amnesty trimestrale ottobre 2013

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1 TRIMESTRALE SUI DIRITTI UMANI DI AMNESTY INTERNATIONAL N. 4 - OTTOBRE 2013

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Amnesty Trimestrale

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Page 1: Amnesty Trimestrale Ottobre 2013

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TRIMESTRALE SUI DIRITTI UMANIDI AMNESTY INTERNATIONAL

N. 4

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Cara amica, caro amico,

mentre scrivevo l’editoriale sulle oltre 100.000 vittime del conflitto interno siriano di cui parleremo in questo numero del trimestrale, a poca distanza dalla costa di Lampedusa annegavano centinaia di persone in fuga da altri conflitti. Conflitti, come quello dell’Eritrea, tra un regime dispotico e il suo popolo che cerca disperatamente di evadere da uno “stato-prigione” e trova la morte a due passi dalla libertà.Mentre il mar Mediterraneo, il cui fondale è diventato una fossa comune, inghiottiva famiglie intere, i superstiti di un’imbarcazione andata a fuoco per attirare l’attenzione dei soccorsi venivano portati sul molo di Lampedusa, l’ingresso sud dell’Europa.“Europa” è stata forse la parola più pronunciata nelle ore successive a quella strage. Usata a proposito, per ricordare che l’Unione europea, in questi anni, ha promosso politiche e adottato prassi che hanno favorito violazioni dei diritti umani di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Abusata e invocata come un alibi da parte di chi non ha perso occasione per dire che “il problema è europeo”.

La realtà è che Lampedusa è tanto Europa, quanto Italia, anche se i suoi abitanti, non a torto, si sentono abbandonati dall’una e dall’altra. E all’Italia, alle istituzioni italiane abbiamo rivolto, subito dopo quelle centinaia di morti, alcune domande: dove eravate quando Amnesty International denunciava l’introduzione di leggi che violano i diritti umani di migranti, richiedenti asilo e rifugiati? Dove eravate quando chiedevamo che si desse la massima priorità ai soccorsi e all’accoglienza anziché al respingimento? Perché governi di ogni colore politico hanno promosso, approvato e poi rinnovato accordi con le autorità libiche, vecchie o nuove ma in ogni caso inaffidabili, destinati unicamente al “contrasto” dell’immigrazione?  Sono domande legittime, doverose, che meritano risposte puntuali e un’inversione di tendenza che garantisca i diritti umani a chi fugge dalla guerra e dalla persecuzione. Altrimenti, la commozione e il cordoglio per la morte di così tante persone quando la salvezza è a portata di mano suoneranno ipocrite e auto assolutorie.

LEGENDA

GuArDA LA photoGALLEry

AscoLtA

GuArDA iL viDEo

ApprofoNDisci

firmA

editoriale

SOSTIENICI!

Page 3: Amnesty Trimestrale Ottobre 2013

Il mio sogno è lo stesso del reverendo King, lui dal cielo e io da qui stiamo ancora aspettando

che veramente il mondo sia fatto di fratelli e sorelle che si amino senza alcun pregiudizio.

Emanuela P. #IHaveADream Rendere realtà l’inscindibilità dei diritti umani: indivisibili e interdipendenti.

@SigrilGrillo

Noi non siamo in grado di mettere ordine in casa nostra

ma sogniamo un mondo migliore. Sognare non costa

nulla ma King, quando diceva sognare, non intendeva

dormire. Sognare,contribuendo fattivamente, sporcandosi le

mani, altrimenti rimane un sogno e ti alzi la mattina in un

incubo perpetuo.

Giovanni M.

Vorrei che i più deboli, indifesi, disabili, malati, anziani, poveri in generale non

perdessero mai la loro dignità, vorrei che tutti li guardassimo con grande rispetto,

c’è un grande tesoro nascosto che arricchisce solo chi sta loro vicino.

Anna M.

Uomini che prima di dichiarare guerra si ricordino che la guerra fa vittime e fra queste ci sono bambini. #IHaveADream #Syria

@licia

IN OCCaSIONE dEI 50 aNNI dall’INdImENTICabIlE dISCOrSO “I HavE a drEam” CHE marTIN luTHEr KINg TENNE Il 28 agOSTO 1963 a CONCluSIONE dI uNa marCIa SuI dIrITTI CIvIlI a WaSHINgTON, vI abbIamO CHIESTO SullE NOSTrE pagINE FaCEbOOK E TWITTEr qualI SONO I vOSTrI SOgNI… 

LA BAchEcA

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Per un aggiornamento costante sulle nostre attività in difesa dei diritti umani, seguici su:

twitter.com/amnestyitalia

facebook.com/amnestyinternationalitalia

twitter.com/amnestyitalia

facebook.com/amnestyinternationalitalia

#IHaveADream Un mondo in cui ognuno possa vivere liberamente con la persona che ama.

@Lorenzo_C_K

Il rispetto della dignità dell’uomo, della sua libertà, del giusto salario, dell’assistenza nel bisogno economico e sanitario.

Giovanni S.

#IHaveADream Vedere scomparire uomini che devono uccidere le ex fidanzate e picchiare i

gay per sentirsi maschi.

@Mauro_Ortelli

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oman - 20 agostoSultan al-Saadi, attivista online, è stato rilasciato senza accusa. Era stato arrestato per un account di Twitter dietro il quale, secondo le autorità, egli si celava.

Arabia saudita - 22 agostoÈ stata finalmente approvata una legge che considera la violenza domestica un reato.

olanda - 6 settembreLa Corte di cassazione ha riconosciuto la responsabilità dello stato olandese per la morte di tre uomini nel corso del genocidio di Srebrenica.

ungheria - 6 agostoQuattro appartenenti a un gruppo di estrema destra sono stati condannati, tre all’ergastolo e uno a 13 anni, per aver ucciso sei rom.

india - 23 luglioUn tribunale di Bhopal ha convocato la Dow Chemical Company per chiarire perché la società abbia ignorato gli inviti a comparire in tribunale.

canada - 22 luglioLa Corte superiore dell’Ontario ha stabilito che l’impresa Hudbay Minerals può essere chiamata a rispondere di stupri e omicidi commessi in Guatemala da una sua sussidiaria.

usa - 19 luglio Montez Spradley, condannato a morte nel 2008 in Alabama, è stato riconosciuto innocente.

Austria - 1° agostoÈ entrato in vigore un emendamento al codice civile che consente l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

iraq - 22 luglioJa’far al-Masrawi, giornalista dell’emittente al-Sumariya, è stato prosciolto dall’accusa di “partecipazione a manifestazione non autorizzata” e rilasciato.

italia - 25 settembre Il senato ha approvato il disegno di legge per la ratifica del Trattato internazionale sul commercio di armi. È il 5° paese dopo la Nigeria, che ha ratificato il 13 agosto.

ciad - 19 agostoJean Laokole, scrittore e operatore umanitario, è stato rilasciato dopo aver ricevuto la sospensione della condanna a tre anni di carcere per diffamazione.

indonesia - 5 settembreTre soldati del comando delle forze speciali sono stati condannati in primo grado a pene dai sei agli 11 anni per l’omicidio di quattro detenuti.

turkmenistan - 31 luglioGeldimurat Nurmuhammedov, ex ministro del Turismo e della cultura, è stato rilasciato. Nel 2011 aveva criticato l’assenza di democrazia nel paese.

Argentina - 7 agosto Le Nonne di Plaza de Mayo hanno annunciato il ritrovamento e la restituzione alla sua vera identità di Pablo German Athanasiu Laschan, figlio di due desaparecidos.

buone notizie

iran - 18 settembre È stata rilasciata, insieme ad altri 11 attivisti, Nasrin Sotoudeh, avvocatessa condannata nel 2010 per “propaganda contro il sistema”.

cina - 23 agostoShi Tao, prigioniero di coscienza adottato da Amnesty International, è stato rilasciato con 15 mesi di anticipo sulla scadenza della pena. 

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di Alberto Negri

Il risveglio arabo è cominciato il 17 dicembre del 2010 con le fiamme che divoravano il corpo del giovane Mohammed Bouazizi, in una remota provincia tunisina, e tre anni dopo i bagliori continuano nella guerra che travolge la Siria. La connessione tra questi due eventi ci appare adesso assai lontana, quasi arbitraria, ma è su questa distanza, umana, politica e morale, che si misura un arco di tempo breve e complesso, chiamato in Occidente primavera araba.È un fenomeno storico e demografico, che si è prodotto per una serie di coincidenze politiche e sociali che hanno portato a cambi di regime ma anche a mettere in discussione l’esistenza stessa di diversi stati della regione, prodotto della decolonizzazione.

Se vogliamo, la primavera araba è un evento scaturito dal ‘900, che non è affatto il secolo breve descritto da Eric Hobsbawn ma piuttosto l’“Età dell’oblio” di cui  parlava Tony Judd, altro eminente storico anglosassone. Ammoniva Judd, prima di lasciarci: “Credo che nei decenni a venire guarderemo alla mezza generazione tra la caduta del comunismo nel 1989-91 e la catastrofica occupazione americana dell’Iraq, come gli anni che la locusta ha mangiato: un decennio e mezzo di opportunità sprecate e d’incompetenza politica”.   Non ci sarebbe quasi nulla da aggiungere al giudizio dello storico se non mettere in fila eventi che nel loro dipanarsi ora ci appaiono quasi scontati. Il cronista ovviamente ne può cogliere la portata soltanto a posteriori.

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Nel  tracciare un bilancio provvisorio dei cambi di regime tra Tunisia, Egitto, Libia, Siria, i tentativi di restaurazione del vecchio ordine o la ricerca di nuovi equilibri, non si può trascurare l’enorme tensione del mondo arabo tra presente e passato, già descritta dal libanese Samir Kassir (rimasto vittima nel 2005 di un attentato). Kassir rintracciava le radici dell’infelicità araba non solo nel colonialismo e nella geopolitica ma anche nel fallimento dell’illuminismo arabo, quella Nahda che ha prodotto modernizzazione tecnologica ma non politica e culturale; nell’arabizzazione delle ideologie di matrice occidentale che hanno creato regimi antioccidentali e autoritari; nel persistere di un tradizionalismo religioso che non fa i conti con la modernità, limitandosi a negarla; nella mancata introiezione della cultura della democrazia; nell’assenza di una società civile capace di far fronte al deperimento dello stato particolaristico. La primavera araba nasce da questa tensione  tra la negazione e l’assenza. Negazione da imputare a  regimi marcescenti, incapaci di afferrare la realtà in movimento: il 50 per cento di queste società ha meno di 20 anni e la metà dei giovani sono disoccupati o sotto occupati. Ma le assenze sono state forse ancora più significative. L’assenza dello stato ha determinato l’esplosione della rivolta: eravamo di fronte a stati semifalliti e oggi lo siamo ancora. “Leader arabi aggrappati al potere fino all’ultimo respiro”, era il titolo di un articolo che pubblicai su Il Sole 24 Ore il 27 novembre 2010, scrivendo di Mubarak, Ben Alì, Bouteflika e Gheddafi: “La sponda sud del Mediterraneo è rappresentata da una sorta di gerontocrazia che non riflette né la demografia di questi paesi né le spinte al rinnovamento… Quello che preoccupa è che non hanno

ancora un’alternativa davvero credibile o condivisa... È lo stesso principio di legittimazione del potere a rendere difficile il ricambio”. Ma neppure il principio di legittimazione democratica con le elezioni si è rivelato sufficiente a riempire il fallimento descritto da Kassir. Come dimostrano gli eventi egiziani, tra mobilitazione popolare, colpo di stato e sanguinosa repressione, l’instabilità tunisina e la frammentazione anarchica della Libia, dove un giovane medico mi ha detto un mese fa: “Prima avevamo paura dello stato di Gheddafi, adesso temiamo che lo stato non esista più”.Questa incertezza vertiginosa si spiega con un’altra assenza clamorosa: quella di un progetto politico condiviso - non lo è stato quello dei Fratelli musulmani - e di un rinnovamento reale della società, di un tentativo rivoluzionario o almeno riformista di mutare le relazioni di potere, l’economia, la distribuzione della ricchezza. Purtroppo come scriveva Judd è stata sprecata sul finire del ‘900 una mezza generazione in cui si è rimosso il passato, liberandosi del bagaglio politico e ideologico di un secolo e incoraggiando gli altri, in nome della globalizzazione, a fare altrettanto. Con i risultati deprimenti e contraddittori

che vediamo oggi.Non solo il mondo arabo ha difficoltà a fare qualunque riforma, a tenere in piedi entità statuali fallimentari e società divise ma l’Occidente, e gli Usa in particolare, ripropongono, come nel caso della Siria, modelli d’intervento già visti e usurati.In Siria una rispettabile protesta di popolo, repressa nel sangue, si è trasformata in una lotta settaria tra la maggioranza sunnita contro gli alawiti al potere e altre minoranze, come drusi e cristiani. Lo scontro è quindi diventato un conflitto regionale tra sunniti e sciiti, tra i paesi arabi del Golfo e l’Iran che sostiene Assad. Si è riprodotto uno schema ben conosciuto.La resa dei conti in Siria è legata a uno scontro ancora più esteso e datato, originato dalla Rivoluzione iraniana del ’79, l’unica della regione che eliminò lo Shah, storico alleato Usa: si sono formati due fronti, uno che comprende Stati Uniti, Israele, Turchia, Arabia Saudita e alleati del Golfo, l’altro guidato da Teheran, con Damasco e gli Hezbollah libanesi, il cosiddetto “asse della resistenza”.L’Iraq era un tempo una pedina di questo gioco, finanziato dai paesi del Golfo e sostenuto dagli Usa per attaccare l’Iran di Khomeini nell’’80, fino a quando Saddam sfuggì al controllo delle potenze occidentali e arabe in Medio Oriente. Prepariamoci adesso a vedere nuove e forse ancora più pericolose manipolazioni. Il ‘900 non ci abbandona.

Alberto Negri, collaboratore dell’ispi, è inviato speciale de Il Sole 24 Ore, per il quale ha lavorato in Africa, medio oriente e Balcani. ha scritto “il turbante e la corona. iran, trent’anni dopo” (marco tropea Editore, 2009).

...si sono formati due fronti, uno che comprende Stati Uniti, Israele,

Turchia, Arabia Saudita e alleati del Golfo, l’altro guidato da Teheran,

con Damasco e gli Hezbollah libanesi, il cosiddetto “asse della resistenza”.

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L’accordo tra Stati Uniti e Russia sulla questione dell’arsenale chimico in possesso del regime dominato dalla famiglia presidenziale degli Assad ha allontanato, almeno per i prossimi mesi, lo spauracchio di un intervento militare occidentale in Siria. Ma non ha interrotto il sanguinoso conflitto in corso da oltre un anno e mezzo, né tantomeno ha convinto gli Assad a cessare la repressione delle zone solidali con la rivolta popolare. In Siria si continua a morire: sotto i colpi di armi convenzionali, per mezzo di armi bianche e persino per fame. Secondo il più recente bilancio umanitario dell’Onu, quasi sette milioni di persone hanno bisogno di un aiuto d’urgenza; di questi più di due milioni sono rifugiati fuori dalla Siria e più di quattro milioni sono all’interno del paese.Nonostante questo scenario, reso ancor più drammatico da una conta di oltre 100.000 uccisi dal marzo 2011, le potenze regionali e internazionali hanno concentrato le loro discussioni sul tema delle armi chimiche adoperate contro i civili. Per ammissione della Casa Bianca, lo stesso paventato attacco americano non era mirato a far cadere il regime, bensì a “dare una lezione” agli Assad per aver tentato di minacciare con i gas la “sicurezza mondiale”. Al di là delle maldestre retoriche occidentali, la risoluzione della questione

LA siriA È ABBANDoNAtA A sE stEssALorenzo trombetta

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Lorenzo trombetta, arabista e studioso di siria, è cofondatore del sito di approfondimento www.sirialibano.com. Da anni vive e lavora a Beirut dove è corrispondente di ansa e limes per il medio oriente.È autore di due monografie sulla Siria contemporanea, l’ultima edita nel maggio 2013 con Mondadori Università e pubblicata col titolo “siria. Dagli ottomani agli Asad. E oltre”.

siriana non sembra essere in cima alle priorità dei grandi del mondo: tutti si affannano a parlare di soluzione politica, senza però offrire un piano concreto per costringere i belligeranti a cessare il fuoco e a sedersi a un tavolo di trattative serio. Sul terreno, nonostante episodici avanzamenti di quello o quell’altro fronte, si assiste a una situazione di sostanziale stallo. Il regime controlla l’area urbana di Damasco e l’autostrada che dalla capitale porta a Homs. Da lì l’influenza lealista si sposta verso ovest, nella regione costiera, feudo degli Assad e dei clan alleati da decenni al potere. Il variegato fronte dei ribelli è sempre più frammentato e diviso, segnato da una crescente rivalità tra bande di jihadisti e qaedisti (molto spesso stranieri che non hanno nulla a che vedere con la rivolta popolare) e da gruppi di resistenti siriani, per lo più con tendenze islamistiche, che lottano per far cadere il regime. I curdi, dal canto loro, ben organizzati in milizie di difesa nelle zone nord e nord-orientali, cercano di mantenersi fuori dalla contesa e di ritagliarsi un’autonomia de facto. L’area dell’est siriano, stretta attorno alle regioni che si affacciano sul fiume Eufrate, è dominata da gruppi qaedisti a maggioranza siriana e a maggioranza straniera. In queste zone le forze filo-Assad conservano delle sacche di presenza attorno ad aeroporti militari o caserme.Raqqa, primo capoluogo di regione a esser completamente liberato dalle forze di Assad, vive da luglio una contrapposizione molto accesa tra ribelli locali e forze jihadiste per lo più straniere, mentre sul terreno gli attivisti del movimento della società civile faticano a tenere alti i loro principi di non violenza e rispetto per le libertà fondamentali.

Ad Aleppo e nella vicina regione nord-occidentale di Idlib, la situazione è analoga: la presenza di gruppi fondamentalisti islamici sembra aver oscurato gli ideali rivoluzionari ma sul terreno la dialettica politica è presente ed è comunque un sintomo di maggior vitalità rispetto all’immobilismo dell’era degli Assad. Nella metropoli del nord i lealisti mantengono alcune posizioni chiave nella parte orientale della città ma in estate i ribelli sono riusciti a tagliare due importanti vie di rifornimento a sud di Aleppo, smentendo ogni velleità del regime di ripetere la controffensiva compiuta nella regione di Homs. La Siria centrale è la zona dove forse la violenza a sfondo confessionale (in particolare tra sunniti e alawiti, branca dello sciismo a cui appartengono gli Assad) si traduce maggiormente in scontri e massacri di civili. Homs è per metà rasa al suolo e la gran parte dei sunniti (assieme ai cristiani, abitanti storici della città) sono stati costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre, in quella che la Storia consacrerà come l’ennesima pulizia confessionale avvenuta in Medio Oriente. Damasco è superprotetta dalle milizie del regime ed è assediata da un fronte ribelle agguerrito ma incapace di avanzare. Il sud della Siria è il fronte ribelle forse più ordinato. A ridosso del confine giordano e per una striscia che sale verso la capitale, le truppe anti-Assad avanzano gradualmente ma non sono ancora riuscite a conquistare il capoluogo meridionale di Daraa. A est c’è il sensibile confine con Israele, segnato sulle Alture del Golan dalla linea del cessate il fuoco della guerra d’Ottobre del 1973-74 con lo Stato ebraico. Le brigate che guidano la resistenza in queste zone hanno tendenze esplicitamente antiamericane e antisraeliane. Un motivo in più per Israele e i suoi alleati occidentali per non affrettare la caduta del regime a Damasco e dintorni.

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primo pianoLa mattina di domenica 30 giugno nessun egiziano sapeva se quella sareb-be stata una data cruciale per il paese. molti se lo auguravano. il potere in carica lo temeva. Da un anno in Egitto si viveva una situazione di scontento generale. tranne i fedelissimi dei fratelli musulmani e dei Salafiti, anche molti di quelli che avevano votato per gli islamisti ora erano convinti che non si era cercata alcuna soluzione alla povertà. Dalla par-te dei diritti civili poi, in tanti rimproveravano al nuovo potere di essersi impadronito della rivoluzione per imporre regole teocratiche in un paese che aveva finora visto, sia pure sulla carta, la separazione fra religione e stato, di cercare di frenare la libertà d’espressione, di avere varato una costituzione che non riconosceva la libertà religiosa e di trascurare i diritti di donne e minori. Quella mattina erano tutti in piazza con le bandiere na-zionali: uomini, donne velate e no, bambini, anziani, vestiti con jeans o con le galabiye tradizionali, benestanti dei quartieri alti o gente dei sobborghi poveri.

EGitto iN trANsiZioNEdi Neliana tersigni

primo piano

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Una massa di gran lunga superiore a quella che, nel gennaio-febbraio 2011, era scesa in piazza contro Mubarak: le cifre oscillavano fra quelle ufficiali di 17-18 milioni e quelle non ufficiali di 30 milioni di manifestanti. Oggi, a mesi di distanza dalle proteste oceaniche che hanno portato alla caduta del potere islamista, il coprifuoco notturno è ancora in vigore e viene fatto osservare con direttive strettissime. Non c’è dubbio che, nonostante un governo e un presidente ad interim civili, l’esercito tiene saldamente in mano, con pugno di ferro, un paese dove si succedono ancora scontri e attentati. La situazione più pericolosa e infuocata continua a essere quella della penisola del Sinai dove, nell’ultimo anno, cellule di al-Qaeda e dei jihadisti hanno creato campi di addestramento e dove gli attacchi ai posti di polizia sono pressoché quotidiani. La dirigenza dei Fratelli musulmani è agli arresti e un tribunale ha chiesto la messa al bando dell’organizzazione e delle Ong legate a loro. Ricordiamo che il gruppo era bandito ma tollerato sotto il regime Mubarak e che si è potuto registrare come organizzazione non governativa solo dopo l’ascesa al potere di Morsi. A questo punto, la società civile che ha manifestato e lottato duramente perché l’Egitto non diventasse una teocrazia, dovrà vegliare perché i suoi diritti non vengano sopraffatti, da una parte dalle dure regole di un esercito sempre più potente, dall’altra dalla paura di un ritorno dell’affezione della religione. Un fatto è che ancora oggi, nonostante la legge marziale in vigore, l’opinione pubblica vede con favore misure che riportino nelle strade una sicurezza che era venuta a mancare, che facciano tornare il turismo e che diano alla minoranza cristiana diritto di sopravvivenza come parte integrante del paese. Il senso delle libertà civili è comunque diventato negli ultimi due anni elemento di forte consapevolezza per tutti gli egiziani, che hanno imparato a non avere più paura di manifestare le loro opinioni.

uN QuADro GENErALE

Le rivolte e le richieste di riforme negli altri paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord non sono state seguite, con l’eccezione di Tunisia e Yemen, da cambiamenti ai vertici dello stato. In Marocco, Algeria, Giordania e nelle monarchie della penisola araba, alla concessione di poche riforme hanno fatto spesso seguito limitazioni alla libertà d’espressione, inasprimento delle leggi vigenti, arresti di manifestanti e attivisti online e processi politici. In Bahrein, da febbraio 2011, sono stati uccisi almeno 80 manifestanti e 13 difensori dei diritti umani, attivisti politici e leader dell’opposizione sono stati condannati, anche all’ergastolo. Secondo l’Ong Physician for human rights, mai come in Bahrein, negli ultimi 100 anni, sono stati usati così estensivamente gas lacrimogeni contro la popolazione. La Tunisia è scossa da instabilità e violenza, a seguito degli omicidi politici di due figure di primo piano dell’opposizione laica e del peso crescente assunto nella sfera pubblica dai gruppi fondamentalisti islamisti. Nello Yemen, l’accordo raggiunto a fine 2011 ha garantito al presidente uscente e ai suoi collaboratori piena impunità per le violazioni dei diritti umani commesse nei decenni precedenti. In Libia, lo stato di diritto stenta ad affermarsi a causa della presenza dominante delle milizie armate, che gestiscono ancora i centri di detenzione; circa 8000 presunti collaboratori dell’ex regime di Gheddafi sono in carcere, ancora in attesa di processo.

Neliana tersigni nel 1987 è entrata in rai e, come inviata di guerra del tg3, ha passato circa 10 anni in medio oriente. Nel 1998 è stata nominatacorrispondente da mosca e poi da Berlino. Dal 2003 al 2010 è stata a capo dell’ufficio di corrispondenza Rai del Cairo. Da novembre 2010 lavora per skytg24 come inviata in Egitto e Libia. collabora con il mensile Lo Straniero.

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Il 26 agosto, durante un raid israeliano nel campo profughi palestinese di Qalandia, nella Cisgiordania occupata, sono state uccise tre persone, probabilmente vittime di omicidio illegale. Nel corso del raid, che doveva portare ad alcuni arresti, le forze israeliane hanno usato proiettili veri che, oltre ad aver ucciso tre persone, ne hanno ferite altre 19, tra cui sei bambini. Cinque dei feriti, tra cui tre bambini, hanno riportato ferite nella parte superiore del corpo. Rubin ‘Abd al-Rahman Zayed, 34 anni, impiegato dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, è stato ucciso con un proiettile al petto, sparato da un veicolo militare israeliano che stava uscendo da Qalandia alla fine del raid. In quel momento pare che l’area fosse tranquilla e non ci fossero minacce reali. L’esercito israeliano ha affermato che i soldati hanno reagito con le armi da fuoco, ritenendo che le loro vite fossero in pericolo dopo che i palestinesi avevano lanciato pietre e altri oggetti pesanti contro le loro camionette. Prima di questo episodio, nel corso del 2013, le forze israeliane avevano già ucciso 10 civili palestinesi in Cisgiordania, la maggior parte dei quali durante un raid effettuato a Jenin il 20 agosto.

dal mondo

NuovE uccisioNi iN cisGiorDANiA

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© rEutErs/Giath taha

Il 1° settembre, le forze di sicurezza irachene, secondo quanto riferito dai residenti del campo, hanno fatto irruzione a Camp Ashraf e seminato violenza, uccidendo almeno 47 persone, molte delle quali dopo che erano già state arrestate e ammanettate. Le autorità irachene hanno invece attribuito le morti a scontri avvenuti all’interno del campo. A Camp Ashraf vivono esuli iraniani, per la maggior parte membri e sostenitori dell’Organizzazione dei mojahedeen del popolo iraniano, che erano stati accolti in Iraq da Saddam Hussein negli anni Ottanta. Erano originariamente 3400 ma ne erano rimasti un centinaio, dopo che negli ultimi anni la maggior parte dei residenti era stata trasferita a Camp Liberty, a nordest della capitale Baghdad.

tErrorE A cAmp AshrAf pEr GLi EsuLi irANiANi

Dopo l’annuncio della cancellazione dei sussidi, il 24 settembre il prezzo del carburante è raddoppiato e migliaia di persone sono scese in strada in tutto il paese, dapprima a Wad Madani e poi nella capitale Khartoum, a Omdurman, Port Sudan, Atbara, Gedarif, Nyala, Kosti e Sinnar. A Wad Madani e Omdurman i manifestanti hanno preso d’assalto edifici governativi, stazioni di polizia e pompe di benzina. Il 25 settembre, il governo ha chiuso l’accesso a Internet per diverse ore e il giorno dopo i direttori dei quotidiani di Khartoum sono stati convocati dalle forze di sicurezza che hanno intimato loro di pubblicare solo le notizie provenienti da fonti ufficiali. Il quotidiano Al Sudani ha contravvenuto all’ordine ed è stato chiuso. In due giorni, le forze di sicurezza hanno ucciso, colpendoli alla testa e al petto, almeno 50 manifestanti, anche se secondo fonti e attivisti locali i morti sarebbero oltre 100. La maggior parte dei manifestanti aveva tra i 19 e i 26 anni. I servizi nazionali di sicurezza e d’intelligence hanno arrestato centinaia di persone, la maggior parte delle quali manifestava in modo pacifico. Tra gli arrestati ci sono oppositori politici e attivisti, che ora in carcere rischiano maltrattamenti e torture.

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dal mondo

ll 12 settembre si è verificato lo sgombero forzato di 35 famiglie rom nell’insediamento informale di via Salviati, nella periferia est di Roma. Le operazioni di sgombero sono iniziate alle 7.15 di mattina, condotte da carabinieri, polizia di stato e polizia municipale (circa 70 uomini in tutto). I 120 rom presenti vivevano in via Salviati dallo scorso giugno, dopo essere fuggiti dal “villaggio della solidarietà” di Castel Romano. Lo sgombero era stato predisposto il 5 agosto con l’ordinanza del sindaco Marino n. 184, che prevedeva “il trasferimento immediato di persone e cose dall’insediamento abusivo di nomadi sito in via Salviati” e il loro ricollocamento “presso il villaggio della solidarietà di Castel Romano”. A seguito dell’ordinanza del sindaco, la comunità rom aveva diffuso una lettera aperta, esprimendo la volontà di non rimanere a “vivere in un ghetto” come quello di Castel Romano, un mega-campo monoetnico isolato dal contesto urbano, ad alta concentrazione, un luogo di degrado fisico e relazionale. Nella lettera avevano fatto appello al dialogo per dare vita a nuovi percorsi d’inclusione ma pare che alla lettera non ci sia stata alcuna risposta.

sGomBEro forZAto A romA

Non si fermano le manifestazioni e gli scontri a Istanbul e in altre città turche, nelle quali la polizia ha nuovamente usato grandi quantità di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. La nuova serie di proteste è stata provocata dall’uccisione, in circostanze non chiare, di un manifestante, Ahmet Atakan, nella provincia meridionale di Hatay, il 10 settembre. Secondo la polizia, Atakan è caduto da un palazzo, mentre testimoni oculari hanno riferito che l’uomo è stato colpito da una cartuccia di gas lacrimogeno. La protesta di Hatay era stata convocata per protestare contro l’uccisione di un altro manifestante, Abdullah Comert, a sua volta colpito da una cartuccia di gas lacrimogeno il 3 giugno. Intanto, fonti di stampa hanno diffuso le inquietanti notizie secondo cui la polizia turca ha fatto un ordine straordinario di equipaggiamento antisommossa, tra cui 100.000 candelotti di gas lacrimogeno e oltre 100 veicoli blindati. I gas lacrimogeni potrebbero essere spediti da Brasile, Corea del Sud, India e Usa, che avevano già rifornito la Turchia; in precedenza, altri paesi avevano venduto o avevano manifestato disponibilità a vendere materiali antisommossa alla Turchia, tra questi, Belgio, Cina, Hong Kong, Israele, Regno Unito e Repubblica Ceca.

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inBreveArABiA sAuDitAaIl 29 luglio, lo scrittore e attivista Raif Badawi è stato condannato a sette anni di prigione e 600 frustate per aver espresso pacificamente le sue idee e tra le altre cose per aver creato e diretto un forum online, Liberali dell’Arabia Saudita, dove sono apparsi post anonimi considerati offensivi verso l’Islam.

sri LANKAIl 1° agosto, nel villaggio di Weliweriya, le proteste della popolazione per chiedere la chiusura di una fabbrica tessile che inquina i corsi d’acqua e l’accesso sicuro all’acqua potabile sono finite in un bagno di sangue. L’esercito avrebbe sparato sulla folla, uccidendo tre ragazzi che cercavano di rifugiarsi in chiesa e ferendo gravemente 45 persone.

romANiAIl 5 agosto, 15 famiglie rom per un totale di almeno 60 persone hanno

subito uno sgombero forzato nella città di Baia Mare. Queste famiglie, che vivevano nell’insediamento di Craica, uno dei più grandi della Romania, con numerosi neonati e bambini,  si sono ritrovate senza un riparo.

itALiA L’8 agosto è stato adottato un decreto legge contro la violenza sulle donne, ancora in discussione presso le commissioni della Camera. La decisione ha il merito di riconoscere la gravità della situazione ma non affronta alcuni aspetti cruciali del problema.

ANGoLAIl 24 agosto è stato diffuso un video, probabilmente girato nel carcere di Viana, nella capitale Luanda, nel quale per cinque minuti e 39 secondi la polizia picchia i prigionieri con bastoni e cinghie. Già a febbraio era stato diffuso un video che dimostrava la violenza nelle carceri angolane.

KENyAIl 5 settembre, il parlamento ha approvato una mozione per il ritiro dalla Corte penale internazionale. Il voto è arrivato pochi giorni prima dell’inizio del processo all’Aja nei confronti del vicepresidente keniano William Ruto, accusato di crimini contro l’umanità in relazione alla violenza postelettorale del 2007-8.

itALiAL’8 settembre, dopo cinque mesi di prigionia in Siria, è stato finalmente rilasciato il giornalista italiano Domenico Quirico. Con lui è stato liberato anche il belga Pierre Piccinin, finito nelle mani dei rapitori insieme all’inviato de La Stampa.

iNDiAIl 13 settembre sono state emesse quattro condanne a morte per uno stupro di gruppo commesso nel dicembre 2012. Gli stupri e altre forme di violenza sessuale sono comuni in tutto il paese. Ad aprile è entrata in vigore una nuova legge che punisce numerose forme di violenza contro le donne.

AfGhANistANIl 16 settembre, Lieutenant Negar, 38 anni, importante donna poliziotto che si era esposta contro la violenza sulle donne e che aveva fatto pressione per la loro protezione, è morta in ospedale dopo che due uomini non identificati in motocicletta le hanno sparato.

GrEciAPavlos Fyssas, 34 anni, musicista noto per le sue idee antifasciste, è stato accoltellato a morte nelle prime ore del 18 settembre ad Atene, da un 45enne che si è dichiarato membro di Alba dorata, partito politico di estrema destra. Nel corso dell’inchiesta, il leader del partito è stato arrestato insime ad altri militanti e deputati.

russiAIl 19 settembre, le forze di sicurezza russe hanno abbordato una nave di Greenpeace e arrestato una trentina di attivisti con l’accusa di pirateria. Protestavano contro le prospezioni petrolifere nel mar di Pechora.

dal mondo

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Nel primo mandato è stato Wikileaks e durante il secondo Edward Snowden: i “leaks” si sono finora rivelati il più temibile, determinato e imbarazzante avversario interno per l’amministrazione Obama. “Leaks” significa “fuga di notizie”, d’informazioni coperte dal “top secret” ed entrambe le crisi attraversate da Washington hanno all’origine la scelta di un dipendente dell’apparato di sicurezza. Nel caso di Wikileaks è il soldato Bradley Manning (nella foto), in servizio per l’intelligence in Iraq, a fornire a Julian Assange oltre 700mila documenti riservati di Pentagono e Dipartimento di stato, scaricati dal sistema elettronico “Intranet”; mentre Edward Snowden, contractor civile in servizio alla National Security Agency come analista elettronico, accumula sul suo laptop alcuni dei segreti più importanti dell’intelligence, per poi fuggire all’estero e rivelarli. Manning e Snowden descrivono entrambi le proprie scelte come atti di protesta contro un governo federale che tiene all’oscuro i cittadini del proprio operato. Manning lo dice con chiarezza, nell’aula di Fort Meade dove viene processato, mentre Snowden nella prima intervista da fuggiasco concessa a Hong Kong, va oltre auspicando che “i cittadini americani decidano” di fare pressioni sul Congresso di Washington per bloccare l’onnipotente intrusione dell’intelligence nelle vite private dei singoli cittadini. Daniel Ellsberg, che rivelò nel 1967 sul New York Times i ‘Pentagon Papers’ che alzarono il velo sulla guerra in Vietnam, ritiene che in entrambi i casi si tratti di una questione di “libertà d’informazione” e “diritti civili”. Per Ellsberg, tanto Manning che Snowden sono nel giusto, battendosi per infrangere il muro della segretezza che protegge un governo federale impegnato a spiare i cittadini come a nascondere le proprie politiche. Ma Carl Bernstein, coautore assieme a Bob Woodward degli scoop del Watergate, che obbligarono Richard Nixon alle dimissioni nel 1974, obietta che c’è “una differenza fondamentale fra Ellsberg e Snowden”, per via del fatto che Snowden “ha deciso di svelare le informazioni in suo possesso dopo essere fuggito all’estero”.

dal mondo

fuGA Di NotiZiE di maurizio molinari *

Snowden va oltre auspicando che “i cittadini americani

decidano” di fare pressioni sul Congresso

di Washington per bloccare l’onnipotente intrusione

dell’intelligence nelle vite private dei singoli cittadini.

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© us Army

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dal mondo

“Se Snowden avesse davvero voluto spingere l’America a sollevarsi contro le violazioni della privacy da parte del governo federale - sostiene Bernstein - avrebbe dovuto rimanere in patria e battersi in tribunale, affrontandone i relativi rischi”, proprio come fatto da Ellsberg e Manning. A complicare la posizione di Snowden c’è il fatto di essersi rifugiato prima in Cina e poi in Russia, ovvero due nazioni rivali strategiche degli Stati Uniti, i cui servizi d’intelligence restano costantemente impegnati a violare la sicurezza dell’America. La divergenza di posizioni fra Ellsberg e Bernstein riassume la delicatezza di un dibattito fra “sicurezza collettiva” e “libertà personali” che attraversa gli Stati Uniti, dal Congresso ai mezzi di comunicazione. A tentare di trovare una lettura comune è Alan Dershowitz, il giurista liberal di Harvard, secondo il quale il problema “nasce dalla legge contro le fughe di notizie che risale al 1917 ed è sufficientemente lacunosa da consentire al governo d’invocarla a proprio piacimento”, con il risultato di “perseguire Assange per un reato che non viene contestato a Bob Woodward o Seymour Hersh, sebbene anch’essi pubblichino spesso notizie riservate, coperte

dal segreto”. Da qui la tesi di Dershowitz, secondo cui i casi giudiziari contro i “leaks” non hanno a che fare con la tutela della sicurezza, quanto con “l’imbarazzo che provocano al governo”. Lo spiega così: “Ellsberg svelò con i ‘Pentagon Papers’ una guerra che l’amministrazione Nixon all’epoca non voleva ammettere, così come Assange ha alzato il velo sulle differenze fra quanto i diplomatici dicono e fanno. In entrambi i casi l’esecutivo si è sentito in forte imbarazzo di fronte all’opinione pubblica e la reazione è stata incriminare i personaggi interessati”. A prescindere dai diversi pareri di Ellsberg, Bernstein e Dershowitz, il dato politico che emerge a Washington è la necessità per Barack Obama di definire un nuovo approccio alla protezione delle informazioni governative per andare incontro alla necessità di maggiore trasparenza condivisa da gran parte degli americani. Obama ha promesso di rispondere a tale richiesta entro la fine del secondo mandato ed è sulla base di quanto farà che disegnerà un nuovo equilibrio fra libertà e sicurezza negli Stati Uniti, lasciandolo in eredità al successore. *Corrispondente de La Stampa da New York

maurizio molinari, nato a roma nel 1964, è il corrispondente de La Stampa da New york dal gennaio 2001, in precedenza è stato corrispondente da Bruxelles e corrispondente diplomatico. È autore di 14 libri su temi internazionali, l’ultimo è “Governo ombra” (rizzoli). È l’unico giornalista italiano ad aver intervistato gli ultimi due presidenti americani. Vive nell’Upper West Side di Manhattan con la moglie Micol e i loro quattro figli. Lo potete seguire su twitter @maumol

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Il suo corpo trivellato di colpi è stato abbandonato alla periferia di Paktika. L’omicidio di Sushmita Banerjee è stato terrifican-te ma non ha sorpreso nessuno. La donna indiana era scappata dalla prigionia dei talebani nel 1995 e aveva cominciato a scrivere un libro sulla sua espe-rienza. Donne e ragazze sono prese di mira da com-pagni, parenti e gruppi armati, inclusi i talebani, anche alla luce del sole. Nessuno al governo sembra porci alcuna attenzione. Molte non hanno altra scel-ta che il silenzio: se denunciano o scappano, pro-babilmente verranno uccise. Tra le tante donne che ho incontrato in Afghanistan c’è Noorzia Atmar, ex membro del parlamento. Suo marito le ha tagliato la gola e l’ha quasi uccisa. È riuscita a trovare un ri-paro sicuro e ha iniziato la procedura per il divorzio. Dopo mesi di negoziati, suo marito ha accettato, a condizione che se fosse stata uccisa lui non sarebbe stato perseguito. Il tribunale ha acconsentito. Se questo può accadere a una donna con la sua po-sizione, quale può essere la situazione per i milioni di donne e ragazze che vivono nelle zone rurali? Sot-to i talebani, le donne subiscono abusi perché gli uomini sanno che la faranno franca. Se picchiano, bruciano, uccidono una donna, anche se venissero perseguiti, raramente andrebbero in carcere e in caso solo per pochi mesi. Il messaggio è che questa violenza viene tollerata.

Nel 2009, l’Afghanistan aveva introdotto una leg-ge contro la violenza sulle donne ma non è stata di fatto applicata. Le cose cambieranno solo se le autorità investiranno tempo e risorse per educare pubblici ministeri, giudici, polizia e opinione pub-blica a considerare gli abusi sulle donne illegali e punibili. Tutti devono capire che ogni donna, né più né meno di ogni uomo, ha il diritto di studiare, lavo-rare, esprimere opinioni e vivere la vita che sceglie, libera da violenza e intimidazioni.

GuErrA ALLE DoNNE AfGANE “Vorrei ringraziare Amnesty International per le sue continue campagne in difesa dei diritti umani e per avermi dato questo premio per la campagna globale per il diritto all’istruzione delle ragazze.”

Malala Yousafzai è stata insignita, insieme a Harry Belafonte, del premio Ambasciatore di coscienza 2013 di Amnesty International. Malala, 16 anni, è un’attivista per l’uguaglianza nell’istruzione. Nel diario scritto nel 2009 per la Bbc, aveva denun-ciato l’editto con cui i talebani pakistani avevano chiuso le scuole femminili e nel 2012 questi le avevano sparato, ferendola gravemente.

di horia mosadiq, ricercatrice di Amnesty international in Afghanistan

dal campo

© uNhcr/J. tanner

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Mentre questa rivista arriva a destinazione, Amnesty International Italia, nelle sue componenti volontarie e professioniste, è impegnata nella stesura del piano per il 2014-2015. La parola chiave è “crescita”. Ci chiede di crescere il movimento internazionale, che ha incluso il nostro paese, nonostante innegabili difficoltà economiche, tra quelli che hanno una grande riserva in parte inespressa di attenzione e sensibilità verso i diritti umani. Ci chiedono di crescere gli attivisti, che sollecitano un’organizzazione più efficiente e rapida. Soprattutto, ci chiedono di crescere i titolari dei diritti, le persone in favore delle quali, da 52 anni, Amnesty International lavora per produrre un cambiamento concreto nelle loro vite. Per ottenere quel cambiamento occorre un impegno costante e occorrono fondi.Nel prossimo biennio, l’azione globale di Amnesty International si concentrerà in particolare su due campagne: una su un tema storico del movimento, la tortura, diffusa in oltre la metà dei paesi del mondo; l’altra sul diritto a essere ciò che si è e a prendere decisioni (e a vederle rispettate!) sul

carlotta samiDirettrice generaledi Amnesty International Italia

uN BiENNio Di crEscitA

in italia

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proprio corpo, sulla propria identità, sul proprio orientamento sessuale. Non trascureremo il resto. Siamo in grado di non disperdere energie e risorse ma non siamo capaci di perdere di vista cosa accade in ogni parte del mondo. Per questo, le azioni sulle singole persone a rischio di gravi violazioni dei diritti umani proseguiranno senza sosta, così come la campagna europea contro la discriminazione verso migranti e rifugiati e quella italiana per avere finalmente leggi e prassi in accordo col diritto internazionale. Quando è stata rilasciata dal carcere, il 19 settembre, l’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh ha immediatamente telefonato alla sede centrale di Londra e chiesto di parlare col ricercatore sull’Iran: “Sono consapevole di tutte le azioni che avete svolto in mio favore e voglio ringraziarvi tutti per ciò che avete fatto”. Queste parole ci caricano di una grande, enorme responsabilità.

...sono consapevole di tutte le azioni che avete svolto in mio favore e

voglio ringraziarvi tutti per ciò che avete fatto

Nasrin Sotoudeh

il tuo aiuto é essenziale!

SOSTIENICI!

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in turchia le proteste non si fermano e non si ferma la violenza della polizia, che colpisce in modo eccessivo e indiscriminato passanti, manifestanti, giornalisti, personale sanitario e chi rimane fermo immobile per ore, in segno di protesta. Ancora non si conosce il numero esatto dei morti, dei feriti e degli arrestati, il bilancio di questo braccio di ferro tra un popolo che chiede dignità e diritti e un potere repressivo che mostra il suo lato peggiore. Amnesty International è in Turchia, al fianco di chi rivendica il diritto alla libertà d’espressione e di riunione.

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LAsciArE iL sEGNo A LAmpEDusA a cura di roberta Zaccagnini

in italia

per il terzo anno del campo per i diritti umani a Lampedusa, che si è tenuto sull’isola a luglio, volevamo lasciare un segno che ricordasse a chi sull’isola ci vive, per scelta o per necessità, che Amnesty c’è. È nata così l’idea di coinvolgere l’illustratore Lorenzo terranera per coadiuvare 70 persone, tra parteci-panti al campo e lampedusani, nella progettazione e nella realizzazione di tre murales in punti simbolici dell’isola. E a lui abbiamo chiesto anche di raccontarci com’è andata.

L’esperienza di panta rei

“Conoscendo nuove persone,vivendo nuove esperienze, imparando cose nuovesi è messi in discussione.Essere in discussione ci scuote dal torpore e dall’ozio.Può far male, ma è vita piena.”Lorenzo(Treno Milano-Bergamo, ore 00.10, 04/08/2013, alla fine di Panta Rei)

Nessuno meglio dei protagonisti, come Lorenzo, può spiegare cos’è successo a Panta Rei, a Passignano sul Trasimeno, dal 29 luglio all’8 agosto: 70 giovani dai 14 ai 25 anni sono voluti andare aldilà del “sentito dire” per saperne di più sui diritti umani. Nell’amenità del luogo, un centro di cultura ecologica che realizza uno stile di vita alternativo e lungimirante, hanno conosciuto una realtà diversa da quella che gli avevano raccontato su temi come la trasparen-za delle forze di polizia, migranti, Lgbti, rom. Hanno quindi conosciuto un’Italia diversa ma soprattutto, giorno dopo giorno, hanno capito che il futuro dei diritti umani dipende anche da loro perché, come ha detto Elena, un’altra delle partecipanti al campo, “prima di questo campo credevo a quelli che mi dicevano ‘ma tanto è inutile, tanto non cambia niente’, adesso non ci credo più. E torno a pensare che qualcosa si può fare davvero perché qualcosa cambi. Ho fiducia. Voglio diventare attivista”.

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cos’abbiamo fatto a Lampedusa?A Lampedusa persone normali, venute per vedere con i loro occhi cosa succedeva, si sono messe in gioco. Prendendo i pennelli in mano sono tornate a quando avevano abbandonato quel gesto, all’infanzia. È un gesto di rottura. E hanno fatto una cosa bella. Noi non siamo andati per provocare: l’emergenza continua ma non deve incombere e lì non la percepisci. Noi siamo andati per rendere il posto più bello e per lasciare un segno. A suo modo una denuncia ma non un manifesto.visto che per Amnesty international attivista è chiunque si attivi in difesa dei diritti umani, i 70 (te compreso) a Lampedusa erano attivisti. Alla luce di questo, che idea ti sei fatto dell’attivista? chi è? È uno che dice: “A me questi non me la raccontano giusta”. È qualcuno che per prima cosa vuole capire come stanno davvero le cose. Capire per attivarsi, nel suo piccolo. Uno che esce dal suo guscetto e chiede: “Bene! Da dove cominciamo?”.cosa ti sei portato a casa dal campo?Quando sono partito sapevo che avrei portato qualcosa lì ma non sapevo che avrei preso altrettanto, se non di più. A parte conoscere voi, mi si sono aperte varie porte. Ho capito che stavo sbagliando su alcune cose perché possiamo fare molto di più. Bisogna attivarsi. Dobbiamo essere registi di quello che vogliamo. Non aspettare Amnesty o qualcuno che bussi alla tua porta per proporti il cambiamento. Ce l’hai di sottofondo questa spinta al cambiamento ma poi ci si mette sempre di mezzo qualcosa, il tempo, il lavoro, la gestione della vita, ma ce l’hai, sotto ce l’hai sempre. È la prima volta che Amnesty in italia lascia un segno artistico così forte per portare avanti la battaglia per i diritti umani. in generale, che ruolo pensi possa avere l’arte, la creatività nella lotta per i diritti umani?L’immagine è la prima cosa che arriva. È uno strumento presente a tutti i livelli. Tutti ne veniamo catturati. C’è chi la usa per raccontare cose futili e chi per raccontare qualcosa di profondo: conta l’intento. Che tu sia un fruitore o uno che la produce, l’immagine avrà un suo futuro. Se pensi ad Amnesty ti viene subito in mente la candela con il filo spinato. C’è poi un altro livello. Se vuoi coinvolgere qualcuno lo fai partecipare alla realizzazione di qualcosa, soprattutto se è un qualcosa di nuovo, d’inesplora-to. È una cosa a cui difficilmente riesci a dire di no. Chi partecipa a una cosa del genere difficilmente se la scorda perché sente di far parte di qualcosa di concreto, di tangibile.

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campo giovani in maroccoApprofondimento

Di tutte le entusiasmanti nuove esperienze fatte nel campo, ciò che credo sia stato il dono più grande di questa avventura sono stati i contatti e gli scambi avuti con le persone che ho incontrato. Ragazzi e ragazze che come me ascoltano Tracy Chapman e attendono con impazienza la quarta stagione di Game of Thrones, mi hanno raccontato le loro giornate a Gezi Park, tra i lacrimogeni della polizia e una tenda condivisa, mi hanno descritto come ci si sente a lavorare negli slum di Casablanca o a camminare lungo la “chiusura di sicurezza”. Ascoltare dai diretti interessati come si è svolta, e si protrae tutt’ora, la scia di rivoluzioni arabe e quanto sia cambiata la loro vita quotidiana mi ha avvicinato incredibilmente a situazioni e momenti che fino ad allora erano semplici notizie, certo straordinarie, ma pur sempre parole su un giornale o immagini in televisione. Le lotte che hanno condotto, come singoli e con Amnesty International, per la difesa dei diritti umani sono anche le nostre battaglie, quelle che portiamo avanti in tante lingue e paesi diversi ogni giorno. Questo è il sentimento che più mi ha cambiato, questo essere insieme, fianco a fianco in una lotta comune, formando un’unica fiamma che dirada il buio, uniti in “one Amnesty”.

La sezione marocchina di Amnesty international ha organizzato il 14° campo giovani, con 35 attivisti fra i 18 e i 25 anni provenienti da medio oriente, Africa del Nord, turchia, olanda, Francia, Belgio e Italia. Un’occasione per analizzare le sfide, gli obiettivi e le difficoltà dei giovani in materia di diritti umani. ce lo racconta Giulia ross, che ha partecipato!

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LA GiorNAtA moNDiALE pEr iL Diritto ALL’ALLoGGio

Il 7 ottobre si è celebrata la Giornata mondiale per il diritto all’alloggio. Quest’anno Amnesty International ha concentrato le sue azioni a favore dei residenti degli slum in Kenya, dove circa due milioni di abitanti vivono con inadeguato o nessun accesso a un alloggio adeguato, acqua, istruzione, assistenza sanitaria e sicurezza. Eppure pagano le tasse, votano, contribuiscono all’economia. Alcune comunità hanno incontrato ambasciatori, funzionari governativi, la stampa e tenuto manifestazioni. In Italia, le attiviste e gli attivisti hanno preso parte a una mobilitazione online contro gli sgomberi forzati illegali.

in italia

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Realizzate in collaborazione con la cooperativa AltraQualità, le nuove maglie manica lunga, le felpe e i prodotti neonato sono un modo esclusivo per portare sempre con te la difesa dei diritti umani! Tutti gli articoli di Amnesty International sono produzione del commercio equo e solidale, realizzati in diversi paesi del mondo e contribuiscono a sostenere differenti realtà e a difendere i diritti umani! È possibile ordinare i prodotti sul sito www.tramedistorie.it.

AGENDA iN 10 puNti sui Diritti umANi

A gennaio, in vista delle elezioni politiche 2013, Amnesty International aveva lanciato la campagna “Ricordati che devi rispondere”, sottoponendo ai leader delle coalizioni in lizza e a tutti i candidati un’Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia, che spazia dalla richiesta di trasparenza della polizia, ai diritti di donne, persone Lgbti, migranti, detenuti e rom, a una politica estera incentrata sui diritti umani. L’Agenda è stata sottoscritta, integralmente o quasi, da 117 parlamentari (un ottavo del parlamento) e da tutti i leader delle forze politiche ora nell’esecutivo. Abbiamo la responsabilità di assicurare che alle promesse elettorali seguano i fatti. I primi sei mesi di legislatura ci consegnano un bilancio promettente. La campagna ha contribuito a portare i diritti umani al centro dell’azione istituzionale. Sulla maggior parte dei punti è stato presentato almeno un disegno di legge e su alcuni, come omofobia e tortura, è stata avviata la discussione. Non possiamo abbassare la guardia adesso, perché il rischio che questi percorsi abbiano esito in un nulla di fatto è in agguato. Esortiamo governo e parlamento a realizzare entro la fine della legislatura le riforme richieste dai difensori dei diritti umani e chiediamo ai parlamentari che ancora non si sono espressi sull’agenda – oltre 830 – di farlo al più presto. Sappiamo che un’Italia diversa è possibile. Non ci fermeremo finché non la vedremo realizzata.

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LA scuoLA DEi Diritti 2013-2014

Se avete da 0 a 100 anni e amate le storie che fanno riflettere e conoscere nuovi mondi, se siete insegnanti o educatori e cercate nuove idee e strumenti per lavorare in classe sui diritti umani o se volete semplicemente “mettervi in gioco” con noi, anche quest’anno su www.amnesty.it/educazione trovate il catalogo “La scuola dei diritti”, con l’offerta educativa di Amnesty International per la scuola (e non solo). Vi auguriamo buona lettura e buon inizio di anno scolastico, con la speranza che il nostro lavoro possa esservi di stimolo, supportarvi nelle vostre attività e farvi riflettere e attivare con Amnesty International.

A cAusA Di ciÒ chE soNoIn Europa le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate (Lgbti) sono vittime di violenza sia nelle leggi che nella prassi. L’intolleranza e il pregiudizio sfociano spesso in attacchi d’odio e obbligano molte persone Lgbti a nascondere il loro orientamento sessuale. Il 18 settembre, Amnesty International ha lanciato il rapporto “A causa di ciò che sono: omofobia, transfobia e crimini d’odio in Europa”, in cui si chiede all’Unione europea di proteggere le persone Lgbti dalla discriminazione e dalla violenza e si mette in luce le lacune delle legislazioni di molti paesi. Tra questi c’è l’Italia, dove la camera dei deputati sta discutendo un disegno di legge sul contrasto dell’omofobia e della transfobia, che potrebbe finalmente comprendere l’orientamento sessuale e l’identità di genere nell’elenco dei motivi discriminatori associati ai crimini d’odio.

Approfondimento uN mEssAGGio pEr GiovANissimi DifENsori DEi Diritti umANi

:Diritti (che si legge “duepuntidiritti”) è una nuova serie di fascicoli illustrati che Amnesty International Italia ha realizzato per giovani lettori da 8 a 12 anni. Ogni numero, attraverso fumetti, notizie, giochi e proposte di attività, affronta un tema in particolare (lo sport, la città, la musica, il cinema…), parlando dei diritti umani a esso collegati. I ragazzi possono ricevere a casa i quattro numeri di :Diritti aderendo ad Amnesty Kids con una donazione di 15 euro annui. I giovanissimi difensori dei diritti umani saranno inoltre invitati a partecipare alle Azioni Urgenti Kids: veri e propri appelli, scritti in un linguaggio semplice e coinvolgente, per dare il proprio contributo alla difesa dei diritti umani.

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appelli

Dall’inizio delle proteste scoppiate in Siria nel febbraio 2011, migliaia di presunti oppositori del governo sono stati detenuti arbitrariamente.  Alcuni risultano ancora scomparsi e le loro famiglie, che vivono nell’angoscia e nella disperazione, non sanno che sorte sia toccata loro e ignorano il luogo in cui si trovino. Altri, sottoposti a sparizione forzata sono stati poi rilasciati dopo aver trascorso mesi in detenzione segreta e hanno raccontato ad Amnesty International delle torture e degli altri maltrattamenti subiti.

Aiutaci a supportare le persone vittime di sparizione forzata e le loro famiglie, firma l’appello per porre fine a questa pratica!

Nel febbraio  2012, le Pussy Riot hanno eseguito per pochi secondi nella cattedrale ortodossa di Mosca una canzone di protesta con cui criticavano le autorità russe. Due di loro, Nadezhda “Nadya” Tolokonnikova e Maria “Masha” Alekhina,  sono state giudicate colpevoli di “vandalismo per motivi di odio religioso” e  stanno scontando condanne in colonie penali  note per essere luoghi brutali. Purtroppo, la loro domanda di rilascio anticipato, per poter accudire i loro figli piccoli, è stata respinta. Le due donne sono prigioniere di coscienza e Amnesty International è preoccupata per la loro incolumità.

Chiedi alle autorità russe che Maria Alekhina e Nadezhda tolokonnikova vengano immediatamente liberate!

A giugno, Pavel Selyun, un uomo di 23 anni, è stato condannato a morte per duplice omicidio nella Bielorussia occidentale. Il suo avvocato ha presentato ricorso contro la sentenza alla Corte di cassazione. La Bielorussia è l’unico paese in Europa che ancora compie esecuzioni: nel 2012 ha messo a morte tre uomini.  Le condanne a morte sono spesso imposte al termine di processi iniqui, che prevedono anche confessioni forzate, sono attuate in completa segretezza e senza dare un adeguato preavviso ai detenuti stessi, alle loro famiglie o ai rappresentanti legali. 

scrivi al presidente bielorusso per chiedere la commutazione della condanna a morte per pavel selyun e una moratoria sulla pena capitale.

BiELorussiA:uN ALtro coNDANNAto A mortE

fEDErAZioNE russA: LiBErAtE ALE pussy riot!

siriA: tANtE fAmiGLiE AttENDoNo i Loro cAri

© Denis Bochkarev© Archivio privato

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interviste

intervista a selwyn strachan

Selwyn Strachan ha trascorso 1715 giorni nel braccio della morte di Grenada ed è stato finalmente rilasciato nel 2009, dopo 26 anni di carcere. In questi anni ha portato avanti la battaglia contro la pena di morte nel suo paese e in tutti i Caraibi.

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soprAvvissuto AL BrAccio DELLA mortE

perché ti opponi alla pena di morte?A causa della pena di morte possono essere, e sono state, tolte vite innocenti.Sono rimasto nel braccio della morte della prigione di Richmond Hill dal 1986 al 1991, condannato a morte per impiccagione con 11 capi d’imputazione per omicidio, insieme ad altre 13 persone, tutti ex ufficiali dell’esercito o del governo. Amnesty International ha definito il nostro processo “evidentemente e fondamentalmente iniquo”. La pena di morte era obbligatoria in quel periodo e le nostre condanne sono rimaste in piedi fino al 12 luglio 1991. Sono rimasto 1715 giorni nel braccio della morte e gli ultimi 31 giorni sono stati i più angoscianti.

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Sono 58 i paesi che ancora utilizzano la pena di morte e tra questi ci sono tutti i paesi caraibici di lingua inglese: Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Dominica, Guyana, Grenada, Giamaica, St. Lucia, St. Kitts e Nevis, St. Vincent e Grenadine, Trinidad e Tobago. È a questi paesi che Amnesty International si è rivolta il 10 ottobre, Giornata mondiale contro la pena di morte, per chiedere l’abolizione della pena capitale. La maggior parte continua a emettere condanne a morte; solo Antigua e Barbuda, Dominica e Grenada non hanno emesso condanne negli ultimi anni. Grenada è considerata abolizionista de facto (l’ultima condanna a morte risale al 1978). Per le persone condannate per omicidio nelle Barbados e a Trinidad e Tobago, o per tradimento

nelle Barbados, l’unica pena continua a essere la condanna a morte. Nonostante nei paesi caraibici viva solo l’8,5 per cento della popolazione mondiale, il 27 per cento degli omicidi a livello globale hanno luogo qui. Le condanne a morte vengono comminate per lo più per omicidio e avvengono per impiccagione. In occasione della Giornata, numerose sono state le iniziative in Italia, organizzate dalle attiviste e dagli attivisti su tutto il territorio per raccogliere firme per la petizione internazionale. Il 30 novembre, inoltre, si svolgerà la consueta iniziativa “Città per la vita”, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, a cui gli attivisti di Amnesty prenderanno parte.

A 72 ore dalla decisione del 12 luglio, le autorità della prigione preparavano la forca, non lontano dalla mia cella. Immaginate di essere in una cella aspettando di essere impiccato e poter sentire il costante suono metallico del ferro, mentre gli impiegati preparano la forca. Durante gli ultimi giorni, c’era arrivata l’informazione che la stavano preparando per i primi cinque di noi. Uno di loro è venuto a darmi commiato ma io gli ho risposto “Non mollare, neanche in questo momento”. Ero ancora convinto che ci sarebbe stato qualche intervento che avrebbe fermato la nostra esecuzione. Dopo una grande campagna internazionale, inclusa quella di Amnesty International e altri, dentro e fuori Grenada, siamo stati graziati e condannati all’ergastolo, sebbene questo tipo di sentenza non fosse prevista dalla legislazione del paese.Quali sono le tue particolari preoccupazioni sulla pena di morte a Grenada?Anche se siamo un paese abolizionista de facto da 35 anni, non abbiamo votato a favore della risoluzione dell’Onu per una moratoria sulla pena di morte. Questa

è una contraddizione. Non abbiamo più l’obbligatorietà della pena di morte per certi reati. Abbiamo tutti gli elementi per arrivare all’abolizione ma non abbiamo la volontà politica o non facciamo abbastanza pressione su questo tema.Cosa stai facendo per cambiare la mentalità delle persone riguardo alla pena di morte?Sto facendo grandi sforzi per collaborare coi mezzi di comunicazione. Il sostegno pubblico alla pena di morte è ancora forte qui, perché manca l’aspetto educativo della campagna. Questo è un fattore chiave. Ma anche la difficile situazione socio-economica in cui ancora la popolazione caraibica deve vivere gioca un ruolo fondamentale. Comunque penso che la tendenza stia lentamente cambiando.Quale differenza ha fatto per la tua vita e per il tuo attivismo il sostegno di Amnesty international, direttamente a te in passato e nelle attuali campagne per l’abolizione?Il sostegno di Amnesty International è stato eccezionale, considerato che sono stato imprigionato per 26 anni,

di cui quasi cinque nel braccio della morte. Amnesty International non ha mai esitato nella sua campagna per il mio caso. Ha chiesto la libertà per me e per i miei compagni nel braccio della morte, da quando siamo stati incarcerati per anni, anche perché i nostri processi non avevano rispettato gli standard internazionali sui diritti umani. Il ruolo di Amnesty International nel salvare la mia vita ha senz’altro dato un grande contributo alla mia attività odierna contro la pena di morte.vorresti mandare un messaggio alle persone che sono nel braccio della morte e agli attivisti impegnati per fermare le esecuzioni in tutto il mondo?Sì, il mio messaggio è semplice. Per quelli nel braccio della morte: abbiate fiducia, non perdete la speranza, la Coalizione mondiale contro la pena di morte sta lavorando per le vostre vite. E agli attivisti impegnati per fermare le esecuzioni in tutto il mondo: continuate il vostro lavoro importante e coraggioso. Continuate il grande sacrificio. E così contribuirete in modo pratico e significativo a portare avanti questo slogan: “Fermiamo il crimine, non le vite!”.

La Giornata mondiale contro la pena di morte

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interviste

Il 20 luglio vi siete esibiti sul palco di Voci per la libertà. Nonostante un’estate fitta d’impegni avete trovato il tempo per questo evento musicale che è ormai una realtà consolidata, sia per gli artisti emergenti che come spazio per parlare di diritti umani. che impressione avete avuto del festival?C’era una bellissima atmosfera e abbiamo avuto una fantastica accoglienza. Siamo stati molto bene ed è stato bello per noi soprattutto perché abbiamo potuto dare un contributo a cause importanti. Siamo stati molto contenti di esserci. Siete uno dei gruppi italiani più apprezzati, collaborate con alcuni tra i migliori artisti, i vostri concerti fanno sold out. A parte godervi il meritato successo, pensate che la musica possa avere anche un ruolo nel solle-vare alcune problematiche o nel risvegliare coscienze?La musica è un veicolo importantissimo. Con la musica si possono comunicare cose che in altro modo potrebbero risultare pesanti. La gente tende a non voler pensare ai problemi che ci sono intorno, a quelli degli altri soprattutto. Se glieli presenti in mezzo a tante note è più facile. La musica è un veicolo inte-ressante per i temi sociali.

mArtA sui tuBia cura di Beatrice Gnassi

intervista a Giovanni Gulino

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Noi nelle nostre canzoni a volte parliamo di temi sociali ma siamo più che altro impegnati a parlare delle crepe dell’ani-mo che abbiamo tutti quanti. Dal vivo però non manchiamo occasione per rimarcare aspetti della società in cui viviamo che non ci stanno bene, perché siamo convinti che ai fan interessi ascoltare anche il pensiero di chi suona per loro e non solo le note.Nel titolo del vostro ultimo album, “cinque, la luna e le spine”, il numero cinque, oltre a essere simbolico in que-sto momento per voi (cinque come i componenti del grup-po; cinque come gli anni insieme; cinque come gli album pubblicati), è anche un riferimento al quinto comanda-mento: non uccidere. perché questa scelta?Perché è uno dei pochi comandamenti in cui crediamo. Non ci possiamo definire una band di fedeli cristiani ma sicura-mente ci riconosciamo nel valore universale di non uccidere nessuno e vivere in pace con gli altri. Un valore arrogato dal Cristianesimo ma che sta comunque alla base della nostra convivenza civile.c’è un tema tra quelli di cui si occupa Amnesty internatio-nal che vi sta particolarmente a cuore? Abbiamo massima stima per quello che fate. In ambito inter-nazionale portate avanti un lavoro straordinario ma anche in Italia c’è tanto da fare e che state facendo. Penso al tema delle carceri. In Italia c’è una popolazione carceraria che è praticamente doppia rispetto a quella che i nostri istituti potrebbero accogliere. Soltanto il tre per cento delle persone che sono in carcere lavora. Hanno fatto uno studio recente secondo il quale il 90 per cento di chi ha lavorato nel periodo di detenzione non è recidivo, mentre chi non lavora in gran-de percentuale ritorna dentro. Il carcere in questo momento

in Italia è solo una punizione, non riabilita. Se vogliamo mi-gliorarci come popolo e come nazione dobbiamo riuscire a riabilitare le persone che per tanti motivi hanno preso la via sbagliata. Spero che un giorno vivremo in un posto dove chi sbaglia paga ma impara anche a non sbagliare più. che programmi avete per l’inverno e per il nuovo anno? Stiamo concludendo la tournée estiva ma probabilmente ne faremo anche una invernale. Ci piacerebbe prenderci il tem-po necessario per lavorare con calma a nuove canzoni per la prossima uscita discografica, che non sappiamo ancora quando sarà. Io ho grandissima voglia di rimettermi a lavo-rare e a scrivere.

voci pEr LA LiBErtÀ 2013Anche quest’anno Rosolina a Mare è stato il palcoscenico di Voci per la libertà, il festival per musicisti emergenti organizzato dall’omonima associazione in collaborazione con Amnesty In-ternational, giunto alla XVI edizione. La fase live dedicata alle giovani band è stata chiusa ogni sera da un’ospite d’eccezione: venerdì 19 il concerto acustico e raffinato di Mario Venuti, sabato 20 quello trascinante ed energetico dei Marta sui tubi e domenica 21 il gran finale con Enzo Avi-tabile, vincitore del Premio Amnesty insieme a Francesco Guccini. La domenica sono stati anche consegnati il Premio Amnesty Italia Emergenti a Leo Miglioranza per “Na Coeomba Bianca”, ninna nanna nella quale il dialogo tra una mamma il suo bambino ci parla di mine antipersona; il Premio della Critica ai Syncage per “The Call Of The Lords”, canzone dedicata al fenomeno dei bambini soldato; il Premio della Giuria popolare ad Andrea Dodicianni per “Saint Michel”, una sorta di preghiera al santo protettore della polizia, sui casi Cucchi e Aldrovandi. Non sono mancate presentazioni di libri, convegni, film, discussioni, interviste, mostre, chiacchiere, tutto all’insegna dell’immancabile connubio di musica e diritti umani.

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LA storiA Di mALALA

Malala Yousafzai ha solo 11 anni quando decide di alzare la voce e opporsi a chi nel suo paese, il Pakistan, vuole che le donne non abbiano diritti e ne ha solo 15 quando, mentre sta andando a scuola con le sue amiche, i talebani le sparano alla testa per ucciderla. Malala per fortuna è sopravvissuta e continua, grazie anche all’appoggio dei suoi genitori, nella sua lotta pacifica, con il coraggio delle parole e dell’istruzione. Questo libro, destinato ai suoi coetanei, racconta la storia e la vita di questa ragazza, la più giovane candidata al Premio Nobel per la pace, insignita da Amnesty International del premio Ambasciatore della coscienza 2013.

La storia di MalalaViviana MazzaMondadori, luglio 2013, € 14,90

cAmp 14

“Le persone fuori da qui chiamano questo posto ‘zona di controllo totale’. Noi non sappiamo niente di quello che c’è fuori”. Il film racconta la vita di Shin Dong-Huyk, nato nel 1983 in un campo di rieducazione nordcoreano, uno dei pochi che è riuscito a scappare. Ha vissuto tutta la sua infanzia dentro il campo, sottoposto a maltrattamenti, torture e a lavoro forzato. Il film documentario contiene anche le testimonianze di due guardie del Camp 14, che confermano la drammatica situazione senza speranza di questo luogo. Efficace la scelta narrativa di utilizzare l’animazione per raccontare alcuni i passaggi più duri dei racconti. Il film è stato presentato al Milano Film Festival 2013.

Camp 14Marc WieseGermania, 2012

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Anche quest’anno sono disponibili i calendari 2014 di Amnesty International, nei formati da parete e da tavolo, quest’anno con l’eccezionale collaborazione del fotografo Steve Mccurry.McCurry è una degli sguardi più rappresentativi e stimati della fotografia contemporanea. Il suo lavoro spazia tra conflitti e tradizioni culturali, dalle più antiche a quelle contemporanee. Ma c’è un elemento che contraddistingue tutte le sue fotografie: il valore attribuito all’elemento umano. Quel valore trasmesso con forza nelle foto presenti nel calendario di Amnesty International.

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da non perdere

uN ANNo Di Diritti umANi!McCurry è stato insignito di alcuni tra i premi più prestigiosi del settore, tra cui il Robert Capa Gold Medal, il National Press Photographers Award e per ben quattro volte ha ricevuto il primo premio del World Press Photo.

È inoltre disponibile anche per il 2014 l’agenda giornaliera di Amnesty International, realizzata insieme all’azienda Intempo.

Per ordinare l’agenda e i calendari scrivi a: [email protected]

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E sE NEssuNo mi BEccA?

Attraverso cinque principi etici, chiari e semplici, con tanti esempi concreti di situazioni a casa, a scuola e con gli amici, “E se nessuno mi becca?” guida ragazze e ragazzi (dagli 11 anni) verso la costruzione di una convivenza più rispettosa degli altri e verso una maggiore consapevolezza di se stessi e della capacità d’incidere sul mondo. Al libro è affiancato un kit per insegnanti ed educatori che contiene proposte di attività per la scuola (ma non solo), per discutere e approfondire i temi del volume, scaricabile gratuitamente dal sito della casa editrice su goo.gl/f0jwb7.

E se nessuno mi becca?Bruce Weinstein (illustrazioni Tuono Pettinato)Il castoro, settembre 2013, € 13,50Suggerito dalla libreria itinerante ottimomassimo.eu

LA cAsA toNDA

Non è solo un giallo appassionante ma un vero viaggio nella realtà delle riserve dei nativi americani. Joe è poco più che un ragazzo ma vuole scoprire a tutti i costi chi è l’aggressore di sua madre e vendicarsi, anche perché suo padre, il giudice della riserva, non può intervenire prima che si stabilisca di chi sia la giurisdizione sul caso. Attraverso le indagini di Joe, conosciamo personaggi memorabili e condividiamo il ristretto spazio morale, economico e giuridico dei protagonisti. Un romanzo straordinario che solleva la grave questione della violenza sessuale contro le donne native e dell’erosione dei diritti di queste comunità.

La casa tondaLouise ErdrichFeltrinelli editore, luglio 2013, € 19,00

soprAvvivErE NELLA russiA Di stALiN E Di putiN

Le purghe staliniane, la caduta dell’Unione Sovietica e l’ascesa al potere degli oligarchi amici del nuovo padrone del Cremlino fanno da sfondo alla tragica vicenda personale di Vasilij Arkadič e Andrej Vital’evič, nemici all’ombra di giochi di potere più grandi di loro, racconta mezzo secolo all’insegna dell’arbitrio e dell’ingiustizia. Il libro, arricchito dai testi di Elena Dundovich, Massimo Bonfanti e Anna Zafesova, ha avuto il patrocinio di Annaviva e Amnesty International, oltre che di Mondo in cammino nel Caucaso del Nord, a cui Massimo Ceresa ha devoluto i diritti d’autore.

Sopravvivere nella Russia di Stalin e di PutinMassimo CeresaInfinito Edizioni, settembre 2013, € 10,00

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iN BLoom

“In Bloom” è il primo libro fotografico sulle famiglie arcobaleno. È un libro vivace e gioioso, che non tralascia nessuno dei temi importanti di questa realtà da scoprire, attraverso le fotografie di Eleonora Calvelli e i testi di Claudio Rossi Marcelli, Giuseppina La Delfa, Tommaso Giartosio, Giovanna Calvenzi. “In Bloom” racconta la vita di 13 famiglie e la realtà dei loro viaggi e del loro impegno per vedere riconosciuti i loro diritti in Italia. Queste storie ci parlano di fecondazione assistita eterologa, ovodonazione e gestazione per altri ma soprattutto ci parlano dell’amore con cui si sono formate queste famiglie. Il libro ha avuto il patrocinio di Amnesty International.

In bloomEleonora CalvelliPostcart, settembre 2013, € 25,00

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da non perdere

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LA fiGLiA

Ana è una brillante studentessa di medicina. Ha talento, bellezza e un padre che adora e che la adora ma con un’eredità pesante: si chiama Ratko Mladic, il “boia dei Balcani”, responsabile di alcuni dei peggiori massacri del dopoguerra. La ragazza torna turbata da un viaggio a Mosca, nel quale sembra scoprire chi è suo padre per il resto del mondo. Una notte, al suo ritorno, decide il gesto estremo e si spara con la pistola preferita del padre. L’autrice intreccia magistralmente la verità storica con la finzione letteraria, mettendo in luce un dramma umano, tra l’amore e la follia del male.

La figliaClara UsonSellerio, aprile 2013, € 16,00

miKE sAys GooDByE

Mike, 10 anni, guarito da una grave malattia, viene dimesso dall’ospedale ma sua madre è introvabile. Mike sa che talvolta lei beve e che, quando accade, lo trascura, ma pensa di poter badare a se stesso. Nonostante i suoi sforzi, il giudice lo assegna a una famiglia affidataria. Con l’aiuto di Vincent, il compagno di stanza, Mike escogita un piano ma, invece di tornare dalla madre, viene mandato in un istituto da dove scappa. Questa la trama del film vincitore della 10° edizione del premio Amnesty Giffoni Film Festival. Una pellicola dedicata alla forza e alla tenacia dei bambini, all’amicizia e al legame indissolubile con la madre.

Mike says goodbyeMaria Peters Paesi Bassi, 2012

oLtrE tAhrir

Il 30 giugno 2013, in Egitto, imponenti manifestazioni di piazza contro il governo dei Fratelli musulmani hanno indotto le forze armate a destituire il presidente Mohammed Morsi, eletto solo un anno prima. Questo libro è una raccolta di testimonianze di persone di diverse appartenenze, provenienze geografiche e condizioni economiche, su come sia cambiata la loro vita dopo la rivoluzione e sulle loro aspettative per il futuro. Questi racconti, precedenti al 30 giugno, ci danno uno spaccato profetico della società egiziana, che si stava preparando alla sua seconda rivoluzione.

Oltre TahrirLuciana BorsattiEditori Internazionali Riuniti, luglio 2013, € 9,90

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DovE vANNo LE primAvErE ArABE?

Da dove vengono le primavere arabe? E, soprattutto, dove vanno? Alcune rivolte sono sfociate in guerra civile, altre sembrano sopite, altre ancora tornano a infiammarsi. La verità è che la loro storia è ancora da scrivere. Lo sforzo degli autori di questo libro, giornalisti, giuristi, storici, filosofi, è di fare un bilancio di quanto accaduto fino a oggi, con la consapevolezza della complessità del quadro e senza facili risposte e previsioni per il futuro. Non c’è una ricetta unica, né un unico scenario per quest’area così complessa ma estremamente vivace.

Dove vanno le primavere arabe?a cura di Antonio CantaroEdiesse, settembre 2013, € 12,00

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da non perdere

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Socio/a sostenitore/trice speciale € 75,00Socio/a sostenitore/trice € 50,00Socio/a ordinario/a € 35,00Socio/a junior (da 14 a 18 anni) € 15,00

Per destinare il 5X1000 ad Amnesty International: c.f. 03031110582Per sostenerci con carta di credito: 800.99.79.99

Per ogni informazione riguardante la tua iscrizione ad Amnesty International puoi rivolgerti a: Servizio Sostenitori Amnesty Internationalvia Magenta, 5 - 00185 Romatel. 06 4490210 - fax 06 4490243 - Email: [email protected] 20 luglio Amnesty Italia si trasferirà in via Magenta, 5 - 00185 Roma

I AMNESTY - TRIMESTRALE SUI DIRITTI UMANI DI AMNESTY INTERNATIONALDirezione, Amministrazione, Redazione e Pubblicità: Amnesty International - Sezione Italianavia Magenta, 5 - 00185 Roma - tel. 06 4490210 - fax 06 4490243e-mail: [email protected]

Direttore Responsabile: Massimo Persotti Direttore: Riccardo NouryCoordinamento editoriale: Beatrice GnassiHanno collaborato: Paola Brasile, Marianna Cogliano, Giusy D’Alconzo, Alberto Emiletti, Riccardo Noury, Chiara Pacifici, Samanta Paladino, Laura Renzi e Virginia Solazzo.Progetto Grafico: Zowart - Roma

Questo numero è stato chiuso il 09/10/2013 - Aut. Trib. Roma n. 00296/96 dell’11/06/1996.Iscrizione al R.O.C. n. 21913 del 22/02/2012.

Comitato Direttivo: Antonio Marchesi (Presidente), Pasquale Quitadamo (Tesoriera Nazionale)Paolo Pignocchi, Cecilia Nava, Egidio Grande, Gabriella “Ela” Rotoli,Sonia Forasiepi, Paolo Pobbiati, Ammar Kharrat.

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