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Pubblicazione Non Periodica, amatoriale, destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Musica, arte e cultura nell'underground genovese degli ultimi decenni.

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2 CMPST #4[09.2007]

Questo quarto numero di CMPST esce in occasione della terza edizione del Rural Indie Camp, adeguato suggello all’esta-te concertistica e che sarà probabilmen-te nel suo pieno svolgimento nell’ora in cui leggerete queste righe – almeno per quelli tra voi che avranno fatto la cosa giusta e deciso di esserci. Per tutti gli altri: i “doh!” a posteriori di matgroeninghiana memoria sono sempre disponibili, e vero, ma una citazione da cultura pop non salverà le vostre anime dal rimorso e dall’abiezione per esservi persi un evento così. Tornan-do seri, e con tutto il rispetto per le cover band di cui siamo capaci, noi di CMPST siamo tra quelli convinti che Genova (e il suo entroterra) abbia ancora qualcosa di autenticamente originale da dire e da far ascoltare, qualcosa per sua natura distan-te dalla riproposizione preconfezionata dei canoni e delle idee altrui. Qualcosa che origini veramente dal cuore e dal-la mente di chi gli strumenti li ha presi in mano per vera urgenza espressiva, e non solo per piacere ad un pubblico troppo spesso apaticamente generalista o facile vittima del trend del momento. Se quella dell’editoriale CMPST #3 era una lancia spezzata a favore della Genova delle sa-lette e degli strumenti al collo, questa vuo-le essere una piccola apologia del pubbli-co attivo, senza paraocchi né pregiudizi di sorta, che decide con coscienza critica di supportare tutte quelle realtà più o meno piccole e più o meno informali che hanno a cuore l’humus creativo di questa città, e che questo terreno cercano di colti-vare, con amore e dedizione, in barba all’indifferenza (e diffidenza) così diffusa-mente associata allo spirito dei genovesi

e dei liguri tutti. Sperando che non sia così vero, dopo tutto. La possibilità di scelta fra quelle che saranno le proposte musicali di questa città in futuro, fra il grado di visibi-lità di quelle che avrete premiato con la vostra partecipazione, e la sopravvivenza o meno delle iniziative che le sostengono passa anche per le vostre mani. Insomma, non dimenticate che il pubblico –come il consumatore– può fare la differenza. O almeno provarci. Non fate i disfattisti. In questo senso, noi “ci battiamo” anche per evitare che che le due figure –quel-la dell’ascoltatore di musica e quella del consumatore acritico- si sovrappongano in un meccanismo perverso che sa più di imposizione che di democrazia – strumen-to imperfettissimo responsabile, tra l’altro, per queste righe. Esercitate i vostri diritti, insomma. Anche quello di non essere d’accordo con noi. Ma venitecelo a dire, rompeteci le scatole, confrontatevi. I risul-tati potrebbero essere insospettabilmente costruttivi, per tutti. Nessuno sfogo retorico sarebbe completo senza una bella me-tafora, e l’augurio è perciò quello di una ricca vendemmia musicale, ricordando che è inutile imbottigliare dell’ottimo vino se nessuno lo berrà. E con la speranza, gi-giona, che le iniziative come questa inizi-no a “spuntare come funghi”.

Matteo Marsano

IntroRedazioneMatteo CasariDaniele GuascoSimone MadrauMatteo MarsanoGiulio OlivieriCesare PezzoniAnna Positano

CollaboratoriEl PelandroMarco GiorcelliCarlotta Queirazza

Grafica e ImpaginazioneMatteo Casari

sito internethttp://compost.disorderdrama.org

[email protected]

snailmailCompostc/o Matteo CasariC.P.100916121 Genova

Pubblicazione NON periodica, amatoriale, destinata alla distribuzione gratuita, fotocopia-ta in proprio e senza alcuna pretesa di comple-tezza.

Questa pubblicazione è una produzione Di-sorder Drama.

Un sincero ringraziamento al collettivo del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad ar-rivare qui.

Se interessati a collaborare, con parole o di-segni, scrivete a [email protected]

Il prossimo numero lo troverete in giro a metà Ottobre 2007

Arrivederci a CMPST #5 - [10.2007]

Le foto di copertina di questo numero sono di Andrea Bosio. Quelle del numero scorso di Anna Positano. Quelle dei primi due di Matteo Casari

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3 CMPST #4[09.2007]

Tutto è cambiato. Siamo cambiati noi, sono cambiati loro. è cambiata Genova e sono cambiati i Meganoidi. Forse non è casuale che questo mutamento sia venuto in maniera quasi completamente sincrona, visto che i Meganoidi sembrano avere una capacità speciale nel tenere il polso della situazione: ska-core quando Genova era una delle capitali italiane del genere, oggi qualcosa di meno definito e ghettizzante, sicuramente meno solare e spensierato, ma più scuro e pensato, proprio mentre Geno-va vede il fiorire di un sacco di gruppi altret-tanto pensati e underground, pronti a uscire dalle Mura del Barbarossa. Meganoidi, poi, vuol dire anche GreenFog e tutti i gruppi, per lo più genovesi, del loro catalogo. Tutti progetti nati grossi, forse con qualche re-sponsabilità più degli altri, o almeno con un credito di fiducia da parte degli addetti ai lavori italiani, che altre realtà non hanno. La fine dell’estate, l’inizio di una nuova stagio-

ne autunnale che speriamo ricca di con-certi, una riflessione su “GreenStorm”…sono l’occasione da noi colta per fare parlare i Meganoidi, di loro e di noi, di come siamo tutti cambiati e di come sotto sotto non sia-mo poi tanto diversi.

Come è Genova vista da chi ha la fortuna di girare per tutta l’Italia musicale?

Genova credo sia rinata agli occhi di tutti negli ultimi anni. Noi abbiamo avuto la fortu-na di fare una scommessa, di autoprodurci e di riuscire a fare ciò che volevamo, anche se solo 5-6 anni fa dischi se ne vendevano molti di più a prescindere se suonavi “SU-PEREROI vs MUNICIPALE” o meno. Spesso mi capita di parlare con amici che suonano e che sono affascinati dal movimento mu-sicale e creativo della Città. E parlo con persone di Torino, Milano, Bologna, centri importanti per quanto riguarda i concerti e tutto ciò che circonda l’ambiente musicale.

Genova vista da uno dei gruppi musicali più attivi e dinamici della nostra scena. I Meganoidi di oggi visti da una Genova diversa.

TUTTO È CAMBIATOGreen Fog / MeganoidiIntervista con Riccardo Armenidi Cesare Pezzoni

“La nostra storia è comincia-ta a Staglieno in una Saletta. Suonavamo per divertirci; cer-chiamo ancora oggi di man-tenere quello spirito anche se siamo cambiati musicalmente.“

Penso che Genova stia vivendo un periodo di rinascita e spero si possa evolvere e non rimanere statica come in passato. E questa responsabilità ce l’ha soprattutto chi a Ge-nova Suona e organizza eventi.

In un dibattito organizzato da Audiocoop e altri alla festa dell’unità dello scorso anno – il giorno prima della prima GreenFest – uno di voi (Mattia) ha parlato dei proble-mi di logistica per i locali genovesi, eviden-ziando come manchino spazi intermedi per gruppi come voi, che ancora non riempio-no il mazda palace ma che riempiono di 3 o 4 volte i classici locali da concerti della scena. Ad un anno di distanza la situazione non sembra cambiata. Quale è il problema, come affrontarlo?

Il problema è sempre il solito mancano gli spazi e locali che possano portare proposte musicali anche di un certo rilievo mediati-co. Mancano come dici te locali da 500-1000 persone. Mi piace partecipare alle serate organizzate da Disorder Drama al Buridda oppure Lo stesso Milk e L’Arci che

Produzioni

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4 CMPST #4[09.2007]

Produzionipropongono serate Live e dj set interessanti, di recente al New Ghost di Staglieno si stan-no organizzando serate Punk e Metal. Ma la gente che partecipa è sempre la stessa, in crescita ma non abbastanza numerosa, e mi dispiace molto. La Soluzione è che la provincia, il comune e le istituzioni che si occupano di cultura a Genova e in Liguria investano sulla città (Le strutture non man-cano “Blue Moon” di Marassi, Ex Sgt. Pep-per di Via Walter Fillak sono solo 2 esempi) stanziare fondi e budget per portare nomi nuovi e soprattutto per fare interagire le va-rie realta di Club e organizzazione concerti. Vorrei portare i Clutch a Genova dove Farli Suonare?

Si dice spesso che la visione imprendi-

toriale genovese è troppo statica e stata-lista. Voi avete avuto il coraggio di inve-stire su Genova, sia come studio sia come etichetta, producendo un bel po’ di realtà più o meno consolidate. E’ una fiducia che

paga? I Meganoidi sono ricchi? Genova è la nostra città, siamo tutti nati

qui e sicuramente c’è un legame unico. E’ un rapporto di amore e odio forse perché qui fai più fatica e devi sempre scommet-tere sulle tue azioni. Noi abbiamo investito su etichetta e Studio perché ci abbiamo sempre creduto anche se di certo i Mega-noidi non sono diventati ricchi. Dopo più di 4 anni di sacrifici cominciamo ad essere ri-conosciuti anche come etichetta e Studio di registrazione e questo non può che farci stare bene, almeno a livello mentale…..

Pensate di entrare anche nel settore con-certi-serate?

Abbiamo per il secondo anno organiz-zato il nostro Festival, quest’anno chiamato GreenStorm all’interno della 2 Giorni di Festi-val al Parco della Lanterna. Saltuariamente abbiamo organizzato concerti in collabo-razione col Milk. Non abbiamo una visione imprenditoriale sull’organizzazione di con-certi o serate, semplicemente ci piace farlo e se ci fosse affidata la direzione artistica di un locale saremmo ben felici.

Vedendo le vostre diverse attività nel set-tore si deduce come i Meganoidi ormai siano una fabbrica con sforzi e impieghi differenti rispetto a un semplice gruppo che si occupa delle sue cose. Quanto tempo vi porta via alla vita di “artista puro” che tutti sognano quando scrivono canzoni? Lavo-rate più spesso per GreenFog o per voi stes-si?

I vari lavori che svolgiamo per studio ed etichetta sono parte fondamentali della nostra giornata. Io personalmente sono un po’allergico alla definizione di “Artista Puro”.

Credo che avere più interessi e impegni tol-ga del tempo fisico alla pura composizione o scrittura della musica, ma nel nostro caso in particolare, poter produrre dischi, regi-strare album nel nostro studio e entrare in contatto con chi si occupa di concerti ed iniziative culturali sia un grandissimo stimolo anche per quando imbracci il basso e devi suonare.. Con studio ed etichetta abbiamo trovato una dimensione congeniale che Ci permette di fare esperienza su moltissimi aspetti.

Questa di essere insieme produttori, foni-ci e musicisti è una scelta etica o una ne-cessità economica?

Non posso certo dire che sono tranquillo a livello economico...La scelta di investire sullo Studio e sull’etichetta è stata neces-saria inizialmente per sviluppare al meglio la nostra crescita da gruppo indipendente. Poter decidere su tutto è una grande soddi-sfazione ma è un impegno enorme a volte quasi frustrante per le grandi responsabilità che ti prendi…inizialmente Sia etichetta che studio funzionavano come prolungamento della Band. GreenFog marchiava i nostri dischi che venivano registrati nel nostro stu-dio. Tutto è andato avanti ed è cresciuto per passi sacrificandoci quando lo studio necessitava di aggiornamenti o bisognava comprare il furgone. Ora sia studio che eti-chetta riescono ad avere una loro autono-

“Genova credo sia rinata agli occhi di tutti negli ultimi anni.Ma la gente che partecipa è sempre la stessa, in cresci-ta ma non abbastanza nume-rosa, e mi dispiace molto.“

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mia e una loro natura pur rimanendo gestiti dalle solite persone (NOI).

Vi siete sempre vantati, anche nel mo-mento del grande successo mainstream di “supereroi”, di essere stati indipendenti. Cos’è per voi l’indipendenza? Una scelta etica o una scelta pratica? Quanto dell’uno e quanto dell’altro?

Entrambe. Per i nostri tempi essere indi-pendenti è fondamentale. All’epoca del primo disco spesso dovevamo spiegare a giornalisti molto poco informati che non eravamo il prodotto di nessuna Major. Lo abbiamo sempre sottolineato perché in fin dei conti le carte giocate erano solo le nostre. Poi qualcosa è cambiato, con il suc-cesso del primo disco sono arrivate anche moltissime proposte valide anche da parte di Major. Potevamo scegliere e in quel mo-mento abbiamo scommesso su un secon-do disco diverso e forse più difficile. Grazie alle vendite abbiamo potuto reinvestire subito sullo studio e sull’etichetta. Non vo-levamo spendere neanche un euro altro-ve. Era l’unica occasione per costruirci un nostro “Quartier Generale” dove poter cre-scere e sperimentare i nostri interessi. E così abbiamo deciso di rimanere indipendenti fondare la GreenFog records e mettere in piedi il GreenFog Studio affidandoci ester-namente solo per la distribuzione a VENUS.

Un EP (A.T.W.M.I) e un altro disco (Granva-noeli) hanno consolidato ancor di più le nostre scelte.

Abbiamo avuto (noi cartavetro) la fortu-na di trovarci per caso a suonare prima di voi in un concerto a Pisa, pensato come (e di conseguenza chiamato) “una due giorni di sapere liberato”. Si parlava in sostanza di libera diffusione della cultura e del sapere, al dilà dei vincoli del copyright. Pur essendo i vostri pezzi tutelati con licenze tradizionali, siete sembrati molto in sintonia con il pub-blico dell’evento per quanto riguarda le po-litiche del diritto d’autore. Avete mai pensa-to a licenziare i vostri dischi sotto Creative Commons o altre licenze copyleft?

Non Sono abbastanza informato su que-sto. Siamo per la Liberazione della musica. Comunque. L’errore che spesso si fa è di usa-re però la tecnologia in maniera aggressiva distruggendo di fatto la vendita di dischi. Ci si è troppo abituati a considerare la musica sotto forma di file mp3-. Non c’è più la cu-riosità di aprire un disco, sfogliarlo leggere i testi e osservare il lavoro grafico, leggere da chi è stato prodotto e in quali studi, en-trare un po’più intimamente dentro la storia di un disco. E questo è triste. Vorrei avere più dischi perché non sono mai riuscito ad abituarmi alla Masterizzazione o tanto più al Downloadaggio da Internet. Comprarli originali spesso è dispendioso. E’ importan-te la libera diffusione della Cultura e del Sa-pere e per questo bisognerebbe dar valore al prodotto originale, sostenendolo. Noi nel nostro piccolo cerchiamo rispetto agli inve-stimenti fatti di tenere un prezzo politico dei dischi e di diffondere un idea di etichetta libera da schemi o genere.

Quando 2 anni fa ho sentito aprire il vo-stro concerto a Play festival con un muro molto scuro di chitarre e sintetizzatori mi sono reso conto di quanto avrei preso per folle una persona che me lo avesse rac-contato 2 anni prima. Tutto è cambiato, per quanto mi riguarda molto in meglio. Eviterò di chiedervi quanto vi pesa il vostro passa-to nei concerti in giro per l’Italia e piuttosto mi chiedo: come è maturata la decisione? Quando avete capito che lo ska era una

“Con il successo del primo disco sono arrivate anche moltissime proposte valide anche da par-te di Major. Potevamo sceglie-re e in quel momento abbiamo scommesso su un secondo Di-sco diverso e forse più difficile.“

Produzioni

Meganoidi - foto di Anna Positano

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6 CMPST #4[09.2007]

Produzionidimensione per voi limitativa? E come è av-venuto il passaggio?

E’ tutto avvenuto in maniera abbastan-za spontanea anche se repentina. Pensare al passato non ci crea nessun problema, i Meganoidi hanno continuato a suonare in giro per l’Italia, come prima. Non nascondo che le prime date del tour di ATWMI sono state particolarmente emozionanti e tese. Ricordo che le prime date di quel tour Suo-navamo tutto l’EP consecutivamente, non era facile far arrivare così improvvisamen-te una musica tanto diversa dai pezzi che ci avevano resi conosciuti. Ma grazie alla credibilità che credo esca soprattutto sul palco siamo riusciti a comunicare la nostra sincera voglia di suonare ed emozionarci, nulla di più, niente di meno.

Torniamo su Genova. Si dice spesso che sia una città difficile dove cose che funzio-nano molto bene a 50 km da qui, faticano non poco. L’impressione tutto sommato si è registrata anche in occasione dell’ultima GreenStorm, e si ripete spesso nei festival cittadini. Come mai siamo così difficili? È una questione culturale? Manca informa-zione? Come fanno nelle altre città? E cosa fanno tutti i corrispondenti genovesi di quel-le persone che riempiono i concerti nel re-sto d’Italia?

Il problema secondo me è che tutta la programmazione culturale viene sempre lasciata nelle stesse mani e che soprattut-to mancano le sinergie necessarie per far funzionare gli eventi. Io credo piuttosto che al GreenStorm di quest’estate si sia creata l’atmosfera e la situazione giusta per poter affermare che il Festival Rock può ancora funzionare. 1500 paganti il 27 luglio a Ge-

nova credo sia un successo. Ma penso po-sitivamente, quest’estate ci sono stati altri Festival Cittadini da ricordare come il Santo Rock e il Festival delle Periferie che sicura-mente cresceranno e contribuiranno ad un positivo cambiamento di tendenza.

GreenFog produce sostanzialmente gruppi genovesi. E’ una cosa pianificata o c’è una componente casuale? E’ una visio-ne programmatica?

Le prime nostre produzioni sono Tutte pro-venienti da Genova. i We Were On Off è il primo progetto extra Genovese (di Venezia) che uscirà per GreenFog. Vivendo a stretto

contatto con chi suona a genova è stato naturale voler Produrre progetti che cono-scevamo bene. In programma abbiamo l’uscita del prossimo disco dei We Were On Off e il terzo disco degli Enroco e Numero6 oltre al quarto Meganoidi che si sta prepa-rando. Non ci pianifichiamo troppe produ-zioni. Cerchiamo di limitarne il numero per avere la possibilità di lavorarci al meglio.

Per le vostre collaborazioni nelle compi-lation e nei diversi festival, si direbbe che i Meganoidi hanno un ottimo rapporto con l’Arci locale. Ora il nuovo assessore alla cul-

Riccardo Armeni - foto di Anna Positano

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7 CMPST #4[09.2007]

tura proviene proprio dall’Arci. E’ un bene per Genova? Un’opportunità? O piuttosto un rischio vista l’importanza già sostanzia-le che ha l’Arci nella programmazione di eventi della nostra città?

La compilation Milk In My Cup è uscita in collaborazione Con Arci, Milk Club, Di-sorder Drama, Marsiglia Records. Abbiamo collaborato con l’Arci per il nostro Festival (GreenStorm 27 luglio) della Lanterna di quest’estate. Abbiamo avuto la possibilità di mettere su un Festival nuovo e ben riusci-

to in una città dove spesso anche gli Eventi di Livello finiscono col divertire poco e crea-re mugugno. Non ci precludiamo collabo-razioni anche con altre realtà genovesi. Insomma per noi è soprattutto importante poter mettere in piedi idee con chi ci dà la possibilità di farlo. L’assessore della cultura proviene dall’Arci; negli ultimi anni l’Arci ha sviluppato moltissimi progetti a Genova e si è ritagliata sicuramente uno spazio impor-tante e privilegiato per organizzare eventi di un certo rilievo. Credo sia un opportuni-tà da non sottovalutare per l’assessorato stesso capire però che la forza di una cit-tà come Genova, piccola e mentalmente poco ricettiva, sta nella complicità tra le varie realtà autonome o Arci che siano. Manca un canale indipendente e libero ri-conosciuto a livello istituzionale che faccia conoscere meglio ciò che avviene in città.

Se la vostra è l’epopea di ragazzi che

hanno saputo come coltivare e mettere a frutto la loro passione, magari avete qual-che consiglio da dare a chi si mette a suo-nare oggi…lo avete?

E’ difficile dare consigli, credo che ognu-no debba scrivere la propria storia a modo proprio. Credo che la passione ti guidi più di ogni cosa verso la strada giusta, ma non sto parlando necessariamente del suc-cesso in senso assoluto. Non è un periodo felice per chi suona e chi produce o crea le proprie idee. Tanto più non vale la pena farsi troppi pensieri per la testa o frustrarsi per seguire certi modelli propinati da MTV e simili. La nostra storia è cominciata a Sta-glieno in una saletta. Suonavamo per diver-tirci; cerchiamo ancora oggi di mantenere quello spirito anche se siamo cambiati mu-

sicalmente. Penso che sia giusto suonare soprattutto per se stessi poi viene il resto. E questo non è un atto di egoismo ma di sin-cera passione.

Pensate che la vostra storia sia legata a un periodo molto diverso da questo o è an-cora una storia ripetibile?

Non saprei ma sicuramente in 6 anni è cambiato tutto e non solo per noi…

Pur essendo l’etichetta nata più di re-cente tra le varie genovesi, GreenFog dà l’impressione di essere su un livello tutto di-verso, impressione rafforzata dalla diversa esperienza di voi, ossia delle persone che ci stanno dietro. Questo comporta delle responsabilità per chi da voi si aspetta più qualità e cose più in grande. E’ un’impres-sione o volete davvero fare le cose più in grande rispetto a una “indie” comune?

GreenFog è una piccola etichetta indi-pendente che cerca di produrre dischi di qualità. Penso sia lo scopo di moltissime al-tre etichette poter far al meglio ciò in cui si crede. La nostra esperienza come persone e gruppo è tutta qui: uno studio di registra-zione professionale che ci dà la possibilità di produrre autonomamente i master e un ufficio stampa e booking gestito da noi stessi. Oltre a questo mettiamo a disposizio-ne la nostra esperienza di gruppo che sicu-ramente ci aiuta.

Mattia Cominotto - foto di Anna Positano

Poduzioni

Più info sulle attivi-tà dei Meganoidi su ht tp ://www.meganoid i .com http://www.greenfogrecords.com

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8 CMPST #4[09.2007]

Iniziamo facendo un po’ il punto su ciò che sono Port-Royal nel 2007. Inevitabile quindi partire da ‘Afraid To Dance ’. Di cosa ne pensi i l sottoscritto, già sapete: ci siamo sentit i su MySpa-ce e pure su eMpTV ho tessuto lodi in più occasioni, difendendovi per giun-ta nei commenti. Per quanto riguarda i pareri esterni, secondo molti i l nuo-vo album suona come una cosa meno ‘coraggiosa’ o ‘personale’ rispetto a ‘Flares’, altri invece apprezzano il fatto che si corregga il t iro rispetto a quest’ult imo riducendo il minutag-gio complessivo a un’ora e rendendo l’ascolto più fruibile. Cosa ne pensano i Port-Royal col senno di poi? A diversi

mesi di distanza siete convinti del pro-dotto finale?

Prima di tutto grazie per i l tuo sup-porto che ci fa più che piacere. I pa-reri esterni vanno sempre presi con le pinze. Al di là di questo ti poss iamo dire che ‘Afraid To Dance’ ha comun-que ricevuto approvazioni pressoché ovunque e anzi è stato giudicato ben più personale di ‘Flares ’, in quanto - a detta dei vari recensori ma anche dei vari utenti di blog, chat e quant’altro - r isulta un album in cui i Port-Royal hanno preso la loro strada creando uno sti le tutto loro. Come sempre la verità sta nel mezzo, ma a grandi l inee concordiamo con questo giudizio. Poi

Il nome Port-Royal, dopo la pubblicazione dell’ultimo ‘Afraid To Dan-ce’, si riconferma uno dei più importanti usciti dalla scena genove-se: tra tour europei, opening-act di lusso e una valanga di uscite per la prossima stagione i ragazzi sembrano sempre più quotati al-l’interno di quel filone che muove dall’ambient per incrociare elet-tronica, shoegaze e scuola Morr. Così non è certo un problema misurarsi con il sottoscritto in un confronto dai toni morbidi su Ge-nova; in cui sono finalmente gli interessati a smentire o confermare le voci rimbalzatesi di recente in quella città che diede loro i natali.

POST-DANCEPort-RoyalIntervista con Attilio Bruzzonedi Simone Madrau

“Quando un giudizio è vizia-to alla base e diventa pregiu-dizio, meglio non curarsene.“

ovviamente è naturale che i l post-rocker radicale possa risultare deluso da ‘Afraid To Dance’ dopo un disco come ‘Flares ’ (che per noi comunque non può essere semplicisticamen-te incasellato nella categoria post-rock) , ma alle nostre orecchie questa gente un po’ fanatica lascia i l tempo che trova... Abbiamo letto proprio sul tuo blog un commento ‘geniale’ di una ragazza che invece di offender-ci (come probablimente pensava) ci ha fatto gran piacere, sul serio! Ma da l ì s i vede bene l’apertura mentale e musicale di certa gente che è me-glio perdere che trovare... Quando un giudizio è viziato al la base e diventa pregiudizio, meglio non curarsene. In definit iva, i Port-Royal sono sempre gl i stess i e più motivati che mai ad anda-re avanti. Infatti st iamo già da tempo lavorando al terzo disco.

Caspita, già al lavoro?! Allora urge

chiedere anticipazioni. Altro cambia-mento di rotta rispetto ad ‘Afraid To Dance ’ o un lavoro più su questa fal-sariga, quale che sia?

E’ ancora impossibi le r ispondere per adesso. Abbiamo buttato giù quasi tutti i pezzi, ma gli arrangiamenti sono ancora da fare, quindi non s i sa anco-

Produzioni

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9 CMPST #4[09.2007]

Produzioniprima di ‘Afraid To Dance ’ è uscito an-che un EP, un po’ in sordina, e non per la Resonant bensì per la Chat Blanc. Essendo la label in questione canade-se, sorge spontaneo chiedervi come siete entrati in contatto: banalmente su MySpace? E se sì, chi si è interessa-to a chi : voi o loro?

I l ragazzo che gestisce la Chat Blanc è i l musicista Pascal Assel in aka Mil-limetrik (progetto sol ista) nonchè batterista dei Below The Sea. S iamo diventati buoni amici grazie ad un comune amico, Jon Attwood aka Yellow6. Già prima ci conoscevamo come ‘artist i’ e ciascuno apprezzava i l lavoro dell’altro, tanto che ci s iamo remixati delle canzoni a vicenda (lui la nostra ‘Zobione Pt.2 ’ e noi la sua ‘Les Protagonistes Du Rien’) e ora ab-biamo appena finito una canzone a 4 mani. Così l’anno scorso Pascal ci ha detto che intendeva pubblicare un EP per Chat Blanc e noi, ben fel ici, ab-biamo accettato. In autunno uscirà una compilation dell’etichetta dove ci sarà anche un nostro pezzo inedito (un remix di ‘Deca-Dance’ dell’ottimo musicista anglo-svedese The Heavenly Music Corporation) e infine a gennaio pubblicheremo un altro EP per la Chat Blanc : l’ ‘Anya: Sehnsucht EP ’. Questa etichetta è davvero fantastica. Tutto gestito con reale e profondo amo-re per la musica. Hanno anche una grafica che realizza ogni copertina a mano; per questo motivo ogni loro uscita è rigorosamente l imited edition. Le tipiche chicche per collezionisti.

I l quadro generale per voi mi sembra tanto roseo in termini di gratificazioni quanto incerto per quanto riguarda la line-up. Da cinque membri che erava-te, ora vi ritrovate in tre. Anche que-sto aspetto ha colpito molte persone in città conducendo anche ad alcune crit iche per quanto riguarda l’impatto dal vivo, considerato inferiore al pas-sato sia in termini tecnici che di coin-volgimento emotivo. Forse è un pre-giudizio post - effetto sorpresa, forse è venuta meno la tendenza di consi-derare Port-Royal come un’importan-te band cittadina a fronte del vostro essere ‘usciti’ da Genova; ma forse (e dico ‘forse’ perché non ho avuto modo di constatare di persona) un fondo di verità in queste crit iche c’è. Che ne dite? Soffrite questa riduzione di or-ganico sul palco e cercate comunque di fare del vostro meglio o vi sentite invece più a vostro agio nella vostra formazione attuale?

Anche qui s i parla più di leggende e di supposizioni che di fatti, e stupisce particolarmente che ciò avvenga nel-la nostra cit tà natale. O meglio, forse non stupisce poi così tanto... In realtà s iamo sempre in quattro (Atti l io, Etto-re: i fondatori, Emil io e Giul io). Solo i l batterista, Michele, è andato via, pur continuando a collaborare con noi anche se non come membro uff iciale (s iamo in ottimi rapporti, l’unico fatto è che noi non usiamo batteria vera, da sempre in registrazione e ormai da due anni dal vivo). Noi accettiamo tutte le crit iche purché s iano fatte con spir ito costruttivo e cognizione di causa. ma

ra. S icuramente la vena dance/estra-niante verrà portata avanti, essendo nel nostro dna (in realtà già in ‘Kraken’ e ‘Flares ’ s i potevano notare certi pro-dromi dance)... Ma naturalmente ci sarà grande spazio per l’ambient e forse, per la gioia degli aficionados di ‘Flares ’, potrebbe addirit tura com-parire una nuova tri logia... Per ora è tutto!

Allora spostiamo le lancette dal

prossimo futuro al passato prossimo:

Attilio Bruzzone - foto di Anna Positano

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10 CMPST #4[09.2007]

Produzioni

non possiamo accettare crit iche pre-giudizial i r ivolte al la cieca. Ad esem-pio, quanti tra coloro che parlano a Genova hanno visto i l tour di ‘Afraid To Dance’ che stiamo portando in giro in Europa e in Ital ia ma non ancora nella nostra cit tà (anche ‘I l Secolo XIX’ ha dedicato in merito un grosso articolo)? Anzi abbiamo pure un nuovo membro, i l cineasta Sieva Diamantakos che fa i visuals per i nostri concerti e s i es ibi-sce sempre con noi in pianta stabile dall’inizio del tour di ‘Afraid To Dan-ce’ (già più di 30 date). Naturalmente un concerto elettronico è più freddo di uno rock tout court. Naturalmen-te vedere un concerto ‘tradizionale’ può dare più ‘soddisfazione’ in termini emotivi (ma assolutamente non tecni-ci – anzi da questo punto di vista l’ese-cuzione e la qualità sono nettamente superiori a quelle di un quals iasi con-certo ‘rock’!) . Lo capiamo beniss imo, anche se personalmente non soppor-tiamo più di 5 minuti dal vivo di qual-s iasi gruppo strettamente post-rock! Ma questi sono gusti ed ognuno ha i suoi ed è giusto che s ia così. Solo che parlare di cose che non s i conoscono più di tanto e giudicare non ci pia-ce poi molto. In ogni caso noi s iamo molto contenti di questo set (laptop, synths, visuals) in cui presentiamo nuo-ve vers ioni dei pezzi di ‘Flares ’, ‘Afraid To Dance’ e degli inediti, accompa-

gnate dagli splendidi visuals di S ieva. Naturalmente ci sarà chi r impiange i Port-Royal più ‘rockettari’ (!) , ok. Ma dal momento che continuano a chia-marci un po’ dappertutto, pensiamo che in fondo questo tour stia anche ottenendo un buon successo. Anche i ragazzi di DNA (che ormai sono la no-stra agenzia qui in Ital ia) preferiscono questo set ‘r idotto’ (Atti l io, S ieva, in ital ia Ettore e al l’estero Alexandr Va-tagin, un musicista austriaco nostro amico - quindi non più di 3 persone) a, diciamo, una band sul palco. E poi, per concludere, almeno in una prima fase questa è stata una scelta logisti -ca obbligata: col gruppo non pote-vamo contenere le spese di furgone e varie per spostarci, mentre così s i va dovunque comodamente. Ma questo è comunque i l motivo minore.

A proposito di gratificazioni e a pro-

posito di date dal vivo, un altro evento direi importante è stato il tour italia-no dei Blonde Redhead. Un po’ mi ha fatto strano, se devo essere since-ro, sapervi di spalla a un gruppo così diverso da voi : se non sul piano del-l’attitudine, certamente sul piano dei suoni.. D’altro canto mi ha pure fatto piacere apprendere che la richiesta è partita dagli stessi Blonde Redhead e non da voi. Come vi hanno scoperto? E come è andata? Aneddoti?

E’ stata una bella esperienza, ma davvero stressante. Nonostante ciò s iamo fel ici di averlo fatto: ci ha per-messo di suonare in posti bell iss imi e di fronte a tantiss ima gente! Ed è anche

“Addirit tura c’è già qual-cuno all’estero che scrive che i Port-Royal sono il pri -mo gruppo post-dance!“

andata bene. Specialmente a Roma, a Vi l la Ada, è stato fantastico... E’ suc-cesso che i l loro tour manager ha fat-to ascoltare i nostri album e loro l i han-no molto apprezzati. Così, complice i l fatto che preferivano avere di spalla un gruppo elettronico con poca roba sul palco visto che già loro ne hanno moltiss ima, ci hanno contattato e noi abbiamo accettato al volo. S iamo stati anche fel ici di conoscerl i e vivere dall’interno certe realtà e dinamiche (s ia posit ive che negative) normal-mente un po’ lontane da noi. Per i po-chi aneddoti, meglio parlarne privata-mente che in veste uff iciale ora!

Ok, mi terrò tutto per me. Ai lettori

più curiosi ricordo che comunque tutti abbiamo un prezzo, me compreso. A parte questo, mi viene da farvi una ti-pica domanda che si fa ai gruppi pop che suonano in tutto il mondo e che però si può tranquillamente girare an-che a voi, tanto più che ne venite da un serie di date fuori dall’Italia : come reagisce il pubblico europeo di fronte ai Port-Royal? C’è affluenza, curiosi-tà? Quali sono le performances che ri-cordate più volentieri di questo tour?

In Europa possiamo dire di avere avuto un’ottima accoglienza. Al la pri -ma del tour di ‘Afraid To Dance’ a Pa-rigi c’erano 600 persone e i l locale era strapieno. Abbiamo venduto moltiss i -mi dischi e tutti hanno seguito i l con-certo con grande interesse e calore. La Francia è s icuramente una nazione che ci ama. Altro posto fantastico è stato la Polonia. La gente conosceva

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tutte le nuove canzoni e quelle su My-Space e applaudiva appena iniazia-vamo pezzi come ‘Anya: Sehnsucht ’, ‘Putin Vs Valery ’, ‘Deca-Dance’ e ‘Zo-bione Pt. 2 ’... Questo ci è sembrato incredibi le, perché ricorda davvero i l genere di accoglienza riservato ai gruppi pop! A Vienna (in cui abbiamo già suonato due volte in quattro mesi) ci s iamo di nuovo trovati beniss imo, ma anche a Roma e a Modena, cit-tà dove sembra che la gente ci ami particolarmente. Così come anche ad

Atene ed in S lovenia. I l Belgio è stato molto bello, ma diciamo meno caldo degli altr i posti sopracitati. Ora ci pre-pariamo per l’autunno ad andare in Russ ia e Ucraina (se tutto va bene con i documenti) e di nuovo in Francia, Po-lonia e Ital ia. E presto, se gl i impegni lo permettono, potrebbe arrivare un tour in Gran Bretagna.

Ancora parlando di date, devo toc-

care un tasto dolente. Che tocco non perché imbeccato, sia chiaro, né per

il gusto di provocare ma per sincera curiosità di uno (uno, ma spero di non essere solo io) che cerca di compren-dere i rapporti che intercorrono tra gruppi genovesi (soprattutto quelli più esposti) e quanti (non sono pochi) si sbattono per dare esposizione a questi ult imi. Vengo al dunque: nell’intervista che anche tu citavi, quella sul ‘Secolo XIX’, avete dichiarato che il motivo per cui non suonate a Genova è che nes-suno vi fa suonare. Anche qui azzardo ipotesi. Forse per esigenze di spazio il ‘Secolo’ vi ha tagliato, sintetizzan-do e semplificando la vostra risposta. Forse il vostro non era un puntare l’in-dice verso chi vi sostiene da sempre ma – visto anche il contesto diciamo ‘importante’ di un quotidiano – verso chi avrebbe possibilità economiche per fare ma non fa. Sta di fatto che, a quanto ne so, qualche proposta vi era arrivata e riguardava la possibili-tà di tentare la strada del teatro come location per promuovere a Genova il vostro tour e il vostro nuovo disco. Molto Sigur Ròs, ma anche molto Port-Royal secondo me. Eppure niente. Che è successo?

Non preoccuparti ! Sappiamo bene che tu non sei un provocatore! [s ic, NdSimo]. E hai detto molto bene, pur-troppo ‘I l Secolo XIX’ ha tagliato mol-to per esigenze editorial i e la risposta così come è stata pubblicata non ren-deva completamente giustizia né a noi né appunto al le persone che qui a Genova ci sostengono. Infatti s iamo rimasti un po’ delusi dalla forma defi-nit iva di quella risposta, anche se l’es-

Emilio Pozzolini - foto di Anna Positano

Produzioni

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Produzionisenza di quest’ult ima rimane vera pur nella sua forma... Vediamo di chiari -re i l punto. Ef fettivamente a Genova non abbiamo ricevuto proposte CON-CRETE per suonare negli ult imi mesi, a parte qualche eccezione lo scorso anno e una data al l’ult imo Play Festi-val che purtroppo non abbiamo potu-to accettare perché già impegnati da prima con un altro festival a Catania. Questa, ci spiace dirlo, è la verità. La cosiddetta ‘proposta’ del concerto in teatro (cosa che ci avrebbe fatto pia-ceriss imo!) era solo una voce più che una vera e propria proposta (fu Emil io a presentarcela, appunto, come una voce di corridoio) , tant’è vero che infatti i l tutto s i è r isolto in una bolla di sapone. Anzi abbiamo cercato noi alcuni locali ad apri le anche perché volevamo far suonare a Genova i Tu-polev ( i l gruppo austriaco con cui s ia-mo stati in tour in Austria, S lovenia e Ital ia): r icerca fal l ita… Ora s i parla di un’altra proposta al Porto Antico. Noi ovviamente saremmo fel ici di suonare ancora a Genova, che nel bene e nel male è pur sempre la nostra cit tà na-tale (anche se alcuni di noi ora stanno fuori) ; ma qualora ciò non fosse pos-s ibi le, non ci roderebbe di certo i l fe-gato.

Per quanto riguarda la scena al di fuori dei Port-Royal, tocca chiedere anche a voi come la vediate. Rispetto a quando siete usciti, alcuni nomi han-no abbandonato, altri hanno cambia-to nome, altri nuovi hanno fatto capo-lino. Mi sembra che i rapporti con gli

altri gruppi non siano malvagi, penso in particolare a Japanese Gum e al loro remix di ‘Paul Leni ’. Come vedete questa città in prospettiva? Siete pes-simisti o credete che ci sia possibilità di affermare Genova come città e non solo come quei pochi, singoli gruppi che ce la fanno?

Infatti : nessun cattivo rapporto, ci mancherebbe altro! Onestamente non abbiamo mai vissuto veramente la scena genovese pur conoscendo più o meno tutti. E ciò non per snobi-smo come forse qualche benpensan-te potrebbe sostenere. Atti l io è in Ger-mania spesso per motivi di studio (ora è l ì in pianta stabile da più di 6 mesi, ma anche prima ci andava spesso per periodi più brevi) , S ieva vive a Berl i -no, Giul io andrà in Erasmus a Parigi... Apprezziamo i Japanese Gum che sono prima di tutto amici (Atti l io ha anche suonato con loro in 2 o 3 con-certi che fecero lo scorso autunno) e poi davvero un bel progetto. S icu-ramente in questa cit tà ci sono delle altre valide proposte (gl i En Roco che ci piacciono molto, i sempre più lan-ciati Ex-Otago, proposta originale e s impatica, i val idi Hermitage...) , ma ci sembra che non ci s ia poi una vera scena nel senso di ‘collante che uni-sca tutti’. Onestamente pare proprio che s i parl i di qualcosa che non esi -ste poi in realtà, almeno nei termini in cui viene presentata la ‘scena’ geno-vese. Sappiamo che ci sono persone che ci ignorano volutamente perché diciamo di non sentirci appunto parte di questa ‘scena’, ma ciò francamen-

te non ci tocca minimamente e poi è frutto di un malinteso e/o di invidia. La cit tà ha comunque ottime poten-zial ità che potrebbero essere espresse meglio se s i r iuscisse ad andare oltre certe logiche.

Un mio amico di Milano, estimatore

vostro quanto dell’intero catalogo Re-sonant, ha comprato online il vostro nuovo album prima di me. E’ rimasto piuttosto sorpreso (e divertito) di tro-vare il primo piano di un Power Ranger nell’artwork interno. Una cosa in effetti diff icilmente prevedibile ripensando alla copertina di ‘Flares ’ e in generale al vostro suono tutt ’altro che gioco-so: ma il sottoscritto è più puntiglioso dell’amico in questione e spulciando i credits del cd ha appreso che l’intero artwork è parte di un progetto chia-mato ‘The Distance To The Sun ’. Di che si tratta?

‘The Distance To The Sun’ è un pro-getto dell’artista romano Andrea Dojmi. Oltre al l’artwork di ‘Afraid To Dance’ con Andrea abbiamo già pre-sentato in alcuni importanti festival in Ital ia e in Grecia i l progetto comune ‘Education And Protection Of Our Chi-ldren #2 ”. Questo artwork è, diciamo, un passo successivo nella collabora-zione tra noi e questo valido artista. In quanto al s ignif icato preciso del lavo-ro, dovresti chiedere direttamente a Dojmi. Poss iamo però dir t i che rif lette bene le sue tematiche portanti di no-stalgia e sguardo rivolto al l’infanzia come luogo di esperienze fondamen-tal i.

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Abbiamo fatto un bel po’ di chiac-

chiere, ed è inevitabile ora chiedervi qualche indiscrezione su ciò che sarà prossimamente dei Port-Royal. Ab-biamo già detto del nuovo album, che però presumo richiederà ancora qual-che tempo. Nel frattempo? Vacanze? Altre date?

Le nostre vacanze hanno coinciso con i l tour, a parte qualche piccola parentesi per alcuni di noi (ad esempio Atti l io in S lovacchia dalla sua ragaz-za). I l pross imo futuro vedrà l’intensif i -cars i dei l ive in autunno (Russ ia, Ucrai-na, Francia, Polonia e Ital ia) e delle registrazioni del suddetto terzo album che stanno procedendo bene. Poi ci sarà l’uscita di alcuni nostri pezzi in al-cune prestigiose compilations come quella della Darla (storica etichetta americana) , quella della 9.12 Recor-ds (con Boards Of Canada , Jatun e i l nostro amico Dedo fra gl i altr i) , quella dell’Elettronik Festival di Rennes (con Apparat, Murcof...) , l’uscita del nostro album di remix dei pezzi di ‘Flares ’ in edizione l imitata sempre per Resonant e, come ti dicevamo, dell’’Anya: Sehn-sucht EP ’ per Chat Blanc.

Tre piccole curiosità per chiudere. Qual è il vostro gruppo preferito nel

roster della Resonant? Qual è il gruppo genovese che più di

ogni altro vorreste portarvi in giro per l’Europa?

Qual è il gruppo, in Italia o nel mon-do, a cui vorreste fare da supporter?

Nel catalogo Resonant ci piaccio-

no particolarmente Dialect (che però ha pubblicato s ino ad ora solo un ep) e Stafraenn Hakon (pur facendo un genere piuttosto diverso dal nostro). Genovesi di spalla ai nostri concerti : r iciteremmo i Japanese Gum , anche perchè sono quell i maggiormente affi -ni al la nostra musica. Quanto ai grup-pi da supportare: più che fare da sup-porter ci farebbe piacere suonare con gruppi più o meno del nostro l ivel lo (di fama intendo!) come Ulrich Schnauss (con cui suonammo già l’anno scorso

ins ieme in Francia al La Route Du Rock) e altr i nostri amici su MySpace. Ma se proprio dobbiamo supportare al lora vorremmo suonare con le Tatu, Nelly Furtado e Rihanna!

Più info sulle attivi-tà dei Port-Royal su http://www.myspace.com/upthero-yals

Port-Royal Live a Villa Croce - foto di Anna Positano

Produzioni

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Fanzine

Iniziamo subito con un po’ di biografia. quanti anni tu abbia non si può chiedere, ma quante cose hai combinato si. Parlaci un po’ del tuo percorso di musicista. Hai fatto tutta la trafila di insegnanti tra i più quotati in città e, al tempo stesso, ti sei trovata a confrontarti con il sostrato underground guidato da atteg-giamenti opposti di intransigenza musicale. Un piccolo bilancio?

Dai, sarò clemente e vi svelerò anche l’età! Classe 1983, fate due conti et voilà :-) Se do-vessi fare un bilancio di Chiara come musi-cista, potrei soltanto dire che non mi sento assolutamente arrivata da nessuna parte. Ho avuto esperienze con il mondo della di-scografia - poche e non del tutto buone - e ciò, dopo quasi tre anni, mi ha spinto ad ab-

bandonare quella strada per tornare indietro sui miei passi: ho sentito l’immenso bisogno di ritrovare me stessa, la mia vera vena artistico-musicale, fatta di non troppo studio e tecnica ma di tanta, tantissima passione e voglia di creare e divertirmi. Come musicista, non ho particolari obiettivi al momento: essere sere-na, suonare e cantare ciò che sento davvero mio e riuscire a trasmettere le stesse emozioni al pubblico che mi ascolta. In tutto questo, ossia nella voglia di “purezza” e poche con-taminazioni, diciamo così, mi è stato di gran-de aiuto potermi confrontare anche come persona con l’underground della nostra città: credo di aver finalmente capito che solo chi ha qualcosa da dire arriva davvero da qual-che parte. Non sono sicura di avere molto da

Darsi una mano invece che accoltellarsi alle spalle. Che bella idea. Incredibile come, invece, una sì tale brillante pensata non ci baleni in mente come imperativa necessità. Per fortuna ogni tanto a qualcuno viene in mente che, forse, investire delle energie in progetti di utilità co-mune può essere cosa buona e giusta, e fonte di promozione e salvezza.Chiara è una di quelle persone che, parallelamente ad un personale percorso musicale, hanno intrapreso l’impervia via di costituire un orga-nismo attivo e propositivo. Il risultato è un portale, Genovatune che infor-ma su tutti gli eventi in città e regione che hanno per tema principale la musica. Senza guardare in faccia a nessuno il sito veleggia oltre vette di visite inimmaginabili, tanto che è impossibile ormai pensare di parlare della città senza prima avervi fatto un giro. E non dimenticatevi il forum!

METTIAMOCI IN GIOCOGenovatune / Ceanne Mc Kee Intervista con Chiara Ragninidi Matteo Casari

“Credo di essere la dimostrazione vi-vente del fatto che se si crede in qual-cosa, realizzarlo non è impossibile.“

dire musicalmente, in questo momento, ma, personalmente, va bene così!

Quando hai sentito la necessità, se tale è stata, di pensare in grande e, invece di pro-muovere semplicemente le tue doti suonan-do, hai deciso di fondare un portale musica-le?

Nel momento in cui ho scoperto di voler fare qualcosa di costruttivo per me e per chi, come me, aveva bisogno di un punto di rife-rimento in una città che sino a quel momen-to (inverno 2003) di punti non ne aveva mai offerti: volevo un luogo di incontro di tutte le realtà musicali della città, un posto in cui scambiarsi idee, pensieri, parole fra musicisti e semplici ascoltatori; un posto in cui sentir-si parte di un movimento, di un qualcosa di sotterraneo che aveva tutto il diritto di emer-gere in superficie e che da anni ribolliva sotto le strade di Genova. Più o meno, ce l’ho - ce l’abbiamo - fatta.

Genovatune è nato già con questa idea di grande database di date e gruppi locali o il progetto iniziale era diverso?

Inizialmente nacque solo con l’intento di raccogliere più informazioni possibili sugli eventi musicali e di dare spazio a tutti gli artisti della città: mi sembrava un’idea straordinaria avere un censimento di tutti, ma proprio tutti, i musicisti, gruppi e solisti di Genova. Volevo

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conoscerli tutti! E fare in modo che tutti si co-noscessero fra loro. All’inizio ero da sola e Ge-novatune un piccolo sito con neanche una decina di pagine - inclusa quella dei contatti. Con il passare del tempo, il progetto comin-ciava ad incuriosire e aumentava sempre di più la quantità di artisti che volevano uno spazio al suo interno e di informazioni che mi venivano inviate, così da poterlo aggiorna-re quasi settimanalmente. Piano piano altre persone si sono unite ad esso: prima amici, poi volenterosi che sono diventati col tempo amici, ed oggi Genovatune è quella che potete vedere - un portale di rilevanza nazio-nale, da pochissimo divenuto Associazione Culturale. Credo di essere la dimostrazione vivente del fatto che se si crede in qualcosa, realizzarlo non è impossibile. Un pò come lo spot della Adidas : Impossible is Nothing.

E’ interessante domandarsi quali siano le reazioni al tuo sito. A livello istituzionale? A livello di base dei gruppi? A livello di addetti ai lavori?

Partiamo dai gruppi/artisti: spero ottima! Attualmente Genovatune conta 573 fra ar-tisti e gruppi iscritti nel famoso censimento, provenienti da tutta la Liguria. Ho sempre il sentore, però, che, nonostante queste cifre - e le visite quotidiane di accesso al sito, mol-to elevate - gli artisti non colgano appieno l’importanza di un punto di aggregazione come questo. Mi riferisco al fatto che moltissi-mi artisti si iscrivono al portale, molti inviano il loro materiale per ottenere una recensione o intervista, pochi si iscrivono al forum, pochis-simi partecipano alle discussioni. Ah, scusa-te: e moltissimi si fanno pubblicità sul forum :) Mi chiedo perchè: se avessi io ora l’età che avevo quando Genovatune venne al mon-do, non vedrei l’ora di conoscere altri coeta-nei con la mia stessa passione - la Musica! In una città che non offre spazi per questo tipo di espressioni artistiche, un luogo anche vir-tuale di confronto ed incontro è una manna,

secondo me. Ma molti non vogliono - o non sanno - sfruttarla ed utilizzarla a proprio van-taggio, non solo per farsi pubblicità. Ci ten-go a sottolineare che il tutto è senza scopo di lucro: si, Genovatune è gratis. Tutto gratis. Anche noi, che scriviamo gli articoli. Quindi, perchè non approfittarne? A livello di addetti ai lavori: moltissimi frequentano il portale ed il forum e ciò è meraviglioso! Potersi confronta-re con le realtà che operano musicalmente in città. Un’ottima occasione per chi fa mu-sica e per altri addetti ai lavori, che possono incontrarsi e dialogare per cercare di risolve-re insieme eventuali problemi. Livello istituzio-nale: so che qualche persona (soprattutto della stampa locale) frequenta il portale. Pochissimi anche il forum. Genovatune ha bi-sogno di più spazio e più consensi, in questo senso. Non solo a livello economico. Ma non preoccupatevi: ora che siamo Associazione, ci saranno molte sorprese.

Graficamente, ebbi già a dirlo in passato, è un portale curatissimo; anche l’ultima versio-ne di Genovatune mischia colori e chiarez-za comunicativa. Ma, a livello di contenuti, come siamo messi?

Molto bene! Anche se questo giudizio va lasciato ai nostri lettori :-) I contenuti pretta-mente informativi sono tantissimi, troppi. Tra-sbordano da ogni dove. Informazioni delle più varie, dal comunicato stampa del con-certo del big di turno a quello degli emer-genti; dalla scheda del locale a quella della scuola di musica; dalla scheda dell’artista e gruppo, e via dicendo. Fatevi un giro su Ge-novatune per scoprire tutte le sezioni che lo compongono. Vi è poi l’ampia parte reda-zionale, quella curata personalmente da me e i miei redattori: recensioni di dischi, sia liguri che internazionali (in Redazione arriva materiale anche da Giappone e Canada), recensioni di concerti, interviste agli artisti che suonano in città, articoli legati alla sce-na musicale genovese e alla cultura in città.

Spendo una lancia in favore dei redattori e dei numerosi collaboratori che scrivono per Genovatune: si tratta di persone molto com-petenti, ciascune nel suo ambito, laureati e non, appassionati di musica e con grande spirito critico. I quali, come detto in prece-denza, si prestano a tenere vivi i contenuti redazionali del portale a titolo assolutamente gratuito. Ed un appello ai lettori di Compost: se vi piace scrivere di musica e sentite di avere le competenze giuste per lanciarvi in questa impresa, Genovatune accoglie sem-pre a braccia aperte potenziali collaboratori. Scriveteci inviando uno scritto di vostra crea-zione - recensione di disco o di un concerto - indicando la vostra età, nome, cognome,

Chiara - foto di Simone Lezzi

Fanzine

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indirizzo MSN e l’elenco dei generi per i quali vi sentite maggiormente competenti. Man-date tutto a [email protected] e saremo lieti di potervi dare spazio.

Occupandovi principalmente di una sce-na provinciale, per quanto di ampio respiro sul tutta la regione e non solo, non c’è il rischio reale di cantarsela e suonarsela da soli?

Il rischio c’è: per questo da un anno a questa parte abbiamo deciso di ampliare lo spazio dedicato alle recensioni di dischi anche a lavori di respiro nazionale ed inter-nazionale. Paradossalmente, ultimamente arriva più materiale da fuori Liguria che non dalla nostra regione. E’ vero che attualmente Genovatune agisce solo a livello regionale: chissà che un domani non si tenti un’espan-sione? TorinoTune, MilanoTune... MondoTune! A parte gli scherzi, Genovatune riesce a ris-pecchiare - non so e non voglio dirvi se in ma-niera fittizia o meno - una Genova diversa da quella che a molti appare superficialmente. Chi ci guarda da fuori e vede Genovatune intravede una vitalità ed una ricchezza di contenuti e di iniziative che spesso mi chiedo se esista realmente - o non sia solo uno spec-chio d’acqua alterato dai riflessi del sole. L’immagine che voglio dare all’esterno della mia città con questo progetto è, però, di una città viva - anche se lei stessa non lo sa: una città che stiamo tutti cercando di cambiare, di far crescere, di migliorare.

Veniamo, quindi, a Genova. Come sta? Malata, moribonda, febbricitante, sveglia, reattiva, in gran salute? Qual’è il tuo punto di vista di musicista/organizzatrice/promo-trice?

Eccoci al punto dolente :-) Genova è una città strana. Ne parlavo giusto un paio di giorni fa con amici e conoscenti. Non voglio ricadere nella solita spirale infernale dei mu-gugni (“Genova è una città di vecchi”, “Non c’è mai niente da fare”, “Mancano gli spazi”,

e così via), perciò sarò breve. Genova non è una città in gran salute, in generale. Non solo per quanto riguarda i giovani e la mu-sica. Trovo che la nostra città pecchi spesso di presunzione. E’ come se a Genova andas-sero bene le cose così come sono. Che non ci fosse voglia di migliorarsi, di evolversi, di essere produttivi e costruttivi. Penso subito a Milano - la stracitata Milano - dove l’aria che respiri, oltre che ad avere uno strano retro-gusto acidognolo, frutto delle polveri sottili e dello smog, è però pervasa di quel senso di progresso e voglia di fare che qui a Genova manca. A Genova come da altre parti, sia chiaro. E questo strampalato discorso vale per tutte le cose - per la musica, per il lavoro, per i trasporti pubblici. Manca la volontà di rischiare e mettersi in gioco per un possibile miglioramento della situazione. C’è da dire che negli anni la situazione si è evoluta - più del previsto. Sono nate diverse realtà (noi, Di-sorderdrama, Metrodora, e molte altre) che piano piano hanno unito le forze, nel loro piccolo, e sono riuscite a dare una sveglia-ta al torpore generale che aleggiava sino ad una decina di anni fa. Con l’avvento di internet e dei nuovi media c’è spazio per tutti e molti riescono a sfruttarlo adeguatamen-te: parlo del nuovo modo di promuovere le serate, gli eventi, di dare spazio a voci che altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra. Pen-so a myspace, a quanti contatti abbiamo stretto in maniera molto più facile rispetto a prima. I genovesi, forse, piano piano stanno cambiando, la notte bianca di ieri sera ne è l’esempio: tutta la città è rimasta in giro per le strade e le piazze sino all’alba, ad ascoltare musica e a divertirsi. Genova ha bisogno di eventi collettivi per smuovere gli animi: non solo di “grandi concerti”, ma di occasioni di aggregazione, artistica e culturale. Forse sono solo parole al vento, ma non credo che ora come ora l’apertura di un Rolling Stone o un Alcatraz basterebbe a migliorare la si-tuazione musicale in città. Ciò che va fatto è

educare le persone, farle uscire di casa, met-terle in condizione di non poter più dire “Ah, ma io non lo sapevo che..”. Questo, natural-mente, non possiamo farlo da soli. Ci vuole il supporto e l’unione sì delle piccole grandi realtà cittadine, ma soprattutto delle Istituzio-ni e dei Media. In questo senso, il Secolo XIX ci sta supportando molto, ma non è ancora abbastanza. Oltre alla carta stampata, c’è bisogno dell’aiuto di tutto il resto: radio e te-levisioni, fra tutte.

Hai a che fare con tutti, ma proprio tutti, gli operatori musicali e culturali cittadini. Vuoi provare a trarre qualche deduzione dalle lo-giche che li muovono? Grazie a Inferno siete passati dall’altra parte della barricata, im-pressioni?

Mah, azzarderei a dire che la logica è quella del “tirare avanti”. La logica del “e an-che oggi ce l’abbiamo fatta”. Come ho det-to prima, anche in questo senso ci vorrebbe più voglia di rischiare. Di mettersi in gioco. Di investire. Tempo e denaro. A Milano ed al-trove come hanno fatto? Così. Investendo e rischiando. Naturalmente dipende in cosa in-vesti: bisogna avere delle idee e svilupparle, idee sensate e fruttifere. Io credo nel ricam-bio generazionale. Può darsi che fra dieci o vent’anni gli operatori del settore raccolga-no dove altri hanno seminato e la situazione cambi. Speriamo.

Si parla sempre di media deviati. Nel sen-so che hanno tutti intrapreso una strada che, purtroppo spesso, corre parallela, se non in direzione contraria, al bene comune della creatività giovanile. C’è una evidente man-canza di comunicazione tra chi produce e chi diffonde. Ti trovi d’accordo? Cosa si po-trebbe fare per migliorare il rapporto?

Non è mai chiaro se i contatti fra chi produ-ce e chi diffonde manchino per ignoranza, per uno scarso contatto con la realtà under-ground. O ci sia, invece, al di sotto di tutto

Fanzine

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Più info e immagini su http://www.genovatune.net

http://www.myspace.com/ceannemckee

Fanzinequesto una ben precisa volontà di ignorare. Ciò che possiamo fare noi, come piccole e medie realtà locali, è unire le forze e le ener-gie per guadagnare, col tempo, sempre più spazio ed attenzione. Chi la dura la vince!

Un grande classico ormai di Compost. La battaglia al web 2.0. Vorrei chiudere que-st’intervista chiedendoti, in qualità anche di esperta informatica, se e come abbia senso il nuovo mondo on line. Seconde vite e raccon-ti presi per buoni, curiose amicizie a richiesta, geni e capolavori che spuntano come funghi. Che ne pensi? Oltre al forum, Genovatune è aggiornato ai nuovi standard di partecipazio-ne popolare?

Naturalmente si :-) Genovatune ha un suo myspace (www.myspace.com/genovatune) e più di 10.400 amici. Non mi pronuncio su Se-cond Life - che trovo aberrante ed alienante -perciò mi limiterò a dire la mia sul mio spazio. E’ davvero così importante? Dipende. I nuovi luoghi di aggregazione virtuale sono impor-tanti e di facile uso per promuovere le proprie iniziative. Per una realtà come la nostra, un luogo così fruibile come myspace ci ha per-messo di venire a contatto in maniera molto diretta sia con artisti internazionali (i famosi artisti da Giappone e Canada, ed altre par-ti del mondo, come vi ho raccontato prima, che hanno richiesto recensioni ed interviste), sia con etichette discografiche ed agenzie di promozione, mediante le quali riceviamo costantemente nuovo materiale naziona-le da recensire. Sono tutti contatti che un domani potrebbero tornare utili ancheper i “nostri” artisti: penso ad Inferno, il concorso musicale che organizziamo, fra i cui premi vi è proprio la possibilità di entrare in contatto con alcune etichette discografiche - alcune delle quali ci hanno conosciuto proprio gra-zie a myspace. Come artista e musicista, cre-do che myspace sia un gigantesco specchio per le allodole: fatto di utenti che si scambia-no pacche sulle spalle virtuali, che lasciano

commenti positivi sulla tua musica con la speranza di riceverne altrettanti, che ti fanno i complimenti anche senza aver ascoltato un solo secondo delle tue canzoni. Ed è molto difficile distinguere chi ti fa un apprezzamen-to sincero da chi invece lascia un commento solo per inerzia. Perciò, per chi si propone in questi termini, myspace va preso con le pin-ze: senza montarsi troppo la testa se si hanno migliaia di “amici” e si ricevono complimenti da sconosciuti quotidianamente. E lo stesso vale per i profili personali: ho visto persone “brutte” diventare belle, persone sole avere migliaia di amici. Alienarsi per una realtà che è solo virtuale e che sparisce appena spegni lo schermo del pc. A queste persone dico: uscite di casa. Andate in palestra. Andate a ballare. Ad un concerto. Miglioratevi nella vita vera, non con un ritocco su Photoshop,

e siate voi stessi. Perchè ciò che conta è ave-re amici veri, non virtuali. Ribadisco, però, l’importanza di questi nuovi mezzi per farsi pubblicità e stringere contatti: cito sempre come esempio la nostra Marcella Garuzzo, la quale è riuscita a costruirsi un vero e proprio tour grazie a scambi date con altri cantau-tori conosciuti tramite myspace. Va assolu-tamente presa ad esempio. In conclusione: viva myspace, se usato con metodo e con-sapevolezza - e un pizzico di autocritica. Un po’ come per tutti gli strumenti informatici. Ps. Ricordatevi di addarci! :-)

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Da George Michael a Nick Cave pas-sando attraverso Kurt Cobain e, perché no, anche Gian Maria Volontè (almeno nella fisiognomica, me lo concederai). Un percorso difficile di cui non è sem-pre facile seguire le tappe. Puoi fare una concisa mappa su come dai Broncobilly tu sia arrivato a Marti?

Ha! Ha! Difficile sintetizzare, partiamo cosi: mio fratello Aldo suonava e sentiva (e sente ancora) tanta buona musica ne

sono stato influenzato moltissimo special-mente sulla libertà di creare una proprio forma di espressione facendo una band, il cinema l’ ho scoperto più da solo e lo ho approfondito a livello esistenziale. Ho avuto una piccola band punk a 14 anni primo liceo e mi hanno bocciato nel frattempo il techopop e la new wave mi sono entrate nel sangue e a 18 anni ho conosciuto un ragazzo (ricco) (Andrea Linke N.d.R.) che aveva tutti gli strumenti

Marti, Veermer, Broncobilly e quanti ancora ne verranno. An-drea Bruschi, in oltre vent’anni di onorata carriera, ormai prossimo ai quaranta, può vantare un curriculum musicale e cinematogra-fico che quasi lo assurge al titolo di Nick Cave del Tigullio (o della Foce). Tra Buster Pointedexter e Buster Keaton, tra compromes-si e dura realtà, ecco l’immagine di un vero gigione d’altri tem-pi, un crooner nella concezione più classica, eccentrica, genuina.

DA LEXINGTON A SAN FRUTTUOSO

Marti / BroncobillyIntervista con Andrea Bruschidi Marco Giorcelli

“A diciotto anni si commet-tono errori a trenta si impa-ra a sbagliare meglio, se hai una storia prova a raccon-tarla e mai credere a quello che gli altri pensano tu sia”

musicali ed io (povero) tutte le canzoni. Volevo fare una band dark-wave e mi hanno fatto fare del pop con i Bronco-billy. Ci stava.. Avevo 18 anni. La cosa snaturata funzionò a stenti perché non potevo fare quello che volevo. Qualche band di passaggio e confusione post-adolescenziale. Poi tanta fatica, fanta-smi, lutti, pianti e sorrisi. Ho imparato in maniera discreta e personale nel frat-tempo anche a fare l’attore nel cinema ( perché le cose si imparano facendole) e a 30 anni suonati ho ripreso in mano la musica mai dimenticata (avevo un re-pertorio di 100 canzoni o più) e ho inizia-to a fare come volevo io su tutto: musica, estetica , ecc, con collaboratori efficaci e perfetti. Così, dalla necessità esisten-ziale e direi autentica di raccontare sto-rie è nato Marti. concludendo a diciotto anni si commettono errori a trenta si im-para a sbagliare meglio, se hai una sto-ria prova a raccontarla e mai credere a quello che gli altri pensano tu sia.

Smesciarsi

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Smesciarsi

Credi possa essere impossibile mante-nere tanta indipendenza artistica, o una tale apertura di vedute rimanendo in una città come Genova?

Con Genova ho un rapporto strano come tutti penso: amore folle e incaz-zatura. Provo a capirla ma è dura. Sono stato 7 anni a Roma comunque e ho viaggiato molto. Forse, adesso che il mio ciclo a Genova è finito la vivo in maniera tutta mia, anche come paese esotico e malinconico in cui creare. Aggiungerei che Brooklyn è la san fruttuoso di New York.

Non trovi che Roma, con tutte le sue agenzie, i suoi casting, la sua eternità e i suoi miti di cartone, tenda ad appiattire e schiacciare un attore (o un musicista) alle prime armi che la prenda come pun-to di riferimento per farsi le ossa?

In duemila anni Roma non è cambia-ta per niente. Le persone ci vanno per chiedere qualcosa e questo ti mette in una situazione di svantaggio sempre. Chi è li ed ha potere, lo sa e ti aspetta per farsi due risate su di te. Se ci riesci ad andare come spettatore senza tanta ansia ti puoi ancora divertire perché la dinamiche sono sempre le stesse. Chi ha fatto l’attore o il musicista negli anni 60 si è divertito come una bestia da quanto mi hanno detto i miei amici o maestri, ma che ci piaccia o no, le cose cambiano e se ci vuoi andare adesso devi farti molta forza e coraggio perché non gliene fre-ga niente a nessuno e non hanno biso-

gno di te. Simple like that.

Cosa pensi della progressiva diffusione ed espansione delle location genovesi per film e serial televisivi? E’ un aiuto per la città e per le sue risorse umane?

Ma posso solo pensarne bene. Da una parte, con la vecchia Zero Budget abbia-mo anche dato il nostro contributo pro-fondo. Se non sbaglio quando abbiamo fatto il corto in super 35 “Senza Piombo”, erano anni che non si faceva una cosa così se non veniva da Roma. Il movimen-to della Zero Budget ha permesso a mol-

te persone di fare cose e tanta strada. Magari qualcuno adesso fa finta di nien-te, ma è cosi. Sarebbe l’ora comunque che facessero degli Studios in città.

Ricordo una vecchia canzone dei Veermer che parlava di Liza Deeleuw (una ormai misconosciuta pornostar americana anni ottanta,scomparsa di AIDS nel 1993). Che rapporto ha Andrea Bruschi con le donne? Non pensi sia ora di metter su famiglia e moltiplicarsi?

Ha! Ha! Ma la domanda la fai stai fa-cendo a te stesso?!! Povera Lisa, non lo

“Il movimento della Zero Bud-get ha permesso a molte perso-ne di fare cose e tanta strada.“

Marti Live in Piazza dei Truogoli di Santa Brigida - foto di Anna Positano

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sapevo. Comunque penso sia ora di di-ventare immortale, sposarmi e fare due figli e...Oppure stare cosi.. Chissà, mi sembra che la nostra generazione sia in forte crisi su questo. Che rapporto ho con le donne?? Ottimo. Per una risposta più approfondita in tal caso interessasse a qualcuno rimanderei ad uno special su Compost #100.

Da un certo punto di vista, tu hai saltato, o meglio, hai seguito un percorso diverso rispetto a tanti giovani attori che, dopo una buona scuola di recitazione, sono passati alle assi del palcoscenico (spes-so con ruoli striminziti e mal pagati) ac-canendosi al contempo in casting mas-sacranti ed inconcludenti. Qual è stato il tuo percorso per arrivare ad oggi?

Bravo. Io non ho saltato niente perché non esiste una sola strada per fare e per esprimersi. Semmai ho approfondito alla mia maniera perché ho un carattere cosi. Per quanto riguarda il mio percor-so è stato esistenziale e tenace perché queste cose mi interessano veramente quindi con le mie forze ho cercato di essere anche attivo e di spingere la mia azione creando realtà anche se ho anni di esperienza in giri inconcludenti per-ché azionati da persone senza alcuna volontà creativa e costruttiva. Sia come musicista che come attore le cose che non ho appreso in un conservatorio o in una accademia me le sono cercate e assimilate in vari altri modi, sia forma-li facendo corsi o imparando facendo il mestiere, oppure semplicemente perché la vita mi ha preso a schiaffi con morte e tragedie e mi anche spesso accarezzato

con tante gioie che ho incamerato e as-similato e cercato di raccontare nel limiti del mio strumento.

In che rapporti sei rimasto con i tuoi vecchi compagni d’avventura della Zero Budget? Mi riferisco per esempio ad An-drea Linke, Lorenzo Vignolo e Matteo Bonifazio.

Andrea Linke dopo una grande e ro-mantica amicizia nessun rapporto. L’ulti-ma volta che ci siamo incontrati mi ha chiamato per cognome e mi dispiace. Lorenzo Vignolo è il mio caro amico fra-terno con cui condivido tanto. Matteo Bonifazio non è mai stato nella Zero Bud-get, fondata da me e Vignolo.

Quali sono gli artisti genovesi che ri-spetti di più?

Tutti quelli che mi piacciono sia vivi che morti. Tanti musicisti, attori, pittori e creativi. Non posso citarne uno in parti-colare. Diciamo da Bernardo Strozzi ai Meganoidi.

E quelli che rispetti di meno?Non saprei non spendo tempo a pen-

sarci.

Ma perché a Genova l’eroina spopola sempre così tanto? Siamo nel 2007 e Jimi Hendrix è morto da quasi quarant’anni. Tu ti sei mai fatto?

Perché la vita è una dura lotta. Io non l ho mai usata, principalmente perché non me ne fregava tanto e non mi piaceva la faccia che ti veniva quando ti bucavi, quindi l’edonismo aiuta. Ha! Ha! A livello di inconscio collettivo la immagino mol-

to bene, perché l’ ho avuta molto vicino perché sono di san fruttuoso e ne ricordo tanta. Uno dei miei cari amici d’infanzia è morto di overdose. Forse avere avuto vere passioni mi ha tenuto lontano. Co-munque direi che sono un addicted da sette e mezzo in generale.

Se ti dico Ex-Otago, Andrea Ceccon, Mass Prod e Beppe Gambetta, tu che mi dici?

Andrea Bruschi - foto di Angelo Trani

Smesciarsi

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Smesciarsi

Genovesi- artisti- persone che rischia-no. Hanno tutto il mio rispetto = grandis-simi.

E se ti dico Maurizio Crozza, Antonio Zavatteri e Luca Bizzarri ?

Uguale sopra = grandissimi. Con Zavat-teri ci ho lavorato ed è un grande dav-vero.

Non credi che se a Genova venisse una giunta di destra forse la città po-trebbe finalmente esporsi ad un nuovo rinnovamento culturale fino ad ora sco-nosciuto?

Ma non è già di destra?!! Ha! Ha! Più che la destra ci vorrebbe la giunta di San Francisco.

Il Partigiano Johnny, Guido Rossa, Zora la Vampira, ma non è che niente niente sei un comunista?!

Ci vuole ancora un film su Pavese e di-vento comunista a tutti gli effetti.

Il teatro ciba la mente (o almeno do-vrebbe), ma non lo stomaco. Lo scher-mo grande/piccolo ciba lo stomaco (o almeno dovrebbe), ma poco la mente. Soffiare e aspirare non si può si dice da queste parti. E’ vero, o hai affinato qualche tecnica fino ad ora sconosciuta?

So che collezioni da sempre Big Jim e i vecchi Gi Joe della Harbert. Ultimi acquisti?

Rispondo a queste due domande as-

sieme Ho venduto tutta la collezione per ragioni di sopravvivenza ad un dea-ler di Padova (stile Waiting For My Man, ma gli ho venduto i giocattoli). In questo momento né musica né cinema né tea-tro pagano abbastanza ma i giocattoli vintage sì e così, il mio secondo lavoro di recuperare vintage toys, mi ha dato l’ossigeno quest’anno.

Ps: Gi Joe era della Baravelli e la Har-bert distribuiva i super eroi della Mego.

In definitiva, per Genova, sarebbe meglio uno Tzunami o ci bastano i cheap cocktail del Banano?

I cocktail del Banano non sono cheap e l’Italia è sotto uno tsunami dagli anni

80’ sembrerebbe. Volevo anche dire che per la musica, in Italia, non si è più fatto niente dal ’48. E’ assurdo non ci siano lo-cali adatti per suonare. E’ una vergogna. A Genova dove si suona?! A Zena ades-so non penso più, la vivo e basta finché non mi ritrasferisco. Finisco dicendo che sono stato tre mesi a Los Angeles ed è una grossa Sestri levante. Belle doman-de, cari saluti.

“Volevo anche dire che per la musica, in Italia, non si è più fatto niente dal ’48.“

Più info su Marti su http://www.myspace.com/mar-timusic

Andrea Bruschi - foto di Simona Ulloa

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Cronache Vere

Ciao Fabrizio. Volevo iniziare parlando un po’ dei tuoi “anni di formazione”, facendo poi un po’ il paragone con questo “nostro” 2007, talmente diverso per mille aspetti Nella tua biografia in rete (http://linus.media.unisi.it/start/03barile.html) racconti che “Nel 1980 ho sentito la ne-cessita’ di fare parte di quei movimenti antago-nisti giovanili, che stavano nascendo (…) non

avevo coscienza politica, non mi interessava la guerra né il pacifismo, ero una bomba ad orologeria in libera circolazione.“ E’ certo che gli anni ’80 hanno rappresentato molto per il concetto di “Do It Yourself”. Se negli anni ’70 l’influenza delle major, delle grandi produzioni, dell’industria del consumo di massa si è fatto sentire – e questo probabilmente a discapito,

La storia di oltre vent’anni di ideali e passione che bruciano ancora. Fabrizio Barile, in arte Fritz: per-sonaggio eclettico che ha partecipato in prima persona ai fermenti della subcultura punk, skin e Oi! degli anni ’80 e che lo spirito di quei momenti ha catturato - anche a distanza di tempo - nei suoi ricordi e nelle sue fotografie. Un vero portabandiera dell’indipendenza musicale (la sua label punk-OI! “Lanterna Records”) ma anche individuale e culturale che sta alla base di ogni proposito antagoni-sta, di ribellione al conformismo e all’ideologia dominante. E vero e proprio “discomaniaco”, attaccato ai propri memorabilia – dischi, manifesti, flyer e quant’altro – come a preziose testimonianze e tangibili documenti - quali che sono - degli sforzi, della passione e dell’impegno di una “generazione fuori con-trollo” che c’è stata, che speriamo ci sia oggi e che ci auguriamo avrà la forza per esserci in futuro.

DENTRO LA PERIFERIA, FUORI DAL CONTROLLO

Lanterna RecordsIntervista con Fabrizio Bariledi Matteo Marsano

“Ricordo positivamente la grande carica creativa che si materializzava mediante la creazione di fanzines, l’autopro-duzione di demotape e dischi“

più o meno (in)consapevole, dei giovani che seguivano quegli ideali di (utopico?) progresso, purtroppo così palesemente mercificati e resi di tendenza dall’industria dei media e dell’intrat-tenimento, negli anni ’80 si è assistito invece ad un fiorire individualità critiche e autoproduzioni, spesso aggregate a movimenti ben più ristretti, con identità forti e talvolta in contrasto tra loro.

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Insomma, volendo fare un po’ di sociologia spicciola, dalla “massa” la criticità si è spostata verso l’individuo e i piccoli gruppi, forse anche come reazione più o meno nichilista alle disillu-sioni dei ’70. Io – che sono nato nell’82 – queste cose le ho solo viste documentate e riportate dai testimoni; ma tu che c’eri forse puoi farci un resoconto di certo più illuminante di quegli anni, dell’atmosfera, dei fermenti della Genova dei punk e dei concerti…

Negli anni 1978–1980 ho contribuito alla na-scita delle prime radio libere a Genova, dove è iniziato il mio interesse per la musica. Trasmet-tevo programmi musicali e proponevo dischi inusuali per l’epoca (per esempio Joy Division, Cure, Cabaret Voltaire, T.G.) e fra una trasmis-sione in genovese e un’altra di “richieste con dedica“ riuscivamo a portare lo scompiglio via etere. Nello stesso periodo frequentando lo “Psyco”, storico locale genovese, fucina di idee, concerti, incontri, sono entrato in contatto con i nascenti movimenti antagonisti; si era divisi in

gruppi abbastanza chiusi, non c’era molta tol-leranza rispetto agli altri e spesso c’erano zuffe per motivi apparentemente futili. Ho sentito la necessità di diventare uno skinhead perché all’interno del nostro gruppo mi sentivo protet-to e mi relazionavo con ragazzi che amavano le mie stesse cose; la musica, l’abbigliamen-to, l’essere sempre contro, all’inizio non avevo nessuna conoscenza di cosa stessero facendo gli skinheads inglesi e sinceramente non mi im-pegnavo molto per allargare le mie nozioni in seno all’argomento, eravamo un gruppo di 6-7 skinheads particolarmente aggressivo e per questo eravamo rispettati e temuti. Non ama-vo i punks anarchici perché la loro organizza-zione e coscienza politica non era in sintonia con la mia voglia disordinata di fare casino, non amavo i darks con i loro capelli cotonati e le loro menate sulla tristezza, non mi piaceva-no i mods perché i loro vestiti sempre perfetti li rendevano dei manichini, non mi piacevano i metallari, non mi piacevano i paninari, non mi piaceva il ciuffo dei rockabilly, non mi interes-sava la politica. Come skinheads a Genova, non avevamo molti posti dove andare, spesso nei locali non eravamo ammessi e in qualche bar potevamo entrare solo dopo aver tolto le stringhe ai nostri scarponi, se poi consideri che eravamo sotto costante monitoraggio delle forze di polizia puoi immaginare che non era per nulla semplice realizzare le nostre “ brava-te”. Del primo periodo ricordo positivamente la grande carica creativa che si materializzava mediante la creazione di fanzines, l’autoprodu-zione di demotape e dischi; i posti dove potevi organizzare dei concerti erano pochissimi, e spesso le serate terminavano al pronto soccor-so dell’ospedale Galliera. Trascorso il periodo di massima ribellione, mi sono concentrato maggiormente sulla scoperta delle origini del

movimento, e ne ho acquisito una maggiore coscienza. Verso il 1984-85, in concomitanza con una degenerazione politicizzata del movi-mento skinhead , trovavo a me più congeniale iniziare una seconda fase “piu’ matura” ; avevo stretto rapporti di amicizia con punk anarchici , cominciavo ad ascoltare qualche disco dei Crass ( che fino a quel momento avevo ban-dito dalla mia collezione ), ricercavo dischi di musica ska degli anni sessanta e ho iniziato a coltivare la passione per la fotografia e per ogni movimento antagonista

Se è vero che dagli anni ’90 in poi la parola chiave è stata “individuo” – con tutti gli annessi e connessi - in questo primissimo scorcio di ven-tunesimo secolo assistiamo ad uno strano feno-meno, con questa spinta all’individualismo an-cora più marcata (penso anche a come molte aziende offrano servizi modellati sull’esigenza del singolo “consumatore”), e al contempo il diffondersi a macchia d’olio delle tecnologie informatiche, del cosiddetto Web 2.0, di tutti quelle possibilità che dovrebbe aiutare le per-sone a fare network, a scambiarsi i pareri e i frutti

Cronache Vere

Fabrizio Barile

Il Porto di Voltri - foto di Fabrizio Barile

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Cronache Vere

del proprio operato: insomma ad aggregarsi in nome di un idea o di un progetto comune. Ep-pure, anche così, si fatica – e stiamo parlando ovviamente di Genova – a respirare quell’aria di effervescenza, di forte motivazione “dal basso” che caratterizzava, probabilmente, le iniziative e i movimenti che ti hanno visto partecipe due buoni decenni fa. Sei d’accordo? Come vedi la questione dell’ ‘internet networking’ (tu che mi hai detto di fare largo uso di questo mezzo), le sue luci e le sue eventuali ombre?

Nei primi anni ottanta non era neppure lon-tanamente immaginabile lo sviluppo dei mezzi di comunicazione che da lì a qualche anno si sarebbe attuato. Eravamo abituati a lunghe attese prima di ricevere il disco acquistato o la lettera dell’amico inglese, ma non per questo eravamo meno attivi e creativi delle nuove ge-nerazioni; certo le attuali “possibilità’“ hanno accorciato i tempi morti e hanno reso possibile una comunicazione in tempo reale. Fantasti-co! La mia preoccupazione e’ che anche In-ternet venga sottoposto a controllo eccessivo; in tal caso occorrerà cercare nuovi sistemi per comunicare. In linea di massima sono comun-que favorevole allo sfruttamento di ogni mezzo tecnologico che semplifichi la vita.

Tu ti autodefinisci “foto/discomaniaco”. Per te che significato ha – al di là di testimoniare la tua passione per il “nostro” mondo, quello di cui anche Compost si occupa e di cui è (o ci auguriamo che sarà) parte - il collezionismo di flyer, fanzine, dischi e tutto il resto? In che modo giustifichi (se mai che ne fosse bisogno) una passione così forte come la tua?

Innanzitutto penso che una passione, in

quanto tale, non debba essere giustificata. La definizione sopracitata mi e’ stata richiesta dal-l’organizzatore di un dibattito dal titolo “ DI/VER-SI DI/SEGNI DI/SUONI “ che si e’ tenuto nel corso delle manifestazioni di “Marea 2007” a Fucec-chio in Toscana; insieme a Freak Antoni degli “Skiantos” e a Davide Toffolo dei “Tre Allegri Ragazzi Morti”, si e’ dibattuto sul tema generale del rifiuto, inteso come atto volontario di diver-sificazione rispetto all’ordine precostituito. Nel pannello di presentazione del dibattito c’era la necessita’ di riassumermi in “una battuta” e così mi sono definito un foto/discomaniaco, e penso che sia molto vicina alla realtà dato che dedico molto del mio pochissimo tempo libero alla ricerca (maniacale) di dischi stampati nel mondo nel periodo 1976–1985, di poster di con-certi, di flyer, di badges, fanzines e di ogni altro oggetto inerente. Nei primissimi anni ottanta ero troppo impegnato a pogare sotto i palchi e nonostante fossi già un accanito compratore di dischi, non avevo ancora completamente sviluppato questo interesse. Nei successivi venti anni e’ stato un crescendo che mi ha travolto e che ormai e’ parte di me.

Nel 2005 hai curato nell’ambito della manife-stazione “Magliette Strappate” a Savona, la mo-stra fotografica “Skin & Punks: Una Generazione Fuori Controllo (presentata originariamente due anni prima presso la Feltrinelli di Genova). Vuoi parlacene un po’? Nella presentazione scrivi che “(…) casualmente la mia Generazione Fuori Controllo ha coinciso con quella di punks e skinheads. Ma è solo casualità. Avrei potuto fotografare i teddy boys, i greesers, i rappers, gli skaters o chissà chi altro.” Secondo te c’è ancora spazio nell’era della globalizzazione (economica ma anche culturale, linguistica, ecc.) per una “generazione fuori controllo”? E

se sì, da chi è rappresentata, a tuo avviso? A questo proposito, ho visto di recente una t-shirt ironica ‘figlia di questo tempo’ che mi ha fatto riflettere: c’era stampato: “Sono punk e pago con il bancomat”. Adesso che anche le istanze più estremistiche di ribellione all’industria cultu-rale (e non) sembrano essere inglobate in un sistema teso a renderle accettabili ed inoffen-sive, adesso che tutti i taboo sembrano essere stati infranti, ora che la disillusione e il cinismo, fomentate dal consumismo ormai saldamente radicato nel mondo occidentale, sembrano uccidere sul nascere ogni proposito di costruire di alternative, in che modo è possibile “essere contro”?

“Le generazioni fuori controllo sono esistite in passato e sono destina-te ad esserci anche nel futuro. “

Nabat - foto di Fabrizio Barile

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La Manifestazione “Magliette Strappate“ si e’ sviluppata nel corso del pomeriggio e del-la sera ed e’ stata divisa in vari appuntamenti. Nelle ore pomeridiane era possibile visitare una interessante esposizione di magliette italiane e straniere, principalmente dedicate a sogget-ti di gruppi musicali punk e skin anni ’70 - ‘80, in aderenza allo spirito di quel periodo, molte era state autoprodotte e confezionate artigia-nalmente. Nelle ore serali, in un altro locale ho esposto le mie foto e i Klasse Kriminale hanno suonato per il pubblico presente. La mostra del 2003 presso la libreria Feltrinelli e’ stata molto importante perché con essa ho autoprodotto in mille copie il libro/catalogo. Nella seconda

parte della domanda mi chiedi se c’è ancora spazio per una generazione fuori controllo. Non ho nessun dubbio in proposito, le generazioni fuori controllo sono esistite in passato e sono destinate ad esserci anche nel futuro. Ritengo che la globalizzazione economica e culturale non possa cancellare l’intelligenza degli indivi-dui e la loro attitudine ad essere parte del con-cetto espresso dalla frase “una generazione fuori controllo“; certamente e’ il periodo storico che influenza le scelte generazionali , renden-dole uniche. E’ insensato l’ottuso tentativo di rivivere ai giorni nostri la stessa ispirazione dei punks della prima ora, e per lo stesso motivo è irragionevole il continuo “incensamento” dei

tempi che furono a discapito di quanto di po-sitivo avviene ai giorni nostri. Inoltre, l’aneddoto della maglietta, che tu hai riportato, è l’esem-pio tangibile di una commercializzazione del punk avventa nel corso di questi ultimi anni, che lo ha depurato di ogni contento originale riducendolo ad un fenomeno da baraccone. Decine di gruppuscoli che si autodefiniscono punk, possono contare su continui “passaggi“ su televisioni compiacenti, ma in realtà non hanno nulla a che fare con alcun movimento antagonista. Questa mancanza di contenuti e di progetti ha indotto un generale senso di am-morbidimento con conseguente rilassatezza di una parte delle generazioni più giovani, che, estremizzando, dovrebbero cominciare a scri-vere meno email e a rompere più teste. Penso infine che la vostra decisione di creare una fan-zine come questa sia un segno tangibile della vostra appartenenza alla generazione fuori controllo cui fate riferimento, la vostra creatività vi ha portato lontano dai canali tradizionali di comunicazione e avete sentito la necessita’ di lavorare ad un progetto comune. Voi siete già parte della odierna “generazione fuori control-lo“.

So che hai tenuto un seminario sulla fotogra-fia all’Università di Siena. Leggo che ha iniziato a occuparti di fotografia nel 1989, che hai allestito le prime mostre tra il 1992 e il 1995 – inclusa una mostra fotografica sui monumenti cimiteriali di Staglieno, e che uno dei tuoi obiettivi è “susci-tare imbarazzo e fastidio nello spettatore”. Ti va di approfondire un po’ questi temi, parlandoci del tuo personale rapporto con la fotografia, di quelle che ritieni essere le potenzialità e le caratteristiche di questo mezzo, e infine del tuo rapporto con la Genova dei quartieri popolari e dei suoi abitanti, forse il soggetto più caratteri-

Staglieno - foto di Fabrizio Barile

Cronache Vere

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26 CMPST #4[09.2007]

Per contatti: [email protected]

stico della tua fotografia? Nel marzo 2007 ho tenuto un convegno dal

titolo “Elementi Essenziali di Fotografia Crea-tiva“ presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena, che era stato inserito in un ciclo di seminari dal titolo “Tecnologie applicate alle arti“. E’ stata una esperienza in-teressantissima ed e’ stata la prima volta che ho condotto una lezione universitaria. Oltre alle foto di punks e skinheads ho lavorato ad una mostra sui monumenti cimiteriali di Staglieno. Ho scattato anche molte foto di vita notturna, nei sottopassi genovesi, e in generale nelle periferie urbane, dove mi trovo a mio agio. Per quanto riguarda le foto provocatorie a cui fai riferimento nella domanda, fanno parte di un lavoro che ho iniziato e interrotto più volte. L’in-tento e’ quello di presentare immagini dal con-tenuto fortemente provocatorio con lo scopo di imbarazzare/infastidire l’osservatore. Non so se in futuro terminerò la mostra di queste im-magini che fino ad oggi sono rimaste inedite. Ho iniziato a fotografare verso la fine degli anni ottanta, frequentando un circolo fotografico genovese , dove ho appreso le tecniche di stampa e di ripresa, ho anche approfondito gli argomenti comprando alcuni volumi di tec-nica fotografica e manuali di camera oscura. Inizialmente, come tutti i fotoamatori inesperti, scattavo disordinatamente centinaia di foto-grammi con differenti soggetti e situazioni; poi ho avvertito la necessità di procedere seguen-do un sistema più’ razionale. Scelto un soggetto sviluppavo una “ storia fotografica” composta da una decina di scatti e successivamente li montavo su pannelli per ottenere l’effetto fina-le. Il passo successivo e’ stato quello di scegliere argomenti più complessi e comporli con una sessantina di immagini. I soggetti che prediligo sono effettivamente rappresentati dalle peri-

ferie urbane dove l’uomo e’ compresso dalle gettate di cemento, dalla disoccupazione e dal disagio sociale .

Chiudo quest’intervista ringraziandoti per la

disponibilità e chiedendoti di parlarci un po’ dei tuoi progetti per il futuro. So che stavi orga-nizzando una mostra sulla Street Art (di cui sei anche vorace collezionista), e immagino che sarai impegnato con la realizzazione di altri progetti, inclusi quelli con la tua label…

In occasione del trentennale della nascita del punk, nel giugno 2007 ho allestito una mo-stra presso la libreria genovese “Books in the Casba“ dal titolo “No Beatles , Elvis or Rolling Stones In The Years of Anarchy and Chaos“, curando una esposizione di dischi e memora-bilia dell’epoca che ne valorizzasse l’autopro-duzione caratteristica del periodo. Dato il buon successo di visitatori, ho deciso, insieme agli organizzatori, di prolungare l’esposizione fino ai giorni nostri; anzi , colgo l’occasione per invitare i vostri lettori, che non l’avessero ancora vista, a recarsi presso la succitata libreria. In questo momento sto lavorando , insieme ad un amico alla realizzazione di un fumetto ispirato a brevi racconti che scrivo saltuariamente. Sono sto-rie urbane di persone che perdono il contatto con la realtà , vivendo in un mondo parallelo , talvolta violento altre solitario. La parte grafica e’ ancora in fase di esecuzione e mi auguro di poterlo stampare nei prossimi mesi. Ho anche ripreso l’attività’ con la mia label “Lanterna Records” e dopo il singolo dei Gangland, una storica band skinhead degli anni 80, sto produ-cendo un disco dei Dangerous Chickens, un interessantissimo duo spezzino che suona un abrasivo rock’n’roll che non lascia prigionieri sul campo! In futuro vorrei realizzare anche un al-tro libro fotografico ma non ho ancora deciso

se dedicarlo nuovamente a punks e skins o se includere altre immagini realizzate con skaters e altre realtà giovanili. Proprio in questo con-testo vorrei intensificare i rapporti con gli artisti che hanno fatto della “street art “ la loro mis-sione. Possiedo centinaia di foto dei loro mes-saggi murali ma vorrei conoscere meglio i loro progetti e motivazioni. Sono io che ringrazio Voi , per lo spazio che mi avete concesso e per la vostra decisione di realizzare questa fanzine.

Cronache Vere

Centro Storico - foto di Fabrizio Barile

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Mi incontro con gli Aparecidos in piazza Cari-camento in un fresco pomeriggio di inizio settem-bre, proprio davanti a quella scritta “Bruno dacci i soldi” che fa quasi da cartello d’ingresso a Piaz-za Banchi e che ormai è diventata un inno per questo gruppo genovese. Mentre con Santiago è Facondo Moreno, i due chitarristi argentini del-la band, aspettiamo il contrabbassista Tommaso Rolando è proprio il primo di questi due a tirare in ballo quella frase “Prima o poi scopriremo chi è questo Bruno, il pezzo nacque per caso ma or-mai è diventato un nostro simbolo”. Con l’arrivo di Tommaso ci dirigiamo verso i tavolini di un bar chiuso per iniziare questa chiacchierata sulla musica degli Aparecidos, sulla loro storia e sulle esperienze personali di questi tre musicisti.

Partiamo dalla storia del gruppo. Qual è il per-corso degli aparecidos?

Facundo: Nostro padre ci aveva iscritto a un

concerto per gruppi emergenti e ha messo lui il nome.

Santiago: L’ha preso dal nome con cui chia-mavo gli gnomi che facevo e vendevo alle ban-carelle di artigianato di Sestri Levante. Anzi, a dirla tutta siamo arrivati in Italia tra il 2001 e il 2002 proprio facendo questi mercatini.

F.: In quel periodo facevamo le scuole serali qua a Genova, e lì conoscemmo Mattia Tom-masini, il violinista del gruppo. Decidemmo di suonare assieme un paio di canzoni, pensa che già allora facevamo il tre “Lagrimas de tierra” che poi è finita anche nel cd. Iniziammo così a provare all’ultimo piano della scuola.

S.: Noi suonavamo già spesso per strada e ogni tanto Mattia veniva con noi. Iniziammo come trio chitarre e violino suonando ogni tanto nei bar e intanto provavamo vari musicisti, finchè un giorno mentre suonavamo in Piazza Lavagna conoscemmo Tommaso tramite la sua ragazza

e iniziammo a provare in quattro a casa nostra.Tommaso: La prima volta però vi avevo visti a

San Lorenzo, ricordo che il sassofonista dei Calo-mito venne a parlare con voi, poi un’altra volta vi avevo sentito suonare a una manifestazione a Caricamento. Comunque poco dopo chiamai Santo Florelli a suonare la batteria e lì iniziammo a creare un po’ di canzoni fino al nostro primo concerto a Bogliasco.

F.: Oltretutto avevamo già fatto una registra-zione io, Santiago e Mattia in presa diretta con Mattia Cominotto dei Meganoidi.

T.: In quel periodo, nel 2004, i tempi erano mol-to dilatati e capitava anche di suonare in trio senza Mattia al violino.

S.: Le cose però sono cambiate con l’inizio della collaborazione con il teatro della Tosse. Un giorno stavamo suonando per strada e ci ha sentito Marina Petrillo, la responsabile degli spet-tacoli, ci ha fatto ascoltare al regista Sergio Mai-fredi e lui ci ha inserito in uno spettacolo, “Froken Julie” di August Strindberg.

Direi che la collaborazione con il teatro del-la Tosse è andata più che bene. Mi incuriosisce molto il vostro spettacolo: “Malevo, il vento ti spinge a terre strane”, come è nato questo pro-

Gli Aparecidos, con il loro miscuglio tra musiche sudamericane, folk e influenze jazz, sono sicuramente uno dei gruppi genovesi che più mi han-no impressionato quest’anno tra quelli che ho avuto modo di sentire. Fre-schi di realizzazione di un ottimo cd abbiamo fatto questa chiacchierata sulla loro storia, la loro musica i loro progetti anche diversi dalla band.

AZZARDI SPONTANEIAparecidosIntervista con Santiago, Facondo e Tommaso.di Daniele Guasco

“Nei primi tempi in cui viveva-mo qua le nostre canzoni era-no molto malinconiche per la nostalgia di casa, ma an-che perché questa città ten-de a creare quella atmosfera“

Import

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28 CMPST #4[09.2007]

getto?S.: Lo spettacolo nacque proprio a seguito

delle esperienze lavorative con il teatro.T.: La cosa bellissima ma che al tempo stesso

ci spiace ancora fu che la sala era talmente pie-na che fummo costretti a malincuore a lasciare fuori molta gente.

Non ho visto lo spettacolo purtroppo, ma da quel che ho letto era caratterizzato da un fortissi-mo messaggio politico e sociale.

S.: L’intenzione era proprio quella di sfruttare questa opportunità che ci aveva dato il teatro della Tosse per dire qualcosa. Il malevo è un ti-pico personaggio immigrato in Argentina che si ritrova escluso dalla società, è un uomo che vive per strada arrangiandosi come può ma con dei principi molto forti, molto dignitoso nonostante sia un perdente. Nel nostro spettacolo questa figura era rivissuta qua in Italia, dove molte per-sone emigrano per ragioni politiche od econo-miche, una esperienza che abbiamo vissuto anche noi così come molti altri. Siamo così riusciti a parlare di dittatura, di desaparecidos.

T.: Abbiamo anche chiamato Daniel, il padre di Santiago e Facundo, che quando stava in Ar-gentina era un attore, e Antonio Tancredi (attore e regista teatrale. nda.) a cui è piaciuta subito l’idea. Insieme hanno preparato una specie di dialogo con delle letture il quale si svolgeva du-rante il concerto, un discorso molto ironico ma al tempo stesso molto cattivo nel puntare il dito sulle colpe della Chiesa o sull’atteggiamento menefreghista dei politici occidentali, comunisti compresi, nei confronti della grave situazione argentina durante la dittatura.Alcune persone

durante questi dialoghi sono arrivate al punto di alzarsi e andarsene…

La vostra attività live però non si è fermata cer-tamente a Genova, ho visto che avete fatto un buon numero di date in giro per l’Italia in questi anni e persino una tuornè in Russia.

T.: Le date italiane sono nate per passaparola, nella maggior parte dei casi grazie all’aiuto di altri ragazzi argentini, sia a Roma che nelle bel-lissime esperienza dei festival di teatro di strada come quello di Ghironda a Martina Franca.

F.: Nei concerti in Russia invece eravamo solo io e Santiago, accompagnavamo la cantante Tatiana Zakharova.

Torniamo sulla musica degli Aparecidos. La caratteristica che mi piace di più delle vostre canzoni è l’incredibile coesione che riuscite a creare tra le diverse contaminazioni, nelle vo-stre note vivono benissimo insieme la musica per chitarra argentina, il jazz e il folk, creando un suono praticamente inedito nella sua composi-zione. Come siete riusciti a raggiungere in così poco tempo una unione così precisa e al tempo stesso originale?

S.: Penso che questa unione sia nata in manie-ra molto naturale.

T.: Nella prima fase degli Aparecidos io e San-to ci adattavamo più che altro. Dopo un certo periodo però pur venendo la maggior parte del-le prime idee da Santiago e Facundo le canzoni hanno iniziato a nascere in maniera più corale e spontanea. Non abbiamo neanche dei modelli di riferimento unici, ognuno ha il suo bagaglio musicale e i suoi gusti, tanto che se ti capita di finire in macchina con Mattia non c’è da stupirsi se dall’autoradio escono le canzoni della com-pilation del festivalbar. Per quanto queste basi siano realmente diverse per ognuno di noi siamo

comunque riusciti a unirle spontaneamente in una buona convivenza.

S.: Trovo difficile parlarne. Nel disco ci sono parti folk, assimilabili alla musica popolare che si punto in bianco vedono esplosioni alla Calomito per mano di Tommaso.

F.: Si alla fine non cediamo a nessun genere in particolare.

T.: Ci ha aiutato molto anche il fatto che ormai in questi anni siamo diventati realmente amici anche al di fuori della sola esperienza musica-le, tanto che poco tempo fa sono andato in

“Alcune persone durante que-sti dialoghi sono arrivate al punto di alzarsi e andarsene.“

Tommaso Rolando - foto di Anna Positano

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Argentina con loro conoscendo anche la loro famiglia.

Volevo chiedere a Santiago e Facundo com’è la situazione musicale in Argentina dato che ol-tre a esserci nati e cresciuti ci tornano spesso.

S.: Noi veniamo da un piccolo paese total-mente privo di influenze straniere, non solamente nella musica, non c’erano immigrati di altri posti dalle nostre parti.

F.: La musica come molte altre cose è vista in maniera molto tradizionale e nazionalista quindi è ben difficile se non impossibile ascoltare in Ar-gentina musica americana o europea.

S.: In Argentina può capitare persino di trova-re gruppi di ragazzi che definiresti punk ma che suonano tango. Anche il gruppo metal tamar-ro Alma fuerte inserisce spessissimo musica del folklore argentino nei suoi pezzi.

T.: Quando sono andato in Argentina con loro sono rimasto veramente colpito da come nella spiaggia del campeggio dove stavamo i ragaz-zi invece di suonare canzoni tipo quelle che si sentono dalle nostre parti suonavano dei tanghi splendidi.

Genova invece come ha segnato la vostra musica?

F.: Nei primi tempi in cui vivevamo qua le no-stre canzoni erano molto malinconiche per la nostalgia di casa, ma anche perché questa cit-tà tende a creare quella atmosfera. Più che altro ci ha aiutato tantissimo suonare con altri musicisti di queste parti.

Infatti volevo chiedervi anche cosa ne pensa-te del panorama musicale cittadino.

S.: Io trovo che ci sia una bella solidarietà tra i musicisti che possono essere più o meno vicini tra loro, non solo come genere.

T.: Genova alla fine è un piccolo paese che sembra una città, ci si conosce tutti fra chi suona un certo tipo di musica ed è anche molto facile collaborare. Noi con gli Aparecidos abbiamo creato una specie di gruppo aperto, pronto ad accogliere spesso e volentieri la partecipazione di altri musicisti cittadini come Marco Ravera che ci ha insegnato come una chitarra elettrica pos-sa non stonare per niente sulla nostra musica, queste collaborazioni ci stanno facendo cresce-re molto, così come la possibilità di suonare sia in due che in dieci. Non so se queste cose sareb-bero potute succedere in altre città.

S.: Ad esempio un gruppo a cui dobbiamo tantissimo sono gli En roco, ci hanno aiutato a trovare delle date fuori da Genova e ci hanno nominato spesso nelle interviste. Abbiamo an-che suonato insieme qualche volta e sono state esperienze splendide.

F.: Sono queste le cose che ci fanno apprez-zare tantissimo Genova e il suo panorama mu-sicale.

In questi ultimi anni a livello sia internazionale che nazionale sta avvenendo una riscoperta della musica folk del proprio paese e non solo. Basta pensare a Beirut o agli A Hawk and a hacksaw con cui avete diviso il palco del Burid-da la primavera scorsa, o restando più vicini ai nostrani Ronin. Avendo gli Aparecidos una forte caratterizzazione folk nella loro musica cosa ne pensate di questo fenomeno?

F.: Secondo me sono dei cicli che si comple-tano e continuo. Trovo strano il pubblico attua-

le, mi è capitato di andare a sentire degli ottimi gruppi rock e non vedere nessuno ballare o an-che solo muoversi intorno a me, mentre magari con la musica popolare la gente inizia a saltare e a danzare.

T.: Io suono anche con l’Orchestra Bailam che è tipicamente folk e quando suoniamo dal vivo i giovani, particolarmente nel sud Italia, sono cal-dissimi per questo tipo di musica. Basta pensare anche alla riscoperta delle tarantelle.

F.: Oppure anche alle orchestre di immigrati che suonano la musica dei loro paesi d’origine come quella di piazza Vittorio a Roma, ne è nata una anche qua a Genova.

S.: Si creano dei bei miscugli e ogni tanto ne nascono anche delle cose nuove e interessanti.

T.: Secondo me comunque più che altro si trat-ta di un ritorno alle origini, alle proprie radici. A me manca totalmente la musica folkloristica del mio paese e probabilmente quando troviamo un legame con questa ne andiamo matti. La mia ragazza sta prendendo lezioni di fisarmonica con un maestro anziano che le sta insegnando a suonare i pezzi classici della tradizione italiana. Mia madre che mi guardava perplessa quando le facevo ascoltare i Calomito sentendola men-tre si esercitava mi ha detto di conoscerle quelle canzoni.

Vorrei approfittare della presenza di Tommaso per chiedergli due cose anche sui suoi altri pro-getti. Particolarmente i Calomito: è un po’ che non sento parlare del gruppo, che fine ha fatto?

T.: I Calomito sono il progetto nasce con i com-pagni di scuola, che cresce come unico pen-siero per tutta l’adolescenza, ma che poi trova le sue difficoltà per più motivi. Quelle che com-poniamo non sono canzoni è musica ostica, e in più ora siamo cresciuti e magari alcuni membri originari si sono anche allontanati da Genova,

“Queste collaborazioni ci stanno fa-cendo crescere molto, così come la possibilità di suonare sia in due che in dieci. Non so se queste cose sareb-bero potute succedere in altre città.“

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come il sassofonista che ora vive a New York, o il batterista che vive a Roma e lavora come fo-nico. Mancano le occasioni ma siamo in fase di rigenerazione con nuovi membri come Nicola Magri (già nei K.c.Milian, nei Sensasciou e con me nei Soyuz). Sta cambiando il modo di elabo-rare i brani dato il poco tempo a disposizione, ora arriviamo ognuno con gli spartiti già pronti e con l’idea di quello che vogliamo fare come schele-tro dei pezzi, pur essendo sempre stati molto lenti però stiamo già preparando i brani per un nuovo disco.

Secondo me è sempre stato impossibile dare una definizione unica di jazz, ognuno ha il suo modo di suonarlo e per me i Calomito ne ave-vano uno a mio vedere incentrato sul giocare con la serietà che normalmente caratterizza questa musica.

T.: Si esatto, con i Calomito l’aspetto ludico è sempre stato indispensabile anche se non pen-so che si tratti effettivamente di un gruppo jazz pur essendoci avvicinabile. Io ho sempre odia-to l’ambiente da jam session competitiva così come la marchetta da turnista, pur avendone fatte diverse, pensavo di poterne imparare qual-cosa, invece si impara molto di più suonando il più possibile con diversi progetti, facendo più esperienze in cui però puoi dire la tua sulla mu-sica che si suona. Coi Calomito eravamo arri-vati a un incrocio tra scrittura e improvvisazione, succedeva di andare a fare concerti senza sta-bilire neanche una tonalità precedentemente, ci piaceva stupire e prendere in giro allo stesso momento l’asocltatore.

Come possono essere collegati i Calomito e gli Aparecidos?

T.: Entrambi i gruppi si basano sulla spontanei-tà, sugli azzardi.

Del tuo progetto solista Stoni invece cosa puoi raccontarci? Ci sono anche con lui collegamenti con gli Aparecidos?

T.: Stoni è un progetto acerbo, in divenire. Pro-babilmente molti assoli degli Aparecidos posso-no essere avvicinabili, il giocare con i rumori, con le stoppature e gli sfregamenti delle corde. Nelle parti più improvvisate degli Aparecidos questo succede spesso. Stoni comunque alla fine è una mia valvola di sfogo che tengo sempre aperta. Non è un ascolto semplice ma mi sembra che in Italia ultimamente questo modo di fare musica stia prendendo molto piede. Io non faccio però niente di nuovo, sono quasi più legato a musiche sperimentali degli anni settanta.

Per finire questa intervista, avete appena finito un cd autoprodotto, quali saranno i prossimi pas-si degli Aparecidos:

S.: Ora vogliamo trovare un’etichetta per il di-sco prima di tutto. Ora più che mai vorrei uscire da Genova, qua ci troviamo molto bene anche con l’innesto di Manuel, il nuovo percussionista e il pubblico cittadino è fantastico ai nostri con-certi, ma vorrei portare la nostra musica anche fuori città in maniera meno sporadica di come abbiamo fatto finora.

T.: Il disco è nato comunque in anticipo sui tempi che sarebbero serviti. Non eravamo pronti secondo me, ma Santiago doveva andare per otto mesi in Argentina quindi avevamo fretta. Ci andò veramente di fortuna con i soldi per realiz-zarlo. Volevamo fare un lavoro professionale con Federico “Bandiani” Lagomarsino nel suo studio ma non avevamo i fondi. Successe che Marina

“vorrei portare la nostra mu-sica anche fuori città in ma-niera meno sporadica di come abbiamo fatto finora.“

Petrillo, come una cosa caduta dal cielo, come se fosse destino, ci chiamò per suonare a Impe-ria a Grock festival con come compenso proprio la cifra esatta che ci serviva. Ovviamente ne ab-biamo felicemente approfittato.

S.: Comunque le priorità ora sono far girare questo disco il più possibile e come sempre suo-nare tantissimo.

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Più info sugli Aparecidos su http://www.myspace.com/apa-recidos

Aparecidos - foto di Anna Positano

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Indie Maphia For Dummies

Proprio un bel ginepraio quello in cui mi sono cacciato dando questo titolo alla mia column, ma ormai la frittata è fatta e quelle quattro pa-role insieme mi piacciono ancora. Ciò non toglie che arrivato alla scadenza per la consegna del mio quarto intervento mi sono trovato privo di idee su cosa scrivere, o meglio, su cosa avevo effettivamente voglia di scrivere. Come chiun-que si trovi in questa situazione ho quindi deciso di fare un giretto su internet e tra qualche mp3 in anteprima trovato girando sui blog e un paio di dichiarazioni da brividi sono finito sul sito di Repub-blica nel quale mi sono imbattuto in un paio di foto che mi hanno fatto capire che c’è una cosa che manca fin troppo spesso nel mondo indie più o meno duro e puro: le storie. Le foto erano quelle dell’esibizione di Britney Spears agli Mtv music awards americani, una diva impacciata e soprappeso che si umilia davanti a milioni di spettatori per la gioia del gossip. Britney Spears è la Barry Lyndon della musica mainstream mo-derna, la sua è una parabola discendente en-tusiasmante ed avvincente. Ormai una decina di anni fa appare uscendo dal nulla questa ra-gazzina acqua e sapone che tra ritornelli facili e balletti adolescenziali si fa subito riconoscere per dichiarazioni pro-verginità degne di Don Giussani e per l’atteggiamento innocente, la figlia che tut-te le mamme d’america avrebbero voluto ave-re. Non sono un biografo, e non posso negare che le vicende della carriera di Britney avvenute in quegli anni a cavallo della fine del millennio mi sono abbastanza oscure, quello che so per cer-to è che qualche anno dopo, magari sentendo che la minestra che serviva iniziava a diventare fredda, decise di tirare fuori il suo lato da maiala, shockando mamme, bambine, bambini e coni-glietti. L’apice di quel momento resta il bacio saffi-co con Madonna, una trovata a dir poco genia-le. Poi si è sposata, ha avuto un figlio (credo solo uno) ed è iniziato un tracollo degno di Scarface il cui primo passo (vado a memoria) credo sia il

“Special Report” sulla scena indie americana (http://edition.cnn.com/SPECIALS/2006/indie.scene). Report che vi consiglio ovviamente di andare a spulciare, pieno com’è di spunti di riflessione (vedi incipit). Quel che mi sento di riportare in questa sede sono un paio di frasi di Ryan Schreiberg, editor e fondatore del cele-bre/famigerato Pitchfork Media (http://www.pitchforkmedia.com), il quale commenta così l’avanzata delle major nel playground indipen-dente, e l’influenza dello stereotipo “indie” nel-le politiche delle grandi etichette “(…)Smaller music labels, eager for financial success on a wider scale, have adopted business practices of major labels once considered anathema in the scene, like hiring PR firms and street teams to market their records and licensing songs to advertising companies. Conversely, major la-bels and film studios now use the indie tag to market authenticity, often slapping an indie label on a piece of art, even if the label isn’t ne-cessarily accurate, to attract a hipper, younger demographic eager for original and offbeat entertainment.” “Indie”, nell’ottica della cultu-ra di massa, indica un tipo di intrattenimento giovane, cool e dai toni anti-accademici e iconoclasti. Tutto qui. La domanda, che sorge spontanea, è se sia accettabile questa lettura del mondo come di un insieme di diverse fasce di pubblico e di consumatori – tali che siamo, a questo punto, se è vero che nell’era di Internet ”indie” non è che un marketable lifestyle come gli altri. Per questo mi preme rimarcare l’impor-tanza del “messaggio forte” nella musica. Della forma e della sostanza, che questo messaggio dovrebbero rimarcare e rendere ancora più esplicito. Dell’impegno e dell’integrità di chi non accetta che il proprio lavoro sia bollabile come puro intrattenimento, o addirittura non si cura che venga o meno definito cultura/arte (qualsiasi cosa queste parole significhino); e nemmeno si lasci sedurre da elitismi di sorta; ma che abbia veramente qualcosa di impor-tante, urgente e sentito da dire, a tutti quelli che vorranno ascoltare.

divorzio dal marito accompagnato dalla splen-dida gara a chi minacciava meglio di mettere i filmini zozzi casalinghi della coppia in rete. Il resto è pura magia hollywoodiana: serate di autodistru-zione in un turine di eccessi con le amichette del-lo showbusiness, foto voyeristiche di inguardabili upskirt, fino ad arrivare al capolavoro, al tocco di genio: la pazzia con tanto di rasatura e 666 scrit-to sulla fronte. Questo è semplicemente l’evento più rock avvenuto dagli anni ’80 a oggi, e chi se ne frega della musica (che come avrete capito in questa storia è un’attrice non protagonista, se non una comparsa). Lo ammetto, il deprimente e tragicomico ritorno sulle scene di ieri sera va un po’ a rovinare quel finale travolgente visto nella clinica di disintossicazione, ma anche questo è spettacolo. Pensateci a questa storia, perché è una bella storia, e nelle mani di un abile regista da biografie sarebbe un film splendido, alla faccia delle chitarre, delle spillette, delle giacche con le converse, ma anche della sperimentazione e dell’avanguardia.

di Daniele Guasco

Nothing To Shout About

di Matteo Marsano

Columns

Quarto numero di CMPST, issue settembrina – un mese generalmente fioccante di buoni propositi. Un mese buono per trovarsi un titolo definitivo da dare alla column. Un mese buo-no, almeno quanto e più degli altri, per riflette-re. Riflettere su quanto spesso la musica di oggi (e non solo questa) sia asservita all’ideologia dominante, priva com’è di contenuti forti, e talvolta –spesso, e purtroppo- non altro che un veicolo per l’affermazione personale degli individui. Una perentorietà, la mia, che molti dei nostri (innumerevoli, va da sé) lettori non esite-ranno a fare propria pensando all’entità tenta-colata e cancerogena che risponde al nome di “industria discografica”. Con il rischio, calco-lato, di trovarsi di fronte al più classico caso di scoperta dell’acqua calda. Ma che dire invece della nostra beneamata “musica indipenden-te”? Quasi un anno fa la CNN pubblicava uno

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September, please, come back! Tanto per citare Albe in una vecchia hit degli Ex-Ota-go. A essere sincera, in questi ultimi anni il passaggio tra agosto e settembre mi risulta meno doloroso e malinconico; sarà che non ricomincia la scuola, sarà che non sono pro-priamente iniziate le vacanze, sarà che non vado più in montagna per tutto agosto, sarà che non sono mai stata la figa della spiaggia, sarà che non ci sono più le mezze stagioni. Boh. Sarà che il mezzo litro di tè verde che ho appena tracannato mi sta facendo male e scrivo a vanvera. Comunque settembre rima-ne il mese che mi frustra di più. Vago tra l’ipe-rattivo e l’essere un catorcio, e penso che do-vrei (ri)cominciare a suonare col mio gruppo dal nome slavo (ehi, voi due! Lo so che state leggendo, questo è un invito formale). Ecco che l’odioso spirito di settembre mi fa fare buoni propositi per la nuova stagione, che saranno puntualmente disattesi dal mio lato catorcio. Tipo, tra un quarto d’ora dovrei an-dare a correre, ma devo finire di scrivere qui...be’... uffa. Insomma, settembre è un gran caos mentale, mille progetti e se va bene ne realizzo uno. Mi sono anche ripromessa di affrontare gli argomenti senza far pesare troppo le mie posizioni da atea-veterofem-minista-politicamentescorretta-comunista-mangiabambini-vegetariana. Proposito non rispettato almeno dieci volte tra ieri e oggi. No, anche adesso che devo introdurre la ri-cetta del mese non resisto: qualche tempo fa un quotidiano locale ha più o meno rega-lato una rivista tipo Donna Moderna versione pisello, del genere “Il tuo salsiccione per farla impazzire a letto”, “Se i tuoi piedi puzzano di camoscio morto è il caso che ti cambi calzi-ni”, “Aydah Staceppadimi***** alla sagra del-la pannocchia: così non l’avete mai vista”. Tra tutti gli articoli mi ha colpito una rubrichetta di cucina, volta a salvare il povero lettore

Il principio delle 3R Lo dice anche quel glam/musicista/surfista/

regista di Jack Johnson ‘We’ve got to learn to Re-duce, Reuse, Recycle’, è il principio delle 3R per la gestione dei rifiuti: R-idurre, R-iutilizzare, R-iciclare. Per risparmiare risorse naturali e prevenire l’inquina-mento è necessario prima di tutto R-idurre la quan-tità di rifiuti prodotta.. come? Comprando meno. Chiaramente non si chiede di rinunciare proprio a quegli acquisti che vi riempono di immensa gioia.. e neanche si chiede di tenervi a stecchetto.. ma-gari però quella dozzina di magliette di H&M tutte uguali.. ‘and if your brother or your sister’s got some cool clothes You could try them on before you buy some more’. Quindi R di riutilizzo: se non riusciamo proprio a ridurre quello che compriamo, almeno prima di gettarlo, vediamo se qualche amico lo vuole. Reclaim your cloths! Io e le mie amiche fac-ciamo così. Poi si e’ parlato diverse volte di organiz-zare una domenica di fine stagione, ad esempio di fine estate, in cui si svuotano gli armadi e si tira fuori tutto quello che non si vuole più. Una sola regola: la merce si scambia e solo se lo scambio non riesce proprio allora si passa ai soldi. Poi la terza ed ultima R: riciclo. Ecco, il dilemma più comune tra chi fa già o vorrebbe fare la raccolta differenziata è ‘cosa si può riciclare? Devo lavare la bottiglia prima di buttarla? E il tappo? E il contenitore delle uova?’.. Non c’e’ una risposta univoca a queste domande, dipende dal comune in cui si abita, nel senso che, a seconda dell’impianto in cui vengono portati i materiali separati, si possono o meno buttare deter-minati prodotti. Per fare un esempio, di solito sono gli oggetti in plastica quelli più dibattuti. Qui a Vicenza fino al mese scorso si potevano buttare solo le pla-stiche marchiate con la sigla PET, PVC oppure PE (a volte anche sostituite da numeri all’interno di un triangolo di frecce), che tipicamente sono le bot-tiglie dell’acqua, vaschette di plastica, contenitori

An inconvenient truth ovvero anche COMPOST dà il suo con-tributo per rallentare il cambiamento climatico

di Carlotta Queirazza

export-segaiolo trenasettenne dall’infarto, causato dai quotidiani hamburger cotti nel tristo padellino da uno, nel suo grigio biloca-le ikea, periferia di Mi l’ano. Una rivelazione: finalmente qualcosa da prendere quasi sul serio. Una ricetta (non dichiaratamente) ve-gan! L’ho testata facendo qualche variazio-ne, ottenendo ufficialmente l’approvazione delle Amplifon. Quantità non mi ricordo, e secondo me va bene come piatto unico, regolatevi:

pasta (corta)lenticchie (meglio secche, altrimenti in latta)cipollabietole/spinaci/quella roba verde che di solito si scartapomodori (veri, non pelati da latta o passata!)agliopeperoncinoPer prima cosa mettete a bollire in una pen-

tola le lenticchie secche in acqua salata (cir-ca 30 min.). Se le usate in latta, no. Fate bollire le bietole/spinaci in una pentola che poi use-rete per cuocere la pasta (quindi conservate l’acqua di cottura delle verdure). Tagliate la cipolla a pezzettini e mettetela a soffriggere in una padella con un po’ d’olio, aglio e un pizzi-co di sale. Non fatela bruciare e giratela spes-so! La padella deve essere sufficientemente capiente. Tagliate i pomodori in piccoli pezzi e aggiungeteli alla cipolla, regolate di sale e fate andare per un po’ a fuoco vivo (NON deve cuocere troppo!). Scolate bene la roba verde e mettetela nella padella, abbassando la fiamma. Aggiungete il peperoncino e le lenticchie (quando sono cotte). Nel frattempo preparate la pasta, e quando l’avrete scolata mettetela nella padella insieme a tutto il resto. Alzate il fuoco per un minuto, mescolando sempre. servite. Per concludere, settembre a genova significa festa dell’unità. alla festa del-l’unità servono la coca-cola. ad agosto gigi, noto oste genovese, rispose ad alcuni ragazzi che volevano la coca-cola di farsi pisciare in bocca da bush. che quella era coca-cola.Settembre, per favore, vaffanculo.

ColumnsThis Ain’t No BBQ

di Anna Positano

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Parto di nuovo da uno spunto altrui per questa column: Daniele Assereto della re-dazione di Genovatune, scrive sul forum un’interessante paragone. La faccio breve: i concerti sono come gli incidenti, se son gros-si vai a vederli apposta, se son piccoli ti fermi a guardarli mentre passi ma poi tiri dritto e ti dimentichi. Mai similitudine fu più calzante, e vorrei scagliarmi in queste righe contro tutti quelli che sono stati a vedere un concerto di un loro amico. Magari divertendosi. Magari entusiasmandosi. E poi mai più niente. Ma perchè non riuscite a capire che ciò che vi ha divertito è ripetibile, che potete mettere in agenda di tornare ad entusiasmarvi, con uno sbattimento minimo? Se avessi fidelizza-to anche solo un centesimo delle persone che son passate ai concerti oggi riempirei un palazzetto. Per carità, non che non mi piaccia vedere facce nuove ogni sera, nuo-ve espressioni di scandalo negli occhi di un pubblico spesso ignaro come quello casua-le, però dai, non potete negarmi che riuscire ad andare in un posto e aver la possibilità di socializzare sia un qualcosa da deplorare. Un appello, quindi, agli umarelli da incidenti, tornate sul luogo del delitto, avete solo che da divertirvi.

Columnsper yogurt, ecc. Ora la municipalizzata ha deciso di riciclare la plastica in un nuovo impianto dotato di un sistema per la separazione dei diversi materiali ed ha quindi mandato un volantino a casa in cui si elencano i prodotti plastici che da questo mese si possono riciclare: bottiglie e flaconi, recipienti e scatole in plastica, sacchetti, polistirolo espanso, ecc. Se abitate a Genova invece, nel sito dell’AMIU (www.amiu.genova.it) precisamente seguendo il link ‘raccolta differenziata’ della colonna di sinistra, trovate svelato il mistero di cosa si può buttare e cosa no. Ad esempio nella campana della plasti-ca non si possono buttare i materiali in plastica spor-chi di cibo o contenenti sostanze pericolose come vernici e colle. Quindi, per concludere, ricordate: R-idurre, R-iutilizzare, R-iciclare, in pratica tirate fuori con fierezza il lato genovese e creativo che c’e’ in voi. Viva il principio del polpettone!

A Steady Diet Of Mat

di Matteo Casari

Brigate Rosse. L’unico rimpianto per questa città. Non aver quei cinquant’anni necessari, quelli dello stesso Torlai, per capirci, per capire, per sentir scorrere il cortocircuito che nessuno vuol ricordare, nemmeno chi lo ha provocato, e chi lo evoca, lo fa in maniera piuttosto super-ficiale e soprattutto partigiana, in teatro come nel cinema. Ho un conoscente che ne faceva parte, nella fase degli anni ottanta, quando era un tutti dentro prima della bevuta defini-

Non amo visceralmente l’estate.Non la attendo trepidando durante l’anno;non mi dispero quando, come in questi giorni, termina.Dei mesi passati ricordo nostalgicole ore trascorse a rinfrescarmi con l’aria condi-zionata.Come me la pensano in tanti,ma non tutti.Una mia conoscente ad esempiod’ estate si trasforma.Dimessa e virginale nella consuetudine invernale,con la canicola invecesuòle trasmigrare nei panni di pantera sorniona dell’arenile.Prendendo colore al sole, si tatua con l’hennè,selvaggia,ammaliando i vicini d’ombrellonecon sguardi voluttuosied erudite dissertazioni su filosofie orientali, meditazione, oroscopi indiani e Reiki.Voci le attribuiscono persino competenze radicatenella teoria e nella pratica del dirty sanchez,altra sublime disciplina new age.

Non Sono Un Poetadi El Pelandro

Un minuto di storia

di Marco Giorcelli

Bla Bla Bla dal primo numero. Quale è la diffe-renza tra no copyright e copyleft?

Vincenzino, 33 (pesci) , Ischia. Caro Vincenzino, ti porto nel cuore. Se foste

dei bravi figliuoli avreste fatto prima questa do-manda. Prima di tutto immaginatevi un conti-nuum che va da “copyright” e finisce in “pub-blico dominio”. In Copyleft è a metà. Mentre il Copyright dice “tutti i diritti sono riservati” il Copy-left dice “qualche diritto è riservato”. Questa cosa l’ho copiata dal sito di Creative Commons (www.creativecommons.org). La cosa può non sembrare molto innovativa per il tono moderato della definizione ma la portata rivoluzionaria del concetto si intuisce riflettendo sul sottile giuo-co di parole delle due definizioni. Copyright è come sapete “diritto di copia” ma right è an-che “destra”. Copyleft apparentemente ribalta semplicemente da destra a sinistra (cosa sug-gerita anche dalla C dentro il cerchio ribaltata del logo del copyleft), in realtà come saprete left è anche il participio passato di to leave, la-sciare. La traduzione di Copyleft diventa anche qualcosa di simile a “concessione di copia”. Ed ecco la rivoluzione. Là dove la legge ti dice che

Valide Allternative al Bricolage Cultura-le DIYC 2.0

risponde il Dott. Cesare Pezzoni

tiva. Quando lo incontro non sono mai sazio, mai satollo e lui, bravissima persona, mai penti-to, da ventitre anni a trent’anni a Porto Azzurro, praticamente tutta la vita da vivere, mi inonda di ricordi, ma più che altro di emozioni, di sen-sazioni, di palpitazioni. Non è politica questa. Non è apologia né revisionismo. E’ altro. E’ un io non c’ero. E conta tanto quanto i Doria o gli Embriaci. Testi ce ne sono a bizzeffe, cittadini e nazionali. Io ne caldeggio uno minore, più in sordina, ma splendido. Memorie dalla Clande-stinità - Un terrorista non pentito si racconta. Era stato pubblicato nel 1980, ristampato ora non ricordo da quale casa editrice, ma si trova co-munque. L’autore è anonimo.

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legato a una visione un po’ statalista (in questo senso forse, più propriamente socialista), in cui si ritiene che l’unica eventuale forma di guada-gno degli artisti in copyfree per la fruizione della musica, debba venire da una ripartizione dei proventi dalla tassazione sui supporti e i locali e le trasmissioni che lo stato applica. In pratica, come sapete, ogni volta che una canzone pas-sa in radio la radio paga un tot di diritto d’autore alla Siae (cosa ne facciano loro è poco chiaro). Il modello Flat, sostenuto dai sostenitori del Copy-free è il modello in cui quella piccola imposta va direttamente a indennizzare l’artista. La cosa è logicamente piuttosto sensata: puoi fare quello che vuoi del mio pezzo ma se trai profitto dal-l’emissione o dalla trasmissione del mio pezzo, una parte di quel profitto mi viene in tasca. Se invece te la vuoi solo ascoltare siamo contenti che tu possa farlo gratis. A pensarci bene que-sto approccio è quello virtualmente vigente: è l’approccio del buon senso comune. In realtà la burocrazia (italiana ma non solo) da un lato complica le cose e dall’altro succhia via soldi e distribuisce malamente quello che rimane, con l’effetto che il principio di buon senso condiviso, viene ampiamente tradito e ribaltato. A questo il copyfree aggiunge la tendenza no copy a non riconoscere come legittimo il profitto dalla vendita del disco. Ma non tanto per il supporto, al contrario, è pagare per fruire l’idea che non va bene, nell’ottica dell’arte e del sapere come effetto di una genesi sociale. Come vedete la realtà è multisfaccettata. Il filo rosso che collega le realtà e le tiene comunque unite è la convin-zione che la diffusione di un’idea arricchisca. Le idee e le altre forme di conoscenza come l’arte sono l’unica cosa che più ne regali, più ti arric-chisce. Sembra buonismo ma non fate gli stronzi e pensateci.

Columns

Screamazenica

di Simone MadrauScreamazenica is sponsored by: Martinucci.

Più che un gelato, uno stato mentale.

il diritto di copia è esclusivo, il copyleft si traduce in una serie di concessioni gratuite, deroghe, a questo diritto esclusivo. Utilizzando la massima tutela per concedere degli spazi. Un po’come se io mi comprassi casa e poi concedessi a voialtri alcuni vani: posso farlo proprio perché è mia. No Copyright è qualcosa di diverso. In quel continuum si pone in corrispondenza del Pubbli-co Dominio, o forse ancora più in là. In pratica si tratta di una posizione che non considera legitti-mo il quadro legislativo del copyright, e quindi si pone al di fuori della legge, quando non esplici-tamente contro, per rivendicare il proprio diritto al possesso della conoscenza. Può sembrare una teoria ingenua ma ha illustri teorici alle spal-le. L’assunto comune è che in arte e in cultura, come in fisica, nulla si crea e nulla si distrugge. La genesi della conoscenza è derivativa e sociale e quindi privare la gente del diritto a un sapere (o a un’opera d’arte) vuole dire espropriarla del risultato di una somma di saperi diffusi e condivi-si. L’approccio è radicale e da qualcuno viene definito “socialista”, in realtà a me pare derivare direttamente dal pensiero liberale di fine 700. Viene tacciato di socialismo perché qualora di-ventasse pensiero comune, il pensiero no copy saboterebbe (ma forse no…) l’idea di mercato. Sta di fatto che la musica popolare è stata no copy fin dalle sue origini eppure si tirava a cam-pare anche prima del boom discografico. Per-mettetemi qualche righa poi per parlare della terza via, italo-brasiliana, del copyfree. La defi-nizione è coniata da noi all’interno di Anomolo in seguito ad alcuni incontri con il governo bra-siliano sperimentatore di un nuovo modello di ripartizione dei diritti d’autore detto “flat”. In quel famoso continuum prima descritto il copyfree si pone appena prima del pubblico dominio. L’autore chiede la paternità dell’opera e vuole che sia gratuita. L’ottica è quella di fare girare la cultura e il sapere rapidamente, nel rispetto del-l’autore. E’ simile all’approccio no copy per via della visione anti-mercato, ma ha una diversa carica politica, meno aggressiva nei confronti delle leggi esistenti. Inoltre l’approccio è spesso

Meglio gli spacciatori: almeno mi lasciano dormire. [Ormai un classico: Alfredo dopo l’in-terruzione del set di Marcella Garuzzo ai Truo-goli di Santa Brigida, con la Notte Bianca delle Tall Ships in pieno svolgimento. E non ditemi che non sapete chi è Alfredo.]

Bè bè, le Suicide Girls sono... Burlesque. [Joe Ignorant etichetta le Suicide Girls dopo l’impro-babile performance tenutasi al Milkout]

Allora vuole la guerra. E l’avrà! [Ancora al Green Storm, è in corso il dj set di Tarick1. Dopo l’ennesimo pezzo ‘maranza’ Tristan, incocciato per la prima volta dal sottoscritto in quel del banchetto di Compost, parte in quarta verso la console dell’ancora ignaro Andreone.]

E tuuuutti quei ragazziiii… come te non han-no nienteee… [Rocco degli En Roco, complice il clima vacanziero gentilmente offerto dalle spiagge salentine, si lancia in insospettabili co-ver a cappella.]

Chi cavolo è arrivato qui cercando “sturala-vandino in tedesco”? [la perplessità di Matteo Casari aka mazzola sulla home page di disor-derdrama.org]

Infine, un piccolo omaggio agli estimatori di questa improbabile column. Make a noise for..

The Bob Quadrelli Show 1.Live @ Gigi’s, featuring: Matteo Ca-

sari. [in sottofondo un pezzo dei Clash] Mat: ‘ah i Clash! Bob cosa ne dici? Il concerto dei Clash a Genova, Bob, cosa mi racconti? Bob: ‘il concerto dei Clash? Lo abbiamo interrotto.’ Mat: ‘come lo avete interrotto?!?!’ Bob: ‘sì, lo abbiamo fermato.’ Mat: ‘ma no dai, perché ave-te interrotto il concerto dei Clash?!’ Bob: ‘perché eravamo loro fan.’

2. Presentazione di Zena-

tron #2, featuring: il pubblico. Bob: ‘voglio sentirvi urlare, per Gesù Cristo!’ il pubblico: ‘per Gesù Cristo!’

[thanks to: Matteo Casari, Giulio Olivieri.]

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