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Cateterismo venoso centrale per via percutanea nel neonato Introduzione L’aumento della sopravvivenza di un sempre maggior numero di neonati estremamente prematuri e in condizioni critiche rende indispensabile disporre di un accesso vascolare stabile per somministrare nutrizione parenterale (NP) che consente una crescita ottimale e per infondere liquidi addizionali e farmaci. Da quando nel 1973 Shaw la descrisse per la prima volta, questa tecnica, che consiste nell’introdurre un catetere in silicone nel sistema venoso centrale di un neonato, a partenza da una vena periferica, si è universalmente affermata ed è stata perfezionata per il miglioramento dei cateteri e dei sistemi di introduzione. La sigla più comunemente utilizzata per indicare questa procedura è PICC (dall’inglese Peripherally Inserted Central Catheters) oppure in italiano si usa l’abbreviazione “Percutanea”. Secondo quanto stabilito dalla FDA e altre società scientifiche la punta del catetere deve essere localizzata nella vena cava superiore (metà-terzo inferiore) se il catetere è introdotto dalle vene degli arti superiori o della testa, oppure nella porzione toracica della vena cava inferiore, se inserito da una vena degli arti inferiori. Vantaggi e indicazioni Per ciascun neonato la scelta dell’accesso venoso più appropriato deve essere basata sui seguenti criteri: durata e il tipo di terapie previste, età, peso, diagnosi, stato del patrimonio venoso e condizioni cliniche. Il PICC ha numerosi vantaggi rispetto alle altre tecniche, le segnalazioni di complicanze gravi sono poche e, se usato bene, i rischi sono minimi. Gli accessi venosi periferici (PIV) sono stati il sostegno principale della terapia infusionale dei neonati prematuri e/o patologici. La rimozione non elettiva dovuta a complicanze si verifica però nel 78-95% dei casi e l’inserzione e il mantenimento di un PIV, specie nei neonati con peso <1000 g può essere difficile per le piccole dimensioni delle vene e per la mancanza di siti di inserzione dovuta ai ripetuti tentativi di posizionare un accesso venoso. L’eccessiva manipolazione del neonato, particolarmente se prematuro o in condizioni critiche, provoca dolore, agitazione, apnea e aumentato consumo di ossigeno. Ripetute punture sulla cute aumentano il rischio di infezione perché la cute è la prima linea di difesa contro l’invasione di germi patogeni e anche i traumatismi ripetuti compromettono la barriera cutanea. La maggior parte delle complicanze da PIV sono lievi (infiltrazione, edema, eritema, occlusione) alcune, tuttavia, come lo stravaso di farmaci e il ristagno nei tessuti sono gravi. L’infiltrazione o lo stravaso possono provocare dolore, fastidio, necrosi tessutale, danni estetici, perdita di funzionalità di un arto, danni neurologici, contratture. I neonati sono a grande rischio di danni da infiltrazione per l’uso di pompe da infusione, somministrazione di molti farmaci in bolo, necessità di manovre di rianimazione e per l’impossibilità di comunicare verbalmente il dolore. Il rischio di complicanze può essere ridotto con l’impiego di un PICC, inoltre il tempo medio di permanenza di un PIV è molto più breve di quello dei PICC . Posizionare la punta del PICC nella vena cava superiore o inferiore, dove cioè esiste un grande flusso ematico, consente invece una ottimale emodiluizione delle sostanze infuse ed è quindi possibile somministrare soluzioni più concentrate (NPT, SG>10%, soluzioni iperosmolari, farmaci) che se infuse in un vaso periferico danneggerebbero le vene o potrebbero provocare danni da infiltrazione/stravaso. Il traumatismo dei vasi e quindi la riduzione del tempo di permanenza in situ è in relazione alla composizione delle soluzioni (osmolarità, pH, proprietà chimiche), farmaci e soluzioni con osmolalità <450 mOsm/Kg danno raramente flebite chimica mentre se l’osmolalità è fra 450-600 mOsm/Kg la flebite chimica è più frequente. Se l’osmolalità è >600 mOsm/Kg si ha flebite chimica quasi sempre con risultante necessità di rimozione del PIV. Soluzioni iperosmolari somministrate routinariamente ai neonati comprendono: SG con concentrazione >10%, NPT, ampicillina, cefotaxime, bicarbonato di sodio, fenobarbitale. Se il pH delle soluzioni o dei farmaci è <6 o >8 si può verificare irritazione delle vene che è maggiore se l’infusione è rapida e quindi il sangue non ha tempo per tamponare la soluzione. La gentamicina e la vancomicina sono esempi di farmaci acidi, l’ampicillina è alcalina. Per la vancomicina c’è la raccomandazione per l’infusione in un vaso centrale a causa del pH e delle sue ben note proprietà irritanti. Per le loro caratteristiche chimiche alcuni farmaci sono irritanti per le vene e possono provocare flebiti e trombosi. L’amfotericina B è un esempio di sostanza chimicamente irritante che provoca danno vascolare con flebite e danno da stravaso. Se, inizialmente, può essere necessario infondere alcuni di questi farmaci per via periferica bisognerebbe considerare la necessità di un accesso vascolare centrale che consente una adeguata emodiluizione e riduce i rischi di danneggiamento dei vasi. Per la somministrazione routinaria di questi farmaci è necessario un accesso venoso centrale I cateteri venosi centrale tunnellizzati (CVCc) sono stati storicamente associati a maggior incidenza di infezioni quando confrontati con i PICC anche se dati più recenti riportano una uguale distribuzione delle complicanze. I rischi di PNX, emotorace, il maggior costo, la necessità di anestesia e l’invasività della procedura sono tuttavia ulteriori svantaggi di questo tipo di accesso venoso. Non sono state evidenziate differenze nei costi fra PICC e PIV. Il costo di inserzione di un PICC è minore di quello dell’inserzione chirurgica di un CVC che necessita di sala operatoria, chirurgo esperto, anestesia generale e spostamento del neonato con un costo tre volte superiore a quello del PICC e un tempo doppio. L’inserzione di un PICC nella

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Page 1: Cateterismo venoso centrale per via percutanea nel neonato · − anatomia e fisiologia del sistema venoso e arterioso − tecniche sterili − preparazione del paziente − trattamento

Cateterismo venoso centrale per via percutanea

nel neonato Introduzione L’aumento della sopravvivenza di un sempre maggior numero di neonati estremamente prematuri e in condizioni critiche rende indispensabile disporre di un accesso vascolare stabile per somministrare nutrizione parenterale (NP) che consente una crescita ottimale e per infondere liquidi addizionali e farmaci. Da quando nel 1973 Shaw la descrisse per la prima volta, questa tecnica, che consiste nell’introdurre un catetere in silicone nel sistema venoso centrale di un neonato, a partenza da una vena periferica, si è universalmente affermata ed è stata perfezionata per il miglioramento dei cateteri e dei sistemi di introduzione. La sigla più comunemente utilizzata per indicare questa procedura è PICC (dall’inglese Peripherally Inserted Central Catheters) oppure in italiano si usa l’abbreviazione “Percutanea”. Secondo quanto stabilito dalla FDA e altre società scientifiche la punta del catetere deve essere localizzata nella vena cava superiore (metà-terzo inferiore) se il catetere è introdotto dalle vene degli arti superiori o della testa, oppure nella porzione toracica della vena cava inferiore, se inserito da una vena degli arti inferiori. Vantaggi e indicazioni Per ciascun neonato la scelta dell’accesso venoso più appropriato deve essere basata sui seguenti criteri: durata e il tipo di terapie previste, età, peso, diagnosi, stato del patrimonio venoso e condizioni cliniche. Il PICC ha numerosi vantaggi rispetto alle altre tecniche, le segnalazioni di complicanze gravi sono poche e, se usato bene, i rischi sono minimi. Gli accessi venosi periferici (PIV) sono stati il sostegno principale della terapia infusionale dei neonati prematuri e/o patologici. La rimozione non elettiva dovuta a complicanze si verifica però nel 78-95% dei casi e l’inserzione e il mantenimento di un PIV, specie nei neonati con peso <1000 g può essere difficile per le piccole dimensioni delle vene e per la mancanza di siti di inserzione dovuta ai ripetuti tentativi di posizionare un accesso venoso. L’eccessiva manipolazione del neonato, particolarmente se prematuro o in condizioni critiche, provoca dolore, agitazione, apnea e aumentato consumo di ossigeno. Ripetute punture sulla cute aumentano il rischio di infezione perché la cute è la prima linea di difesa contro l’invasione di germi patogeni e anche i traumatismi ripetuti compromettono la barriera cutanea. La maggior parte delle complicanze da PIV sono lievi (infiltrazione, edema, eritema, occlusione) alcune, tuttavia, come lo stravaso di farmaci e il ristagno nei tessuti sono gravi. L’infiltrazione o lo stravaso possono provocare dolore, fastidio, necrosi tessutale, danni estetici, perdita di funzionalità di un arto, danni neurologici, contratture. I neonati sono a grande rischio di danni da infiltrazione per l’uso di pompe da infusione, somministrazione di molti farmaci in bolo, necessità di manovre di rianimazione e per l’impossibilità di comunicare verbalmente il dolore. Il rischio di complicanze può essere ridotto con l’impiego di un PICC, inoltre il tempo medio di permanenza di un PIV è molto più breve di quello dei PICC . Posizionare la punta del PICC nella vena cava superiore o inferiore, dove cioè esiste un grande flusso ematico, consente invece una ottimale emodiluizione delle sostanze infuse ed è quindi possibile somministrare soluzioni più concentrate (NPT, SG>10%, soluzioni iperosmolari, farmaci) che se infuse in un vaso periferico danneggerebbero le vene o potrebbero provocare danni da infiltrazione/stravaso. Il traumatismo dei vasi e quindi la riduzione del tempo di permanenza in situ è in relazione alla composizione delle soluzioni (osmolarità, pH, proprietà chimiche), farmaci e soluzioni con osmolalità <450 mOsm/Kg danno raramente flebite chimica mentre se l’osmolalità è fra 450-600 mOsm/Kg la flebite chimica è più frequente. Se l’osmolalità è >600 mOsm/Kg si ha flebite chimica quasi sempre con risultante necessità di rimozione del PIV. Soluzioni iperosmolari somministrate routinariamente ai neonati comprendono: SG con concentrazione >10%, NPT, ampicillina, cefotaxime, bicarbonato di sodio, fenobarbitale. Se il pH delle soluzioni o dei farmaci è <6 o >8 si può verificare irritazione delle vene che è maggiore se l’infusione è rapida e quindi il sangue non ha tempo per tamponare la soluzione. La gentamicina e la vancomicina sono esempi di farmaci acidi, l’ampicillina è alcalina. Per la vancomicina c’è la raccomandazione per l’infusione in un vaso centrale a causa del pH e delle sue ben note proprietà irritanti. Per le loro caratteristiche chimiche alcuni farmaci sono irritanti per le vene e possono provocare flebiti e trombosi. L’amfotericina B è un esempio di sostanza chimicamente irritante che provoca danno vascolare con flebite e danno da stravaso. Se, inizialmente, può essere necessario infondere alcuni di questi farmaci per via periferica bisognerebbe considerare la necessità di un accesso vascolare centrale che consente una adeguata emodiluizione e riduce i rischi di danneggiamento dei vasi. Per la somministrazione routinaria di questi farmaci è necessario un accesso venoso centrale I cateteri venosi centrale tunnellizzati (CVCc) sono stati storicamente associati a maggior incidenza di infezioni quando confrontati con i PICC anche se dati più recenti riportano una uguale distribuzione delle complicanze. I rischi di PNX, emotorace, il maggior costo, la necessità di anestesia e l’invasività della procedura sono tuttavia ulteriori svantaggi di questo tipo di accesso venoso. Non sono state evidenziate differenze nei costi fra PICC e PIV. Il costo di inserzione di un PICC è minore di quello dell’inserzione chirurgica di un CVC che necessita di sala operatoria, chirurgo esperto, anestesia generale e spostamento del neonato con un costo tre volte superiore a quello del PICC e un tempo doppio. L’inserzione di un PICC nella

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maggior parte dei casi richiede pochi minuti (15’-60’) e questo determina un risparmio economico e uno stress minore per il neonato. I cateteri midline sono un’alternativa per quei neonati che non necessitano di un PICC ma che devono essere sottoposti a terapia endovenosa per molti giorni. Si tratta di dispositivi intravascolari che, inseriti da una vena periferica, vengono introdotti fino a un’area di grande flusso ematico della porzione prossimale delle estremità, oppure, inseriti dalle vene dello scalpo raggiungono la vena giugulare esterna. Possono essere utilizzati, al pari dei PIV, per somministrare soluzioni con osmolalità <600 mOsm/L, pH 5-9 e per l’infusione discontinua di farmaci irritanti o vescicanti ma, rispetto agli accessi venosi periferici hanno un tempo medio di permanenza maggiore (6-10 giorni). Attualmente non esistono raccomandazioni sul limite di tempo massimo di impiego dei cateteri midline. Indicazioni al posizionamento di un PICC: − prematuri con peso <1500 g − neonati prematuri o a termine che non possono essere alimentati per via enterale e che si presume abbiano necessità

di liquidi per ev per ≥7 giorni − neonati che necessitano di farmaci x ev iperosmolari con pH <6 o >8 o irritanti − neonati con infezioni che richiedono terapia antibiotica − neonati con disordini gastrointestinali − neonati con cardiopatia congenita − neonati che necessitano di infusione di sostanze vasoattive. Per ciascun neonato deve essere attentamente valutato il rapporto fra rischi e benefici derivanti dalla procedura. Controindicazioni: − presenza di infezione a livello del sito di inserzione − batteriemia o fungemia non ancora trattate o resistenti alla terapia trombocitopenia o coagulazione intravascolare

disseminata (aumento del rischio di sanguinamento prolungato nel sito di inserzione). Competenze degli operatori L’inserimento di un PICC richiede una specifica preparazione, abilità tecnica ed esperienza. Coloro che inseriscono e gestiscono un PICC devono conoscere: − indicazioni per il posizionamento − rapporto fra rischi e benefici − problematiche medico-legali − standard della terapia ev − anatomia e fisiologia del sistema venoso e arterioso − tecniche sterili − preparazione del paziente − trattamento del dolore − utilizzo del materiale per l’inserzione dei PICC − tecnica di inserzione − valutazione e trattamento delle complicanze − manutenzione e “care” del catetere (compresa la tecnica di riparazione). Team dedicati, composti da medici e infermieri, che posizionano e gestiscono i cateteri, si sono dimostrati in grado di ridurre l’incidenza di complicanze, aumentare sia la sicurezza del paziente che la qualità delle cure, inoltre, hanno maggiori percentuali di successo nel posizionamento del catetere. I team dedicati oltre al posizionamento, alla gestione e alla rimozione del PICC devono occuparsi della valutazione della procedura, degli audit clinici periodici, di seguire la letteratura scientifica sull’argomento e dell’addestramento del nuovo personale. Scelta della vena Le vene comunemente utilizzate per il posizionamento del PICC sono la basilica, la cefalica, la grande e la piccola safena, la poplitea, la temporale superficiale, l’auricolare posteriore, la giugulare esterna, l’ascellare e la vena femorale (Fig.1-4). Ogni vena offre vantaggi e svantaggi e, nonostante i molti studi sull’argomento, non vi sono indicazioni certe sulla maggior sicurezza di una scelta piuttosto che di un’altra. Allo stato attuale delle conoscenze si può affermare che il vaso deve essere di calibro sufficiente ad accogliere catetere e introduttore e qualunque vena periferica con questi requisiti può essere idonea. La basilica è una vena larga ed è più diritta e meno tortuosa della cefalica; è facilmente accessibile, il catetere passa facilmente, il tempo necessario per la procedura è inferiore e ha una bassa incidenza di flebite. Gli svantaggi sono il rischio di puntura dell’arteria brachiale che le scorre vicina e la puntura dell’arteria per i prelievi che rende difficile il reperimento della vena.

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La vena cefalica è più piccola della basilica, ha un angolo acuto quando si congiunge alla vena ascellare, si può biforcare con una porzione che si congiunge con la giugulare esterna e l’altra con l’ascellare, si restringe e diventa tortuosa mentre risale nell’arto, può essere difficile far procedere il catetere oltre la spalla e il catetere può malposizionarsi nella vena ascellare. Le grandi dimensioni della vena ascellare rendono agevole l’incannulamento, il passaggio e l’inserimento di un catetere anche a due lumi. La presenza di grasso sottocutaneo ostacola l’individuazione del vaso nei neonati più grandi, inoltre c’è il rischio di pungere l’arteria che decorre vicino alla vena. La vena giugulare esterna è un vaso largo e superficiale, facilmente visibile e palpabile e di solito non è utilizzata per altri scopi. È difficile posizionare il neonato per l’inserimento e fissare il catetere. Esiste un alto rischio di dislocazione. Il ramo della vena temporale superficiale di fronte all’orecchio è largo e ben visibile ma deve essere distinto dall’arteria adiacente. Introdotto il catetere nella vena è possibile incontrare resistenza in corrispondenza del tratto di fronte all’orecchio e all’ingresso nella vena succlavia. La vena auricolare posteriore si incannula meglio dietro l’orecchio, è di dimensioni variabili, può essere tortuosa ed è possibile incontrare resistenza alla progressione quando il catetere entra nella vena succlavia. Nella vena femorale è possibile inserire un catetere bilume di grosso calibro, gli svantaggi sono il rischio di puntura accidentale dell’arteria femorale. Attualmente viene raccomandata l’incannulazione sotto guida ecografia. La vena grande safena è facilmente visibile, decorre in posizione mediale dall’anca al malleolo, può essere incannulata a vari livelli lungo il suo decorso. È la più lunga vena del corpo, ha 7-15 valvole che devono essere superate. Il posizionamento del PICC può provocare edema dell’arto di solito modesto senza compromissione della circolazione. La vena piccola safena è piccola e tortuosa, si congiunge con la poplitea sul retro del ginocchio ed è meglio raggiungibile dalla porzione laterale della gamba. La vena poplitea si visualizza facilmente nei prematuri, meno nei neonati a termine per l’aumentato tono muscolare.

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Equipaggiamento Garze sterili 10x10 Acqua distillata Soluzione antisettica Catetere/Introduttore Cuffia Laccio emostatico sterile Mascherina Cerotto sterile Camice sterile Rubinetti Guanti sterili Prolunghe Telino sterile Pompa da infusione/Elastometro Ferri sterili Lampada per illuminazione Siringhe Centimetro sterile Sol. Fisiologica Cateteri e introduttori Sono disponibili cateteri a singolo o doppio lume, quest’ultimo è indicato se devono essere somministrati NPT, numerosi farmaci o elevati volumi. La scelta del calibro, dipende dal peso del paziente, dalle dimensioni della vena, dal tipo di soluzioni, dalla velocità di infusione e dalla necessità di effettuare prelievi. Per limitare il traumatismo della vena è opportuno inserire un catetere delle dimensioni più piccole possibili. I PICC sono realizzati in silicone o poliuretano e non esistono dati a sostegno della superiorità dell’uno o dell’altro materiale, entrambi vengono impiegati con successo da molti anni e sono biocompatibili. Il giudizio sul materiale costitutivo di un catetere si deve basare sull’integrità strutturale, sulla resistenza all’attorcigliamento, sulla rigidità strutturale che rende agevole l’inserimento e la progressione del catetere, sulla bassa trombogenicità, sulla bassa adesività batterica, sulla stabilità nel tempo, sull’inerzia rispetto ai tessuti, alle soluzioni e alle sollecitazioni meccaniche. La principale differenza fra silicone e poliuretano risiede nella maggiore resistenza alla rottura del poliuretano che consente la realizzazione di cateteri con pareti più sottili e con lume interno maggiore rispetto ai cateteri in silicone. I sistemi introduttori sono di tre tipi: aghi butterfly, agocannule peel-away e aghi breack-away (Fig.5). I peel-away sono simili alle agocannule ma si aprono (si spellano) con un meccanismo molto semplice e, rispetto ai breack-away, presentano minori rischi di danni del catetere. I break-away hanno l’ago apribile, sono più piccoli rispetto allo stiletto delle agocannule e quindi sono più adatti per le vene di dimensioni minori. La tecnica di inserimento è simile a quella dell’ago butterfly ma, se il dispositivo non viene usato correttamente, c’è il rischio di lesionare il catetere. Procedura Prima di iniziare la procedura è necessario misurare di quanto va inserito il catetere (parte superiore del corpo: dal punto di inserzione lungo il decorso della vena fino al margine sternale destro a livello del III spazio intercostale; parte inferiore del corpo: dal punto di inserzione lungo il decorso della vena fino a destra dell’ombelico e in alto fino allo xifoide), provvedere all’immobilizzazione, al confort e, se necessario, alla sedazione del neonato. Monitorizzare frequenza cardiaca e saturazione del neonato e alzare il volume degli allarmi. Il posizionamento di un catetere percutaneo deve avvenire con tecnica sterile, rispettando con rigore tutte le norme di asepsi. Preparare il materiale necessario (vedere equipaggiamento) ed effettuare una preliminare antisepsi della zona cutanea prescelta per la puntura della vena con clorexideina o con iodopovidone. Indossare maschera e cuffia, lavarsi le mani e indossare camice e guanti sterili. Disinfettare il sito prescelto per la puntura del vaso con garze sterili imbevute di soluzione antisettica e posizionare il telo sterile. Aprire il pacco dei ferri (pinze senza denti e forbice). Riempire sterilmente due siringhe da 10 ml con S.F., verificare l’integrità del catetere e riempirlo con SF e lasciare la siringa collegata (se presente, riempire anche la seconda via del catetere e chiuderla con tappi sterili). Applicare il laccio (per incannualre le vene degli arti) e visualizzare la vena. Introdurre l’ago o l’agocannula, e, dopo essersi accertati di essere in vena, introdurre lentamente il catetere. Rimuovere il laccio quando il catetere è stato introdotto per 5 cm (per evitare la dislocazione dell’ago). Per ridurre il rischio di traumatismo del vaso la fase di inserimento dovrebbe durare circa 30-60 secondi. Inserito il catetere per i cm prestabiliti aspirare per verificare il ritorno di sangue e infondere soluzione fisiologica (l’assenza di reflusso ematico e/o l’impossibilità di infondere indicano un malposizionamento). Rimuovere con attenzione l’introduttore, evitando di sfilare accidentalmente il catetere. Fissare il catetere sulla cute ed eseguire una medicazione provvisoria. Verificare la posizione del catetere (la punta deve proiettarsi tra T3 e T5 se in cava superiore e tra T8 e T10 se in cava inferiore) (Fig.6-7). mediante radiografia La visualizzazione può essere anche ecografica.

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Per la radiografia posizionare il neonato per una proiezione obliqua laterale del torace (lato dx appoggiato a 10-15°) può migliorare la visualizzazione del catetere così come aumentare la durezza dell’RX. Per determinare se il catetere si è arrotolato nella circolazione periferica o centrale includere nell’Rx la parte di vena vicina al punto di inserimento. Molti cateteri contengono sufficiente bario o bismuto per essere visualizzati senza necessità di mezzo di contrasto. Il mezzo di contrasto può essere impiegato se, senza di esso , non si riesce a visualizzare la punta del catetere. Il mezzo di contrasto va iniettato lentamente,utilizzandone tanto quanto basta a riempire il catetere. La radiografia va scattata dopo 3-5 sec. per consentire al flusso ematico di lavare l’eccesso di mezzo di contrasto dalla punta del catetere così che questa possa essere ben identificata. Se la posizione del catetere è corretta, dopo la rimozione dalla cute della soluzione antisettica utilizzando acqua distillata o soluzione fisiologica sterile, procedere al fissaggio definitivo, utilizzando preferibilmente cerotti per medicazioni trasparenti semipermeabili. L’intera procedura va documentata sulla cartella clinica.

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Problemi potenziali correlati all’inserzione I più frequenti problemi relativi all’inserimento di un PICC sono elencati di seguito. Impossibilità a infilare il catetere nell’ago introduttore L’ago potrebbe non essere in vena. Provare a modificare la direzione dell’ago, controllare l’angolo di inserzione dell’ago e provare a ridurlo. Stringere il laccio può aiutare a distendere il vaso e consentire al catetere di passare. Impossibilità a far progredire il catetere fino alla lunghezza prestabilita: Le cause possono essere: vasospasmo, valvole venose, biforcazione della vena, indurimento o sclerosi della vena, anatomia venosa, posizione del paziente. Stabilire dove è bloccato il catetere misurando quanto ne è stato introdotto e poi attuare la strategia appropriata. Catetere bloccato a livello della circolazione periferica: rimuovere l’introduttore per prevenire danni al catetere, ritrarre il catetere di pochi cm, ruotarlo e inserirlo nuovamente. Questa manovra, che può essere eseguita 2-3 volte, può favorire il superamento delle valvole; se il catetere non progredisce applicare un laccio. Perché il rigonfiamento della vena può favorire la progressione del catetere.. L’infusione delicata di liquidi mentre il catetere viene infilato può facilitare il superamento di valvole o ostruzioni. Se il catetere non progredisce va rimosso ma, se il devono essere infusi soluzioni o farmaci non iperosmolari può essere lasciato in situ e utilizzato come un midline. Impossibilità a spingere il catetere nella circolazione centrale: se il catetere è nel tronco assicurarsi che la posizione del paziente sia corretta. Per inserzioni dagli arti superiori il braccio deve essere a 90° e il capo ruotato verso l’arto di inserzione; rimuovere l’introduttore; sfilare parzialmente il catetere e reinserirlo. Per inserzione dal braccio sollevare la spalla può aiutare il catetere a superare l’ostruzione così come abdurre o muovere l’arto. Per inserzione dalla gamba sollevare la pelvi può aiutare il catetere ad avanzare se è bloccato all’inguine; si può provare anche ad abdurre o mobilizzare l’arto. La difficoltà nel far progredire il catetere dallo scalpo alla vena giugulare può essere superata stirando delicatamente la cute del collo in basso, verso il corpo. Se il catetere è bloccato nel collo ruotare le spalle del neonato o muovere delicatamente la testa verso la linea mediana. Massaggiare lungo il decorso della vena o far scorrere un tampone di cotone lungo la vena sono stati aneddoticamente descritti come efficaci. Se il catetere rimane fuori della vena cava (di solito nel tronco brachiocefalico o nella succlavia) può essere lasciato in questa posizione solo se si infondono soluzioni e farmaci che possono essere somministrati con sicurezza per via periferica, in base alle necessità del paziente. Difficoltà di inserzione: alcuni neonati hanno vene difficili da incannulare con i metodi tradizionali. La tecnica di Seldinger modificata permette l’impiego di introduttori più piccoli. Dopo l’incannulamento si inserisce una guida metallica per alcuni cm oltre la punta dell’introduttore, si rimuove l’introduttore e si inserisce un dilatatore più grande sulla guida metallica dentro la vena. Il dilatatore e la guida metallica vengono sfilati mentre si inserisce il PICC. Posizione scorretta del catetere (malposizionamento) Questa complicanza si verifica quando la punta del catetere non è localizzata nella metà-terzo inferiore della vena cava superiore (inserimento dagli arti superiori o dalla testa) oppure nella porzione toracica della vena cava inferiore (inserimento dagli arti inferiori). È in relazione a sito di puntura, tecnica di inserimento, anatomia venosa, caratteristiche del catetere. I cateteri inseriti nella vena basilica possono malposizionarsi nella vena giugulare interna, quelli inseriti nella cefalica nella vena ascellare. Cateteri inseriti nella safena possono passare nella vena lombare ascendente a sn del canale midollare. Bisogna sospettare una malposizione se è difficile far progredire il catetere nella vena, se non si aspira facilmente sangue e se si incontra resistenza all’infusione. (Fig.8-9-10) Sanguinamento: il sanguinamento dal sito di inserzione è frequente durante le prime 24 ore dal posizionamento del catetere e dipende dalle grandi dimensioni dei sistemi di inserzione. Esercitare una pressione sul sito di puntura per almeno 5 minuti dopo l’inserzione e fino a che non cessa il sanguinamento. Si può applicare un pezzetto di garza sterile sotto la medicazione per drenare il sangue. Questo può determinare accumulo di umidità e quindi la medicazione va sostituita entro 48 ore. Se il sanguinamento persiste si può applicare un agente emostatico sotto la medicazione per prevenire la migrazione del catetere. Per prevenire il sanguinamento utilizzare un ago introduttore di dimensioni più piccole possibili così da ridurre la breccia sul vaso. Un eccessivo sanguinamento può dipendere da una inavvertita puntura arteriosa. Differenziare bene l‘arteria dalla vena prima di pungere. Se la trasudazione o il sanguinamento persistono indagare sulla causa (es. vigorosi movimenti degli arti, coagulopatia). Aritmia Quando il catetere è all’interno delle camere cardiache si può verificare aritmia atriale o ventricolare. Bisogna tener presente che anche nella pozione inferiore della vena cava superiore è presente tessuto di conduzione. Per identifica e prevenire l’aritmia durante l’inserzione è necessario: − monitorizzare la frequenza cardiaca e ritrarre il catetere se si verifica aritmia − misurare il paziente e stabilire di quanto deve essere introdotto il catetere − verificare che la punta del catetere sia in VC al di fuori del cuore − bloccare il catetere con una medicazione che ne impedisca lo spostamento Se si verifica una aritmia senza identificazione della causa verificare la posizione della punta (RX o US).

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Gestione del catetere Un’appropriata gestione del PICC ne prolunga il tempo di permanenza e previene le complicanze. Pochi regimi di gestione del catetere, tuttavia, sono stati sottoposti a validazione scientifica. Ogni UO dovrebbe avere un protocollo per la “care” dei PICC. A ogni cambio del turno infermieristico devono essere controllati il sito di inserzione del PICC, il catetere, la pervietà, la medicazione, gli allarmi della pompa di infusione, il set di infusione. Gli esiti di queste verifiche devono essere registrati sulla cartella clinica. Il sito di inserzione del PICC va ricontrollato ogni ora. Deve essere evitato l’impiego di braccialetti per la pressione o di lacci sull’arto sede di un PICC per il rischio di danni al catetere o alla vena. Non infondere con pressioni superiori a quelle raccomandate dal costruttore. Il catetere deve essere mantenuto pulito (lavaggi di soluzione fisiologica prima e dopo ogni somministrazione di farmaci). L’impiego di eparina (0,5-1 UI/mL o 0,5 UI/kg/h) per prevenire l’occlusione del catetere è controverso, in molte UO a questo scopo si preferisce mantenere una velocità minima di infusione di almeno 0,5 ml/ora. Il PICC non va utilizzato per i prelievi ematici e per somministrare sangue, piastrine o plasma. Per prevenire il rischio di infezione è necessario ridurre al minimo gli accessi al catetere, pulire i rubinetti con clorexidina, somministrare esclusivamente farmaci e soluzioni preparate sterilmente, infondere soluzioni contenenti lipidi entro le 24 ore, sostituire i set di infusione ogni 72-96 ore, ogni 24 ore se si infondono NPT, lipidi o soluzioni glucosate >10%. Il cambio della medicazione deve essere eseguito sterilmente. Non vi sono evidenze a favore del cambio routinario della medicazione e, alla luce dei possibili rischi di dislocazione del catetere e dei danni alla delicata cute del neonato è preferibile sostituire le medicazioni realizzate con cerotto trasparente semipermeabile solo se sporche o non aderenti. Le medicazioni con garza e cerotto, la medicazione trasparente con garza al di sotto del cerotto e quelle realizzate con cerotti occlusivi devono essere sostitute ogni 48 ore. Durata del cateterismo Non vi sono indicazioni precise sul tempo ottimale per la rimozione elettiva di un PICC, i CDC raccomandano la rimozione se il neonato è emodinamicamente instabile e si sospetta un’infezione catetere associata, mentre la sostituzione routinaria non riduce l’incidenza di infezioni. Da uno studio sulla sepsi tardiva nei neonati di peso molto basso è emerso che il rischio di infezione aumenta significativamente solo dopo 21 giorni di permanenza del catetere. Altri Autori segnalano un rischio di complicanze proporzionale alla durata del cateterismo. Rimozione del catetere Eliminare la medicazione, detergere e disinfettare la cute intorno al sito di inserzione. Estrarre il catetere delicatamente e lentamente (non tirandolo dal raccordo), misurare il catetere (la lunghezza deve corrispondere a quella del catetere inserito) e controllarne l’integrità. Se si desidera effettuare la coltura della punta tagliare la punta con forbici o bisturi sterili e raccoglierla in una provetta sterile da inviare per l’esame colturale. Se si verifica sanguinamento esercitare una pressione locale per alcuni minuti. Medicare con garza sterile fissata con cerotto. Controllare il neonato per evidenziare un eventuale sanguinamento. Se si incontra resistenza alla rimozione il catetere potrebbe essere incarcerato (vedere complicanze). Complicanze Infezioni Si definisce infezione catetere correlata (CRBI) una batteriemia o fungemia (da prelievo periferico) in un paziente portatore di un CVC con segni clinici di sepsi e assenza di altre possibili fonti di infezione con, in aggiunta, o una coltura positiva del catetere per lo stesso germe dell’emocoltura (semiquantitativa ≥15 cfu o quantitativa ≥102 cfu), o un tempo positivizzazione coltura CVC vs emocoltura periferica >2h (stesso germe) o una coltura positiva con metodo quantitativo con ≥ 5:1 ratio CVC vs emocoltura periferica (stesso germe). Le infezioni tardive nei neonati prematuri hanno acquisito un significato clinico rilevante per il largo utilizzo di cateteri venosi centrali per la somministrazione di farmaci e nutrizione parenterale. La cute circostante il sito di inserzione e la porta di ingresso (raccordo) del catetere rappresentano le sedi di partenza per la colonizzazione del catetere e lo sviluppo successivo della sepsi. Il confronto fra le diverse incidenze riportate in letteratura è ostacolato dalla mancata standardizzazione dei metodi di diagnosi e di notifica, dalla diversità delle tecniche di inserimento e di manutenzione del catetere e dalla non omogeneità della popolazione in esame. Vengono segnalate incidenze fra 3,7 e 10 per 1000 giorni catetere. Migrazione del catetere Si verifica per movimenti del catetere sia verso l’interno che l’esterno del corpo provocati dall’attività fisica del paziente e/o da una medicazione non aderente. Può provocare: trombosi, aritmie, perforazione della vena o stravaso, perforazione del miocardio, versamento pleurico, anomalie neurologiche (per danno vascolare) attorcigliamenti o nodi dei catetere. Dislocazione del catetere

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È la parziale o totale fuoriuscita del catetere dal corpo del paziente dovuta a medicazione non aderente, eccessivo sanguinamento, drenaggio nel punto di inserzione del PICC, trazione da parte dei tubi del set di infusione. Si può verificare anche accidentalmente durante le medicazioni. Perforazione e tamponamento cardiaco, versamento pericardico È una rara ma temibile complicanza che può verificarsi quando la punta del catetere è all’interno delle camere cardiache a contatto con il tessuto muscolare. Ad ogni contrazione cardiaca la punta del PICC si addentra nel miocardio e può causarne la perforazione. Altri meccanismi invocati sono l’adesione del catetere al muscolo con formazione di trombi che occludono parzialmente il catetere e impediscono la diluizione delle soluzioni ipertoniche che vanno a diretto contatto con il miocardio oppure l’infusione troppo rapida. Il catetere può erodere anche la porzione inferiore della VCS appena fuori del cuore e infondere liquidi nel pericardio. Versamento pleurico, idrotorace È una complicanza rara che si può verificare se la punta catetere è in atrio destro, VCS, VCI, tronco venoso brachio-cefalico, vena succlavia, piccoli rami dell’arteria polmonare. È tipicamente unilaterale e può essere causato dalla perforazione di una vena centrale al momento o dopo l’inserzione del catetere, dall’ostruzione dello sbocco del dotto toracico da parte della punta del catetere o da un trombo, dall’erosione dei vasi per il contatto con il catetere, dall’irritazione meccanica e chimica che possono agire sinergicamente per erodere la parete vasale, dall’infusione di soluzioni iperosmolari che possono determinare un danno del vaso senza la perforazione diretta da parte del catetere, dalla trombosi della vena cava superiore (chilotorace). Fattori di rischio sono l’inserzione a sinistra (il catetere può arrestarsi a livello della curva fra tronco brachiocefalico e vena cava superiore), il contatto del catetere con le pareti di un vaso di piccole dimensioni (erosione della parete vasale e infiltrazione nel mediastino o nello spazio pleurico) e la presenza di un trombo sulla punta del catetere (ridotta diluizione delle soluzioni iperosmolari con conseguente erosione del vaso, stravaso e richiamo di liquidi nello spazio pleurico). Lesioni del nervo frenico, paralisi del diaframma Per queste rarissime complicanze le ipotesi sulla eziopatogenesi sono lo stravaso di liquidi dalla punta del catetere nella vena succlavia con conseguente irritazione del nervo frenico oppure la trombosi e conseguente stasi venosa nella succlavia. Rottura, embolia del catetere Il catetere può subire danni se durante l’inserzione viene retratto mentre il mandrino è ancora in situ o se il neonato si muove eccessivamente. Altre cause di lesioni al catetere sono una pressione di infusione troppo elevata, la rimozione forzata, distacchi del catetere dopo riparazioni sul punto di raccordo. Trombosi venosa Traumatismi sulla vena (flebite meccanica) o infiammazione della parete vasale (flebite chimica) provocano lesioni dell’intima con esposizione del sottoendotelio, adesione piastrinica, attivazione della cascata coagulativa con formazione di trombi. Le alterazioni della coagulazione, il ridotto flusso ematico legato alla presenza di cateteri troppo grandi rispetto alle dimensioni della vena, la sepsi, la punta del catetere non in vena cava sono tutti fattori di rischio. Flebite meccanica È la risposta infiammatoria della vena al posizionamento e alla presenza del catetere. Fattori di rischio sono le dimensioni troppo grandi del catetere rispetto a quelle della vena, l’inserimento troppo rapido, l’eccessiva manipolazione del catetere durante l’inserimento, il catetere non in vena cava, l’inserimento dalla vena cefalica o safena, il catetere non fissato adeguatamente. Flebite chimica È tipica dei cateteri venosi periferici o midline ed è causata dal contatto delle soluzioni infuse con le pareti del vaso. Si può verificare nel caso dei PICC solo se il catetere non è posizionato correttamente nella vena cava o è lesionato nella porzione intravascolare. In quest’ultimo caso la formazione di un manicotto di fibrina intorno al catetere consente ai liquidi infusi di risalire lungo il catetere (fra superficie esterna e manicotto di fibrina) e, là dove il manicotto di fibrina si interrompe, fuoriuscire in una vena più piccola della cava con conseguente flebite chimica. Ostruzione trombotica Nella maggior parte dei casi dipende da tecniche errate di infusione e mancato rispetto dei protocolli per il lock del catetere, ma anche dalle caratteristiche e compatibilità delle soluzioni infuse, da fibrina nel catetere e da scarso flusso ematico intorno alla punta del catetere. Ostruzione meccanica Dipende da impostazione errata degli allarmi della pompa di infusione, ostruzione estrinseca del catetere o dei tubi di infusione, nodi o angolature del catetere, posizione del neonato. Resistenza alla rimozione È una complicanza rara causata da spasmo della vena, trombosi, flebite, tromboflebite, presenza di una guaina di fibrina intorno al catetere. Nella maggior parte dei casi il catetere viene rimosso (possono occorrere anche alcuni giorni) e non è necessario un intervento chirurgico. Non bisogna mai esercitare una trazione aggressiva per il rischio di rottura ed embolia del catetere e di lesioni della vena. Per il trattamento si possono tentare tre diversi metodi. − Applicare impacchi caldi per 20-30 minuti lungo il decorso della vena. Se il PICC resta incarcerato attendere 12-24

ore continuando l’applicazione intermittente degli impacchi caldi e provare a rimuovere il catetere. Questo metodo è quello che ha i minori rischi di provocare la rottura del catetere.

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− Esercitare una trazione delicata sul catetere poi assicurare il catetere sulla cute, ripetere dopo qualche ora fino a risoluzione (possono essere necessari alcuni giorni). Con questo metodo sono stati segnalati molti casi di rottura del catetere.

− Applicare un laccio emostatico sull’arto sopra la punta del catetere per dilatare la vena, infondere attraverso il catetere e ruotare l’estremità.

Negli intervalli fra i tentativi effettuare l’antisepsi di cute e catetere e applicare una medicazione sterile. Se i tentativi di rimozione del catetere non riescono è necessaria la rimozione chirurgica. Può essere utile effettuare una radiografia (per evidenziare eventuali nodi nel catetere) o una ecografia (può rilevare la presenza di un trombo che causa la resistenza alla rimozione). Se il catetere si spezza bloccare il segmento esterno del catetere (per prevenire l’embolia). Se si verifica embolia del catetere applicare un laccio sulla vena per mantenere il catetere in posizione periferica. Mettere il neonato sul lato destro per bloccare il catetere nelle sezioni destre del cuore. Complicanze neurologiche Sono state riportate quasi esclusivamente per cateteri inseriti dalle estremità inferiori. Se il PICC viene inserito dagli arti inferiori o dalla vena femorale sinistra può entrare nella vena lombare ascendente (a sn del canale spinale) invece che in vena cava e sia il catetere che le soluzioni infuse possono indurre stasi venosa con compressione del midollo spinale. Nei neonati che presentano aumento della pressione addominale (es. distensione addominale, NEC, correzione di ernia diaframmatica) possono verificarsi migrazione del catetere e/o ridistribuzione delle soluzioni nella vena lombare ascendente. Edema Un edema modesto o imponente intorno al sito di inserzione o a livello delle estremità, si può manifestare in qualunque momento durante la permanenza del catetere. Può dipendere da una medicazione troppo stretta, dalla flessione degli arti, dalla posizione o dalla scarsa mobilità del neonato. Altre cause sono la trombosi venosa, l’ostruzione del ritorno venoso dovuta alle dimensioni eccessive del catetere rispetto al vaso o allo stravaso di liquidi infusi. Perdite a livello del punto di inserzione sulla cute o dal catetere La presenza di liquido nel del punto di inserimento del catetere può essere una normale raccolta di siero oppure indicare una perdita dal catetere dovuta a lesioni nella porzione extravascolare del catetere in prossimità del punto di inserimento sulla cute, oppure a lesioni della porzione intravascolare del catetere con formazione di un manicotto di fibrina esteso per tutta la sua lunghezza del catetere. I liquidi infusi risalgono fra superficie esterna del catetere e manicotto di fibrina, fino alla cute.

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Fig. 1 Vene utilizzate per il posizionamento di un PICC nel neonato

Fig. 2 Decorso delle vene temporale superficiale, auricolare posteriore e giugulare esterna

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Fig. 3 Principali vene dell’arto superiore

Fig. 4 Principali vene dell’arto inferiore

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Fig. 5 Tipi di introduttori per l’incannulamento della vena

Cannula apribile (peel-away)

Ago apribile (breack-away) Ago butterfly

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Fig. 6 PICC inserito dalla vena basilica dx in posizione corretta

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Fig. 7 PICC inserito dalla vena safena dx in posizione midline. PNX dx.

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Fig. 8 PICC inserito dalla vena ascellare dx: catetere malposizionato

Fig. 9 PICC inserito dalla vena cefalica dx: catetere malposizionato

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Fig. 10 PICC in atrio destro

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