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Il Theravada – che grosso modo si pronun-cia terra-VAH-dah – o “Dottrina degli an-ziani”, è la scuola buddhista che si ispira allescritture del Tipitaka, o Canone Pali, ritenutogeneralmente dagli studiosi l’insegnamentopiù antico del Buddha giunto fino a noi informa scritta 1. Per molti secoli il Theravada èstata la religione più diffusa del sud-est asia-tico continentale (Thailandia, Myanmar/Bir-mania, Cambogia e Laos) e dello Sri Lanka.Oggi i buddhisti del Theravada sono più di100 milioni nel mondo 2. Negli ultimi decenniil Theravada ha cominciato a mettere radici inOccidente.

MOLTe fOrMe DI BuDDhISMO, uN SOLO

DhAMMA-VINAyA

Il Buddha – il “risvegliato” – chiamò la re-ligione da lui fondata Dhamma-Vinaya, “ladottrina e la disciplina”. Per creare una strut-tura sociale capace di sostenere la pratica delDhamma-Vinaya (detto brevemente Dhamma[Dharma in sanscrito]), e preservare questiinsegnamenti per i posteri, il Buddha fondòl’ordine dei bhikkhu (i monaci) e delle bhik-khuni (le monache), ossia il Sangha, che con-tinua ancora oggi a trasmettere i suoiinsegnamenti alle nuove generazioni sia dilaici che di monaci.

Il Dhamma, continuando a diffondersi intutta l’India dopo la morte del Buddha, andò

incontro a interpretazioni divergenti degli in-segnamenti originali, un fatto che portò a sci-smi all’interno del Sangha e alla nascita di bendiciotto scuole diverse di buddhismo 3. Da unadi queste scuole nacque infine un movimentodi riforma che si autodenominò Mahayana(Grande Veicolo) 4 e definì in modo denigra-torio Hinayana (Piccolo Veicolo) le altrescuole. Ciò che noi oggi chiamiamo Theravadaè l’unica di quelle antiche scuole non-Maha-yana sopravvissuta 5. Al fine di evitare la con-notazione dispregiativa implicita nei terminihinayana e Mahayana, oggi si usa di solito unlinguaggio più neutrale per distinguere i dueprincipali rami del buddhismo. Poiché il The-ravada fu storicamente predominante in Asiameridionale, a volte viene chiamato “buddhi-smo del sud”, mentre il Mahayana, diffusosiverso nord, dall’India alla Cina, al Tibet, alGiappone e alla Corea, è appunto conosciutocome buddhismo del nord 6.

LA LINGuA PALI e IL BuDDhISMO TherAVADA

La lingua dei testi canonici del Theravada èla lingua pali (letteralmente: “testo”), basatasu un dialetto indo-ariano che si parlava pro-babilmente nell’India centrale all’epoca delBuddha 7. Il venerabile Ananda, cugino delBuddha e suo assistente personale a lui moltovicino, imparò a memoria i sermoni del Bud-dha (sutta), divenendo perciò un archivio vi-

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Cos’è il buddhismo theravadaJohn T. Bullit

versione originale in accesstoinsight.org

© 2005-2013

Ndr: John Bullitt (1956- ) è un buddhista americano laico, da molti anni studioso delDhamma. Ha ottenuto un dottorato in Fisica al Grinnell College e un master in Geofisicaall’Università di Berkeley della California. Nei primi anni ’90 ha collaborato con AjahnSuwat nella fondazione del Monastero Metta Forest in California e ha curato i manoscrittidi Bhikkhu Bodhi sui Discorsi di media lunghezza (Boston: Wisdom Publications, 1995). Nel1993 ha fondato Access to Insight, un sito da cui è possibile ottenere gratuitamente testi diDhamma, per il quale continua a operare come redattore.

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vente di questi insegnamenti 8. Poco dopo lamorte del Buddha (circa 480 a.C.), 500 mo-naci anziani — tra cui Ananda — si riunironoper recitare e verificare tutti i sermoni cheavevano udito nel corso dei 45 anni di inse-gnamento del Buddha 9. La maggior parte diquesti sermoni comincia perciò con l’afferma-zione Evam me sutam: “Così ho udito”.

Dopo la morte del Buddha gli insegnamenticontinuarono a essere tramandati oralmenteall’interno della comunità monastica, in lineacon una tradizione indiana orale esistente damolto prima del Buddha 10. Dal 250 a.C. ilSangha aveva organizzato e suddiviso siste-maticamente gli insegnamenti in tre gruppi:il Vinaya Pitaka (il “canestro della disci-plina”, ossia i testi riguardanti le norme e leconsuetudini del Sangha), il Sutta Pitaka (il“canestro dei discorsi”, cioè i sermoni e le af-fermazioni del Buddha e dei suoi discepoli piùvicini), e l’Abhidhamma Pitaka (il “canestrodella dottrina speciale/superiore”, una detta-gliata analisi psico-filosofica del Dhamma).L’insieme dei tre è conosciuto come Tipitaka,i “tre canestri”. Nel III secolo a.C. i monacidello Sri Lanka iniziarono la compilazione diuna serie di commenti approfonditi del Tipi-taka, successivamente raccolti e tradotti inpali a cominciare dal V secolo d.C. Il Tipitakapiù i testi post-canonici (commentari, crona-che, ecc.) costituiscono il corpo completo dellaclassica letteratura del Theravada.

La lingua pali in origine era solamente par-lata, senza un proprio alfabeto. Solo intornoal 100 a.C. il Tipitaka fu fissato per iscrittograzie a monaci scrivani dello Sri Lanka 11 chetrascrissero foneticamente il pali utilizzandola scrittura Brahmi antica 12. Da allora il Tipi-taka è stato traslitterato in molti alfabeti di-versi (devanagari, thailandese, birmano,romano, cirillico, per citarne alcuni). Anche seabbondano le traduzioni in inglese dei testipiù famosi del Tipitaka, molti studenti delTheravada trovano che imparare la lingua pali– anche solo in piccola parte – permette lorodi approfondire la comprensione degli inse-gnamenti del Buddha e di apprezzarli mag-giormente.

Nessuno può dimostrare che il Tipitakacontenga una qualsiasi delle parole effettiva-

mente pronunciate dal Buddha storico. I pra-ticanti buddhisti non hanno mai ritenuto checiò rappresenti un problema. A differenzadelle scritture di molte grandi religioni delmondo, il Tipitaka non è considerato “van-gelo”, una dichiarazione inconfutabile dellaverità divina rivelata da un profeta e da accet-tare per fede. Al contrario i suoi insegnamentisono da valutare in prima persona, da metterein pratica nella propria vita così da scoprireda se stessi se realmente permettono di con-seguire i risultati promessi. Quel che real-mente conta, in ultima analisi, è la veritàverso la quale le parole del Tipitaka indiriz-zano, e non le parole stesse. Anche se gli stu-diosi continueranno negli anni futuri adiscutere la paternità dei brani del Tipitaka (equindi a perdere del tutto il significato degliinsegnamenti), il Tipitaka continuerà tran-quillamente a svolgere – come ha fatto per se-coli – il ruolo di indispensabile guida permilioni di seguaci alla ricerca del risveglio.

BreVe SOMMArIO DeGLI INSeGNAMeNTI DeL BuD-DhA

Le Quattro Nobili Verità

Poco dopo il risveglio il Buddha tenne ilsuo primo discorso, nel quale espose la strut-tura essenziale su cui si sarebbe poi basatotutto il successivo insegnamento. Questastruttura consiste nelle Quattro Nobili Verità,i quattro principi fondamentali della natura(Dhamma) che emersero dalla valutazione ra-dicalmente onesta e penetrante del Buddha ariguardo della condizione umana. Insegnòqueste verità non come teorie metafisiche oarticoli di fede, ma come categorie entro lequali inquadrare la nostra diretta esperienzaall’interno di un percorso che conduce al ri-sveglio:

1. Dukkha: sofferenza, insoddisfazione,malcontento, tensione.

2. La causa di dukkha: la causa di questa in-soddisfazione è la brama (tanha) dei sensi,per gli stati dell’essere e per gli stati del non-essere.

3. La cessazione di dukkha: l’abbandono diquesta brama.

4. Il sentiero che conduce alla cessazione di 2

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dukkha: il Nobile Ottuplice Sentiero dellaretta Comprensione, della retta Aspirazione,della retta Parola, della retta Azione, deiretti Mezzi di Sostentamento, del rettoSforzo, della retta Consapevolezza e dellaretta Concentrazione.

A causa della nostra ignoranza (avijja) diqueste Nobili Verità e della nostra inespe-rienza nell’inquadrare il mondo in questi ter-mini, rimaniamo legati al samsara, il faticosociclo di nascita, invecchiamento, malattia,morte e rinascita. La brama manda avantiquesto processo, momento per momento e nelcorso di innumerevoli vite, in accordo con ilkamma (sanscrito: karma), la legge univer-sale di causa ed effetto. Sulla base di questalegge immutabile, ogni azione che si compienel momento presente con il corpo, la parolao la mente stessa giunge infine a maturazione:se si agisce in modo non abile, nocivo, ne con-segue necessariamente infelicità, se si agiscein modo abile necessariamente ne conseguefelicità 13. finché si è ignoranti a riguardo diquesto principio si è destinati a una vita senzascopo: felici un momento, disperati il mo-mento successivo; una vita in paradiso e lasuccessiva all’inferno. Il Buddha scoprì cheper ottenere la Liberazione dal samsara è ne-cessario assegnare ad ognuna delle QuattroNobili Verità un compito specifico; la primanobile verità deve essere compresa; la se-conda abbandonata; la terza realizzata; laquarta sviluppata. La piena realizzazione dellaterza nobile verità apre la strada al risveglio:la fine dell’ignoranza, della bramosia, dellasofferenza e del kamma stesso; la percezionediretta della libertà trascendente e della feli-cità suprema, che si pone come obiettivo fi-nale di tutti gli insegnamenti del Buddha;l’Incondizionato, Ciò che non muore, la Libe-razione: il nibbana (nirvana in sanscrito).

L’Ottuplice Sentiero e la pratica del Dhamma

Poiché le radici dell’ignoranza sono intrec-ciate intimamente con la struttura della psi-che, la mente non risvegliata è in grado diingannare se stessa con un’abilità straordina-ria. La soluzione richiede perciò più che es-sere semplicemente gentili, amorevoli econsapevoli nel momento presente. Il/la pra-

ticante deve armarsi della capacità di utiliz-zare una serie di strumenti per superare letendenze negative della mente in astuzia e indurata, e infine sradicarle. Ad esempio la pra-tica della generosità (dana) erode le tendenzeabituali del cuore verso la brama e offre le-zioni importanti sulle motivazioni di base esui risultati delle azioni positive. La praticadella virtù (sila) protegge dal frenetico giro-vagare fuori strada e su percorsi pericolosi. Lacoltivazione della gentilezza (metta) contri-buisce a minare la seduttiva presa della rab-bia. Le dieci rammemorazioni aiutano adalleviare il dubbio, a sopportare il dolore fisicocon compostezza, a mantenere un sano ri-spetto di sé, a superare la pigrizia e la compia-cenza, ed a controllarsi nei confronti di unalussuria sfrenata. Molte altre sono le abilità daimparare.

Le buone qualità che emergono e maturanoda queste pratiche non solo spianano la stradaverso il nibbana; nel tempo hanno l’effetto ditrasformare il praticante in un membro dellasocietà più generoso, amorevole, compassio-nevole, pacifico e lucido. La ricerca sincera delrisveglio è dunque un dono inestimabile etempestivo nei confronti di un mondo che hadisperato bisogno di aiuto.

La saggezza (pañña)

L’Ottuplice Sentiero si comprende megliose viene inteso come un insieme di qualitàpersonali da sviluppare, piuttosto che comeuna sequenza di passi lungo un percorso li-neare. Lo sviluppo della retta Comprensionee della retta Aspirazione (i fattori classica-mente identificati come saggezza e discerni-mento) facilita lo sviluppo della retta Parola,della retta Azione, e dei retti Mezzi di Sussi-stenza (i fattori identificati come virtù). Conlo svilupparsi della virtù, altrettanto si verificaper i fattori indicati come concentrazione(retto Sforzo, retta Consapevolezza e rettaConcentrazione). Allo stesso modo, mentre laconcentrazione matura, il discernimento di-venta più profondo. e così il processo si di-spiega: lo sviluppo di un fattore favoriscequello del successivo, elevando il praticante inuna spirale crescente di maturità spiritualeche alla fine culmina nel risveglio. 3

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Il lungo e serio viaggio per il risveglio iniziaseriamente con i primi timidi inizi di retta Vi-sione, il discernimento con cui si riconosce lavalidità delle quattro Nobili Verità e il princi-pio del kamma. Si comincia a vedere che ilproprio benessere futuro non è né predesti-nato dal fato, né dovuto ai capricci di un es-sere divino o al caso. La responsabilità dellafelicità poggia interamente sulle nostre spalle.Vedendo questo, gli obiettivi spirituali diven-tano improvvisamente chiari: abbandonare letendenze abituali negative della mente a fa-vore di quelle positive. Mentre questa rettadeterminazione si rafforza, lo stesso avvieneper un sincero desiderio di vivere una vitamoralmente retta, di scegliere le proprieazioni con cura.

A questo punto molti seguaci si impegnanointeriormente a prendere a cuore gli insegna-menti del Buddha, a diventare “buddhisti” at-traverso l’atto della presa dei rifugi nellaTriplice Gemma: il Buddha (sia il Buddha sto-rico sia il proprio potenziale innato per il ri-sveglio), il Dhamma (sia gli insegnamenti delBuddha che la verità ultima che essi indi-cano), e il Sangha (sia il lignaggio monasticoininterrotto che ha conservato gli insegna-menti dai tempi del Buddha sia tutti coloroche hanno raggiunto almeno un certo gradodi risveglio). Quindi su questa base solida, econ l’aiuto di un buon amico o insegnante(kalyanamitta) che guidi il percorso, si èormai ben equipaggiati a procedere lungo ilSentiero, seguendo le tracce lasciate dal Bud-dha stesso.

La virtù (sila)

La retta Comprensione e la retta Aspira-zione continuano a maturare attraverso lo svi-luppo dei fattori del sentiero associati a sila,o virtù, vale a dire retta Parola, retta Azionee retto Sostentamento. Questi sono riassuntimolto praticamente nei Cinque Precetti, il co-dice di comportamento etico di base cui ognipraticante buddhista aderisce: astenersi dal-l’uccidere, dal rubare, da una condotta ses-suale scorretta, dal mentire e dall’utilizzo disostanze intossicanti. Anche il complesso co-dice di 227 regole dei monaci e di 311 dellemonache in ultima analisi ha questi cinque

precetti fondamentali come base.

Concentrazione (samadhi)

raggiunto un solido fondamento attraversola purificazione del proprio comportamentoesteriore con la pratica di sila, risultano postele basi essenziali per approfondire l’aspettopiù sottile e trasformativo del percorso: la me-ditazione e lo sviluppo del samadhi, o concen-trazione. Questo è espresso chiaramente indettaglio negli ultimi tre fattori del percorso:retto Sforzo, con il quale si impara a favorirele qualità positive della mente rispetto aquelle negative, retta Consapevolezza, con laquale si impara a mantenere l’attenzione co-stante sul momento presente dell’esperienza,e retta Concentrazione, con la quale si imparaa immergere la mente totalmente e ferma-mente nel suo oggetto di meditazione così daentrare nei jhana, una serie di stati progres-sivamente più profondi di tranquillità men-tale e fisica.

Consapevolezza e retta Concentrazionevengono sviluppati in tandem attraverso il sa-tipatthana (“quadri di riferimento” o “fonda-menti della presenza mentale”), un approcciosistematico alla pratica della meditazione cheabbraccia una vasta gamma di abilità e tecni-che. Di queste pratiche, la consapevolezza delcorpo (in particolare la consapevolezza del re-spiro) è particolarmente efficace per equili-brare le qualità gemelle di tranquillità(samatha) e intuizione o visione profonda (vi-passana). Attraverso la pratica continua, ilmeditante diventa più abile a utilizzare i po-teri combinati di samatha-vipassana nel-l’esplorazione della natura fondamentale dellamente e del corpo 14. Quando il meditante im-para a inquadrare la sua esperienza imme-diata in termini di anicca (impermanenza),dukkha, e anatta (non-sé), anche le più sottilimanifestazioni di queste tre caratteristichedell’esperienza vengono messe a fuoco moltonitidamente. Allo stesso tempo, la causa ra-dice di dukkha – la brama – viene costante-mente posta sotto la luce dellaconsapevolezza. Alla fine alla brama non restaalcun luogo in cui nascondersi, l’intero pro-cesso karmico che produce dukkha si dipana,l’Ottuplice Sentiero raggiunge il suo nobile 4

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apice, e il meditante ottiene, finalmente, il suoprimo inconfondibile barlume dell’Incondi-zionato, il nibbana.

Il Risveglio

La prima esperienza di Illuminazione, notacome l’Entrata nella Corrente (sotapatti), è ilprimo dei quattro stadi del risveglio, ciascunodei quali comporta la caduta irreversibile ol’indebolimento di diverse catene (samyo-jana), ossia le manifestazioni dell’ignoranzache legano una persona al ciclo di nascita emorte. L’entrata nella Corrente segna unasvolta radicale e senza precedenti sia nella vitaattuale del praticante che nel suo intero lungoviaggio nel samsara. Perché è a questo puntoche ogni dubbio circa la verità degli insegna-menti del Buddha scompare, ed è a questopunto che ogni credenza nell’efficacia purifi-catrice di riti e rituali svanisce; ed è a questopunto che la nozione lungamente accarezzatadi un io personale duraturo viene meno. PerColui che entra nella corrente si dice che vi siala certezza di non dover rinascere più di settevolte (tutte rinascite favorevoli) prima di riu-scire a raggiungere il pieno risveglio.

Ma il pieno risveglio è ancora molto lon-tano. Mentre il praticante si impegna con di-ligenza rinnovata, lui o lei passa attraversodue ancor più significativi punti di riferi-mento: Colui che ritorna una Volta Sola (sa-kadagati), accompagnato da unindebolimento dei vincoli del desiderio sen-suale e dell’ostilità, e Colui che Non ritorna(agati), in cui queste due catene sono comple-tamente sradicate. La fase finale del risveglio– arahatta – si verifica quando anche i livellipiù raffinati e sottili di brama e orgoglio sonoirrevocabilmente estinti. A questo punto ilpraticante – ora un arahant, o “Meritevole” –arriva al punto finale dell’insegnamento delBuddha. essendo l’ignoranza, la sofferenza, latensione e la rinascita giunti tutti al termine,l’arahant finalmente può pronunciare il gridodi vittoria proclamata per primo dal Buddhaal suo risveglio:

La nascita è finita, la vita santa compiuta, il com-pito svolto! Non c’è altro da fare in questo questomondo. (MN 36)

L’arahant vive il resto della sua vita go-

dendo interiormente della beatitudine delnibbana, al sicuro finalmente dalla possibilitàdi rinascite future. Quando la scia di eoni delkamma passato dell’arahant volge alla fine,l’arahant muore e lui o lei entra nel parinib-bana, liberazione totale. Anche se le parolenon riescono in alcun modo a descrivere que-sto evento straordinario, il Buddha l’ha para-gonato a ciò che accade quando un incendiobrucia finalmente tutto il suo carburante.

LA SerIA rICerCA DeLLA feLICITà.

Il buddhismo talvolta viene criticato inge-nuamente come religione e filosofia “nega-tiva” o “pessimistica”. Certo la vita non è tuttasquallore e delusione: offre molti aspetti di fe-licità e gioia sublime. Perché, allora, questatriste ossessione buddhista su insoddisfazionee sofferenza?

Il Buddha basò i suoi insegnamenti su unavalutazione franca della nostra condizione diesseri umani: c’è insoddisfazione e sofferenzanel mondo. Nessuno può contestare questodato di fatto. Dukkha si nasconde perfino die-tro le forme più alte di piacere mondano e digioia, perché, prima o poi, come la notte seguesicuramente il giorno, così quella felicitàdovrà finire. Se gli insegnamenti del Buddhafinissero lì, potremmo davvero considerarlicome pessimisti e la vita come del tutto senzasperanza. Ma come un medico che prescriveun rimedio per una malattia, il Buddha offresia una speranza (la Terza Nobile Verità) siauna cura (la Quarta). Gli insegnamenti delBuddha sono pertanto causa di ottimismo egioia senza pari. Gli insegnamenti offronocome ricompensa il tipo di felicità più nobile,più vero, e danno un valore e un significatoprofondo a un’esistenza altrimenti cupa. uninsegnante moderno ha così ben sintetizzato:“Il Buddhismo è la seria ricerca della felicità”.

IL TherAVADA ArrIVA IN OCCIDeNTe

fino alla fine del XIX secolo gli insegna-menti del Theravada erano poco conosciuti aldi fuori dell’Asia meridionale, dove erano fio-riti per circa due millenni e mezzo. Nel secoloscorso, tuttavia, l’Occidente ha cominciato aprendere atto della straordinaria eredità spi-rituale del Theravada e dei suoi insegnamenti 5

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sul risveglio. Negli ultimi decenni questo in-teresse si è accresciuto, con il Sangha mona-stico di varie scuole del Theravada che hafondato dozzine di monasteri in tutta europae nel Nord America. un numero crescente dicentri laici di meditazione, fondato e gestitoindipendentemente dal Sangha monastico, sisforza di incontrare le esigenze di uomini edonne laici – buddhisti e non – che cercanodi apprendere specifici aspetti degli insegna-menti del Buddha.

L’inizio del XXI secolo presenta sia oppor-tunità che pericoli per il Theravada in Occi-dente: gli insegnamenti del Buddha sarannopazientemente studiati e messi in pratica, esarà loro permesso di mettere radici profondein terra occidentale, a beneficio di molte ge-nerazioni a venire? L’attuale temperie di po-polare apertura in Occidente e lo scambioproficuo tra le tradizioni spirituali porterà allanascita di una forma di pratica buddhistanuova, forte, singolare nell’era moderna, ocondurrà solamente alla confusione e all’an-nacquamento di questi insegnamenti inesti-mabili? Sono domande aperte, solo il tempopotrà rispondere.

Oggi i media e il mercato sono sommersi dainsegnamenti spirituali di ogni genere. Moltiinsegnamenti spirituali attualmente diffusiprendono in prestito liberamente dal Buddha,anche se solo raramente pongono le parole delBuddha nel loro reale contesto. I seri ricerca-tori di verità sono perciò posti spesso di fronteallo sgradevole compito di procedere a stentoattraverso insegnamenti frammentari di dub-bia accuratezza. Quale senso attribuire a tuttoquesto?

fortunatamente il Buddha ci ha lasciato al-cune semplici linee guida per aiutarci a navi-gare attraverso questo sconcertante flusso.Ogni volta che ci si ritrova a mettere in discus-sione l’autenticità di un particolare insegna-mento, si tenga a mente il consiglio che ilBuddha offrì alla sua matrigna:

[Gli insegnamenti che promuovono] quelle qua-lità che da solo puoi riconoscere, ossia: “Questequalità portano alla passione, non al distacco; adessere incatenato, non ad essere essere liberodalle catene; ad accumulare, non a liberarsi; al-l’auto-esaltazione, non alla modestia; all’insod-disfazione, non all’accontentarsi; al

coinvolgimento, non alla solitudine; alla pigrizia,non alla persistente costanza; ad essere appe-santito, non ad essere leggero”; puoi darlo percerto: “Questo non è il Dhamma, questo non è ilVinaya, queste non sono le istruzioni del Mae-stro.

[Gli insegnamenti che promuovono] quelle qua-lità che da solo puoi riconoscere, ossia: “Questequalità portano al distacco, non alla passione; adessere libero, non ad essere incatenato; a libe-rarsi, non ad accumulare; alla modestia, nonall’auto-esaltazione; ad accontentarsi, non all’in-soddisfazione; alla solitudine, non al coinvolgi-mento; alla persistente costanza, non allapigrizia; ad essere leggero, non ad essere pe-sante”; puoi darlo per certo: “Questo è ilDhamma, questo è il Vinaya, questo è l’insegna-mento del Maestro. ” (AN 8. 53)

La vera prova di questi insegnamenti, natu-ralmente, è se si ottengano i risultati promessinel crogiolo del proprio cuore. Il Buddha pro-pone la sfida, il resto sta a noi.

NOTe

1. Buddhist Religions: A Historical Introduction (fifthedition) di r. h. robinson, W. L. Johnson, e Thanis-saro Bhikkhu (Belmont, California: Wadsworth, 2005),p. 46.

2. Questa stima si basa sui dati del CIA World Factbook2004. Il maggior numero di buddhisti dell’Asia meri-dionale è presente in Thailandia (61 milioni di Thera-vada), Myanmar (38 milioni), Sri Lanka (13 milioni), ela Cambogia (12 milioni).

3. Buddhist Religions, p. 46

4. Il Mahayana oggi include lo Zen, il Ch’an, il Nichiren,il Tendai, e il Buddhismo della Terra Pura.

5. Guide Through The Abhidhamma Pitaka di Nyana-tiloka Mahathera (Kandy: Buddhist Publication So-ciety, 1971), pp. 60ss.

6. un terzo ramo importante del buddhismo apparvein India molto più tardi (VIII secolo d. C. ): il Vajra-yana, il “Veicolo di Diamante”. L’elaborato sistema diiniziazioni esoteriche, rituali tantrici, e recitazioni dimantra del Vajrayana alla fine si sviluppò a nord, finoall’Asia centrale e orientale, lasciando un’impronta par-ticolarmente forte sul buddhismo tibetano. Vedi Bud-dhist Religions, pp 124ss., e il capitolo 11.

7. Gli studiosi oggi suggeriscono che neanche il Buddhaprobabilmente non parlò mai in pali. Nei secoli succes-sivi alla morte del Buddha, con la diffusione del bud-dhismo attraverso l’India, in regioni con dialettidiversi, i monaci buddhisti ebbero sempre maggiorenecessità di una lingua comune per le loro discussionisul Dhamma e per la recitazione di testi a memoria. fuda questa necessità che emerse quella che oggi cono- 6

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sciamo come lingua pali. Vedi Introduction in Nume-rical Discourses of the Buddha di Bhikkhu Bodhi (Wal-nut Creek, CA: Altamira Press, 1999), pp 1ss, e n. 1 (p.275) e “The Pali Language and Literature “ dalla PaliText Society (http: //www. palitext.com/subpages/lan_lite. htm, 15 aprile 2002).

8. Great Disciples of the Buddha di Nyanaponika Therae hellmuth hecker (Somerville: Wisdom Publications,1997), pp. 140, 150.

9. Buddhist Religions, p. 48.

10. I Veda indù, per esempio, anticipano il Buddha dialmeno un millennio (Buddhist Religions, p. 2).

11. Buddhist Religions, p. 77.

12. Anandajoti Bhikkhu, comunicazione personale.

13. Vedi Dhp 1-2.

14. Questa descrizione del ruolo unificato di samathae vipassana è basata sugli insegnamenti di medita-zione del Buddha quale si riscontra nei sutta (vedi OneTool Among Many di Thanissaro Bhikkhu). L’Abhi-dhamma e I Commentari, al contrario, affermano chesamatha e vipassana sono due distinti percorsi di me-ditazione (vedi, ad esempio, The Jhanas in TheravadaBuddhist Meditation di h. Gunaratana, capitolo 5). Èimpossibile conciliare queste opinioni divergenti con ilsolo studio dei testi; i dubbi riguardo al ruolo di sama-tha e vipassana si risolvono al meglio attraverso la pra-tica della meditazione.

Ringraziamenti a Roberto Luongo

per la traduzione dall’inglese

L’originale è all’indirizzo

http://www.accesstoinsight.org/theravada.html

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