.30)

Martedì 30 novembre

Incontro di spiritualità per gli insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori (ore 15.30)

Giovedì 2 dicembre: 2ª Riunione del Consiglio Presbiterale Diocesano (Seminario, ore 9 – 12.30)

Giovedì 16 dicembre

Incontro di spiritualità del presbiterio a 50 anni dalla inaugurazione del Seminario urbano: Il Seminario nuovo

tra sogni e speranze (Seminario, ore 9-12.30)

Domenica 19 dicembre, IV domenica di Avvento: Celebrazione eucaristica con l’istituzione di accoliti e lettori tra i seminaristi

(Basilica della Ghiara, ore 18.30)

Sabato 25 dicembre: NATALE DEL SIGNORE

- Messa della Notte presieduta dal Vescovo (Cattedrale, ore 24)

- Messa del Giorno presieduta dal Vescovo (Concattedrale di Guastalla, ore 10)

Venerdì 31 dicembre: Celebrazione di ringraziamento per l’anno 2004 con il canto del Te Deum (Basilica della Ghiara, ore

18.30)

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Venerdì 31 dicembre

Camminata di preghiera per la pace (Reggio città, ore 21)

2005

Sabato 1° gennaio: SOLENNITÀ DELLA SANTA MADRE DI DIO E 38ª GIORNATA MONDIALE PER LA PACE

- Celebrazione eucaristica all’inizio del nuovo anno e preghiera per la pace (B. Vergine della Porta, ore 18)

Giovedì 6 gennaio: EPIFANIA DEL SIGNORE

* In tutte le parrocchie si celebra la Giornata dell’Infanzia missionaria

Domenica 9 gennaio: BATTESIMO DEL SIGNORE

* Si consigliano in questa domenica celebrazioni di Battesimi nell’Eucaristia parrocchiale o feste degli anniversari di Battesimo…; in

celebrazioni apposite: riti di ammissione al catecumenato per giovani e adulti oppure per fanciulli e ragazzi dai 7 ai 14 anni

* METÀ GENNAIO: Consegna lettere di mandato “Un anno dopo” alle comunità del Vicariato 3 di Correggio, incontrate

nella Visita pastorale dell’ottobre 2003 – gennaio 2004

Domenica 16 gennaio

* Tutte le comunità ricordano nella preghiera il Vescovo BENIAMINO SOCCHE, a 40 anni dalla morte

Lunedì 17 gennaio: GIORNATA PER IL DIALOGO EBRAICO-CRISTIANO

18 - 25 gennaio: SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

* Veglie di preghiera per l’unità dei cristiani (sabato 22 gennaio, a Reggio, Guastalla, Castelnovo Monti,

Montecchio, Sassuolo)

* Incontro sull’ecumenismo (Reggio, martedì 25 gennaio)

Lunedì 31 gennaio: S. GIOVANNI BOSCO, PADRE E MAESTRO DEI GIOVANI

Secondo incontro diocesano dei giovani (ore 20.30)

Martedì 1 febbraio: BEATO CARD. ANDREA CARLO FERRARI

S. Messa nella Concattedrale di Guastalla, ore 18.30

Mercoledì 2 febbraio: FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

Celebrazione diocesana dei religiosi, religiose, consacrati (Basilica della Ghiara, ore 18.30)

Sabato 5 febbraio: Incontro con i giornalisti e gli operatori della comunicazione

(ore 16)

Domenica 6 febbraio

Convegno missionario diocesano

Lunedì 7 febbraio: SOLENNITÀ DELLA B. VERGINE DELLA PORTA, patrona di Guastalla e della Diocesi

S. Messa nel Santuario della Porta, ore 18.30

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Mercoledì 9 febbraio: MERCOLEDÌ DELLE CENERI - INIZIO DELLA QUARESIMA

Celebrazione cittadina presieduta dal Vescovo (Cattedrale, ore 18.30)

Venerdì 11 febbraio: 13ª GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

Celebrazione diocesana con le associazioni dei volontari e gli operatori sanitari (Reggio - Sant’Agostino, ore

18.30)

Nel tempo di Quaresima: ritiri quaresimali a Marola con il Vescovo, i preti e i diaconi

Venerdì 18 febbraio: Prima stazione quaresimale cittadina (a conclusione delle Quarantore) e Rito di Elezione dei catecumeni

(Basilica della Ghiara, ore 21)

* Nelle comunità dove ci sono i catecumeni che riceveranno il Battesimo a Pasqua, nella III, IV e V domenica di Quaresima si

celebrano gli scrutini battesimali

Sabato 19 febbraio

Incontro di spiritualità per i cattolici impegnati in politica (ore 17-20)

Domenica 20 febbraio

Assemblea elettiva dell’Azione Cattolica (Seminario, ore 9 -17)

Domenica 27 febbraio: III DOMENICA DI QUARESIMA

* In tutte le parrocchie si celebra la Giornata delle missioni diocesane

Domenica 6 marzo: Ritiro spirituale per i catecumeni adulti e i loro padrini

Lunedì 14 marzo

Messa nel 6° anniversario della morte di Mons. Gilberto Baroni e preghiera per tutti i Vescovi defunti

(Cattedrale, ore 21)

Domenica 20 marzo: DOMENICA DELLE PALME

Celebrazione diocesana della 20ª Giornata mondiale della Gioventù

Giovedì 24 marzo: GIOVEDÌ SANTO

Messa crismale con il rinnovo delle promesse diaconali e sacerdotali, la benedizione degli olii; festa degli

anniversari di Ordinazione e ricordo dei sacerdoti e diaconi defunti (Basilica della Ghiara, ore 9.30)

- Cena del Signore: celebrazione presieduta dal Vescovo in città (Cattedrale, ore 18.30)

Venerdì 25 marzo: VENERDÌ SANTO

Giorno della Colletta ―pro Chiese di Terra Santa‖

- Passione del Signore: celebrazione presieduta dal Vescovo in città (San Prospero, 18.30)

- Solenne Via Crucis a Reggio (ore 21)

Sabato 26 marzo: SABATO SANTO

Giorno di silenzio e meditazione

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- Confessioni in Cattedrale (ore 15-19)

Domenica 27 marzo: PASQUA DI RISURREZIONE

- Veglia pasquale con la celebrazione dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana per i giovani e gli adulti (Basilica di San

Prospero, ore 21 del sabato)

- S. Messa presieduta dal Vescovo (Concattedrale di Guastalla, ore 10)

* DOPO PASQUA: Consegna lettere di mandato “Un anno dopo” alle comunità del Vicariato 10 di Cervarezza incontrate

nella Visita pastorale del febbraio – aprile 2004

Domenica 17 aprile: 42ª GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

* In tutte le comunità si prega per il dono delle vocazioni sacerdotali, diaconali, religiose e missionarie

- S. Messa presieduta dal Vescovo e Ordinazioni diaconali (ore 18)

Venerdì 29 aprile: SOLENNITÀ B. VERGINE DELLA GHIARA, patrona di Reggio e della Diocesi

S. Messa presieduta dal Vescovo (Basilica della Ghiara, ore 18.30)

Domenica 7 maggio: SOLENNITÀ DELL’ASCENSIONE

* In tutte le comunità si celebra con iniziative di sensibilizzazione la 39ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Sabato 14 maggio: VIGILIA DI PENTECOSTE

S. Messa presieduta dal Vescovo e Ordinazioni presbiterali (Reggio - Palasport, ore 20.30)

Sabato 21 maggio

Raduno diocesano dei gruppi Cresima (Oratorio cittadino, ore 15 - 17)

Domenica 22 maggio: SANTISSSIMA TRINITÀ

Celebrazione diocesana con gli ammalati (ore 16)

Giovedì 26 maggio: Celebrazione della Solennità del Corpo e Sangue del Signore, con processione cittadina (Basilica della

Ghiara- Piazza Duomo), ore 21

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In cammino con la Chiesa italiana

* Loreto, 1-5 settembre 2004

Festa - pellegrinaggio nazionale dell’Azione Cattolica

Tema: Sei tu la dimora di Dio.

* Bologna, 7-10 ottobre 2004

44ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

Tema: Democrazia: nuovi scenari e nuovi poteri.

* Bari, 21-29 maggio 2005

24º Congresso Eucaristico Nazionale

Tema: Senza la domenica non possiamo vivere.

* Colonia (Germania), 16-21 agosto 2005

20ª Giornata Mondiale della Gioventù

Tema: Siamo venuti ad adorarlo.

* Verona, 16-20 ottobre 2006

4º Convegno Ecclesiale Nazionale

Tema: Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo.

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Invito alla memoria

Anniversari di eventi diocesani

4 ott. 2004 80º del Cenacolo Francescano ―Comunità di accoglienza‖

14 nov. 2004 50º dell’elevazione al titolo di ―Basilica minore‖ del Santuario della B.V. della Ghiara

24 nov. 2004 50º di Inaugurazione del Seminario urbano

6 giu. 2005 40º dell’inizio dell’episcopato a Reggio di Mons. Gilberto Baroni, che ha segnato l’avvio in

Diocesi del rinnovamento alla luce del Concilio Vaticano II

7 sett. 2005 Centenario della nascita di don Dino Torreggiani, fondatore dell’Istituto dei Servi della

Chiesa

4-5 ott. 2005 25º del pellegrinaggio sinodale a Roma (12mila pellegrini dalle due Diocesi nell’incontro con

Giovanni Paolo II)

10 dic. 2005 75º della famiglia religiosa Missionarie Francescane del Verbo Incarnato

Anniversari di Ordinazione

8 dic. 2004 50º di Ordinazione presbiterale di S. Em. il Card. Camillo Ruini, vicario del Papa per la

Diocesi di Roma e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

16 dic. 2004 20º di Ordinazione episcopale di S. E. Mons. Romeo Panciroli, Arcivescovo – Nunzio

apostolico

24 giu. 2005 10º di Ordinazione episcopale di S. E. Mons. Paolo Rabitti, Vescovo di San Marino -

Montefeltro

12 ago. 2005 60º di Ordinazione presbiterale di S. E. Mons. Paolo Gibertini, Vescovo emerito di Reggio

Emilia - Guastalla

2 sett. 2005 10º di Ordinazione episcopale di S. E. Mons. Luciano Monari, Vescovo di Piacenza - Bobbio

Anniversari di Vescovi, Presbiteri e Consacrati defunti

29 ott. 2004 50º della morte del venerabile P. Pietro Uccelli, prete diocesano, poi missionario saveriano in

Cina

21 dic. 2004 20º della morte di Madre Giovanna Ferrari, fondatrice della famiglia religiosa Missionarie

Francescane del Verbo Incarnato

16 gen. 2005 40º della morte di S. E. Mons. Beniamino Socche, Vescovo di Reggio e Principe (1945-1965)

15 giu. 2005 25º della morte del Card. Sergio Pignedoli, presidente del Segretariato per i non-cristiani

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25 ago. 2005 60º della morte di S. E. Mons. Pietro Tesauri, già prevosto di Correggio, Vescovo di Isernia e

Venafro (1933-1939), poi Arcivescovo di Lanciano e Ortona (1939-1945)

3 ott. 2005 50º della morte del Mons. Dott. Angelo Mercati, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano

13 nov. 2005 60º della morte di S. E. Mons. Eduardo Brettoni, Vescovo di Reggio e Principe (1910-1945)

10 dic. 2005 60º della morte del venerabile P. Daniele da Torricella, sepolto nella chiesa dei Cappuccini a

Reggio

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INDICE

Presentazione pag. 3

Introduzione: A chi è rivolta questa lettera ‖ 5

CAPITOLO I

Identità del cristiano ‖ 8

CAPITOLO II

Dove si diventa cristiani ‖ 16

CAPITOLO III

Come si diventa cristiani ‖ 29

CAPITOLO IV

Il cristiano nella comunità e nel mondo ‖ 42

Conclusione ‖ 59

Linee operative per l’anno 2004-2005 ‖ 61

Agenda pastorale ‖ 69

In cammino con la Chiesa italiana ‖ 77

Invito alla memoria ‖ 78