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Compositi ceramici perché. I compositi ceramici sono stati messi a punto allo scopo di ottenere dei materiali con particolari proprietà meccaniche. Nel caso dei compositi a matrice polimerica si cerca di massimizzare i rapporti tra resistenza meccanica e densità e tra modulo elastico e densità. Nei compositi a matrice metallica si cerca di incrementare il modulo elastico. NEL CASO DEI COMPOSITI CERAMICI SI VUOL OTTENERE ESSENZIALMENTE UN AUMENTO DELLA TENACITA’ DELLA MATRICE. I ceramici infatti hanno delle caratteristiche molto interessanti. I legami covalenti o ionici parzialmente covalenti che legano assieme gli atomi di questi materiali sono estremamente forti, di conseguenza essi generalmente hanno un’ alta refrattarietà ed inerzia chimica, un alto modulo elastico ed una notevole durezza, proprietà queste ultime che mantengono anche a temperature superiori ai 1000 °C. Sono evidenti le loro potenzialità per applicazioni tecnologiche nei settori dei dispositivi di conversione dell’ energia, delle lavorazioni meccaniche, dei biomateriali ecc. Però…… Gli stessi legami chimici che impartiscono le interessanti caratteristiche che abbiamo visto sono responsabili anche della loro fragilità. Essi non permettono ai piani cristallini di scorrere gli uni rispetto agli altri e dunque non permettono al materiale di deformarsi plasticamente. Di conseguenza i ceramici si rompono con un meccanismo tipico dei materiali fragili: improvvisamente, senza alcun preavviso, con la frattura che si propaga ad alta velocità nel manufatto. Noi tutti siamo consapevoli di questa loro particolarità, di conseguenza maneggiamo con cura le scodelle ed i piatti in materiale ceramico ( a meno che la moglie non ci costringa a lavare le stoviglie…). Che fare? I ceramici sono dunque dei materiali fragili che seguono la ben nota legge di Griffith a K IC π σ = Si desume quindi che per rendere un materiale ceramico affidabile (o per meglio per aumentare il suo modulo di Weibull) bisogna o incrementare il valore del suo fattore critico di intensificazione dello sforzo o diminuire le dimensioni dei difetti in esso contenuti. Nella prima ipotesi bisognerà modificare la microstruttura mediante l’ inserimento di nuove fasi nella matrice, nella seconda bisognerà ottimizzare il “processing” del composito e curare la finitura superficiale. Problema risolto? Si, no, quasi….. Su come l’ inserimento in una matrice ceramica di una fase estranea possa aumentare la tenacità del composito risultante si tornerà più avanti. Per il momento è importante sottolineare le problematiche alle quali si va incontro quando si progetta un composito ceramico. Ammettiamo di aver scelto una matrice ed una fase capace di tenacizzarla: mettere assieme questi componenti e costruire un composito con difetti di piccole dimensioni non è semplice. Per i compositi a matrice polimerica e metallica il problema non è banale ma affrontabile. La matrice può essere portata allo stato liquido o fluido, di conseguenza durante la reticolazione o il raffreddamento la quantità e le

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Compositi ceramici perché. I compositi ceramici sono stati messi a punto allo scopo di ottenere dei materiali con particolari proprietà meccaniche. Nel caso dei compositi a matrice polimerica si cerca di massimizzare i rapporti tra resistenza meccanica e densità e tra modulo elastico e densità. Nei compositi a matrice metalli ca si cerca di incrementare il modulo elastico. NEL CASO DEI COMPOSITI CERAMICI SI VUOL OTTENERE ESSENZIALMENTE UN AUMENTO DELLA TENACITA’ DELLA MATRICE. I ceramici infatti hanno delle caratteristiche molto interessanti. I legami covalenti o ionici parzialmente covalenti che legano assieme gli atomi di questi materiali sono estremamente forti, di conseguenza essi generalmente hanno un’ alta refrattarietà ed inerzia chimica, un alto modulo elastico ed una notevole durezza, proprietà queste ultime che mantengono anche a temperature superiori ai 1000 °C. Sono evidenti le loro potenzialità per applicazioni tecnologiche nei settori dei dispositivi di conversione dell’ energia, delle lavorazioni meccaniche, dei biomateriali ecc. Però…… Gli stessi legami chimici che impartiscono le interessanti caratteristiche che abbiamo visto sono responsabili anche della loro fragili tà. Essi non permettono ai piani cristalli ni di scorrere gli uni rispetto agli altri e dunque non permettono al materiale di deformarsi plasticamente. Di conseguenza i ceramici si rompono con un meccanismo tipico dei materiali fragili : improvvisamente, senza alcun preavviso, con la frattura che si propaga ad alta velocità nel manufatto. Noi tutti siamo consapevoli di questa loro particolarità, di conseguenza maneggiamo con cura le scodelle ed i piatti in materiale ceramico ( a meno che la moglie non ci costringa a lavare le stoviglie…). Che fare? I ceramici sono dunque dei materiali fragili che seguono la ben nota legge di Griff ith

a

K IC

πσ =

Si desume quindi che per rendere un materiale ceramico affidabile (o per meglio per aumentare il suo modulo di Weibull) bisogna o incrementare il valore del suo fattore critico di intensificazione dello sforzo o diminuire le dimensioni dei difetti in esso contenuti. Nella prima ipotesi bisognerà modificare la microstruttura mediante l’ inserimento di nuove fasi nella matrice, nella seconda bisognerà ottimizzare il “processing” del composito e curare la finitura superficiale. Problema risolto? Si, no, quasi….. Su come l’ inserimento in una matrice ceramica di una fase estranea possa aumentare la tenacità del composito risultante si tornerà più avanti. Per il momento è importante sottolineare le problematiche alle quali si va incontro quando si progetta un composito ceramico. Ammettiamo di aver scelto una matrice ed una fase capace di tenacizzarla: mettere assieme questi componenti e costruire un composito con difetti di piccole dimensioni non è semplice. Per i compositi a matrice polimerica e metalli ca il problema non è banale ma affrontabile. La matrice può essere portata allo stato liquido o fluido, di conseguenza durante la reticolazione o il raffreddamento la quantità e le

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dimensioni dei vuoti sono piuttosto piccole. Differente è il caso dei compositi ceramici. La matrice non può essere portata allo stato fuso perché o si decompone prima o le sue temperature di fusione sono tanto alte da farla reagire con la fase tenacizzante (tralasciamo il discorso delle diff icoltà tecnologiche legate alla manipolazioni di fasi liquide con temperature superiori ai 2000 °C). L’ unico mezzo per densificare la matrice è dunque il processo di sinterizzazione Questo implica che si deve partire da delle polveri alle quali va aggiunta una seconda fase che molto spesso è costituita da particelle con dimensioni di diversi micron e con forme allungate. Il tutto poi deve essere portato ad alta temperatura per far partire il processo di sinterizzazione e…. Ohibò, qui cominciano i problemi. Infatti la presenza di particelle di una fase estranea con dimensioni discrete circondata da particelle più piccole (matrice) che devono densificare dà luogo ad un sistema difficilmente sinterizzabile. Le particelle più grandi si oppongono al processo funzionando da “rigid inclusion” , di conseguenza il materiale che si ottiene dopo “cottura” è a bassa densità e con una grande quantità di pori, quindi possiede scadenti proprietà meccaniche anche quando il KIc viene incrementato dalla presenza della nuova fase . Quali metodologie si possono utili zzare per risolvere il problema? Come vedremo ce ne sono molte, alcune delle quali ingegnose, ma purtroppo siamo ancora lontani dalla soluzione ottimale. Ma parliamo un po’ di matrici… Per produrre i compositi ceramici si possono utili zzare delle matrici “ossidiche” come l’ allumina, il biossido di zirconio (o zirconia) , la mulli te o dei vetroceramici. Oppure si possono utili zzare matrici con legami essenzialmente covalenti, per esempio il nitruro di sili cio, di boro o di alluminio, il carburo di sili cio ecc.). Tra le matrici a base di ossidi l’ allumina è la più utili zzata, essa ha buone proprietà meccaniche, ma il suo principale pregio è la resistenza all’ usura e naturalmente all’ ossidazione, meno buone sono la sue caratteristiche di resistenza al creep. La tenacità e la conducibili tà termica inoltre sono basse. Per cui le sue principali applicazioni, sotto forma di composito, sono nei settori degli utensili da taglio e degli elementi antiusura (passafili , parti di protesi ecc.). Le matrici con legami covalenti più usate sono il carburo ed il nitruro di sili cio. Facendo un paragone tra nitruro e carburo si può dire che quest’ ultimo è più fragile, ma ha una maggiore resistenza all’ ossidazione ed una minore propensione allo scorrimento viscoso. Di conseguenza è più adatto per impieghi prolungati ad alte temperature. Per quanto riguarda la sinterizzabili tà le polveri degli ossidi generalmente permettono di raggiungere densità vicine a quella teorica. Però se si aggiungono delle particelle con funzioni tenacizzanti è necessaria, durante la cottura, l’ applicazione di una pressione esterna (hot pressing o hot isostatic pressing). I composti ceramici covalenti sono molto difficili da sinterizzare anche in assenza di particelle tenacizzanti. Densità ragionevoli possono essere raggiunte solo mediante la pressatura a caldo ed aggiunte di additivi. Il nitruro ed carburo di sili cio hanno entrambi due forme polimorfe denominate, α quelle di bassa temperatura e β quelle di alta. Dopo la sinterizzazione si ottengono microstrutture miste con la presenza di entrambe le strutture cristalli ne. Nel caso del Si3N4 la morfologia dei cristalli beta precipitati da fase liquida è allungata, e di per sé essi costituiscono una fase tenacizzante, che agisce con dei meccanismi che vedremo più avanti. Nella maggior parte dei casi queste matrici di carburi e nitruri sono cresciute all’ interno di preformati di fibre lunghe mediante reazioni chimiche tra reagenti in fase gassosa che danno luogo alla formazione di una matrice solida (Chemical Vapour Deposition). …… e delle fasi responsabili dell’ incremento della tenacità ( però prima una piccola precisazione)

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Se avete notato io ho parlato di fase tenacizzante ed ho evitato accuratamente di usare la parola rinforzo, utili zzata molto spesso nel caso dei compositi a matrice polimerica e metalli ca. Infatti per avere un discreto trasferimento degli sforzi dalla matrice al rinforzo il rapporto tra il modulo elastico di quest’ ultimo e quello della matrice deve essere superiore a quattro. Ora tra i materiali ceramici non ci sono grosse differenze di modulo elastico e questo rapporto non è quasi mai raggiunto. Inoltre in alcuni casi vengono utili zzate anche inclusioni metalli che che hanno un modulo elastico inferiore a quello della matrice. D’ ora in avanti userò anche il termine rinforzo ( per evitare le contorsioni linguistiche precedentemente utili zzate come fase tenacizzante, particelle tenacizzanti ecc.). …. cominciamo con il mitico biossido di Zirconio. Questo composto opportunamente disperso sotto forma di inclusioni in una matrice ossidica può aumentare in maniera significativa la resistenza all’ avanzamento della frattura nel materiale di partenza. In questo caso, poiché le dimensioni delle particelle di ZrO2 sono molto piccole (attorno al micron), non insorgono grossi problemi nella fase della sinterizzazione, che può essere effettuata con le normali metodologie (senza applicazione di pressione). Però nel caso degli utensili da taglio industriali a base di allumina – zirconia si utili zza la hot pressing per ottenere dei materiali con caratteristiche il più possibile costanti (alto modulo di Weibull). Il tentativo di tenacizzare le matrici non ossidiche (nitruri, carburi ecc.) con il biossido di zirconio non ha dato buoni risultati.. ……altri rinforzi sotto forma di particelle Gli altri rinforzi sotto forma di particelle sono di solito dei carburi, e nitruri (SiC, TiC, WC,TiN), il loro diametro può variare dai cinque ai dieci micron, la loro forma può essere equiassiale o lenticolare. Le fibre corte sono rappresentate essenzialmente dai whisker di carburo di sili cio. Essi sono dei monocristalli di forma allungata (larghezza circa un micron, lunghezza da 10 a 100 micron). Pongono alcuni problemi di sicurezza agli operatori che li manipolano perché possono provocare l’ insorgere di pericolose patologie alle vie respiratorie. Whisker di altra composizione chimica sono stati messi a punto (ZnO, Si3N4, Al2O3 ecc.), ma finora non hanno trovato applicazione industriale nel settore dei compositi ceramici. I whisker vengono utili zzati per rinforzare matrici di allumina e di nitruro di sili cio: il contenuto di questi rinforzi arriva fino al 30% in volume. Naturalmente viste le loro dimensioni la sinterizzazione di un composito che li contiene può essere fatta solamente mediante l’ applicazione di una pressione esterna. ………ed infine le fibre lunghe. Quelle di carbonio sono state utili zzate per rinforzare matrici di nitruro di sili cio , possiedono alto modulo elastico e bassa densità, però possono essere utili zzate solamente per materiali che non operano ad alte temperature. Attualmente vengono utili zzate solamente per una particolare classe di compositi ceramici: quelli carbonio – carbonio che vedremo brevemente più avanti. Un tipo di fibra lunga che ha una buona diffusione è quello a base di SiC. Sul mercato si sono affermate sia quelle ottenute mediante CVD (chemical vapour deposition) su un cuore costituito da una fibra di carbonio, sia quelle ottenute per pirolisi di carbosilani. Fibre di allumina ( con contenuti di sili ce variabili ) sono disponibili sul mercato ma non hanno grande diffusione tra i compositi ceramici nonostante il loro alto modulo elastico e la resistenza all’ ossidazione. Il fatto è che durante il processo di sinterizzazione tendono a reagire con la matrice. Ed ora parliamo dei meccanismi di tenacizzazione.

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Il primo che tratteremo è quello legato alla transizione tetragonale-monoclino del biossido di zirconio. Questo composto può essere ottenuto a temperatura ambiente in forma tetragonale metastabile mediante l’ aggiunta di ossido di ittrio, di cerio ecc. in quantità variabili dal 2 al 10 % molare. La sua dispersione sotto forma di particelle del diametro di un micron in una matrice ossidica dà luogo alla formazione di un composito con buona tenacità (in pratica si raddoppia il KIc della matrice). Infatti, quando una frattura interagisce con queste inclusioni esse si trasformano nella fase monoclina aumentando il loro volume circa del 3 – 4%. Molto importanti sono le dimensioni dei rinforzi. Se sono molto piccoli essi non hanno tendenza a trasformarsi, se sono di dimensioni superiori al micron le inclusioni si trasformano spontaneamente nella fase monoclina creando delle microcricche nella matrice. In ogni caso l’ efficacia di questo meccanismo diminuisce all’ aumentare della temperatura, e naturalmente non funziona al disopra dei 1000 °C (oltre questa temperatura la fase tetragonale è stabile). Un altro inconveniente è legato alla tendenza della fase tetragonale, a temperature attorno ai 200 – 300 °C ed in presenza di vapore acqueo, di trasformarsi spontaneamente nella fase monoclina. Nella figura 1 viene riportato l’ aspetto di una microstruttura di un composito Al2O3-ZrO2.

Figura 1 Microstruttura di un utensile da taglio usurato a base di allumina-zirconia. Le macchie chiare sono di biossido di zirconio. Notare la frattura “infil trata” dall ’ acciaio fuso. Cerchiamo ora di spiegare dal punto di vista qualitativo come agiscono le inclusioni di biossido di zirconio tetragonale in una matrice attraversata da una frattura. La frattura allenta la costrizione alla quale sono sottoposte le particelle di ZrO2 metastabili e permette loro di trasformarsi in monocline con aumento di volume. Questo fenomeno avviene all’ apice della cricca (zona frontale). Ciò crea situazioni di trazione e compressione (vedi fig.2 ) che si elidono tra loro, il meccanismo di tenacizzazione scatta quando la frattura supera la zona trasformata e si crea una “process zone” dove le particelle trasformate mettono in compressione le superfici della frattura ostacolando il loro allontanamento (vedi fig.3 ).

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Figura 2. Particelle equidistanti dall ’apice della cricca durante la trasformazione t→m per A) Θ <60° e B) Θ >60°.

Figura 3. Aumento di tenacità in funzione della lunghezza del difetto che si propaga e della forma della “process zone”. Si deve desumere che man mano che la frattura avanza la tenacità del materiale aumenta, ovvero il materiale ha una curva R. In figura 3 viene riportata schematicamente la variazione di KIc in funzione delle dimensioni della frattura per un composito (con un meccanismo di tenacizzazione). E’ possibile quantizzare l’ aum ento di tenacità di una matrice (ad esempio allumina) ottenibile mediante l’ aggiunta di inclusioni di biossido di zirconio tetragonale?

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Attraverso delle considerazioni di tipo termodinamico o utili zzando la teoria della frattura lineare elastica si arriva a delle equazioni abbastanza simili tra loro. Qui di seguito viene riportata una abbastanza nota:

)1(

38.0 2/1

νε

−=∆ hEV

KT

Ic

Dove E è il modulo elastico del materiale, V è la frazione volumetrica di particelle trasformate nella zona di processo, h è il raggio della zona trasformata , ν è il modulo di Poisson ed εT è l’ aumento di volume (in percentuale) delle particelle trasformate. Questa equazione ci permette di vedere su quali parametri è possibile agire per aumentare la tenacità. In verità le sole variabili sulle quali possiamo agire sono V e h. Questi parametri possono essere incrementati solamente mediante un controllo della microstruttura. Bisogna ottenere una distribuzione omogenea delle particelle mantenendole il più possibile attorno al diametro critico che nel caso della zirconia stabili zzata con il 3% molare di Y2O3 si aggira attorno al micron. Le particelle già trasformate possono anch’ esse partecipare all’ aumento di tenacità in quanto, se coinvolte nel processo di frattura, la presenza di microdifetti nelle loro immediate vicinanze provoca un incremento del KIc del composito ( vedi fig.4 )

Figura 4. Meccanismo di tenacizzazione dovuto a microcricche. L’ equazione proposta ( che contiene termini che già conosciamo) è la seguente.:

)1(

)6.0(21.0 3/12/1

νε

−+=∆ VVhE

KT

Ic

I due meccanismi possono agire in maniera concomitante ma naturalmente il più efficace è il primo. Inoltre la presenza dei microdifetti diminuisce il modulo elastico del composito. Tenacizzazione indotta dalla presenza di particelle, ovvero dove si dimostra che qualche volta conviene a procedere a zig-zag. Ogni eterogeneità all’ apice di una cricca che si propaga in un materiale fragile porta ad una perturbazione che diminuisce il valore del coefficiente di intensificazione degli sforzi e dunque tenacizza il materiale. La presenza di particelle può deviare o ruotare il piano di propagazione della frattura (vedi figura 5).

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Figura 5. Schematizzazione del processo di deviazione (crack til t) e di rotazione (crack twist) dell ’apice di una cricca per interazione con un ostacolo. Queste variazioni di traiettoria sono dovute essenzialmente agli sforzi residui di trazione e compressione presenti nella matrice e provocati dal differente coefficiente di dilatazione termica della matrice e del rinforzo. Se quello della matrice è inferiore a quello della particella, la matrice verrà posta in compressione, se viceversa, la matrice verrà posta in trazione. Nel primo caso la frattura eviterà durante il suo percorso i rinforzi, nel secondo caso ne sarà attratta. La figura 6 schematizza questa situazione. Dal punto di vista dell’ aumento della tenacità i due meccanismi di “disturbo” del fronte di avanzamento si equivalgono.

Figura 6. Fenomeno del “crack trapping” per A) αm>αp e B) αm<αp. Tornando alla figura si può vedere che alla deviazione della frattura si può associare un angolo θ e che alla rotazione può essere associato sia un angolo θ che un angolo di rotazione φ. Questa variazione di traiettoria fa sì che il modo di apertura della frattura sia variato. Inizialmente si assume che questo modo sia di tipo I (le due superfici vengono allontanate tra loro da sforzi di trazione). Ma la deviazione provoca un modo di apertura “misto”, ovvero entreranno in gioco anche i modi di apertura II e III . Naturalmente i modi di apertura descritti sono situazioni estreme, se la cricca è deviata formerà certi angoli con il suo piano di propagazione iniziale per cui sarà necessario calcolare dei nuovi valori di K che saranno più piccoli del valore iniziale (attenzione qui si parla di fattori di intensificazione dello sforzo non di fattori critici di intensificazione dello sforzo . Quantizzare l’ aumento di tenacità non è banale. Evans e la Faber hanno proposto un approccio elegante.

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Il punto di partenza è la ben nota equazione che mette in relazione il fattore di intensificazione dello sforzo KI con la strain energy release rate G:

E

KG

2

=

Ammettiamo però di far propagare la frattura in modo misto (si può pensare di applicare contemporaneamente sforzi di trazione, taglio ed un momento a torsione) la precedente equazione può essere così modificata:

E

KKKG IIIIII

222 ++=

Un risultato simile lo si può ottenere anche pensando di modificare il percorso della frattura (per esempio inserendo nella matrice dei rinforzi). In questo caso lo sforzo applicato (di trazione) rimane costante, ma l’ apice della cricca viene sollecitato in maniera differente a seconda dei valori degli angoli θ e φ, per cui si verificheranno delle situazioni miste e per trovare i veri valori dei fattori di intensificazione degli sforzi bisognerà moltiplicare KI, e KII e KIII per delle funzioni trigonometriche. La differenza tra il G legato alla propagazione lineare della frattura ed il G calcolato con l’ equazione di Evans permette di valutare l’ aumento di tenacità. L’ equazione ricavata va corretta tenendo conto anche della frazione volumetrica dei rinforzi e della loro forma. Il risultato è riportato nelle due figure successive (7 e 8). Nella prima viene riportato l’ effetto della quantità di rinforzi di forma cili ndrica utili zzati e della loro “snellezza” (R = diametro/lunghezza), nel secondo l’ effetto della frazione volumetrica e della morfologia [R ci lindri = 12, R dischi = 12 (raggio/spessore)].

Figura 7. Aumento di tenacità legato ai meccanismi di deviazione/rotazione dell ’apice della cricca per particelle cili ndriche con diverso grado di elongazione R.

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Figura 8. Influenza della morfologia degli ostacoli , a forma di cili ndri, dischi e sfere, sull ’aumento di tenacità. Un confronto con i dati sperimentali dimostra che il modello sovrastima l’ effetto di questo meccanismo di tenacizzazione , corretto è però l’ apprezzamento relativo all’ effetto della frazione volumetrica e della morfologia dei rinforzi. Nel caso poi di particelle di forma allungata (es. whisker) accanto al precedente meccanismo ne agiscono altri come il “bridging” ed il pull out. L’ aumento di tenacità in questo caso è dato da ll’ azione di “blocco” nei confronti delle superfici di frattura che esercitano le particelle non fratturate superate dalla cricca che si propaga nella matrice (bridging). Il pull out invece si verifica quando il whisker si rompe non in corrispondenza del piano di propagazione della frattura ma sopra o sotto di esso, di conseguenza il difetto per propagarsi deve fare un lavoro di estrazione del rinforzo dalla matrice consumando una certa quantità di energia. Un’ analisi più dettagliata su questi ultimi meccanismi verrà fatta più avanti quando si parlerà di compositi contenenti rinforzi duttili o fibre lunghe. ….e se ci provassimo mettere dentro un po’ di metallo? Una matrice ceramica può essere tenacizzata anche introducendo una fase metalli ca. A seconda della microstruttura questi compositi si possono dividere in tre categorie: Compositi contenenti particelle metalli che isolate tra loro. Compositi costituiti da rinforzi metalli ci intercomunicanti tra loro ( un esempio è costituito dai materiali con nome commerciale lanxide ottenuti mediante la ossidazione controllata di una lega metalli ca fusa). Compositi costituiti da particelle di materiale ceramico legate assieme da una lega fusa durante il processo di preparazione. Un tipico esempio è la cosiddetta widia, materiale messo a punto negli anni trenta in Germania.

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Il meccanismo di tenacizzazione nei compositi contenenti fase metalli che è attivo solamente se la frattura viene “attirata” dal rinforzo. Ciò si verifica quando il modulo elastico de lla matrice è più grande rispetto a quello del rinforzo (quasi sempre). La particella metalli ca deve essere duttile e con un basso limite di snervamento. Se però il coefficiente di dilatazione termica della particella è molto più grande di quello della matrice, essa viene sottoposta durante il raffreddamento ad una forte pressione idrostatica a trazione durante che sopprime la duttili tà. Il meccanismo di tenacizzazione consiste nella trasformazione di una quantità dell’ energia elastica del sistema in lavoro di deformazione plastica come viene evidenziato dalla figura 9.

Figura 9. Curva sforzi-deformazioni per un materiale rinforzato da particelle duttili . A) La particella presenta una limitata duttili tà e l’interfaccia non permette lo scollamento, B) la particella presenta una notevole duttili tà e l’interfaccia permette lo scollamento. Affinché il meccanismo sia efficace sono importantissime le caratteristiche dell’ interfaccia fra il rinforzo e la matrice. L’ interfaccia si forma durante il processo di produzione del composito, ad alta temperatura in quanto avvengono delle reazioni chimiche tra il ceramico e la lega. Questa zona di contatto non deve essere troppo debole o troppo fragile, altrimenti la frattura si propaga attorno alla particella senza interagire con essa (figura 10)

Figura 10. Schematizzazione della propagazione di un difetto in presenza di interfaccia matrice/particella debole con conseguente completo scollamento del rinforzo dalla matrice. Non deve neanche essere troppo forte perché in questa maniera non si ha quel parziale scollamento del rinforzo necessario per attivare il meccanismo di rinforzo.

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Nel caso dei compositi con la fase metalli ca che funziona da legante (widia) la deformazione plastica non interessa solo il rinforzo che interagisce con la frattura ma anche una parte del materiale circostante la frattura. Questo comportamento aumenta notevolmente la tenacità del composito (il KIc varia, a secondo del contenuto di Co da 5 – 6 MPam1/2 a 12 – 13 MPam1/2). Naturalmente la particolare microstruttura con la fase metalli ca legante che avvolge le particelle metalli che comporta in questo caso la perdita di alcune caratteristiche tipiche dei compositi ceramici come la scarsa sensibili tà al creep ad alta temperatura. La variazione di tenacità (valutata come ∆G) può essere calcolata con la seguente equazione:

χ=∆fYR

G

Dove f è la frazione volumetrica dei rinforzi, Y è il limi te di snervamento della particella duttile, e R il raggio del rinforzo. Il parametro χ adimensionale dipende dall’ entità del debonding e dalla duttili tà della particella. Esso può valere da 0.3 a 1 nel caso di rinforzi che si rompono in maniera duttile senza debonding. Assume valori ancora inferiori per rinforzi poco duttili . Valori attorno a 8 possono essere raggiunti nei casi ideali (debonding, comportamento duttile della particella). L’ equazione è affidabile, ma sottostima la tenacità dei materiali tipo widia perché, come abbiamo visto, intervengono dei meccanismi più complessi. Un interessante composito è stato messo recentemente a punto. Esso prevede la reazione a 1350°C in atmosfera riducente tra polveri di sili cio e molibdeno e conseguente formazione di MoSi2, un successivo incremento della temperatura a 1450 °C e la immissione di azoto nel forno. Il gas reagisce con l’ eccesso di sili cio e forma Si3N4 che costituisce la matrice del composito. La densità relativamente bassa (80 – 85% rispetto alla teorica) può essere incrementata mediante successiva pressatura a caldo. Il sili ciuro di Mo ha sopra i 1000°C un comportamento duttile e di conseguenza è in grado di attivare dei meccanismi di tenacizzazione simili a quelli che abbiamo visto precedentemente. Più complesso è il discorso sui compositi rinforzati con fibre continue. Essi sono i più interessanti perché la loro tenacità (valutata come KIc) si avvicina al mitico valore di 20 MPam1/2 che, convenzionalmente, è stato scelto come limite tra materiali e duttili e fragili . Molto difficile (e costosa) è la loro preparazione. E’ evidente infatti che la presenza di frazioni volumetriche intorno allo 0.6 di fibre lunghe pone dei severi problemi in fase di preparazione. La sinterizzazione in presenza di una pressione esterna è stata utili zzata solo per produrre dei compositi con fibre di SiC e matrice in vetroceramica, questi materiali sono però abitualmente usati solo a scopo di studio. Vengono invece utili zzate delle tecniche CVD ovvero chemical vapour deposition e CVI chemical vapour impregnation. Si fanno avvenire sulla superficie dei rinforzi delle reazioni in fase gassosa che portano alla formazione di prodotti solidi che costituiranno le matrici. Qui di seguito vengono riportate alcuni esempi delle reazioni chimiche sfruttabili : CHCl3Si(g) a 1200°C si decompone in SiC(s) e 3HCl Tra 950 e 1000°C 2AlCl3 (g)+ 3H2O(g) = Al2O3(g) + 6HCl(g) Tra 700°C e 1400°C MoCl5(g) + 2SiCl4(g) + 6.5 H2(g) = MoSi2(s) + 13 HCl(g) Concettualmente le due tecniche sono simili , solamente nel caso della CVI la reazione viene fatta all’ interno di preformati di fibre. Nella figura 11 viene schematizzato un processo CVI

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Figura 11. Rappresentazione schematica di un reattore per CVI.

I compositi carbonio – carbonio, costituiti da una matrice a base di C amorfo o parzialmente grafitizzato, vengono prodotti mediante decomposizione del metano in carbonio ed idrogeno in particolari condizioni di temperatura e pressione all’ interno di tessuti o preformati di fibre. Viene utili zzato anche il metodo della decomposizione termica di polimeri termoindurenti o di residuati della distill azione del petrolio infiltrati all’ interno dei rinforzi. Il raggiungimento di alte densità con questi metodi è estremamente difficile perché le reazioni di solito avvengono all’ inizio delle cavità e le sigill ano impedendo l’ entrata dei gas di reazione nei vuoti così creati. Nel caso poi della decomposizione di polimeri o di altre sostanze con alto contenuto di carbonio, esse avvengono con delle contrazioni di volume del 40 – 50%, fatto questo che impedisce una soddisfacente densificazione. Di conseguenza sono stati messi a punto tutta una serie di processi tendenti a superare o a mitigare questi inconvenienti. Per esempio si creano all’ interno dei preformati di fibre dei gradienti termici (che poi possono essere “spostati” al l’interno del composito durante il processo di crescita della matrice) per far avvenire la deposizione della fase solida in particolari zone rispetto ad altre. Molto spesso però si è costretti ad interrompere il processo ed asportare meccanicamente le “croste” superficiali che si sono formate per permettere il flusso del gas nel semilavorato. Le reazioni di crescita sono molto lente (il processo può durare settimane) e come abbiamo visto spesso necessitano delle lavorazioni intermedie. Naturalmente in questa maniera salgono i costi, per cui buona parte di questi materiali vengono utili zzati per applicazioni particolari (nel settore aerospaziale, per parti di automobili da competizione, scambiatori di calore entro i quali circolano sostanze corrosive ecc. ). Fortunatamente spesso non sono richieste densità molto alte, anzi in certe situazioni (per esempio nel caso di manufatti sottoposti a degli shock termici) la presenza di porosità nella matrice è benvenuta. Questo quadro complesso viene ulteriormente complicato dalla necessità di controllare le caratteristiche della interfaccia rinforzo – matrice, in quanto essa influenza in maniera determinante la tenacità del composito. Vari sono i meccanismi di tenacizzazione che agiscono e permettono di raggiungere alti valori di KIc in questo tipo di compositi. Nella figura seguente (12) essi vengono schematizzati.

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Figura 12. Illustrazione schematica indicante i vari meccanismi di tenacizzazione agenti in un composito ceramico rinforzato da fibre fragili . Come si può vedere sono presenti dei fenomeni che già conosciamo come il debonding, con la frattura che si propaga all’ interfaccia fibra - matrice, il bridging ed il pull out . Come abbiamo detto questi meccanismi sono attivi anche nel caso di compositi rinforzati con fibre corte (whisker). Per cui la discussione che faremo è applicabile anche a questo tipo di materiali. Affinché questi meccanismi siano efficaci si devono realizzare le seguenti condizioni: La interfaccia fibra - matrice deve avere una tenacità più bassa rispetto a quella della matrice e della fibra perché ciò favorisce il debonding. Le fibre devono avere un basso modulo di Weibull, ovvero devono contenere dei difetti che fanno avvenire la rottura anche lontano dal piano di propagazione della frattura. Ciò incrementa il numero dei pull out e quindi la tenacità. Le fibre non devono essere troppo “legate”alla matrice, in quanto così i rinforzi si rompono sul piano di propagazione della frattura diminuendo la tenacità del materiale. La superficie del rinforzo deve essere la più liscia possibile per facili tare il movimento della stessa durante “l’ estrazione” oppure deve essere ricoperta da strati di composti capaci di bloccare le reazioni chimiche tra i componenti. Per quanto riguarda le equazioni che permettono di apprezzare il guadagno di tenacità, la loro affidabili tà è resa dubbia dalla concomitanza dei vari fenomeni di tenacizzazione. Alcuni dei parametri in esse presenti, poi, sono difficili da apprezzare. Ad ogni modo si può dire che l’ incremento di G di un composito ceramico, nel caso di una frattura che si propaga ortogonalmente alla direzione delle fibre, è direttamente proporzionale alla frazione volumetrica dei rinforzi, alla lunghezza media del debonding, allo sforzo di taglio necessario ad estrarre la fibra della matrice senza che essa si rompa ulteriormente. Inoltre DG è proporzionale al quadrato della resistenza a trazione delle fibre ed inversamente proporzionale al raggio delle stesse. Per quanto riguarda i compositi a fibre corte (whisker per intenderci) la modelli zzazione è ancora più complessa perché non tutti i monocristalli sono orientati a 90° rispetto al piano di direzione della frattura. In questi materiali inoltre agiscono non solo i meccanismi visti precedentemente ma

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anche la deviazione e la rotazione del piano della frattura. L’ equazione proposta da Becher e coll. è la seguente:

=∆iw

mcww

GE

GrEVK

)1(6 2ν

In essa compaiono i moduli elastici del composito e dei whisker (Ec e Ew), il raggio(r) e la frazione volumetrica degli stessi (f), la tenacità della matrice e dell‘ interfaccia (espresse come Gm e Gi) ed il modulo di Poisson del composito. Conclusioni e prospettive. Circa vent’ anni fa i compositi ceramici sembravano avere un futuro entusiasmante. Questo ottimismo era dovuto alla scoperta dell’ effetto tenacizzante del biossido di zirconio ed alle prospettive di applicazione in campo motoristico. Le aspettative si sono un po’ raffreddate perché si sono scoperti i limi ti della zirconia e l’ applicazione di parti ceramiche nei motori diesel non ha portato a dei risultati concreti. In questo caso la termodinamica (secondo principio, calcolo del rendimento di una macchina termica) si è scontrata brutalmente con la chimica degli idrocarburi. L ‘ iniezione del combustibile nella camera di scoppio surriscaldata portava alla decomposizione degli idrocarburi ed alle code di combustione che abbassavano il rendimento. A essere pessimisti si potrebbe dire che questi materiali hanno un grande futuro alle loro spalle. Ma così non è. Dal punto di vista scientifico essi hanno stimolato gli studi della meccanica della frattura dei materiali fragili che ha fatto negli ultimi anni degli enormi passi in avanti. Dal punto di vista tecnologico utili ssime sono le applicazioni nel settore degli utensili , degli elementi antiusura, dell’ industria metallurgica e chimica.

Figura 13. Scambiatori di calore, tubi bruciatori ed altre parti di fornaci costituite da compositi a matrice ceramica rinforzati con particelle. Notevoli poi sono le applicazione in campo aerospaziale: dischi di freni, barriere termiche, camere di combustione di motori a razzo, parti di postbruciatori ecc. Non molto ben conosciute (per ovvi motivi) sono le applicazioni in campo militare, soprattutto nel settore delle corazze composite e dei

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proiettili perforanti. In conclusione, pur non avendo la stessa diffusione dei compositi a matrice polimerica, essi si sono ritagliati alcune importanti nicchie di mercato. E’ ragionevole pensare ad una loro ulteriore diffusione nel settore dei dispositivi di conversione dell’ energia. Bibliografia essenziale K.K Chawla, Ceramic Matrix Composites. Chapman & Hall K.T Faber e A. G: Evans, Acta Metall. 31, (4),565-76 (1983). P.F: Becher Acta metal. 34, (10), 1885-91, (1986) A.G: Evans e R.M. Cannon 34 (5), 761-800, (19869. M. Ruhle, B.J. Dalgleish, e A.G. Evans, Scr. Metall. 21, 681-686 (1986).