arezzo nel medioevo

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A cura di G. Cherubini, F. Franceschi e A. Barlucchi Dopo «Arezzo nell’antichità», pubblicato all’inizio del 2010, l’Accademia Petrarca di Lettere Arti e Scienze di Arezzo presenta «Arezzo nel Medioevo», seconda tappa di una storia complessiva della città, a tutt’oggi mancante. In questo volume vengono prese in esame le vicende di storia politica, istituzionale, sociale, economica, culturale, artistica e religiosa di Arezzo dal VII a tutto il XV secolo. Come nel primo volume, il lavoro si compone di una trentina di capitoli, affidati a studiosi di riconosciuto livello nazionale e internazionale negli specifici settori di competenza. Il testo è destinato sia agli studiosi, sia a un pubblico più ampio: non vi sono note, e i rinvii alla bibliografia moderna e alle fonti medievali sono inseriti nel testo. Ciascun capitolo è corredato, alla fine, del rispettivo apparato bibliografico.

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Page 1: AREZZO NEL MEDIOEVO
Page 2: AREZZO NEL MEDIOEVO
Page 3: AREZZO NEL MEDIOEVO

AccAdemiA PetrArcA di Lettere Arti e ScienzeArezzO

A r e z z OneL mediOeVO

a cura di

GiOVAnni cHerUBini - frAncO frAnceScHiAndreA BArLUccHi - GiULiO firPO

G i O r G i O B r e t S c H n e i d e r e d i t O r er O m A • 2 0 1 2

Page 4: AREZZO NEL MEDIOEVO

Redazione: Sara Faralli

iSSn 0391-9293

iSBn 978-88-7689-268-4

tutti i diritti riservati

printed in italy

AccAdemiA PetrArcA di Lettere, Arti e Scienzecasa del Petrarca - Via dell’Orto 28, 52100 Arezzo

tel.: 0575.24700 - fax: 0575.298846e-mail: [email protected]

www.accademiapetrarca.it

cOPYriGHt © 2012 by GiOrGiO BretScHneider editOre - rOmAVia crescenzio, 43 - 00193 roma www.bretschneider.it

Volume pubblicato con il contributo di:

e con il patrocinio di:

rotary Club arezzo

rotary Club arezzo eSt

inner Wheel international

Club di arezzo

Page 5: AREZZO NEL MEDIOEVO

V

INDICE DEL VOLUME

Pag. vii

» 1

» 15

» 25

» 35

» 41

» 45

» 53

» 63

» 73

» 81

» 89

» 99

» 107

» 117

» 125

» 135

» 145

» 157

» 169

» 179

» 185

» 195

» 205

» 211

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giovanni Cherubini, Arezzo medievale nella storiografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

I. L’ETÀ DELLE MIGRAZIONI E LA FORMAZIONE DI UNA SOCIETÀ NUOVA

Cristina La roCCa, La formazione di nuove identità sociali, etniche e religiose tra V e VII secolo . . . . . . .

aLessandra MoLinari, La fisionomia urbana attraverso le fonti archeologiche (secoli V-XI) . . . . . . . . . .

CLaudio azzara, L’assetto del territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Mauro ronzani, L’organizzazione ecclesiastica in età longobarda . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

antonio batinti, Arezzo medievale nella toponomastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

II. DALL’ETÀ CAROLINGIA ALLA NASCITA DEL COMUNE

Jean-Pierre deLuMeau, I poteri superiori ad Arezzo dall’età carolingia al Comune consolare . . . . . . . . . .

François bouGard, I vescovi di Arezzo nei secoli IX-XI: tra le responsabilità locali e i destini “nazionali ” . . . . . .

Maria eLena Cortese, Il tempo dei castelli: popolamento, assetto dei poteri aristocratici e sviluppo signorile del comi-tatus di Arezzo tra X e XII secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Jean-Pierre deLuMeau, I primi segni del dinamismo urbano ad Arezzo . . . . . . . . . . . . . . . .

PierLuiGi LiCCiardeLLo, La vita religiosa ad Arezzo nei secoli IX-XI . . . . . . . . . . . . . . . . .

aLariCo barbaGLi, Il notariato medievale aretino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Caterina tristano, Scuola, scrittura e società . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

antonino CaLeCa, Arte nel territorio aretino: un Medioevo da scoprire . . . . . . . . . . . . . . . .

III. L’ETÀ COMUNALE

Gian PaoLo G. sCharF, Poteri, istituzioni e lotte politiche ad Arezzo nel secolo XIII . . . . . . . . . . . .

andrea barLuCChi, Le istituzioni e la politica trecentesca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

andrea barLuCChi, L’economia aretina fra Due e Trecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

PierLuiGi LiCCiardeLLo, La vita religiosa ad Arezzo nei secoli XII-XIV . . . . . . . . . . . . . . . . .

FranCa Maria vanni, Le emissioni della zecca di Arezzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

antoneLLa Moriani, Povertà e assistenza ad Arezzo nel Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . .

FranCesCo steLLa, L’Università . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

aLberto noCentini - LuCa Pesini, Il volgare aretino nel basso Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . .

FederiCo CanaCCini, La città di pietra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

PaoLa reFiCe, Produzione artistica e committenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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VI

IV. AREZZO NELLO STATO FIORENTINO

auGusto antonieLLa, Arezzo e il suo territorio prima e dopo la sottomissione a Firenze . . . . . . . . . . .

robert bLaCk, Arezzo e Firenze: politica e clientele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Petra PertiCi, Arezzo e l’opposizione a Firenze fra Quattrocento e Cinquecento . . . . . . . . . . . . . .

FranCo FranCesChi, Aspetti dell’economia urbana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

LuCa berti, L’evoluzione della società e delle istituzioni politiche (1384-1536) . . . . . . . . . . . . . .

PaoLo viti, Arezzo tra Firenze e Roma. Lo sviluppo della cultura umanistica . . . . . . . . . . . . . . .

Mauro MussoLin, Architettura ad Arezzo nel XV secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

LuCiana borri CristeLLi, La committenza artistica aretina nel Quattrocento . . . . . . . . . . . . . .

indiCe deLLe Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

indiCe dei noMi ProPri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Pag. 219

» 225

» 235

» 241

» 253

» 261

» 271

» 283

» 293

» 297

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VII

PREMESSA

Il presente volume costituisce la seconda tappa di un progetto intrapreso dall’Accademia Petrarca di Lettere Arti e Scienze di Arezzo a partire dal 2007, e già in parte realizzato con la pubblicazione, nel dicembre 2009, del volu-me Arezzo nell’antichità, a cura di Giovannangelo Camporeale e Giulio Firpo, che ha riscosso ampio apprezzamen-to nella comunità scientifica nazionale e internazionale e, più in generale, tra un vasto pubblico di lettori interessa-ti alla materia.

Questo libro intende offrire una sintesi dei più importanti risultati conseguiti nei vari ambiti disciplinari relativi alla storia di Arezzo in un periodo compreso tra il V/VI secolo e i primi decenni del XVI. Da un lato, si vuol offri-re allo specialista un’informazione corretta e aggiornata sullo status quaestionis di ciascun argomento, indicando, ogni volta che se ne presenti l’occasione, le prospettive di ulteriori ampliamenti e approfondimenti degli studi; dall’altro, si vuol anche consentire un approccio ragionevolmente agevole a un pubblico di lettori di alto livello culturale ma non necessariamente specializzati nella materia. Per queste ragioni abbiamo riproposto il medesimo “taglio” scientifi-co-editoriale del primo volume: sono state eliminate le note a pie’ di pagina o in fondo ai singoli capitoli, inserendo all’interno del testo le citazioni di fonti antiche e di studi moderni, con rinvii a un apparato bibliografico, in appen-dice a ciascun capitolo, limitato, in linea di massima, a un orientamento di carattere generale e ai titoli più recenti e scientificamente qualificati.

Com’era già avvenuto per il libro su Arezzo antica, anche in questo caso l’estrema specializzazione conseguita ne-gli studi medievistici ha indotto ad affidarsi a più studiosi, esperti di storia politico-istituzionale, amministrativa, eco-nomica, sociale, religiosa ed ecclesiastica; di archeologia, urbanistica, toponomastica, linguistica, paleografia e diplo-matica, archivistica, numismatica. Quanto alla storia della produzione artistica nel periodo contemplato, va detto che la recentissima pubblicazione della Collana Arte in terra d’Arezzo, e in particolare dei suoi primi tre volumi (Il Me-dioevo, Il Trecento e Il Quattrocento), ha offerto un fondamentale supporto a questo lavoro, coprendo un settore che per ovvi motivi di spazio e di opportunità non avrebbe potuto essere affrontato al pari degli altri in questa sede e permettendo – in linea con le finalità del presente lavoro – di focalizzare piuttosto l’attenzione su alcuni aspetti eco-nomico-sociali connessi alla produzione artistica, e in particolare sulla committenza.

Credo di poter legittimamente affermare, con soddisfazione, che con i volumi su Arezzo nell’antichità e nel Me-dioevo l’Accademia Petrarca abbia colmato, almeno parzialmente, una lacuna evidente e insidiosa. Infatti, a fronte di una quantità non trascurabile, e fortunatamente in aumento, di studi specialistici, che però, proprio per essere tali, sono destinati a un pubblico non particolarmente vasto, ciò che mancava e che non era mai stato neppur tentato a questo livello (cioè con il coinvolgimento di alcuni tra i maggiori studiosi delle singole discipline) era appunto una sintesi di elevata qualità, destinata a varie tipologie di utenza, come accennato in precedenza, e comunque in grado di dare il senso della continuità e dello sviluppo di una storia complessa e affascinante, conditio sine qua non per evi-tare che la memoria storica e il senso di appartenenza diventino rassegnati ostaggi di incontrollabile improvvisazione e di folkloristica superficialità, come troppo spesso si è verificato specialmente negli ultimi decenni: la storia, cioè, di una città di antiche origini etrusche (VI secolo a.C.), divenuta poi, in età ellenistico-romana, uno dei più importanti poli “industriali” della Penisola (la definizione è del grande storico inglese Arnold J. Toynbee, riferita alla straordina-ria, per quantità e qualità, produzione di ceramica a vernice nera e soprattutto a vernice rossa, la celeberrima sigilla-ta) e risorta a nuova gloria a partire dall’epoca tardomedievale, quale sede di una tra le più antiche Università italia-ne e genitrice di una nutrita serie di grandi personaggi che sarebbe troppo lungo elencare, idealmente ricollegantisi al loro insigne progenitore d’età romana, Gaio Cilnio Mecenate, consigliere di Augusto e protettore di poeti.

Per tali motivi, questo volume, anzi, questi volumi vogliono essere un omaggio e un servizio alla nostra città, ai suoi duemilacinquecento anni di storia, ai personaggi che nei secoli l’hanno resa illustre e famosa nel mondo, alle sue tradizioni culturali e civili, ai suoi superbi monumenti; ma vogliono esser soprattutto un omaggio all’intelligenza crea-

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VIII

tiva e alla laboriosità tenace dei suoi abitanti, nell’auspicio che una più approfondita e documentata conoscenza di un grande passato possa essere d’incoraggiamento per superare le difficoltà del presente e contribuire alla costruzio-ne di un futuro nel quale la consapevolezza del ruolo imprescindibile della cultura nel progresso morale e civile del-la società trovi finalmente sempre maggiore diffusione e apprezzamento.

A nome dell’Accademia Petrarca, desidero ringraziare in modo caloroso e davvero riconoscente tutti gli illustri studiosi, italiani e stranieri, che hanno accettato il nostro invito a partecipare a questa impresa e che hanno profuso il loro impegno e il loro sapere per consentirne al meglio la riuscita. Un ringraziamento particolare va ai professori Giovanni Cherubini, dell’Università di Firenze, Franco Franceschi e Andrea Barlucchi, dell’Università di Siena, per essersi generosamente accollati la cura scientifica del progetto in tutta la complessità dei suoi aspetti, oltre che per aver direttamente partecipato, con quattro capitoli, alla composizione del volume. Chi scrive si è limitato a coordina-re l’attività organizzativa e redazionale del lavoro.

Anche in questa circostanza il contributo concesso da Banca Etruria non è stato solo fondamentale in termini quantitativi, ma ha costituito la condizione preliminare e necessaria per l’avvio del progetto. Una volta di più, que-sto benemerito Istituto si è dimostrato particolarmente sensibile nei confronti della cultura della città e del territorio e di quanti operano con passione e costanza per mantenerne elevato il livello. A Banca Etruria vada pertanto il no-stro più sincero ringraziamento, così come a quanti l’hanno affiancata con il loro prezioso sostegno: la Ditta CEIA, Estra S.p.A., il Rotary Club Arezzo, il Rotary Club Arezzo Est, l’International Inner Wheel Club di Arezzo. Il Co-mune e la Provincia di Arezzo, sempre vicini alle iniziative dell’Accademia Petrarca, hanno concesso il loro autore-vole patrocinio. È altresì doveroso ricordare la cortesia e la disponibilità mostrate dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Arezzo, dall’Archivio Capitolare Diocesano di Arezzo e dalla Fraternita dei Laici di Arezzo per aver consentito la riproduzione fotografica di beni artistici e/o do-cumentari in loro possesso, e dalla Casa editrice Edifir di Firenze per aver messo a disposizione il materiale origina-le del suo Gabinetto fotografico. Infine, a conclusione di più di tre anni di lavoro comune, desidero ringraziare il dr. Boris Bretschneider per aver esaudito il nostro desiderio di pubblicare i volumi su Arezzo antica e medievale con la prestigiosa Casa Editrice da Lui diretta, nonché il dr. Enzo Volpini, titolare della Tiferno Grafica s.r.l. di Città di Ca-stello, e i suoi collaboratori Alessandra Buonavita e Fabrizio Mariucci per la loro elevata professionalità e per la gen-tilezza e la pazienza dimostrate nel corso della lavorazione dei due testi.

Giulio Firpo

Presidente dell’Accademia Petrarca di Arezzo

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Giovanni Cherubini

AREZZO MEDIEVALE NELLA STORIOGRAFIA

Nella storiografia aretina o relativa ad Arezzo, non diver-samente da quanto è avvenuto per altre città che ebbero un rilevante passato comunale, potrebbero essere naturalmente distinti gli storici in qualche modo collocati nel mondo ac-cademico da coloro che scrivono perché appassionati di sto-ria. Se ai primi può essere in partenza riconosciuto un qual-che potenziale elemento di precedenza, non si deve tuttavia dimenticare che alcuni dei secondi si sono distinti e si distin-guono spesso non soltanto per passione, ma anche per cono-scenze e risultati raggiunti. Si è trattato in passato e ancora talvolta si tratta di sacerdoti che hanno punteggiato la loro vita di propri studi e di edizioni di fonti. Penso a Corrado Lazzeri con Guglielmino Ubertini e con aspetti e figure di vita medievale, compreso il vescovo Tarlati (Lazzeri 1920 e 1937); ad Angelo Tafi con la sua preziosa guida della città, con il volume sulle «antiche pievi» della estesa diocesi, di-ciannove delle quali il vescovo di Siena tentò invano di tra-sferire sotto la sua giurisdizione, perché comprese nel gastal-dato longobardo, con il volume sulla Pieve cittadina, con il volume sulla storia di Pionta (Tafi 1978, 1998, 1994, 1995); a Silvano Pieri con le notizie sugli hospitalia del territorio e la vita quotidiana di un castello (Pieri 1997 e 1996); ad Anto-nio Bacci con le origini «aretine» del Petrarca e con le stra-de romane e medievali del territorio (Bacci 2004 e 1986). Si tratta talvolta anche di autori che per il loro impegno di la-voro ci hanno lasciato pubblicazioni di fonti e di libri di va-ria natura e di rilevante importanza. Penso a questo proposi-to soprattutto all’operosità di Ubaldo Pasqui, in primo luogo come editore dei quattro grandi volumi di Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medioevo, dati alle stampe tra il 1899 e il 1937, ma anche come storico della città (Berti 2004). Ma vorrei subito precisare che, di fronte all’aumento si potrebbe dire geometrico degli studiosi del Medioevo are-tino, anche quella bipartizione a cui ho poco fa accennato si è ormai complicata, con l’ingresso fra gli studiosi di Arezzo di una terza e più varia categoria, vale a dire di persone che operano negli archivi pubblici (penso all’operosità e alle ca-pacità presenti attualmente o presenti in passato nell’Archivio di Stato della città), negli archivi ecclesiastici o in settori simi-li, oltre che di numerosi docenti delle scuole medie superiori o inferiori. La crescita di tutti questi cultori si amalgama pe-raltro con la sede dell’Università di Siena presente e intensa-mente operante ad Arezzo (Franceschi e Barlucchi, con i quali firmo questo libro, sono appunto due suoi docenti). Mi sem-

bra anche giusto spiegare subito che anche per altra via si è nel corso dei decenni e degli anni moltiplicata in città la fitta schiera della gente istruita (uso volutamente questa vecchia, ma sempre funzionale espressione) che desidera ascoltar con-ferenze, discutere di ricerca e cimentarsi personalmente nel-la preparazione di lavori scientifici. Non ho difficoltà ad am-mettere a questo proposito che Arezzo figura in modo molto degno nella pur vivace Toscana. A dare voce, oltre che a stu-diosi affermati, anche ad aretini di valore hanno contribuito nel tempo e continuano a contribuire tre o quattro istituzio-ni con le loro riviste, prima la vecchia e illustre Accademia Petrarca con i suoi «Atti e Memorie», poi la Brigata Areti-na Amici dei Monumenti, con il suo «Bollettino d’informa-zione», infine la Fraternita dei Laici con «Annali Aretini» e la Società Storica Aretina con «Notizie di Storia». Nel corso del tempo, gli aretini hanno pubblicato loro lavori anche su riviste edite a Firenze («Archivio Storico Italiano», «Rivista di Storia dell’Agricoltura») e a Siena («Bullettino Senese di Storia Patria»). Ma va aggiunto, con il dovuto rilievo, che fra gli aretini operano anche studiosi impossibili a definirsi con facili formule, ma che hanno punteggiato la loro operosissi-ma vita di infinite pubblicazioni dedicate a epoche diverse, a tematiche molto varie, alla scoperta di cose talvolta ignote o poco note. Penso ovviamente a una figura come Alberto Fatucchi e ai suoi studi sull’invasione longobarda, all’impor-tante libro sulla scultura altomedievale nella diocesi di Arez-zo, agli studi sulla viabilità del Casentino, al centro monastico di cultura sull’Alpe di Santa Trinita nell’XI secolo (Fatucchi 1973-1975, 1977, 1994, 2000). A lui mi sento fra l’altro lega-to sia dalla comune nascita nel medesimo paese casentinese, sia dal ricordo ammirato che del padre e della madre di lui mi davano mio padre e mia madre quand’ero poco più che bambino. E proprio a lui confesso, convinto di essere capi-to, che una cosa nella storia medievale aretina, non ostan-te la presenza della grande e antica via che veniva da lonta-no e attraversava l’Appennino al passo di Serra, percorreva la valle del Corsalone e si dirigeva verso Arezzo, non ha tro-vato l’attenzione che merita, vale a dire la pur battuta storia del pellegrinaggio, se si vuole verso Roma, verso Santiago di Compostella, verso Assisi, verso il Gargano o in altre direzio-ni. Posso comunque segnalare che alle vie del pellegrinaggio medievale è stato dedicato un volume collettivo che riguar-da l’alta valle del Tevere (Mattesini 1998). Io stesso ho avu-to modo, ad esempio, di illustrare i vari e impegnativi pel-

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legrinaggi di un tal Popino da Poppi, converso camaldolese, realizzati tra il 1160 e il 1170-1175 una volta a Santiago di Compostella (tempo impiegato per andare e tornare, cinque mesi), due volte a San Michele del Gargano (tempo impie-gato ogni volta, per andare e tornare, «tre settimane e più»), due volte a Roma, ma senza fermarvisi (Cherubini 2005, pp. 58-59). E non segnalo neppure, ovviamente, tutto quello che potremmo dire intorno ai pellegrinaggi alla Verna, sia di ca-sentinesi sia di gente venuta da più lontano.

Una osservazione deve essere tuttavia subito fatta, o, se si vuole, una domanda bisogna porsi. Quanto della presenza di studiosi stranieri che si sono dedicati allo studio della no-stra regione ha toccato anche la nostra città? Direi, con tran-quilla coscienza, che nulla di paragonabile è avvenuto rispetto all’interesse riversatosi su Firenze, e la cosa ovviamente non meraviglia. Ma mi chiedo quanto spazio è stato riservato ad Arezzo rispetto a Siena, quanto rispetto a Pisa, a Lucca o a Pistoia; quanto anche rispetto a Prato, che pur non era una città e nacque, diversamente da Arezzo, soltanto verso l’ini-zio dell’XI secolo, ma ha potuto offrire agli studiosi, parti-colarmente a quelli di storia economica, l’immenso archivio del grande mercante Francesco di Marco Datini (1335-1410) di cui sono state studiate le attività e le ricchezze, ma di cui qualcuno si è posto anche il problema di intendere la perso-nalità, più complessa di quanto a lungo si è ritenuto (Nan-ni 2010). Senza mettere in campo inutili graduatorie che do-vrebbero ovviamente tenere conto del complesso della civiltà medievale, cioè della storia politica, di quella sociale, di quel-la economica, dell’arte, delle lettere e delle più varie disci-pline, si può comunque dire che ad Arezzo non spetta si-curamente il primo posto. Alla nostra città, per quanto da qualche tempo qualcuno avanzi proposte più larghe di quel-le che anch’io mi sono talvolta proposto di fare, nessuno at-tribuisce la quantità di abitanti che viene attribuita non dico a Firenze, che all’inizio del Trecento era popolata da cento-mila anime, ma neppure a Siena o a Pisa, che in momenti diversi ne contarono, tra Duecento e Trecento, circa la metà di quella cifra, e neppure a Lucca, che ne raggiunse, come sembra, un po’ di meno. È opinione abbastanza diffusa che Arezzo raggiungesse le stesse dimensioni di Pistoia e di Pra-to, quella «terra» che non poteva ancora chiamarsi città per la mancanza di un vescovo, e che fra le città toscane di anti-ca origine rimaste ancora vitali Arezzo fosse rimasta più po-polata soltanto di Volterra.

Ma un secondo e rilevante fenomeno connota Arezzo nel corso dei secoli medievali, cioè un grande territorio, un este-so contado, sebbene nel complesso poco popolato e, rispet-to all’età romana, fattosi in larga parte paludoso, non segna-to da centri veramente concorrenti con il capoluogo, con la sola eccezione – se si vuole – di Cortona, che il pontefice

nel 1325 dotò di un vescovo e fece diventare città per puni-re un altro vescovo, quello di Arezzo, schieratosi con l’im-peratore che la chiesa avvertiva nemico. Proprio a Cortona, che nella Toscana delle città non riuscì tuttavia mai a sottrar-si a una famiglia di signori locali, i Casali, sino a che non passò sotto il dominio di Firenze, negli ultimi anni una stu-diosa francese ha dedicato i suoi studi (Pérol 2008). Ma va ora aggiunto, rispondendo a una domanda che mi sono fat-to più indietro, che anche ad Arezzo è stata in realtà dedi-cata una grande «tesi» da parte dello studioso francese Jean-Pierre Delumeau (Delumeau 1996), che della parte montana del territorio si è occupato con originalità lo studioso inglese Christopher Wickham (Wickham 1987) e che, prima di lui, il suo connazionale Philip Jones aveva scritto un lungo sag-gio sulla «grande proprietà monastica» dei Camaldolesi nel-la Toscana tardomedievale ( Jones 1980, pp. 295-315). Sem-pre alla storia dei Camaldolesi, ma particolarmente alle loro vicende religiose e istituzionali, ha dedicato un ampio e la-borioso volume una studiosa francese (Caby 1999). Nel lon-tano 1953, ad Arezzo come «centro di studi e di cultura nel XIII secolo» la studiosa polacca Helene Wieruszowski dedi-cò sulla rivista americana «Traditio» un saggio assai rilevante, ora da tempo disponibile anche in lingua italiana negli «Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca» (1968-1969, pp. 1-82). Di «studio e scuola in Arezzo durante il Medioevo e il Rina-scimento» ha trattato nel 1996, pubblicando abbondanti do-cumenti d’archivio in un suo ampio volume, l’inglese Robert Black, sottolineando in particolare la rilevanza della città nella storia del diritto, nella quale occupano un ruolo significativo i precoci (1255) Statuti dell’Università (Fabbrini 1990), il cui 750° anniversario è stato celebrato nel 2005 da un Convegno internazionale, i maestri, le discipline e il ruolo culturale che il diritto aveva in città (Stella 2006). Ma per la cultura areti-na, anzi per il suo più noto personaggio, cioè Guittone, an-che altri non italiani hanno mostrato il loro interesse, come risulta dal volume che uno studioso francese gli dedicò nel 1966, precisando sin dal titolo che si trattava della sua vita, della sua epoca e della sua cultura (Margueron 1966). An-che su di lui, nel settimo centenario della morte (1994), fu poi organizzato un importante Convegno internazionale che trattò aspetti della sua cultura, la sua poesia, la sua tradizio-ne, i suoi rapporti con Dante (Picone 1995).

Ma la cosa più rilevante che mi pare opportuno ora ag-giungere è il cambiamento avvenuto, in conseguenza diretta del mutamento della storiografia, nell’insieme delle tematiche diventate oggetto di studio. Ne farò soltanto qualche accenno senza alcuna pretesa di completezza, anche perché si può ri-correre in proposito a un prezioso e amplissimo volume de-dicato appunto allo stato degli studi su Arezzo e alle loro prospettive, edito nel 2010 e curato da due fra i principali

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rappresentanti di quell’accennato rinnovamento, Luca Berti e Pierluigi Licciardello (2010). Noto tuttavia che attualmente è molto più difficile cogliere i mutamenti e persino i tratti do-minanti all’interno del quadro generale, anche perché, a dif-ferenza di quando iniziai le mie ricerche (laureato nel 1961, pubblicai nel 1963, su consiglio del mio indimenticato mae-stro Ernesto Sestan, una parte della tesi di laurea dedicata alle campagne aretine: Cherubini 1963), su quelle campagne aretine ritornai successivamente in molte occasioni, anche con un sintetico lavoro generale (Cherubini 1991, pp. 209-217; il saggio è del 1975). Rispetto a quegli anni lontani, il quadro storiografico è ora molto più ricco, ma anche di più difficile definizione ideale nei singoli studiosi, per la maggioranza dei quali sembra prevalere se non il rifiuto almeno il non interesse per ciò che sta dietro le nostre idee quando scriviamo di storia e riviviamo il passato. Ho dato in proposito, nell’importante volume del 2010 or ora ricordato, quelle che mi sembravano le motivazioni del mutamento. E visto che non le ho modifi-cate da un anno all’altro, mi piace qui riprodurle senza mu-tamenti. “Ci si può intanto chiedere perché si sia verificato questo allentamento di interesse per la riflessione storiogra-fica e si potrebbe forse rispondere che causa prima ne sono stati insieme la progressiva scissione tra l’impegno civile del ricercatore e il suo impegno nella ricerca storica, che erano spiegabili proprio con il desiderio di mai tacere, prima a sé stesso e poi agli altri, i motivi che portavano [lo] studioso a interessarsi a una specifica tematica e a chiedersi quale fos-se il senso della propria ricerca, onde evitare di rispondere a pure curiosità e invece tacere o dimenticare il nascere e il ri-solversi dei problemi, dimenticare, nel descrittivismo, maga-ri raffinato, il sottofondo profondo e determinato dell’agire, più o meno cosciente, degli uomini del passato. Altre novità sono emerse negli ultimi anni, che hanno portato, magari in modo non esplicito, proprio all’affermarsi di quello che ho chiamato il descrittivismo, un descrittivismo, talvolta, del re-sto, affascinante e coinvolgente, oppure all’emersione di una storiografia profondamente segnata da connotazioni sociolo-giche, antropologiche o di altra natura, nelle quali appare più difficile l’identificazione delle cesure temporanee dei fenome-ni, le evoluzioni, le brutali fratture delle società fra le clas-si, i ceti, gli orientamenti politici. Una società, in definitiva, più o meno largamente spogliata di quei conflitti – idea li, ol-tre che politici e sociali – che hanno contraddistinto a lun-go la ricerca storica. Specchio, naturalmente, quei conflitti, come quella mancanza dei due diversi e successivi atteggia-menti politico-culturali, della società in cui il ricercatore si è trovato a vivere. Ma è opportuno subito aggiungere che tan-to per la storia generale quanto per quella locale, e forse più per questa che per quella, se una curiosità di carattere poli-tico-ideale o sociale sopravvive questo avviene più facilmente

nella storia contemporanea, per la quale si potrebbe tuttavia osservare che in molti casi questo si verifica con una parte-cipazione non sempre sufficientemente serena e critica degli autori” (Cherubini 2010, pp. 27-28).

È ora il momento di accennare, in estrema sintesi, anche a ciò che io stesso ho dato alla storia di Arezzo e del suo ter-ritorio. Ho affrontato brevemente il rapporto tra la storia ge-nerale e la storia particolare (l’ho fatto nel saggio ora citato, ma l’ho sempre pensato e qua e là toccato in molti miei stu-di, su Arezzo o su altri argomenti, perché l’ho sempre giudi-cato indispensabile per dare al particolare una lettura di ca-rattere generale, naturalmente senza sbagliare – almeno così spero – tra la pulce e l’elefante). Devo anche aggiungere che in una certa misura e per un certo periodo, che per la veri-tà non si è mai interrotto, un po’ per il mio affetto, partico-larmente per la parte montana del territorio, per i suoi pae-saggi, per i suoi signori, per le sue pievi e i castelli, non ho mai definitivamente smesso di occuparmi di Arezzo e del suo territorio, responsabili anche gli amici che mi spingono tal-volta in questa direzione con le loro richieste di collabora-zione. La parte maggiore di questi lavori sono stati qua e là editi nei miei volumi miscellanei. E di qualcuno almeno mi piace far qui ricordo perché rappresentarono anche una qual-che novità nella storiografia. Nel 1972 pubblicai un volume su una comunità (Montecoronaro) alla testata della valle del Tevere, diventata poi romagnola, sfruttando a fondo, in pri-mo luogo, testimonianze notarili e illustrando poteri politici, vita economica, molti aspetti di vita paesana e le forme che prese nel territorio la dominazione fiorentina. In un grosso volume del 1974 pubblicai invece, insieme a qualche altro scritto minore, l’ampio saggio dedicato alla «proprietà fon-diaria di un mercante toscano», più particolarmente aretino, Simo di Ubertino (Cherubini 1974, pp. 313-392). Vari sag-gi casentinesi, aretini o più ampiamente toscani, raccolsi poi in due volumi (Cherubini 1991 e 1992), fra i quali ricordo con maggiore affetto quello, edito nel primo (pp. 117-140) e intitolato Schede per uno studio della società aretina alla fine del Trecento. Accenno infine che fra le mie cose più recen-ti è compreso uno dei sette studi, basato in larga misura sui dati inediti di un protocollo notarile, relativo alle Attività eco-nomiche ad Arezzo tra XIII e XIV secolo, che compongono il mio volume sulla storia delle città comunali della Tosca-na, e cioè Firenze, Pisa, Lucca, Pistoia, Arezzo, Siena e an-che Prato, pur sotto quel non completo carattere cittadino di cui ho detto (Cherubini 2003, pp. 251-295). In anni recen-tissimi ho infine steso un ampio lavoro, utilizzando materiale inedito e proprietà di un privato che me ne ha gentilmente concesso l’uso, su La signoria del conte Ruggero di Dovadola nel 1332, pubblicato, insieme a una piccola parte della do-cumentazione, in un volume collettivo e fondamentale per la

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storia dei Guidi (Canaccini 2009, pp. 407-444). Da quel la-voro, oltre che dai numerosi miei precedenti lavori sulla fa-miglia feudale dei Guidi e sul territorio casentinese, ha preso poi le mosse una sintesi su quella valle «dantesca» (Cheru-bini 2009). Ma approfitto per segnalare sui Guidi, in primo luogo, ovviamente, per quelli che dominarono in Casentino e lo punteggiarono delle loro realizzazioni, un saggio dedi-cato all’architettura del loro tempo (Moretti 2009, pp. 157-169).

Forse non con la continuità resa possibile dalla mia appar-tenenza per alcuni decenni al mondo universitario, o con la passione di due figure come Alberto Fatucchi e Angelo Tafi, ma certo spesso con la serietà necessaria e risultati pregevo-li altri si sono occupati della storia aretina (città e territorio) dell’alto Medioevo, dell’età comunale e del primo Rinasci-mento. Ricordo, senza tuttavia stilare gerarchie, l’operosità e la varietà dei lavori di Gian Paolo Scharf, che non tralascia la storia dell’area biturgense, ma ha dedicato e dedica la sua attenzione anche al mondo aretino, città e campagna, temi politici, sociali o d’altra natura (Scharf 2009), e ha conseguito il dottorato proprio con una tesi dedicata ad Arezzo nel XIII secolo, che in molti attendiamo possa arrivare alla stampa. Un altro giovane, che ho sempre concepito, in coppia con Scharf, come la seconda punta di un binomio, ha fatto dell’area bi-turgense il suo terreno elettivo di ricerca e lo ha anzi con impegno esaltato attraverso la sua attivissima partecipazione alla vita della rivista «Pagine Altotiberine», arrivata al quin-dicesimo anno di vita, con il suo quarantaquattresimo volu-me: Andrea Czortek. Ma indipendentemente da tutto quello che egli ha scritto, ricordo soltanto il volume su Un’abbazia, un Comune: Sansepolcro nei secoli XI-XIII (1997).

Mi pare opportuno che in qualche modo anche gli areti-ni tengano conto di quello che avviene nell’alta valle del Te-vere. Anni fa questa esigenza fu mostrata pure da Giancarlo Renzi, a lungo sindaco della lontana Sestino (lontana se guar-data da Firenze, ma un po’ anche da Arezzo), quando accet-tò di dirigere un volume collettivo intitolato La Valtiberina, Lorenzo e i Medici (Firenze 1995), pensato nel quadro del-le manifestazioni realizzate in Valtiberina in occasione del V centenario della morte di Lorenzo il Magnifico (1492). Col-pisce, del resto, che un religioso e studioso sensibile alla sto-ria delle diocesi come Angelo Tafi abbia deciso di pubblica-re una guida storico-artistica di Borgo Sansepolcro, la «città di Piero» (1994), dopo quella stesa per Cortona (1989), vi-sto che entrambe le città sono andate a costituire un unico vescovato insieme ad Arezzo, per la quale lo studioso aveva in precedenza – come ho accennato – già provveduto. Ma mi fa anche particolarmente piacere trovare che per la gui-da di Sansepolcro abbia lavorato come primo collaboratore di Tafi l’architetto Giovanni Cecconi, avendo anch’io avuto

personalmente modo di apprezzarne il valore, la conoscenza del territorio e le capacità.

Fra le più giovani, ma già agguerrite leve della ricerca sto-rica, una particolare attenzione merita Pierluigi Licciardello, i cui interessi guardano soprattutto, anche se non soltanto, all’alto Medioevo e a tematiche di storia ecclesiastico-religiosa e istituzionale, con una attuale inclinazione particolare per le vicende dei camaldolesi. Il suo impegno per la valorizzazione della storia aretina si combina con quello di Luca Berti e nel volume da entrambi curato e sopra ricordato (Berti - Licciar-dello 2010), trattando della storiografia politico-istituzionale egli ha steso un saggio sull’alto Medioevo (pp. 345-381), trat-tando della riflessione storiografica nelle diverse epoche un secondo saggio sul Medioevo e l’umanesimo (pp. 129-188).

A questi lavori possono essere utilmente aggiunti quello steso dallo stesso Berti su Arezzo tra il 1222 ed il 1440, di taglio politico-istituzionale (Berti 2005), e un altro di diver-sa impostazione (Franchetti Pardo 1986).

Studi di particolare interesse e solidità ha dato alla storia della città Lauretta Carbone, mostrando fra l’altro una non comune familiarità con periodi cronologici diversi, dal tardo Medioevo (2002) al principato mediceo (2010), e affrontando con la massima competenza e un gusto spiccato per la preci-sione e la combinazione tra fonti diverse come quelle fiscali, il notarile o i libri di ricordi (Carbone 1993), alla ricerca di una visione della storia che ci offra congiuntamente immagini non casuali della società, dell’economia, della mentalità. Alla città hanno prestato, nel corso degli anni, il loro interesse gli storici economici, sui quali, per il tardo Me dioevo, si posso-no vedere anche le considerazioni di uno studioso equilibra-to all’interno del recente volume curato da Berti - Licciardello (2010: G. Pinto, alle pp. 625-637). Questi studiosi hanno so-prattutto preso in considerazione figure di mercanti, attività commerciali e produzioni, già a partire da Amintore Fanfa-ni con lo studio su Costi e profitti di Lazzaro Bracci mercan-te aretino del Trecento e con le Note sull’industria alberghiera italiana nel Medioevo (Fanfani 1936, risp. pp. 1-15 e 109-121) per giungere a Federigo Melis, con studi su Lazzaro Bracci e l’economia del Casentino (Melis 1965-1967 e 1967), a Bruno Dini, con un volume sulla produzione e il mercato ad Arez-zo intorno al 1400 e sulla storia dell’arte della lana nella cit-tà (Dini 1984 e 1980) e a uno storico economico sui generis come Franco Franceschi, che unisce sempre alle sue larghe conoscenze e ai suoi molti studi in materia la convinzione di non dover dimenticare mai il rapporto dell’economia con la società e la politica. Esempi di questa sua originalità sono rap-presentati anche dal saggio pubblicato negli Atti del Conve-gno su Petrarca politico (Franceschi 2006, pp. 159-182), de-dicato ai caratteri della società aretina fra Due e Trecento, o da quello presentato nel volume collettivo Storia di Arezzo:

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stato degli studi e prospettive curato da Berti e Licciardello (Franceschi 2010, pp. 407-429) e dedicato all’inserimento di Arezzo nello Stato regionale fiorentino.

Ma anche ad altri la storia deve molti contributi. Andrea Barlucchi, insieme ad altri lavori, fra i quali ricordo quello relativo alla lavorazione del ferro (Barlucchi 2007), ha dato un ammirevole contributo alla storia del Casentino e all’orga-nizzazione di convegni annuali di vario argomento a Raggio-lo, invitandovi studiosi di diversa provenienza e competenza. Del profilo di un fabbro casentinese e della rara documenta-zione che lo riguardava fu data invece notizia molti anni fa (De Angelis 1976). Ma si può anche ricordare che pur do-vendo tralasciare vari lavori, pur degni di una segnalazione, il Casentino dispone ora di approfonditi saggi pieni di noti-zie e soprattutto di idee e di riflessioni, come il volume de-dicato al monastero di Santa Maria di Prataglia dalle origini al 1270, che signoreggiava su un paio di non grandi castelli della montagna, Serravalle e Frassineta (Belli 1998), o come i libri di Marco Bicchierai che ci illuminano, con taglio sicuro e avvincente, sulle signorie dei Guidi sul castello di Raggiolo e su quello magnifico e centrale di Poppi, che passò a Firenze soltanto nel 1440 (Bicchierai 1994 e 2005). Utile quadro ar-cheologico del Casentino è quello che fu offerto nel 1999 dal Gruppo Archeologico Casentinese. Aggiungo che l’Università di Firenze da tempo lavora sui castelli abbandonati del Pra-tomagno e anche su altri castelli andati parzialmente in ro-vina, illuminando sempre meglio soprattutto quelli che furo-no signoreggiati dai Guidi (Vannini 2002; Vannini - Molducci 2009, pp. 177-210). Non nego di provare una sottile soddi-sfazione, di fronte a questo aumento di conoscenze, quando penso quale finezza di interpretazione storica mi apparve alla prima lettura il saggio di Sestan su I conti Guidi e il Casen-tino, da lui letto nel castello di Poppi nel lontano 1956, tut-to costruito su una larghissima conoscenza delle vicende di quella stirpe e dei rapporti tra la città, le campagne e più in generale i monti sui quali si erano fissati. Data la rilevanza che non soltanto in Casentino, ma anche in una larga parte del territorio aretino mantennero a lungo, fra gli abitati, quel-li detti «castelli», quindi circondati da mura, rafforzati dal-la presenza di una torre o di un «cassero», ospitanti al loro interno almeno una chiesa e talvolta un «ospedale», mi sem-bra opportuno segnalare che disponiamo a questo proposi-to di un serio studio relativo alla fase più marcata dell’inca-stellamento, cioè dell’organizzazione dei poteri sul territorio intorno a quel tipo di abitato sino alla fine del XII secolo (Cortese 2000).

Parlare di Arezzo sul piano culturale, ma anche con evi-denti riferimenti politici, vuol dire parlare anche del rappor-to con Dante Alighieri. Ma qui mi basta accennare alla par-te del territorio che più attirò l’attenzione del poeta, che vi

combatté la battaglia di Campaldino, vale a dire il Casentino con i suoi monti, i suoi signori, Guidi in testa, i suoi boschi, il suo clima, l’Arno, la Verna, Camaldoli (Migliorini-Fissi 1989, pp. 115-146; Orlandi 2002). Dei caratteri di quell’ambiente naturale la storiografia non ha mancato di fornirci, oltre al quadro relativo alle attività agricole o all’uso del bosco, an-che la descrizione della transumanza del bestiame che a set-tembre prendeva dal Pratomagno e dalle altre montagne la via della Maremma senese e ne ritornava all’inizio di maggio (Massaini 2005; Calzolai 2007-2008). Sulla Verna, almeno en-tro l’area più vicina al monastero, meno condizionata di al-tre montagne dalla pressione degli uomini verso il mutamen-to dei suoli e dell’ambiente, si può vedere un breve specifico saggio su «foresta e ambiente» pubblicato da un esperto per la Comunità Montana del Casentino (Borchi 1992).

A questo punto mi pare opportuno fare una sosta e sof-fermarmi un po’ su quello che avvenne a Campaldino nella battaglia in cui si affrontarono l’11 giugno 1289 l’esercito fio-rentino disceso dal crinale che divide il Casentino dal Valdar-no e l’esercito salito da Arezzo. In quello scontro si affronta-rono guelfi e ghibellini delle due città con relativi alleati. Ma sappiamo che l’esercito aretino, pur rafforzato da truppe del contado e da cavalieri ghibellini della Toscana, della Roma-gna, della Marca d’Ancona e del ducato di Spoleto, aveva la-sciato Arezzo debolmente guarnita, senza tuttavia raggiungere una condizione di parità con l’esercito fiorentino, rafforzato da contingenti della lega guelfa e da truppe bolognesi e luc-chesi. Le truppe fiorentine, comandate da Aimeric di Narbo-na, assommavano a milleseicento cavalieri e diecimila fanti, l’esercito aretino comprendeva ottocento cavalieri e ottomila fanti, ma aveva – come ricorda Giovanni Villani – un atteg-giamento di disprezzo per quella che riteneva la mollezza de-gli avversari. Avvenne così che, anche grazie alla coraggiosa imprudenza dei cavalieri aretini e alla saggia disobbedienza del fiorentino Corso Donati, la battaglia prese, dopo un feli-ce inizio per gli aretini, una direzione per loro tragica. Gui-do Novello Guidi, alleato di Arezzo, abbandonò lo scontro e fuggì per mettersi in salvo con una squadra di cavalieri. Il vecchio vescovo aretino Guglielmino Ubertini, che stava, no-nostante la sua vista diventata molto debole, alla testa degli aretini, cadde sul campo di battaglia. Il ghibellino Bonconte da Montefeltro fu invece immaginato da Dante gravemente fe-rito e in fuga dal campo di battaglia dopo la sconfitta e mor-to alla confluenza tra l’Arno e l’Archiano. Il suo corpo, non più ritrovato, sarebbe stato portato via – secondo il poeta – dall’acqua ingrossata per il violento temporale che concluse la sanguinosissima battaglia. Gli uccisi in campo ghibellino sarebbero stati millesettecento e i prigionieri più di duemila. Ma si deve tuttavia notare che furono soprattutto la presen-za e la poesia di Dante a immortalare quell’avvenimento. Su

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T A V O L E

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Re f e R e n z e d e l l e Tav o l e I-Iv

I. A. Brilli, Arezzo. La città e i suoi ritratti, Città di Castello 2005, p. 217 nr. 115. II. A. Brilli, Arezzo. La città e i suoi ritratti, Città di Castello 2005, p. 219 nr. 116. III a. A. M. Maetzke - C. Bertelli (a cura di), Piero della Francesca. La Leggenda della Vera Croce in San Francesco ad Arezzo, Arezzo 2001, p. 154. III b. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Arezzo. IV. Per gentile concessione del prof. A. Brilli.

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Vedute di Arezzo tAV. i

Giotto, La cacciata dei diavoli dalla città di Arezzo (circa 1295). Assisi (PG), Basilica superiore di San Francesco

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Vedute di ArezzotAV. ii

Benozzo Gozzoli, La cacciata dei diavoli dalla città di Arezzo (1459). Montefalco (PG), chiesa di San Francesco

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Vedute di Arezzo tAV. iii

a) Piero della Francesca, Ritrovamento della Vera Croce (particolare). Arezzo, Basilica di San France-sco; b) Bartolomeo della Gatta, San Rocco allontana da Arezzo il flagello della peste (particolare; circa

1479). Arezzo, Museo Statale d’Arte Medievale e Moderna

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