appunti di biomeccanica aa 2011_12

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1 Prof.ssa M. Gabriella Trisolino [email protected] A.A. 2011/12 APPUNTI di BIOMECCANICA Laurea triennale, L-22 Obiettivi formativi Il corso si propone di fornire allo studente nozioni specifiche delle leggi della fisica applicate al movimento umano e alla meccanica muscolare, oltre alla conoscenza dei principi di funzionamento delle strumentazioni elettroniche per la valutazione biomeccanica. Programma - PROGRAMMA LEZIONI TEORICHE - Leggi della meccanica - Contrazione muscolare - Regimi di contrazione muscolare - Meccanismi della forza - Espressioni della forza - Elettromiografia di superficie - Principi di funzionamento delle strumentazioni PROGRAMMA ESERCITAZIONI PRATICHE - Analisi di uno SJ con misurazione simultanea della variazione della posizione e velocità del baricentro. - Analisi di movimenti alla leg-press con misurazione simultanea della variazione angolare al ginocchio e della velocità di spostamento del carico - Costruzione di una curva F/V con esercizio alla panca - Nozioni generali sulla piattaforma di forza e analisi di uno SJ, CMJ, Drop Jump eseguiti su piattaforma di forza con misurazione della variazione angolare al ginocchio - Analisi del segnale elettromiografico durante Drop Jump eseguito a diverse altezze di caduta, studio del fenomeno del ritardo elettromeccanico, studio della relazione fra forza isometrica e segnale elettromiografico

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Biomeccanica scienze motorie

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Page 1: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

1

Prof.ssa M. Gabriella Trisolino

[email protected]

A.A. 2011/12

APPUNTI di BIOMECCANICA

Laurea triennale, L-22

Obiettivi formativi

Il corso si propone di fornire allo studente nozioni specifiche delle leggi della fisica applicate al movimento umano e alla

meccanica muscolare, oltre alla conoscenza dei principi di funzionamento delle strumentazioni elettroniche per la

valutazione biomeccanica.

Programma

- PROGRAMMA LEZIONI TEORICHE

- Leggi della meccanica

- Contrazione muscolare

- Regimi di contrazione muscolare

- Meccanismi della forza

- Espressioni della forza

- Elettromiografia di superficie

- Principi di funzionamento delle strumentazioni

PROGRAMMA ESERCITAZIONI PRATICHE

- Analisi di uno SJ con misurazione simultanea della variazione della posizione e velocità del baricentro.

- Analisi di movimenti alla leg-press con misurazione simultanea della variazione angolare al ginocchio e della

velocità di spostamento del carico

- Costruzione di una curva F/V con esercizio alla panca

- Nozioni generali sulla piattaforma di forza e analisi di uno SJ, CMJ, Drop Jump eseguiti su piattaforma di forza

con misurazione della variazione angolare al ginocchio

- Analisi del segnale elettromiografico durante Drop Jump eseguito a diverse altezze di caduta, studio del

fenomeno del ritardo elettromeccanico, studio della relazione fra forza isometrica e segnale elettromiografico

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Modalità didattiche, obblighi, testi e modalità di accertamento.

Lezioni frontali e laboratori pratici

Testi: Testi di studio:

- Dispense fornite dal docente.

- S. J. Hall. “Basic Biomechanics”. McGraw-Hill 2007.

- V. Zatsiorsky, W. Kraemer – “Scienza e pratica dell’allenamento della forza”. Ed.

Calzetti Mariucci 2008.

- Bosco C. “LA FORZA MUSCOLARE. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche”. S.S.S.

Roma, 1997.

Esame scritto ed orale

Page 3: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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BIOMECCANICA: definizione e prospettive

Dal 1970 la comunità scientifica internazionale ha adottato il termine di biomeccanica per

descrivere la scienza che si occupa dello studio delle proprietà meccaniche dei sistemi

biologici. Per sistemi viventi (biosistemi) intendiamo:

a) gli organismi completi (per es. l’uomo);

b) i loro organi, i loro tessuti ed anche i liquidi ed i gas in loro contenuti (sistemi interni

dell’organismo);

c) i raggruppamenti di organismi (per es. una coppia di acrobati; due lottatori).

La biomeccanica si divide in due grandi aree di studio:

� la micromeccanica che studia la struttura e le funzioni delle singole unità motorie;

� la macromeccanica che analizza la cinematica e la dinamica dei rapporti e delle

forze, esogene ed endogene, che interagiscono nel movimento in toto.

La biomeccanica utilizza gli strumenti della meccanica, branca della fisica che

comprende l’analisi e le azioni delle forze, e studia gli aspetti anatomici e funzionali degli

organismi viventi. Statica e dinamica sono le due maggiori sottobranche della meccanica.

La statica è lo studio dei sistemi che mantengono uno stato di moto costante, che è, sia in

quiete (senza movimento) o in movimento con velocità costante.

L’allenamento sportivo, sia rivolto verso lo sport di alto livello sia verso la semplice attività

sportiva, oggi non può più essere basato sull’empirismo, il suo posto è ormai stabilmente

occupato dai diversi rami della scienza, in particolare dalla fisica e dalla fisiologia.

Le leggi della fisica e della fisiologia nel movimento umano non possono essere

analizzate separatamente ma armonizzate tra loro, la biomeccanica ha il compito di fare

questo.

La biomeccanica studia i movimenti meccanico-fisiologici degli animali ed in particolare

dell’uomo.

L’uomo compie tutti i suoi movimenti per mezzo del sistema locomotore.

Il sistema locomotore può essere considerato come un insieme di motori (muscoli striati)

capaci di trasformare energia chimica in meccanica compiendo lavoro su di una macchina

Page 4: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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(sistema delle leve ossee) che utilizza tale lavoro per promuovere il moto del corpo o di

sue parti rispetto all’ambiente esterno (G. A. Cavagna).

Lo scopo principale della biomeccanica è di creare le basi scientifiche della tecnica

sportiva, per poter applicare efficacemente le forze ed avere il miglior rendimento finale.

L’apparato muscolo-scheletrico

L’apparato locomotore dell’uomo, costituito dai muscoli, dallo scheletro, dalle articolazioni

e dai tendini, è il sistema biologico deputato a resistere alla forza di gravità e a produrre

movimento.

La muscolatura scheletrica, la cui contrazione dipende dal controllo cosciente, grazie alla

capacità di trasformare l’energia chimica in lavoro meccanico e calore, rappresenta il

motore del sistema. Il muscolo, sotto l’aspetto meccanico è caratterizzato da elevata

potenza relativa (rapporto peso/potenza) ed è capace di esprimere forze per unità di

superficie muscolare dell’ordine di 5-8 kg/cm2. La forza massimale che ciascun muscolo è

in grado di generare non è costante, poiché dipende anche dal suo grado di

accorciamento.

Se sottoposti a sforzi sistematici, i muscoli danno luogo a fenomeni di adattamento agli

stimoli esterni che, dal semplice miglioramento del tono muscolare (es. fitness) producono

uno stato di ipertrofia muscolare con aumento considerevole della forza (es. body building

e pesistica) in tutte le espressioni (forza massima, esplosiva, resistente, ecc.). Ricordiamo

che ad alti livelli di forza massima, sebbene non espressamente richiesti in ogni disciplina

sportiva, costituiscono un requisito essenziale posto alla base dell’allenamento di

qualunque altra manifestazione della forza muscolare.

I muscoli ricoprono pressoché interamente la superficie scheletrica alla quale

prevalentemente si inseriscono, contribuendo largamente a determinare, insieme allo

scheletro, la forma del corpo.

I muscoli presenti nel nostro organismo sono circa cinquecento, quasi tutti pari e

simmetrici. Si distinguono in muscoli delle regioni assiali e muscoli delle regioni

appendicolari. I primi comprendono i muscoli del dorso, della testa, del collo, del torace e

dell’addome. I secondi si distinguono in muscoli degli arti superiori (muscoli della spalla,

del braccio, dell’avambraccio e della mano) e in muscoli degli arti inferiori (muscoli

Page 5: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

5

dell’anca, della coscia, della gamba e del piede). I tendini, costituiti da tessuto fibroso a

fasci paralleli, hanno il compito di trasferire le forze muscolari alle ossa in determinati punti

di inserzione.

Lo scheletro, con funzione principale di sostegno, effettua continui cambiamenti nel corso

della vita (cambiamenti di forma, percentuale dei costituenti, proprietà meccaniche) per

effetto del costante rimodellamento osseo. Il fenomeno è favorito dall’esercizio fisico. È

noto, infatti che una persona che si sottoponga ad intensa attività muscolare, non solo

aumenta la massa e la forza dei propri muscoli, ma irrobustisce anche le ossa in risposta

alle maggiori sollecitazioni cui sono sottoposte. Nonostante la apparente staticità, quindi, il

tessuto osseo è in continuo rinnovamento attraverso incessanti meccanismi di

riassorbimento e neosintesi di tessuto che si svolgono nell’intero arco di vita. La funzione

dell’osso, oltre che statica, è anche metabolica, partecipando il tessuto osseo al

metabolismo calcio-fosforo. L’apparato scheletrico è costituito da ossa, cartilagini,

articolazioni. Il numero delle ossa, a sviluppo completo, dopo il 25° anno di età, è di poco

superiore a 200. Il tessuto osseo viene detto compatto se le lamelle ossee che lo

costituiscono sono stipate parallelamente formando strutture compatte e molto regolari,

oppure spugnoso se le stesse sono disposte formando trabecole irregolari, delimitanti un

labirinto di spazi intercomunicanti, detti midollari.

Nel tessuto osseo si riconoscono le cellule e una matrice intercellulare, organica e

inorganica. Alla matrice organica, fibre collagene soprattutto, l’osso deve la sua resistenza

alla trazione e alla compressione, mentre i costituenti inorganici sono responsabili della

sua durezza e rigidità. Nonostante tali caratteristiche, l’osso è molto leggero e questo

binomio tra massima resistenza e minor peso è dovuto alla sua composizione chimica e

alla sua mirabile architettura interna. in particolare, nell’osso spugnoso, le lamelle sono

orientate in modo da formare archi di resistenza alle pressioni, secondo un principio di

miglior sfruttamento del materiale.

Le articolazioni costituiscono le giunture tra i segmenti dello scheletro e ne permettono la

connessione stabile. Regolano inoltre direzione ed ampiezza dei movimenti agendo come

elementi passivi sotto l’azione della muscolatura striata volontaria.

La cartilagine articolare costituisce la superficie di contatto tra i capi articolari. Essa è più

spessa nelle articolazioni sottoposte a maggior carico e nei punti ove c’è maggior attrito.

Page 6: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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La cartilagine articolare si caratterizza per le sue elevate proprietà meccaniche di

resistenza ed elasticità.

La capsula articolare costituisce un involucro ermeticamente chiuso intorno alla cavità

articolare. Si distinguono in essa due strati:

uno esterno costituito da tessuto connettivo compatto, che in alcune zone si

irrobustisce notevolmente così da costituire strutture tendiniformi dette

legamenti. Essi contribuiscono alla stabilità della articolazione grazie alla loro

elevata resistenza alla trazione. I legamenti possono essere indipendenti

dalla capsula fibrosa e trovarsi sia all’interno della cavità articolare

(legamenti intrarticolari), sia all’esterno della capsula, per collegare tratti

scheletrici tra loro distanti;

uno interno, detto membrana sinoviale, costituita da tessuto connettivo

denso, che produce il liquido sinoviale, il quale umetta e lubrifica le superfici

articolari, rendendo possibili movimenti accompagnati da attriti interni molto

ridotti.

Bibliografia:

FIPCF. BIOMECCANICA SPORTIVA: teoria e applicazioni. S.S.S: Roma 2003

Page 7: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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LEGGI DELLA FISICA

Le leggi della fisica sono formulate in termini di grandezze fisiche, vale a dire di quantità

misurabili, caratterizzate da un valore numerico e da un’unità di misura.

Si definisce quindi una grandezza fisica una caratteristica di un corpo o di un fenomeno

che può essere sottoposta a misura, il cui esito sarà un numero corredato da una

corrispondente unità di misura. L’unità di misura può essere definita come la grandezza

assunta come campione che permette il confronto con una grandezza omogenea.

Una grandezza fisica è quindi una entità che si può misurare, confrontare e sommare con

altre della stessa specie. Es. lunghezze, massa, tempo, velocità, ecc.

Le grandezze, inoltre, possono essere scalari e vettoriali.

Si dicono scalari quelle caratterizzate pienamente dalla misura e unità di misura

(lunghezza, tempo, massa, energia, potenza, ecc.)

Si dicono vettoriali quelle per le quali bisogna dare anche direzione e verso (velocità,

accelerazione, forza, quantità di moto, ecc.)

Si possono avere due tipi di misure tra grandezze:

• Misura diretta

• Misura indiretta.

La misura diretta consiste nel confronto diretto fra la grandezza da misurare e una

grandezza ad essa omogenea assunta come unità.

Una misura si dice indiretta quando il valore della grandezza che si vuole determinare è

ottenuta eseguendo la misura di altre grandezze dalle quali dipende quella in esame.

Un esempio di misura diretta è quello della misura della lunghezza, essa viene eseguita

confrontando direttamente la lunghezza dell’oggetto in esame con un segmento di

riferimento definito “metro”, assunto come unità di misura.

L’esempio di una misura indiretta è quello della grandezza velocità. Essa è derivata dalla

misura di altre, sfruttando la relazione fisico matematica che la collega, precisamente dalla

lunghezza e dal tempo v = s/t.

Si deduce da questo che nell’insieme di tutte le grandezze fisiche è possibile definire

l’unità di misura di alcune di esse e derivare poi da queste le unità di misure delle altre

grandezze.

Page 8: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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Le grandezze la cui unità di misura è scelta indipendentemente dalle altre sono dette

grandezze fondamentali; le grandezze la cui unità di misura è derivata dall’unità delle

grandezze fondamentali si dicono grandezze derivate.

Le grandezze fondamentali sono sette (tabella 1).

Nella tabella 2 sono riportate alcune delle più importanti grandezze derivate ed utilizzate in

ambito sportivo.

Tab 1 grandezze fondamentali

Nome grandezza Nome dell’unità Simbolo corrispondente

Lunghezza Metro m

Massa chilogrammo kg

Tempo Secondo S

Temperatura Kelvin K

Corrente elettrica Ampere A

Intensità luminosa Candela Cd

Quantità di materia Mole mol

Page 9: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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GRANDEZZE Fisiche UNITA’ DI MISURA S.I.

Nome simbolo Nome simbolo

Velocità V mmeettrrii aall sseeccoonnddoo mm//ss

Spazio percorso SS MMeettrrii mm

Tempo (intervallo di) TT;; tt SSeeccoonnddoo ss

Accelerazione,

acc di gravità

aa,, gg MMeettrroo aall sseeccoonnddoo ppeerr sseecc.. mm//ss22

Forza FF NNeewwttoonn NN

Lunghezza LL;; ll MMeettrroo mm

Potenza PP WWaatttt WW

Massa MM KKiillooggrraammmmoo kkgg

Lavoro (=energia) LL JJoouullee JJ

Peso (forza di gravità) PP NNeewwttoonn NN

Angolo aa,,bb,, αααααααα,,,,,,,,ββββββββ RRaaddiiaannttee rraadd

Velocità angolare ωωωωωωωω rraaddiiaannttii aall sseeccoonnddoo rraadd//ss

Energia EE JJoouullee jj

Momento di una forza MM nneewwttoonn ppeerr mmeettrroo NN**mm

Frequenza FF;; ff,,νννννννν HHeerrttzz HHzz

Mole MMooll MMiilllliimmoollii mmmmooll

Tab 2 Grandezze fisiche

Page 10: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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O

A

V

r

MECCANICA DEI CORPI

la meccanica è quella parte della fisica che studia il movimento dei corpi, per ragioni

didattiche è tradizionalmente divisa in :

1. statica: si occupa delle condizioni di equilibrio dei corpi;

2. cinematica: descrive il movimento dei corpi;

3. dinamica: studia le relazioni tra il movimento e le cause che lo producono.

Le applicazioni di biomeccanica utilizzano i concetti propri tanto della statica, quanto della

cinematica e della dinamica dei corpi. Molte delle principali grandezze fisiche usate

(velocità, accelerazioni, forze, momenti, ecc.) sono di natura vettoriale, esse obbediscono

ad un’algebra diversa rispetto a quella delle grandezze scalari comunemente note a tutti.

Per questa ragione, è necessario conoscere le principali operazioni con i vettori al fine di

potere applicare; con rigore scientifico, le leggi della meccanica allo studio dei gesti

sportivi.

Mentre le grandezze scalari sono caratterizzate soltanto dall’intensità, espressa mediante

un numero che ne misura la grandezza (es. massa, volume, tempo,ecc.).

Le grandezze vettoriali, invece, non vengono definite soltanto da un numero (intensità),

ma, per essere individuate e precisate in modo completo, richiedono anche una direzione,

un verso ed un punto di applicazione. Pertanto, le grandezze vettoriali vengono

graficamente rappresentate con dei segmenti orientati chiamati vettori. Appartengono alla

classe delle grandezze vettoriali gli spostamenti, le velocità, le accelerazioni, i momenti,

ecc.

il vettore (V)

la sua direzione (r)

verso >

il punto di il applicazione (O)

lunghezza segmento OA

Page 11: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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Sulle grandezze vettoriali si effettuano operazioni di tipo grafico, nelle quali, oltre

all’intensità del vettore, si tiene conto dei suoi parametri geometrici (direzione e verso). Tra

le numerose operazioni con i vettori, si ritiene utile, in questa sede, richiamarne due: la

somma tra vettori complanari e la scomposizione di un vettore secondo due direzioni

assegnate.

Somma di due vettori

Nel caso particolare che i due vettori giacciono sulla stessa retta (hanno quindi la stessa

direzione), la loro somma (R) si riduce ad una operazione algebrica tra i due moduli,

tenendo conto del verso fig.2

Fig.2 Somma di vettori di uguale direzione: a) vettori concordi; b) vettori discordi.

Nel caso, più generale che i due vettori abbiano direzione diversa (vettori concorrenti), la

somma dei due vettori si effettua con una semplice costruzione grafica che prende il nome

di “regola del parallelogramma”.

Il vettore risultante ( R ) è rappresentato in direzione, verso e intensità della diagonale del

parallelogramma costruito sui vettori di partenza.

Page 12: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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La figura 3 rappresenta una applicazione della composizione di due vettori concorrenti.

Fig. 3 Somma di vettori concorrenti.

Se i due vettori di partenza V1 e V2 sono tra loro perpendicolari, allora l’intensità della

risultante si può determinare con precisione matematica, applicando il teorema di

Pitagora:

R = 22 21 VV +

Scomposizione di un vettore secondo due direzioni assegnate

Ogni vettore può essere considerato come somma di due vettori, chiamati componenti.

Scomporre un vettore V secondo due direzioni, significa individuare i due vettori

componenti V1 e V2 agenti sulle direzioni assegnate 1 e 2, tali che la loro somma dia il

vettore di partenza.

Fig. 4 Scomposizione di un vettore.

I due vettori componenti V1 e V2 si ottengono conducendo dalla punta del vettore V la

parallela alla direzione 1 fino ad intercettare la retta 2, quindi conducendo dalla punta del

vettore V la parallela alla direzione 2 fino ad intercettare la retta 1. i vettori V1 e V2 trovati,

oltre ad avere le direzioni volute, ammettono come risultante il vettore di partenza V.

Page 13: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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Elementi di trigonometria

Di notevole importanza risulta in molti problemi fisici la conoscenza delle funzioni angolari.

Sono funzioni matematiche che associano un numero all’ampiezza di un angolo. In questa

sede ci limiteremo a definire il seno, il coseno e la tangente di un angolo.

Consideriamo una circonferenza che abbia il centro nell’origine degli assi di riferimento e

raggio pari a 1 (fig. 5).

Fig. 5 funzioni trigonometriche.

Si definisce seno dell’angolo α α α α l’ordinata del punto P cioè il segmento QP, inoltre si

definisce coseno dell’angolo α α α α l’ascissa di P cioè il segmento OQ.

Infine, definiamo la tangente di un angolo come il rapporto tra seno e coseno di

quell’angolo:

tgα = α = α = α = sen α / α / α / α / cos α α α α

α

r

P

Q O x

y

Page 14: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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Ricordiamo alcune proprietà notevoli dei triangoli che ci saranno utili nel prosieguo della

trattazione:

In un triangolo rettangolo la misura di un cateto è uguale al prodotto dell’ipotenusa per il

seno dell’angolo opposto al cateto o per il coseno dell’angolo adiacente al cateto stesso.

In un triangolo rettangolo la misura di un cateto è uguale a quella dell’altro cateto

moltiplicata per la tangente dell’angolo opposto al primo.

Richiamiamo alcune grandezze che trovano ampia applicazione nello studio dei problemi

della biomeccanica.

Page 15: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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La statica

Concetto di forza e suoi elementi.

In fisica si definisce forza ciò che è capace di deformare o di modificare lo stato di quiete o

di moto di un corpo. Semplificando, possiamo definire la forza come una spinta o una

trazione.

Classificazione delle forze in biomeccanica

Le forze interne sono forze che agiscono all’interno del soggetto o del sistema di cui

studiamo il movimento.

Il corpo umano è un sistema di organi, strutture, ossa, muscoli, tendini, legamenti,

cartilagine ed altri tessuti. Queste strutture esercitano forze le une sulle altre. Il muscolo

tira i tendini, che tirano le ossa. Nelle articolazioni, le ossa premono sulla cartilagine, che

spinge su altra cartilagine e ossa. Quando tirano le forze agiscono sulle estremità di una

struttura interna, le forze interne tirando producono forze di trazione, la struttura è in

tensione. Se le forze di spinta agiscono sulle estremità di una struttura interna, le forze

interne spingendo producono una forza di compressione, e la struttura è in fase di

compressione. Le forze interne tengono insieme gli elementi quando la struttura è in

tensione o in compressione.

Le forze esterne sono quelle forze che agiscono su un oggetto a causa della sua

interazione con l'ambiente che lo circonda.

Possiamo classificare delle forze esterne come delle forze

� con contatto

� senza contatto

La maggior parte delle forze sono delle forze di contatto. Queste si verificano quando gli

oggetti si toccano. Le forze senza contatto sono delle forze che si verificano anche se

gli oggetti non si toccano. L’attrazione gravitazionale della terra è una forza senza

contatto. Altre forze senza contatto includono delle forze magnetiche e delle forze

elettriche.

Page 16: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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Elementi che caratterizzano una forza:

� Intensità (valore della forza espresso in newton o kg).

� Direzione (è la linea lungo la quale la forza agisce. In ogni direzione vi sono due

sensi di spostamento).

� Verso (indica il senso proprio dello spostamento).

� Punto di applicazione (indica il punto materiale al quale è applicata la forza).

Nella figura 6 si evidenziano due forze (F1 e F2) con lo stesso punto di applicazione (p)

che agiscono nella stessa direzione (r) ma con verso diverso (verso della freccia).

Fig 6

MOMENTO DI UNA FORZA (o torque)

Si definisce momento di una forza rispetto ad un punto, un punto perpendicolare al piano

determinato dal punto e dalla forza, diretto verso l’alto se la rotazione avviene in senso

antiorario, verso il basso se la rotazione avviene in senso orario, e avente come intensità

il prodotto dell’intensità della forza per la distanza dal punto (fig 7).

Fig 7 Momento di una forza

M = F * b

FF11 FF22pp rr

PP bracciobraccio

FF

Page 17: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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Fig 8

Nella figura 8 si evidenzia come al variare del braccio di leva si modifica il momento della forza, di conseguenza valori

diversi di forza creano equilibrio.

Page 18: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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Cinematica

La cinematica studia il moto senza tener conto né delle cause che l’hanno prodotto, né

delle caratteristiche dei corpi che si muovono. Per la cinematica non esistono corpi in

movimento, ma solo “punti” mobili. Un corpo, per quanto esteso e pesante, è considerato

un semplice punto materiale nel quale s’immagina concentrato tutto il corpo che si muove

in uno spazio.

Il moto di un punto materiale è determinato se è noto la sua posizione istante per istante.

Per determinare la posizione di un punto P occorre fissare un sistema di riferimento p.e. il

SISTEMA CARTESIANO. La posizione del punto è individuata da una terna di numeri (x,

y, z) chiamate coordinate del punto P.

Ogni corpo in movimento percorre una linea definita traiettoria, ossia l’insieme delle

posizioni successivamente occupate da un punto materiale nello spazio.

La traiettoria può essere rappresentata da una linea retta o curvilinea Fig 9.

Fig 9

Il moto di un punto lungo la sua traiettoria si studia considerando le posizioni che esso

occupa entro determinati intervalli di tempo. La distanza tra due successive posizioni si

definisce spazio percorso.

Al variare del tempo t varia anche lo spazio percorso s, per questo si dice che lo spazio è

funzione del tempo. La formula che esprime tale funzione si dice legge del moto e può

essere rappresentata anche graficamente, riportando il tempo e lo spazio in un sistema di

assi cartesiani Fig 10.

Page 19: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

19

Fig. 10 Nel diagramma spazio-tempo di un moto uniforme appare evidente la costante del rapporto s/t.

Premesso che un punto si dice in quiete se la sua posizione spaziale rimane immutata nel

tempo, si dice in moto se in tempi successivi occupa posizioni diverse, definiamo

traiettoria seguita dal punto l’insieme di queste posizioni occupate nel tempo.

Si definisce velocità media il rapporto tra lo spazio percorso ed il tempo impiegato.

Nel Sistema Internazionale (S.I.) si misura in metri al secondo.

Vm = s/t

Dove s è lo spazio percorso; t il tempo impiegato.

Se la velocità è costante e la traiettoria è rettilinea il moto si definisce:

moto rettilineo uniforme.

Le formule inverse sono:

s = v * t per calcolare lo spazio

t = s / v per calcolare il tempo.

Naturalmente la velocità vera, istante per istante, potrà essere diversa dalla velocità

media.

Page 20: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

20

La cinematica tiene conto di quattro principali grandezze:

� Posizione (spazio)

� Velocità

� Accelerazione

� Tempo

e da questo si possono ricavare quattro principali tipi di MOTO:

� MOTO RETTILINEO UNIFORME

� MOTO UNIFORMEMENTE VARIO

� MOTO NATURALMENTE ACCELERATO

� MOTO CIRCOLARE

Moto rettilineo uniforme

Il moto uniforme è quello di un punto che percorre spazi uguali in tempi successivi uguali,

ad esempio dire che un corpo viaggia a 25 m/s significa che il corpo percorre 25 metri in

un secondo, 50 metri in due secondi e così via secondo un rapporto spazio-tempo che si

mantiene costante, tale rapporto è la velocità del corpo:

V = S/T numericamente riportato nella tab 3.

Spazio

m

Tempo

s

s/t

25

50

100

150

5

10

20

30

5

5

5

5

Tab 3

Dalla formula della velocità si ricava che lo spazio percorso corrisponde al prodotto della

velocità per il tempo: S = V * t.

Page 21: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

21

La relativa formula sintetizza la legge del moto uniforme vale a dire “gli spazi percorsi sono

proporzionali ai tempi impiegati a percorrerli”.

Il moto rettilineo uniforme, il più semplice di tutti i moti, è molto importante in fisica poiché

è il moto di un corpo su cui non agiscono forze.

Un punto si dice in quiete, rispetto ad un sistema di riferimento se rispetto a tale sistema,

la sua posizione spaziale rimane immutata nel tempo, si dice in moto se in tempi

successivi occupa posizioni diverse, definiamo traiettoria seguita dal punto l’insieme di

queste posizioni occupate nel tempo.

Si definisce velocità media il rapporto tra lo spazio percorso ed il tempo impiegato.

Nel Sistema Internazionale (S.I.) si misura in metri al secondo.

Vm = s / t

Dove s è lo spazio percorso; t il tempo impiegato.

Se la velocità è costante e la traiettoria è rettilinea il moto si definisce:

moto rettilineo uniforme.

Le formule inverse sono:

s = v * t per calcolare lo spazio

t = s / v per calcolare il tempo.

Naturalmente la velocità vera, istante per istante, detta velocità istantanea, potrà essere

diversa dalla velocità media.

Page 22: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

22

Esercizi

a) Determinare la velocità media di un corridore che ha percorso i cento metri in 9.2 sec.

La velocità media sarà: Vm = s/t = 100/9.2 = 10.87 m/s.

b) Un atleta corre alla velocità di 7 m/s. Determinare quanto tempo impiega per coprire la

distanza di 3 metri.

Il tempo impiegato si calcola t = s/v = 3/7 = 0.43 secondi.

c) Nella corsa dei 100 metri due atleti, A e B, realizzano i tempi riportati nella seguente

tabella:

metri Tempi atleta A Tempi atleta B

10 1.87 1.81

20 2.95 2.88

30 3.86 3.77

40 4.74 4.65

50 5.60 5.54

60 6.44 6.40

70 7.29 7.27

80 8.12 8.11

90 8.98 9.00

100 9.84 9.87

Page 23: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

23

Calcoliamo il tempo parziale nei tratti di 10 m e la velocità media del tratto.

metri Tempo 10m velocità A (m/s) Tempo 10m velocità B (m/s)

0-10 1.87 5.3 1.81 5.5

10-20 1.08 9.3 1.07 9.3

20-30 0.91 11.0 0.89 11.2

30-40 0.88 11.4 0.88 11.4

40-50 0.86 11.6 0.89 11.2

50-60 0.84 11.9 0.86 11.6

60-70 0.85 11.8 0.87 11.5

70-80 0.83 12.0 0.84 11.9

80-90 0.86 11.6 0.89 11.2

90-100 0.86 11.6 0.87 11.5

Supponendo che l’atleta B nell’ultimo tratto di 10 m si sia mosso di moto rettilineo

uniforme, calcoliamo la distanza tra i due atleti al momento che il primo (A) tagliava il

traguardo.

Nell’ultimo tratto (90-100), nel tempo pari a 9,84- 9,00 = 0,84 sec. l’atleta B compie uno

spazio pari a v* t = 11,5 * 0,84 = 9,66 m che si aggiungono ai 90 metri già percorsi, per un

totale di 99,66 metri.

L’atleta A nel frattempo ha tagliato il traguardo dei 100 metri, pertanto la distanza tra i due

atleti sarà di 100-9,66 =0,34 m = 34 cm.

Nella pratica, spesso la velocità viene misurata in unità estranee al Sistema

Internazionale, esempio in Km/h. Occorre ricordare che per trasformare la velocità

espressa in m/s nella equivalente in Km/h, è necessario moltiplicare il numero per 3,6.

Esempio: un corridore corre alla velocità di 5 m/s. Determinare la sua velocità in km/h.

V = 3,6 * 5 = 18 km/h

Viceversa per trasformare i km/h in m/s occorre dividere il numero per 3,6.

Esempio: una palla da tennis viaggia alla velocità di 80 km/h. Determinare la sua velocità

in m/s:

v =80/3,6 = 22,2 m/s

Page 24: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

24

Moto uniformemente vario

Il moto vario è un moto che avviene con velocità variabile, tale variazione di velocità è

dovuta all’accelerazione.

Si parla di moto uniformemente vario poiché l’accelerazione è costante.

Per tenere conto della variazione della velocità si introduce un’altra grandezza fisica

fondamentale: l’accelerazione

L’accelerazione è la misura della variazione di velocità nell’unità di tempo.

Si chiama accelerazione l’aumento di velocità nell’unità di tempo,

si chiama accelerazione negativa, o decelerazione, la diminuzione di velocità nell’unità di

tempo.

a = v / t

v = a * t

t = v / a

am = (v2-v1) / (t2-t1) =

tv

ma ∆∆=

Un caso di particolare interesse di moto vario è il moto rettilineo uniformemente

accelerato: è quello di un corpo che si muove su una traiettoria rettilinea con

accelerazione costante.

Le formule che descrivono questo tipo di moto sono fondamentalmente due:

S = S0 + V0 * t + ½ * a * t2

V = V0+ a * t

a queste si può aggiungere

asvv 220 +=

che da la velocità finale quando non si conosce il tempo.

Dove:

S è lo spazio percorso

S 0 è lo spazio percorso all’istante iniziale

V0 la velocità all’istante iniziale

a è l’accelerazione

t il tempo

Page 25: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

25

Quando S0 e V0 sono uguali a 0

2*2

1tas =

Da cui si possono ricavare le formule inverse:

a

st

2=

2

2

t

sa =

Esercizio

a) Una automobile parte con una velocità iniziale V0= 3 m/s e spazio iniziale S0 = 5 m con

accelerazione costante pari a 2 m/s2. Calcolare lo spazio percorso dopo 10 secondi e la

sua velocità finale.

Applicando la formula di cui sopra si ha:

S = S 0 + V0 * t + 2

1 * a * t2

S = 5 + 3 * 10 + 2

1* 2 * 102 = 5 + 30 + 100 = 135 metri

V = V0+ a * t

V = 3 + 2 * 10 = 3 + 20 = 23 m/s

b) Un bilanciere viene spinto verso l’alto partendo dal petto.

Considerato che viene accelerato con una accelerazione costante di 4 m/s2 quanto spazio

percorrerà in 0,5”

2*2

1tas = =

25,0*42

1= 25,0*2 = 0,50 m

Page 26: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

26

c) Un bilanciere viene spinto verso l’alto partendo dal petto.

Considerato che viene accelerato con una accelerazione costante di 4 m/s2 quanto tempo

impiegherà per spostarsi di 38 cm.

a

st

2= =

4

38,0*2=

2

38,0= 19,0 = 0,43 s

Moto naturalmente accelerato

Un caso molto importante è quello della caduta dei corpi. Un corpo cade subendo

un’accelerazione di 9,81 m/s2 , il suo moto detto naturalmente accelerato.

L’accelerazione di gravità è indicata con “g” quindi g = 9,81 m/s2 .

Tutti i corpi cadono con la medesima accelerazione. Questo comporta, che raggiungano la

medesima velocità dopo un uguale intervallo di tempo dal momento della caduta. In altre

parole, la velocità di caduta è indipendente dal peso. Da questo si evince che la velocità

cresce proporzionalmente al tempo: V = g * t (fig 11).

Mediante la legge del moto naturalmente accelerato è possibile calcolare anche lo spazio

percorso durante la caduta, misurando il tempo impiegato a percorrere detto spazio. Si

può quindi affermare che gli spazi percorsi sono proporzionali al quadrato dei tempi

impiegati a percorrerli:

s = g * t2/2 (fig 11).

Fig 11 spazio percorso e velocità raggiunta di un corpo, soggetto alla forza di gravità in ciascuno dei 4 secondi.

Alla fineAlla fine

del 1° secdel 1° sec

Alla fineAlla fine

del 2° secdel 2° sec

Alla fineAlla fine

del 3° secdel 3° sec

Alla fineAlla fine

del 4° secdel 4° sec

m 4,9m 4,9

m m

19,6219,62

m m

44,1444,14

m m

78,4878,48

V=g=9,81 V=g=9,81

m/sm/s

V=2g=19,62 V=2g=19,62

m/sm/s

V=3g=29,43 V=3g=29,43

m/sm/s

V=4g=39,24 V=4g=39,24

m/sm/s

Page 27: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

27

Il moto di caduta dei corpi rappresenta un caso particolare di moto rettilineo

uniformemente accelerato. In questo moto la traiettoria è verticale e l’accelerazione

assume, sul nostro pianeta, il valore medio pari a

g = 9,81 m/s2.

La velocità raggiunta da un corpo che cade da un’altezza h quando arriva a terra

(trascurando la resistenza dell’aria), si calcola con la formula:

V = hg **2

Il tempo di caduta si calcola come:

t = V/g

Esercizio

Una palla è lasciata cadere dalla quiete da una altezza di 2 metri. Calcolare con quale

velocità arriva a terra e il tempo impiegato (trascurando la resistenza dell’aria).

V = hg **2

V = 2*8,9*2 = 2,39 = 6,26 m/s

Se vogliamo trasformare i m/s in km/h dobbiamo moltiplicare per 3,6,

quindi 6,26 * 3,6 = 22,5 km/h

Il tempo impiegato è dato da t = V/g = 6,26/9,8 = 0,064 secondi

Il peso del corpo è dato dalla somma vettoriale di due forze di natura diversa:

forza gravitazionale Fg = G * Mt * m/R2 =mg essendo

2R

GMg t=

forza centrifuga Fc = m* ω2∗ �R (trascurabile)

dove:

G è la costante gravitazionale universale = 6,67*10-11 22

Kg

Nm=

Mt è la massa della terra = 5,98 *1034kg

R è il raggio del pianeta = 6,38* 106m

m è la massa del corpo

ω è la velocità di rotazione del pianeta

srad /86400

2π= R

Page 28: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

28

Moto circolare

Il moto di un punto si definisce circolare quando la sua traiettoria è una circonferenza o un

arco di circonferenza.

Il moto circolare si dice uniforme quando il punto percorre archi uguali in tempi uguali,

vale a dire quando la velocità di rotazione è costante.

Nel moto circolare la velocità di rotazione si distingue in:

• Velocità angolare, indicata con ω

• Velocità periferica o tangenziale, indicata con V. (fig 12).

La velocità angolare è l’angolo descritto nell’unità di tempo; si esprime generalmente in

radianti/sec.

Un angolo di 1 radiante è dato da un arco la cui lunghezza è pari al raggio

1 rad = 57°17’44,8” (fig 13).

Fig 12 Fig 13

Ogni circonferenza è lunga 2 Π r, perciò un angolo di 360° vale 2π (6,28) rad.

Altro parametro da tenere in considerazione è il numero di giri che compie il punto sulla

circonferenza e se questi sono confrontati con il tempo si deve parlare di frequenza.

La frequenza è il numero di cicli compiuto in un secondo e si indica con f per questo la

velocità angolare si scrive ω = 2ΠΠΠΠf.

f si misura in Hertz, Hz o s-1

La velocità periferica o tangenziale, è la velocità posseduta da un punto M sulla traiettoria

circolare e si esprime in metri/sec. tale velocità è un vettore tangente alla traiettoria.

Tenendo conto anche della frequenza, la formula della velocità periferica di un moto

circolare diventa: v = 2π r f = ω r.

Page 29: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

29

L’inverso della frequenza prende il nome di periodo, si indica con T e corrisponde al tempo

impiegato dal punto mobile per compiere un giro.

fT

1= T si misura in sec..

Nei moti curvilinei (molto frequenti nell’apparato locomotore dell’uomo) è particolarmente

utile l’introduzione di una nuova grandezza, la velocità angolare, definita come rapporto tra

l’angolo descritto dal raggio vettore e il tempo impiegato.

ω ω ω ω (omega) = angolo descritto / tempo impiegato

essa si misura in radianti al secondo (rad/s).

il radiante (rad), unità di misura degli angoli molto usata in ambito tecnico, è definito come

rapporto tra l’arco rettificato e il raggio della circonferenza.

L’unità radiante è uguale all’arco che, rettificato, risulti uguale al raggio.

Esiste la seguente corrispondenza con i comuni gradi sessagesimali:

1 rad = 57,3° = 57° 17’

La velocità angolare (ω) è legata alla velocità lineare V dalla seguente notevole relazione:

V = ω ∗ R

Dove R rappresenta il raggio o la distanza del punto del centro di rotazione.

Dalla relazione V = ω ∗ R risulta che nei moti di rotazione la velocità (V) dei punti del

corpo cresce proporzionalmente alla distanza del centro di rotazione (unico punto a

velocità nulla).

Per quanto riguarda direzione e verso del vettore velocità, in generale occorre ricordare

che per qualunque moto curvilineo, la velocità è sempre tangente alla traiettoria come

illustrato nella figura 14

Page 30: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

30

Fig. 14 Vettore velocità

I movimenti consentiti dalle diverse articolazioni del corpo umano sono soprattutto di

rotazione. Conseguentemente le traiettorie seguite dai diversi punti sono curvilinee. Si

possono ottenere facilmente moti complessivi di traslazione su una retta come risultato

della composizione di più moti curvilinei elementari. Alzare un braccio verticalmente verso

l’alto comporta (es. distensione in alto con manubrio), l’esecuzione di due moti

sincronizzati di rotazione dell’avambraccio attorno al gomito e del braccio attorno

all’articolazione scapolo-omerale. Tutti i possibili moti di rotazione dei segmenti corporei,

inoltre, sono necessariamente incompleti in quanto non sono consentite rotazioni di 360°.

Esercizio

a) La velocità di rotazione della ruota di una bicicletta è pari a 160 giri/min. se il raggio

della ruota è pari a 35 cm, calcolare la velocità del ciclista.

Possiamo esprimere la velocità di rotazione in giri/h moltiplicarla per 60 (quanti sono i

minuti contenuti in un’ora):

Vr = 60 * 160 = 9,600 giri/h

Lo spazio percorso dalla ruota in un giro (in assenza di slittamento) è pari alla lunghezza

della sua circonferenza:

d = 2* 3,14* R = 2 * 3,14 * 0,35 = 2,2 metri

la velocità di traslazione del ciclista sarà:V = 9,600 giri/h * 2,2 m = 21,120 m/h = 21,1 km/h

b) Se in una leg-extension la leva viene spinta dalla posizione di 90° a quella di 180° in

2,0”, quanto varrà la velocità angolare media?

Spostamento = 90°

Tempo = 2,0”

Velocità angolare = .sec/45"0,2

90°=

°

Se trasformiamo in radianti avremo 57° 17”/45°= 1,27 rad/sec

Page 31: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

31

I moti su traiettorie curve sono sempre accompagnati da un accelerazione centripeta

diretta verso il centro di curvatura, dovuta alla variazione della direzione del vettore

velocità.

Ac = V2 / R

Dove R è il raggio di curvatura.

L’accelerazione centripeta si può esprimere anche in funzione della velocità angolare (ω):

Ac = ω 2 / R

Esercizio

Durante una gara di bob una squadra affronta una curva di raggio pari a 8 metri con una

velocità di 95 km/h. Calcoliamo a quale accelerazione centripeta si trovano sottoposti gli

atleti.

Trasformiamo la velocità espressa in km/h in m/s dividendo per 3,6:

V = 95/ 3,6 = 26,39 m/s

L’accelerazione centripeta risulta:

Ac = V2/R = 26,392 / 8 = 87,05 m/s2

Tale accelerazione è pari a quasi 9 volte l’accelerazione di gravità.

Se nel moto curvilineo si verifica una variazione del modulo della velocità, nasce inoltre

una accelerazione tangenziale (At = ∆v / ∆t) che si somma settorialmente alla

accelerazione centripeta (Ac = ω 2 / R), per ottenere l’accelerazione totale del corpo.

Riepilogando, i moti elementari che abbiamo analizzato sono:

• il moto rettilineo uniforme: è il caso di moto più semplice avvenendo su traiettoria

rettilinea con velocità costante. Si caratterizza per l’assenza di accelerazione di

qualsiasi tipo.

• Il moto rettilineo uniformemente accelerato: avviene su traiettoria rettilinea con un

accelerazione tangenziale costante. La velocità sarà variabile istante per istante. Se

l’accelerazione è positiva la velociotà aumenta nel tempo, se l’accelerazione è

negativa la velocità diminuisce e il corpo rallenta il suo moto.

Page 32: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

32

• Il moto circolare uniforme: si sviluppa su una traiettoria circolare con velocità, in

intensità, costante. Si caratterizza per la presenza della accelerazione centripeta.

A questi si aggiunge il moto di un proietto o proiettile che è il moto di un corpo lanciato

obliquamente nello spazio con data velocità, in assenza di resistenza dell’aria. Sono

molte le specialità sportive (pallacanestro, calcio, lancio del giavellotto, salto in lungo,

ecc,.) nelle quali, l’atleta o l’attrezzo, seguono il moto di questo tipo.

Si dimostra che la traiettoria descritta dal baricentro del corpo lanciato, trascurando la

resistenza dell’aria, è una parabola di equazione:

Y = X* tgθ - (g * X2) / ( 2* cos2θ* V2)

Fig. 15 Traiettoria del proiettile

La massima distanza orizzontale percorsa dal corpo si definisce gittata.

La gittata, si calcola con la formula seguente:

d = (V02 / g) * sen (2* θ)

dove:

V0 velocità iniziale

g accelerazione gravitazionale pari a 9,8 m/s2

θ angolo di lancio

La massima distanza orizzontale (dmax) si ottiene per un angolo di lancio θ pari a 45°

(in presenza di aria quest’angolo si riduce notevolmente).

Page 33: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

33

d max = V02 / g ( massima gittata teorica)

La massima altezza raggiunta dal corpo si calcola con la seguente formula.

h max = ½ * g * V0y2

avendo indicato con V0y la componente verticale della velocità iniziale:

V0y = V0 * sen θ

Passando dal caso teorico al caso reale, in qualunque tipo di salto la prestazione dipende

sia dalla velocità dello stacco che dall’angolo che il vettore velocità (applicato nel

baricentro del corpo dell’atleta) forma con il piano orizzontale. La parabola teorica,

deformata dall’azione frenante dell’aria, sarà più o meno alta o lunga a seconda della

combinazione di questi parametri.

Nei lanci (peso, giavellotto, martello e disco) la gittata dipende anche dall’altezza di rilascio

dell’attrezzo. Questa a sua volta dipende dalle caratteristiche individuali dell’atleta

(caratteristiche antropometriche, tecnica, ecc.).

Sia nei lanci che nei salti la traiettoria del prodotto del proietto dipenderà sempre dalle sue

caratteristiche aerodinamiche in relazione agli effetti del moto dei filetti fluidi che si

determinano attorno ad esso.

Esercizio a) Supponiamo che un atleta esegua un salto lungo 8,10 metri staccando da terra con una

velocità iniziale di 9,2 m/s.

calcolare la differenza tra il salto reale in presenza della resistenza del’aria e la gittata

teorica.

La massima gittata teorica risulta (per θ = 45°) :

d max = V2 /g = 9,22 / 9,81 = 8,63 m

la differenza 8,63 – 8,10 = 0,53 m = 53 cm, è da mettere in relazione con l’azione frenante

esercitata dall’aria sul corpo dell’atleta (attrito del mezzo).

Page 34: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

34

b) un giocatore di pallacanestro esegue il lancio della palla con un angolo di 45° e la

deposita nel canestro a una distanza di 5 metri ad una altezza di 1,5 metri sopra la quota

di lancio. Calcoliamo la velocità iniziale della palla (fig.16)

Dai dati risulta che per x= 5 m il valore

dell’ordinata y deve essere pari a 1,5 m.

Tenuto conto che per θ = 45° si ha:

tg 45° = 1 e cos2 45° = 0,5

Fig.16 Parabola del pallone

sostituendo nell’equazione della traiettoria i valori si ottiene:

1,5 = 5 – ( 9,8 * 52) / ( 2 * 0,5 * V2)

Risolvendo rispetto all’incognita V si ha:

V =

5,3

245 = 8,36 m/s

Page 35: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

35

L’equilibrio statico e la stabilità

La statica dei corpi studia le condizioni affinché un oggetto inizialmente fermo non si metta

in movimento e mantenga nel tempo la sua posizione (stabilità dell’equilibrio).

È necessario introdurre adesso il concetto fisico di forza, una grandezza di cui è facile

intuire il significato sulla base delle comuni esperienze del nostro vivere quotidiano. Se per

questa ragione il termine forza è molto diffuso nel linguaggio di tutti i giorni, dal punto di

vista fisico occorre riflettere sul fatto che la forza non è una proprietà dei corpi (come la

massa, la temperatura, la resistenza elettrica, ecc.) ma una azione che si esercita tra

corpi. Tale azione può esercitarsi tra corpi posti a contatto (es. forze di attrito, spinte, ecc.).

Le forze possono provocare due diversi tipi di effetti sui corpi sui quali agiscono:

• effetto statico se il corpo viene deformato

• effetto dinamico se il corpo subisce una accelerazione

Gli effetti statici delle forze sui corpi (deformazioni e stati tensionali) dipendono dalle loro

caratteristiche meccaniche.

Gli effetti dinamici delle forze vengono studiati in fisica (dinamica dei corpi). In questa sede

ci limiteremo soltanto allo studio dei principi della dinamica necessari alla comprensione di

alcuni problemi elementari che si riscontrano frequentemente in ambito sportivo.

In relazione alle precedenti osservazioni, dal punto di vista fisico, possiamo definire la

forza come una azione capace di deformare i corpi (effetto statico) o di variarne lo stato di quiete

o di moto (effetto dinamico).

Come già osservato in precedenza, la forza è una grandezza vettoriale. Essa pertanto

deve essere trattata con le regole dell’algebra vettoriale. Nel sistema internazionale di

misura la forza è espressa in Newton. Si definisce Newton la forza capace di imprimere

l’accelerazione unitaria (1 m/s2) ad un corpo di massa unitaria (1kg).

Considerato che nel linguaggio comune la forza sovente espressa in kg (peso),

ricordiamo, per le necessarie conversioni, che un kg corrisponde a 9,8 Newton.

1kg = 9,8 N

Page 36: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

36

Nelle nostre applicazioni, spesso per semplicità, assumeremo che un kgp equivalga a 10

Newton.

Un caso particolarmente importante di forze parallele e discordi è quello in cui le forze

hanno uguale intensità. In questo caso il sistema ammette risultante nulla, però le due

forze non si fanno equilibrio. Se le applichiamo ad un corpo rigido, infatti, osserveremo che

esso si pone in rotazione. Un sistema siffatto prende il nome di coppia di forze. Si

definisce coppia di forze un sistema costituito da due forze parallele, discordi e di uguale

intensità. Si dice braccio della coppia la distanza (d) tra le due rette d’azione delle forze.

Si definisce, momento (M) di una coppia, il vettore perpendicolare al piano della coppia,

avente come modulo il prodotto della forza F per il braccio d:

M = F * d

diretto verso l’alto se la rotazione è antioraria e verso il basso se la rotazione è oraria.

Si definisce momento di una forza rispetto ad un punto un vettore perpendicolare al piano

determinato dalla forza e dal punto, uscente se la rotazione è antioraria, entrante se la

rotazione è oraria ed avente come modulo M = F * d

Fig. 17 Coppia di forze e momento

È evidente che il momento di una forza rispetto ad un punto non cambia se la forza trasla

sulla retta d’azione (in quanto il braccio non cambia), inoltre il momento si annulla solo se

il punto appartiene alla retta d’azione della forza (braccio uguale a zero).

Page 37: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

37

Fig. 18 Momento della forza in posizioni diverse nel curl con manubrio

Nella figura è rappresentato il braccio flesso a 90° che sostiene un peso W (allenamento

dei bicipiti con manubri). Il momento resistente del peso rispetto al punto di rotazione (O) ,

che qui coincide con l’articolazione del gomito, è pari al prodotto della distanza (d) per il

peso W.

M = W * d

Il momento resistente varia con continuità come indicato nel diagramma in figura, in

quanto la distanza d non è costante ma varia da zero fino ad un valore massimo circa pari

alla lunghezza dell’avambraccio. Nella posizione A il momento resistente sarà Ma= W * da,

nella posizione B il momento resistente diventa Mb= W * db, conseguentemente la forza

che il muscolo dovrà sviluppare varia sensibilmente nelle diverse posizioni

dell’avambraccio nonostante il carico esterno (W) rimanga costante.

In realtà anche il braccio della forza muscolare (distanza tra la forza muscolare e il centro

istantaneo di rotazione) varia durante il movimento entro un certo intervallo di valori

possibili. Nelle analisi biomeccaniche complesse, caratterizzate da maggiore precisione di

calcolo, bisogna tenerne conto.

Page 38: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

38

Per studiare le condizioni di equilibrio statico facciamo inizialmente riferimento ad un corpo

rigido (astrazione fisica), cioè un corpo che per ipotesi sia non deformabile ma che può

soltanto muoversi per effetto delle forze applicate.

Le equazioni principali della statica di un corpo rigido sono due:

� equilibrio della traslazione: risultante delle forze uguale a zero

� equilibrio alla rotazione: momento risultante uguale a zero.

In formule:

R = 0

M = 0

Dove per risultante (R) si intende la somma vettoriale di tutte le forze agenti sul corpo e

per momento (M) il momento risultante di tutte le forze calcolate rispetto ad un punto. Si

dimostra che qualsiasi sistema di forze agenti su un corpo rigido è sempre riconducibile ad

una forza risultante e ad una sola coppia.

Quindi la sola condizione risultante di tutte le forze agenti sul corpo sia uguale a zero non

è sufficiente a garantire che il corpo non si muova. Per la condizione di quiete occorre

infatti impedire che il corpo possa mettersi in rotazione. Perciò è necessaria anche la

seconda condizione:

M = 0

L’applicazione di queste equazioni risulta particolarmente utile sia nello studio delle leve

del corpo umano, sia al fine di individuare il complesso di sforzi interni che gravano sulle

ossa e sui muscoli, sia nella progettazione delle macchine utilizzate in palestra nel body

building. In quest’ultimo caso, grazie all’impiego di leve e pulegge (fisse o mobili) si

determinano opportune variazioni di direzione, verso e intensità della forza resistente, con

conseguente differenziazione delle condizioni di carico sui muscoli oggetto

dell’allenamento. L’uso di pulegge eccentriche (a braccio variabile) consente, inoltre di

modulare la forza nel corso del movimento in modo da sollecitare i muscoli con sforzi

variabili secondo precisi criteri biomeccanici.

Page 39: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

39

L’impiego delle macchine, oltre che per una diversa modalità di allenamento, si differenzia

dall’uso (più antico) di pesi liberi (manubri e bilancieri) anche in relazione alle seguenti

valutazioni:

• Bilancieri e manubri: consentono movimenti più naturali in cui sono chiamati a

concorrere anche i muscoli fissatori, sviluppano la coordinazione e rendono

possibili anche esecuzioni esplosive.

• Macchine: consentono un maggior isolamento muscolare disimpegnando i muscoli

sinergici e fissatori e scaricando nel contempo le zone non interessate, comportano

una ridotta velocità esecutiva con movimenti standardizzati e poco naturali.

È nostra convinzione che l’uso alternato di entrambi i sistemi di allenamento (ambedue a

carico artificiale), oltre a rendere il lavoro in palestra più vario, giova ad un potenziamento

muscolare completo e dettagliato.

Page 40: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

40

Macchine semplici

Si definisce macchina semplice qualunque dispositivo nel quale una forza motrice (F)

riesce ad equilibrare una forza resistente (R) antagonista avente caratteristiche di intensità

o di direzione diversa dalla prima.

Macchine semplici

Si definisce vantaggio di una macchina il rapporto tra la forza resistente e la forza motrice:

V = R/F

Si possono verificare tre casi:

a) se V> 1 la macchina si dice vantaggiosa (F< R)

b) se V =1 la macchina si dice indifferente (F=R)

c) se V < 1 la macchina si dice svantaggiosa (F>R)

Nel primo caso, in cui V >1, la forza motrice sarà minore della forza resistente, quindi la

macchina consente un vantaggio meccanico. Infatti con una forza F si riesce ad

equilibrare una forza resistente R maggiore di F.

Nel secondo caso, in cui V =1, la macchina si dice indifferente. La forza F sarà uguale alla

forza resistente R. La macchina , pur non conseguendo alcun vantaggio in termini di

intensità delle forze, riesce ugualmente utile in quanto consente di variare la retta di

azione della forza.

Nel terzo caso, in cui V<1, la macchina è svantaggiosa. Occorre una forza F superiore alla

resistenza per ottenere l’equilibrio.

Conoscendo il vantaggio V di una macchina, la forza motrice F necessaria ad equilibrare

la forza resistente R sarà:

F = R / V

Macchina

(V) F R

Page 41: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

41

Pertanto in una macchina con vantaggio pari a 5, una resistenza di 20 kgp sarà equilibrata

da una forza attiva di 4 kgp.

Tra le macchine semplici, in biomeccanica assumo fondamentale importanza le leve. Esse

costituiscono il complesso delle catene cinematiche su cui si fonda la possibilità di

movimento dell’uomo. Le forze dovute alla contrazione muscolare, infatti, vengono

trasmesse alle diverse parti dei segmenti ossei attraverso un sistema di leve che ne

modifica l’intensità e la direzione.

Le leve del corpo umano risultano il più delle volte particolarmente svantaggiose

(V << molto minore di 1), in quanto i muscoli scheletrici, inserendosi in prossimità

dell’articolazione, hanno un braccio di leva molto corto. Ciò comporta una notevole

amplificazione degli sforzi muscolari rispetto alle resistenze da vincere (peso proprio,

carichi esterni, inerzie, attriti, ecc.) a fronte, però di una maggiore ampiezza e velocità di

movimento: minimi cambiamenti di lunghezza muscolare determinano, infatti, escursioni

significative all’estremità della leva ossea.

In definitiva, il risultato dell’azione muscolare sulle catene articolari si traduce nel

mantenimento di una posizione di equilibrio (compensando tempestivamente le numerose

possibili azioni destabilizzanti), ovvero, nella realizzazione di un movimento che può

caratterizzarsi non soltanto per l’entità della forza dinamica che esprime, ma anche per il

valore estetico o per perfezione stilistica del gesto.

La leva è una macchina semplice costituita da un corpo rigido generalmente

monodimensionale (con una dimensione prevalente sulle altre), capace di ruotare attorno

ad un punto fisso detto fulcro (O), al quale sono applicate le due forze antagoniste F ed R.

Si definisce braccio della potenza o della forza motrice (bF) la distanza esistente tra la

forza motrice (F)e il fulcro (O), analogamente si definisce braccio della resistenza (bR) la

distanza esistente tra la forza resistente (R) e il fulcro (O) ( vedi figura).

Page 42: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

42

Fig. 19 leve di primo, secondo ,terzo genere

Il vantaggio di una leva si calcola eseguendo il rapporto tra il braccio della potenza e il

braccio della resistenza:

V = bF/bR

Anche per le leve distinguiamo tre casi:

a) se bF > bR, allora V>1 la leva sarà vantaggiosa (F<R)

b) se bF < bR, allora V < 1 la leva sarà svantaggiosa (F>R)

c) se bF = bR, allora V = 1 la leva sarà indifferente ( F=R)

qualunque sia il vantaggio di una leva, essa sarà in equilibrio se il momento della forza

resistente sarà uguale al momento della forza motrice. A seconda delle reciproche

posizioni occupate dal fulcro e dalle due forze antagoniste (R e F), le leve vengono

suddivise in tre gruppi:

Page 43: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

43

Leve di primo genere (interfulcrata): se il fulcro è compreso tra la potenza e la resistenza

(es. forbici, tenaglie, ecc.). una leva di primo genere può essere vantaggiosa, indifferente

o svantaggiosa a seconda del rapporto bF/bR.

Fig.20 Leva di primo genere

Leva di secondo genere (interresistente): se la resistenza è compresa tra la potenza e il

fulcro (es. schiaccianoci, remo della barca, ecc). una leva di questo tipo è sempre

vantaggiosa in quanto bF>bR.

Fig.21 Leva di secondo genere

Leve di terzo genere (interpotente): se la potenza è compresa tra il fulcro e la resistenza

(es. pinzette). Una leva di questo tipo è sempre svantaggiosa in quanto bF< bR.

Fig.22 Leva di terzo genere

Esempi:

a) calcolare il vantaggio e la forza attiva F nella leva indicata in figura

bF = 60 cm, bR = 20 cm, R = 12 kg

Il vantaggio risulta:

V = bF/bR = 60/20 = 3 > 1 leva vantaggiosa

AA FF

RR bF = 60 cm bR = 20 cm

Page 44: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

44

La forza F necessaria per vincere la resistenza R = 12 Kg sarà :

F = R/V = 12 /3 = 4 kg

Per equilibrare 20 Kgp occorrono 4 Kgp.

b) calcolare il vantaggio e la forza attiva F nella leva indicata in figura

bF = 50 cm

bR = 10 cm

R = 20 kg

Il vantaggio risulta:

V = bF /bR = 50/10 = 5> 1 leva vantaggiosa

c) calcolare il vantaggio e la forza attiva F nella leva indicata in fig.

bF = 5 cm

bR = 10cm

R = 8 kg

Il vantaggio risulta:

V = bF/bR =5/10 = 0,5 < 1 leva svantaggiosa

La forza F necessaria per vincere la resistenza R = 8 kg sarà:

F = R/V = 8/0,5 = 16 kg

AA

RR F

bF = 50 cm

bR = 10

20 kg

AA RR

F 5 cm 5 cm

Page 45: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

45

Il BARICENTRO o centro di gravità o centro di massa

Nella biomeccanica delle azioni motorie, risultano di rilevante importanza l’ubicazione del

baricentro del corpo umano (punto di applicazione della forza peso) e i metodi (analitici o

sperimentali) per la sua determinazione. La posizione eretta risulta mediamente

individuabile in corrispondenza della seconda/terza vertebra lombare, varia sensibilmente

a seconda della disposizione geometrica dei segmenti corporei e dipende, in generale, da

alcuni fattori come l’età il sesso, l’attività sportiva praticata, la costituzione individuale.

Fig. 20

Se immaginiamo un corpo costituito dall’insieme di tante piccole particelle elementari

(atomi o molecole) ciascuna avente il proprio peso, possiamo definire il peso del corpo

come la risultante di tutte queste forze parallele applicate, alle singole particelle e il

baricentro come il punto di applicazione di detta risultante. Quindi il baricentro di un corpo

rappresenta il punto di applicazione della sua forza peso. Per alcuni corpi omogenei aventi

forma regolare, il baricentro coincide con il centro geometrico (es. corpo sferico,

parallelepipedo, ecc.), per altre figure più complesse è possibile individuarne la posizione

mediante la risoluzione di appropriate equazioni matematiche.

Il baricentro di una persona in posizione diversa da quella eretta può anche trovarsi fuori

dal corpo. Basti ricordare che il baricentro di una ciambella ricade nel suo centro

geometrico che è esterno al corpo stesso. La ricerca del baricentro di un corpo può essere

condotta sperimentalmente ovvero analiticamente, come nei casi che esamineremo in

seguito.

Page 46: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

46

F G

P O d h

Equilibrio dei corpi appoggiati

Un corpo rigido appoggiato su un piano orizzontale, soggetto soltanto al proprio peso, si

mantiene in equilibrio fin tanto che la verticale condotta per il suo baricentro ricade

all’interno della superficie di appoggio. In questo caso il tipo di vincolo (appoggio),

garantisce l’equilibrio alla traslazione ma non necessariamente l’equilibrio per le rotazioni.

Fig.21

Fig.22

Fig.23

La condizione di equilibrio per un corpo appoggiato può essere turbata dalla azione di una

forza orizzontale applicata ad una certa altezza.

Con riferimento alla fig 24 indichiamo con:

• P il peso del corpo (applicato sul baricentro G)

• O il punto di possibile rotazione

• F un’azione orizzontale destabilizzante applicata al

baricentro

• h l’altezza del baricentro

• d la distanza tra il peso e il punto O Fig.24

Page 47: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

47

Il peso del corpo esercita una azione stabilizzante nei confronti dell’equilibrio data dal

momento:

Ms = P * d (momento stabilizzante)

La forza esercita una azione destabilizzante il cui il momento vale:

Md = F * h (momento destabilizzante)

Ci sarà equilibrio alla rotazione se il momento stabilizzante è superiore ( al limite uguale)

al momento destabilizzante.

Fig 25 fig 26

Si definisce grado di stabilità al ribaltamento il rapporto tra i due momenti:

g.s. = Ms / Md

la condizione di equilibrio alla rotazione sarà espressa dalla disuguaglianza:

Ms / Md > 1 (al limite uguale)

Tanto più il grado di stabilità supera l’unità tanto maggiore sarà la stabilità dell’equilibrio al

ribaltamento del corpo.

La ricerca del baricentro nel caso di sistema costituito da due masse risulta di grande

semplicità. Considerando due masse M1 e M2 ad una certa distanza d.

Con riferimento al disegno indichiamo:

• d1 la distanza tra il baricentro e la massa M1

• d2 la distanza tra il baricentro e la massa M2

• d la distanza tra le masse (d= d1+ d2)

• G il baricentro del sistema (posizione incognita).

Page 48: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

48

Fig. 27

Equazioni che consentono di individuare la posizione del baricentro, per un sistema

costituito da due masse, sono:

d1 = [M2/ (M1 + M2)] * d

d2 = [M1/ (M1 + M2)] * d

è facile verificare che per due masse uguali il baricentro si pone ad ugual distanza trai i

corpi, se invece le due masse sono diverse il baricentro si sposta verso la massa

maggiore.

Applichiamo le formule appena viste al caso di un

pesista che al termine dell’esercizio di slancio, ha

portato il bilanciere nella posizione di massima

altezza

Fig. 28

Indichiamo con:

Ma la massa dell’atleta (kg 80)

Mb la massa del bilanciere (kg 120)

d la distanza tra i due baricentri parziali (1m)

applicando le formule risolutive troviamo:

da = [Ma/ (Ma + Mb)]* d = [120/(80+120)] * 1 = 0,6 m

db = [Mb/ (Ma + Mb)]* d = [80/(80+120)] * 1 = 0,4 m

M1 M2 G

d1 d2

Page 49: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

49

quindi il baricentro complessivo del sistema si trova 60 cm più in alto del baricentro

dell’atleta. Naturalmente è facile verificare che viene soddisfatta l’uguaglianza da + db = d

L’innalzamento del baricentro non giova alla stabilità dell’equilibrio in quanto riduce il

grado di sicurezza al ribaltamento.

Nel caso di un sistema costituito da tre masse (a,b,c), con riferimento agli assi cartesiani

XY, le formule per l’individuazione delle coordinate del baricentro del sistema sono le

seguenti:

Xg = ( Ma* Xa + Mb * Xb + Mc* Xc ) / ( Ma + Mb + Mc)

Yg = ( Ma* Ya + Mb * Yb + Mc* Yc ) / ( Ma + Mb + Mc)

Calcoliamo la posizione del baricentro per un sistema di tre masse costituito dall’arto

superiore flesso a 90°.

Baricentro dell’arto superiore

Con riferimento alla figura si hanno:

Mm massa della mano ( 0,4 kg)

Ma massa avambraccio (1,2 kg)

Mb massa del braccio (2 kg)

Page 50: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

50

Applicando le formule di cui sopra otteniamo:

per l’ascissa: Xg = ( Ma* Xa + Ma * Xa * Mm* Xm ) / ( Ma + Mb + Mm)

sostituendo: Xg = ( 2 * 11 + 1,2 * 24 + 0,4* 24) / ( 2 + 1,2 + 0,4) = 60,4/ 3,6 = 16,8 cm

per l’ordinata: Yg = ( Ma* Ya + Mb * Yb + Mc* Yc ) / ( Ma + Mb + Mc)

sostituendo: Yg = ( 2 * 0 + 1,2 * 12 + 0,4* 30 ) / ( 2 + 1,2 + 0,4)= 26,4/ 3,6 =n7,3 cm

Quindi le coordinate del baricentro complessivo del sistema sono:

Xg = 16,8 cm

Yg = 7,3 cm

Utilizzando le suddette formule (estese ad n masse), la ricerca de baricentro di qualunque

sistema può agevolmente essere effettuata note che siano le masse parziali e i relativi

baricentri.

Page 51: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

51

LE CARRUCOLE E LE MACCHINE PER LA CULTURA FISICA

La carrucola fissa è costituita da una ruota rigida fissata ad un sostegno centrale

mediante una staffa e dotata di una scanalatura nella quale viene fatta passare una fune.

Ad un capo della fune viene applicata la resistenza (R) dall’altro capo la forza attiva (F). la

carrucola fissa può essere considerata come una leva di primo genere a bracci uguali,

pertanto essendo il vantaggio pari a 1, risulta F = R. si tratta quindi di una macchina

indifferente ma è molto utile nella pratica perché cambia la direzione e il verso della forza

rispetto alla resistenza R.

Fig. 29 Carrucola fissa, carrucola mobile, carrucola a raggio variabile.

Nella carrucola mobile un capo della fune è fisso mentre sull’altro è applicata la forza

attiva F. alla staffa viene applicata la resistenza R. si tratta di una leva di 2° genere avente

il braccio della potenza coincidente con il diametro della ruota ed il braccio della resistenza

pari al raggio.

Page 52: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

52

Pertanto:

Bf = 2 bR

Da cui discende:

V = bF/ bR = 2 bR / bR = 2

Quindi la carrucola mobile è una macchina vantaggiosa con vantaggio pari a due.

Ne consegue la relazione:

F = R /2

Quindi per vincere una resistenza R occorre una forza pari alla metà di R.

Un’altra macchina semplice che trova largo impiego nelle macchine per la cultura fisica è

la carrucola a raggio variabile detta camme. La ruota ha una curvatura variabile

secondo un profilo studiato in modo tale da adattare il carico in maniera fisiologica alla

forza di contrazione muscolare. Ciò permette di aumentare l’efficacia dell’allenamento, di

ridurre gli eccessi di tensione a carico delle strutture tendinee e di rendere l’esecuzione più

confortevole.

Fig. 30

Page 53: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

53

Esempi:

Fig. 31

a) allenamento dei tricipiti alla poliercolina. La macchina schematizzata in figura è

composta da 4 carrucole fisse (A, B, C, D) ed una carrucola mobile (E) nella quale viene

applicato il peso P.

Fig. 32

Le quattro carrucole fisse, essendo macchine indifferenti, non alterano l’intensità della

forza trasmessa ma ma ne derivano soltanto la direzione. L’inserimento della carrucola

mobile E ( vantaggio pari a 2), comporta una riduzione del 50% della forza motrice rispetto

la forza resistente. Pertanto la forza S che si trasmette sulle braccia, sarà pari alla metà

del peso applicato sulla macchina, e di verso opposto:

S = P/2

Page 54: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

54

b) allenamento dei dorsali, variante rematore.

La macchina schematizzata nella figura consente di allenare i dorsali con un movimento

simile al rematore.

Fig. 33

Le carrucole (A, B, D) sono fisse, la carrucola C è mobile. La forza resistente P, in questa

configurazione, non è applicata nel fulcro della carrucola mobile C, bensì lungo la fune che

la avvolge. Pertanto il vantaggio della macchina risulta invertito e sarà pari a ½ . se il

carico applicato è pari a P, la macchina trasmetterà sulle braccia una forza pari al doppio

del peso, avente direzione orizzontale.

S = 2 * P

Page 55: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

55

MOMENTI D’INERZIA

Si definisce momento d’inerzia di una massa m rispetto un asse X la quantità (scalare):

J = m * R2 ( kgm2)

Dove R è la distanza tra la massa e l’asse di riferimento x.

La tabella che segue fornisce i valori dei momenti d’inerzia di alcuni solidi geometrici

elementari rispetto al loro asse baricentro del corpo umano, in posizione eretta, rispetto

l’asse baricentro longitudinale:

Solido Momento d’inerzia

Cilindro pieno di raggio r rispetto a un asse

longitudinale

J = ½ * M * r2

Asta sottile di lunghezza L rispetto a una

retta perpendicolare passante per il centro

J = 1/12 * M * L2

Sfera piena di raggio r rispetto a un

diametro qualunque

J = 2/5 * M * r2

Soggetto in posizione eretta rispetto

all’asse longitudinale

J = 1,0 / 1,3

Tabella 4

L’importante teorema di Huygens-Steiner (teorema del trasporto) mette in relazione il

momento d’inerzia di un corpo rispetto a un asse baricentrico x, con il momento d’inerzia

dello stesso corpo rispetto a qualunque altro asse x? Parallelo al primo:

J = JG + M * d2

dove

JG = momento d’inerzia baricentro avente direzione x

J = momento d’inerzia rispetto a un asse x’ parallelo ad x

M = massa del corpo

d = distanza tra i due assi x – x’

Page 56: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

56

dal teorema di Huygens-Steiner deduciamo che per qualunque corpo il momento d’inerzia

rispetto ad un asse x baricentrico assume il minimo valore rispetto a tutti gli infiniti assi

paralleli ad x.

Fig. 34

Page 57: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

57

L’EQUILIBRIO DEI CORPI IMMERSI

Altresì interessante risulta in biomeccanica la determinazione delle condizioni di equilibrio

dei corpi immersi (sport acquatici) soggetti alla spinta di Archimede esercitata dal liquido e

l’analisi del regime della pressione idrostatica alle differenti profondità. Archimede ha

legato il suo nome all’importante principio idrostatico che stabilisce le condizioni di

galleggiamento di qualunque corpo immerso:

Principio di Archimede: “ Qualunque corpo immerso in un fluido ( liquido o gas) riceve una

spinta (S) verticale, diretta dal basso verso l’alto, pari al peso del fluido spostato”.

I corpi in acqua, quindi, non pesano meno, ma vengono sostenuti dal liquido con una forza

diretta verso l’alto. La spinta di Archimede, nell’acqua, si ottiene moltiplicando il peso

specifico dell’acqua (Ps) per il volume (V) del corpo immerso:

S = Ps * V

Per l’acqua assumiamo Ps = 10000 N/m2

Si possono ottenere tre casi:

a) P< S condizione di galleggiamento (es. navi)

b) P=S equilibrio (es. sottomarino stabile ad un certa profondità)

c) P>S il corpo affonda (es. moneta nell’acqua)

Fig. 35

Page 58: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

58

Quando una forza si distribuisce sopra una superficie è molto utile ricorrere al concetto di pressione.

Si definisce pressione il rapporto tra la forza che agisce perpendicolarmente alla superficie stessa.

La formula della pressione è:

P = F/S (N/m2)

La pressione atmosferica dovuta al peso della colonna che sovrasta il pianeta mediamente vale 1 kg/

cm2, pari a circa 100000 N/m2.

La pressione idrostatica (P) che si determina ad una certa profondità (h) sotto il livello dell’acqua

cresce proporzionalmente con la profondità secondo l’equazione

P = Ps * h

Dove Ps indica il peso specifico dell’acqua pari a circa 10000 N/m3.

È utile ricordare che nell’acqua marina, ogni dieci metri di profondità la pressione idrostatica cresce

di una atmosfera.

Come è noto un sommergibile può navigare a profondità costante, inoltre può scendere o risalire a

seconda della quantità di acqua immagazzinata al suo interno in appositi cassoni a tenuta stagna. I

sottomarini scendono in immersione imbarcando acqua fino ad ottenere che il proprio peso superi in

intensità la spinta di Archimede (che invece non può variare in quanto il volume rimane costante).

Per riemergere, viene espulsa l’acqua attraverso un sistema ad aria compressa, fino a quando il peso

del sottomarino diventa inferiore alla spinta di Archimede che è pari al peso dell’acqua spostata

dalla parte immersa dello scafo (volume immerso).

Il corpo umano galleggia naturalmente ma presenta, in posizione verticale, una linea di

galleggiamento posta superiormente all’altezza del naso e la cui esatta posizione dipende dalle

caratteristiche antropometriche individuali. Attraverso diversi stili di nuoto (libero, dorso, rana e

farfalla), coordinando opportunamente i movimenti, si portano il naso e la bocca oltre il livello

dell’acqua per permettere la respirazione. Mentre la spinta di Archimede provvede ad equilibrare il

peso del nuotatore, l’azione propulsiva necessaria a vincere la resistenza all’avanzamento

dell’acqua è sviluppata dall’azione degli arti e dipende dalla frequenza dei movimenti.

Page 59: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

59

Problema campione

a) calcoliamo quale è la forza complessiva che si esercita sulla superficie globale di un sub,

supposta pari a 1,6 m2, posto in posizione orizzontale alla profondità di 10 metri sotto il livello del

mare .

la pressione alla profondità di 10 metri vale:

P = Ps * h = 10000 N/m3 * 10 m = 100000 N/m2.

Dalla formula P = F/S ricaviamo

F= P* S = 100000 N/m2 * 1,6 m2 = 160000 N = 16000 kg.

La forza complessiva che agisce sulla superficie del sub è pari a circa 16 tonnellate. È un numero

impressionante ma in realtà si tratta di una forza distribuita che agisce su ogni punto della superficie

con direzioni variabile. Essa determina soltanto un effetto statico di compressione sul corpo ma

nessun effetto dinamico.

b) calcoliamo qual è il massimo numero di persone che può sopportare una zattera circolare di due

metri di diametro, alta 70 cm.

Il volume (V) della zattera si calcola moltiplicando la superficie di base (Π∗ R2) per l’altezza (h):

V = Π∗ R2 * h = 3,14 * 1 * 0,7 = 2,2 m3

La massima spinta di Archimede sarà:

S = Ps * V = 10000 N/ m3 * 2,2 m3 = 22000 N = 2200 Kg.

Se il peso medio di una persona è pari a 70 kg, trascurando il peso della zattera,

otteniamo:

n = 2200 / 70 = 31,4 numero di persone

quindi la zattera potrà reggere al limite 31 persone.

c) calcolare le dimensioni che deve avere un paio di sci affinchè la pressione sulla neve

esercitata dallo sciatore pesante 75 kg, non superi il valore di 0,03 kg/cm2.

Page 60: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

60

Dalla formula della pressione ricaviamo:

S= F/P = 75/0,03 = 2500 cm2 (trascurando il peso proprio degli sci)

Questa superficie si può ottenere con due sci aventi una lunghezza di 2 m e larghezza

6,25 cm, infatti:

S = 2* 6,25* 200= 2500 cm2

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61

LE FORZE DI ATTRITO

Sono forze che si oppongono al movimento dei corpi sottraendo ad essi energia

meccanica convertendola in calore (energia termica, la forma più degradata dell’energia)

Se non ci fossero gli attriti l’energia meccanica si conserverebbe.

Distinguiamo tre tipi di forze resistenti:

a) attrito radente (o di scivolamento) Fa,r = Ka *N

b) attrito volvente (o di rotolamento) Fa,v = Kv* N/R

c) attrito del mezzo (liquido o gas) Fa,m = ½ ρ CSV2 ( regime turbolento)

dove

N è la forza premente

R è il raggio della ruota

ρ è la densità del mezzo

C indica il coefficiente di forma (dedotto sperimentalmente)

S indica la superficie trasversale (sezione maestra).

L’attrito radente si oppone al movimento relativo di due corpi che scivolano uno sull’altro.

La forza di attrito radente è direttamente proporzionale alla forza premente e dipende dalla

natura dei corpi a contatto. Non dipende, invece, dall’estensione della superficie di

contatto.

Fa,r = Ka *N

Al momento del distacco il coefficiente di attrito radente è pari a circa 2-3 volte il valore

che assume durante il moto. Ciò significa che la forza massima di attrito quando il corpo è

fermo è minore della forza di attrito durante il movimento.

Page 62: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

62

La tabella seguente fornisce alcuni valori del coefficiente di attrito radente con la

distinzione tra il caso statico Ks e il caso dinamico Kd:

materiali Ks Kd

Gomma - asfalto 0,7 – 0,8 0,5 – 0,7

Gomma - ghiaccio 0,2 0,1

Legno- ghiaccio 0,3 0,15

Legno - neve 0,05 0,03

Acciaio - ghiaccio 0,03 0,015

L’attrito può essere ridotto lubrificando le superfici a contatto ovvero dotando il corpo di

ruote. L’attrito volvente risulta infatti molto minore di quello radente. È per questa ragione

che usiamo veicoli muniti di ruote piuttosto che farli strisciare sulla strada.

Problema campione

Calcoliamo il valore della forza di attrito radente che rallenta il moto del disco in gomma in

una partita di hockey su ghiaccio assunto che la massa del disco è pari a 0,17 kg.

Il peso del disco è

P = m*g = 0,17 * 9,81 = 1,67 N

Dalla tabella ricaviamo il valore di K:

K = 0,1 gomma su ghiaccio

La forza di attrito sarà:

Fa = K * P = 0,1 * 1,67 = 0,167 N

Qualunque gesto sportivo avviene in aria o in acqua, perciò nella dinamica del movimento

è spesso necessario considerare la resistenza del mezzo. Nel lancio di attrezzi, l’attrito

Page 63: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

63

dell’aria e degli effetti collegati (effetto Magnus) possono apportare sensibili cariazioni di

traiettoria. Talvolta questi effetti vengono vantaggiosamente sfruttati dagli atleti con

tecniche idonee ( calcio, tennis, pallavolo, ecc).

Fa,m = ½ ρρρρ CSV2

la resistenza del mezzo dipende dalla sua densità, dalla forma del corpo, dalla sua

superficie maestra, ed è generalmente proporzionale al quadrato della velocità. Pertanto,

per velocità di penetrazione modestre, la resistenza dell’aria ha una influenza trascurabile

sul corpo in movimento, quando invece le velocità sono elevate (ciclismo, sci, pattinaggio,

ecc) occorre tenerle debitamente in conto. Negli sport acquatici, per la grande densità

dell’acqua rispetto all’aria, la resistenza del mezzo assume un ruolo di primo piano.

Frequentemente le forze di attrito sono indesiderate perché si oppongono al movimento

con perdita di energia meccanica e sviluppo di calore, ma in tante situazioni le forze di

attrito risultano essenziali, come nella locomozione, per esempio, dove l’attrito con il suolo

risulta indispensabile ai fini della deambulazione.

Abbiamo già visto che tutti gli oggetti, trascurando la resistenza dell’aria, cadono a terra

con una accelerazione (g) uguale a 9,81 m/s2. in pratica, frequentemente, la resistenza

dell’aria può avere un effetto non più trascurabile, basti pensare ai diversi moti di caduta di

una piuma e di un sasso. Il problema dell’attrito con il mezzo è piuttosto complesso, le

osservazioni sperimentali dimostrano che lasciando cadere corpi pesanti da altezze

notevoli la velocità non cresce indefinitamente (secondo l’equazione v =g *t, valida nel

vuoto) ma raggiunge dopo un certo intervallo di tempo, una velocità massima detta

velocità limite che dipende dalle caratteristiche del fluido e del corpo. Ciò è espresso nel

grafico

Page 64: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

64

Fig. 36

La velocità limite si ottiene allorquando la resistenza aerodinamica (R) uguaglia il peso del

corpo (P). in queste condizioni, infatti, R = P, si realizza pertanto la condizione di equilibrio

dinamico indicata dal primo principio della dinamica. La risultante delle forze esterne è

uguale a zero e il corpo procede di moto rettilineo uniforme.

Nel caso del corpo umano, la velocità limite viene raggiunta dopo pochi istanti (8-10 sec) e

si attesta intorno ai valori che vanno dai 190 km/h ai 250 km/s. il paracadute, offrendo con

la sua particolare forma una grande resistenza all’avanzamento, riduce notevolmente la

velocità di caduta fino a valori dell’ordine dei 20 -26 km/h.

Page 65: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

65

ESERCIZI PER IL POTENZIAMENTO MUSCOLARE

Piegamenti sulle braccia

Analizziamo un esercizio a corpo libero noto a tutti, sportivi e non, utilizzato per il

potenziamento di una parte della muscolatura del cingolo scapolare, in particolare dei

muscoli pettorali: i piegamenti sulle braccia. L’esercizio sfrutta come resistenza il peso del

corpo. Ci proponiamo di determinare come si distribuisce l’intero peso tra le braccia e i

piedi a contatto con il suolo.

Osserviamo le forze esterne agenti sul corpo dell’atleta e le rispettive linee d’azione:

• W proprio peso (70 kg)

• Rb forza sulle braccia(incognita)

• Ra reazione vincolare sui piedi (incognita)

Ipotizziamo che il movimento avvenga mediante una rotazione rigida di tutto il corpo

attorno ad un punto di rotazione, individuato nella zona di contatto fra la punta dei

piedi e la terra.

Fig. 37

Scopo dell’esercizio è trovare l’aliquota del peso dell’atleta che si scarica sulle due

braccia.

Page 66: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

66

È sufficiente scrivere l’equazione di equilibrio alla rotazione intorno al punto O (cerniera):

W* 100 – Rb * 160 = 0

da cui:

W * 100 = Rb * 160

(la reazione vincolare Ra non compare nell’equazione perché non produce alcun momento

dato che passa per il centro di rotazione)

da cui ricaviamo la forza incognita:

Rb = W * 100 / 160 = W * 0,63

Quindi circa il 62% del peso dell’atleta si scarica sulle braccia.

Se il peso dell’atleta è di 70 kg la forza sulle braccia risulta:

Rb = 70 * 0,63 = 43,4 kg

La restante parte Rp = W – Rb costituisce l’aliquota del peso che si scarica sul pavimento

attraverso i piedi.

Con le dovute differenze, l’esercizio equivale alla distensione su panca con bilanciere da

43 kg. La rimanente parte del peso corporeo (27 kg) grava sui piedi che fungono da

cerniera.

L’analisi teorica e i tracciati elettromiografici mostrano l’importanza della giusta distanza

tra le mani. Avvicinandole, una parte dello sforzo si trasferisce dai pettorali ai tricipiti, e

questo implica maggiore impegno muscolare per l’atleta. Data l’impossibilità di modificare

il peso corporeo, questo semplice accorgimento consente, di modulare il carico sui

muscoli interessati.

Page 67: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

67

L’allenamento dei bicipiti

La flessione dell’avambraccio si ottiene attraverso l’azione combinata di tre muscoli

principali: bicipite, brachiale e brachio-radiale (o lungo supinatore). I primi due si

inseriscono vicino all’articolazione (picco braccio di leva), braccio-radiale a notevole

distanza (grande braccio di leva).

Nel movimento di flessione del gomito la reale distribuzione delle forze tra i tre muscoli

agonisti dipende sia dall’angolo di flessione che dalla dinamica del movimento. Sia gli

studi teorici che i tracciati EMG dimostrano che quando il gomito è flesso a 90° il muscolo

maggiormente attivo è il bicipite che unisce l’omero con il radio. Il gomito da un punto di

vista biomeccanico è formato dall’accoppiamento delle articolazioni radio-ulnare e radio-

omerale che garantisce il movimento di prono supinazione a qualunque angolo di

flessione.

Approssimando l’articolazione del gomito ad una cerniera cilindrica in cui convergono

l’omero da una parte e le ossa dell’avambraccio(radio e ulna posti parallelamente e tra

loro articolati) dall’altra, analizziamo la condizione di equilibrio statico nell’allenamento dei

bicipiti con manubrio.

Figura: un peso W pari a 6 kg è sostenuto dall’avambraccio posto in posizione orizzontale.

L’angolo fra l’omero e l’avambraccio è per semplicità di 90°. Il peso dell’avambraccio Wb

sia di 2 kg applicato nel suo baricentro posto ad una distanza di 14 cm dalla cerniera

costituita dall’articolazione del gomito. Nel disegno sono indicate l’azione del muscolo

bicipite (Fb) applicata alla distanza di 5 cm dalla cerniera e la reazione articolare (Ra)

dell’omero sull’avambraccio. Per lo studio dell’equilibrio occorre concentrare l’attenzione

su tutte le forze che agiscono su di esso che per maggiore chiarezza riepiloghiamo:

W: peso del manubrio 6kg

Wb: peso dell’avambraccio 2 Kg

Fb: forza esercitata dal bicipite nel punto di inserzione (incognita)

Ra: reazione articolare esercitata dall’omero sull’avambraccio (incognita)

Page 68: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

68

Fig. 38

Scriviamo l’equazione di equilibrio alla rotazione attorno alla cerniera:

W * 38 + Wb* 14 = Fb*5

N. B. Nell’equazione non compare Ra in quanto la forza passa per la cerniera e quindi non

produce momento.

Dall’equazione ricaviamo l’incognita Fb:

Fb = (W * 38 + Wb * 14) / 5

Sostituendo si ha:

Fb = (6* 38 + 2 * 14)/ 5 = ( 228 + 28) /5 = 256 / 5 = 51,2 kg

Per calcolare l’intensità della reazione articolare Ra è sufficiente scrivere l’equazione di

equilibrio alla traslazione verticale:

Ra + Wb + W = Fb

Da cui ricaviamo Ra = Fb – Wb –W

Page 69: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

69

Sostituendo i valori ai simboli si ha:

Ra = 51,2 – 2 – 6 -= 43,2 kg

Riepilogando si ha

Fb = 51,2 kg

Ra = 43,2 kg

Si noti che essendo una leva particolarmente svantaggiosa, una forza di 6 kg sostenuta

dalla mano, tenuto conto del peso proprio dell’arto, determina sul bicipite, muscolo oggetto

dell’allenamento, una forza di oltre 50 kg, quasi 9 volte superiore a quella del manubrio.

La forza che si trasferisce sull’omero è pari a 43,2 kg, per il principio di azione e reazione

essa risulta orientata verso l’alto producendo sull’osso uno sforzo di compressione.

Ciò vale in condizioni statiche (esercizio isometrico) quindi in assenza delle forze

dinamiche che intervengono durante il movimento, determinando, come vedremo in

seguito una distribuzione delle forze.

L’allenamento dei deltoidi

L’insieme dell’articolazione della spalla, del gomito e del polso costituisce, con i rispettivi

segmenti ossei, una catena cinematica aperta dotata di grande mobilità. Grazie all’azione

sinergica di più muscoli motori, l’arto superiore è capace di notevoli prestazioni in termini

di velocità, forza e precisione di movimento. Per i nostri fini occorre considerare il sistema

costituito da braccio, avambraccio e mano come un unico segmento rigido incernierato

nell’articolazione della spalla. Tale articolazione, invero assai complessa, risulta costituita

tra il cingolo scapolare ( formato dall’unione mobile della clavicola con la scapola) e

l’articolazione scapolo-omerale. I due gruppi sono indipendenti e costituiscono un sistema

staticamente indeterminato, ma per semplicità possono essere considerati come un’unica

unità funzionale. I muscoli deltoidi circondano la spalla e ne definiscono sia il profilo che

l’ampiezza, e forse perché le spalle grandi in un uomo sono sempre state considerate

sinonimo di forza fisica, i culturisti curano con grande attenzione lo sviluppo muscolare dei

tre fasci, laterale, anteriore e posteriore che costituiscono il deltoide. L’articolazione della

Page 70: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

70

spalla consente la circonduzione del braccio, movimento complesso che avviene mediante

rotazioni sui tre assi dello spazio, cui i deltoidi partecipano attivamente.

Nelle aperture laterali con manubri, la cinematica del moto interessa in particolare il piano

frontale. Il movimento di abduzione (allontanamento laterale del braccio dal corpo

dell’atleta) comporta una contrazione concentrica a carico del deltoide mentre il

contrapposto movimento di adduzione (avvicinamento laterale del braccio al corpo)

determina sullo stesso muscolo una contrazione eccentrica grazie alla quale si

ammortizza il moto verso il basso dell’attrezzo. La massima escursione laterale del braccio

conduce lo stesso in posizione orizzontale, ogni ulteriore sollevamento dell’attrezzo

produce un inutile stato di stress a carico della colonna vertebrale. Nell’esercizio

considerato partecipa attivamente anche il muscolo sovra spinoso (agonista) mentre il

trapezio agisce soprattutto da fissatore nei confronti della spalla.

Analizziamo lo schema statico dell’esercizio comunemente utilizzato per l’allenamento del

deltoide rappresentato in figura 39, nella quale è indicato il braccio che sostiene il

manubrio in posizione orizzontale. Questa è la condizione di massimo sforzo per il

deltoide in quanto il braccio di leva del peso assume il massimo valore corrispondente alla

lunghezza dell’arto.

Fig.39 allenamento del deltoide

Lo schema statico relativo è disegnato in figura 33 dove sono indicate tutte le forze che

agiscono sull’arto con le relative distanze dalla cerniera, che qui è rappresentata dalla

articolazione della spalla(O):

W peso del manubrio (8 kg)

Wb peso del braccio (3 kg)

Fd forza esercitata dal deltoide (incognita)

Ra reazione articolare (incognita)

Page 71: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

71

Fig.40 Allenamento dei deltoidi, schema statico

Applichiamo l’equazione di equilibrio alla rotazione attorno alla cerniera in condizioni

statiche:

W * 62 + Wb * 28 = Fd * 3,5

Risolvendo rispetto Fd si ottiene:

Fd = ( W* 62+ Wb * 28) / 3,5

Sostituendo i valori ai simboli si ha:

Fd = ( 8* 62+ 3 * 28) / 3,5 = ( 496 + 84) / 3,5 = 165,7 kg

Notiamo come l’applicazione di un peso W ad un grande distanza dal fulcro della leva (62

cm) produca, insieme al peso proprio del braccio, una notevole amplificazione dello sforzo

a carico del muscolo deltoide, che viceversa ha un braccio di leva di pochi cm.

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72

Flessione del rachide

La colonna vertebrale è composta da 24 segmenti ossei (vertebre) articolate tra loro

mediante cuscinetti fibrosi (dischi intervertebrali) che, oltre a conferire al rachide una

notevole mobilità, assolvono alla importante funzione di ammortizzare le forze che

attraversano la colonna. Si tratta di una struttura unica nel suo genere nel corpo umano

che, oltre a rappresentare un organo di sostegno per gli organi endotoracici e per il cingolo

scapolo-omerale, esercita una azione protettiva nei confronti delle delicatissime strutture

nervose contenute nella colonna (midollo spinale)

Dal punto di vista biomeccanico, il rachide è una struttura particolarmente complessa e

pertanto è necessario formulare alcune ipotesi esemplificative.

Una situazione di grande interesse, non solo in ambito sportivo ma anche in tutte quelle

innumerevoli situazioni in cui un soggetto si trova impegnato nel sollevare un peso da

terra, è oggetto dello studio seguente.

Ipotiziamo che una persona di 70 kg sollevi un peso da 20 kg mantenendo le gambe

distese e piegando il tronco in avanti con un angolo di 40 gradi nel piano sagittale come

rappresentato in figura 42.

Trascurando per semplicità la curvatura della colonna e immaginandola perfettamente

dritta, rigida e incernierata in corrispondenza dell’articolazione dell’anca, assumiamo come

riferimento spaziale un sistema di assi ortogonali di

cui l’asse delle X sia coincidente con la direzione

della colonna vertebrale. In relazione allo schema

statico di figura 42, le forze esterne agenti sul rachide

sono:

W peso da sollevare (20 kg)

Wt peso del tronco (35 kg)

Ra reazione articolare (incognita) inclinata di un

angolo α (incognito) rispetto all’asse della colonna

(asse delle X)

Fm azione esercitata dai muscoli paravertebrali

(incognita) supposta inclinata di 8° rispetto l’asse

X con braccio pari a 6 cm.

Fig. 42

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73

Dove si è supposto che il peso del tronco corrisponda al 50% del peso dell’intero corpo

(fig. 43)

Fig 43

Al fine di calcolare l’azione muscolare Fm a carico dei muscoli paravertebrali scriviamo

l’equazione di equilibrio dei momenti intorno alla cerniera:

W * 30 + Wt* 22 = Fm * 6

Da cui ricaviamo:

Fm = ( W + 30 + Wt * 22) / 6

Sostituendo i numeri:

Fm = ( 20 * 30 + 35 *22) / 6 = (600 + 770) / 6 = 1430 / 6 = 228 kg

Per calcolare la componente Ra,x della reazione articolare scriviamo l’equazione di

equilibrio alla traslazione secondo l’asse X:

W * cos 50° + Wt * cos 50° * Fm * cos 10° = Ra,x

Sostituendo i numeri:

Page 74: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

74

Ra,x,= 20 * 0,64 + 53 * 0,64 + 228 * 0,98 = 12,8 * 22,4 * 223,4 = 259 kg

Analogamente per calcolare la componente Ra,y scriviamo l’equazione di equilibrio alla

traslazione secondo l’asse Y:

Ra,y + Fm * sen 10° = W * sen 50° + Wt sen 50°

Da cui, isolando Ra,y otteniamo:

Ra,y = W * sen 50° + Wt * sen 50° - Fm * sen 10°

Sostituendo i numeri:

Ra,y = 20 * 0,77 +35 * 0,77 - 228 * 0,17 = 15,4 * 26,95 – 38,8 = 3,6 kg

Possiamo senz’altro ritenere trascurabile l’azione tagliente (Ra,y = 3,6 kg) concludendo,

quindi che la reazione vincolare Ra risulta di direzione pressochè coincidente con l’asse

della colonna e di notevole intensità ( 2,6 quintali).

Considerazioni:

1. data l’inclinazione della forza muscolare Fm ( qui supposta pari a 10°) soltanto una

piccola aliquota della stessa concorre al movimento di rotazione, la maggior parte

della forza determina un’azione di compressione sui corpi e sui dischi invertebrali;

2. il sollevamento di pesi anche modesti, se eseguito in modo scorretto, può produrre

una notevole e dannosa compressione dei dischi del distretto lombare con

deformazioni permanenti, che costituiscono spesso la causa delle patologie di

origine meccanica (anche gravi), a carico del rachide;

3. risulta di fondamentale importanza, per la salute dell’atleta, la padronanza delle

corrette tecniche di esecuzione di determinati esercizi per il potenziamento

muscolare che comportano azioni di carico gravose per la colonna vertebrale (es.

squat, stacchi da terra,ecc.):

4. meritevole di attenzione da parte di tutti, per le considerazioni sopra esposte,

dovrebbe essere l’acquisizione dello schema motorio del sollevare insegnata nei

corsi di sollevamento pesi;

Page 75: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

75

5. le ipotesi esemplificative poste alla base del calcolo risultano, nel caso in esame,

assai riduttive e schematiche ma giovano alla semplicità espositiva. I risultati

numerici, come già ricordato in premessa, devono intendersi soltanto indicativi della

reale distribuzione degli sforzi interni ma riteniamo che possano stimolare, sia nel

tecnico che nell’atleta, qualche utile momento di riflessione sul rispetto che merita

l’apparato di sostegno del busto con le sue delicate funzioni.

Page 76: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

76

La dinamica

La dinamica studia i corpi in movimento, tenendo conto delle loro caratteristiche, del tipo di

moto e delle forze che entrano in gioco.

La dinamica si fonda su tre principi o leggi di Newton:

� 1a legge o principio d’inerzia.

� 2a legge o legge di proporzionalità.

� 3a legge o principio di azione e reazione.

• Il principio d’inerzia afferma che ogni corpo tende a mantenere il suo stato di quiete

o di moto rettilineo uniforme finché non intervengono forze esterne a modificarlo. La

proprietà generale di un corpo di mantenere il proprio stato di quiete o di moto si

chiama INERZIA (fig 44)

Fig. 44

• Il secondo principio dice che una forza costante applicata ad un corpo produce

un’accelerazione che è direttamente proporzionale all’intensità della forza. La legge

fondamentale della dinamica si può riassumere nella relazione: F = m * a

Questo concetto può essere riassunto con gli esempi di fig (45, 46 e 47). Una forza F che

agisce su una massa m1 produrrà un’accelerazione a1, se la stessa forza agisce su una

massa m2 che è esattamente la metà di a1 produrrà un’accelerazione che risulterà essere

il doppio di a1.

Page 77: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

77

Fig 45

Fig.46

Nella figura 46 si evidenzia che raddoppiando il valore della forza, che agisce sulla stessa

massa, si raddoppia anche il valore dell’accelerazione.

Fig 47

L’esempio di figura 47 mostra che dimezzando la forza e la massa si ottiene la stessa

accelerazione.

Page 78: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

78

Massa e Peso

� Il peso di un corpo corrisponde alla forza di gravità che agisce su di esso; mentre la

massa si può considerare come la quantità di materia di cui è costituito un corpo,

liberato dalla forza di gravità.

� L’unità di misura della massa è il chilogrammo.

� L’unità di misura della forza è il Newton (N).

� Se ad una massa di 1 kg viene applicata una forza che crea un’accelerazione di

1 m/s2 si ha un’unità di forza definita Newton.

� La stessa massa, sotto l’azione del suo peso (1 kg-forza) si muove con

un’accelerazione di 9,8 m/s2.

1 kg = 9,81 N

• Il terzo principio della dinamica enuncia che se un corpo esercita un’azione su un

altro corpo, questo ultimo reagisce con una forza uguale e contraria sul corpo

agente. Sinteticamente: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e

contraria.

Esercizio

a) Quanto pesa un giocatore di basket con una massa di 95Kg?

95 Kg* 9,81 = 932 N

Page 79: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

79

IMPULSO DI UNA FORZA E VARIAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MOTO DEL CORPO

SU CUI HA OPERATO

Partendo dall’equazione in precedenza descritta F = m * a e moltiplichiamo entrambi i

termini per il tempo t in secondi, durante il quale agisce la forza sulla massa di un corpo si

ha: F * t = m * a * t.

Accelerazione per tempo ci dà la velocità perciò l’uguaglianza precedente diventa

F * t = m * v.

Il prodotto F * t è chiamato impulso della forza.

Il prodotto m * v è chiamato quantità di moto.

L’impulso di una forza è uguale alla quantità di moto impressa al corpo sul quale

detta forza ha agito per un dato tempo.

Quando si analizza l’impulso generato da un soggetto ad esempio in salto verticale, si

deve parlare di impulso netto (Fig 48).

Fig 48

Analizzando il salto verticale di un soggetto il cui peso è di kg 54, per elevare il suo

baricentro di 27 cm si registra una forza di 850 N. Questo valore di forza non è il valore

reale che permette il salto di 27 cm bensì è la somma del peso del soggetto più la forza

realmente applicata per saltare 27 cm.

La formula dell’impulso deve essere così scritta:

I = (F – m * g)*t

dove F è il valore complessivo di forza,

m * g è il peso del soggetto in pratica 54 per 9,81 che vale 530 N;

pertanto l’impulso netto diventa I = (850 – 530)*t = 320 * t

L’impulso netto è uguale a 320 N * t.

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LAVORO e POTENZA

Si definisce lavoro (L) il prodotto dell’intensità di una forza (F) per lo spostamento (s):

L = F * s

Si definisce potenza (W) il lavoro compiuto nell’unità di tempo:

Potenza = L / t

Possiamo scrivere

Potenza = F * s / t

ma s/t corrisponde alla velocità

quindi

Potenza = F * v

ENERGIA

Si definisce energia l’attitudine a compiere lavoro.

L’unità di misura dell’energia è il joule.

Energia potenziale E = m * g * h

Energia cinetica E = m * v2/2

Page 81: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

81

REGIMI DI CONTRAZIONE

I regimi di contrazione muscolare si possono riassumere nel seguente modo:

A. ISOMETRICO

B. ANISOMETRICO: Concentrico, eccentrico e pliometrico

Regime isometrico

Il regime isometrico consiste in una contrazione muscolare senza spostamento delle leve

e dei punti di inserzione per cui durante la contrazione isometrica il muscolo sviluppa

tensione ma non produce movimento esterno.

In condizioni isometriche si riescono a sviluppare tensioni superiori a quelle concentriche

fig 49

Fig 49 curva di Hill

Come si evidenzia dalla figura 49 carichi molto elevati vengono spostati con velocità

molto basse prossime allo zero e l’ultimo carico sollevato viene considerato il carico

massimo o RM (ripetizione massima) (fig 49 punto indicato col cerchio). Nella RM si

raggiungono tensioni elevate ma non massimali. La massima tensione si raggiunge contro

una resistenza fissa e quindi con velocità zero cioè con una contrazione isometrica (fig 49

punto indicato dalla freccia)

Page 82: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

82

Negli anni sessanta l’allenamento isometrico aveva raggiunto una notevole popolarità;

successivamente si è notato che questo metodo non produceva i risultati sperati

soprattutto per la sua aspecificità rispetto ai gesti sportivi.

Le esercitazioni isometriche trovano una valida applicazione nel campo riabilitativo e della

rieducazione post-traumatica. Si propongono, a titolo informativo, i principali metodi di

lavoro isometrico Fig. 50

Fig 50 Principali metodi isometrici (da Cometti 2003)

L’isometria massimale consiste nel produrre tensione massimale su resistenze fisse per

una durata massima di sei secondi. Per isometria totale si intende sviluppare tensioni

non massimali ma mantenute fino all’affaticamento totale. I carichi da utilizzare variano dal

50 a 90% del carico massimo.

Il metodo più utilizzato, che a livello empirico ha dato risultati soddisfacenti, è lo “stato

dinamico”. Questo metodo comprende un movimento dinamico abbinato ad uno statico,

ad esempio nell’esercizio di squat, l’atleta nella fase di risalita si arresta a metà del

movimento per almeno tre secondi per poi terminare il movimento in modo esplosivo

utilizzando carichi del 50-60% del carico massimo. Questo metodo è particolarmente

indicato nel periodo competitivo (Fig 50).

Page 83: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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Fig 51 Esempio di stato-dinamico nell’esercizio di squat (Da Cometti).

REGIMI ANISOMETRICI

Per regime anisometrico si intende una contrazione in cui si produce variazione di

lunghezza del muscolo per cui si può avere un accorciamento o un allungamento. Da

queste due modalità di variare la lunghezza del muscolo si definiscono tre regimi di

contrazione:

1. regime concentrico

2. regime eccentrico

3. regime a carattere pliometrico

REGIME CONCENTRICO

Un movimento concentrico consiste in una contrazione muscolare in cui i capi articolari si

avvicinano, cioè in una contrazione priva di qualsiasi movimento che possa provocare

prestiramento delle fibre. L’esempio classico del movimento concentrico è il movimento

eseguito nel test di squat jump. Altri movimenti concentrici sono ad esempio: salire le

scale, camminare o correre in salita, alzarsi dalla sedia ecc.. Sono considerati esercizi

concentrici anche quegli esercizi composti da una fase eccentrica ed una concentrica

come lo squat in quanto le tensioni, nella fase eccentrica, sono di bassa intensità e

soprattutto il tempo di accoppiamento, cioè il tempo impiegato per invertire il movimento è

molto “lungo” perciò da non annoverare tra i movimenti pliometrici. La tensione massima

che si può ottenere con una contrazione concentrica è quella che si ottiene con l’ultimo

Page 84: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

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carico che il soggetto è in grado di vincere. Questo carico viene definito carico massimo

(CM) o ripetizione massima (RM) (fare riferimento alla figura 49)

REGIME ECCENTRICO

Il movimento eccentrico è un movimento in cui il muscolo si contrae, ma i capi articolari si

allontanano tra di loro, cioè il muscolo non riesce a vincere la resistenza esterna.

L’esempio classico di lavoro eccentrico si ha quando si esegue l’esercizio di squat con un

carico superiore al carico massimo. Altri esempi di esercizi eccentrici puri, se pur di

intensità inferiore, sono: correre in discesa, scendere le scale, salti in basso privi della

successiva fase di risalita ecc.. Le tensioni che si sviluppano nelle contrazioni eccentriche

sono superiori a quelle ottenute nei movimenti concentrici ed isometrici fig 51 parte sinistra

Fig 52

Fig 53

Il lavoro eccentrico è da considerare molto intenso e soprattutto provoca molti disagi a

livello muscolare. Si verificano rotture a livello del sarcomero (banda Z) di conseguenza

l’intera miofribilla, inoltre si hanno lesioni a livello del tessuto connettivo e a livello di

giunzione tra muscolo e tendine (figura 53). Per questi motivi richiede periodi lunghi di

recupero, perciò da collocare molto lontano da impegni di gare. Bisogna proporlo con

molta cautela, solo con atleti di alto livello e con molti anni di allenamento sulle spalle

Page 85: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

85

REGIME PLIOMETRICO

Il regime pliometrico è definito anche ciclo “stiramento-accorciamento”. Tutti i movimenti

pliometrici sono composti dai due regimi eccentrico e concentrico. Per essere definito regime

pliometrico bisogna che i movimenti eccentrici-concentrici avvengano in tempi brevissimi. Tutti i tipi

di balzi sono da definirsi esercizi pliometrici. Come detto precedentemente, il fattore rilevante per

ottenere la massima efficacia muscolare dovuta allo stiramento, è il tempo di “accoppiamento”

(Bosco 1982). Viene definito tempo di “accoppiamento” il tempo che intercorre tra la fase di

stiramento e quella di accorciamento, in altri termini il tempo impiegato ad invertire il

movimento, cioè il passaggio dalla velocità negativa (fase eccentrica) alla velocità positiva (fase

concentrica). Bosco ha dimostrato che più breve è il tempo di accoppiamento, più elevata è la

restituzione di energia potenziale Fig 54.

Fig 54 La figura mostra le forze registrate su una piattaforma di forza (figura centrale) in tre

differenti test SJ, CMJ e DJ; il rilevamento elettromiografico (parte in basso) ed il tempo di

“accoppiamento” (parte in alto). Si evidenzia che dove è minore il tempo di “accoppiamento” (DJ) si

registra una maggior attività elettrica ed un maggior sviluppo di forza.

Page 86: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

86

ANALISI DEL MOVIMENTO DEI VARI REGIMI DI CONTRAZIONI

Parallelamente ai regimi di contrazione bisogna analizzare i tipi di movimenti che le

varie contrazioni muscolari permettono di compiere al corpo umano o parti segmentarie di

esso. I movimenti che l’uomo compie si possono riepilogare in:

� ISOTONICO

� ISOCINETICO

� AUXOTONICO O AUXOMETRICO

Ai rispettivi regimi di contrazioni si possono associare i tipi di movimenti che la contrazione

produce secondo il seguente schema:

MOVIMENTO ISOTONICO

In movimenti con contrazioni solo concentriche, solo eccentriche o ecc/conc (pliometriche)

con carichi gravitazionali, varia la lunghezza del muscolo ma rimane costante il carico.

Per questo motivo i movimenti eseguiti con carichi gravitazionali vengono definiti

movimenti isotonici.

Regimi di contrazioni: concentrico

eccentrico

pliometrico

Tipi di movimenti: Isotonico

Isocinetico

auxtonico

Regime isometrico

Non produce

movimento

Page 87: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

87

Analisi di un movimento concentrico

Nella fig 55 si può notare il grafico di uno spostamento concentrico, il movimento inizia

dalla posizione zero e nell’unità di tempo cresce positivamente fino a raggiungere il punto

più alto.

Fig 55

Velocity

Velocity

Vel

ocity

[m/s

]

Time[s]

-0.5-1.0-1.5

0.00.51.01.52.02.53.0

1.5 1.7 2.0 2.2

Fig 56

In un movimento concentrico la velocità è sempre positiva. Come si può notare dal grafico

di fig 56 la velocità da zero aumenta fino a raggiungere un picco positivo per poi ridursi

fino a riportarsi a zero alla fine del movimento (apice della curva dello spostamento fig 55)

L’esempio classico del movimento concentrico è il movimento eseguito nel test di squat

jump.

Position

Loadpos

Pos

ition

[cm

]

Time[s]

0

20

40

60

80

1.5 1.7 2.0 2.2

Page 88: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

88

Analisi di un movimento eccentrico

In un movimento eccentrico la velocità presenta solo una fase negativa. L’andamento della

velocità si evidenzia nella figura 57. essa parte da zero e raggiunge un picco negativo per

poi diminuire di nuovo fino a tornare a zero quando il movimento raggiunge il punto più

basso (vedere curva dello spostamento fig 58).

Fig 57

Position

Loadpos

Pos

ition

[cm

]

Time[s]

0

10

20

30

40

1.6 2.1 2.6 3.1

Fig 58

Il regime eccentrico presenta vantaggi e svantaggi così sintetizzati:

Vantaggi: Tensione superiore del 30% rispetto all’isometria

Differente sollecitazione delle fibre

Efficace se accoppiato con lavoro concentrico

Svantaggi: Disadattamento notevole

Lungo recupero

Carichi pesanti

Velocity

Velocity

Vel

ocity

[m/s

]

Time[s]

-0.5

-1.0

-1.5

-2.0

0.0

0.5

1.6 2.1 2.6 3.1

Page 89: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

89

Analisi di un movimento pliometrico

In un movimento con il doppio ciclo stiramento-accorciamento la velocità presenta una

fase negativa ed una positiva fig 59, la parte della curva tra le due linee verticali si riferisce

alla velocità della parte negativa.

Velocity

Velocity

Vel

ocity

[m/s

]

Time[s]

-0.5

-1.0

-1.5

-2.0

-2.5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

1.15 2.11 3.06 4.02

Fig 59

La figura 60 mostra il tracciato dello spostamento di un movimento pliometrico, la parte

della curva tra le due linee verticali si riferisce alla fase negativa del movimento.

Position

Loadpos

Pos

ition

[cm

]

Time[s]

0

20

40

60

80

1.15 2.11 3.06 4.02

Fig 60

Page 90: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

90

MOVIMENTO ISOCINETICO

Nell’ambito delle contrazioni concentriche, eccentriche o isometriche, l’uomo attraverso

particolari apparecchiature, è riuscito ad ottenere contrazioni muscolari e quindi movimenti

a velocità costante. In natura non esistono movimenti isocinetici cioè a velocità costante.

Queste macchine sono definite isocinetiche di conseguenza il movimento che ne

scaturisce viene chiamato isocinetico. La caratteristica di queste macchine è quella di

realizzare una contrazione muscolare che permette di eseguire un lavoro muscolare a

velocità costante. In questo tipo di contrazione, a differenza di quanto avviene in una

attivazione muscolare naturale, il muscolo non può assolutamente creare accelerazione,

dato che le condizioni meccaniche delle macchine isocinetiche permettono solo di

eseguire un lavoro muscolare a velocità costante fig 61

L’utilizzo primario di queste apparecchiature è nel campo della riabilitazione ed in fisiatria.

Fig 61 velocità angolare della gamba durante estensione del ginocchio eseguita su dinamometro isocinetico a diverse

velocità angolari 100°-400°/s (da: Ostering, 1986,1).

Nelle figure 62 e 63 viene messo a confronto l’andamento della velocità rispettivamente in

un movimento isocinetico ed in un movimento eccentrico-concentrico. Nel movimento

isocinetico si nota un andamento costante della velocità mentre nel movimento naturale si

evidenzia un picco negativo della velocità (fase eccentrica) ed un picco positivo (fase

concentrica).

Page 91: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

91

Fig 62 Fig 63

Velocity

Velocity

Vel

ocity

[m/s

]

Time[s]

-0.5-1.0-1.5-2.0-2.5-3.0

0.00.51.01.52.02.53.0

Page 92: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

92

MOVIMENTO AUXOTONICO

Prevalentemente con un regime di contrazione concentrica è possibile, sempre con

particolari attrezzi ottenere un tipo di movimento definito auxotonico.

Un movimento auxotonico prevede un aumento del carico durante lo spostamento con

conseguente aumento della tensione muscolare

Attraverso una contrazione si ha un andamento della tensione muscolare che aumenta

gradualmente fino a raggiungere un picco per poi diminuire e tornare a zero figura 64.

Fig 64(da Stelvio Beraldo)

Questo tipo di movimento è possibile ottenerlo

eseguendo esercizi con elastici. L’elastico offre

all’inizio del movimento una determinata

tensione stabilita dal soggetto che risulta essere

inferiore di quella che si registra alla fine della

contrazione quando l’elastico ha subito il

massimo allungamento (fiura 30).

Fig 65 (da Stelvio Beraldo)

Page 93: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

93

ANALISI DI UNA CONTRAZIONE ISOMETRICA

In una contrazione isometrica si analizza solo lo sviluppo della forza in funzione del tempo

fig 66

Fig 66 Relazione forza tempo durante tre tipi di contrazione isometrica (Da Bosco)

In una contrazione isometrica la forza sviluppata in funzione del tempo dipende dal livello

d’attivazione del Sistema Nervoso Centrale. Pertanto si possono avere diverse modalità di

sviluppo della forza per ottenere la forza massimale.

Le diverse modalità si possono così sintetizzare:

a) Attivazione lenta

b) Attivazione normale

c) Attivazione rapida.

Page 94: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

94

Force

Force1

For

ce[N

]

Time[s]

-200

0

200

400

600

800

1000

0.01 3.34 6.67 10.00

Con un’attivazione lenta la

tensione viene sviluppata

lentamente. L’incremento della

forza avviene principalmente

attraverso un incremento

sempre maggiore di unità

motorie e quindi da un

aumento della frequenza di

stimolo fig 67.

Fig 67

Con un’attivazione normale la tensione viene sviluppata attraverso un aumento

progressivo del reclutamento delle unità motorie e di frequenza di stimolo fig 68.

Force

Force1

For

ce[N

]

Time[s]

-200

0

200

400

600

800

0.01 3.34 6.67 10.00

Fig. 68

Con un’attivazione rapida la tensione viene sviluppata rapidamente poiché

contemporaneamente tutte le unità motorie vengono reclutate e la frequenza degli stimoli

aumenta sin dall’inizio della contrazione fig 69.

Page 95: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

95

Force

Force1

For

ce[N

]

Time[s]

-500

0

500

1000

1500

0.0 1.9 3.7 5.6

Fig. 69

Page 96: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

96

LA FORZA MUSCOLARE

Cenni generali sul sistema neuromuscolare

La forza e la velocità, due parametri prodotti dal muscolo scheletrico, sono alla base di

qualsiasi movimento che l’uomo compie. Apparentemente questi due parametri sembrano

molto dissimili tra loro ma in realtà, essendo prodotti dallo stesso sistema, la dinamica

della contrazione muscolare è la stessa: la dimensione del carico esterno determina con

quale velocità e forza deve essere spostato il carico.

Il sistema che produce forza e velocità è definito sistema neuromuscolare.

Esso è composto dal sistema nervoso definito anche

sistema neurale e dalla parte muscolare o sistema miogeno.

Il muscolo si contrae e produce movimento in quanto viene

eccitato da uno stimolo che parte dall’area motoria del

cervello e si trasmette attraverso il midollo spinale, da qui

attraverso un motoneurone arriva sulle fibre muscolari.

(Fig.70)

Fig 70 sistema neuromuscolare

Le fibre muscolari a loro volta sono formate da sottili filamenti chiamati miofibrille che a

loro volta contengono l’unità funzionale del muscolo: il sarcomero fig. 71

Fig. 71 – Rappresentazione schematica delle componenti principali preposte alla realizzazione del

movimento (da: Sale),

Page 97: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

97

IL SARCOMERO

Analizzando la singola miofibrilla si notano su di essa delle linee traverse che si ripetono

all’incirca ogni 2,5 micron quando il muscolo è rilasciato. Queste linee trasversali

conferiscono al muscolo la caratteristica struttura striata. Queste linee, facilmente

individuabili, sono definite linee Z e la zona che si trova tra le due linee viene definito

sarcomero fig 72. Il sarcomero è l’unità funzionale della miofibrilla. All’interno del

sarcomero si trovano due tipi di filamenti uno più sottile chiamato actina ed uno più spesso

definito miosina fig 73. La miosina a sua volta presenta dei prolungamenti, che si

dispongono a 90° con i filamenti di miosina stessa fig 74. Questi prolungamenti vengono

definiti teste della miosina. . Quando la fibra muscolare viene raggiunta da uno stimolo

nervoso i filamenti di actina e miosina, attraverso le teste della miosina, reagiscono

formando il cosiddetto “cross-bridge” ponte actomiosinico, per mezzo del quale i due

filamenti scorrono uno sull’altro accorciando il sarcomero. Con l’accorciamento dei vari

sarcomeri si produce tensione che viene trasmessa mediante i tendini alle ossa.

Fig 72

Page 98: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

98

Fig 73

Fig 74

I ponti che si stabiliscono tra i filamenti di actina e miosina costituiscono la contrazione e

nello stesso tempo producono forza. Per far si che i ponti di actina e miosina si formino e

quindi avvenga la contrazione c’è bisogna di energia e questa viene fornita da un

composto denominato acido adenosintrifosforico ATP. La capacità di produrre lavoro è

determinata dalle caratteristiche muscolari che trasformano energia biochimica in energia

meccanica. Appena la membrana muscolare viene colpita dallo stimolo nervoso viene

liberata una sostanza denominata acetilcolina (ACh). L’acetilcolina ha la proprietà di

depolarizzare la membrana sarcoplasmatica e precisamente dei tubuli traversi (Tubuli T).

La depolarizzazione dei tubuli traversi causa la liberazione del Ca++. Il calcio si lega con il

Page 99: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

99

complesso la troponina C-Tropomiosina (figura 75). La troponina C è una proteina che

inibisce la formazione dei ponti di actomiosina. Inibita la Troponina C dal calcio si formano

i legami tra testa della miosina e l’actina e questi traggono energia dalla scissione dell’ATP

per mezzo di un enzima chiamato ATP-asi. La contrazione muscolare persiste finché vi è

presenza di calcio a livello di astina e miosina. Quando la stimolazione del muscolo cessa

il calcio fuoriesce e si ristabilisce la condizione di inibizione tra troponina-tropomiosina e

filamento di miosina (figura 76) (Da W. D. Mcardle, F. I. Katch e V. L. Katch)

.

Fig 75

Page 100: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

100

Fig 76

Quando un messaggio dal cervello viene inviato al muscolo questi risponde all’impulso

con una singola contrazione fig 77a, al sopraggiungere di un secondo impulso la

contrazione diventa maggiore; una serie di impulsi ravvicinati provoca un tetano

ravvicinato fig 77c fino ad arrivare al tetano completo fig.77d, normalmente la fascia delle

frequenze è compresa tra 8 e 50-60 hertz. Il tempo per sviluppare la tensione durante una

singola contrazione fig 77 può essere di circa 100 ms, mentre la tensione massimale che

viene raggiunta durante il tetano non è mai inferiore di 200-300 ms.

Page 101: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

101

Fig 77

Una volta che lo stimolo nervoso raggiunge la fibra muscolare e l’actina e la miosina

reagiscono provocando la contrazione, la tensione sviluppata viene trasmessa alle ossa

attraverso le strutture di tessuto connettivo, i tendini. Occorre sottolineare che prima che i

tendini possano trasmettere le tensioni sviluppate dalle componenti contrattili alle strutture

ossee occorre un certo tempo. La tensione sviluppata non si trasmette immediatamente

alle ossa ma questo si verifica con un certo ritardo. Il ritardo è dovuto al tempo necessario

per stirare gli elementi elastici in serie dei muscoli fig 78.

Fig 78 modello di contrazione concentrica del muscolo cardiaco che inizia con una fase isometrica dove la

componente contrattile (CC) si accorcia e provoca lo stiramento degli elementi elastici in serie (SEC) (AB). Il

movimento avviene quando la forza di spostamento della componente contrattile degli elementi in serie è

uguale o supera leggermente la forza prodotta dal carico P (B-C) (da Braunwald, 1967).

Page 102: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

102

MECCANISMI DELLLA FORZA

Quando descritto precedentemente, è in sintesi il sistema che permette all’uomo di

produrre forza in generale. La possibilità per un atleta di produrre forza e velocità sempre

più elevata dipende da diversi fattori che possiamo così sintetizzare:

1 Tipi di fibre muscolari

2 Sezione traversa delle fibre (grandezza del diametro delle fibre definita

IPERTROFIA)

3 Reclutamento delle fibre

a Reclutamento e frequenza

b La sincronizzazione

c Efficienza neuromuscolare

4 Coordinazione intra e intermuscolare

5 Fattori legati allo stiramento

a Fenomeni eccitatori ed inibitori della contrazione muscolare

b Caratteristiche elastiche del muscolo

Le fibre muscolari

Nel muscolo sono state classificate due tipi di fibre:

� Fibre rosse chiamate più comunemente fibre lente o toniche, definite anche di tipo I o

con sigla inglese definite Slow twitch fibres ST

� Fibre bianche chiamate più comunemente fibre veloci o fasiche o di II tipo o con sigla

inglese definite Fast twitch fibres FT

Le fibre del tipo I sono fibre rosse perciò lente, caratterizzate da metabolismo aerobico,

producono basse tensioni per un periodo di tempo molto lungo. Sono fibre molto

vascolarizzate e si affaticano poco. I substrati utilizzati per la risintesi dell'ATP sono glucidi

e lipidi.

Le fibre del tipo IIa sono fibre di tipo intermedio, il metabolismo è misto anaerobico-

aerobico, sviluppano una tensione media e sono mediamente vascolarizzate.

Le fibre del tipo IIb sono fibre rapide per eccellenza, sviluppano altissime tensioni, sono

scarsamente vascolarizzate, il metabolismo è di tipo anaerobico, si affaticano

rapidamente. Fig. 79

Ogni individuo possiede percentuali di fibre bianche e rosse in quantità diverse e questo è

dettato solo da fattori genetici per cui atleti con percentuali di fibre bianche maggiore

Page 103: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

103

rispetto alle rosse sono in grado di esprimere gradienti di forza esplosiva superiore rispetto

ad atleti con maggior numero di fibre rosse Fig. 80. La percentuale di fibre presente in un

muscolo determina la caratteristica di muscolo veloce o resistente. Un muscolo con un’alta

percentuale di fibre bianche è un muscolo che esprime più velocità rispetto ad un muscolo

con prevalenza di fibre rosse. Nella Fig. 81 si nota come soggetti con percentuali di fibre

bianche a carichi bassi esprimano maggiore velocità rispetto a soggetti con percentuali

maggiori di fibre rosse.

Fig 79 da: Cometti modificato

Fig. 80 relazione forza tempo registrata durante l’esecuzione

di SJ eseguiti da soggetti veloci (%FT>60) e lenti (%FT<40)

(da: Bosco e Komi, 1976b)

Fig.81 Esempio della relazione forza veloci nei

tipi lenti e rapidi (da: Bosco 1983)

Page 104: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

104

L'obiettivo principale dell'allenamento è quello di migliorare le caratteristiche dei due tipi di

fibre in funzione della disciplina sportiva praticata e questo è possibile se si somministrano

stimoli specifici. Stimoli errati possono provocare adattamenti non desiderati soprattutto a

carico delle fibre rapide, infatti, queste pur mantenendo le caratteristiche di fibre fasiche

possono subire modificazioni a livello di metabolismo. Questo accade prevalentemente a

carico delle fibre del tipo IIa, che hanno un metabolismo misto, quindi sollecitazioni lente e

prolungate ne esaltano prevalentemente il metabolismo aerobico.

Ipertrofia

Sottoponendo il muscolo ad allenamenti con carichi elevati (forza massima) si provocano

modificazioni strutturali alle fibre muscolari. Queste aumentano di dimensione e

precisamente aumenta la sezione traversa. Questo fenomeno viene definito ipertrofia.

Essa è dovuta principalmente all’aumento del materiale contrattile del muscolo.

Le cause dell'ipertrofia sono:

a) Aumento delle miofibrille

b) Sviluppo degli involucri muscolari (tessuto connettivo)

c) Aumento della vascolarizzazione

d) Aumento del numero di fibre (iperplasia). Argomento questo ancora molto discusso

e criticato da diversi ricercatori, perciò da non prendere in considerazione fig. 82.

Fig. 82 Le cause dell’ipertrofia (da: Cometti)

Page 105: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

105

Ogni fibra muscolare, che sia essa lenta o veloce, è composta da un elevato numero di

miofibrille e sono proprio queste ad aumentare sia di volume sia di numero quando il

muscolo è sottoposto a lavoro con carichi molto pesanti. Le fibre interessate all'aumento di

volume riguardano entrambi i tipi (lente e rapide), ma l'aumento maggiore avviene a carico

delle fibre rapide fig. 83; l’immobilizzazione del muscolo provoca un’ipotrofia che interessa

maggiormente le fibre rapide (Mac Dougall e coll. 1980) fig. 84

Fig. 83 Evoluzione delle fibre rapide e lente in seguito a 16 settimane di allenamento e 8 settimane di sospensione

dell’allenamento (da: Hakkinen e coll. 1981)

Fig 84 Modello delle variazioni morfologiche che avvengono come risposta allenamento della forza massima e

dell’immobilizzazione.

Con l’allenamento la sezione traversa delle miofibrille aumenta in proporzione diretta all’incremento della dimensione

e del numero (a). Con l’immobilizzazione la sezione delle fibre decresce in proporzione alla sezione delle miofibrille (b).

(da: Mac Dougall, 1986 modificato)

Page 106: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

106

I metodi utilizzati per lo sviluppo dell'ipertrofia sono molti e diversi tra loro. Qualsiasi

metodo si utilizzi, esso deve rispettare alcuni principi essenziali per far sì che si verifichi

l'effetto voluto. Gli allenamenti per lo sviluppo dell’ipertrofia devono essere eseguiti con

carichi compresi tra il 70 ed il 85 % di una RM, per permettere la stimolazione di tutte le

unità motorie disponibili, perciò un numero elevato di fibre muscolari. Il numero di

ripetizioni non deve essere superiore a 10. Carichi elevati (90%) consentono un numero

limitato di ripetizioni (2-3 rip.) perciò sono stimolati solo i processi nervosi. Carichi inferiori

al 70% permettono di eseguire un numero di ripetizioni elevato ma non si attivano tutte

fibre perciò si innescano solo i processi metabolici deputati alla resistenza. Lavorando con

carichi che ci permettono di eseguire al massimo 10 ripetizioni, si attivano i processi

connessi alla sintesi proteica, essenziale per l'aumento della massa muscolare Fig. 85.

Fig.85 Rappresentazione dei carichi e del numero di ripetizioni utilizzati per migliorare la forza max o l’ipertrofia

(da: Cometti, 1988)

Possiamo affermare che la causa principale dell'ipertrofia è dovuta principalmente

all'aumento del materiale contrattile del muscolo, tuttavia altri due elementi concorrono, se

pur in modo meno marcato, all’aumento del volume muscolare:

• Tessuto connettivo

• Vascolarizzazione

Page 107: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

107

Diversi autori (Stone 1988, Viidik 1986, Golspink 1985) hanno notato che all’aumento del

volume delle miofibrille si accompagna un aumento del tessuto connettivale che avvolge le

miofibrille. Le modificazioni avvengono prevalentemente a carico dell’elemento principale

del tessuto connettivale che è il collagene, composto di tre catene di aminoacidi.

L’altro elemento che concorre all’ipertrofia è l’aumento della vascolarizzazione. Si è

riscontrato un aumento di vasi capillari per fibra soprattutto in atleti che praticano sport di

resistenza e culturisti, mentre nessun risultato significativo si è avuto su atleti che

eseguono esercizi di forza come i sollevatori di pesi.

Reclutamento delle fibre

Lo sviluppo della forza nel corso di un movimento naturale o gesto sportivo, dipende da

una complessa serie di movimenti, controllati e coordinati da una complicata sequenza di

attivazione neuromuscolare. Lo sviluppo e la regolazione fine della forza viene effettuato

da un sistema centrale (Sistema Nervoso Centrale) che si serve poi di un sistema

periferico (nervi periferici) per portare l’ordine ai muscoli Fig 86.

Fig 86 la figura mostra una sezione del midollo spinale ed i motoneuroni afferenti (in entrata al midollo) e i neuroni

efferenti (in uscita dal midollo).

Page 108: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

108

Le fibre muscolari si contraggono ed esprimono tensione per effetto di stimoli nervosi che

dal sistema nervoso centrale raggiungono le fibre stesse attraverso un motoneurone. Il

complesso funzionale costituito da un motoneurone spinale alfa e dalle fibre che esso

innerva viene definito UNITA’ MOTORIA fig. 87.

La maggior parte dei muscoli è costituita da 100 a 700 unità. Es. muscolo flessore di un

dito ci sono 120 unità motorie per un totale di 41000 fibre, il gastrocnemio è controllato da

580 unità motorie per un totale di fibre di 1030000.

Il numero di fibre per unità motoria varia a secondo dei muscoli, ad esempio si va dalle tre

fibre per il muscolo estrinseco dell’occhio alle circa 1730 fibre per il soleo (Aubert).

Es. muscolo flessore delle dita l’unità motoria contiene 340 fibre, il gastrocnemio ne

contiene 1800.

Fig 87 unità motoria

La contrazione di una fibra muscolare è sempre massimale, pertanto anche la

stimolazione di una unità neuromotoria comporta uno sviluppo di forza massimale.

la contrazione simultanea di tutte le fibre di una unità motoria viene definita: LEGGE

DEL TUTTO O NULLA

Può sembrare a prima vista che il muscolo sappia compiere contrazioni solo massimali ma

in realtà è in grado di sviluppare innumerevoli varietà di tensioni.

La graduazione della forza sviluppata dipende dalla possibilità di variare la

frequenza di stimolazione delle unità neuromotorie e dalla possibilità di variare il

numero delle unità neuromotorie stimolate.

Il meccanismo che regola il numero di unità motorie da reclutare per sviluppare

tensioni diverse viene definito reclutamento.

Page 109: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

109

Reclutamento e frequenza

Tra i fattori neurogeni, quello che subisce i primi adattamenti all’allenamento della forza

massimale è quello relativo al reclutamento di nuove unità motorie (reclutamento spaziale)

Successivamente con l’allenamento migliora la capacità di reclutare sempre più unità

motorie nel medesimo tempo (reclutamento temporale).

Il reclutamento temporale è spiegato nel seguente modo:

il muscolo risponde ad un impulso con una contrazione, al sopraggiungere di un secondo

impulso la contrazione diventa maggiore; una serie di impulsi ravvicinati provoca un tetano

ravvicinato o clono, fino ad arrivare al tetano completo Fig.88, normalmente la fascia delle

frequenze è compresa tra 8 e 50-60 hertz.

Fig 88 Reclutamento temporale

Per i movimenti rapidi può arrivare anche ai 150 hertz. La forza massima si può ottenere

anche con frequenze di 50 hertz, ed anche se la frequenza arriva a 150 hertz non vi sono

incrementi di forza massima bensì un miglioramento della pendenza della curva Fig.89,

questo fenomeno è particolarmente interessante per tutti i gesti sportivi di tipo esplosivo.

Page 110: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

110

Fig. 89 una stimolazione a 50Hz è sufficiente per produrre forza massimale (a). se si aumenta la frequenza (b)

aumenta la pendenza della curva e quindi lo sviluppo rapido della forza (secondo Grimby e coll. 1981)

Le frequenze fino a 50-60 hertz sono strettamente legate al reclutamento spaziale e per

raggiungerle c'è bisogno in ogni caso di carichi elevati. Sollevare carichi elevati in tempi

molto brevi permette di arrivare a frequenze intorno ai 100 hertz, mentre con movimenti

esplosivi espressi in tempi brevissimi (100ms) si arriva a frequenze di 150 hertz. La

capacità di emettere impulsi di stimoli ad alta frequenza è l’ultima fase di miglioramento

del sistema nervoso. Per produrre adattamenti stabili occorre un periodo di tempo molto

lungo; di contro c’è il fatto che l’adattamento regredisce velocemente in assenza di

allenamento.

Fig. 90 Rappresentazione dei fenomeni di reclutamento nell’aumento di forza (Fukunaga 1976)

L’effetto positivo dello stimolo, all’inizio dell’allenamento, agisce prevalentemente sul

numero di fibre da reclutare.

Un soggetto sedentario normalmente recluta solo il 30-50% delle unità a disposizione, Fig

90 dopo alcune settimane di lavoro il soggetto è in grado di esprimere più forza grazie ad

Page 111: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

111

un maggior reclutamento di unità motorie, mentre con il proseguire del tempo la causa del

miglioramento di forza diventa l'ipertrofia.

Il reclutamento delle fibre muscolari è normalmente spiegato con la legge di Henneman

che mostra come le fibre lente siano reclutate prima delle rapide. La Fig 91 evidenzia che

per carichi leggeri sono reclutate fibre lente, per un carico medio si reclutano fibre

intermedie e solo con carichi elevati si attivano fibre veloci. Questa legge oggi è stata

rimessa in discussione quando si parla di movimenti balistici. La legge rimane valida solo

se i movimenti con carichi leggeri sono spostati a basse velocità cioè se si passa da

esercizi eseguiti blandamente come la corsa lenta e si va verso esercizi di forza. In

movimenti balistici le unità motorie rapide vengono reclutate senza che siano sollecitate le

fibre lente fig. 92

Fig 91 Il reclutamento delle fibre rispetto all’intensità del carico (Costill 1980)

Page 112: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

112

Fig 92 Modello ipotetico di reclutamento delle varie unità motorie lente (ST) intermedie (FTa) e veloci (FTb) (da: Stuart

ed Enoka 1983)

Studi condotti da Bosco e Komi hanno dimostrato che soggetti ricchi di fibre veloci nei

muscoli degli arti inferiori, ottenevano risultati migliori nel salto verticale. Questo fa

pensare che se pur gli sviluppi di forza sono molto bassi, 30-40% della forza massima

isometrica, l’intervento delle unità fasiche è dominante sulle toniche.

La sincronizzazione

Come detto nel paragrafo precedente la capacità di emettere impulsi di stimoli ad alta

frequenza è l’ultima fase di miglioramento del sistema nervoso. Quest’ultimo adattamento

ci porta ad un altro meccanismo di produzione della forza: la sincronizzazione.

La sincronizzazione la possiamo definire come la capacità di reclutare tutte le fibre nello

stesso istante. Quindi la sincronizzazione ci porta ad un ulteriore miglioramento della forza

e soprattutto al miglioramento della forza esplosiva. Secondo Sale (1988) la

sincronizzazione delle unità motorie non porta ad un aumento della forza massima ma ad

una capacità di sviluppare forza in tempi più brevi. La sincronizzazione è regolata da un

particolare sistema inibitorio composto da interneuroni chiamate cellule di Renshaw fig.

93. Queste cellule formano un sistema di sicurezza con l’effetto di deprimere l’attività dei

motoneurone. Il risultato è pertanto una diminuzione della frequenza di scarica del

motoneurone, per cui viene impedita un’eccessiva attività con eventuale sovraccarico del

muscolo.

Page 113: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

113

Un miglioramento della sincronizzazione con conseguente inibizione del circuito di

Renshaw, si può avere attraverso esercitazioni molto intense come ad esempio balzi

pliometrici

Fig 93 Cellula di Renshaw

Nella Fig. 94 sono schematizzati i rapporti tra reclutamento e sincronizzazione nel corso di

una contrazione muscolare. Inizialmente si migliora la capacità di reclutare un maggior

numero di unità motorie, successivamente migliora la capacità di reclutarle in un tempo

minore e per ultimo aumentare la frequenza di stimolo che porta alla sincronizzazione.

Fig.94 Rappresentazione schematica dell’intervento dei diversi meccanismi nella regolazione della forza (da: Cometti)

Page 114: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

114

FATTORI LEGATI ALLO STIRAMENTO

Generalmente un muscolo preventivamente allungato, con piccole variazioni, esprime nel

successivo accorciamento una forza maggiore rispetto ad una semplice contrazione

eccentrica. La conseguenza di questo fenomeno dipende:

� Sollecitazione del sistema nervoso

� Proprietà visco-elastiche del muscolo

Fattori eccitatori ed inibitori

L'importanza delle esercitazioni pliometriche è quella di stimolare il sistema

neuromuscolare tale da provocare sollecitazioni che permettono di sviluppare, in tempi

molto brevi, elevatissimi livelli di forza ad alte velocità. La condizione essenziale per avere

elevati sviluppi di forza, è quella di una limitata variazione angolare delle articolazioni

interessate. Le esercitazioni pliometriche stimolano fortemente, con il meccanismo

stiramento-accorciamento, sia le strutture miogene (parte contrattile del muscolo) che

quelle neurogene (sistema nervoso). La stimolazione più importante avviene a livello

neurogeno dove vengono ad essere sollecitate due funzioni tra l’altro in contrasto tra loro:

inibitoria ed eccitatoria. L’equilibrio che si crea tra gli stimoli inibitori e quelli eccitatori

influenzano le condizioni di realizzazione della prestazione.

L’unità motoria è costituita da un motoneurone, chiamato più precisamente

alfamotoneurone, e dall’insieme di fibre che esso innerva. L’alfamotoneurone riceve

informazioni o meglio stimoli dal Sistema Nervoso Centrale (SNC) e le trasmette alle fibre,

le quali si contraggono. Oltre a ricevere informazioni dal SNC, l’alfamotoneurone riceve

altre informazioni provenienti, al momento dell’allungamento, da fibre afferenti le quali

inviano, attraverso motoneuroni chiamati betamotoneuroni, ulteriori stimoli che vanno a

sommarsi a quelli provenienti dal SNC potenziandolo e permettendo un maggior

reclutamento. Questa funzione eccitatoria è definita riflesso miotattico o riflesso da

stiramento.

Il segnale che dal muscolo arriva al sistema nervoso centrale proviene da particolari

recettori situati in parallelo con le fibre muscolari definiti fusi neuromuscolari. I fusi neuromuscolari sono recettori posti nei muscoli che forniscono messaggi riguardo

la lunghezza del muscolo, più precisamente delle fibre muscolari, vengono definiti anche

recettori di allungamento Fig 95

Page 115: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

115

Fig 95 descrizione schematica dei fusineuromuscolari.

Quando un muscolo viene stirato contemporaneamente vengono sollecitati anche i fusi

neuromuscolari che inviano un segnale al sistema nervoso centrale. Se lo stiramento è

seguito in tempi brevissimi da una contrazione concentrica il segnale proveniente dai fusi

si somma al segnale volontario proveniente dal sistema nervoso centrale rafforzandolo.

Oltre a sollecitazioni eccitatorie ve ne sono altre inibitorie provenienti dai tendini dove

sono situati particolari sensori chiamati corpuscoli tendinei del Golgi (GTG) fig 96.

Fig 96 recettori del Golgi e meccanismo inibitorio.

Page 116: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

116

I recettori del Golgi sono recettori di forza, ed essendo posti in serie rispetto al muscolo

rispondono alle variazioni di forza che si sviluppano ai capi tendinei.

La funzione dei GTG è di inibire, o più semplicemente evitare, eccessivi sviluppi di forza

che potrebbero provocare infortuni muscolari. Bosco (1985) ha dimostrato che i GTG

hanno funzione inibitoria quando si raggiungono altezze di cadute eccessive nel Drop

jump/salto in basso (caduta da diverse altezze con successivo salto verticale).

L’allenamento con esercitazioni pliometriche innalza la soglia di eccitabilità dei recettori del

Golgi in modo da avere una migliore risposta neuromuscolare, cioè un maggior sviluppo di

forza. La migliore risposta neuromuscolare si ha quando gli stimoli eccitatori del riflesso

miotattico superano gli stimoli inibitori esercitati dai GTG. Nella fig. 97 si può notare la

differenza di risposta dell’attività elettrica di un soggetto allenato ed uno non allenato.

Fig. 97 Registrazione elettromiografica del gastrocnemio durante un

salto pliometrico cadendo da 1,1 m, in un soggetto allenato (sotto) e non

allenato (sopra).

L’attività elettromiografica del soggetto allenato al momento del

contatto sale per tutto il tempo, mentre il non allenato mostra una

depressione iniziale dovuta ad inibizione (da Schmidtbleicher e Gollhofer,

1982)

Proprietà visco-elastiche del muscolo

Nelle esercitazioni pliometriche, oltre alle componenti già descritte, oltre ad una risposta

positiva a livello dell’attività elettrica vi sono altre componenti che danno ulteriori vantaggi

ai fini di maggiori sviluppi di forza. I vantaggi derivano dalle componenti elastiche, le quali,

una volta prestirate, restituiscono energia che va a sommarsi alla contrazione concentrica,

per un ulteriore contributo allo sviluppo di forza. Un fattore molto importante ai fini

dell’efficacia muscolare dovuta ad uno stiramento, è il tempo di “accoppiamento” (Bosco

1982), cioè il tempo che divide la fase di stiramento con la fase di accorciamento. Bosco

Page 117: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

117

ha dimostrato che più breve è il tempo di accoppiamento, più elevata è la restituzione di

energia potenziale.

La quasi totalità degli sport presentano gesti tecnici con componenti a carattere

pliometrico, perciò è importante inserire nell’allenamento esercitazioni che sollecitano la

componente di allungamento-accorciamento. Nella Fig 98 si riassumono i punti più

importanti dello stiramento muscolare.

Fig 98 Riepilogo circa le considerazioni applicative relative allo stiramento muscolare (da: Cometti)

Meccanismo della contrazione e relativo sviluppo di forza

(Relazione forza-lunghezza)

Altro meccanismo per comprendere a fondo lo sviluppo della forza è il rapporto tra lo stato

di allungamento del muscolo e la capacità di produrre forza.

La relazione forza-lunghezza è un elemento molto importante che ci permette di

comprendere meglio la forza sviluppata da un muscolo.

Page 118: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

118

La forza sviluppata da un muscolo deve essere messa in relazione con la lunghezza del

muscolo stesso, in altre parole il muscolo non è in grado di sviluppare la stessa forza a

lunghezze diverse. Questo concetto quasi sempre viene visto sotto un altro punto di vista

e precisamente forza sviluppata e angolo di lavoro. Sappiamo che al variare dell’angolo

varia lo sviluppo della forza. In effetti quello che varia al variare dell’angolo è la lunghezza

del muscolo. Ad esempio il bicipite brachiale alla sua massima estensione è in grado di

sviluppare una forza molto bassa, man mano che il braccio si flette la forza sviluppata è

sempre maggiore fino a raggiungere il massimo ad un angolo di 90°. Superato l’angolo di

90° la forza tende di nuovo a diminuire fino ad essere quasi nulla alla massima flessione

(figura 99). Questo fenomeno è spiegabile attraverso l’analisi della contrazione dei singoli

sarcomeri. La lunghezza del muscolo dipende dall’allungamento dei singoli sarcomeri.

Infatti i sarcomeri di un muscolo, alla sua massima estensione, si presentano come in

figura 100. La quantità di ponti di miosina che si possono legare all’actina sono un numero

ridotto per la scarsa sovrapposizione dei rispettivi filamenti di actina e miosina. Man mano

che il sarcomero si accorcia aumentano i ponti di miosina che possono attivarsi per una

maggior sovrapposizione di filamenti. Quando si raggiunge la condizione in cui tutti i ponti

della miosina possono legarsi all’actina si ha il massimo sviluppo di forza di un singolo

sarcomero e di conseguenza del muscolo stesso (figura 101). Superata questa condizione

il sarcomero continua ancora ad accorciarsi fino alla massima sovrapposizione dei

filamenti di actina e miosina ed in questa fase la forza tende diminuire sensibilmente fino a

diventare pressoché nulla (figura 102).

Page 119: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

119

Fig 99

Fig 100

Fig 101

Lunghezza del

Tensione

Lunghezza del

Tensione

Page 120: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

120

Fig 102

Questo fenomeno è maggiormente visibile nello schema presentato dal da G. A. Cavagna

di figura 103 che ci mostra il diagramma forza-lumghezza.

Fig 103 La parte superiore della figura mostra un diagramma forza-lunghezza di una singola fibra muscolare:

sull’ordinata la forza espressa come per cento del valore massimo, sull’ascissa è indicata la lunghezza del sarcomero

(in millesimi di mm: µm). nella parte inferiore della figura sono illustrati, schematicamente, i rapporti tra actina e

miosina alle lunghezze del sarcomero indicate dalle frecce sul diagramma forza-lunghezza (da 1 a 6). [Da Gordon,

Huxley e Julian (1966): modificata].

Lunghezza del sarcomero

Tensione sviluppata

Page 121: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

121

L’ALLENAMENTO DELLA FORZA

Definizione di Forza:

Svariate sono le definizioni che i vari ricercatori hanno formulato per classificare la

forza:

� “La forza muscolare si può definire come la capacità che i componenti intimi

della materia muscolare hanno di contrarsi, in pratica di accorciarsi”. (VITTORI)

� “La forza è la capacità del muscolo scheletrico di produrre tensione nelle varie

manifestazioni”. (VERCHOSANSKIJ)

� “Si può definire la forza dell’uomo come la sua capacità di vincere una

resistenza esterna o di opporvisi con un impegno muscolare”. (ZACIORRSKIJ)

Semplificando le definizioni citate, si può affermare che la forza si identifica nella

capacità del muscolo di esprimere tensione

Essendo molteplici le tensioni che un muscolo può esprimere si vengono ad avere

espressioni di forza che possiamo così sintetizzare:

1. FORZA MASSIMA

2. FORZA ESPLOSIVA

3. RESISTENZA ALLA FORZA VELOCE

4. RESISTENZA MUSCOLARE

• La forza massima si può definire come la capacità del sistema neuromuscolare di

sviluppare la più alta tensione possibile, per vincere una resistenza elevata, senza

limitazione di tempo.

• La forza esplosiva, anche se in modo improprio, si può definire come la capacità del

sistema neuromuscolare di esprimere elevati gradienti di forza nel minor tempo

possibile, in modo da imprimere al carico da spostare la maggior velocità possibile.

• E’ interessante sottolineare che all’espressione di forza esplosiva coincide la massima

potenza muscolare. La massima potenza muscolare generalmente si ottiene con

sviluppi di forza pari al 30-40% della forza massima e con velocità di accorciamento

pari al 35-45% di quella massima.

• La resistenza alla forza veloce non è altro che la capacità di esprimere elevati sviluppi

di forza esplosiva ripetuti per tempo relativamente lungo

Page 122: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

122

• La resistenza muscolare è la capacità del muscolo di produrre bassi sviluppi di forza

prolungati per lungo tempo.

Le varie espressioni di forza precedentemente menzionate: forza massima, forza

esplosiva, resistenza alla forza esplosiva e resistenza muscolare possono essere

classificate in conformità a principi biologici. Queste espressioni si possono classificare

tenendo in considerazione sia gli aspetti neuromuscolari che servono a modulare la

tensione, sia gli aspetti metabolici che ne determinano la durata. Pertanto la forza

massima e la forza esplosiva sono caratterizzate da fattori neurogeni, mentre la resistenza

alla forza esplosiva e la resistenza muscolare sono caratterizzate da fattori metabolici.

Questa classificazione ci porta a fare una distinzione tra sport individuali e sport di

squadra.

Gli sport individuali si possono dividere in due gruppi, uno dove prevale la forza esplosiva

e quindi la velocità connessa alla forza (corsa veloce, salti, lanci, ecc.), l’altro gruppo dove

prevalgono i fattori metabolici a determinare la prestazione (maratona, sci di fondo,

ciclismo, ecc.).

Per quanto riguarda gli sport di squadra bisogna considerare due aspetti molto importanti:

1. ESPLOSIVITA’

2. RIPETIZIONE.

Spesso sorge il dubbio su quale delle due caratteristiche bisogna soffermarsi. Gli sport di

squadra sono caratterizzati da sforzi di tipo esplosivo che vengono ripetuti molte volte

quali correre più veloci, saltare più in alto, arrivare prima dell’avversario sulla palla e nel

frattempo recuperare la fatica nel più breve tempo possibile. Per questi motivi, si cade

molte volte nell’errore di impostare la preparazione atletica sul lavoro di resistenza, basato

sulla convinzione che sforzi di bassa intensità e a ritmo lento sono di gran lunga superiore

a quelli di tipo esplosivi cioè brevi e rapidi. Analizzando un qualsiasi sport di squadra ci si

rende conto che, in effetti, gli sforzi di bassa intensità sono di gran lunga superiori a quelli

di azioni esplosive. A mio avviso non bisogna lasciarsi influenzare dalla loro quantità, per

impostare il lavoro, ma capire che il risultato è determinato, se pur da quantità inferiori, da

sforzi esplosivi. Alla luce di quanto detto la preparazione atletica, deve essere impostata al

miglioramento di ciascuna azione esplosiva cioè: saltare più in alto, correre più veloce o

schiacciare con la massima potenza. Perciò si può affermare, senza ombra di dubbio, che

Page 123: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

123

il potenziamento muscolare cioè l’allenamento della forza, è alla base dello sviluppo

dell’esplosività e quindi del risultato sportivo.

In conclusione si può riassumere che la preparazione fisica, per gli sport di squadra, deve

avere questa successione temporale:

1. MIGLIORAMENTO DELLE QUALITA’ NEUROMUSCOLARI (Tutte le espressioni

della forza) in altre parole MIGLIORAMENTO DEI PARAMETRI QUALITATIVI

DELL’ALLENAMENTO

2. MIGLIORAMENTO DEI PROCESSI METABOLICI (aerobico ed anaerobico) cioè

MIGLIORAMENTO DEI PARAMETRI TEMPORALI DELL’ALLENAMENTO.

La forza esplosiva deve costituire la base della preparazione fisica, la resistenza viene

allenata successivamente.

CONSIDERAZIONI PRATICHE SULLA FORZA

Nella maggior parte degli sport, l’incremento della prestazione è dato dal miglioramento

della velocità del gesto tecnico, questo significa sviluppare elevati gradienti di forza nel

minor tempo possibile, vale a dire migliorare la forza esplosiva

Page 124: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

124

Per capire meglio il miglioramento della forza esplosiva analizziamo la relazione forza-

velocità (fig. 104).

F i g . 1 0 4 R e l a z i o n e fo r z a / v e l o c i t à tr a c a r i c o s o l le v a to e v e lo c it à d i sp o s t a m e n t o

0

1 00

2 00

3 00

4 00

5 00

6 00

7 00

8 00

9 00

1 0 00

0 0 ,2 0 ,6 1 1 ,4 1,8 2 V m /s

F N

F o r z a m a s s im a

F o rz a e s p l o s iv a

Si nota dalla figura che, al diminuire del carico da spostare, diminuisce la forza ed

aumenta la velocità. Appare chiaro che la forza massima si estrinseca con velocità basse,

mentre, quella esplosiva, con velocità alte. Migliorare la forza esplosiva significa spostare

la curva forza-velocità verso destra. Questo, però, non è sempre possibile poiché la forza

esplosiva è legata alla forza massima, perciò, per migliorarla, occorre migliorare anche

quest’ultima.

Spesso si esalta troppo lo sviluppo della forza massima trascurando l’elemento velocità.

Così facendo, si corre il rischio di cadere nell’errore di diventare “troppo forti”, cioè capaci

di sollevare un carico maggiore, ma allo stesso tempo più lenti.

Questo perché, nell’allenamento della forza, spesso si prende in considerazione un solo

aspetto, vale a dire la forza stessa, trascurando un altro importantissimo parametro, cioè

la velocità con cui la forza si manifesta.

Utilizzando solo il carico massimo come parametro di riferimento (sistemi tradizionali come

metodo piramidale, ripetizioni massime RM, metodo a contrasto), si trascura il parametro

più efficace per creare adattamenti specifici e concreti, cioè l’intensità del carico.

L’intensità si può definire il modo con cui si sposta un carico, cioè la velocità di

spostamento, poiché è proprio la velocità con cui è realizzato il movimento che favorisce il

miglioramento e, quindi, l’adattamento di un processo biologico, anziché di un altro.

Page 125: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

125

Oggi si sono distinte la percentuale del carico e l’intensità per allenare le varie espressioni

di forza:

Alla luce di queste considerazioni una programmazione razionale e personalizzata non

può essere formulata basandosi su esperienze empiriche. Oggi sono state messe a punto

attrezzature (Muscle Lab Bosco Sistem) che consentono di valutare e controllare

sistematicamente l’allenamento di ogni atleta prendendo in considerazione le

caratteristiche muscolari di ogni individuo. Per il miglioramento della forza nelle sue varie

espressioni si prende in considerazione il valore della potenza, essendo questo

parametro, il prodotto della forza per la velocità. Prendendo in esame questo parametro

vediamo di seguito quali sono i campi di intervento per allenare le varie espressioni di

forza.

FORZA MASSIMA

Per quanto riguarda la forza massima, si consiglia di utilizzare carichi compresi tra il 70 e il

100% del CM (carico massimo), in questo modo si è certi di sollecitare tutte le unità

motorie possibili. Con carichi prossimi a quelli massimali possiamo stimolare con forti

sollecitazioni, il sistema neuromuscolare, per periodi relativamente lunghi (700 – 900 ms.).

Con carichi al di sotto del 70% del CM possiamo, sì avere un reclutamento massimale, ma

con tempi di lavoro molto ridotti rispetto ai carichi maggiori. L’effetto allenante per la forza

massimale consiste nella stimolazione protratta nel tempo fig. 105. Il valore della potenza

nelle ripetizioni non deve scendere al di sotto del 90% di quello massimale fig. 106.

Page 126: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

126

Fig 105 Attività elettromiografica registrata nei muscoli estensori del ginocchio

(quadricipite femorale) durante l’esecuzione di uno squat jump, ½ squat con un carico pari

al 50% e con un carico pari al 250% del peso corporeo. Si evidenzia come nello squat

jump l’entità dell’attivazione mioelettrica è di gran lunga maggiore di quella che si ottiene in

prestazioni di ½ squat. Nello stesso tempo si può notare che la durata dello stimolo, nello

squat jump, è solo il 40% di quello che si registra nel ½ squat eseguito con sovraccarico

del 250% del peso corporeo (da: Bosco e coll. 1996)

Page 127: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

127

Fig 106

FORZA ESPLOSIVA

Fattori collegati allo sviluppo della forza esplosiva

La capacità di sviluppare gradienti di forza esplosiva in forma balistica, caratterizza

molte discipline sportive. La forza esplosiva rappresenta la qualità muscolare

fondamentale ai fini della prestazione agonistica. I fattori che sono stati individuati e

correlati alla sua manifestazione (Bosco 1995) sono i seguenti:

1. frequenza degli impulsi nervosi che dal cervello arrivano ai muscoli;

2. numero delle fibre muscolari a cui vengono inviati i messaggi;

3. Influenza del biofeedback delle cellule di Renshaw dei propriocettori (o fusi muscolari),

dei corpuscoli tendinei del Golgi (GTO), dei recettori articolari, insieme ad altri, a livello

spinale e/o sopraspinale;

4. Tipo di fibre muscolari (fibre veloci (FT), e/o lente (ST), ed intermedie (FTR);

5. Dimensione e tensione prodotta da ciascuna fibra muscolare, che dipendono

rispettivamente dalle masse e dal peso molecolare della struttura proteica che

costituisce la fibra;

ALLENAMENTO PER LA FORZA MASSIMA

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1

Velocità m/s

pot W 100%pot W 90% Forza N

CARICO : 70% - 100% 1 RM

POTENZA : > 90% della max

Fo

rza

N/P

ote

nza

W

Page 128: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

128

6. Condizioni fisiologiche in cui si trova la fibra muscolare prima che venga sviluppata la

forza esplosiva (stato di riposo, attivo), cioè se il lavoro concentrico o positivo viene

eseguito dopo uno stiramento attivo (lavoro eccentrico) del muscolo, o se viene

prodotto partendo da condizioni di riposo;

7. Stato di allenamento in cui la fibra muscolare si trova; questo interessa sia il

comportamento neuromuscolare che metabolico della fibra stessa;

8. Livello di concentrazione del testosterone in circolo.

La forza muscolare e la velocità sviluppate dal lavoro muscolare sono difficili da

distinguere l’una dall’altra. Ambedue vengono prodotte dallo stesso meccanismo di

controllo e guida, che è il sistema neuromuscolare. La velocità di contrazione di un

muscolo dipende dall’entità del carico esterno; con carichi alti si ottengono velocità basse

e viceversa (Hill 1938). Il prodotto della forza estrinsecata e della velocità sviluppata

determinano la potenza meccanica che il muscolo può realizzare con quel determinato

carico. Un muscolo sviluppa la potenza massima (Pmax) generalmente quando la forza

raggiunge il 35-45% della forza massimale (Fmax), ed il 35-45% della massima velocità di

accorciamento (Vo); questo si verifica sia nel muscolo isolato (Hill 1938) che in vivo

(Bosco e coll. 1982).

La forza esplosiva si può identificare con la potenza massima, dato che rappresenta

l’espressione più elevata di produzione lavoro, in brevissimo tempo, che coinvolge sia i

meccanismi neuromuscolari che quelli morfologici e strutturali.

Il miglioramento della forza massima avviene prima con adattamenti e modificazioni di

origine nervosa e, successivamente, seguono complesse trasformazioni e mutamenti

morfologici che conducono all’ipertrofia muscolare. E’ possibile che i fattori neurali

agiscano a diversi livelli del sistema nervoso centrale e periferico.

Questo determina come risultato finale un’attivazione massimale di tutte le fibre muscolari

(Millner-Brown et coll. 1975). Ciò significa avere la possibilità di stimolare istantaneamente

un altissimo numero di fibre muscolari, che in definitiva sono quei processi che

determinano la forza esplosiva.

Adattamento neurogeno significa inoltre, migliorare la coordinazione intra ed

intermuscolare che conduce ad un risparmio d’energia metabolica, oltre che all’incremento

della velocità d’esecuzione di un movimento.

Page 129: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

129

Studi condotti su atleti, avevano indotto a pensare che l’allenamento della forza massima

determinasse un miglioramento del sistema di reclutamento delle varie fibre muscolari.

Pertanto, essendo questo collegato alla forza esplosiva, ne favorirebbe il miglioramento.

Le interazioni tra la forza esplosiva e quella massima sono state per lungo tempo

considerate gli unici legami biologici tra le due espressioni di forza. Infatti queste mostrano

tra loro basi comuni di natura metabolica, strutturale e neurogena. Tra queste, le ultime

sembrano possedere maggiori legami funzionali.

Per tale ragione, quando la velocità d’esecuzione diventa fattore indispensabile per la

riuscita della prestazione, si cerca di migliorare la forza esplosiva sia con metodologie

dirette, sia attraverso il miglioramento della forza massima.

Per allenare la forza esplosiva, si consigliano carichi leggeri che si aggirano tra il 20% e il

70% del CM con sviluppi di potenza sempre massimali, con valori compresi tra il 90 e il

100% di quello max. Per avere alti sviluppi di forza esplosiva debbono essere coinvolte

prevalentemente le fibre bianche, pertanto l’esecuzione del movimento deve essere più

veloce possibile. Con carichi al di sotto del 70% per ottenere il massimo sviluppo di

potenza sia la forza sia la velocità devono essere massimali. E’ importante in questo tipo

di lavoro un recupero totale fig.107.

Fig. 107

IPERTROFIA MUSCOLARE

L’ipertrofia, cioè incremento di massa muscolare, non è da considerare un’espressione di

forza bensì un meccanismo strutturale che influenza la forza massima, Per allenarla si

ALLENAMENTO PER LA FORZA ESPLOSIVA

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1 Velocità m/s

Forza N/Potenza W

pot W 100%

pot W 90%

Forza NCARICO : 20% - 70% 1 RM POTENZA : > 90% della max

Page 130: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

130

utilizzano carichi compresi tra il 70% e il 85% del CM con sviluppi di potenza tra l’80%e il

90% della Max (fig. 108). La scelta delle percentuali del carico è dettata dal fatto che esso

deve essere sufficientemente alto per permettere la stimolazione di tutte le unità motorie

disponibili e quindi il maggior numero di fibre, ma non superiore al 85% perché limiterebbe

il numero di ripetizioni. I valori della potenza non devono superare il 90% in quanto

insorgerebbe precocemente la fatica limitando il numero delle ripetizioni, pertanto non si

attivano i processi metabolici utili per l’ipertrofia. Valori al di sotto dell’80%

significherebbero velocità basse, perciò reclutamento di fibre lente che non producono

sostanziali incrementi di massa muscolare al contrario delle fibre bianche.

Fig 108

ALLENAMENTO PER IPERTROFIA

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1 Velocità m/s

Forza N/Potenza W pot W 100% pot W 90% pot W 80% Forza N CARICO : 70% - 85% 1 RM

POTENZA : 80% - 90% della max

Page 131: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

131

RESISTENZA ALLA FORZA VELOCE

I carichi da utilizzare si aggirano tra il 20 e il 50% del CM con valori di potenza tra l’80% e

il 90% della Max (fig. 109).

Fig 109

RESISTENZA MUSCOLARE

Carichi di lavoro compresi tra il 20 e il 50% del CM. I valori della potenza devono essere

compresi tra il 60 e l’80% della Max (fig. 110).

Fig 110

ALLENAMENTO PER LA RESISTENZA ALLA FORZA VELOCE

0

10 20 30 40 50 60 70 80 90

100

0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1 Velocità m/s

Forza N/Potenza W

pot W 100%pot W 90%pot W 80%Forza N

CARICO : 20% - 50% 1 RM POTENZA : 80% - 90% della max

ALLENAMENTO PER LA RESISTENZA

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

100

0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1 Velocità m/s

Forza N/Potenza W

pot W 100% pot W 80% pot W 60% Forza N

CARICO : 20% - 50% 1 RM

POTENZA : 60% - 80% della max

Page 132: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

132

Per tutte le espressioni di forza elencate, compresa l’ipertrofia muscolare, il numero delle

ripetizioni, per ogni serie eseguita, non sono più stabilite a priori, ma sono determinate in

base ai valori di potenza sviluppati per ogni serie. I valori della potenza devono rimanere

entro il range indicato per ogni espressione di forza, tutto questo oggi è possibile attuarlo

con le moderne attrezzature che si trovano in commercio.

L’apparecchiatura attualmente più utilizzata è quella realizzata dal Prof. Bosco denominata

Muscle Lab Bosco-System, composta di sensori che collegati alle normali macchine di

muscolazione o al bilanciere libero, è capace di rilevare fenomeni meccanici dovuti alla

contrazione muscolare, quali ad esempio lo spostamento che il carico subisce ed il tempo

impiegato per il movimento. Oltre a questi due parametri, il Muscle Lab fornisce anche i

valori della Forza espressi in Newton, la Potenza Max e la Potenza Media per ogni serie di

lavoro. Questo strumento, oltre alla valutazione delle caratteristiche muscolari, trova facile

ed utile applicazione per la guida e la personalizzazione del carico di lavoro

nell’allenamento.

Page 133: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

133

ASPETTI NEURONALI DELLA FORZA

Elettromiografia

Per elettromiografia (EMG) si intende l’insieme delle tecniche per il rilievo,

l’elaborazione, la rappresentazione e l’interpretazione dei segnali elettrici generati,

durante la contrazione volontaria o indotta, dai muscoli scheletrici. (De Luca e

Knaflitz, 1992)

Tipi di elettromiografia:

• ELETTROMIOGRAFIA DI SUPERFICE: realizzata mediante elettrodi di superficie

applicati nella parte sovrastante il muscolo da analizzare

• ELETTROMIOGRAFIA INTRAMUSCOLARE: realizzata mediante aghi introdotti nel

muscolo da indagare.

In questa circostanza viene trattata solo l’elettromiografia di superficie.

L’elettromiografia intramuscolare risulta essere una pratica invasiva perciò può essere

trattata solo da personale medico.

L’elettromiografia di superficie può essere eseguita da tutti ma solo a scopo valutativo e

non per scopi diagnostici.

Il segnale che si registra con l’elettromiografia di superficie può essere di due tipi a

secondo degli strumenti utilizzati:

• Segnale grezzo

• Segnale rettificato

Il segnale grezzo è visualizzato nella figura 111, si può notare come vi siano picchi positivi

e negativi del segnale, oltre a momenti in cui i picchi sono molto alti e più serrati tra di loro.

Queste fasi stanno ad indicare che il segnale elettrico che arriva al muscolo è molto più

intenso e con frequenza più alta.

Questo tipo di segnale è molto difficile da interpretare e tradurre in aspetti pratici

soprattutto per i meno esperti di elettromiografia.

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134

fig 111

Vi sono oggi strumenti in commercio che forniscono un segnale molto più semplice da

leggere come in fig 112. Questo tipo di segnale viene definito “segnale rettificato”.

Fig 112

Il tracciato del segnale viene RETTIFICATO, calcolato come i valori medi del segnale base

(Average Rectified Value AVR) o anche come i valori della radice quadrata dei valori medi

elevati al quadrato (Root Mean Square RMS) segnale di fig 113

Il passaggio da un segnale grezzo ad un segnale rettificato viene illustrato nella fig 114.

Fig 113

Il segnale grezzo evidenziato in rosso viene rettificato, cioè trasformato in un segnale tutto

positivo (curva blu) secondo il metodo della Root Mean Square.

EMGrms

VL sx

VL dx

EM

G[m

V]

Time[s]

0.000

0.002

0.004

0.006

0.008

0.010

1.1 1.8 2.6 3.4

Page 135: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

135

Altro metodo per quantizzare il segnale elettromiografico è quello del calcolo dell’’integrale

in funzione del tempo (IEMG) della curva RMS; con questa sigla s’intende il volume

(quantità) totale rispetto al tempo totale dell’esercizio fig 115.

Fig 115

Nella figura 116 viene messo in evidenza le diverse risposte del segnale elettrico

registrate in contrazioni isometriche fino all’affaticamento e con carichi diversi rispetto al

carico massimo del soggetto in esame.

Nel grafico si evidenzia come varia l’attività elettrica al variare del carico utilizzato e alla

durata della contrazione in un test di isometria totale. Si nota come all’aumentare del

carico vi è un incremento dell’attività elettrica. L’aumento dell’attività elettrica si ha sin

dall’inizio della contrazione dovuto ad un maggior numero di fibre da reclutare per

sostenere un carico maggiore. L’attività elettrica, durante tutto il tempo della contrazione,

tende ad aumentare e questo si verifica proporzionalmente per tutti e tre i carichi. Questo

fenomeno è spiegabile dal fatto che il muscolo è costretto, per stanchezza delle fibre

reclutate inizialmente, a reclutare sempre nuove fibre sino alla fine della contrazione.

Page 136: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

136

Fig 116

Efficienza neuromuscolare

L’incremento di forza che un muscolo ottiene dopo un periodo di allenamento, è dovuto a

adattamenti e modificazioni sia della parte miogena sia della parte neurale.

Questi miglioramenti portano ad un diverso rapporto tra forza sviluppata ed attività elettrica

prodotta dal sistema nervoso centrale EMG/Forza. Una decremento di questo rapporto

dovuta ad un riduzione dell’attività elettrica ed un aumento della forza evidenzia un

fenomeno definito da Bosco efficienza neuromuscolare.

Questo fenomeno è spiegabile con l’esperimento riportato di seguito sulle conseguenze

dell’allenamento incrociato effettuato sugli arti superiori.

Effetti di allenamenti incrociati hanno dimostrato un aumento di forza sull’arto

controlaterale non allenato (Ikai e Fukunaga 1970, Houston e coll. 1983, Komi e coll.

1978). Sono stati condotti degli studi su ambedue gli arti superiori e si è notato che

allenando un solo braccio, si ottengono miglioramenti di forza anche sull'altro arto non

allenato.

Nella Fig 117 si nota l'effetto di un allenamento di forza su un braccio allenato ed uno non

allenato. L'incremento di forza per il braccio allenato è dato sia da un miglioramento della

parte miogena, evidenziato da un aumento della massa muscolare, sia da un livello di

attivazione nervosa maggiore.

Per l'arto non allenato l'aumento di forza è dato solo da un incremento dell'attività nervosa.

Page 137: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

137

Nella Fig 118 si evidenzia il miglioramento dell’EMG in funzione della forza prima e dopo

l'allenamento. Il miglioramento consiste in una diminuzione dell'attività elettrica per

esprimere la stessa forza, vale a dire una maggiore efficienza neuromuscolare, mentre

nell'arto non allenato si osserva un miglioramento nervoso per esprimere più forza

massima. I miglioramenti che si ottengono sul braccio non allenato, sono dovuti solo ed

esclusivamente ad un incremento dell'attività elettrica ottenuto dalla stimolazione dell'altro

braccio.

Fig. 117 Effetto di un allenamento di forza sul braccio allenato ed il braccio non allenato

(secondo Moritani e De Vries 1979)

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Fig 118 risultati di un allenamento di forza sul braccio allenato ed il braccio non allenato

(secondo Moritani e De Vries 1979)

Concludendo si può riassumere dicendo che l’incremento di forza che un muscolo ottiene

dopo un periodo di allenamento, è dovuto a adattamenti e modificazioni sia della parte

miogena sia della parte neurale.

RITARDO ELETTROMECCANICO

Quando un muscolo si contrae per muovere una leva ossea, si verifica sempre un

fenomeno definito “ritardo elettromeccanico”. L’inizio della contrazione muscolare non

coincide mai con l’inizio del movimento da parte della leva ossea su cui il muscolo

s’inserisce mediante il tendine. Il movimento della leva ossea avviene sempre in ritardo

rispetto all’inizio della contrazione muscolare, questo accade poiché il tendine, che lega il

muscolo all’osso, presenta una certa elasticità e solo dopo aver raggiunge una certa

rigidità, riesce ad applicare forza alla leva ossea e produrre movimento. La tensione viene

trasmessa ai tendini con un certo ritardo per stirare gli elementi elastici in serie nei muscoli

fig 119

Page 139: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

139

Fig 119 Il punto A momento prima della contrazione, punto B inizio della contrazione ed allungamento del tendine,

punto C inizio del movimento del carico esterno.

Nella figura 120 si può notare l’incremento dell’attività elettrica (spazio tra i due marker

verticali parte bassa del grafico) e l’inizio della velocità (spazio tra i due marker parte alta

del grafico, curva verde). L’intervallo di tempo che intercorre tra i due marker, è il tempo

utile a stirare il tendine e solo dopo inizia il movimento del carico esterno. Il tempo utile a

stirare il tendine è definito ritardo elettromeccanico.

Fig 120

Velocity[m/s]

0.0

0.7

1.3

2.0

-0.1-0.2 0.0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6

Velocity Force Power

0

1025

2050

3075

4100

VL sx RF sx RF dx VL dx

EMG

[%]

Time[s]

0

50

100

150

200

250

300

-0.1-0.2 0.0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6

Page 140: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

140

ANALISI DEI FATTORI INIBITORI

Nella figura 85 si può notare l’esempio di un fenomeno inibitorio riscontrato su un atleta

nell’esercizio di ½ squat. Nella parte superiore della figura si evidenziano i parametri della forza

(linea blu), della potenza (linea rossa) e della velocità (linea verde) e nella parte inferiore della

figura abbiamo i tracciati dell’EMG dei muscoli del vasto laterale e del retto femorale sinistro e

destro.

Fig 121

Il punto dove si trova il marker viola è il momento in cui l’atleta termina la fase eccentrica

del movimento di ½ squat ed inizia la fase concentrica. La posizione del marker verde

indica il punto in cui l’atleta raggiunge la massima velocità negativa. In questo istante

l’atleta, dopo una decontrazione iniziale, inizia a contrarsi prima per frenare il carico e in

seguito invertire il movimento. Proprio in questa fase l’atleta registra un elevato sviluppo di

forza e sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la velocità di discesa. La velocità di

discesa dipende dallo stato di decontrazione muscolare che l’atleta ha nella fase

eccentrica. In altri termini se l’atleta nella fase di discesa si contrae e quindi scende più

lentamente, la tensione muscolare al momento dell’inversione del carico sarà minore. Al

contrario si avranno elevate tensioni se la fase eccentrica viene eseguita con la massima

decontrazione. Quando i meccanismi di difesa, in questo caso i corpuscoli tendinei del

Golgi, rilevano tensioni elevate tali da poter produrre danni al sistema muscolo-tendineo,

questi mandano impulsi inibitori in modo da controllare lo stato di eccitazione a cui deve

essere sottoposto il sistema muscolo tendineo onde evitare dannose e pericolose

Vel

ocity

[m/s

]

-0.7

-1.3

0.0

0.7

1.3

2.0

0.0 0.5 1.0 1.5

Velocity Force Power

0

1000

2000

3000

4000

VL sx RF sx RF dx VL dx

EM

G[%

]

Time[s]

0

100

200

300

400

500

600

0.0 0.5 1.0 1.5

Page 141: APPUNTI Di Biomeccanica AA 2011_12

141

sollecitazioni. La fig 121 mette in risalto un fenomeno di inibizione dovuta ad una tensione

troppo elevata, infatti, l’attività elettrica della fase eccentrica risulta essere elevata e nella

successiva fase concentrica subire un decadimento. In un movimento privo di inibizioni

l’EMG della fase concentrica risulta essere più alta di quella eccentrica.

La fig 122 evidenzia un’attività elettrica con andamento diverso rispetto al test precedente.

Si può notare che il segnale EMG tra la fase eccentrica e quella concentrica ha un

andamento crescente quindi non sono presenti fenomeni inibitori.

Fig 122

La coordinazione intermuscolare

Molti studi dimostrano che il miglioramento della forza è specifico, cioè un progresso

ottenuto in un determinato esercizio, ad esempio lo squat, non è sempre accompagnato

da un miglioramento della forza in un altro esercizio. Ciò significa che incrementi di forza

in parte sono dovuti alla coordinazione di quei muscoli che intervengono e che sono

specifici per quel determinato esercizio. Di solito gli esercizi utilizzati per lo sviluppo della

forza, nelle sue varie espressioni, sono molto diversi dal gesto tecnico, per questo è

importante che l'allenamento della forza sia combinato con altri esercizi che si avvicinano

sempre più alla tecnica specifica della disciplina praticata. Questi esercizi in gergo

vengono definiti esercizi di forza speciale e specifica ed ogni disciplina sportiva ha i propri

esercizi speciali.

Velocity[m

/s] -0.7

-1.3

0.0

0.7

1.3

2.0

0.0 0.5 1.0 1.5

Velocity Force Power

0

1075

2150

3225

4300

VL sx RF sx RF dx VL dx

EM

G[%

]

Time[s]

0

100

200

300

400

0.0 0.5 1.0 1.5

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142

Altro fenomeno che rientra tra la coordinazione intermuscolare è il rapporto tra muscoli

agonisti ed antagonisti, la cosiddetta co-contrazione degli antagonisti. La contrazione dei

muscoli agonisti a volte è accompagnata da una simultanea contrazione degli antagonisti,

soprattutto durante esercitazioni molte rapide ed intense. Questo fenomeno si verifica

spesso in atleti poco evoluti tecnicamente o su atleti che apparentemente non accusano

nessun problema ma che, in effetti, presentano il muscolo interessato non in perfette

condizioni fisiche. Questo fenomeno costituisce una sorta di meccanismo di difesa.

Fig 123 Rappresentazione dei relativi ruoli di adattamento neurale e morfologico all’allenamento di forza massimale

(modificato da: Sale, 1988).