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Preparatevi al quiz on line consultando gli “Appunti” come ulteriore strumento di approfondimento. Appunti Da Rifiuto a Risorsa Da sempre, fin dalla comparsa delle prime forme di vita umana organizzata, ci si è dovuti confrontare con il problema della gestione e dello smaltimento dei rifiuti che inevitabilmente rimangono al termine delle diverse attività umane. Già nel IV secolo a.C. Atene organizzò probabilmente la prima discarica del mondo occidentale di cui si abbia notizia per scaricare i rifiuti ad almeno un miglio dalla città. Nel I secolo d.C. Marziale, un grande poeta latino, si lamentava che per le vie di Roma si corresse spesso il rischio di essere investiti dai rifiuti che venivano gettati dalle finestre, e verso la fine del XIV secolo il Parlamento inglese emanò la prima legge che vietava lo scarico dei rifiuti nelle pubbliche strade. Come si vede, quindi, il problema dello smaltimento dei rifiuti non è certamente nuovo. Anche il riciclaggio ha una storia che viene da lontano, considerando che si può far risalire al 3.000 a.C il riutilizzo di rottami di metallo, ai primi secoli dell’Impero Romano il riciclaggio di scarti di vetro e al 1.500 quello degli scarti tessili e cellulosici. Il rifiuto, quindi, appartiene al ciclo della vita e fa parte di quel processo naturale in cui tutto viene trasformato: il ciclo biologico non prevede rifiuti ma semplicemente trasformazioni della materia ( in fisica il celebre principio di conservazione della materia afferma che “nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma”).

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Preparatevi al quiz on line consultando gli “Appunti” come ulteriore strumento di

approfondimento.

Appunti

Da Rifiuto a Risorsa

Da sempre, fin dalla comparsa delle prime forme di vita umana organizzata, ci si è

dovuti confrontare con il problema della gestione e dello smaltimento dei rifiuti che

inevitabilmente rimangono al termine delle diverse attività umane.

Già nel IV secolo a.C. Atene organizzò probabilmente la prima discarica del mondo

occidentale di cui si abbia notizia per scaricare i rifiuti ad almeno un miglio dalla

città. Nel I secolo d.C. Marziale, un grande poeta latino, si lamentava che per le vie di

Roma si corresse spesso il rischio di essere investiti dai rifiuti che venivano gettati

dalle finestre, e verso la fine del XIV secolo il Parlamento inglese emanò la prima

legge che vietava lo scarico dei rifiuti nelle pubbliche strade.

Come si vede, quindi, il problema dello smaltimento dei rifiuti non è certamente nuovo.

Anche il riciclaggio ha una storia che viene da lontano, considerando che si può far

risalire al 3.000 a.C il riutilizzo di rottami di metallo, ai primi secoli dell’Impero

Romano il riciclaggio di scarti di vetro e al 1.500 quello degli scarti tessili e cellulosici.

Il rifiuto, quindi, appartiene al ciclo della vita e fa parte di quel processo naturale in

cui tutto viene trasformato: il ciclo biologico non prevede rifiuti ma semplicemente

trasformazioni della materia ( in fisica il celebre principio di conservazione della

materia afferma che “nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma”).

Fino ai primi anni ’50 del secolo scorso, questo sistema naturale di “riciclaggio” e

“riutilizzo” è stato in grado di assorbire i rifiuti prodotti dall’uomo e dalle sue attività.

Successivamente, però, a partire dagli anni del cosiddetto boom economico (anni

‘60/’70), con l’avvento del consumismo di massa e del grande aumento demografico

delle nostre città, è entrato in crisi qualunque sistema di gestione dei rifiuti

precedentemente applicato.

Benessere economico e aumento della popolazione hanno determinato, in particolare a

partire dagli anni ’60, un costante e inesorabile aumento pro-capite della produzione

dei rifiuti solidi urbani e una loro inarrestabile diversificazione, con gli imballaggi in

plastica che hanno occupato sempre più spazio nella nostra vita quotidiana.

Nel breve spazio di 50 anni siamo passati dalla produzione di circa 300 gr./ giorno di

rifiuti ad 1,5 Kg./giorno circa per un totale annuo in Italia di oltre 32 milioni di

tonnellate.

Senza contare che fino al 1960 gran parte dei rifiuti veniva recuperata e riciclata

mentre oggi del milione e ottocentomila tonnellate prodotte dalla nostra città, solo

poco più del 20% viene avviato a recupero attraverso la raccolta differenziata, con

l’obiettivo di far rientrare i materiali differenziati nel ciclo della produzione

industriale sotto forma di materia prima seconda.

Esiste un rapporto diretto tra quantità dei rifiuti prodotti e la ricchezza di un Paese:

pertanto, la maggior produzione dei rifiuti registrata negli ultimi anni sul pianeta è

dovuta al livello generale della produzione e quindi agli stili di vita che si sono

affermati negli stati occidentali ad economia avanzata.

Questa situazione, nel breve spazio di alcuni decenni, ha comportato gravi problemi di

inquinamento e di sostenibilità ambientale ed un conseguente scadimento della qualità

della vita, che, soprattutto nelle megalopoli di tutto il mondo, ha raggiunto livelli

preoccupanti per la stessa sopravvivenza umana.

La composizione merceologica dei rifiuti si è andata modificando nel tempo e

diversificando sul territorio parallelamente con il mutamento delle attività umane e

delle condizioni di vita delle popolazioni.

Specialmente in alcune città orientali, mediorientali e dell’America Latina (il Cairo,

Bombay, Shangay, Città del Messico, Buenos Aires…) il fenomeno dell’urbanesimo

spinto a livelli insostenibili ha di fatto portato tali città allo stato di vero e proprio

collasso ambientale, cui il problema dello smaltimento dei rifiuti ha contribuito in

maniera determinante.

Ma il motivo scatenante di questi incombenti disastri ambientali è rappresentato dal

fatto che, con l’accrescimento della densità della popolazione, si è verificata anche

una trasformazione continua dei materiali prodotti dalle industrie e usati dalle

popolazioni. Si è così passati, nello spazio temporale di qualche decennio, da

un’economia costituita in gran parte di prodotti naturali, ad una economia basata sulla

produzione e il consumo di prodotti sintetici, in numero e quantità sempre crescente.

Tanto per fare un esempio, basti sapere che i rifiuti di Roma, appena cento anni fa,

erano ancora costituiti da stracci, ossa,vetro, carbone, scarpe, carta, pane, metalli

diversi, mozziconi di sigari mentre le sostanze organiche, eccezion fatta per una

piccolissima quantità di pane (1%) ed il carbone di scarto, erano del tutto assenti.

Ma il passaggio dai “vecchi” rifiuti ai “nuovi”, difficilmente biodegradabili, non ha

prodotto nuovi sistemi di smaltimento che sono rimasti gli stessi utilizzati sin

dall’antichità cioè: discarica o incenerimento. In entrambi i casi le conseguenze sono

state disastrose.

Per arginare questa inarrestabile marcia dei rifiuti che minacciano di sommergerci,

molti paesi europei sin dagli anni ’70 hanno emanato leggi e regolamenti per

proteggere l’ambiente e contemporaneamente hanno dato grandi incentivi per attivare

le raccolte differenziate di quei rifiuti che, attraverso il riciclaggio, potevano

rientrare nel circuito industriale e del consumo.

Solo nel 1997 l’Italia con il decreto 22 del 5 febbraio, ha emanato una normativa nota

come “Decreto Ronchi” (dal nome dell’allora ministro dell’Ambiente), che ci ha allineato

a tutti gli altri Paesi europei nella gestione dei rifiuti e ha segnato per noi un’autentica

svolta anche culturale.

Finalmente venne introdotto il principio della responsabilità nella gestione e nello

smaltimento dei rifiuti, un principio che coinvolge sia l’industria che produce, sia il

cittadino/consumatore che acquista, usa e getta nella pattumiera ciò che diventa

rifiuto.

E venne sancito, per una corretta ed ecosostenibile gestione dei rifiuti, un percorso

virtuoso che prevede al primo punto la riduzione della loro produzione ed a seguire la

raccolta differenziata, con precisi obbiettivi e percentuali da raggiungere negli anni a

venire, ed ancora il ricorso agli inceneritori per la frazione secca non riciclabile ed

infine la discarica destinata ad accogliere solo il rifiuto non riciclabile.

Il decreto fissava degli obbiettivi a breve , medio e lungo termine per incrementare

le raccolte differenziate. Meta finale da raggiungere per tutti i Comuni era quota

35% di raccolta differenziata entro il 2003.

La realtà dei nostri giorni ci conferma come sia ancora lontana quella percentuale e

come la gestione di questo problema sia ugualmente lontana dall’essere risolta

nonostante il D.L. 22/95. I dati ISTAT 2008 ci dicono che a fronte di una media

nazionale di Raccolta Differenziata pari al 28,5% abbiamo i comuni del nord che hanno

raggiunto il 39,9%, i comuni del centro il 25,5% e i comuni del sud appena il 14,5%.

A livello di grandi comuni, i valori maggiori li raggiungiamo a Torino con il 41,5%

mentre quelli più bassi a Catania con il 10,1% e a Palermo con il 4,6%.

Esistono comunque piccole realtà soprattutto al Nord, ma anche al centro e al sud

della nostra penisola, in cui si è raggiunta la quota a del 60/70% e anche 80% di

raccolta differenziata a dimostrazione che gran parte dei nostri rifiuti possono

essere avviati a recupero e che nei Comuni medio-piccoli e con una grande sensibilità

ambientale è più facile organizzare un servizio capillare di raccolta dei rifiuti ed è più

facile il coinvolgimento attivo dei singoli cittadini.

Forse è proprio quest’ultimo aspetto uno dei grandi responsabili del mancato

raggiungimento degli obbiettivi previsti dal Decreto Ronchi. Molti cittadini non si

sentono ancora parte del problema, non ne avvertono la responsabilità individuale e

neanche lontanamente avvertono i preoccupanti scenari futuri che si prospettano

perdurando questa situazione di disinteresse.

Continuando in questo breve excursus tra i rifiuti ci poniamo ora alcune domande alle

quali tenteremo di dare una risposta:

Qual’ è la composizione merceologica dei nostri rifiuti (in pratica, cosa consumiamo?);

Qual’ è il percorso che attualmente i rifiuti fanno dalla “culla alla tomba”?

Quali le alternative messe in campo dalle varie Amministrazioni per risolvere i

problemi della gestione e dello smaltimento finale dei rifiuti?

Ed infine, quali le prospettive ?

COMPOSIZIONE MERCEOLOGICA DEI RIFIUTI

Abbiamo accennato che fino alla fine del 1800 i rifiuti prodotti nelle realtà urbane

erano costituiti in gran parte da materiali naturali che, a parte considerazioni

igieniche, venivano comunque smaltiti dai batteri decompositori presenti sul nostro

pianeta da centinaia di milioni di anni che li metabolizzavano e li riciclavano. Oggi la

situazione è molto cambiata, e i rifiuti che produciamo sono molto diversi per qualità e

per quantità. Le moderne tecnologie ci hanno permesso di avere oggetti in materiali

nuovi, molto più leggeri e pratici, igienici e sicuri, con costi industriali molto bassi. Ma

c’è un particolare di non secondaria importanza da considerare: non esistono organismi

decompositori capaci di metabolizzarli e riciclarli in natura. Dobbiamo assolutamente

essere consapevoli che non possiamo smaltire questi “nuovi” rifiuti utilizzando metodi

che risalgono alla notte dei tempi della storia dell’umanità.

Da analisi campionarie effettuate negli ultimi anni, questa è la composizione media dei

rifiuti solidi urbani che si è riscontrata a Roma:

rifiuti organici 30- 35%

carta e cartone 20-25%

plastiche 13-15%

vetro 5-8%

metalli 3-4%

imballaggi compositi

tessili, legno

piccoli elementi 15-20%

materiali pericolosi

(farmaci, pile, vernici…) 1%

Ora, se escludiamo la voce relativa ai materiali pericolosi e quella parte di rifiuti

difficilmente separabile, la gran parte dei rifiuti che produciamo potrebbero essere

recuperati e riciclati. Parliamo in dettaglio di quelle voci che di più fanno parte della

nostra pattumiera e che possono essere recuperate e riciclate con relativa facilità.

I RIFIUTI ORGANICI (frazione umida dei rifiuti):

(Tutti i sistemi viventi si trovano sulla terra e nell’aria, muoiono sul terreno

trasformandosi continuamente, ma senza lasciare traccia di rifiuti: unica eccezione,

l’animale uomo.)

Ogni italiano produce in media ogni anno, circa 150 kg. di rifiuti organici per un totale

di circa 10 milioni di tonnellate riferito al dato nazionale. Una quantità enorme di

bucce di frutta, scarti di ortaggi,resti di carne, pesce, formaggio, fondi di caffè, erba

di sfalcio, residui di potatura, tutti rifiuti che, se smaltiti in discarica, fermentano e

producono liquami (percolato) e gas (biogas) provocando gravi problemi di

inquinamento ambientale se non aspirati dalla massa dei rifiuti. Ritorneremo su questo

argomento quando affronteremo il problema delle discariche.

CARTA E CARTONE (frazione secca dei rifiuti):

Ossa, pareti di caverna, tavole di pietra, tavolette di argilla, il papiro in Occidente e le

pelli di animali (la pergamena), la seta in Oriente, poi finalmente nel 105 d.C in Cina,

utilizzando vecchi stracci,residui di reti da pesca e scorza d’albero apparve il primo

materiale leggero, economico e resistente da cui ebbe origine la carta, che dalla Cina

arrivò in Arabia e da questa in Spagna finché, intorno all’anno 1.000, si diffuse anche

in Italia. Oggi possiamo produrre carta utilizzando il legno (per ottenere la pasta di

cellulosa), il riso, il lino, il cotone, la seta, gli stracci, il mais, il luppolo, le alghe e

tantissimi altri materiali. Se la scrittura è stata la base dello sviluppo e del progresso

dell’umanità, l’invenzione della carta ha reso possibile questo processo evolutivo

perché ha reso possibile la trasmissione della cultura, delle conoscenze, del sapere.

Oggi la carta è usata anche per molti prodotti per l’igiene personale, e della casa,

mentre il cartone viene ampiamente usato nelle confezioni e nel settore degli

imballaggi.

LE PLASTICHE (frazione secca dei rifiuti):

Il discorso sulle plastiche è necessariamente più complesso, in quanto questo

materiale, più di tutti gli altri, è l’emblema dei rapidi cambiamenti cui l’umanità è stata

testimone nell’ultimo secolo, ma anche dei gravi problemi ambientali che ancora

aspettano una soluzione.

Già negli anni ’30 circolavano più di 16 tipi diversi di plastiche e di queste molte erano

derivate dal petrolio. Tuttavia è con gli anni ‘50 e ‘60, gli anni del boom economico e

della diffusione del consumo di massa che le plastiche entrarono in ogni casa e in ogni

aspetto della nostra vita quotidiana.

La “ricetta “ per costruire la maggior parte delle plastiche è abbastanza semplice e gli

ingredienti sono pochi, basta solo petrolio, carbone, sale da cucina e metano. Il

processo chimico-industriale parte dalla scomposizione molecolare del petrolio

(cracking) da cui si ottengono molecole più piccole (monomeri) : Propilene – Butadiene –

Stirene – Etilene.

Legando questi monomeri in nuove catene (polimerizzazione) o miscelandoli con altri

additivi, si ottengono i diversi materiali plastici che possono presentarsi in granuli, in

polvere o sotto forma di liquido o soluzione.

Un italiano, Giulio Natta nel 1963 vinse il premio nobel per la chimica per avere

scoperto il processo di polimerizzazione del propilene, inventando il polipropilene.

I tipi di plastica più diffusi si dividono poi in due grandi famiglie: le termoplastiche e

le plastiche termoindurenti. Le prime si ammorbidiscono se vengono riscaldate e

possono cambiare forma, le seconde non possono cambiare forma né ammorbidirsi

anche se vengono portate ad alte temperature.

Oggi sono 36 i tipi di plastiche, e rispondono alle più diverse esigenze del mercato.

Dalla pellicola per alimenti in LLPE (polietilene lineare), alla guaina di protezione in

HDPE, (polietilene ad alta densità) per evitare inquinamenti da percolato nelle

discariche, dai giocattoli, alla strumentazione più sofisticata, per non parlare del

grande uso di plastica in campo automobilistico e nel settore degli imballaggi. Le

plastiche più comuni e con le quali ogni giorno entriamo in contatto sono:

il PE – (polietilene) - Materiale termoplastico nato dalla polimerizzazione dell’etilene,

che possiamo trovare anche come LDPE (polietilene a bassa densità) sacchetti,

pellicole ecc…, oppure come HDPE (polietilene ad alta densità) per fabbricare

bottiglie, flaconi, tubi, giocattoli;

il PVC (polivinilcloruro) – Materiale termoplastico ricavato da etilene e cloruro di

sodio (il sale da cucina), con cui si fabbricano i contenitori per alimenti, porte ,

finestre, carte di credito… oggi si tende a limitare l’utilizzo di questo materiale per

gli evidenti problemi di inquinamento che da esso derivano in fase di smaltimento

(diossina);

il PET (polietilentereftelato) – Materiale termoplastico proveniente dalla

polimerizzazione dell’ etilene con acido tereftalico in presenza di ossigeno. Viene

usato nella fabbricazione di bottiglie di acqua minerale, come fibra sintetica nella

produzione del pile, tute da sci , nastri video e audio;

il PP (polipropilene) – Materiale termoplastico ottenuto dalla polimerizzazione del

propilene è una delle plastiche più diffuse al mondo, si trasforma facilmente in

qualsiasi oggetto: dai contenitori per alimenti ai flaconi per detersivi, dagli oggetti

d’arredamento ai prodotti per l’igiene personale,ai giocattoli, alla moquette, ai mobili

per giardino;

il PS (polistirolo) - Materiale termoplastico ottenuto dalla polimerizzazione dello

stirene, si può trasformare in vaschette per alimenti, posate piatti, tappi, e nella sua

forma espansa (EPS – polistirolo espanso) acquista proprietà isolanti, estremamente

leggere.

La scoperta della plastica ha rivoluzionato, in particolare, il mercato degli imballaggi e

del confezionamento alimentare e non alimentare, essendo la plastica un materiale

resistente, leggero, lavabile, ed economico.

IL VETRO

Il vetro nasce da sabbie fluviali e marine e si ottiene facendo fondere tre materiali

diversi: la silice, la soda e il calcio. E’ considerato fin dall’antichità un materiale

prezioso scoperto nel 3000 a.C., forse casualmente, da marinai Fenici che notarono

strane pietre sotto le braci di un falò acceso su un terreno sabbioso ricco di silicio.

Attorno all’anno 1000 Venezia divenne il centro mondiale della produzione artigianale

del vetro esportandolo e diffondendone le tecniche in molti paesi europei. Per evitare

possibilità di incendi, essendo il vetro un materiale che fonde a temperature

elevatissime, (1.700 gradi) tutte le officine del vetro vennero trasferite a Murano,

un’isola piccola e poco distante dove gli incendi potevano essere circoscritti alla sola

isola e dove spegnerli sarebbe stato molto più semplice. Nel tempo, si è ricorso al

nitrato di sodio per favorire l’uscita di bolle d’aria e gas dall’impasto, e al carbonato di

calcio per portare a 1500 gradi il punto di fusione con conseguente risparmio

energetico.

La produzione del vetro resta artigianale fino ai primi anni del secolo XX, infatti è del

1903 la prima macchina industriale di presso/soffiatura automatica per la

fabbricazione di bottiglie, barattoli e flaconi.

Il vetro non inquina, è igienico ed è il materiale d’imballaggio interamente riciclabile

per eccellenza, che mantiene intatte tutte le sue qualità all’infinito. Gli imballaggi in

vetro più comuni sono: bottiglie, flaconi, barattoli, vasetti.

Per fabbricare una singola bottiglia di vetro occorrono 400 g. di sabbia, 100 g. di soda,

90 g. di gasolio e 100 g. di calcare. Per averne una in vetro riciclato servono solo 10 g.

di gasolio.

L’ALLUMINIO

L’alluminio viene estratto dalla bauxite, un materiale molto comune in natura che

costituisce circa l’8% della crosta terrestre. E’ stato prodotto per la prima volta su

scala industriale nel 1807, quando venne scoperto il processo che consentì la

separazione dal metallo del suo ossido: l’allumina. Nel 1825 si riuscì ad ottenere per la

prima volta alluminio puro e risale al 1886 il brevetto sul processo di fusione

elettrolitica per la produzione di alluminio metallico ottenuto dall’allumina.

La prima lattina di alluminio per bevande nasce nel 1955. L’alluminio è leggero circa 1/3

del rame e dell’acciaio, è resistente agli urti e alla corrosione, buon conduttore

termico è atossico e soprattutto, come il vetro, è riciclabile all’infinito e garantisce un

ottimo effetto barriera alla luce, all’aria e all’umidità. Grazie a queste caratteristiche

è un materiale ideale per la costruzione di aeroplani, automobili, elementi di arredo,

nell’edilizia e soprattutto nella produzione di imballaggi (lattine –vaschette – fogli

ecc…)

L’ACCIAIO

Nel 1321 viene prodotta la prima latta: una lamina di ferro ricoperta di stagno fuso. Lo

stagno impedisce la corrosione e l’ossidazione che avviene a contatto con l’acqua o il

cibo, il ferro ne garantisce la robustezza. Le prime “scatolette” a banda stagnata

compaiono durante le Campagne Napoleoniche in Europa e vennero usate per

contenere e conservare gli alimenti destinati ai soldati.

L’acciaio è un metallo ferroso che si ottiene dalla fusione di rottame ferroso e ghisa

nei forni elettrici delle acciaierie. Dalla colata si ottengono semilavorati (lastre e

blocchi) dai quali derivano tutta una serie di prodotti: lamiere, tubi, travi, tondini per

cemento armato, filo di ferro, banda stagnata, fusti. Dal lamierino si ricavano gli

imballaggi in acciaio come i barattoli, le scatole e le lattine che servono per

conservare alimenti come pomodori, frutta sciroppata, tonno, cibo per animali, olio

d’oliva ecc.

LA DISCARICA

Dopo aver esaminato la tipologia di gran parte dei rifiuti che noi giornalmente

produciamo, vediamo ora qual è il percorso che questi fanno una volta usciti dalla

nostre case.

Per quanto riguarda Roma, come abbiamo già detto, circa il 70% dei nostri rifiuti

urbani, passa purtroppo, dalla pattumiera al cassonetto verde, quello della raccolta

indifferenziata, e da questo, alla discarica di Malagrotta, vicino Ponte Galeria.

Malagrotta, la discarica di Roma, è la più grande d’Europa ed ha un’estensione di circa

140 h., che arrivano a 200 h se comprendiamo anche le diverse strutture industriali ed

il resto della superficie disponibile. E’ senza dubbio un’area molto grande ma rimane

comunque piccola se la paragoniamo alla più grande discarica del mondo, quella di New

York che raggiunge una estensione addirittura di 1.500 h ed è visibile anche dallo

spazio.

Attiva fin dal 1948, la discarica di Fresh Kills Landfill ha totalmente riempito la

vallata fino a creare, al di sopra di essa, una collina che dieci anni fa aveva raggiunto i

60 m.

Malagrotta è in funzione dal 1975, e la sua area è costituita da una serie di colline da

cui negli anni ’50 e ’60 sono stati estratti i materiali necessari per la costruzione del

quartiere della Magliana e dell’Aeroporto di Fiumicino. L’intensa attività estrattiva e

la coltivazione della discarica ha modificato l’aspetto originario della zona

cancellandone l’antica vocazione a prati per pascolo e alle attività agricole.

Dal punto di vista geologico la zona interessata dalla discarica di Malagrotta è

costituita da un basamento argilloso su cui poggiano strati di ghiaia, sabbia e ciottoli e

ulteriori strati di argille limose. Per evitare problemi di contaminazione delle falde

idriche profonde, nei primi anni ’80, intorno a tutto il perimetro della discarica, venne

realizzato un muro di contenimento (polder) costituito da un nastro di argilla e

cemento dello spessore variabile da 0,60 ad 1 m. che venne fatto scendere fino ad

incontrare lo strato di argilla che fa da protezione naturale per le acque sottostanti,

in questo modo fu realizzato un specie di serbatoio sotterraneo, isolato da tutte le

circolazioni idriche esterne alla discarica stessa.

Nelle discariche il principale fattore di rischio di inquinamento è determinato dal

percolato, un liquido formato dall’acqua piovana che filtra attraverso i rifiuti e

trascina con sé sostanze organiche e inorganiche, ricco quindi dei batteri responsabili

della decomposizione (fermentazione aerobica) dei rifiuti e perciò pericoloso se viene

a contatto con la falda idrica.

Studi effettuati dall’Università di Bologna nei primi anni 2000 hanno dimostrato che

in una discarica, per ogni metro cubo di rifiuti indifferenziati, si producono circa 230

l. di percolato.

Il sito adibito a discarica, quindi, deve essere stabile dal punto di vista idrogeologico e

deve possedere una corretta impermeabilizzazione naturale (come nel caso di

Malagrotta) e artificiale proteggendo il fondo dalle infiltrazioni con teli di polietilene

ad alta densità (HDPE) di spessore adeguato e con altri presidi messi a disposizione

dalla esperienza e dalla tecnologia, come previsto dalla legge.

Altro importante fattore di rischio ambientale legato alla discarica è la formazione di

gas dalla fermentazione anaerobica, il biogas, una miscela composta da :

50% di metano (CH4),

40% di anidride carbonica (CO2),

8% di azoto (N2),

1% di ossigeno (O2),

1% costituito da più di cento composti presenti in tracce, per lo più idrocarburi

(esano, eptano, metarcaptano- responsabile del cattivo odore- e benzene).

All’interno della discarica controllata di Malagrotta esistono più di 700 pozzi

attraverso i quali viene costantemente captato ed estratto sia il percolato che il

biogas. Il percolato, molto acido, viene stoccato in serbatoi di acciaio e fatto reagire

chimicamente con un elemento a forte basicità come il latte di calce (una miscela di

acqua e calce vergine) che lo rende neutro, dopodiché può essere usato per innaffiare

il lotto della discarica che viene coltivato e abbattere le polveri. Il biogas captato, può

essere utilizzato sia per produrre energia elettrica, sia come carburante (metano)

dopo essere stato depurato da CO2 e N2.

La produzione di energia elettrica è affidata a due impianti che sono in grado di

produrre una potenza elettrica di 15 Mw tramite due turbine e sei motogeneratori.

Occorre tener presente tuttavia, che solo una parte del biogas prodotto dalla

discarica viene aspirato tramite la rete di captazione. Considerando infatti, tutta una

serie di variabili relative al tipo di discarica, è stato calcolato un indice di efficienza

di captazione pari al 65%. Questo significa che circa il 35/40% del metano e

dell’anidride carbonica vengono comunque dispersi in atmosfera. Se allarghiamo

questa considerazione a tutte le migliaia di discariche, controllate e non, del pianeta,

che per la quasi totalità sono prive di sistemi di recupero dei gas, avremo un’idea

dell’enorme quantità di biogas che ogni giorno viene disperso in atmosfera e del

relativo impatto ambientale negativo che le discariche hanno sull’effetto serra.

Il decreto Ronchi cui si è accennato in precedenza, prevedeva la fine delle discariche,

come soluzione finale per lo smaltimento dei rifiuti, a partire dall’anno 2000. La realtà

a 10 anni da quella data, è diversa e purtroppo ancora oggi milioni di tonnellate di

legno, carta, plastica, vetro, metalli, materiali organici, elettrodomestici, pile, farmaci,

vanno a “morire” nelle discariche: una “ricchezza” sprecata ed un continuo motivo di

preoccupazione per i sempre presenti rischi di inquinamento.

Come si è già accennato , il decreto Ronchi individuava delle alternative alla discarica

per recuperare e riciclare tutte quelle tipologie di rifiuto che potevano rientrare sul

mercato attraverso le industrie di filiera e veniva stabilito un percorso virtuoso che

prevedeva:

- RIDUZIONE DELLA QUANTITA’ DEI RIFIUTI PRODOTTI;

- RACCOLTE DIFFERENZIATE E RICICLAGGIO;

- COMPOSTAGGIO DEI RIFIUTI ORGANICI;

- TERMOVALORIZZAZIONE DELLA FRAZIONE SECCA DEI RIFIUTI NON

RICICLABILE;

- DISCARICA ESCLUSIVAMENTE PER GLI SCARTI DI LAVORAZIONE DEI

PROCESSI DI RICICLAGGIO, COMPOSTAGGIO, E TERMOVALORIZZAZIONE;

RIDUZIONE DEI RIFIUTI

Obbiettivo importante che coinvolge in prima persona il singolo utente possessore del

“rifiuto”. Il cittadino infatti è il primo anello della catena virtuosa che permette al

rifiuto di ritornare ad essere materia prima. Attraverso il suo senso civico, la sua

educazione al rispetto dell’Ambiente, le sue scelte di acquisto può contribuire alla

riduzione degli imballaggi. Privilegiando, per esempio, quei prodotti con minor numero

di “involucri” si ottengono due risultati nello stesso tempo: si lancia un preciso

messaggio alle aziende produttrici e spesso si risparmia sul costo rispetto ad un

prodotto analogo ma “pieno” di imballaggi.

RACCOLTA DIFFERENZIATA

Anche in questo caso il percorso “virtuoso” parte da un semplice gesto e da una

consapevolezza: a seconda di dove getto il mio rifiuto ne determino la sua “morte” o la

sua possibilità di ritornare a “vivere” per una seconda, terza, quarta, … ennesima volta.

per N volte. Infatti non ci sono limiti nel riciclaggio della carta, del vetro, della

plastica, dei metalli, ed ogni volta che arriva sul mercato un prodotto realizzato con

materiali riciclati dobbiamo ricordare che non solo abbiamo risparmiato risorse del

pianeta ma anche quella parte di energia che avremmo dovuto utilizzare se lo stesso

prodotto l’avessimo ottenuto da materia prima vergine.

Altro aspetto importante è che tutto ciò che ricicliamo lo sottraiamo alla necessità di

smaltimento in discarica, visto che oggi solo gli imballaggi occupano il 70% del volume

ed il 40% in peso dell’intera massa di RSU.

A Roma le prime raccolte differenziate di carta e vetro risalgono agli anni ’80, ma

solo dall’entrata in vigore del decreto Ronchi tutta la città è stata coinvolta in questo

cambiamento di mentalità, per cui ciò che prima era considerato solo un rifiuto di cui

disfarsi con disinteresse diventa oggi una risorsa, che può essere riutilizzata più volte

attraverso il riciclaggio.

Le Amministrazioni di tutti i Comuni italiani sono tenute a raggiungere degli obbiettivi

di raccolta differenziata dei rifiuti. Nel 2003 l’obbiettivo fissato dal decreto Ronchi

era del 35% sull’intera massa di RSU prodotti e come abbiamo visto la media nazionale

al 2008 era ancora del 28,5%.

(Per quanto attiene la raccolta differenziata a Roma si può consultare il sito di

AMA ricco di dati e di ogni informazione utile riguardo alle diverse modalità in

vigore nella nostra città, per effettuarla in modo corretto).

Va ricordato, inoltre, che nella nostra città, per i singoli cittadini, è possibile disfarsi

in maniera corretta e gratuita di oggetti ingombranti come mobili, elettrodomestici, o

calcinacci presso le isole ecologiche o i centri di raccolta AMA (vedi sito).

RICICLAGGIO

“Tutti i sistemi viventi sulla terra e nell’aria, muoiono sul terreno trasformandosi

continuamente, ma senza lasciare traccia di rifiuti: unica eccezione: l’animale uomo”.

Il riciclaggio è la fase successiva della raccolta differenziata, in cui tutti i materiali

selezionati vengono trasformati in materia prima seconda, che viene utilizzata nei cicli

industriali per realizzare nuovi prodotti. In Italia abbiamo una tradizione industriale

di riciclaggio che affonda le sue radici nel periodo tra le due guerre, quando si volle

attuare il principio di “autarchia”. Fu in questo periodo, per esempio, che si

cominciarono a sviluppare tecnologie che permettono ora di riciclare l’olio lubrificante

esausto (da 1,5 kg di olio lubrificante usato si ottiene 1 kg di olio sintetico), la carta, i

metalli, e perfino i rifiuti organici. Questa tradizione ricevette un duro colpo durante

gli anni del consumismo e “dell’usa e getta”, quando ci si perse nell’illusione che la

parola spreco potesse rappresentare un sinonimo di benessere. Gli anni 50 e 60 furono

anni di scempio ambientale senza leggi né regole. Uno scempio le cui dimensioni e

conseguenze sono giunte fino ad oggi.

Riciclare significa, salvare risorse naturali, risparmiare energia, fare economia,

diminuire l’effetto serra, ridurre l’inquinamento complessivo:in sintesi riciclare

significa aiutare noi stessi e le generazioni future ed aiutare il pianeta.

IMPIANTO Di SELEZIONE DEL MULTIMATERIALE

Tra i materiali che conferiamo in maniera differenziata (all’interno del cassonetto blu)

e l’industria del riciclaggio esiste un passaggio fondamentale e necessario svolto dagli

impianti di selezione in cui la plastica, il vetro, l’alluminio e l’acciaio vengono separati

in frazioni omogenee.

(Per una migliore comprensione di questo processo si rimanda al n.6 della rivista

Amaroma del mese di febbraio 2010 facilmente accessibile dal sito AMA)

Impianto di trattamento dei rifiuti indifferenziati.

In questo tipo di impianto giungono i rifiuti indifferenziati che vengono conferiti nei

cassonetti di colore verde.

Le operazioni di selezione vengono precedute da una separazione della “frazione

umida” del rifiuto (verdure, frutta, scarti di cucina, rifiuti verdi in genere…), dalla

“frazione secca” costituita da materiali ad alto potere calorico (carta, plastica, legno,

stracci…).

La frazione umida viene avviata ad un processo di ossidazione biologica nei digestori

aerobici ed a ciclo di maturazione ultimato si otterrà una Frazione Organica

Stabilizzata (FOS), utilizzabile solo per le bonifiche ambientali di terreni e per la

copertura in discarica del lotto coltivato.

La frazione secca viene depurata dal vetro, ferro e alluminio e trasformata in CDR

(combustibile da rifiuti) da avviare ai termovalorizzatori per il recupero energetico. Il

ferro e l’alluminio, separati per via elettromagnetica, vengono depurati, pressati in

balle ed avviati a recupero presso le industrie metallurgiche e siderurgiche.

Al termine dell’intero “ciclo di recupero” vengono avviati in discarica unicamente i

residui di lavorazione che sono equivalenti al 30% in peso rispetto all’iniziale massa dei

rifiuti trattati.

IL COMPOSTAGGIO (Frazione umida dei rifiuti)

Di cosa si intenda per rifiuti organici abbiamo già accennato, per cui ora cercheremo

di illustrare il processo di “riciclaggio spontaneo” di questo particolare tipo di scarto:

processo che va sotto il nome di “Compostaggio”.

Il compostaggio è un processo di degradazione aerobica (bio-ossidazione) della

sostanza organica, che avviene in presenza di ossigeno e riguarda tutti gli scarti

organici facilmente decomponibili derivanti da attività domestiche, agrarie,

commerciali, industriali e artigianali non contaminati da elementi inquinanti. Al termine

di questo processo si ottiene un terriccio ricco e fertile chiamato COMPOST che

potrà essere usato come ammendante (correttore naturale) del terreno arricchendolo

di sostanze adatte alla nutrizione vegetale.

COME AVVIENE IL COMPOSTAGGIO?

La degradazione aerobica si sviluppa ad opera di diverse specie di microrganismi che

attaccano la massa dei rifiuti organici decomponendola e trasformandola in composti

organici assimilabili dalle radici delle piante.

Durante la prima fase di tale processo la temperatura della massa in compostaggio

tende a salire rapidamente fino a raggiungere, già dopo 4/5 giorni, livelli di oltre 60°C.

Da tale momento ha inizio la seconda fase, tecnicamente definita “termofila”, durante

la quale è importantissima la presenza di ossigeno; in questa fase ossidativa le elevate

temperature raggiunte garantiscono la completa igienizzazione della massa con

l’eliminazione degli agenti patogeni presenti nella massa organica trattata.

Dopo alcune settimane, inizia la terza fase quella della maturazione del cumulo.

Entrano in azione altri gruppi di decompositori, i funghi e i batteri attinomiceti che

insieme degradano le parti più complesse come quelle legnose. Il processo rallenta, la

richiesta di ossigeno è minore e la temperatura nel cumulo si abbassa. E’ la volta dei

piccoli animali come lombrichi e millepiedi che danno il loro contributo triturando,

sminuzzando e mescolando tra loro le diverse sostanze. Alla fine, dopo un periodo che

va dai 2 ai 3 mesi, della massa dei rifiuti organici iniziale rimane un terriccio

fertilizzante stabile, di colore scuro e dal profumo simile alla terra del bosco: il

compost.

Il corretto andamento del processo di compostaggio può essere seguito e controllato

attraverso due parametri fondamentali: umidità e ossigeno.

L’umidità del cumulo deve mantenersi a valori inferiori al 60% mentre il contenuto di

ossigeno deve essere tra il 5 ed il 15%.

Altro aspetto importante è quello che riguarda la massa in ossidazione che deve

essere miscelata, aerata e sminuzzata in maniera uniforme per aumentare al massimo

la superficie di contatto delle diverse frazioni organiche.

Presso il Comune di Fiumicino, a Maccarese, l’Azienda Municipale Ambiente di Roma ha

realizzato un impianto per la produzione di compost di alta qualità utilizzando sia i

residui verdi come sfalci, resti di potature, manutenzione del verde, sia gli scarti

vegetali dei mercati generali e rionali, i cosiddetti rifiuti mercatali.

Queste, in sintesi, le fasi principali di produzione industriale di compost:

• pesatura del materiale e scarico in area coperta dei residui organici;

• stoccaggio dei rifiuti verdi in un’area aperta vicina all’impianto dove vengono

triturati da un biofrantumatore e aggiunti in linea agli altri rifiuti mercatali in

miscela controllata;

• convoglio con un sistema di nastri trasportatori della frazione organica e del

materiale legnoso triturato alle sezioni di compostaggio;

Il processo di compostaggio vero e proprio avviene al chiuso in edificio coperto, in un

bacino ad aerazione forzata per assicurare l’ossigeno necessario alla trasformazione

aerobica. Un sistema di tubazioni idriche garantisce l’umidificazione del materiale.

Dopo questa fase di compostaggio “accelerato” (circa 30 giorni) il compost viene

inviato alla fase di raffinazione e/o alla fase di maturazione.

Durante il processo di raffinazione vengono eliminati dal compost tutti i materiali

inerti e i frammenti di scarto;

Gli scarti vengono avviati in discarica ed il compost raffinato passa al bacino di

maturazione al coperto, dove rimane per altri 30 giorni, dopodiché può essere

utilizzato come fertilizzante organico biologicamente stabilizzato, nella

florovivaistica, in agricoltura in sostituzione dei concimi chimici e minerali,

nell’agricoltura biologica, in alternativa al letame, nei recuperi ambientali per

bonificare terreni o riempire cave.

LA TERMOVALORIZZAZIONE

Per termovalorizzazione si intende l’utilizzo dell’energia prodotta dalla combustione

dei rifiuti, soprattutto quelli non altrimenti riciclabili. Può infatti verificarsi il caso in

cui selezionare e trattare alcuni rifiuti risulta controproducente, in quanto

richiederebbe sforzi e costi eccessivi. Il recupero di energia di questi materiali

consente invece di riciclarli, creando calore e quindi energia elettrica.

A partire dagli anni 60 si è andata sempre più sviluppando in Europa ed anche in Italia

la cultura di incenerire i rifiuti e ridurre così il ricorso alle discariche. Negli anni 80 la

tecnica dell’incenerimento venne applicata con successo per la distruzione dei rifiuti

ospedalieri che fino ad allora venivano avviati in discarica ed infine a partire dagli anni

90, soprattutto in Paesi europei come la Svezia, la Danimarca, la Germania, la

Svizzera, si è sviluppato in maniera sempre più consistente lo smaltimento dei rifiuti

attraverso l’incenerimento, ma passando dalla termodistruzione alla

termovalorizzazione con recupero energetico finalizzato alla produzione di energia

elettrica e di energia termica .

Attualmente, grazie anche a tecnologie sempre più sicure ed innovative, oltre che a

norme di protezione ambientale tra le più restrittive a livello internazionale, possiamo

affermare che la termovalorizzazione può costituire un’alternativa accettabile

all’utilizzo intensivo delle discariche.

Ovviamente questo tipo di impianti dovrà essere sottoposto al rigido controllo degli

organi pubblici preposti a garanzia del rispetto delle normative ambientali. In sintesi,

termovalorizzare la frazione secca dei nostri rifiuti significa ottenere un duplice

risultato: produrre energia elettrica e termica, ridurre il consumo di combustibili

fossili.

IL PROCESSO DI COMBUSTIONE

Carta, plastica, legno e stoffa (CDR) sviluppano un potere calorifico di circa 16 kj/kg e

sono percentualmente in crescita all’interno della massa complessiva dei rifiuti

raccolti. Quando arrivano all’impianto vengono immessi nella fossa di stoccaggio, da

qui, dopo essere stati amalgamati vengono avviati dagli addetti, alla combustione vera

e propria.

Questo processo è costantemente controllato anche variando, a seconda dei casi, la

immissione di ossigeno, perché la combustione si svolga sempre in maniera ottimale. In

questa fase la combustione può raggiungere gli 850/950 gradi circa per ridurre le

concentrazioni di ossido di carbonio (CO) , di ossido di azoto (NOX) e soprattutto di

DIOSSINE.

I fumi prodotti dalla camera di combustione passano alla camera di post-combustione

con un tempo di permanenza di almeno 2 sec., dove le temperature possono

raggiungere anche i 1.200 gradi e dove vengono ulteriormente abbattute le

DIOSSINE e gli OSSIDI. A questo punto, quando i fumi surriscaldati escono dalla

camera di post-combustione inizia la fase di filtrazione, depurazione e abbassamento

della temperatura che da 1.200 gradi li porterà a 70/80 gradi quando usciranno dal

camino dell’impianto.

Dopo la camera di post-combustione i fumi vengono convogliati verso lo scambiatore

termico della caldaia dove sviluppano vapore surriscaldato destinato alle turbine che

azionano i turboalternatori per la produzione di energia elettrica, che viene immessa

nella rete di distribuzione.

Il vapore in uscita dalla turbina viene successivamente condensato in acqua e può

ritornare in caldaia a raffreddare i fumi in uscita dalla camera di post-combustione.

Un impianto che brucia mediamente 300 tonn/giorno di CDR produce circa 10 MWh di

energia elettrica.

I fumi in uscita dalla caldaia continuano a raffreddarsi e vengono avviati alla sezione

trattamento fumi dove i sistemi di depurazione possono essere di diversi tipi allo

scopo di abbattere i metalli pesanti (mercurio,zinco,cromo, rame) l’acido cloridrico

(HCL), e l’acido solforico (SO2). I fumi in uscita dal camino, dopo essere stati lavati e

raffreddati all’interno della torre ad umido, vengono inviati al camino di uscita dove

prima di essere immessi in atmosfera vengono analizzati in continuo da una centralina

di rilevazione collegata con la sala controllo dell’impianto, dove i tecnici possono

monitorare in continuo l’andamento della combustione e l’eventuale presenza di

inquinanti nei fumi ed intervenire all’occorrenza.

La quantità di scorie e di ceneri sommato il materiale iniettato per la depurazione e il

trattamento fumi, (calce per abbattere gli acidi) e carboni attivi (per abbattere i

metalli pesanti) si aggira su un 25/30% del materiale che viene bruciato. Le scorie

pesanti prodotte dalla combustione, le ceneri leggere della caldaia e quelle separate

dalla sezione filtri vengono avviate a smaltimento in discariche autorizzate.

La situazione attuale in Italia circa lo smaltimento dei RSU è di emergenza pressoché

generalizzata ad esclusione di poche “isole felici” per lo più presenti al nord della

penisola, dove la percentuale di raccolta differenziata viene effettuata in maniera

efficace e sistematica.

Degli oltre 32 milioni di tonnellate circa di RSU prodotti in Italia lo scorso anno,

ancora più del 50% è destinato alle oltre 2.000 discariche pubbliche sparse sul

nostro territorio, molte delle quali rimangono aperte per motivi di salute pubblica e

con ordinanze dei vari Prefetti, pur avendo quasi del tutto esaurito la loro capacità di

accoglimento dei rifiuti.

IL TRAFFICO DEI RIFIUTI SPECIALI E PERICOLOSI IN ITALIA

Liquidi tossici, residui delle concerie, polveri di abbattimento fumi, oli e solventi delle

imprese chimiche, residui delle imprese siderurgiche, scorie di ospedali e aziende

farmaceutiche, residui tossici provenienti da bonifiche, metalli pesan ti come il

mercurio, l’arsenico, il cadmio ecc… questo è solo un breve elenco dei rifiuti pericolosi

che sono oggetto ormai da più di venti anni del traffico e dello smaltimento illegale sul

nostro territorio.

Anche per questo tipo di rifiuti si registra ogni anno un costante aumento della

produzione, nel 2005 ne sono stati prodotti 19,7 milioni di tonnellate, secondo i dati

dell’Agenzia per L’Ambiente e Territorio, e di questi ben 11,2 milioni sembra siano

stati smaltiti illegalmente. Raccolti in barili, sacchi di plastica, o altro, i rifiuti

pericolosi sono spesso scaricati in mare, messi sotto terra, miscelati con materiali da

costruzione, nascosti nelle cave, miniere o in siti industriali dimessi. Rifiuti tossici

sono stati anche trovati in canali artificiali, nelle reti fognarie, nei laghi, nelle

discariche di RSU, o spalmati sui campi agricoli, abbandonati in territori fuori mano e

poco abitati.

In molti casi i proprietari dei terreni sono pagati per accettare i carichi di cui

ignorano la pericolosità e la tossicità. Solo nel 2000 sono state censite in Italia ben

4.866 discariche abusive nelle regioni Puglia, Lombardia, Calabria, Veneto, Campania,

Liguria, Abruzzo.

Il fenomeno dello smaltimento illegale dei rifiuti è in allarmante crescita per gli

enormi guadagni che la malavita organizzata e le imprese disoneste ne ricavano, in un

rapporto mafioso di collaborazione per limitare i costi di eliminazione dei rifiuti

pericolosi nel disinteresse più assoluto dei problemi ambientali e della salute pubblica.

E’ stato stimato che solo nel 2002 gli introiti illeciti prodotti dal traffico dei rifiuti

speciali e pericolosi in Italia siano stati di almeno 4,4 miliardi di euro.