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Dottorato in Tecnologia e Rappresentazione dell'Architettura e dell'Ambiente - ICAR 17 (XVIII ciclo) a romanica nel territorio dauno-architettura romanica nel territorio dauno-architettura romanica Università degli Studi di Napoli "Federico II" Dottorando Antonio Di Tizio Tutor prof. ssa Adriana Baculo L'architettura romanica nel territorio dauno lungo la via peregrinorum

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Dottorato in Tecnologia e Rappresentazione dell'Architettura e dell'Ambiente - ICAR 17 (XVIII ciclo)

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Dottorando Antonio Di TizioTutor prof.ssa Adriana Baculo

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L'ARCHITETTURA ROMANICA NEL TERRITORIO DAUNOLUNGO LA VIA PEREGRINORUM

Premessa

CAPITOLO I APULIA, TRA L'APPENNINO E L'ADRIATICO

1.1 Il Gargano e il Subappennino dauno: terra tra mitologia e storia1.2 La via Francigena: un percorso a scala europea1.3 La via Sacra dei Longobardi: un itinerario locale

CAPITOLO II LA DECLINAZIONE PUGLIESE DEL ROMANICOEUROPEO

2.1 Le matrici europee del romanico2.1.1 Europa-Scultura 2.1.2 Europa-Affreschi/mosaici

2.2 Il romanico pugliese: uno stile autoctono2.3 Il XII secolo: gli sviluppi e la maturità 2.4 Il declino del XIII secolo

CAPITOLO III CHIESE A CUPOLE IN ASSE: SOLUZIONI PUGLIESIDI UNA UNICA TIPOLOGIA

3.1 Caratteri ricorrenti3.1.1 La copertura a cupola3.1.2 La copertura a cupola in asse3.1.3 Lo sviluppo su tre navate

3.2 Le chiese romaniche in Terra di Bari: opere paradigmatiche3.3 La scala europea delle chiese a cupola

CAPITOLO IV RICORRENZE E DIFFERENZE DELLE CHIESE ACUPOLA NEL TERRITORIO DAUNO

4.1 L'abbazia di San Leonardo in Lama Volara di Siponto4.1.1 Il foro gnomonico: volontà matematica o caso4.1.2 L’interno: materia e superficie4.1.3 Sintesi e complessità: il portale nord

4.2 La basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto4.2.1 Geometrie spaziali/decorative4.2.2 La forma delle eccezioni: le absidi 4.2.3 Una applicazione singolare: l’impianto quadrato4.2.4 Il parco archeologico di Santa Maria di Siponto

CAPITOLO V LO SVILUPPO MORFOLOGICO TRA COSMOLOGIA ELOGICA COSTRUTTIVA

5.1 Gli gnomoni nelle cattedrali europee: segno cosmologico del rapporto tra artificio/natura e tra uomo/Dio5.2 Il portale romanico come luogo/simbolo della giustizia

CAPITOLO VI CONCLUSIONI6.1 Conclusioni

APPENDICEBibliografia consultata

p. 13p. 17p. 19

p. 25p. 31p. 33p. 35p. 43p. 51

p. 57p. 59p. 59p. 60p. 69p. 73

p. 83p. 89p. 95p. 99p. 105p. 109p. 115p. 119p. 123

p. 129

p. 139

p. 149

p. 155

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Premessa

Lunga striscia di terra incuneata tra l'Appennino el'Adriatico, saldamente ancorata per due lati alla terrafer-ma, ma protesa al suo estremo come una lingua sottileverso il Mediterraneo orientale, la Apulia ha ricoperto, sindalla più remota antichità, un ruolo essenziale di tramitefra il continente e la Grecia. E, con la mediazione dellaGrecia, tra l'Europa e il più remoto, favoloso Oriente1.Terra di transito, quindi, e, per conseguenza, terra di con-quista. Volta a volta aggredita, spogliata, sfruttata dall'in-vasore di turno. Ma anche, nei momenti felici, vitalizzata,stimolata, nutrita dai più diversi apporti, dalle più svariatecorrenti di cultura che sul suo terreno hanno avuto modo diincontrarsi per dar luogo, in uno stretto connubio con ilsostrato locale, a prodotti insoliti e originali.L'età romanica che interessa, in Puglia, un lungo arco ditempo, dai primi decenni dell'XI secolo a tutto il XIII, fuuno di questi momenti felici, preceduto, qui come in tuttaEuropa, da un lungo periodo di acuta crisi.Da allora, le aggressioni contro le antiche città romane fio-rite sulla costa e all'interno lungo le vie consolari, l'Appiae la Traiana, si erano succedute con ritmo incalzante. Daivalichi dell'Appennino, seguendo il tracciato delle antichestrade, si erano rovesciate le orde dei Longobardi, degliAvari, degli Ungari, seguite dalle armate imperiali; dalmare, le scorrerie dei Saraceni si erano spinte sino alle pen-dici dell'Appennino e oltre; o, superando le aspre balze delGargano, erano giunte a devastare il santuario di S.Michele, come già la rocca fortificata di Canusium2.Naturalmente, anche nel corso di questi tempi angosciosinon erano mancati singoli episodi di ripresa, che avevanointeressato ad esempio Bari, sede nel IX secolo per unatrentina d'anni di un emirato berbero; Oria, dove la culturaebraica era fiorita per un ampio arco di tempo, tra VI e VIIIsecolo, in felice equilibrio con quella cristiana; Canosa e ilsantuario di S. Michele, di cui i duchi longobardi di

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Benevento, tramutatisi da distruttori in protettori, avevanopromosso nel VIII secolo la ricostruzione. Ma era statasoprattutto la riconquista bizantina dell'Italia meridionaledel X secolo il fatto determinante che, assicurando allamaggior parte della Puglia un periodo di relativa calma edi continuità nell'amministrazione, sia pur saltuariamenteinterrotta da sommosse e ribellioni locali, aveva lasciatosulla cultura della regione la sua impronta indelebile.Non si deve credere tuttavia che l'appartenere, in qualità dithèma di Longobardia, all'Impero d'Oriente avesse separa-to queste terre dal contesto vitale dell'Europa.L'occupazione longobarda del Vll-VIII secolo e la persi-stente influenza che il ducato di Benevento continuava adesercitare sui territori confinanti, avevano consentito lapenetrazione di elementi occidentali e favorito le relazionicon Roma e con l'Impero carolingio e ottomano. Si eraandata così vieppiù precisando, sul piano politico, religio-so e culturale, la già tradizionale divisione tra le areepugliesi del centro-nord, le antiche Daunia e Peucezia, poiCapitanata e Terra di Bari, corrispondenti grosso modo alleattuali province di Foggia e Bari, dove più marcato e per-sistente era il sostrato latino e sulle quali aveva avuto mag-giore presa l'influenza longobarda; e il Salento, l'anticaMessapia, bagnata da due mari, comprendente le attualiprovince di Brindisi, Taranto e Lecce. Questa ultima, nelmedioevo più propriamente detta Terra d'Otranto (cheincludeva anche la attuale provincia di Matera), già impre-gnata per antica eredità di cultura greca, era rimasta fonda-mentalmente bizantina per seicento anni, con immaginabi-li conseguenze sulla lingua, il rito, il costume. In una piùproblematica posizione intermedia, di frontiera, i vasti ter-ritori attorno alle città portuali di Brindisi e Taranto, per lopiù oscillanti tra i due maggiori poli3.Certo, nel travaglio dei secoli dell'Alto medioevo l'assettoche la regione aveva ricevuto dai Romani era stato grave-mente scompaginato. Dalle città devastate, gran parte dellapopolazione era defluita verso le campagne, dove viveva inpiccoli villaggi, "casali" o, per dirla coi Bizantini, kòria,costituiti da agglomerati di rustiche costruzioni in legno e

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pietra a secco o formati, in alcune zone, riadattando grottee anfratti che la natura carsica del luogo aveva offertocome rifugi all'uomo sin dalla preistoria.Era nata così quella "civiltà rupestre" che avrebbe interes-sato a lungo molte aree della regione apulo-lucana, svilup-pandosi parallela alla cultura urbana "romanica" senza per-dere le proprie connotazioni, più a lungo legate alla tradi-zione greca.La crisi delle città aveva portato anche, di conseguenza,allo scompaginamento della organizzazione ecclesiasticarisalente al V-VI secolo. Alcune antiche diocesi nellaCapitanata e in Terra di Bari erano scomparse, altre eranostate aggregate a poche sedi prestigiose, prima fra tutteBenevento, che tra il VII e il X secolo aveva visto cresce-re, all'ombra del ducato longobardo, la propria importanza,finendo per assumere un ruolo egemone sulle diocesi dellaCampania e della Puglia continentale. Poi Canosa, allaquale era stata accorpata la sede di Bari.Per la Puglia peninsulare, minacciata soprattutto dal mare,punti di riferimento rimanevano il vescovato latino diTaranto, quello di Brindisi, temporaneamente trasferito adOria, meglio difendibile perché arroccata su un'altura nel-l'interno, e la sede metropolita di rito greco di Otranto. Lerispettive chiese episcopali erano rimaste per lo più inpiedi, accanto ai resti degli abitati romani che, anche acausa della inevitabile crisi demografica, avevano subitouna contrazione. Situazione che in alcuni centri - Bitonto,Barletta, forse Bari - si era riflessa, come si rileva a livelloarcheologico, anche sulle antiche basiliche4.

Note:1 Cfr P. Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 p.112 Ivi p.123 Ibidem4 Ibidem

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APULIA, TRA L’APPENNINO E L’ADRIATICO APULIA, TRA L’APPENNINO E L’ADRIATICO APULIA, TRA L’APPENNINO

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NO E L’ADRIATICO APULIA, TRA L’APPENNINO E L’ADRIATICO APULIA, TRA L’APPENNINO E L’ADRIATICO APULIA,CAPITOLO I

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CAPITOLO I: APULIA, TRA L'APPENNINO EL'ADRIATICO

1.1 Il Gargano e il subappenino Dauno: terra tra mitologiae storia

CompendioPrima di inizire una approfondita indagine del romanico pugliese, èopportuno evidenziare alcuni aspetti geografici e morfologici del terri-torio dauno, poichè probabilmente hanno avuto e hanno tuttoraanch’essi una certa influenza sullo sviluppo culturale del territorio.Analogamente un ruolo preminente hanno gli aspetti mitologici e fol-kloristici che tendono a trasmettere una dimensione “sopra-reale”all’opera dell’uomo.

L'accesso alla Puglia costiera è presidiato dall'imponentemassiccio del Gargano che incombe sull'ampio golfo chenel Medioevo prendeva il nome da Siponto: città nota giànella tarda antichità per il suo porto, la pescosità del suomare, il suo episcopato, in rapporto con Roma e poi conCostantinopoli.Nel V secolo ne era vescovo Lorenzo, parente, secondouna tardiva tradizione, dell'imperatore d'Oriente Zenone,che l'avrebbe inviato espressamente da Bisanzio col com-pito di elevare il livello della comunità cristiana e di susci-tare il culto per la Vergine Maria attorno ad una immaginemiracolosa portata dall'Oriente. A Lorenzo, divenuto poisanto e protettore di Siponto, l'anonimo autore della bio-grafia pervenutaci in due redazioni, databili rispettivamen-te al XI e al primo XII secolo, attribuisce la ricostruzionedella basilica episcopale, la costruzione di una chiesa di S.Giovanni battista, evidentemente un battistero, ornata dimosaici e di altri edifici sacri, tra i quali una chiesa dedica-ta a S. Agata sulla riva del mare. Sarebbe stato Lorenzo ilvescovo destinatario di due delle tre miracolose apparizio-ni dell'arcangelo Michele in una grotta sul Gargano. Aseguito dell'evento miracoloso, che avrebbe fatto del pro-montorio montuoso la "montagna sacra" per eccellenza, lo

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stesso arcivescovo avrebbe indirizzato le proprie iniziativeedilizie anche alla città garganica1.Dopo il periodo della dominazione longobarda, durante ilquale il santuario aveva goduto della particolare protezio-ne dei duchi di Benevento, su tutta la zona si erano abbat-tute le incursioni saracene del IX secolo e altri flagelli. Ladiocesi sipontina aveva perso la propria indipendenza edera stata aggregata alla prestigiosa sede campana.La ripresa era iniziata tra fine X e primo XI secolo, primacon un intervento dell'impero d'Occidente in favore delsantuario, quindi con il ritorno dei bizantini, il mito diLorenzo sembrò reincarnarsi nel vescovo Leone, restaura-tore della diocesi sipontina e primo arcivescovo latino diuna città politicamente legata a Costantinopoli. La conqui-sta normanna diede nuovo impulso al santuario e alla cittàdi Monte Sant'Angelo, infeudata al Guiscardo, mentre ilvescovato sipontino veniva attratto nell'orbita cassinese etra i due poli religiosi si scatenava, proprio in nome diLeone, una contesa per la indipendenza o la supremazia diuna chiesa rispetto all'altra, che si protrasse per secolisenza trovare definitiva soluzione.Il Gargano, percorso da numerose strade di pellegrinaggio,si coprì di monasteri benedettini, romitori e luoghi di cultopiù o meno direttamente in relazione col santuario micae-lico2.I monti della daunia, con le vallate che s'aprono verso ilTavoliere pugliese e con i grossi villaggi raccolti sulle altu-re, fanno parte d'una Italia interna e appenninica, anche secosì aperti al respiro adriatico, nel quale già s'avvertonoluci e sentori ionici, orientali. Dell'Italia appenninicahanno il volto scarno, povero, reso dolente dalla decaden-za degli uomini delle cose, ma anche nobilitato dall'anti-chità dei segni umani e da quella piena luminosità mediter-ranea che sembra dare preziosità ad ogni cosa toccata dalsole.Lo stesso nome con cui e’ conosciuto da sempre il territo-rio della provincia di Foggia, Daunia, affonda le sue radicinella mitologia classica. L'eroe che dà nome alla regione,Dauno, figlio del re dell'Arcadia Licaone, sarebbe giunto

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in Puglia dando origine alla stirpe che da lui prende ilnome, i Dauni, appunto, e denominando per sempre il ter-ritorio da lui conquistato. Ma questa versione dei fatti nonconvince molto, visto che i più fanno risalire la venuta diDauno dalle nostre parti ad un'epoca più antica, il tempodella guerra di Troia.I territorio Dauno, il Sannio e le dolci colline che chiudo-no ad occidente la "Puglia piana", compongono uno scena-rio insolito per una delle regioni più pianeggianti e piùaride d'Italia. Solcato da fiumi, a tratti impervio ma attra-versato dalle principali vie di comunicazione (viaFrancigena, via Appia, via Sacra Longobardorum, viaAecae Sipontum) tra Roma e i porti dell'Adriatico, questoterritorio di confine ha rappresentato, nell'XI secolo per iBizantini una linea di difesa contro le minacce provenien-ti dalla Longobardia minor, per i Longobardi di Beneventola porta privilegiata di accesso alla ricca pianura delTavoliere, per i mercanti Normanni un terreno di scontroda sfruttare a proprio vantaggio e sul quale insediare leprime roccaforti. Dopo la conquista normanna, prevale ilruolo di mediazione e incontro fra i grandi feudatari nor-manni ed il papato e di tramite tra le due culture, quellacampana-tirrenica e quella pugliese-adriatica, nel quale laparte più rilevante fu assunta da Troia. In età sveva la partedi protagonista sarà assunta da Lucera, mentre i monti e levallate subappeniniche diventavano teatro delle gestavenatorie di Federico II3.

Note:1 Cfr P. Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 p.2532 Ivi p.2543 Ibidem4 Ibidem

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1.2 La via Francigena: un percorso a scala europea

CompendioUna via di comunicazione amplifica la sua importanza quando lungo ilsuo percorso si sviluppano centri civici più o meno grandi, trasforman-dola in una sede di continuo flusso di uomini e di sapere, rendendovivo e vivace tutto il territorio attraversato. Tale fenomeno si verificalungo la via Francigena in modo ampio ed esemplare.

Via di comunicazione fra le regioni transalpine e la peniso-la italica, di fondamentale importanza politica, sociale ecommerciale a partire dall'alto Medioevo. In origine lastrada nacque dall'esigenza dei longobardi di collegarePavia, capitale del loro regno, con i ducati meridionali diBenevento e Cassino attraverso un percorso interno il piùpossibile protetto da eventuali attacchi da parte dei bizan-tini, che controllavano a quel tempo le coste liguri, il lito-rale toscano (via Aurelia) e gli sbocchi appenninici orien-tali. Da Pavia, attraverso il passo appenninico di monteBardone (corrispondente all'attuale Cisa), la strada rag-giungeva Lucca, Siena, attraversava l'alto Lazio per poicollegarsi all'antico tracciato della via Cassia e giungere aRoma. Quando alla dominazione longobarda subentròquella dei franchi, la via assunse la denominazione diFrancesca o Francigena, ovvero "strada originata dallaFrancia", dove per "Francia" s'intendeva la regione nord-europea estesa lungo il fiume Reno fino ai Paesi Bassi e alcanale della Manica1.Già nel corso del X secolo, all'altezza di Pavia, la viaFrancigena si diramava in due tracciati in direzione delleAlpi: uno verso ovest, che consentiva di raggiungere ipassi del Moncenisio e del Monginevro; l'altro, in direzio-ne nord-ovest, che si collegava al valico del Gran SanBernardo. Così, dalla Francia e attraverso le Alpi occiden-tali, la via attraversava la Val Padana e raggiungeva Romasul percorso già tracciato dai longobardi. Dalla fine del XIIsecolo il tracciato originario della via Francigena subì pro-gressive modificazioni tanto che a esso si sovrappose un

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vero e proprio fascio di strade, che venivano sfruttate comeitinerari alternativi o paralleli rispetto a quello principale.Storicamente, la via Francigena è stata di vitale importan-za per i rapporti commerciali europei così come per i pel-legrinaggi. Per tutta l'età medievale lungo il suo asse entra-rono a contatto idee, arti e tradizioni dei diversi paesid'Europa. Percorso da centinaia di migliaia di pellegrini inviaggio per Roma, soprattutto dopo l'istituzione del giubi-leo (il primo Anno Santo fu proclamato nel 1300), il trac-ciato della via Francigena può oggi essere ricostruito inmodo sufficientemente preciso sia tenendo conto dell'ubi-cazione degli ospizi destinati all'assistenza a pellegrini eviandanti, sia attraverso i dettagliati diari di viaggio redat-ti dagli stessi pellegrini. Recentemente la via Francigena,sul modello di un altro importante itinerario di pellegrinag-gio medievale, il Cammino di Santiago de Compostela, èstata dichiarata dal Consiglio d'Europa "itinerario cultura-le europeo"2.Ad essa si collegano altre vie, di grande importanza com-merciale e culturale quale la via Appia, asse di collegamen-to tra la penisola italica ed il vicino Oriente, o la via SacraLongobardorum, asse che diramandosi dalla via Appia siconclude nel cuore della Montagna Sacra (MonteSant’angelo, Gargano), presso la grotta di San Michele,collegando tra di loro luoghi di culto e di ristoro per i pel-legrini come l’abbazia di San Leonardo e la chiesa si SantaMaria di Siponto3.

Note:1 Cfr A.Rossi, Le vie dei pellegrini, luoghi reali e reti ideali nell’Europa di fondazione,

in Atti del del Primo Forum Internazinale di Studi Le Vie Dei Mercanti, da Luca Pacioli

all’ecogeometria del territorio a cura di C. Gambardella e Sabina Martusciello, Edizioni

Scientifiche Italiane, Napoli 2004 pp.245-2652 Ibidem3 Ibidem

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1.3 La via Sacra dei Longobardi: un itinerario locale

CompendioLe vie di comunicazione a scala locale possono avere la stessa inpor-tanza di quelle a scala internazionale, con la sola differenza che nelleprime si riscontra un flusso di utenza più debole che spesso tende amettere in crisi la loro stessa esistenza.

La terra di Capitanata è sempre stata meta di numerosi pel-legrinaggi, grazie soprattutto alla ricca presenza dei san-tuari dislocati un pò in tutte le parti di questa assolataregione. Un forte richiamo era rappresentato in passato,come ancora oggi, dalla Grotta dell'Arcangelo S. Michelea Monte S. Angelo, una delle più rinomate località garga-niche: altrettanto importanti per l'aggregazione religiosasono stati anche il Santuario di S. Matteo a S. Marco inLamis, quello della Madonna Incoronata di Foggia1.L'immensa e grandiosa devozione che i fedeli rivolgononei confronti del "Frate delle Stimmate" ha contribuito aridare nuova linfa all'importanza spirituale del Gargano.Ma il Gargano ha sempre esercitato un rilievo straordina-rio sotto questo aspetto sin dal Medioevo, quando la Grottadell'Arcangelo Michele richiamava migliaia di pellegrini:tra questi i più illustri erano i sovrani Longobardi, che con-tribuirono a diffondere il culto di S. Michele in tuttaEuropa. A testimoniare tale rapporto privilegiato c'eraappunto la Via Sacra Langobardorum o Via Peregrinorum,la Via Sacra dei Longobardi, un percorso che convogliavai pellegrini provenienti dal Tavoliere2.La Via Sacra Longobardorum si rivelò un crocevia affolla-tissimo di pellegrini, ma anche di guerrieri, poiché la posi-zione geografica del Gargano rendeva agevoli gli sposta-menti verso la Terra Santa. Il percorso era ricco di luoghidi sosta muniti di pozzi, di cappelle votive che nel temposono poi diventate abbazie famose.Ovviamente il percorso da effettuare era molto stancante efaticoso, "penoso e stancoso viaggio di 7 giorni"3 lo defi-niva il Rituale di Ripabottoni, ma era, ed è tuttora, la meta-

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fora del percorso interiore di progresso spirituale che ognicristiano è tenuto a compiere dentro di sé, un cammino diconversione denso di preghiera, di opere penitenziali e digioia al termine del quale si compie l'incontro con Dio nel-l'intimo del cuore e dell'anima. La Grotta di S. Michelerappresenta il punto culminante dell'itinerario spirituale delpellegrino, dove l'uomo, sospeso sulla montagna fra cieloe terra, immerso in un paesaggio altamente suggestivo ènaturalmente portato a riflettere sulla sua condizione, sullasua vita. Sul tracciato non vi è unità di opinioni; una prima versio-ne afferma che i Longobardi per costruire questa stradasfruttarono un ampio accesso in prossimità del S.Eleuterio, vicino S. Severo. Il primo dei tanti punti di sostaè Stignano, nell'omonima valle, dove fu eretto ilMonastero di S. Maria. Questa valle è unita a quella di S.Marco in Lamis dal letto del torrente Iano o Iana. Di qui lastrada prosegue e porta a S. Giovanni Rotondo4.Una seconda ricostruzione, attribuita all’architetto france-se Deaplex5 (XVIII secolo), afferma che l’antico tracciatoinnestandoti con la via Appia presso Benevento prosegui-va toccando vari centri urbani quali Troia e Siponto per poigiungere a Monte Sant’Angelo. L'attenzione per la ViaSacra dei Longobardi è dovuta alla devozione verso S.Michele, protettore dei terremoti che spesso hanno colpitole terre garganiche.

Note:1 Cfr www.garganonline.it2 Ibidem3 Cfr G. Dotoli, F. Fiorino (a cura di), Viaggiatori in Puglia nell’ottocento, Schena edi-

tore, Fasano (BR) 1987 pp.67-894 Cfr www.ba.dada.it5 Cfr www.via-francigena.it

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ECLINAZIONE PUGLIESE DEL ROMANICO EUROPEO LA DECLINAZIONE PUGLIESE DEL ROMANICO EUROPEO LA DECL

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ECLINAZIONE PUGLIESE DEL ROMANICO EUROPEO LA DECLINAZIONE PUGLIESE DEL ROMANICO EUROPEO LA DECLCAPITOLO II

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CAPITOLO II: LA DECLINAZIONE PUGLIESE DELROMANICO EUROPEO

2.1 Le matrici europee del romanico

CompendioE’ opportuno evidenziare alcune definizioni terminologiche ed alcuniesempi più significativi dell’architettura romanica europea (Italia,Francia, Germania, Inghilterra, Spagna), nonché le loro caratteristicheformali ed estetiche, le analogie e le differenze che evidenziano aspet-ti importanti per capire l’architettura romanica pugliese e le interpreta-zioni che essa ha avuto nella pittura e nella scultura.

Il termine “romanico” designa principalmente l'architettu-ra ma anche la scultura, la pittura e le arti decorative, svi-luppatasi in Europa tra la fine del X e il XII secolo. Il ter-mine "romanico" venne usato per la prima volta nel 1818dall'archeologo francese De Gerville per definire il caratte-re neolatino dell'architettura di questo periodo1.Attorno alla metà del X secolo, in diverse regionidell'Europa occidentale si andò affermando uno stile archi-tettonico razionale e sobrio, espresso in edifici dalle pro-porzioni massicce (cui faceva spesso da contrappunto unaricca decorazione scultorea) e frequentemente voltati abotte o a crociera costolata. Gli esempi più significativi siebbero in Italia, in Francia, in Germania e in Spagna.

Italia-Architettura

Nell'Italia settentrionale lo stile romanico improntò pro-fondamente l'architettura ecclesiastica, lasciando splendidiedifici molti dei quali si sono conservati fino a oggi nellapurezza delle forme originarie. A Milano si può ammirarela basilica di Sant'Ambrogio, fondata nel IV secolo e arric-chita nella prima metà del IX secolo del presbiterio volta-to a botte e dell'abside: tra la metà dell'XI secolo e i primidel XII la chiesa subì il rifacimento delle tre navate e dellacupola e fu completata con l'ampio quadriportico e il

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secondo campanile di sinistra. Altri capolavori del romani-co lombardo sono le chiese di San Michele e di San Pietroin Ciel d'Oro a Pavia; la Cattedrale di Cremona; laCattedrale di Modena (iniziata nel 1099 da Lanfranco, materminata all'inizio del XIII secolo); il Duomo di Piacenza;il Duomo di Parma (terminato nel XIII secolo);Sant'Abbondio e San Fedele a Como (la prima consacratanel 1095, la seconda terminata nel XII secolo). A Firenzel'architettura romanica presenta caratteristiche proprie, chela differenziano notevolmente da quella lombarda.Rivestono infatti un ruolo importante elementi che riman-dano alla tradizione classica, come è ben visibile, ad esem-pio, nel battistero di San Giovanni, a pianta ottagonale, conampia cupola di copertura, arricchito da colonne e capitel-li romani: la commistione di tratti stilistici antichi e medie-vali è tale che ancora oggi la critica non è concorde circala datazione dell'edificio, che potrebbe essere un adatta-mento di una precedente costruzione paleocristiana, forsedel V secolo. L'esterno ha un rivestimento in marmi poli-cromi ad archi e a motivi geometrici, che richiamano lastruttura interna del battistero. La facciata in marmi poli-cromi è una caratteristica tipica del romanico fiorentino:un altro celebre esempio è offerto dalla chiesa di SanMiniato al Monte (edificata tra il 1018 e il 1063, ma com-pletata in epoca più tarda), in cui peraltro sono compresen-ti caratteri propri della basilica paleocristiana (ampia nava-ta, prevalenza di colonne in luogo dei pilastri e copertura atravi) e del romanico lombardo (presbiterio elevato sullacripta, pilastri cruciformi che sorreggono le arcate trasver-sali). Nel resto della Toscana prevalse tuttavia il romanicopisano, che fa della piazza dei Miracoli a Pisa uno dei piùstraordinari e celebri complessi monumentali del mondo:vi sorgono il Duomo, il campanile universalmente notocome Torre di Pisa o Torre pendente, il battistero e il cam-posanto. La costruzione del Duomo iniziò nel 1064 (forsefinanziata con il bottino di alcune navi saracene catturatedalla flotta pisana nel porto di Palermo) e si poté dire con-clusa verso la metà del XII secolo. Il progetto originariodell'edificio, dell'architetto Buscheto (1118), subì numero-

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se modifiche, dapprima con il prolungamento anterioredelle navate, poi con la realizzazione della nuova facciata(opera di Rainaldo) e infine, in pieno XIII secolo, con l'ag-giunta del coronamento gotico. La caratteristica stilisticache godrà di maggior fortuna in Toscana e in altre regioniè costituita dall'articolazione della facciata, con ordineinferiore composto da arcatelle cieche e quattro ordinisuperiori di loggette aperte. Il medesimo schema architet-tonico e decorativo ritorna nel vicino battistero, iniziato nel1153 e portato a termine nel XIV secolo: l'edificio conser-va la struttura del battistero paleocristiano nella pianta cir-colare ed è arricchito da cuspidi e pinnacoli gotici; partico-lare è la soluzione della cupola, conica all'interno, ma rac-chiusa all'esterno da un'altra emisferica. Anche il campani-le (iniziato nel 1173 e terminato nel XIV secolo), al qualeil cedimento del terreno sottostante conferì presto la notapendenza, riprende il motivo delle loggette della facciatadel Duomo. Il modello della facciata del Duomo di Pisa furipreso nella chiesa di San Paolo a Ripa d'Arno, sempre aPisa; nel Duomo di Lucca, dedicato a san Martino e termi-nato nel 1204 (l'interno fu rifatto nel XIV secolo); e nellaCattedrale di Pistoia, del XII secolo, ma rimaneggiata nellafacciata nel XVIII secolo. Tra gli edifici religiosi romanicidell'Italia centrale ricordiamo ancora San Ciriaco adAncona (XI-XIII secolo), San Gregorio, Sant'Eufemia eSan Pietro (inizio del XIII secolo) a Spoleto, la cattedraledi San Ruffino ad Assisi (inizio del XIII secolo). A Roma,dove numerose chiese vennero rinnovate nel corso del XIIe XIII secolo, continuarono tuttavia a prevalere caratteripropri dell'architettura paleocristiana; lo stile romanico fuadottato per Santa Maria in Cosmedin e Santa Maria inTrastevere. Molti sono i monumenti romanici conservati inPuglia, nei quali si riconoscono, a seconda che si trovinosulla costa o all'interno, elementi lombardi o pisani, sem-pre contaminati con tratti orientali. Si segnalano in partico-lare la chiesa di San Nicola a Bari (XI-XII secolo), ilDuomo di Trani (terminato prima della metà del XIII seco-lo), la Cattedrale di Ruvo e la Cattedrale di Troia, quest'ul-tima di chiaro influsso pisano. Nel resto dell'Italia meridio-

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nale, soprattutto in Sicilia, si affermò uno stile che combi-nava elementi bizantini, romani, arabi, lombardi e norman-ni, e che si caratterizza per le splendide decorazioni amosaico e la presenza di archi acuti. Ne sono magnificiesempi le cattedrali di Monreale e Cefalù e la CappellaPalatina di Palermo, edifici tutti datati al XII secolo2.

Francia-Architettura

L'architettura romanica francese diede luogo a differentitipologie nelle diverse regioni. In Provenza l'architetturareligiosa fu maggiormente legata agli schemi classiciromani, di cui adottò le proporzioni, i canoni e alcuni ele-menti decorativi; ne sono un esempio la chiesa (un tempocattedrale) di Saint-Trophime ad Arles, con volte a botte, ingran parte risalente al XII secolo, e il magnifico chiostro aessa adiacente, iniziato nel 1183 ma terminato solo nelXIV secolo, celebre per le sue colonne riccamente scolpi-te. In Aquitania, nella Francia sudoccidentale, gli architet-ti rielaborarono il principio strutturale bizantino dellacopertura a cupola sulla navata centrale, ad esempio nellachiesa di Saint-Front nel Périgueux (iniziata nel 1120) enelle cattedrali del XII secolo di Cahors e Angoulême. Tragli elementi aquitani più tipici vi sono le cupole ogivali ele decorazioni in facciata a trifore cieche, che accolgono inciascuna nicchia una scultura. La chiesa di Saint-Sernin(1080-1120 ca.) a Tolosa, nella Francia meridionale, equella di Saint-Martin (1000-1150 ca.) a Tours sono esem-pi precoci di edifici dotati di deambulatorio e cappelleradiali nell'abside, dove venivano custodite le reliquie:struttura tipica dei santuari sorti lungo il cammino perSantiago de Compostela, frequentati da migliaia di pelle-grini devoti. Questo tipo di pianta fu poi riproposto inepoca gotica. La chiesa tolosana si segnala anche per lapresenza di un'imponente torre centrale (terminata in epocasuccessiva), per la navata con volta a botte, per il forteslancio verticale e la ricchezza dei dettagli decorativi. InBorgogna era diffuso il tipo basilicale a tre navate copertea botte, caratteristico delle chiese dei cisterciensi e dei

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benedettini, derivato dalle chiese madri dei due ordini,rispettivamente l'abbazia di Cîteaux (XI secolo) nei pressidi Nuits-Saint-Georges, e quella di Cluny. Uno dei primiesempi di tale stile è la grande chiesa di Saint-Philibert (XIsecolo) di Tournus, notevole per il suo nartece a due pianicon volta a crociera, che contribuì allo sviluppo della fac-ciata a due livelli. Un'altra chiesa monastica dalle dimen-sioni imponenti e allo stesso tempo di grande semplicità esobrietà è quella di Saint-Benoît-sur-Loire (ultimata nelXII secolo). La chiesa più colossale della cristianità medie-vale, demolita nel corso della Rivoluzione francese, fu laterza abbazia di Cluny, costruita su quelle precedenti tra il1080 e 1130: l'edificio ebbe notevole influenza sull'archi-tettura normanna e, fuori della Francia, in Lombardia e inRenania. I normanni crearono uno stile architettonico ori-ginale, visibile nelle chiese abbaziali di Saint-Étienne (oAbbazia degli uomini) e della Trinité (o Abbazia delledame) a Caen, fondate entrambe nella seconda metàdell'XI secolo, in cui fecero la loro comparsa le volte a cro-ciera impostate su peducci. Tale copertura, assieme allacaratteristica facciata normanna con due alte torri laterali,si diffuse nella regione dell'Ile-de-France (dove fu adottataper la chiesa abbaziale reale di Saint-Denis nei pressi diParigi), costituendo uno dei principi strutturali da cui sisviluppò l'architettura gotica: proprio la ricostruzione, tra il1136 e il 1147, della chiesa di Saint-Denis segnò l'emerge-re di tale stile3.

Germania-Architettura

Il romanico tedesco si sviluppò a partire dallo stile ottonia-no. Particolarmente importante fu la tradizione carolingia eottoniana del Westwerk, il corpo occidentale della chiesa,affiancato da due alte torri scalari, dalle quali l'imperatoreaccedeva a un loggiato interno sopraelevato per assisterealle funzioni. Si affermò dunque la tipologia della facciatachiusa fra due torri gemelle, che prefigura quella poi larga-mente diffusa nelle cattedrali gotiche: si veda ad esempiola prima cattedrale protoromanica di Strasburgo (fondata

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nel 1015). Le grandi cattedrali renane ebbero inizialmentetetti a capriate di legno, in seguito sostituite da volte inmuratura: le cattedrali di Spira (fondata nel 1030 e termi-nata nel 1125 ca.) e di Magonza (ricostruita fra il XII e ilXIII secolo) sono coperte entrambe da volte a crociera.Molti edifici religiosi di questa regione, caratterizzati dauna straordinaria elevazione, presentano absidi alle dueestremità, varie piccole torri a sezione circolare o ottago-nale, che si raggruppano intorno ai transetti, e altre piùgrandi ai lati della facciata e in corrispondenza delle cro-ciere. Così sono la Cattedrale di Colonia (XIII secolo) equelle contemporanee di Treviri, Worms, Laach,Reichenau, Quedlinburg e Hildesheim4.

Inghilterra normanna-Architettura

Gli esempi di architettura inglese preromanica giunti finoai nostri giorni sono molto rari, anche perché prima del Xsecolo si costruiva solitamente in legno; gli edifici in pie-tra dei secoli X e XI sono di piccole dimensioni e di formarelativamente semplice, come la torre annessa alla chiesadi Ognissanti (inizio dell'XI secolo) di Earls Barton, nellacontea di Northampton. Con l'arrivo di Guglielmo ilConquistatore nel 1066, allo stile sassone subentrò il roma-nico normanno. Tra il 1120 e il 1200 furono eretti moltiedifici monumentali, tra cui le cattedrali di Ely, Durham,Lincoln, Winchester e Gloucester, e le vaste chiese abba-ziali di Fountains Abbey nello Yorkshire e di Malmesburynel Wiltshire. La navata centrale era coperta da un tettoligneo a vista, poi sostituito da volte a crociera costolona-ta in pietra, come nella Cattedrale di Durham; quelle late-rali avevano invece volte a crociera. Altre caratteristichedello stile normanno inglese sono le mura e i pilastri mas-sicci, gli ambienti lunghi e stretti, le absidi rettangolari, idoppi transetti e i portali a sguanci profondi, decorati conmodanature a motivi geometrici5.

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Spagna-Architettura

L'architettura spagnola preromanica è rappresentata daalcune chiese risalenti al IX secolo. Una miscela diinfluenze paleocristiane e bizantine caratterizza le chiesedi San Tirso e San Julian di Oviedo e di Santa María e SanMiguel nel Naranco, che datano all'800-850 ca. Similiascendenze, insieme a elementi derivati dall'architetturamoresca, si riconoscono anche in edifici più tardi. Nell'XIsecolo molte forme architettoniche romaniche, sviluppate-si nel Sud della Francia, furono adottate nelle chiese spa-gnole sorte lungo la strada del pellegrinaggio per Santiagode Compostela, dove nel IX secolo erano stati rinvenuti iresti dell'apostolo san Giacomo. La navata centrale erageneralmente coperta a botte, mentre quelle laterali eranoa crociera. Tra gli esempi più tipici vi sono la collegiata diSant'Isidoro a León (XI secolo), la Cattedrale Vecchia diSalamanca (iniziata intorno al 1140), e soprattutto laCattedrale di Santiago de Compostela, tra i più grandiosiedifici del romanico spagnolo, il cui aspetto originariorisulta oggi modificato dalle numerose rielaborazioni suc-cessive6.

2.1.1 Europa-Scultura

Le piccole sculture in avorio, bronzo e oro realizzate inEuropa durante l'epoca preromanica si rifanno a modellibizantini e paleocristiani. Altri elementi dei vari stili localiderivano dall'arte dei paesi mediorientali, conosciuta attra-verso i manoscritti, gli avori, i gioielli, le ceramiche e i tes-suti che da essi provenivano. Molto importanti, soprattuttoa nord delle Alpi, furono anche i motivi mutuati dalla tra-dizione dei popoli nomadi (i cosiddetti barbari), come lefigure grottesche, gli animali e i disegni geometrici aintreccio. Tra i capolavori di questo periodo ricordiamo gliavori intagliati del IX secolo, molti dei quali realizzati nelmonastero svizzero di San Gallo (firmati dal monacoTutilo) e a Reims in Francia. Sculture monumentali indi-

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pendenti dalla decorazione architettonica furono moltorare nell'arte romanica. La scultura era infatti consideratauna necessaria integrazione dell'insieme architettonico,con funzione sia decorativa sia strutturale. Opere moltosignificative si trovano a Hildesheim, in Germania, tra cuile splendide porte in bronzo della cattedrale, i fonti batte-simali e le lastre sepolcrali (tutti pezzi risalenti all'XI seco-lo). Notevoli porte in bronzo furono eseguite anche inItalia meridionale (XI secolo) e settentrionale (XII secolo):di pregevole fattura quelle per la chiesa di San Zeno aVerona. Agli inizi dell'XI secolo, la scuola mosana, sortanel bacino della Mosa, in Belgio, e nella Francia del Nord,produsse un vasto numero di splendide sculture bronzee,tra cui il grande fonte battesimale (1107-1112) di Saint-Barthélemy a Liegi, opera di Renier de Huy. Le decorazio-ni scolpite in pietra divennero comuni in tutta Europa nelcorso del XII secolo. Nelle chiese romaniche dellaProvenza, della Borgogna e dell'Aquitania le sculture ini-ziarono a ricoprire gran parte della facciata delle chiese;alcune furono inoltre poste alla sommità di pilastri, a sot-tolineare lo slancio verticale dei sostegni. Le sculture dellecattedrali di Tolosa, Autun e Poitiers anticipano per stile eideazione i capolavori gotici di Chartres e Amiens.Interessanti rilievi compaiono anche in Italia, soprattuttonelle regioni settentrionali e centrali: tra i più pregevoli sicitano quelli delle facciate delle cattedrali di Modena,Ferrara, Verona e Parma. Tra gli scultori che operarono inItalia in epoca romanica si segnalano soprattuttoWiligelmo e Benedetto Antelami. A Wiligelmo, attivo aModena dal 1099 al 1110 ca., sono attribuiti i quattro rilie-vi con le Storie della Genesi e altre sculture sulla facciatadel Duomo di Modena. Notevoli sono le affinità stilistichecon gli artisti che operavano nel chiostro di Moissac e nellachiesa di Saint-Sernin in Francia, come si vede nell'atten-zione al rapporto tra il fondo e le figure e nell'accentuazio-ne realistica e drammatica delle scene. Capolavoro di Benedetto Antelami è sicuramente laDeposizione (1178), frammento dell'antico pontile delDuomo di Parma, in cui la scultura romanica in Italia rag-

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giunge la maturità: il realismo delle figure non escludeinoltre una lieve stilizzazione delle forme già anticipatricedel gotico7.

2.1.2 Europa-Affreschi/mosaici

La pittura ad affresco conobbe una grande fioritura inEuropa durante il periodo carolingio. Tra gli esempi piùantichi e rari dell'epoca preromanica vi sono gli affreschidella chiesa abbaziale di San Giorgio di Oberzel, aReichenau; quelli della cappella di San Silvestro aGoldbach, sulla riva tedesca del lago di Costanza; e quellidella chiesa di Sant'Andrea, vicino all'antica città di Fulda,a nord-est di Francoforte. È possibile comunque immagi-nare quale fosse lo stile degli affreschi romanici perdutiosservando le miniature dei manoscritti del tempo, che siispirano nelle parti figurative a modelli bizantini e paleo-cristiani, e per le fasce decorative e le cornici a motiviintrecciati di origine irlandese o a figure di animali di ori-gine tedesca. Tra gli affreschi superstiti, alcuni decorano amotivi astratti elementi architettonici (colonne, pilastriangolari, modanature), altri ricoprono superfici più esteseraffigurando scene tratte dalla Bibbia e dalla vita dei santi:evidente è l'influsso della tradizione bizantina nelle com-posizioni prive di profondità spaziale e nelle figure stiliz-zate, concepite più in funzione simbolica che realistica. Aldi fuori della Germania, testimonianze della pittura adaffresco sono piuttosto rare: si possono ricordare gli affre-schi delle chiese di Saint-Jean a Poitiers e quelli di Saint-Savin-sur-Gartempe nella regione del Poitou, risalentiall'XI e XII secolo. I mosaici che decorano le chiese roma-niche, ancor più degli affreschi, hanno un carattere marca-tamente bizantino: in Italia, splendidi per ricchezza croma-tica e per complessità del progetto iconografico sono quel-li della basilica di San Marco a Venezia e delle cattedrali diCefalù e Monreale, in Sicilia8.

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Note:1 Cfr Enciclopedia multimediale Microsoft Encarta, 2003, voce ROMANICO2 Ibidem3 Ibidem4 Ibidem5 Ibidem6 Ibidem7 Cfr T. Toman (a cura di), Il Romanico, architettura, scultura e pittura, ed.

Gribaudo/Kaufman, Milano 2004 p.2568 Ivi p.382

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2.2 Il Romanico pugliese: uno stile autoctono

CompendioSotto la diretta influenza dei governatori orientali, in Puglia si svilup-pa un linguaggio architettonico definibile come “romanico”, ma fruttodell’unione della cultura locale e di quella proveniente dalle terre d’o-riente prima e dall’Europa poi.

All’inizio del XI secolo la Puglia è, politicamente, una pro-vincia dell'Impero d'Oriente, il thèma di Longobardia, rettoprima da uno stratega, poi da un catapano, governatorebizantino con residenza a Bari. La popolazione è di com-posizione eterogenea: prevalentemente greca nel Salento,mentre in Capitanata e soprattutto in Terra di Bari al nucleofondamentale latino si sono venuti aggregando e sovrappo-nendo gruppi etnici delle più svariate origini: greci e lon-gobardi, che costituiscono in genere la classe dirigente,saraceni più o meno recentemente convertiti, spesso arti-giani di condizione servile, ebrei, concentrati nelle "giu-decche", armeni, veneziani, amalfitani, per citare solo lepresenze meglio documentate e più rilevanti. Nelle stessezone, le Chiese locali seguono per lo più il rito latino, nellequestioni giuridiche prevale il diritto longobardo1.In un difficile gioco di equilibri, Bizantini e Longobardi sifronteggiano, gli uni preoccupati di mantenere i dominiconquistati, gli altri pronti ad approfittare di ogni occasio-ne per riguadagnare il terreno perduto, accompagnati dallebenedizioni e dai voti del papato di Roma.In questo quadro precario si insinueranno di lì a poco, neiprimi decenni del Mille, i Normanni, sollecitati ad interve-nire, come vuole la tradizione, da un nobile barese di ori-gine incerta, Melo, detto anche Ismahel, incontrato ai piedidel Gargano in occasione di un pellegrinaggio alla grottamiracolosa consacrata a San Michele Arcangelo2.Il resto è storia nota. La storia della conquista del Sud daparte dei geniali avventurieri, mercenari scomunicatiprima, protettori della Chiesa e duchi di Puglia poi, infinere di Sicilia, grazie ai quali, nel bene e nel male, l'Italia

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meridionale si sarebbe svincolata del tutto dalla soggezio-ne a Bisanzio entrando a pieno diritto nell'Europa medie-vale. E’ questo, sinteticamente abbozzato, il quadro in cuiprende avvio e si sviluppa anche in Puglia, in linea col con-testo italiano ed europeo, il complesso fenomeno, di porta-ta storica e culturale prima che "artistica", che nell'Xl seco-lo aveva interessato l'intera società occidentale e al qualedall'Ottocento in poi, privilegiandone le manifestazioni disegno neolatino, si sarebbe dato il nome di “romanico”.La nascita precoce del nuovo linguaggio plastico e archi-tettonico in questo remoto lembo d'Europa, troppo a lungoconsiderato dalla critica mero frutto di importazione arimorchio della conquista normanna, è stato e deve esserericonsiderato in un quadro più complesso, nel quale aigeniali avventurieri discesi dal Nord spetti essenzialmenteil ruolo di catalizzatori di energie latenti, oltre che di vei-coli di forze esterne delle più varie provenienze3.Più attivo, anche se meno appariscente, il ruolo delle primecomunità benedettine, già insediate dai primi del secolonell'arcipelago delle Tremiti, sul Gargano (Càlena, MonteSacro), nella Bari ancora bizantina (S. Benedetto, S.Scolastica) e nelle sue vicinanze (Cuti, Conversano), aBrindisi (S. Andrea all'Isola, S. Benedetto), a Taranto (S.Pietro sul Mar Piccolo); per lo più indipendenti e nateanche per iniziativa di privati, esse subentravano spesso aprecedenti comunità greche, rappresentando di fatto gliavamposti della Chiesa romana in una terra sulla qualeCostantinopoli mirava ad estendere la propria influenza.Un caso particolare è rappresentato dall'abbazia di S.Maria a mare a Tremiti, che trovò i suoi grandi protettorinegli imperatori germanici della dinastia salica, prima chein feudatari normanni dissidenti, quali i conti di Loritello,e sviluppò un'architettura potentemente originale, in rap-porto con la Lombardia ma anche con la Sassonia. Altrocaso, il monastero femminile di S. Benedetto a Brindisi,dove sotto la protezione del feudatario, Goffredo diConversano, si verificò l'innesto precoce, sul sostrato ditradizione locale, di forme architettoniche e scultoree inno-vative, mutuate dalla Campania normanna.

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Ma l'avvio del fenomeno romanico si fondava essenzial-mente, in questa terra, sulla rinascita della civiltà urbana,già avviata sotto il governo bizantino ma potenziata daiprimi feudatari normanni; e trovava uno stimolo determi-nante nella riorganizzazione delle chiese locali, di remotatradizione latina e paleocristiana, favorita e assecondata siada Bisanzio che da Roma4. In un breve arco di tempo, entrogli anni Sessanta dell'XI secolo, nuove cattedrali sorgono aBovino, Vieste, Troia, Bari, Canosa, poco più tardi aTaranto ed Otranto, quasi tutte dedicate alla Vergine,secondo una tradizione di probabile origine bizantina. Inaltri casi (Siponto, Trani, Brindisi, Ruvo) vengono sempli-cemente rammodernate e dotate di nuove suppellettili leantiche basiliche del VI secolo o le chiese di più modestedimensioni da poco nate al loro interno (Bitonto, Barletta).Dietro queste imprese si profilano grandi figure di prelaticome Leone a Siponto, Bisanzio a Bari, Guitberto a Ruvoe Canosa, Giovanni a Trani, Drogone a Taranto; tutti impe-gnati nell'ardua impresa di conferire o restituire prestigio,dignità e indipendenza alle proprie diocesi, dopo averneottenuto il riconoscimento appoggiandosi ora a Bisanzio,ora a Roma o ad entrambe. Evento sintomatico che accom-pagna quasi tutte le prime fondazioni o rifondazioni, ilritrovamento delle reliquie dei rispettivi, antichi vescovi,assunti a santi protettori delle nuove città, nascoste per sot-trarle alle imminenti devastazioni e per secoli dimenticate.All'Inventio, accompagnata da eventi miracolosi, segue laTraslatio nelle sedi ricostruite o rinnovate, all'interno diabitati ridotti per lo più nell'area delle antiche acropoli. Ciòche spiega la presenza precoce di cripte e succorpi anoma-li nelle prime cattedrali a Bari, Trani, Canosa, Taranto.In realtà ben poco ci rimane, in elevato, di questa primissi-ma fase romanica, almeno per quanto riguarda l'architettu-ra delle maggiori chiese, abbattute, ricostruite, riprese etrasformate troppe volte a partire già da fine XI primo XIIsecolo. Restano gli impianti basilicali a tre navate, inaccordo con la tradizione paleocristiana che la "riformagregoriana" intendeva rivitalizzare ma che in Puglia nonera mai tramontata, ancorata com'era alla testimonianza

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delle chiese episcopali sopravvissute. Più eloquenti indizisui modi costruttivi protoromanici si possono ricavaredalla architettura sacra minore, urbana e rurale, sopravvis-suta al rinnovamento del XII-XIII secolo.Attorno alle prime cattedrali e matrici erano andate infatticrescendo le città, che riprendevano faticosamente il lororuolo egemone rispetto al territorio circostante. E si popo-lavano di piccole chiese per lo più private, espressioni disingole famiglie o di particolari gruppi etnici.Nei casali rurali gli abitanti si stringono attorno alla lorochiesetta, spesso di pertinenza benedettina. E se iniziano arefluire verso le città in formazione, là recano i propri santie Madonne miracolose e ricostruiscono i propri luoghi diculto5.Le maestranze che traducono in forma concreta tante aspi-razioni sono per lo più di estrazione locale, figlie di unaremota tradizione costruttiva latina e mediterranea insie-me, padrone di una tecnica consumata nel taglio e nell'usodella pietra calcarea che il suolo e il sottosuolo pugliesefornivano, allora come oggi, tanto generosamente.Esse agiscono agli ordini di capomastri in possesso di unpatrimonio di forme tradizionali che i continui contatti conl'esterno o, per dirla con una espressione ormai consumata,con l'Oriente e l'Occidente, arricchiscono e variano conti-nuamente. La varietà dei tipi adottati in questo contestocostituisce una pregnante testimonianza della molteplicitàdi soluzioni possibili e delle capacità di sperimentazionedei costruttori.L'eredità classica e paleocristiana si manifesta nell'adozio-ne frequente della pianta basilicale, che consentiva unlargo impiego dei materiali di riporto di cui le rovine dellecittà romane e greche erano prodighe dispensatrici. ATaranto, come a Otranto o a Bari, in alternativa ai sempli-ci pilastri a base quadrangolare, colonne di riporto coi rela-tivi capitelli vengono riadattate alle nuove esigenze conmeticolosa cura nelle scelte e negli accostamenti6.Un'aria d'Oriente e di Balcani spira invece dalla miriade dicostruzioni, urbane e rurali, che adottano come modulo lacupola su arcate: isolata, raddoppiata, triplicata, accoppia-

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ta a volte a botte e a quarto di cerchio, raccordata da pen-nacchi sferici o talvolta da trombe o più semplicementepriva di raccordi, con o senza tamburo, la cupola emisferi-ca regna incontrastata negli edifìci di piccola e mediadimensione dell'XI secolo; nella versione a tre navate e trecupole con mezze botti sulle navi laterali, viene adottatadalle prime comunità benedettine a Càlena, Cuti,Conversano e adattata alle esigenze della liturgia mona-sca7.I materiali e le tecniche costruttive variano in rapporto conil magistero dei costruttori e con le forze economicheimpegnate. Ma la sostanza del discorso architettonico nonmuta: conci di pietra calcarea appena sbozzati o raffinata-mente lavorati con la martellina, di misure variabili, dispo-sti in fìlari più o meno regolari e, nelle cupole, ad anelliconcentrici col piano di posa parallelo o normale al raggiodi curvatura, costituiscono il paramento interno ed esternodi murature a sacco riempite di materiale cementizio, chequalche edifìcio crollato mette impietosamente in luce. Neconsegue una concezione più plastica che strutturale del-l'architettura, che consente di perseguire ed ottenere straor-dinari risultati visivi col semplice variare delle proporzio-ni, dei particolari, delle fonti di luce, senza mutare lasostanza del discorso spaziale.Sul piano visivo, si perseguono, quando le situazioni eco-nomica e ambientale lo consentono, effetti di perfetta ste-reometria che esprimono pienamente quella aspirazioneall'equilibrio, al rapporto armonico di forme geometriche,che caratterizza l'arte pugliese agli albori dell'età romanica.La decorazione plastica non turba queste forme assolute,perfette, accompagnate, a volte, all'esterno, da insertimusivi (S. Benedetto a Conversano).Anche la scultura, meglio conservata se spesso rimaneg-giata o comunque rimossa dal contesto originario, era lar-gamente presente nelle prime cattedrali e abbazie, concen-trata nei capitelli dei colonnati e dei chiostri o protagonistadell'arredo liturgico: quelle suppellettili ecclesiastiche,troni, pulpiti, amboni, cibori realizzati in purissimomarmo, cui la volontà dei committenti affidava la testimo-

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nianza dei riconquistati diritti delle diocesi.In questa produzione nulla di arcaico, di primitivo e sten-tato. Il recente passato/presente trascorso all'ombra diBisanzio aveva consentito di preparare artefici raffinati e diacquisire esperienze e modelli sotto lo stimolo di una com-mittenza qualificata e dotata di larghe possibilità.Sollecitati dalla pressione delle nuove esigenze, veri ate-liers di scultori si erano formati in breve tempo presso icantieri delle cattedrali e delle abbazie, dove affluivanoinevitabilmente anche elementi di provenienza esterna. Imagistri che li guidano e ne coordinano l'attività, alcuni deiquali formati forse alle scuole di Costantinopoli, firmanoorgogliosamente le proprie opere, ben consci delle loroqualità. Acceptus, David, Urso, più tardi Romualdus sonorari nomi sfuggiti all'erosione del tempo. Il marmo dallagrana più fine, importato largamente dalla Grecia per seco-li e ancora disponibile all'epoca in larga misura, è l'unicamateria degna del loro scalpello.Le fonti cui attingono e che in massima parte si sono rico-nosciute in materiali preziosi o effimeri, avori, metalli,stucchi, hanno provenienza diversa, per lo più orientale maanche occidentale, di marca carolingia e ottomana, acqui-site anche attraverso la mediazione saracena o longobarda.La loro rifusione e traduzione nel linguaggio e nella misu-ra monumentale del marmo è alla radice della creazione diun linguaggio nuovo, che per due secoli e più costituirà labase del romanico pugliese. Niente di più errato, quindi,che tentare di relegare simili manifestazioni nel limbobizantino, negandone la vitalità proiettata verso il futuro ele strette analogie con quanto si andava formando ed evol-vendo nei cantieri dell'Italia del nord e dell'Europa intera.Sintomatico in questo senso il caso degli Exultet, riti litur-gici di origine longobarda, scritti a Bari nel primo XI incaratteri beneventani ma arricchiti da raffinate illustrazionibizantine, trasformati poi, tra fine XI e primo XII, a Baristessa e a Troia, in nuovi vitalissimi prodotti di segno occi-dentale8.

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Note:1 Cfr P. Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 p.132 Ibidem3 Ibidem4 Cfr C.D. Fonseca, Particolarismo istituzionale ed organizzazione ecclesiastica nel

Mezzogiorno meridionale, Galatina 1987 pp.23-765 Ibidem

6 Cfr P. Corsi, Bisanzio e la Puglia. Linee di ricerca per la storia del Mezzogiorno nel

Medioevo, Bari 1994 p.377 Cfr G. Jonescu (a cura di), Le chiese pugliesi a tre cupole. In: “Ephemeris

Dacoromana” Roma pp.50-658 Op. Cit.

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2.3 Il XII secolo: gli sviluppi e la maturità

CompendioIl XII secolo è per la Puglia un periodo di particolare vivacità econo-mica e culturale, che si riflette in particolare nel mondo dell’architet-tura religiosa. Sul piano dello stile, il XII secolo rappresenta il periodopiù creativo e vitale per il romanico pugliese, ma è anche quello chene decreta l’inizio della fine.

Mentre l’XI secolo, sino agli ultimi decenni, rappresenta incerto modo in Puglia la fase statica del romanico, nel corsodella quale pervennero a maturazione i fermenti interni auna cultura saldamente radicata nelle tradizioni locali e sti-molati dai rapporti con il mondo bizantino, la Longobardiaminor, e infine dalla conquista normanna, il XII secolo rap-presenta il momento dinamico favorito dallo sviluppo deitraffici, dall'avventura d'Oltremare, la Crociata. Il tempodelle aperture e degli scambi, delle più spericolate avven-ture ma anche della organizzazione articolata e funzionaledelle città e dei cantieri. In questo quadro, l'azione eserci-tata dai Normanni è decisiva. Feroci guerrieri, conti, duchio re di Sicilia, volta a volta nel ruolo di munifici commit-tenti e protettori di chiese e monasteri, più spesso di tiran-nici padroni repressori delle autonomie cittadine, c'è sem-pre un Normanno nel destino delle città pugliesi. E sonoproprio le città le grandi protagoniste della civiltà artisticadel XII secolo. Il loro numero si moltiplica in pochi anni,dopo i timidi avvii del Mille. Manca un centro egemone. Ela caratteristica fondamentale e insieme la forza e la debo-lezza della Puglia, dove diffìcilmente si accetta un ruolosubordinato, sia pure in campo religioso. Tante sono lecittà, quasi altrettante le diocesi: la maggior concentrazio-ne di vescovati di tutta Italia1.E molto rara infatti la presenza delle ecclesiae plebane, lepievi, che caratterizzano le aree del centro-nord. Ma lechiese private non si contano. Tra la fine dell'XI secolo e iprimi decenni del XII le nuove fondazioni urbane, travescovili, private e conventuali, sono innumerevoli, anche

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se una minima parte di esse ne sopravvive, all'interno dicentri storici che costituiscono tuttora un incredibile quan-to mal difeso patrimonio urbanistico e di architettura civi-le medievale.Il numero maggiore di edifici sacri è concentrato in Terradi Bari, la zona più ricca e popolosa; meno numerosi maaltrettanto validi gli esempi diffusi nel Subappenino Daunoe su Monte Sacro.Il punto di riferimento è costituito dalle chiese baresi, laprimitiva cattedrale prima, più tardi la basilica-santuarioeretta, a partire dalla fine dell'XI secolo, in onore di sanNicola. Con il S. Nicola, insieme ad altre caratteristicheinnovazioni strutturali, come le torri postiche e le absidiincluse, la cripta a sala e le volte a crociera sulle navateminori, viene introdotto in Puglia il nuovo modello, di pro-venienza settentrionale, della basilica a matronei, adattato,con varie modifiche, alle esigenze e alla sensibilità locali.E assai probabile che in questo caso l'elemento normannoabbia giocato un ruolo determinante, per i risvolti ideolo-gici connessi col modello architettonico e il corredo plasti-co2.Le maggiori costruzioni sacre dell'area circostante vi siadegueranno, ma non prima della seconda metà del secolo.Ad eccezione della cattedrale di Bitonto, concepita sin dal-l'inizio come riduzione in scala del prototipo barese, lemaggiori fabbriche, a Trani, Bisceglie, Ruvo, Barletta,Monopoli, già impostate e sviluppate come semplici basi-liche dotate di transetto, secondo il modello cassinese,sarebbero state adeguate solo in un secondo tempo al pro-totipo nicolaiano, che si sarebbe imposto anche nel S.Corrado di Molfetta, in competizione con l'altro modello,radicato nella tradizione pugliese, della chiesa a sala concoperture a cupole in asse associate alle mezze botti3.Ma il panorama dell'architettura e scultura del XII secolo èmolto vario e non può ridursi al contesto barese. Altre areeculturali seguirono modelli diversi, rappresentati da monu-menti egemoni, quali poterono essere la cattedrale di Troiae le due chiese di Siponto4 per la Capitanata o, per ilSalento, quella rinnovata di Otranto; o le altre, ignorate

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perché ormai scomparse, di Brindisi e di Lecce. Ma quasi ovunque, nell'arredo plastico, dettava legge l'ar-chetipo barese, coi suoi sontuosi portali e il suo finestroneabsidale arricchiti di brevi protiri e baldacchini con anima-li stilofori, adottati prima o poi in tutte le chiese vescovili.E credibile che la pronta, generale adesione a quel model-lo, sulla cui iniziale importazione dalla Padania si sta anco-ra discutendo, dipendesse dai significati simbolici di quel-le forme e dai valori politici e ideologici dei quali eranoportavoce. E qui torna ad emergere il ruolo dei Normanni:conti, duchi e poi re, arbitri nel bene e nel male del desti-no dei loro soggetti; ma anche potenti abati e vescovi digrande prestigio e cultura, tutti accomunati dalla inclina-zione a vedere nelle opere d'arte privilegiati veicoli di mes-saggi pubblici rivolti ai contemporanei e ai posteri; e quin-di strumenti preziosi per l'esercizio del potere. Di qui ilrilievo speciale dato, ad esempio, alle porte delle chiese,sotto forma vuoi di apparati scultorei, i portali, vuoi di antefuse e cesellate nel bronzo: a Canosa, per il mausoleo diBoemondo di Altavilla da un Rogerius oriundo di Melfì,prima roccaforte normanna in Basilicata; a Troia, per com-mittenza e secondo i programmi dettati al beneventanoOderisio da Guglielmo II, l'arcivescovo normanno fedele aRoma, difensore della civitas troiana e della sua libertàanche o soprattutto contro le imposizioni dei suoi arrogan-ti conterranei.Tra tanto fervore di vita e di operosità, periodicamente sidevono registrare momenti di acuta crisi e lunghe battutedi arresto, in rapporto con gli avvenimenti politici e militari.Si trattò ora delle ripercussioni delle lotte intestine per lasuccessione al ducato di Puglia e poi della contrastata asce-sa di Ruggero II al trono di Sicilia; quindi, delle periodicheincursioni di Ruggero stesso e di Guglielmo I per sottomet-tere le città pugliesi, nostalgiche della relativa autonomiagoduta nell'ambito del ducato; soprattutto tendenzialmenteribelli all'autorità monarchica, troppo lotana ed estraneaalla cultura locale.Ogni crisi comportava inevitabilmente un arresto nel lavo-ro dei cantieri, la dispersione delle maestranze e, a distan-

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za di anni, il loro rientro e la faticosa ripresa.Questo fenomeno, chiaramente documentato nel caso diTrani, ma facilmente postulabile per molti cantieri puglie-si, è stato invocato per spiegare come le maggiori fabbri-che, nate nel primo XII secolo, si siano trascinate poi avolte per più di un secolo, soggette a mutamenti di indiriz-zo e di conduzione che non potevano mancare di rifletter-si sulle strutture e in particolare sull'apparato decorativo. Irisultati che abbiamo tuttora sotto gli occhi ci sollecitano,ma sarebbe meglio dire, ci sfidano oggi a ripercorrere quel-le vicende a ritroso per rintracciarne il filo nascosto. Ma laconsumata abilità mistificatoria dei costruttori pugliesirende l'impresa spesso assai ardua, poiché ogni sforzo èstato fatto per cancellare e confondere le tracce, fino adottenere, almeno sul piano visuale, una impressione diomogeneità e di coerenza5.Ne scaturì comunque una stimolante varietà nelle forme,frutto probabilmente, oltre che di innegabili immissionidall'esterno, delle sempre rinnovate occasioni di crescita edi esperienza offerte agli operatori, protomagistri scultori,lapicidi, che le periodiche diaspore spingevano inevitabil-mente verso altri lidi.Riconoscibili tracce del loro passaggio si trovano inSicilia, tra Cefalù e Monreale, o in Dalmazia, terra con laquale si intrecciano rapporti di scambio frequenti e fruttuo-si. Ma si potranno rintracciare di sicuro anche in altri luo-ghi, solo che ci si presti la dovuta attenzione.Forse in questo modo si potrebbero spiegare meglio anchealcune innovazioni e prelievi dall'architettura e dalla cultu-ra della Francia meridionale, dell'Aquitania, dellaBorgogna di cui non si arriva mai a puntualizzare con sicu-rezza la fonte: quasi si trattasse di vaghi ricordi, confusi emescolati nella memoria, o del frutto di forti impressioni,ben presto affievolite. Si pensi alle volte "borgognone"della chiesa dei Ss. Niccolo e Cataldo a Lecce, o alle deco-razioni plastiche di S. Leonardo a Siponto, o alle fascino-se, enigmatiche sculture figurate nel S. Giovanni in Tumbae in S. Maria di Pulsano, a Monte Sant'Angelo. Più chiarie diretti sono gli apporti dalla Terra Santa, rilevabili sul

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piano stilistico e/o iconografico. In altri casi, le novità nellinguaggio plastico sono legate all'importazione di nuovimodelli, metalli, legni, avori, miniature, la cui imitazioneproduce risultati in sintonia con quelli ottenuti, forse per lastessa via, altrove, in luoghi assai lontani o in tempi diversi.Una volta ancora, la situazione pugliese può fornire ele-menti di riflessione, come un esperimento in vitro, per lamigliore comprensione dell'intero fenomeno romanico.Per rimanere nel campo della scultura, dal costante rappor-to con le arti santuarie e dalla tradizione orientale assorbi-ta dai primi maestri romanici, deriva probabilmente l'incli-nazione tutta pugliese verso una ornamentazione ricchissi-ma e fantasiosa, prevalentemente aniconica o di soggettofìtomorfo e zoomorfo, a carattere piuttosto simbolico chenarrativo, in cui l'uomo è quasi sempre assente e rari sonoi programmi iconografici coerenti, rarissime le scene bibli-che. Su un esile traliccio allegorico, esplode il piacere tuttoestetico e vitale dell'intreccio lussureggiante, il compiaciu-to virtuosismo dell'intaglio, l'evocazione fantastica e feb-brile di mondi favolosi popolati di feroci e impossibilicreature.Nella prima metà del secolo i modelli rimanevano per lopiù di provenienza mediterranea, siciliana, greca, fatimitad'Egitto, solo occasionalmente mescolati ad altri di acce-zione nordica. Ma tra il secondo e il quarto decennio, siassiste ad una eccezionale e cosciente ripresa del linguag-gio classico, di accezione ellenistica, romana o locale,apula, in relazione con una fase di intensificati rapporti coni cantieri dell'Italia padana e in genere con Roma e il papa-to della Riforma, ispirata da più di un dotto prelato imbe-vuto di cultura latina, senza escludere ritrovamenti più omeno fortuiti di oggetti di scavo. E il momento in cui sicolloca il completamento della decorazione plastica del S.Nicola a Bari, con l'intervento del Maestro della cattedra diElia e la fase più creativa del cantiere della cattedrale diTroia.Ma dopo la grande crisi del 1156, i cui effetti paralizzantisi sarebbero fatti sentire per altri dieci anni almeno, allaripresa una vera ondata di forme nuove aveva invaso la

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regione.Voci diverse e contrastanti giungevano da ogni partemediate dagli intensi traffici, dai rapporti sempre più stret-ti con la Sicilia, dal flusso di pellegrini e di armati che l'im-presa d'Oltremare avviava per le antiche strade consolari,verso i tradizionali porti d'imbarco di Barletta, Trani, Bari,Monopoli, Brindisi, lungo itinerari già percorsi per secolidai pellegrini in viaggio per e dai Luoghi Santi:Gerusalemme, Roma e Compostela, con deviazione obbli-gata al santuario micaelico del Gargano e sosta in quellonicolaiano di Bari.Ed ecco sorgere, ai margini delle città o presso vecchi casa-li, ospizi e ospedali, mentre ai Benedettini si affiancavanoo subentravano gli Agostiniani e i rappresentanti di ordinicavaliereschi e ospitalieri, che non di rado stabilivano inPuglia le loro case dotate di strutture di accoglienza: così aBarletta (S. Sepolcro) e Siponto (S. Leonardo), a Foggia eOrsara come a Terlizzi (Sovereto), a Molfetta, Trani,Monopoli e, naturalmente, a Brindisi. Si trattava per lo piùdi ordini di origine nordica, in stretto, continuo rapportocon l'Oriente latino, grazie ai quali voci ed esigenze nuoveaffluivano a vitalizzare il tessuto culturale e spiritualepugliese. I risultati, evidenti soprattutto nella scultura, sonoaffini, ma non sovrapponibili a quelli ottenuti nei prestigio-si centri di produzione di Aquitania, di Borgogna o delPoitou. Così a Trani, in cattedrale e a Ognissanti, così aBarletta, in S. Maria Maggiore, a Bitonto in cattedrale, aMonopoli, in S. Maria degli Amalfitani e in cattedrale, pernon parlare della cattedrale di Bari nella sua nuova reda-zione.L'ondata di gusto "romanzo" investe anche, nella secondametà del secolo, i grandiosi pavimenti musivi delle catte-drali di Giovinazzo, Trani, Brindisi, Taranto, Otranto, chela tecnica e i materiali consentono di porre in rapporto dicontinuità con i superstiti esemplari del tardo XI secolo aTremiti e Termoli, ai quali va aggiunto il prezioso tappetoin opus sedile emerso sotto la cattedrale di Bitonto.Accanto agli elefanti, ai grifi, alle aquile consacrati dallatradizione, compaiono Orlando, Artù, Alessandro rapito

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nel suo folle volo, mescolati ad una folla di personaggi e difantastiche creature, frutto della immaginazione e delle let-ture di geniali ecclesiastici come Pantaleone, pienamentein linea con la più informata cultura del tempo; il tutto rea-lizzato da maestranze esperte, con alle spalle una solidatradizione tecnica di remota radice tardo antica e mediter-ranea e contatti vitalizzanti vuoi con la Padania (Pomposa,Poltrone), vuoi con la Calabria normanna.Sul piano dello stile, il XII secolo rappresenta dunque ilperiodo più intensamente creativo e vitale per il romanicopugliese, più ricco di stimoli e di fermenti; ma anche quel-lo che decretò la fine delle ricerche di perfette stereome-trie, di raffinatissimi equilibri, che nel secolo precedenteavevano caratterizzato il linguaggio scultoreo ed architet-tonico della regione. Subentrò una esigenza di movimentoplastico e chiaroscurale che avrebbe inciso profondamentesulle nuove costruzioni, mentre i lapicidi erano spinti adintervenire anche sulle più antiche fabbriche per arricchir-le di intagli, addossarvi portali, baldacchini, finestre orna-te; o per installare all'interno nuove suppellettili liturgiche,ben diverse da quelle, semplicissime ed austere, diAcceptus e Romualdo.Negli ultimi decenni del secolo “la fama dei costruttori edegli scultori di Puglia si estendeva ormai al di là deiristretti limiti della regione, nell'ambito del Regno e oltre.Emblematico il caso di Barisano da Trani, che inviavasontuosi esemplari della sua produzione a Ravello e aMonreale; e dei magistri tranesi Eustazio e Bernardo,ingaggiati dalla città di Ragusa, in Dal mazia, perché vicostruissero una cattedrale all'altezza di quella della lorocittà, mentre il raguseo Simeone portava a Barletta unriflesso del linguaggio iconico della Serbia.Per quanto riguarda le altre zone, nuovi stimoli e arricchi-menti del linguaggio architettonico e decorativo vennerosoprattutto, in Capitanata, dai rapporti con i cantierimonastici del vicino Abruzzo, con la mediazionedell'Ordine pulsanese; ancora in Capitanata e nel Salento,dagli scambi sempre più intensi e fruttuosi con la Sicilia,in particolare con Messina e Palermo, che per impulso dei

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rè normanni era divenuta il centro più vitale e cosmopoli-ta del Mediterraneo. Non si dimentichi che i rapportiscambievoli tra le due grandi province del regno eranocementati da figure di prelati o funzionario di corte, comeil barese Maione, potentissimo e odiato ministro diGuglielmo I; o più tardi Guglielmo Paleario, arcivescovodi Troia e cancelliere di Enrico VI. Ne che l'ultimo, infeli-ce rè normanno, Tancredi, era conte di Lecce. In questoquadro complesso si colloca il dibattito in Puglia di unanuova ondata di gusto islamizzante, di accezione sicilianama con inattese aperture in direzione della Siria e del nordAfrica, immediatamente percepibile a Lecce, nella chiesa"borgognona" dei Ss. Niccolo e Cataldo; e contempora-neamente nella dispersa recinzione presbiteriale della cat-tedrale di Troia e, a Bari, nella cupola della cattedrale”8.

Note:1 Cfr P. Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 p.162 Ivi p.173 Cfr G. Jonescu (a cura di), Le chiese pugliesi a tre cupole. In: “Ephemeris

Dacoromana” Roma pp.52-584 Chiesa di S.Leonardo e Chiesa di S. Maria di Siponto5 Op. Cit.6 Cfr T. Toman (a cura di), IL Romanico, architettura, scultura e pittura, ed.

Gribaudo/Kaufman, Milano 2004 pp.156-1597 Op. Cit.8 Op. Cit.

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2.4 Il declino del XIII secolo

CompendioSecolo in cui gli ordini cavalereschi entrano in possesso, in Puglia, didiverse strutture religiose, e ne influenzano il loro sviluppo in manie-ra sensibile. Anche se la produzione artistica diventa a tratti ripetitiva,con particolare attenzione per gli aspetti ornamentali, il XIII secoloconferisce alle sue architetture molti dei caratteri tipici del romanicopugliese.

Importante battuta d'arresto si verifìcò alla fine del XIIsecolo, con la morte di Guglielmo II, la breve successionedi Tancredi ed il trapasso del potere dalla dinastia norman-na a quella sveva. La Puglia vive la crisi in prima linea,lacerata dai diversi schieramenti assunti dalle sue città.Dall'avvento di Enrico VI alla maggiore età di Federico II,è il periodo più incerto della sua storia artistica, per man-canza di documentazione specifica e per la facilità con cuila produzione di quei decenni è stata confusa vuoi conquella dell'ultimo XII, vuoi con la nuova, di età propria-mente federiciana1.E tuttavia un momento di grande interesse, che registraepisodi di altissima qualità, legati alle estreme fasi costrut-tive di fabbriche prestigiose, come le cattedrali di Bari, diTroia, di Trani. E sono veramente gli ultimi abbagliantisprazzi di un sole al tramonto, luminoso e ricco di colorecome non mai, anche se per un tempo così breve.Ma al di là di questi smaglianti vertici, vale la pena di sof-fermarsi anche sulla produzione più modesta e seriale deltempo; giacché con essa si stabili vano i presupposti diquanto nei tempi propizi di Federico II sarebbe giunto amaturazione. Soprattutto di quella terza fase della sculturaromanica che anche in Puglia, come in Francia e in tuttol'Occidente, si sarebbe sviluppata parallela alle prime cor-renti gotiche oltremontane, con la loro rivoluzionaria cari-ca di naturalismo e di espressività. E torna alla ribalta, in questo quadro ancora in gran parteda definire, il complesso problema dei rapporti tra le diver-

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se province meridionali, Puglia, Campania, Abruzzi,Sicilia, partecipi di una vera koinè culturale; e di questecon le terre d'Oltremare, da cui giungevano ulteriori stimo-li creativi, attraverso gli insediamenti degli Ordini cavalie-reschi nelle città della costa e il reflusso di profughi dopola caduta di Gerusalemme (1187). Il frutto è una ricchissi-ma messe di scultura applicata, ma anche di pittura mura-le e su tavola, sulla quale spesso si sorvola a torto2.Benché si tratti di una produzione spesso ripetitiva, a carat-tere prettamente ornamentale e raramente dotata di unapropria forza espressiva, pure merita che le si dedichiattenzione, giacché è proprio questa tardiva ondata didecorazione plastica che, riprendendo e rielaborando teminati anche decenni prima e profondendoli sulle più sempli-ci fabbriche dell'Xl e XII secolo, conferirà loro molti deicaratteri considerati tipici del romanico pugliese, mentresono prodotto del suo splendido tramonto: esuberanteornamento addensato attorno a finestre, portali, cornicioni,in contrasto con le limpide, nitide superfici delle fabbriche,forme animali aggettanti a tutta o a mezza figura dallemurature compatte e senza risalti; monumentali rosoniirraggianti da facciate e transetti, finestre absidali sontuo-samente incorniciate e guardate da mostruose creatureschiacciate tra colonne e archivolti3. All'interno, una pro-fluvie di arredi, pulpiti, troni, cibori, che perpetuano unaremota tradizione, e con essa i nomi orgogliosamente ripe-tuti di Anseramo da Trani, Aitano da Termoli, Nicolaussacerdos et magister, Gualtieri da Foggia, Facitolo da Barie altri ancora, capaci di trasferire nel marmo gli effìmerisplendori degli addobbi di corte. In questo contesto, lacomponente cromatica è affidata ai soffitti dipinti, ai pan-nelli intarsiati o incrostati di mastici, ai marmi colorati dialcuni pavimenti, ad affreschi ormai ridotti a lacerti esoprattutto a immagini sacre su tavola, per lo più mariane,legate alle maggiori chiese da tradizioni leggendarie, dadevozioni private o trasferite nel tempo da casali in abban-dono: così a Giovinazzo (Madonna di Corsignano), aTerlizzi (Madonne di Ciurcitano e Sovereto), a Monopoli(Madonna della Madia), a Foggia (Madonna dei Sette

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veli), a Trani (Icona di san Nicola Pellegrino), a Bisceglie(Icone di santa Margherita e san Nicola).Rientrano a buon diritto in questo panorama esuberanteuna serie di edifìci integralmente rinnovati o direttamenterealizzati tra XIII e XIV secolo, come le cattedrali di Ruvo,Giovinazzo, Altamura, Conversano, Bitetto. Tutte espres-sioni di uno "stile romanico" che continuava a perpetuarsiperché in esso trovava espressione lo spirito di indipenden-za di un popolo, il nostalgico legame delle città con un pas-sato glorioso ormai irrimediabilmente tramontato4.

Note:1 Cfr cfr P. Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 pp.20-222 Ibidem3 Ibidem4 Ibidem

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CUPOLE IN ASSE: SOLUZIONI PUGLIESI DI UNA UNICA TIPOLOGIA LE CHIESE A CUPOLE IN ASSE: SOLUZIONI PUGLIESI

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ESI DI UNA UNICA TIPOLOGIA LE CHIESE A CUPOLE IN ASSE: SOLUZIONI PUGLIESI DI UNA UNICA TIPOLOGIA LE CHIESCAPITOLO III

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CAPITOLO III: LE CHIESE A CUPOLE IN ASSE: SOLUZIONI PUGLIESI DI UNA UNICATIPOLOGIA

CompendioGli elementi caratterizzanti le chiese pugliesi con copertura a cupola,analizzate da diversi studiosi quali il Berteaux e lo Jonescu, vannodalla copertura a cupola sulla navata principale, allo sviluppo dellenavatelle laterali, all’utilizzo di archetti e lesene come elementi deco-rativi. Fondamentale risulta la mostra del 1975 sul romanico pugliese,in cui si verifica la prima revisione di alcuni preconcetti che inficianola valutazione dell’autonomia artistica della Puglia.

3.1 Caratteri ricorrenti

Esiste in Puglia, accanto alle tipiche chiese romaniche conmatronei a lato di una copertura lignea, una generazione dichiese con la navata centrale coperta da una serie di cupo-le e quelle laterali da volte a mezza botte, che potremmopropriamente chiamare rampanti.Esse sono state analizzate e ricondotte ad una tipologia daicaratteri ben definiti dallo Jonescu e dal Kröning, mentre ilBertaux, nella dettagliata descrizione di monumentidell'Italia Meridionale1, non le distingue come gruppo sti-listico-costruttivo particolare, ma le considera espressioni,sia pure affini, della multiforme tipologia del romanicopugliese. Effettivamente tale schema appare un fenomenosporadico nella grande massa delle realizzazioni pugliesi,se limitato ai quattro esempi analizzati dallo Jonescu edall'incompleta chiesa di S. Maria di Calena pressoPeschici. Ma le chiese di questo tipo sono assai più nume-rose, benché in genere di dimensioni modeste. Non manca-no naturalmente casi in cui il tipo ha subito involuzioni odeformazioni od applicazioni incomplete, oppure in cuitrasformazioni successive hanno lasciato dell'originariocomplesso organico solo parti di struttura, non più corri-spondenti alle aggiunte che si sono succedute nel tempo.Del resto l'architettura romanica, e più che altrove, quella

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della Puglia, è opera di continua originale evoluzione elibera interpretazione: e quindi ogni costruzione ha caratte-ri suoi propri. Un esame costruttivo e compositivo è neces-sario per caratterizzare il tipo e comprenderne l'applicazio-ne. Si può prendere a base uno qualunque degli esempi piùsemplici di cui in seguito forniremo il rilievo; si riportanoin queste pagine i disegni dello Jonescu della chiesa diOgnissanti di Valenzano, che è la più regolare, aggiungen-do una fotografia della copertura del San Francesco diTrani2, appositamente presa dall'alto. Lo spartito planime-trico nasce dal volere usare la volta a cupola su ambienti anetto sviluppo longitudinale e quindi richiedenti una seriedi cupole allineate; nasce principalmente in quei luoghidove l'uso costruttivo tardo-romano o bizantino, consiglia-va la superficie di rotazione, e dove insieme le esigenze delrito e l'abitudine alle basiliche latine mal si adattavano allapianta centrale2.Il problema è stato affrontato principalmente nell'occiden-te, in Aquitania ed in Puglia: in Cipro e nell'Asia Minore lospartito longitudinale è stato realizzato piuttosto attraversouna compenetrazione di piante centrali od uno sviluppoasimmetrico rispetto ai due assi3. L'originalità ed il caratte-re sostanziale della soluzione pugliese consistono nellasimbiosi della volta rampante a mezza botte con la coper-tura centrale spingente a cupola. Il risultato più appariscen-te consiste nell'aderenza del tetto delle navatelle, fortemen-te pendente, alla struttura portante, tale da consentire, conminimo impiego di materiale, la tradizionale struttura dellecoperture a volta estradossata in piano secondo l'inclina-zione del tetto; l'uso del manto di scaglie di pietra rendevaparticolarmente desiderabile un sottofondo di muraturapiena. Ma il risultato più importante è quello costruttivo,sapientemente applicato in ogni dettaglio, che ha consenti-to uno spartito planimetrico a tre navate, liberamentecomunicanti fra loro per l'esiguità del numero dei pilastri eper la loro relativa sottigliezza.

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3.1.1 La copertura a cupola

La copertura a cupola infatti è spingente lungo tutto il suoperimetro, e, per la sua spinta, deve essere contrastata econtenuta per tutta la lunghezza del lato di appoggio. Gliantichi, anche negli esempi sul luogo, ed all'incirca dellastessa epoca (San Pietro di Brindisi, S. Andrea di Trani, S.Cataldo di Lecce, ecc.), e gli architetti di varie epoche estili hanno usato coprire con una cupola l'incrocio dellanavata longitudinale con quella traversa; in questa disposi-zione i pilastri trovano ovviamente contrasto al rovescia-mento nei muri che si incrociano in essi, e le spinte peri-metrali della cupola vengono contenute dalla massa dimuratura orizzontale costituita dalla volta sulle navate4.Il problema di una sola cupola risulta quindi staticamenterisolto nella sua stessa impostazione.

3.1.2 La copertura con cupole in asse

Questa soluzione costruttiva comincia a presentare labo-riosità per la serie di cupole susseguentisi in una navata5

(chiese aquitane a cupola). Si riscontra che una serie divolte a crociera (romane o romaniche o gotiche), comepure le grandi volte a botte lunettate della controriforma,riportano peso e spinte solo agli angoli delle singole cro-ciere; una serie di cupole invece riporta il peso anche lungotutto il lato della navata, come farebbe una volta a botte.Per una serie di crociere è sufficiente un muro sottile, concongrui ringrossi in corrispondenza dei nodi; per una voltaa botte occorre un muro di maggior spessore costante; peruna serie di cupole si ha un caso intermedio. In una costru-zione a navata unica la differenza fra le varie impostazioniè notevole ma non è grave dal punto di vista compositivo,poiché essa influisce soltanto sullo spessore del muro, cheper volte a crociera può essere sottile, ma deve essere spe-ronato, e per volte a botte od a cupole deve essere notevo-le ma può essere alleggerito con nicchie od incassatureinterne6.

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3.1.3 Lo sviluppo su tre navate

Non cosi semplice, ma assai più complesso il tema di unacostruzione a tre navate, in cui il problema tecnico compo-sitivo più assillante è mantenere modeste le dimensioni deipilastri, rinviando all'esterno, quanto possibile, ciò che sudi essi viene a gravare. Il dover contenere le spinte lateralidelle cupole per tutta la parete fra pilastro e pilastro presen-ta difficoltà non facilmente solubili; l'adozione delle mezzebotti è la soluzione più conveniente perché sostituisce alcontenimento per peso ed a quello per dimensione trasver-sale, un semplice contrasto, consentendo così le minoridimensioni dei pilastri. La valutazione delle componentiorizzontali, ed in conseguenza il dimensionamento reci-proco delle strutture, in modo che il contrasto delle mezze-botti non risulti maggiore della spinta della serie di cupo-le, non è facile, neppure con gli attuali metodi di calcolo;ma non è necessario realizzare un esatto equilibrio fra ledue spinte, perché la struttura a cupola, chiusa in sé stessa,è capace di sopportare pressioni esterne anche notevoli;mentre dall'altra parte la mezza botte, che in condizionioriginarie dà una spinta orizzontale dipendente principal-mente dal peso della sua parte centrale, qualora fosse for-zata a ruotare all'esterno aggiungerebbe l'azione del pesodella grossa massa d'imposta. Pertanto il tipo, che richiedeuna saggezza costruttiva nell'impostazione, ma non un cal-colo matematico, costituisce una soluzione, consona alleconoscenze tecniche dell'epoca, di complessa e delicataeleganza, che si esprime anche nell'opporre alla maggiorspinta in corrispondenza dei pilastri (proveniente dall'arcofra cupola e cupola) i diaframmi che in corrispondenza deipilastri traversano le navatelle7.Corollario di quanto sopra è che affiancare con volte amezza botte una navata centrale coperta con crocieresarebbe un grave errore costruttivo per la mancanza di con-trasto alle mezze botti; mentre nel contempo mancherebbeper esse la ragione d'essere. Parrebbe superfluo insistere suquesto, ma è invece necessario perché molto spesso descri-zioni formali sorvolanti sulla composizione strutturale

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hanno portato a trascurare, se non addirittura ad ignorare, icriteri sostanziali in base ai quali operò il lontano maestroprogettista.La cupola, spesso non emisferica ma rialzata, è talvolta avela (S. Corrado di Molfetta, S. Lucia di Trani, S.Benedetto di Brindisi), talvolta, più frequentemente, acalotta su pennacchi a vela.Solo in quella centrale di S. Francesco a Trani c'è un brevetamburo, ma l'interno della cupola è stato tutto "regolariz-zato" con cornici e lesene, e sorge il dubbio che entro talemascheratura sia nascosta una cupola molto rialzata; il rial-zamento però sarebbe straordinariamente accentuato.Nelle chiese a tre cupole si nota frequentemente una certapreminenza di quella centrale, e ciò può anche essere ricor-do o riferimento alle chiese a pianta centrale con cupola,ma senz'altro valore che quello di un'eco di un gusto radi-cato nelle popolazioni. La copertura esterna è in scaglia dipietra su un bassissimo zoccolo di muratura, ottagonale oquadrato, appena sporgente dalla copertura a spioventedegli archi interposti fra cupola e cupola8.La struttura delle cupole è con pietre squadrate, come delresto in tutta la costruzione. Nella chiesa di S. Antonio diTrani, che ha la volta centrale crollata ed i giunti delle altrevolte alquanto sconnessi, si è potuto constatare che i concidei pennacchi a vela hanno giacimento orizzontale,e cosìpure quelli dei primi filari della cupola: solo quando l'incli-nazione comincia a discostarsi nettamente dalla verticale sihanno i giacimenti inclinati secondo il raggio della curva;ciò del resto corrisponde alla pratica costruttiva romana. I particolari decorativi sono in genere assai simili nei varicasi come distribuzione e come tipo, pur risentendo natu-ralmente della epoca della costruzione. Le forme dei pila-stri sono assai varie, come si osserva anche nelle chiese deltipo nettamente romanico con la navata centrale coperta atetto, e variano dal semplice quadrato od ottagono (S.Lucia e S. Antonio di Trani) alla sezione leggermente cru-ciforme (S. Benedetto da Conversano e Ognissanti diValenzano) e alle forme variamente complesse (S.Francesco in Trani, S. Corrado in Molfetta, S. Leonardo in

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Siponto). In questi ultimi casi normalmente la lesenaturaaddossata al pilastro di nucleo prosegue lungo l'arco, cherisulta quindi non a sezione rettangolare, ma formato, perdir cosi, da un arco di maggior spessore e da un sott'arcoripetente la sagoma della lesenatura. Un'ultima considera-zione va fatta circa la grandezza delle chiese che è piutto-sto modesta, e nell'esempio più grande, notevolmentedistanziato dagli altri, il S. Corrado di Molfetta, raggiungei soli m 16,90 di larghezza, malgrado che per l'equilibriospaziale dello spartito l'ambiente appaia assai solenne edampio. La copertura, totalmente in pietra, anche nel mantoesterno, è totalmente a volta, e di sua natura assai pesante;e l'eleganza della soluzione statica evita inutili massemurarie, ma non può eliminare il peso di quelle essenzialie le difficoltà che esso comporta sia nella grandezza dellepilastrate, sia nella costruzione delle volte. Per tali difficol-tà, e per il relativo costo, questo tipo non può certo compe-tere con i tipi, contemporanei o quasi, di altre regioni,coperti con crociere costolonate, e tanto meno con lo spar-tito del romanico locale, coperto in legno nella navata cen-trale: ogni questione tecnica è legata alla questione econo-mica, ma per l'una e per l'altra si può ritenere che la gran-dezza del S. Corrado di Molfetta sia al limite della conve-nienza9.La storiografia del patrimonio architettonico pugliesenecessita di una serie di puntualizzazioni in ragione delleconoscenze che si sono verificate in questi ultimi decenniin virtù della ricognizione sistematica del territorio.Nel 1975 con la mostra "Alle Sorgenti del Romanico:Puglia XI secolo"10, si verificò una prima revisione di alcu-ni preconcetti che inficiavano l'autonomia artistica dellaregione Puglia, infatti furono evidenziati una insieme dimanufatti, in parte sconosciuti, che attestavano la validitàdi architetti, maestri lapidici ed altri artigiani che, con con-tinuità, avevano perpetuato la tradizione artistica dellaPuglia.Ulteriori ricerche hanno contribuito a focalizzare i variparametri per la conoscenza degli insediamenti urbani erurali, nonché per la civiltà rupestre pervenendo anche alla

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individuazione di opere inconsuete che prefigurano sia l'in-nesco di matrici esperienziali perfettamente pugliesi, sia lepersonalità di valenti artefici, promotori della costituzionedel nostro patrimonio architettonico inteso nella sua ampiavalenza come contenitori di ulteriori addendi come la scul-tura e la pittura.La lettura degli insediamenti urbani e rurali di Puglia faconvergere l'attenzione su alcune entità architettoniche chesi ravvisano come punti nodali della partitura urbanistica ecome emergenze di quella edilizia: le chiese.Ogni nucleo urbano antico, indipendentemente dalla suacapacità abitativa, contiene, nel suo contesto, unaCattedrale, realizzata con una spiccata volumetria, ed unaserie di altre chiese e cappelle gentilizie dovute alla espres-sione di particolari esigenze.In ambito rurale, invece, si riscontrano degli edifici diculto come centro del completto di abbazie e di conventi,oppure come testimonianze sopravvissute di antichi casali,ovvero come pertinenze di masserie.Questo repertorio, che fu in maggior parte strutturato tra ilXII e il XIII secolo ha, come si dirà in seguito, degli ante-fatti architettonici databili dal VII all'XI secolo.Il fenomeno della costruzione quasi simultanea dellenostre cattedrali, che in effetti risultano impostate nell'am-bito di pochi decenni, è stato attribuito sia alla volontà diparticolari committenti come, ad esempio, il vescovoLeone per quella di Siponto, o i vescovi Nicolo e Bisanzioper quella di Bari, o il vescovo Aitano per quella di Vieste;sia alla decisione del clero locale come. ad esempio, nelcaso della cattedrale di Canosa. Però si ritiene che anchealtri motivi agirono da innesco e da elementi propulsori delfenomeno. Infatti quando la continua minaccia dell'incolu-mità degli abitanti dei nostri antichi nuclei urbani imposela costruzione delle mura perimetrali, la Chiesa, per evita-re la profanazione delle tombe ubicate fuori della cintamuraria, si assunse l'onere delle sepolture in un primotempo nel contesto delle pertinenze degli edifici di culto, esuccessivamente nel loro interno. Pertanto cittadini diqualsiasi condizione sociale devolvevano parte dei loro

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averi per l'edificazione di queste imponenti fabbricheanche in ragione della particolarità che sarebbero diventa-te il luogo delle loro sepolture.È questo un aspetto che non è stato ancora focalizzato intutta la sua potenzialità, ma che in effetti ha inciso inmaniera determinante sulla loro conformazione e sul loroassetto. Infatti nella fase di innesco del fenomeno, ossianell'epoca della redazione di questi edifici, l'obolo dei cit-tadini contribuì in modo sostanziale sia per la redazionedella loro componente architettonica, scultorea e pittorica,sia per la determinazione di quella differenziazione quali-tativa che le diversifica in maniera peculiare.La capacità delle offerte dei cittadini di un medesimonucleo urbano, che è da porre in relazione con l'entitànumerica delle rispettive classi mercantili ed imprendito-riali, incise sulla qualificazione artistica delle singole cat-tedrali. Per la valutazione di queste differenze è sufficien-te un confronto tra la cattedrale di Bitonto e quella diGiovinazzo o di Bitetto, tanto per citare degli esempi.Alcuni studiosi sono del parere che solo le cattedrali diBisceglie e Gravina sembrano essere state fondate da unfeudatario normanno, rispettivamente il duca Pietro daTrani e il conte Umfrido. Le altre sono, come si è detto,espressioni delle città e delle chiese locali, in rapporto diemulazione tra loro. Anche finanziariamente, salvo even-tuali e occasionali donazioni da parte di feudatari, dipendo-no dal denaro delle popolazioni e dei vescovi. “Aere publi-co", "publicis sumptibus", "de proprio ecclesiae aerano ",sono i termini più usati per definire la committenza11.Successivamente, però, proprio la potenzialità economicadi alcune famiglie fu un deterrente negativo per l'assettodelle nostre chiese in quanto, ad iniziare dal 1400, consen-tì di ricavare nel loro contesto, soprattutto con la tompa-gnatura delle arcate laterali, le cappelle di sepoltura di inte-re dinastie di notabili, ovvero la costruzione di monumen-ti sepolcrali a ridosso delle murature perimetrali. Si ebbe-ro così delle incisive trasformazioni.Sulla entità delle inumazioni eseguite nelle cripte situatenella porzione sottostante alle navate delle nostre cattedra-

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li esistono numerosi dati. Ma recenti riscontri si sono avutidurante i lavori di restauro delle cattedrali di Bari e diMolfetta, mentre da un documento del 1162 relazionato dalNitto De Rossi12 ed attinente alla chiesa del Santo Sepolcrodi Barletta, si desume che questa fabbrica, che era sogget-ta alla Curia Tranese, aveva oltre al cimitero anche il car-naio .L'esigenza delle sepolture nel contesto degli edifici religio-si termina con l'emanazione dell'editto di Napoleone, del12 giugno 1804, il quale impose la costruzione degli attua-li cimiteri.L'edificazione degli altri organismi architettonici che sonoaddendi del repertorio delle chiese di Puglia ma che risul-tano ubicati extra-moenia, deve essere attribuita sia allegenti insediate negli antichi casali con la funzione di pro-motori della produzione agricola, specie tra il X e l'XIsecolo, sia alla volontà di alcuni ordini religiosi monastici,soprattutto i Benedettini, i quali costituirono dei potentifulcri per l'organizzazione agricola e zootecnica del territo-rio rurale.In particolare le genti dei casali, che proprio nel periodotemporale tra il X e l'XI secolo si possono focalizzarecome personaggi di una società in cui la campagna preva-leva a tal punto sul polo urbano da condizionarne la stessafisionomia, realizzarono una serie di chiese con specifichequalità intrinseche che ci sono pervenute quali uniche testi-monianze dei loro insediamenti rurali.Del resto, come giustamente osserva la De Santis13. iNormanni, indotti per motivi di natura economica, politica,sociale e religiosa a favorire la rinascita della vita nellecampagne, recuperano e potenziano questi centri rurali chesia la presenza frequente di nuclei benedettini, sia la feliceubicazione nel territorio, rendono particolarmente vitali.Molti di tali casali infatti sorgevano lungo gli assi viari chesi sviluppano a raggiera dalla città, in prossimità di incro-ci notevoli dal punto di vista strategico e commerciale e inzone fertili e ricche di acqua, tali cioè da consentire lo svi-luppo di comunità economicamente autonome, anche sebisognose comunque - per garantirsi continuità di vita - di

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appoggiarsi ad insediamenti più saldamente organizzati.Dallo studio di questo enorme repertorio architettonicopugliese costituito dalla serie delle chiese urbane e da quel-le delle chiese rurali, si evince che ogni fabbrica, oltre adetenere i parametri di una consecutiva sperimentazionecostruttiva e compositiva, è modello evolutivo di un preci-so linguaggio architettonico-tipologico.La valutazione della sperimentazione costruttiva insita inognuno di questi modelli implica anche l'evidenziazionedella potenzialità espressiva delle diverse personalità arti-stiche che contribuirono alla loro edificazione, speciequando constatiamo che molte strutturazioni sono avvenu-te con il reimpiego di materiali risalenti dalla demolizionedi precedenti fabbriche. Infatti in questi casi la capacitàredazionale di ogni artefice raggiunge livelli inusitati.L'utilizzo di colonne, capitelli, plutei, frammenti scultorei,eccetera, nel loro aspetto iniziale o rimodellati in ragionedi nuove necessità, ovvero capitelli " antichi " impostati sucolonne di diverso diametro e di differente altezza, testi-moniano non solo una padronanza costruttiva esperienzia-le in virtù della loro continuità funzionale, ma anche undiverso significato espressivo in virtù del loro reimpiego anuove funzioni".La cattedrale di Bitonto, di Molfetta, di Bari, di Bovino, diTroia, di Canosa, eccetera, testimoniano questa sperimen-tazione costruttiva ed espressiva.Roberto Pane14, commentando una asserzione del Bertaux,esclude una qualsiasi derivazione del repertorio delle chie-se a cupola da quello dei trulli ed asserisce che l'identità deimateriali impiegati, fra produzione rurale e produzioneculturale, debba essere intesa soltanto come analogia dicolore ambientale e di impiego economico e non comederivazione culturale della seconda dalla prima. Quellostesso mestiere del muratore contadino - che si fa, all'occa-sione, lapicida e maestro di muri a secco - non regge più almagistero richiesto dalle tanto più complesse strutturecupolari delle chiese. Pur nella sua perfetta esecuzione, l'e-quilibrio statico di un trullo costituisce una esperienza deltutto elementare al confronto con quella relativa al diffici-

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le sistema di carichi e di spinte, realizzato da una succes-sione di cupole e di mezze volte sullo spazio di tre navate.Il Venditti15, invece, che ha studiato le cappelle del com-plesso eremitico di Olevano sul Tusciano, in provincia diSalerno, è del parere che l'importanza di quella fabbricacon la copertura a trullo risulta accresciuta se la si pone inrapporto con l'architettura meridionale, in particolarepugliese: poiché la struttura a trullo di questo piccolomonumento altomedioevale sembra fornire l'anello, finoramancante della catena che lega le coperture primitive diPuglia, tipiche della produzione contadina, alle soluzioni acupola della stessa regione, largamente ripetute in etàromanica, ma estradossate in aguzzi tiburi piramidali.Il Vinaccia16, però, effettua una netta distinzione tra lagenesi del repertorio dei trulli e quella del repertorio dellechiese a cupola, infatti egli è del parere che essendo il trul-lo una costruzione antichissima e molto diffusa nel bacinodel Mediterraneo sia stata adottata in Puglia dai monaciBasiliani, venuti dall'Oriente, a similitudine del sistemacostruttivo già sperimentato nelle chiese della Grecia edell'Asia Minore, per " eseguire piccoli santuari di campa-gna"; mentre i " protomagistri del secolo XII, i quali innal-zarono le cupole di Bari, di Molfetta e di Trani, trassero l'i-spirazione dalle costruzioni classiche di Roma e da quelledi Ravenna"17.In effetti gli studi recenti eseguiti su di una serie di fabbri-che pugliesi a cupola indicano che la sussistenza simulta-nea di una serie di esperienze costruttive, ossia quelleesplicate nelle chiese Greche e dell'Asia Minore, quellecontenute nell'architettura classica romana e quelle propriedella tradizione locale, hanno contribuito a puntualizzareil nostro repertorio.In tal senso dovendo formulare la storia di una serie divicende architettoniche che possono aver contribuito acostruire il supporto iniziale per l'elaborazione di modelli,si reputa opportuna la valutazione delle fabbriche che, piùo meno, si possono supporre come antefatti.

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Note:1 Cfr E.Bertaux, L’art dans l’Italie Méridionale, Paris 1894 pp.280-2952 Cfr M. Berucci, Il tipo di chiese coperte a cupola affiancate da volte a mezza botte, in

Atti del IX Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura (Bari 10-16 ottobre 1955),

Roma 1959, pp. 100-1033 Cfr A. Petrucci (a cura di), Cattedrali di Puglia, Bestetti editore, Roma 1976 p.1014 Op. Cit.5 Cfr T. Toman (a cura di), Il Romanico, architettura, scultura e pittura, ed.

Gribaudo/Kaufman, Milano 2004 pp.156-1596 Op. Cit.7 Op. Cit.8 Cfr L. Mongiello, Chiese di Puglia, Mario Adda Editore, Bari 1988 pp.35-569 Ibidem10 Cfr P. Belli D'Elia (a cura di), Alle sorgenti del romanico Puglia XI Secolo, Dedalo

editore, Bari 1987 pp 17-2011 Ibidem12 Ibidem13 Ibidem14 Cfr P. Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 pp.20-2215 Cfr A. Venditti, Architettura a cupola in Puglia (II) in NN, I, 1967, pp.108-12216 Cfr A. Vinaccia, L’architettura pugliese nel medioevo, in RTP, XXVII (1908), pp.81-8917 Ibidem

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3.2 Le chiese romaniche in Terra di Bari: opere paradigmatiche

CompendioTra le chiese romaniche con cupola in asse ve ne sono alcune che, percaratteristiche formali e ricorrenza storica, possono essere definiteparadigmatiche di un certo linguaggio. Esse si trovano nel territorio diBari, e precisamente sono localizzate tra Molfetta, Trani, Valenzano eConversano, e rappresentano la sintesi dei caratteri tipologici dellechiese con cupole in asse.

Analizzati e definiti così i caratteri sostanziali e ripetitivi-del tipo, viene naturale esaminarne l'applicazione nelle sin-gole opere, prima di esporre quel poco che si può dire circale relazioni ed i confronti con le altre scuole che, in altriluoghi, hanno attuato esperienze costruttive differenti, maper qualche aspetto simili.“Tra la chiese di tipo basilicale a più cupole, che dalla finedel secolo XI fino a tutto il XII si trovano sparse da uncapo all'altro della Terra di Bari, si può distinguere ungruppo di quattro, che derivano una dall'altra e che, nellaloro speciale struttura architettonica, non trovano corri-spondenza con nessuna chiesa di altri paesiall’infuori,sempre nell'Italia meridionale, della chiesettabenedettina di S. Maria di Càlena, rimasta incompiuta,che dallo Jonescu è considerata una dei prototipi, e chedal Bertaux è riferita all'XI secolo”1.La chiesa ha solo due campate, ma la fronte di uno dei duepilastri esterni mostra che ne doveva avere per lo meno tre.Essa ha tutte le caratteristiche del tipo, compresi gli archidi diaframma in corrispondenza ai pilastri, e l'archeggiatu-ra di alleggerimento dei muri esterni. Ma non ha corniciall'imposta delle volte rampanti delle navatelle, ne a quel-la delle archeggiature di alleggerimento, e neppure allabase della calotta: questa anzi si fonde del tutto con i quat-tro pennacchi, raccordandosi con essi mediante un brevetratto quasi cilindrico, dando così l'impressione, che haavuta il Bertaux, di una vela molto rialzata. Questa rozzez-

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za di dettagli, contrastante con l'elegante cornice che sosti-tuisce il capitello sopra i pilastri fra le due campate, puòben giustificare l'ipotesi che si tratti di uno dei primi esem-pi del tipo2.Le quattro chiese che formano questo gruppo si trovano, adistanze quasi uguali una dall'altra, lungo la rivadell'Adriatico, da Conversano a Trani.Messe una accanto all'altra, esse si rassomigliano comesorelle. Difatti, le chiese di San Benedetto in Conversano,di Ognissanti in Valenzano, di S. Corrado, o chiesa vec-chia, di Molfetta e di S. Francesco in Trani, presentano lastessa pianta di tipo basilicale a tre navate, terminante conabsidi, la stessa copertura delle navate maggiori - tre cupo-le - e delle navate minori - volte a mezza botte -, la stessastruttura architettonica e lo stesso sistema di equilibrio.Tuttavia, se si studiano i particolari costruttivi e la decora-zione, tanto interna quanto esterna, si può seguire una lineaprogressiva di piccole trasformazioni, che ci permettono didesumere che una sola di esse sorse prima - certo dalla fan-tasia di un artista inventivo - e che essa servì poi di model-lo alle altre tre. Quale di queste quattro chiese sorgesse perprima, dai documenti non sappiamo3.Ci dobbiamo contentare quindi solo dell'analisi dei monu-menti in tutti i loro particolari - pianta, volte, sostegni,equilibrio, illuminazione, decorazione, facciate, ecc. - cosache nel classificare i monumenti - come giustamente osser-va Raymond Ray4 - ha maggiore importanza. Guidati dallostudio di questi particolari, possiamo asserire che l'onore diaver servito di modello a questo gruppo di chiese pugliesia tre cupole, spetta al semplice e purissimo monumentodella chiesa di S. Benedetto in Conversano. Studiando glielementi costruttivi essenziali delle quattro chiese, si pos-sono determinare due fasi principali nello sviluppo dellostesso tipo.Nella prima fase, alla quale appartengono le chiese di S.Benedetto in Conversano e di Ognissanti in Valenzano, lecupole che coprono la navata centrale sono della stessaaltezza e poggiano per mezzo di archi trasversali (arcs-doubleaux ), sopra pilastri cruciformi. Le tre navate termi-

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nano verso Oriente con tre absidi sporgenti. Nella secondafase, alla quale corrispondono le chiese di S. Francesco inTrani e di S. Corrado in Molfetta, la cupola centrale è ele-vata sopra un tamburo traforato da quattro finestrine, men-tre i pilastri di sostegno sono cruciformi, con mezze colon-ne addossate su ciascuno dei lati. Le navate sono anche quiterminante con delle absidi, ma mentre quelle corrispon-denti alle navate maggiori sono sporgenti, le altre, corri-spondenti alle navate minori, rimangono comprese nellospessore del muro. All'esterno, mentre nella prima fase sinota un' imponente semplicità, nella seconda le facciate siarricchiscono di archetti e lesene.Fra tutte queste chiese, quella di S. Corrado in Molfettarappresenta, secondo l'espressione del Bertaux5, lo svilup-po estremo del tipo, essendo la più grande e la sola chesubisce, per l'aggiunta che le venne fatta dalla parte absi-dale, l'influenza della cattedrale di Bari, o piuttosto di quel-la di S. Nicolò della stessa città, monumento, questo, cheper un lungo periodo servì di modello a molti altri monu-menti pugliesi6. Le altre tre rimangono di dimensioniminori e talmente uguali, che l'affermazione che esse furo-no addirittura copiate l'una dall'altra risulta indubbia.Si deve notare ancora che questi tre esemplari ugualiappartennero ai Benedettini e che solo il quarto, quello chedoveva essere il Duomo di Molfetta, fu, indipendente ericevette, per ciò che riguarda l'iconografia del tipo, tra-sformazioni importanti ed influenze diverse, essendo laprima cattedrale che, liberandosi dall'influenza che S.Nicolò di Bari esercitava sulle cattedrali erette durante ilsecolo XII sul litorale dell'Adriatico, prendeva comemodello della sua pianta una chiesa minore. Ecco il fattoche ci da il diritto di vedere nell'antico Duomo di Molfettail frutto maturo e l'ultimo esempio delle chiese pugliesi atre cupole, la cui ascesa nello sviluppo successivo fu moltosignificativo. Il monumento che s'incamminava modesta-mente da un paese rurale, giunge ad occupare, dopo unabreve strada, il primo posto in una città principale.Molti sono gli studiosi che si occuparono sporadicamentedell'architettura a cupole in Terra di Bari, ma nessuno di

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essi si è occupato delle chiese minori a una, a due ed a trecupole, dal punto di vista architettonico e costruttivo. LoSchulz7, il primo che ne attirò l'attenzione, pubblicò per lachiesa di Molfetta un rilievo, la cui esattezza, specialmen-te per quanto, riguarda la pianta, lascia molto a desiderare.Lo stesso autore pubblicò della chiesa di S. Francesco inTrani solo la pianta. Il Bertaux, nel suo dottissimo studiosull'arte nell'Italia meridionale, classificò per primo questaarchitettura, studiandone un buon numero di esempi. Sultipo delle chiese pugliesi a tre cupole egli pubblicò qualchedisegno a penna ed un rilievo sommario della chiesa diOgnissanti in Valenzano, disegni che venivano a completa-re quelli già pubblicati dallo Schulz8.

Note:1 Cfr M. Berucci, Il tipo di chiese coperte a cupola affiancate da volte a

mezza botte, in Atti del IX Congresso Nazionale di Storia

dell’Architettura (Bari 10-16 ottobre 1955), Roma 1959, pp. 93-942 Ibidem3 Cfr G. Jonescu (a cura di), Le chiese pugliesi a tre cupole. In: “Ephemeris

Dacoromana” Roma 1935 pp.50-524 Cfr R. Ray, La Chathedrale de Cahors et les origines de l’architecture à couples

d’Aquitaine, Cahors 1925 p.185 Cfr E.Bertaux, L’art dans l’Italie Méridionale, Paris 1894 pp.3826 Ivi p.3787 Cfr H.W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Deresda 1860

atlante tav. XXXI8 Ibidem

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3.3 La scala europea delle chiese a cupola

CompendioPur avendo sviluppato caratteristiche proprie, il romanico pugliese e inparticolare le chiese con cupole in asse, hanno subito influenze siadalla cultura della Magna Grecia, che da quella proveniente da territo-ri molto lontani come il mondo bizantino prima e l’Europa poi.

Il tipo in esame viene caratterizzato dall'essere a tre nava-te, coperte da una serie di cupole nella navata centrale e davolte a mezza botte nelle laterali, con pilastri interni di pic-colo spessore, staticamente adeguati poichè l'equilibriodelle masse rende il carico su di essi pressoché centrato,rinviando ai muri esterni le spinte orizzontali.Esso costituisce una evoluzione del tipo basilicale, per cuiai due colonnati vengono sostituite due serie di piccolipilastri (due o tre al massimo) largamente distanziati, cosìcome fu poi realizzato, nella ben diversa ma analoga impo-stazione della famiglia degli edifici romanici o goticicoperti con volte a crociere.Esso non solo appare originario delle Puglie e come tale ègeneralmente considerato ma per di più non se ne conosco-no esempi fuori dalle Puglie. Il Jonescu, concludendo ilsuo studio, dopo aver escluso ogni somiglianza con le chie-se cipriote in quanto in esse i pilastri ai lati delle cupolesono di ben altre dimensioni, scrive che le chiese del tipoin esame costituiscono "uno dei gruppi più chiari deimonumenti, ricchi di carattere personale, e modelli di pro-porzione, di equilibrio statico e di armonia costruttiva [...]un prodotto schiettamente locale, un tipo nuovo di chiesa,che suscitò singolarissime imitazioni in Puglia, ma nessu-na all'infuori del paese ove nacque"1.Anche il Bertaux2 riconosce il carattere esclusivamentepugliese di tale tipo, che egli riferisce ai trulli. Si nota cheè indubbia la suggestione dei trulli, sia nella loro entità sin-golare, sia nel loro aggruppamento per formare apparta-menti di molti vani; ma costruttivamente, si è riconosciu-to, il tipo in esame è nettamente basato sui principi delle

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volte e degli archi pur traendo dalla pratica costruttiva deitrulli richiamo di gusto plastico, abitudine nel trattare lapietra e interferenza di metodi costruttivi. E' evidente delresto che la coesistenza dei due sistemi non può non averportato a reciproche influenze ed anche a strutture, o addi-rittura ad edifici, di carattere ibrido. Il tema è stato appro-fondito dal Krönig3, che considera il tipo, tanto dal puntodi vista cronologico che da quello formale, come prodottodi influenza bizantina, venuta a combinarsi con tipi eforme specificatamente occidentali. Egli osserva che lavolta a mezza botte si deve intendere in connessione conuna corrente di influenza dalla Francia meridionale, che èda constatare in tutta l'Italia centro-meridionale; anche incostruzioni che non mantengono la originaria connessionestrutturale. Esaminando in dettaglio le realizzazioni deidue temi architettonici caratteristici del tipo, cupole alli-neate su pianta rettangolare con semibotti , si osserva cheil primo è stato posto, oltre che in Puglia, in vari luoghi,ma principalmente nella Francia mediterranea4. Ivi la solu-zione si è ottenuta eliminando radicalmente il problematecnico delle navate laterali e costruendo una sola navatasu muri di grande spessore, convenientemente alleggeriticon incassature: Tolone, Angouléme ne custodiscono i piùnoti esempi, in cui la notevole ampiezza della chiesa haportato alla necessità di affrontare la costruzione di volte dicospicuo diametro. Spesso ivi il criterio di alleggerimentodei grossi muri giunge al limite, portando alla disposizionedi affiancare ad ogni cupola una specie di corto transetto,atto ad assicurare quei risultati di equilibrio di cui si è giàtrattato. Per l'altro tema, quello delle mezze botti su lenavatelle, si nota che esse in occidente, e più precisamentein Francia meridionale, ma più ad ovest, furono diffusa-mente impiegate in costruzioni di ogni grandezza edimportanza, e per lungo periodo di tempo, tanto da giunge-re ad affiancare coperture a sesto acuto. Le applicazioni,sono assai varie; e fra queste assai notevoli quelle dicostruzioni cospicue ed alte, in cui la navatella, coperta asemibotte, è divisa in due piani, da volte che, dovendoappoggiare su pilastri isolati, non potevano essere che a

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crociera. Anche qui, la disposizione ha una ragione d'esse-re nettamente costruttiva, tanto che, mentre si protrae alungo nel tempo fino a che la navata centrale fu copertacon volta a botte, cessa senza incertezza, quando questaviene coperta con crociere, alle quali non convengono lesemibotti. Si ha quindi, nei rapporti del tipo che si sta esa-minando, la stessa risoluzione di un problema costruttivodiverso, ma analogo. Nelle due citate regioni francesi non esistono serie di cupo-le su tre navate, nè esistono mezze botti contrastanti cupo-le5; in Puglia la copertura con una serie di cupole esistesolo se contrastata da mezze botti. Nati all'incirca nellostesso tempo, per le stesse esigenze funzionali, in ambien-ti culturalmente simili, i tre tipi affini, cupole e semibotti diPuglia, botti e semibotti di Francia, cupole senza navatelladi Francia, si sono affermati con scuole indipendenti l'unadall'altra senza interferire, e pertanto, si deve ritenere,senza neppure conoscersi, o avendo l'una dell'altra soltan-to reminiscenze o lontane notizie.Sono ovvii due riferimenti. Il primo per le cupole dellanavata centrale, in una disposizione costruttiva che pur diantico uso romano, ha in quel periodo una localizzazioneprincipalmente orientale, tanto che è pacifica la dipenden-za da influssi orientali delle chiese a cupola francesi; ilsecondo per le navatelle, in un'altra tecnica costruttivaadottata in occidente per esigenze simili ma dipendenti daimpostazioni del tutto diverse.Rapporti, diretti la Puglia ne ha avuti con l'Oriente,l’Impero Bizantino, e con l'Occidente, mercenari e conqui-statori normanni6. Analoghe alle soluzioni bizantine lechiese a pianta centrale, e legate con esse le varie imposta-zioni attuali; analoghe alle chiese di Normandia le grandicattedrali, costruite appunto quando i Normanni, nel sosti-tuirsi all'Impero Romano d'Oriente, e nel lottare fra loro,causarono quell'inabitabilità delle campagne che costrinsegli abitanti a rifugiarsi nelle città, aumentandone assai lapopolazione. Tanto l'uno che l'altro tipo di chiese è deltutto differente dal tipo in esame. Questo quindi ha una vitaindipendente dalle situazioni politiche, ed i suoi riferimen-

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ti con l'Oriente e l'Occidente hanno un'origine soltanto cul-turale, legata ai Benedettini ed ai traffici portuali. E' danotare che nei due secoli dopo il mille, entro i quali le chie-se in questione sono comprese, la regione è sotto il domi-nio dei Normanni, che nelle loro terre di origine non hannoesempi dotati nè di cupole, nè di mezze botti.La datazione invero è cosa quanto mai incerta, sia perchè idocumenti con il continuo succedersi di guerre e saccheg-gi sono andati in gran parte dispersi, sia soprattutto per l'in-cessante sovrapporsi o addirittura sostituirsi di costruzionicon lo stesso nome su lo stesso luogo; sovrapporsi che èdimostrato dal monumento stesso, ma che non risulta daidocumenti, sì che non si può affermare con certezza a qualistrutture della chiesa esistente si riferiscano le rare notiziedi archivio. Ciò è particolarmente evidente per una dellechiese studiate dallo Jonescu7, il San Benedetto diConversano che egli per, considerazioni stilistiche consi-dera la più antica del tipo, ma sempre risalente al X-XIsecolo, e parte di una fondazione conventuale benedettinaattribuita al VI secolo; e, come si è visto, il caso si ripeteper le chiese di Siponto. Tali chiese sono in gran parte diorigine benedettina, ma ciò non porta ad altra indicazionedi parentela, non essendosi riscontrata traccia del tipo dimonastero di Cava, e di altri monasteri in rapporto con lepuglie. Il Krönig8 esclude che esse siano anteriori al XIIsecolo,e considera della fine di tale secolo la maggior partedi esse. Anche la datazione in base alle strutture è spessoassai dubbia per il permanere, a distanza di secoli, di siste-mi di lavorazione e di finitura, e per la resistenza all'usuradel tempo delle pietre da costruzione, specialmente dellapietra di Trani, e di quelle di tipo simile, che sono sparse intutto il territorio pugliese: assai spesso esaminando detta-gliatamente tratti di muratura ove sono state apportaterecentemente modifiche ed aggiunte, ci si presenta il dub-bio se il singolo pezzo appartenga alla costruzione deinostri tempi o a quella di sette secoli fa. Riferimento di unacerta solidità è il carattere delle cornici e delle decorazio-ni; ma anche qui con valore solo di dato post quem, perchèle forme una volta acquisite sono state mantenute per

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lungo periodo di tempo. In riferimento alle condizioniposte dai cambiamenti di regime e dallo stato di benesseredelle popolazioni, quel periodo dell'XI-XII secolo che è dirisveglio nell'Europa, per cui in esso sorge la più partedelle costruzioni romaniche, corrisponde in Puglia, comesi è detto, alla formazione delle città ed al loro affermarsiper effetto della lotta prima, e dello stabilizzarsi poi deldominio normanno.In tale epoca quindi sorgono nelle nuove città le costruzio-ni più notevoli, mentre le precedenti, in genere più poveree piccole perché corrispondenti a piccoli centri, venivanotravolte dalle guerre o dalla forza di rinnovamento.Facendo riferimento a tutte le precedenti considerazioni, sudue elementi, evidenti e certi, è bene fissare l'attenzione: laparentela della copertura in esame con le coperture a cupo-la delle altre soluzioni costruttive, o l'inattitudine del tipoin esame a coprire grandi ambienti; inattitudine assaiminore però di quella delle altre soluzioni a cupola, dicia-mo cosi, più bizantine, attuate in Puglia. Da questi due ele-menti, e dalle mutazioni demografiche ed economichedipendenti dall'evolversi dello stato politico, sgorga comenaturale conseguenza una successione delle chiese dimodeste dimensioni coperte a cupola, e di quelle grandi,con volte soltanto su le navatelle in attesa della totalecopertura a volta anche su la navata centrale. Nel periododi inurbamento delle popolazioni, e di necessità di chiesepiù grandi, sorge e si sviluppa, accanto alle cattedrali concopertura lignea, il tipo a tre navate a cupola, che, facendogeniale appello ad ogni risorsa tecnica, realizza piena ade-renza al rito e possibilità di maggiore ampiezza.Era naturale che esso trovasse motivi di preferenza neipregi di sicurezza e di estetica che sono propri delle costru-zioni a volta; e particolarmente che fosse attuato o mante-nuto da comunità religiose, per le quali nella chiesa più chel'ampiezza era importante la solidità e l'armonia estetica.Ma era anche naturale che esso non potesse gareggiare, perragioni tecniche ed economiche, con il sistema con coper-tura lignea, sia per le grandi costruzioni, sia per le chieseparrocchiali costruite entro le mura delle città dai profughi

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delle campagne. E così pure, in seguito, era nello sponta-neo evolversi della tecnica che esso dovesse sparire difronte ai sistemi nervati e costolonati delle crociere, esteti-camente meno armoniosi ed ariosi, ma costruttivamentesemplici e più facilmente calcolabili, i quali per secoliavrebbero tenuto in disuso le strutture sferiche9.

Note:1 Cfr G. Jonescu (a cura di), Le chiese pugliesi a tre cupole. In: “Ephemeris

Dacoromana” Roma 1935 p.542 Ibidem3 Cfr M. Berucci, Il tipo di chiese coperte a cupola affiancate da volte a

mezza botte, in Atti del IX Congresso Nazionale di Storia

dell’Architettura (Bari 10-16 ottobre 1955), Roma 1959, pp.110-1204 Cfr T. Toman (a cura di), Il romanico, architettura, scultura e pittura, ed.

Gribaudo/Kaufman, Milano 2004 pp.127-1295 Ibidem6 Cfr A. Vinaccia, L’architettura pugliese nel medioevo, in RTP, XXVII (1908), pp113-1147 Op. Cit.8 Cfr W. Krönig, Hallenkirchen in Mittelitalien, in KJBH, II 1938, pp.1-1429 Op. Cit.

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DIFFERENZE DELLE CHIESE A CUPOLA NEL TERRITORIO DAUNO RICORRENZE E DIFFERENZE DELLE CHIESE A CUPOLA

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LA NEL TERRITORIO DAUNO RICORRENZE E DIFFERENZE DELLE CHIESE A CUPOLA NEL TERRITORIO DAUNO RICORRECAPITOLO IV

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CAPITOLO IV: RICORRENZE E DIFFERENZE DELLECHIESE A CUPOLA NEL TERRITORIODAUNO

4.1 L'abbazia di San Leonardo in Lama Volara di Siponto

CompendioL'analisi degli aspetti storici ed architettonici dell'abbazia di SanLeonardo e una particolare cura nel metterne in evidenza gli aspettiformali e tecnici, permettono di configurare una chiara visione criticadel manufatto che, se pur di modeste dimensioni, costituisce uno deipiù interessanti esempi di architettura romanica pugliese

Sorsero lungo la via peregrinorum tra XI e XIII secolonumerosi hospitia e xenodochia per ricoverare gli stanchiviandanti, affidati alla gestione di Ordini religiosi e cava-liereschi. Dopo secoli, quasi tutti scomparvero. Uno solone sopravvive, coi resti delle fabbriche conventuali in rovi-na e la chiesa nonostante le manomissioni subite: quellointitolato a san Leonardo, che dalla località in cui sorge ilCandelario - una lieve ondulazione del terreno presso ilcorso di un antico torrente - è detto in Lama Volara (oVolarla, o Bollara, o valle Nebularia); ma per lo più esso èconosciuto come S. Leonardo di Siponto1.Solitària nella piana ondulata su cui emerge appena con lanitida sagoma delle sue cupole contenute in brevi tiburi, lachiesa può essere confusa con una delle tante masserie for-tificate che punteggiano la piana. Attorno si dispongono lestrutture diroccate di ciò che fu il monastero e l'ospedale,oggi oggetto di recupero.Pochi complessi medievali possono vantare una documen-tazione tanto ricca ed esauriente, estesa per l'arco di cinquesecoli, quanta ne possiede S. Leonardo di Siponto.Il Cartularium, nutritissimo fondo di documenti rivenientidal suo archivio, conservato oggi nell'Archivio di Stato diNapoli e pubblicato sin dal 1913 dal Camobreco, permettedi seguire le vicende del monastero dal 1113 al 14992.Non ne scaturiscono però stranamente dati utili per la pre-cisa datazione delle strutture, in particolare di quelle della

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chiesa, la cui cronologia è tuttora oggetto di accese discus-sioni.Manca ogni indicazione, ad esempio, dell'anno di fonda-zione del complesso, che doveva già esistere nel primo XIIsecolo se nel 1127 riceveva donazioni nella persona delsuo abate Pietro.Sicuramente chiesa e convento sono all'epoca sotto la par-ticolare protezione dei feudatari normanni. Nelle carte sfi-lano, come munifici donatori, Tancredi di Conversano,Ruggero di Terlizzi, suo fratello Boemondo e il figlioTommaso.D'altro canto, la dipendenza almeno morale del complessodalla Francia è evidente e testimoniata da numerosi indizi.Lo rivela la stessa dedica a San Leonardo, il santo venera-to in Aquitania e nel Limousin il cui culto, legato al riscat-to di schiavi e prigionieri, si era diffuso nell'Italia meridio-nale al tempo delle Crociate. Il riconoscimento ufficialedell'ospedale e della chiesa risale al 1137, quando i cano-nici ottengono da Innocenzo II un "breve" di esenzione cheli mette al riparo dalle mire degli arcivescovi sipontini. Nel1167 il favore normanno verso l'ospedale e la chiesa è con-fermato ufficialmente da un privilegio emanato daGuglielmo II in Barletta, pro remedio anime nostre etpatris Wilelmi et regis Rogerii3. E l'apice del periodo dimaggior splendore del monastero, guidato dal 1152 dalpriore Riccardo, cui i papi Adriano IV e Alessandro IIIindirizzano personalmente dei "brevi" e che sigla modesta-mente i documenti in manu Riccardi celeberrimi prioris 4.Riccardo muore nel 1167, e gli succedono ben tre priori dinome Pietro: Pietro I (1167-1176), Pietro II (1184-1196) ePietro m (1197-1223). Alla committenza di Riccardo o dei suoi successori si devecon ogni probabilità una serie di lavori di trasformazione edi abbellimento della chiesa, tra i quali può rientrare la rea-lizzazione del fastoso portale nord o almeno della parte piùantica di esso. Sono gli anni del trapasso dall'età norman-na a quella sveva, che avviene anche per S. Leonardo senzaparticolari traumi. Le carte registrano donazioni semprepiù consistenti di terre, chiese, beni da parte di privati e

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dello stesso imperatore che cede tra l'altro al monastero ilforno demaniale presso la chiesa di S. Margherita aBarletta. E l'apice di una fortuna economica cui succederà,nella seconda metà del secolo, un improvviso quanto inat-teso declino.Vi contribuirono le incursioni dei Saraceni di Lucera, cheridussero in rovina il convento, e soprattutto vane contesegiudiziarie che dissanguarono le finanze dei canonici. Laconclusione fu, dopo circa un decennio di abbandono, lacessione del complesso ai Cavalieri Teutonicidell'Ospedale di S. Maria in Gerusalemme, insediati pres-so la chiesa di S. Tommaso a Barletta, sede del GranMaestro della Bagliva, o Balìa, di Puglia.I cavalieri prendono possesso di S. Leonardo nel 1261 e viinsediano una precettoria verso la quale riprendono adaffluire donazioni. La chiesa e il monastero, che nella bolladi concessione di Alessandro IV del 26 novembre 1261sono detti in rovina, subirono indubbiamente in questoperiodo un radicale restauro di cui si possono riconoscerele vistose tracce nella chiesa.L'importanza della Casa va aumentando nel tempo. Incalce a un contratto del 1309 firma, in nome dell'Ordine,un Roberto de Procina, praeceptor domus Sancii Leonardide Lama Volaria. Forse, a detta del Mastrobuoni, lo stessoMagnus praeceptor di Puglia, ormai trasferito a S.Leonardo5.Una nuova campagna di restauri interessa nel Trecento lefabbriche dell'ospedale, per iniziativa del precettore, frateGiovanni de Argentina.E l'ultimo felice periodo assicurato dalla benevolenza deisovrani d'Angiò, che confermano al monastero tutti i privi-legi ottenuti da Federico II (pur se appoggiati, a quantopare, da un falso diplomatico) e dai suoi successori.La fine del XIV secolo segna il declino dell'Ordine teuto-nico, dissanguato dalle continue diatribe tra Gran Maestrie monasteri che si riflette sulle sorti della Balìa di Puglia,che nel 1466 è incorporata d'autorità al Procuratorato gene-rale dell'Ordine a Roma.Agli inizi del Seicento troviamo nel monastero i Minori

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Osservanti di S. Francesco della Provincia di S. Angelo,insediati, a quanto pare, dal cardinal Sermoneta, legatoall'Ordine da vincoli di particolare favore. A S. Leonardo sirifugiano nel 1620 monache e frati francescani scampati alsaccheggio turco di Manfredonia.Si deve ai Minori un nuovo restauro della chiesa nel 1635,documentato da lapidi e altari. Nel 1731 un disastroso ter-remoto, che devasta l'intera zona, distrugge la cattedrale diFoggia e arreca seri danni anche alle fabbriche del mona-stero e dell'Ospizio di S. Leonardo; che è ricostruito nel1745 dall'ultimo abate commendatario, Padre PasqualeAcquaviva d'Aragona, mentre un'ala del monastero, detta"II Palazzo", viene eretta nel 1763 dal francescano PadreCostantino da Manfredonia.Il Tavoliere, ormai da due secoli trasformato in pascolo, inquest'epoca è abbandonato alle greggi che scendono lungoi fratturi dall'Abruzzo verso la fertile piana di Foggia dopoaver pagato il proprio tributo alla Dogana della mena dellepecore. L'ospizio assiste per lo più pastori indigenti e man-tiene in tal modo una funzione sino ai primi dell'Ottocento,quando la fondazione di un nuovo ospedale a Foggiadetermina la soppressione di quello, ben più antico e illu-stre ma ormai superato dai tempi, di S. Leonardo. Chiesa emonastero sono vandalicamente saccheggiati e le suppel-lettili trasferite a Foggia dal priore dell'Ordine di S.Giovanni di Dio. Finisce così l'esistenza attiva di un com-plesso che fu nel Medioevo tra i più importanti sia dalpunto di vista religioso e assistenziale che da quello artisti-co, come polo di attrazione di correnti di cultura oltremon-tana, luogo di incontri e di scambi tra maestranze pugliesie abruzzesi, tra il Gargano e la Puglia piana.Iniziava però, con le segnalazioni dei primi viaggiatori,Gregorovius, Lenormant, e poi con la menzione nel librodel Bertaux6 la sua vita di monumento; non meno trava-gliata e incerta, purtroppo, di quella trascorsa come ospe-dale e monastero. Quasi cent'anni di tormenti, tra restauripiù o meno avventati, attentati alla sua integrità (nel 1945si parlò addirittura di abbatterlo dopo aver rimosso il soloportale destinato a emigrare in Germania) e periodi più o

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meno lunghi di abbandono e di timida ripresa. Agli inter-venti degli anni Cinquanta si deve, tra l'altro, l'abbattimen-to ingiustificato di una cappella angioina voltata a crocieracon abside ad ombrello, addossata all'ultima campata versoest della fiancata settentrionale.Il complesso in rovina che ingloba i resti dell'ospizio e delmonastero di S. Leonardo si avvista all'improvviso, prove-nendo da Foggia diretti a Siponto e Manfredonia, tra leondulazioni del terreno roccioso tagliato dalle "lame",avvallamenti longitudinali, un tempo letti di torrenti. Sullosfondo delle fabbriche conventuali in rovina il parallelepi-pedo di pietra bionda della chiesa si staglia nitido controluce, presentando al visitatore il fianco nord, nobilitato epromosso al rango di facciata principale dal sontuoso por-tale al centro.Dal rilievo effettuato sul luogo, possiamo affermare che lafacciata di accesso, a nord, si presenta con un lato di basepari a 21.27 m ed un’altezza fino alla gronda pari a 8.39 m,mentre il lato occidentale ha lato 16.13 m ed un’altezzamassima di 10.46 m, campanile escluso.Il paramento murario, costituito da fìlari irregolari di bloc-chetti di pietra calcarea legati da un sottile strato di malta,come nelle più note fabbriche dell'XI-XII secolo, è pausa-to da sottili paraste collegate l'una all'altra da archetti pen-sili che lo suddividono in cinque scomparti leggermentediseguali: quattro accolgono una monofora ciascuno, quel-lo al centro, più grande, è interamente occupato dal porta-le.La nitida superficie è conclusa da una cornice a mensole sucui scende la falda di un semplice tetto a gradoni dal qualeemergono due tiburi, separati da un ampio spazio copertoda tetto a spioventi e sovrastati da basse coperture a pira-mide. Entrambi a pianta ottagonale, si presentano l'uno,adiacente le absidi, con un semplice paramento murariocompatto concluso da una tradizionale cornice a denti disega; l'altro, all'estremità opposta, con un più ricco rivesti-mento ad archeggiature cieche (due per ogni faccia) sovra-stato da una cornice a mensole affine a quella riconosciutasulla fiancata.

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Le irregolarità nelle aperture riflettono certo fasi diverse dicostruzione e interventi successivi su una struttura chedovette essere sostanzialmente affine a quella ben notadelle chiese a cupole in asse con semibotti laterali. Le ana-logie con questo tipo architettonico si colgono bene nellaparete orientale, tozza e dilatata, conclusa con due spio-venti collegati da un segmento orizzontale che corrispondealla terrazza da cui emergono i tiburi. Più irregolare il pro-filo della facciata occidentale, forse ritessuta all'epoca deiCavalieri Teutonici e poi ancora dai Francescani7.

Note:1 Cfr A. Petrucci (a cura di), Cattedrali di Puglia, Bestetti editore, Roma 1976 pp.57-702 Cfr F. Camombreco, Regesto di San Leonardo di Siponto, Roma 19133 Cfr P Belli D'Elia, Puglia romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 p.664 Ivi p.675 Ibidem6 Cfr E.Bertaux, L’art dans l’Italie Méridionale, Paris 1894 pp.270-2807 Op. Cit.

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4.1.1 Il foro gnomonico: volontà matematica o caso

CompendioLa presenza dei due rosoncini, uno per il solstizio d'estate ed uno pergli equinozi, è fonte di discussione tra gli studiosi. Un acceso dibattitosi interroga sul motivo della loro presenza ed in particolare sullavolontà di trovare uno strumento astronomico in una struttura dedica-ta al culto.

E’ possibile trovare elementi che richiamano il simbolismocosmico nelle costruzioni assiro-babilonesi, in quelle del-l'antico Egitto e nelle opere sacre degli Ebrei. Alcuni ele-menti architettonici, che avevano sfruttato l'osservazionedi fenomeni quali il solstizio d'estate e d'inverno, eranostati inseriti nel tempio che Re Salomone aveva innalzatosu suggerimento divino. Essendo il tempio e il monastero al centro del microcosmolocale, l'inserimento in essi di elementi costanti nel tempo,come i fenomeni astronomici, li rendeva più vicini a Dio. Anche a San Leonardo di Siponto ritroviamo un preziosi-smo architettonico del genere. Ad ogni solstizio d'estate, il21 giugno, al mezzogiorno astronomico, il sole è perfetta-mente sulla direttrice, penetra con un solo raggio all'inter-no della Chiesa attraverso un piccolo rosone posto nellavolta centrale e va a cadere sul pavimento al centro di duepilastri che sorreggono la navata centrale in prossimità delportale nord. Se il fenomeno sia stato concepito cosciente-mente, abbinando calcoli astronomici a quelli architettoni-ci al momento della costruzione dell'Abbazia, è una que-stione tuttora non conclusa1.Cesare Brandi, in uno dei suoi viaggi nel sud Italia, nell’os-servare il rosoncino afferma:

“ c'è poi l'ennesima stranezza di una formella traforata eper istorio nella volta della navata. La cosa m'intrigò: nonera per la meridiana - ma che altro poteva essere? - .Dovetti aspettare parecchi anni per saperlo. Ma essendoandato a Santa Caterina sul Sinai, scopersi la chiave delmistero. La Chiesa di Santa Caterina è giustinianea, e cer-

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tamente ci ha il tetto rifatto. Ma nel tetto sono state con-servate due aperture, in isbieco, in corrispondenza del solee della luna nel giorno di Santa Caterina.Ecco dunque spiegata la formella di San Leonardo, cosìper istorio. Un'altra prova degli strettissimi contatti fraSiria, Palestina, Egitto e la Puglia.”2

Purtroppo lo studioso non ebbe una felice intuizione poi-chè San Leonardo viene festeggiato il 6 novembre e non il21 giugno, giorno in cui si rivela la perfetta assialità traSole-Centro della Terra-Foro.La presenza nella chiesa di San Leonardo del foro gnomo-nico mette in evidenza che il 21 giugno di ogni anno il soleha raggiunto il suo valore massimo in declinazione(23°36,4N) e alle 12h58m (mezzogiorno astronomico).Per il foro gnomonico, passa all’istante indicato, un fasciodi luce solare, proprio perchè il foro è inclinato rispettoallo zenit di 18°09,6. Tale foro è detto gnomonico perchèal “mezzodì” del solstizio d’estate, la proiezione del fasciodi luce è centrografica, ovvero il sole, il foro e il centrodella Terra sono in asse.Cosa ci indica? Cosa vuol rappresentare? Perchè è statorealizzato? Cercare di dare delle risposte è senza dubbiointeressante, ma non essendo sufficienti i presupposti sto-rico-scientifici riguardante tale fenomeno, risulta arditodare spiegazioni in maniera definitiva.Un’ipotesi è quella che si tratti di un orologio solare chefornisce il passare del tempo una volta l’anno, il 21 giugnosolstizio d’estate. In questo giorno la durata dell’arco diur-no è la più lunga di tutto l’anno, così come il 21 dicembre(solstizio d’inverno) la durata dell’arco notturno è la piùlunga dell’intero anno.Il raggio che attraversa il foro gnomonico, va a cadere ametà (pavimentazione attuale) della distanza che unisce ipilastri situati di fronte all’ingresso nord, pultroppo sull’at-tuale pavimento non ci sono richiami al raggio luminoso,essento esso opera dell’ultimo restauro (Mastrobuoni,1950 circa), montato ad una quota diversa rispetto all’ori-ginale.

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La seconda ipotesi è quella che tale strumento sia il fruttodell’infuenza dell’ordine dei cistercensi che in quel perio-do operavano a Manfredonia al servizio degli Svevi.Un tentativo di trovare un legame tra la volta centrale diSan Leonardo e la cultura cistercense è stato fatto confron-tato il profilo di tale volta con la Cappella della Maddalenaoggi all’interno del palazzo di città di Manfredonia, operaattribuita alle maestranze cistercensi per volere del ReManfredi.Dal confronto tra i due profili rilevati mediante un teodoli-te, si evince che si tratta di archi a sesto acuto con le mede-sime proporzioni e legati da una comune matrice geometri-ca, il che fa supporre un legame tra le due strutture, e se aciò si lega il fatto che l’ordine dei Cistercensi avevanonotevoli conoscenze astronomiche e matematiche sembaracorretto definire la copertura a volte a sesto acuto coevadella cappella della Maddalena.Una terza ipotesi è che dopo il crollo della cupola centrale,i Teutonici per motivi legati all’ordine cavalleresco opera-no la ricostruzione della volta centrale che andava a sosti-tuire la cupola ormai diruta3 e l’inserimento di tale roson-cino.Per quanto riguarda il rosoncino degli equinozi, forse èdettato dalla necessità dovuta all'esigenza della ChiesaCattolica di controllare i moti celesti, per garantirsi la cor-rettezza del calendario ai fini della data di Pasqua. Infatti,il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., stabilì che “tutte le chie-se avrebbero celebrato la Pasqua la domenica che segue ilplenilunio successivo all'equinozio di primavera”4.Per tale motivazione è possibile definire il foro del solsti-zio posteriore al rosoncino degli equinozi. Il rilievo effettuato indirettamente sui due rosoncini, hamesso in evidenza un disegno geometrico diverso, che raf-forza l’ipotesi che tali elementi non sono coevi.Il metodo scelto per la rappresentazione dei fenomeniastronomici è stata l’assonometria isometrica, che megliorende il significato sia del solstizio che degli equinozi.Per la rappresentazione del percorso del Sole rispetto allaTerra si è operata una “forzatura grafica” evidenziando il

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percorso di tale stella come non eliocentrico. Tale percor-so, rappresentato come un’ellisse, è stato introdotto come“espediente” comunicativo di un fenomeno trascendentale.Interessante commento alla figura dell’ellisse è operato daRenè Guenon, il quale descrivendo la figura dell’ellissedice:

“Come esempio di quanto diciamo possiamo prendere ilmovimento dei corpi celesti, il quale non è rigorosamentecircolare, ma ellittico; l'ellissi costituisce per così dire unaprima " specificazione " del cerchio, per sdoppiamento delcentro in due poli o " fuochi ", secondo un determinato dia-metro che assume di conseguenza una funzione " assiale "particolare, mentre tutti gli altri diametri si differenzianotra di loro secondo le loro lunghezze rispettive. A tal pro-posito, aggiungeremo incidentalmente che, siccome i pia-neti descrivono delle ellissi uno dei cui fuochi è occupatodal sole, ci si potrebbe chiedere a cosa corrisponde l'altrofuoco; giacché niente di corporeo ha posto in esso, dovràtrattarsi di qualcosa che non può appartenere se nonall'ordine sottile; sennonché non è questa la sede per esa-minare più a fondo tale questione, che esorbiterebbe com-pletamente dal nostro argomento”5

Il segno dell’ellisse, ritorna anche nella proiezione del rag-gio di luce sul pavimento. Infatti il fascio di luce - che puòessere assimilato ad un insieme di raggi tra loro paralleliconsiderata la distanza Terra-Sole - nel momento del pas-saggio attraverso il rosoncino, può essere comparato ad uncilindro che, intercettando il piano del pavimento lungo unasse non ortogonale, imprime su di esso il disegno del rag-gio, ovvero una ellisse.

Note:1 Cfr www. graganonline.it2 A .Motta, In viaggio per le terre dell’arcangelo, Officine Grafiche Calderini editore,

Roma 1991, p.250.

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3 Cfr A.D’Ardes, Interventi edilizi dei Cavalieri Teutonici nell’abbazia di San Leonardo,

in Atti del V Convegno di Studi, Siponto e Manfredonia nella Daunia, Manfredonia

2000 pp.100-1214 Cfr www. artemedievale.it5 R. Guenon , Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Edizioni Adelphi, Milano,

1982 pp.135-136.

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4.1.2 L'interno: materia e superficie

CompendioPer evidenziare il rapporto interno/esterno risulta opportuno analizza-re sia gli aspetti geometrico-superficiali che compositivi, curando lacomposizione e la scomposizione delle parti più significative della fab-brica.

Internamente la fabbrica si presenta suddivisa “potenzial-mente”1 in tre navate e nove campate, delimitate da arcatericadenti su semipilastri incastrati nelle pareti e su quattrorobusti pilastri al centro. In realtà, due campate della nava-tella destra sono state inglobate, sin dall'origine, a quantoha rivelato il restauro, in una struttura a due piani forse giàriservata, inizialmente, ai Canonici e più tardi sopraeleva-ta e ampliata dai Teutonici (D'Ardes, 1999, Derosa, 2002).Inoltre i pilastri polistili che si parano di fronte all'ingressodalla porta nord sono di impianto e sviluppo diseguale.Benché entrambi cruciformi, con risalti corrispondenti alledoppie ghiere degli archi che vi si scaricano, solo quello adestra è arricchito da semicolonne alla estremità dei braccie da capitelli scolpiti che formano una fascia continua.Le campate libere, le cui dimensioni variano in larghezzada 2.30 m a 5.58 m, sono coperte rispettivamente, sullanave centrale da due cupole su base quadrangolare, inter-vallate al centro da una volta a botte a sesto rialzato, sullenavatelle laterali da volte a quarto di cerchio, secondo ilnoto schema a cupole in asse. Lo schema presenta però quinumerose varianti: le cupole sono diseguali, a calotta, concornice d'imposta raccordata da pennacchi quella corri-spondente al presbiterio, a cono con imposta non eviden-ziata l'altra, adiacente la facciata; una volta a botte longitu-dinale a sesto acuto occupa il luogo della terza cupola; idiaframmi che separano le campate delle navatelle, apertida arcate a sesto fortemente rialzato, appaiono realizzatipalesemente in un secondo tempo. E opinione generalizza-ta nella critica2 che le anomalie più vistose, prima fra tuttela volta a botte centrale, si debbano all'intervento deiCavalieri Teutonici su una fabbrica originariamente strut-

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turata con tre cupole in asse, al tempo ormai diruta. Ma latesi non pare più sostenibile, visto che la botte poggia suarcate longitudinali assai più basse di quelle che sostengo-no le cupole; arcate a doppia ghiera, identiche alle altre esostenute dagli stessi pilastri che non appaiono manomes-si e che devono essere stati quindi strutturati sin dall'origi-ne con attacchi a livelli differenziati. La ricostruzione dellacopertura di questa campata avrebbe comportato invece laristrutturazione di tutti i pilastri di sostegno e di conse-guenza il rifacimento integrale delle due cupole, rette daglistessi sostegni. Tutto sta a dimostrare, insomma, che lastruttura fondamentale della chiesa, pilastri, semipilastri,arcate longitudinali e trasverse, è stata concepita unitaria-mente, prevedendo un sistema di coperture analogo a quel-lo attuale3.Quando può essere stata realizzata questa versione dellachiesa, che in Capitanata non è isolata, ma può trovare unlontano riferimento nella chiesa benedettinadell'Annunziata di Orsara, anch'essa del XII secolo? Certonon dopo la realizzazione dell'apparato ornamentale dellafiancata nord; cioè, al più tardi, entro gli ultimi due decen-ni del XII secolo. E anche il confronto, già notato dalBertaux, fra il pilastro cruciforme della chiesa e quello del-l'atrio di Ognissanti di Trani, non fa che appoggiare questatesi.Sulla base dei dati emersi a seguito dell'ultimo restauro, èipotizzabile, una successione di fasi costruttive che avreb-bero portato solo in ultimo alla realizzazione della cupolaverso Occidente secondo i modi consacrati dalla tradizionepugliese, dopo la parentesi rappresentata dalla aperturasperimentale nei confronti di esperienze diverse e piùavanzate, probabilmente acquisite di ribattito dall'Orientelatino. Sempre in sede di restauro e confermato dai recentirilievi, si è potuto verifìcare che l'intradosso della cupolaoccidentale non ha alcun rapporto con il piccolo tiburioottagonale che emerge all'esterno come un cappello appog-giato sulla copertura. E’ anche probabile che la costruzione dell'ultima campataa occidente abbia comportato la sistemazione tardiva del

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prospetto, percorso da lesene collegate da una serie diarchetti pensili e destinato, una volta di più, ad essere pre-ceduto da un portico. Nella ristrutturazione del prospettovennero contestualizzati anche la porta e la finestra alosanga che la sovrasta, coerenti con la vista esterna madecentrate rispetto all'interno.È possibile che la parte absidale, con la relativa cupolasovrastante il presbiterio, conservi il ricordo di una piùsemplice costruzione a cupole dei primi decenni del XIIsecolo.Ne sarebbero testimoni il tiburio che ingloba la cupola,cinto dalla tradizionale fascia a denti di sega, e il prospet-to orientale liscio, privo di archetti e lesene. Netto il con-trasto con la ricca ornamentazione dell'abside centrale edell'absidiola destra (la sinistra conserva il paramentoliscio e compatto) con arcatelle cieche probabilmenteammorsate in un secondo tempo e la finestra ornata di scul-ture, in assonanza con l'abside pure duecentesca diOgnissanti di Trani.Su una delle sottili lesene che reggono gli archetti ciechi èinciso in verticale, con caratteri fioriti di svolazzi, il nomedi GUILLELMUS SACERDOS. Un canonico, committen-te dell'ornato, o il maestro autore delle sculture? Tra idocumenti del Cartulario si incontra un magisterGuillelmus in un Memoratorium del 1180; ma anche unsacerdos e poi canonicus dello stesso nome, tra il 1206 e il1235. Si trattasse o meno dello stesso personaggio, la cro-nologia più bassa si adatterebbe bene alla decorazione del-l'abside, agli intagli della cornice della finestra, ispirata aquella del portale, ma realizzata con un fare assai rigido esecco, tipicamente duecentesco, e soprattutto al gruppo diSansone col leone, simbolo della lotta e del trionfo sullamorte, che spicca al vertice, richiamando l'analoga figura-zione sulla finestra absidale di Ognissanti a Trani: tutti ele-menti ricollegabili ai repertori ornamentali diffusi nellechiese della Terra di Bari, nettamente distinti da quelli, dimatrice abruzzese, del portale, del quale viene confermatacosì la seniorità. Ancora diversa, straordinariamenteespressiva e "barocca", la plastica delle mensole che

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sostengono la copertura a gradoni dell'abside centrale: ser-penti aggrovigliati, volti umani, maschere bestiali, viluppiindecifrabili stravolti da una eccezionale foga aggressiva,che portano in sé un sentore del mondo gotico oltremonta-no, innestato sulle forme già inquiete del tardo romanicopugliese4. Secondo la più diffusa opinione critica si tratte-rebbe di aggiunte di età federiciana5. Si potrebbe forse riconoscervi meglio un tardivo segnodella presenza teutonica, una delle vie per le quali unanuova ondata di espressionismo nordico poteva giungerein queste terre in epoca angioina, quando vennero realizza-ti anche il cornicione del transetto della cattedrale di Tranie il rosone monumentale di quella di Troia. Nulla in comu-ne, comunque, con le decorazioni plastiche dei capitelli delpilastro interno della chiesa, assai vicine, se mai, agli orna-ti del portale, a riconferma della scansione cronologicaproposta.

Note:1 In una prima fase la struttura si sviluppa su tre navate mentre nella seconda e terza

campata si ha uno sviluppo su due e la terza navata viene adattata a sacrestia.2 Cfr A. Venditti, Architettura a cupola in Puglia (II) in NN, I, 1967, pp.108-1223 Cfr P. Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 pp.66-694 Ibidem5 Cfr M.S. Calò Mariani, Insediamenti benedettini in Puglia, Catalogo Mostra, Galatina

1981, voll.2

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4.1.3 Sintesi e complessità: il portale nord

CompendioLa ricchezza del portale nord e la semplicità del portale ovest - quelloche in origine rappresentava l'ingresso principale della chiesa - eviden-ziano un cambiamento nello sviluppo e nella fruizione della strutturaarchitettonica. Inoltre vi sono aspetti formali e decorativi del portaletali da renderlo un vero e proprio "manoscritto".

Il prospetto nord, elevato a facciata principale, presenta ilportale al centro con semplice sagoma architravata, sor-montata da una lunetta non decorata conclusa da un archi-volto. Dal rilievo effettuato risulta che esso ha un’altezzache varia da 5.10 m a 7.28 m mentre la sua larghezza da3.35 m a 4.39 m, ovvero con e senza il protiro. E’ eviden-te che sin da tempi remoti il massimo rilievo è stato confe-rito alla fiancata nord che per prima si presentava ai pelle-grini e ai viaggiatori diretti a Siponto e al Gargano.L'attenzione è subito convogliata sul portale fastoso, incor-niciato da un baldacchino retto da colonne su leoni stilofo-ri, che ha sempre polarizzato gli interessi dei critici, divisisulla interpretazione da dare all'iconografia e sulla crono-logia delle sculture. Il Bertaux1 le ritenne senz'altro di etàfedericiana e così la maggior parte degli scrittori che se nesono occupati per lo più di sfuggita, nell'ambito di piùampie trattazioni. Solo il Kingsiey Porter2 propone per ilportale una data vicina al 1175, seguito dal Petrucci3, chene ricollega l'esecuzione alla committenza dei Canonici diS. Agostino, negli anni di priorato del gran Riccardo; laCalò Mariani assume una posizione intermedia, proponen-do un arco di tempo "teso tra l'ultimo decennio del XII e ilprimo del XIII secolo"4. Tutti concordano invece nell'indi-care per il portale termini di confronto nella scultura abruz-zese del XII secolo (S. Clemente a Casauria, Pianella) enella plastica pugliese del tardo XII secolo, a Pulsano,Montesantangelo (portale di S. Maria Maggiore, posterio-re al 1198), Trani (Ognissanti), e nel riconoscervi assonan-ze e ascendenze dai portali francesi vuoi di Borgogna(Charlieu), vuoi del sudovest (Angouléme, Chàteauneuf-

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sur-Charente, Toulouse).La Fossi, sulla base di puntuali riferimenti con gli ornatidelle suppellettili abruzzesi (S. Clemente a Casauria, S.Pelino a Corfinio) e di alcuni frammenti già nel monasterodi Pulsano, considerati opera degli stessi artefici attivi aSiponto, riporta il portale di S. Leonardo alla fine dell'otta-vo decennio del XII secolo, facendone un capitale docu-mento dell'attività di maestranze foggiane, richiamate dal-l'abate Gioele a Pulsano e da qui refluite a S. Clemente diCasauna, donde si sarebbe irradiata successivamente lascuola scultorea abruzzese.Il problema non è di facile soluzione e può consigliareinnanzitutto di distinguere il portale vero e proprio dal bal-dacchino retto da leoni stilofori che lo incornicia e che nonmostra evidenti legami, neppure nel repertorio ornamenta-le, con la parte interna, separata da esso da un ampio trat-to di parete liscia. Anzi, la cuspide del baldacchino, veroprotiro contratto e proiettato sulla parete, si sovrapponevistosamente alla serie di archetti di coronamento delloscomparto centrale (quattro o cinque, in luogo dei tre degliscomparti laterali) e sembra tagliare in modo inorganicouna nicchia, ora vuota, sovrastante il fregio del portaleinterno, fiancheggiata dalle piccole figure di San Leonardoe di San Giacomo che fungono da raccordo tra i due ele-menti architettonici.In questa ottica il protiro, del tipo diffuso in Terra di Bari apartire probabilmente dalla seconda metà del XII secolo,con figure di animali inseriti tra le colonne e l'archivolto,può essere datato agevolmente ai primi del Duecento.Particolarmente raffinato si mostra il trattamento dei detta-gli del corpo dei due leoni, uno dei quali serra tra le fauciuna figura umana nuda che gli afferra con atteggiamentosupplice una zampa; l'altro, mutilo, addentava, a quanto sipuò intuire dai resti, un serpente. E lo stesso schema ico-nografico, allusivo al Cristo che abbatte il demonio erisparmia il peccatore pentito, riecheggiato con varianti dalportale della cattedrale di Trani e dalle finestre del transet-to di quella di Bari, opere databili tutte sulla fine del XIIsecolo. Consuete anche le immagini inserite tra colonne e

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archivolto: due grifi, non raffigurati però, come negli altriesempi noti, in posizione accucciata ma in piedi, forse persollevare maggiormente l'imposta dell'archivolto inscrittonel timpano triangolare5.Molto meno scontato, nel panorama pugliese, il portalevero e proprio, strutturato in palese assonanza con i model-li francesi, completo di lunetta figurata, colonnine, stipitiscolpiti conclusi con capitelli istoriati, cornice e archivoltoprofondamente strombati; un'opera insomma pienamenteromanica, che conserva solo qualche vago residuo delbizantinismo di fondo, caratteristico della più nota scultu-ra pugliese.Il rilievo degli elementi decorativi ha richiesto una accura-ta misurazione diretta per la parte più accessibile ed un usoappropriato del rilievo fotogrammetrico per gli elementimeno accessibili.La successiva restituzione e rappresentazione ha richiestola composizione di elaborati molto articolati atti a metterein evidenza la ricchezza e la complessità dell’apparatodecorativo.Sul piano iconografico le immagini si distinguono per laevidente rispondenza ad un programma coerente. Sugli sti-piti le anse del tralcio abitato, che nasce rispettivamentedalle fauci di un drago e di un leone, avvolgono figureumane ed animali: un cervo, un'aquila, un sagittario, unafigura umana che cavalca un drago, un fanciullo con uncarico di frutti6.Nello sguancio, il motivo a doppio tralcio con palmette erieri di girasole richiama da un lato vecchi stilemi dellaplastica dell'Xl secolo, dall'altro motivi, come il fiore digirasole rovesciato, presenti anche nella scultura tolosana.Gli stipiti e le colonne che li affiancano sono conclusi dafasce continue scolpite che fungono da capitelli: sul latodestro si snoda la processione dei Re Magi dalle lunghevesti ricamate e ondeggianti che muovono verso la Verginecol Bambino e san Giuseppe; nell'altro l'ArcangeloMichele trafìgge il drago e appare a Balaam sulla suaasina: interpretazione assai più plausibile di quella propo-sta dal Petrucci, che vedeva nel personaggio sull'asina il

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pellegrino diretto al Gargano. Da tutto l'insieme emerge lacelebrazione del viaggio e del pellegrinaggio come itinera-rio di salvezza (S. Mola, 2000).Nella lunetta sorretta da un architrave ornato, come neipulpiti abruzzesi e in un trave già in S. Maria di Pulsano,da fiori di giaggiolo (fleurons d'iris) di matrice aquitanicafinemente intagliati, il Cristo benedicente campeggia alcentro di una mandorla retta da angeli. Tutto attorno giraun'alta fascia scolpita percorsa da un tralcio in cui si anni-dano i simboli degli Evangelisti, leone e angelo, toro eaquila, seguiti rispettivamente da un centauro musicante eda una figura demoniaca che soffia in una tromba; e, alsommo dell'arco, da una cerva e un dragone: l'uno proba-bile simbolo dell'anima desiderosa del Bene, l'altro perso-nificazione del Male. Racchiude la composizione un'altacornice strombata ornata da un caratteristico motivo adesse affrontate, che ritroviamo sul portale di S. Maria diPulsano come in genere nelle sculture abruzzesi.In realtà i confronti delle sculture di Capitanata con quelleabruzzesi, da Casauria a Pentima a Corfìnio, innegabili epertinenti, si possono moltiplicare e sono entrati ormai nel-l'ottica di tutti gli studiosi. Rimane semmai aperto il pro-blema delle priorità e dei dare e avere tra le due aree cultu-rali. Ma sembra ormai difficile sostenere, come proponevala Fossi, la priorità di S. Maria di Pulsano su S. Clementea Casauria, potente abbazia il cui cantiere dovette costitui-re per decenni un polo di attrazione per maestranze di variaprovenienza, che in quella fucina potevano incontrarsi escambiarsi esperienze. E possibile che tra esse potesserotrovarsi anche scultori di Capitanata, eredi di una tradizio-ne plurisecolare. Di certo, però, i frutti più maturi usciti daquella fucina, i raffinati intagliatori autori dei celebriamboni di Casauria, Pentima e delle sculture di Pianella ePrata d'Ansidonia, continuarono per oltre un secolo adoperare nell'ambito circoscritto delle valli abruzzesi rag-giungendo in seguito, in Puglia, l'abbazia di Pulsano e di lìS. Leonardo di Siponto (Derosa, 1999).La cronologia del portale, oscillante tra gli anni di Pietro IIe di Pietro III, con una netta propensione per la proposta

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più “alta”, costituisce un termine ad quem per la datazionedi tutto il paramento murario nel quale è incastrato7.

Note:1 Cfr E.Bertaux, L’art dans l’Italie Méridionale, Paris 1894 p.2872 K. Porter, Lombard architecture, New Haven, London-Oxford, 1915 pp.120-1303 Cfr A. Petrucci (a cura di), Cattedrali di Puglia, Bestetti editore, Roma 1976 pp.50-604 Cfr M.S. Calò Mariani, L’arte del Duecento in Puglia, Torino 1984 pp.120-1235 Cfr P Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 pp.64-666 Ibidem7 Ibidem

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4.2 La basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto

CompendioL'analisi degli aspetti storici, architettonici e dei rilievi effettuati dellachiesa di Santa Maria di Siponto permettono di avere una conoscenzapiù chiara di un manufatto che può essere definito “anomalo” nelpanorama delle opere di architettura romanica pugliese e nel contem-po evidenziano i legami che la Puglia ha avuto con la cultura orientale.

La basilica, unico edificio superstite dell'antica città diSiponto sorge in aperta campagna alle porte della città diManfredonia, accanto agli scavi da cui sono emersi i restidella basilica paleocristiana1.La tradizione e la letteratura tra Otto e Novecento ricono-scono in essa quanto rimane della cattedrale sipontina,consacrata da Pasquale II nel 1117. Il ritrovamento, inoccasione dei restauri del 1974, di alcuni frammenti mar-morei rivenienti da suppellettili smontate, uno dei qualireca il nome dello scultore Acceptus, accompagnato dalladata 1039, hanno indotto ad anticiparne la costruzione aiprimi deenni dell'XI secolo, quando primo arcivescovo diSiponto era Leone, consacrato nel 1023 e morto nel 1050.Leone era stato protagonista della ripresa della diocesisipontina che, già riunita dall’VIII secolo a quella longo-barda di Benevento, riuscì finalmente a riacquistare nell'Xlsecolo, grazie all'appoggio dei Bizantini, la propria autono-mia di sede vescovile latina, ben presto elevata ad arcive-scovile da Benedetto IX. In questo quadro si è ritenuto di inserire anche la costruzio-ne di una nuova cattedrale, presto dotata delle suppellettiliessenziali: pulpito, trono, ciborio, che di quella dignitàriconquistata erano i segni tangibili.Il problema critico fondamentale è quali rapporti potevanoesistere tra la presunta chiesa di Leone e quella consacratanel 1117; e in ogni caso, quanta parte di essa sia ancorariconoscibile nell'edificio attuale, a più riprese manomessoin seguito a terremoti, saccheggi e restauri più o menocurati2.Esso si presenta oggi come una singolare, anomala struttu-

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ra a pianta quadrata con due absidi, aggettanti rispettiva-mente dai lati sud ed est, e una facciata ad occidente, orna-ta di un fastoso portale ma limitata al solo piano terreno.Più precisamente, da rilievo effettuato direttamente sulmanufatto, si è riscontrato che la pianta ha uno sviluppo di18.07 m x 18.40 m ed un’altezza del fronte principale paria 12.27 m.Tre lati sono animati, all'interno come all'esterno, da unaserie di basse arcate cieche, cinque per lato, poggianti sucolonne in muratura addossate alla parete e sostenute dauno zoccolo continuo. Il quarto lato, a nord, è stato abbat-tuto, ricostruito e rimaneggiato più volte.Sotto l'intero edificio si estende una cripta a sala, divisa incampate regolari da colonne di riporto, tra le quali si inse-riscono quattro poderosi pilastri cilindrici con un diametrodi 1.20 m circa, coincidenti con i supporti a sezione qua-drangolare che nella chiesa superiore sostengono unacupoletta a vela, raccordata alle pareti d'ambito da volte amezza botte.“Negli studiosi che in vario modo si sono occupati dell'ar-gomento, prevale la tesi secondo cui la cripta sarebbe laantica chiesa di Leone, su cui i suoi successori avrebberoelevato la fabbrica superiore.Di questa opinione sono il Rotili e il Labadessa, mentre loSchettini suppone che la chiesa primitiva sorgesse al livel-lo della attuale cripta e avesse una cupola sostenuta daiquattro piloni poi inglobati nel succorpo, costruito in unsecondo tempo per elevare la chiesa al disopra del terrenoacquitrinoso.Il Venditti suppone invece entrambe le chiese coeve, eretteinsieme tra il 1034 e il 1117, con i piloni già inseriti sindall'origine nella cripta. Il problema non si era neppureposto per lo Schulz e il Bertaux , che ignorando l'esistenzadei frammenti di suppellettili (restauro 1974-75), ritenne-ro semplicemente la chiesa iniziata poco prima dell'annodi consacrazione e rifatta forse integralmente nella secon-da metà del XII secolo”3.Qualche perplessità ha sempre suscitato inoltre la stranapianta dell'edificio, quadrato e biabsidato. Il Bertaux,

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seguito dal Petrucci e dallo Schettini, suppose pertanto l'e-sistenza originaria di una terza abside abbattuta col latonord. Ne sarebbe venuto uno schema a pianta centrale, affi-ne a quello delle chiese quadriconche armene, come le cat-tedrali di Bagaran e Edmjadsin. A dirimere la questionesono intervenute le ricerche effettuate in occasione deirecenti restauri, da cui sono emersi, accanto a segni diancora incerta e controversa intrepretazione, alcuni dati difatto innegabili quanto insospettabili e inattesi.La insolita forma della costruzione ha scatenato da partedella critica una vera ridda di ipotesi sulla sua genesi, lasua datazione e le trasformazioni subite nel tempo.Ma le indagini condotte in occasione degli ultimi restauri(1974-75)4 hanno permesso di sgombrare il campo dimolte fantasiose supposizioni e di stabilire alcuni puntifermi. La costruzione primitiva, in parte conservata nelletre pareti perimetrali oggi esistenti, aveva forma quadratacon una sola abside rivolta a sud e la facciata, non più esi-stente, in corrispondenza del lato nord. La cripta a sala furicavata non prima del XII secolo, all'interno della chiesain costruzione parzialmente crollata in seguito a un terre-moto. Ne è conseguita la completa cancellazione del siste-ma di coperture originali della chiesa superiore e dei rela-tivi supporti.Nel XII-XIII secolo, dopo nuovi crolli, si elaborò un pro-getto di trasformazione globale, probabilmente sulla scor-ta del modello offerto dalla cattedrale di Troia. Dovette essere allora mutato l'orientamento secondo l'asseest-ovest, progettata e parzialmente costruita l'abside adest, completa di finestrone e di un giro di colonne addossa-te all'esterno, di cui rimangono tuttora le basi di appoggio.Le ghiere delle arcate cieche e i capitelli delle colonneaddossate all'esterno furono adeguati al nuovo gusto che siirradiava dall'abbazia di Pulsano, nel Gargano, e trionfavanel vicino Abruzzo e nella chiesa di S. Leonardo in LamaVolara5.Non sappiamo come si presentasse il primitivo prospettoabbattuto sul lato nord e se il suo schema fosse influenza-to dal nuovo prospetto occidentale. Le affinità strettissime

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riscontrate tra le facciate di S. Maria di Foggia, della catte-drale di Troia nella sua redazione originaria e di S. MariaMaggiore a Monte Sant'Angelo, hanno permesso però diipotizzare che la fonte comune potesse essere proprio l'an-tico prospetto di S. Maria di Siponto, da cui sarebbe statotratto anche il caratteristico tema delle arcate cieche confinestre a losanghe, di remota origine orientale6.La versione duecentesca non fu evidentemente mai conclu-sa e la chiesa dovette rimanere a lungo priva di copertura,mentre alle necessità liturgiche suppliva la cripta, concepi-ta come una vera e propria chiesa con ingresso indipendente.La cupoletta a vela poggiante su pilastri a base quadrata, didimensioni 1.20 m x 1.20 m, e le volte a mezza botte chehanno una freccia massima di 1.64 m, risalgono alla finedel Cinquecento, quando si rinunciò ad attuare il vecchioprogetto di rinnovamento della chiesa e ad essa fu data lasistemazione che oggi conosciamo.

Note:1 Cfr P Belli D'Elia, Puglia Romanica, Jaca Book editoriale, Milano 2003 p.2532 Ivi p.2543 Cfr P. Belli D'Elia (a cura di), Alle sorgenti del romanico Puglia XI Secolo, Dedalo edi-

tore, Bari 1987 p.504 Cfr AA.VV. Restauri in Puglia 1971-1988 II, Schena Editore, Roma 1987 pp.317-3215 Cfr A. Petrucci (a cura di), Cattedrali di Puglia, Bestetti editore, Roma 1976 pp.43-466 Ibidem

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4.2.1 Geometrie spaziali/decorative

CompendioL'osservazione degli aspetti geometrici ed artistici di alcune figure pri-mitive rintracciate nell'analisi della struttura e le caratteristiche dell'ap-parato decorativo rendono Santa Maria di Siponto un esempio uniconel suo genere nonostante la presenza dei segni di passati restauri a dirpoco discutibili.

La decorazione esterna di S. Maria di Siponto si può para-gonare a quella della cattedrale di tipo “pisano” di Troia;mentre invece la ricchezza del suo portale e la sicurezzadelle varie modanature non trovano riscontro in Puglia, senon in monumenti posteriori di circa un secolo. Il Bertaux1, pur affermando che la pianta di S. Maria diSiponto è molto rara in Occidente, dove avrebbe solo qual-che somiglianzà con quella di Germigny-les-Prés, costrui-ta al principio del IX secolo, ritiene che la basilica siponti-na sia posteriore a quella di Troia, iniziata nel 1093. Ma laCattedrale di Troia ha troppo strette somiglianze con lechiese di Pisa, specie con quella di S. Casolano, perché nelBertaux non sorga spontaneo il bisogno di spiegarsene laragione. Va bene - egli dice - che chiese di stile pisano sor-gono fra il 1050 e il 1325 nella Sardegna, che era coloniadi Pisa; ma qual caso potrebbe aver apportato inCapitanata lo stile della città toscana?2

Si possono invocare i rapporti commerciali che Pisa ebbesenza dubbio con un porto quale Siponto; ma l’apparizio-ne della Cattedrale di Troia - egli soggiunge - non si riat-tacca ad alcun fatto conosciuto per documenti, e quest’e-difìcio rimane a lungo, in Puglia, un monumento unico,che gli architetti locali prenderanno a modello solo unsecolo dopo3.Probabilmente il modello era assai più antico, e non sicomprende come il Bertaux, maneggiando gli elementievidentissimi per la ricostruzione cronologica che tanto loappassionava, se li sia lasciati poi sfuggire così facilmente.Se rapporti esistevano fra Pisa e Siponto, perché nondedurne che fu Siponto, posta in faccia all’Oriente, a rice-

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vere per prima gli elementi dello stile detto pisano, e che,dalla costa tali elementi si sarebbero in seguito propagati,arricchendosi, all’interno della regione? E la deduzione èin tanto più logica, in quanto S. Maria di Siponto, presen-ta elementi più arcaici del Duomo di Troia4. Senza dire chei tipi di arcate che distinguono talune chiese pugliesi equelle di Pisa, possono essere stati benissimo importatiparallelamente, come osserva il Lenormant5, dalla comunefonte orientale, dato che in tutti i manoscritti greci del X edXI secolo si vedono miniate arcature simili, ed altre se nevedono dipinte nelle stesse cripte basiliane pugliesi2.D’altronde i rapporti fra Pisa e Siponto, indipendentemen-te dal commercio, sono in abbondanza confermati dal flus-so costante dei pellegrini, che da ogni parte del mondoconosciuto pervenivano, per mare e per terra, al lido sipon-tino, per salire al Santuario famoso di S. MicheleArcangelo.Da ricerche si evince che la chiesa superiore di S. Maria diSiponto fu incominciata nel secolo XI; ma i cronistiaggiungono che ad un certo punto ne fu interrotta la costru-zione, per essere ripresa più tardi, tanto che solo nel 1117,mentre era arcivescovo il benedettino Gregorio, il papaPasquale II potè consacrarla. Nella stessa decorazione esterna di S. Maria di Siponto visono elementi che mostrano di appartenere a due periodidifferenti. Le absidi, per esempio, con quelle lesene intagliate a scac-chiera, che richiamano gl’intagli affini delle fasce margi-nali della cattedra e dei bordi della loggetta nel pulpitocanosino di Acceptus, appartengono ad uno stadio menoprogredito di quello delle decorazioni del portale, speciedell’archivolto. Così pure i leoni stilofori del portale sonotrattati in una maniera più arcaica delle bestie che sosten-gono l'archivolto, e ricordano piuttosto, per la giacitura e lamodellazione, i due leoni della sedia episcopale di MonteS. Angelo, che dovettero forse servire di modello agli scul-tori delle nuove generazioni. Non parliamo dei capitelli, ilcui carattere classico, di tipo corinzio, può trovare unaspiegazione solo nella ricchezza di esempi del genere che

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l'antica e gloriosa città doveva certamente fornire agli arti-sti, ove non si tratti addirittura di materiale antico utilizza-to nella nuova fabbrica.E ciò senza dire delle curiose finestre laterali a losanga, lequali, con la loro asimmetria, anziché rispondere al concet-to organico della costruzione, dovettero essere suggerite inun secondo tempo dal bisogno pratico d’illuminare l’inter-no. Ci conferma in questa idea il tatto che il maestro archi-tettore, spezzato il cordone che correva da capitello a capi-tello, pensò di girarlo sulle punte dei quadrati e sugli archidelle finestre, da lui aperte evidentemente per creare uncerto raccordo tra i vecchi ed i nuovi elementi. Ma soprat-tutto la nostra ipotesi è convalidata dal fatto che la partepiù progredita dell'edificio è costituita, non tanto dal porta-le (che ha ancora motivi di vecchia tradizione, come ladecorazione piatta degli stipiti), quanto dalla ricca esapientissima modanatura delle finestre laterali6.Nonostante il forzato adattamento, specie rispetto allearcatelle laterali con cui lo si dovette allineare, il fastosoportale di S. Maria di Siponto denunzia, più che un gusto,un sentimeto diverso da quello di chi aveva concepito inorigine la chiesa. È probabile, anzi, che uno dei due primiarcivescovi benedettini giunti a Siponto abbia avuto l’idea,ispirandosi ai precetti del suo ordine, di spezzare il rigidocerchio bizantino di quella mole, con l’inserzione di unportale romanico, e cioè sostanzialmente latino, di cui eglistesso avrebbe ordinato la costruzione, chiamandovi alavorare i maggiori artisti della Montagna, ma che forsenon potè vedere finito. Ai lati del portale si allineano seisemicolonnine risaltate, tre da una parte e tre dall’altra,sostituite evidentemente dal valente restauratore alle lese-ne originarie, simili a quelle superstiti dell'abside. Talicolonne sostengono quattro archi a sesto leggermente luna-to, con incorniciatura adorna di palmette, e fra di esse, allalinea d'imposta degli archi, s'incavano due grandi formellequadrate disposte sulle punte. Altre quattro formelle piùpiccole si vedono in basso, con cornici incassate e fondidecorati a motivi floreali e geometrici.Caratteristico è il cordone che corre fra capitello e capitel-

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lo, seguendo finanche l'angolo delle due formelle.Nell’impianto e nella composizione della fabbrica siponti-na vi sono figure geometriche, così come risulta dal rilie-vo, che ritornano e che rappresentano elementi caratteristi-ci di S. Maria di Siponto. Tali caratteri, che vanno dall’a-spetto cubico del complesso ai rombi delle losanghe deco-rative, configurano un aspetto più unico che raro nel pano-rama del romanico pugliese.L’aspetto mistico di alcune figure geometriche sono stateanalizzate dallo studioso R. Guenon, il quale dice:

“ci rimane ancora da parlare della rappresentazione delmondo secondo il simbolismo geometrico, nel quale essapuò essere raffigurata come un passaggio graduale dallasfera al cubo; di fatto, e in primo luogo, la sfera è vera-mente la forma primordiale, in quanto è la meno " specifi-cata " di tutte perché simile a se stessa in tutte le direzio-ni, sicché, in un movimento di rotazione qualsiasi intornoal proprio centro, tutte le sue posizioni successive sonosempre rigorosamente sovrapponibili l'una all'altra[...] D'altra parte il cubo è, al contrario, la forma più "immobile " di tutte, se ci si permette quest'espressione,quella cioè che corrisponde al massimo di " specificazione" ; tale forma è anche quella che viene riferita alla terrafra gli elementi corporei, e ciò in quanto la terra costitui-sce l’elemento conclusivo e finale " della manifestazione intale stato corporeo; di conseguenza la forma cubica corri-sponde altrettanto 'bene alla fine del ciclo di manifestazio-ne, ovvero a ciò cui noi abbiamo dato il nome di "puntod'arresto "del movimento ciclico. Tale forma è perciò inqualche modo quella del "solido" per eccellenza, e simbo-leggia la "stabilità", in quanto quest'ultima implica l'arre-sto di ogni movimento; è del resto evidente che un cuboadagiato su una delle sue facce è di fatto il corpo il cuiequilibrio presenta la stabilità massima”7

I rilievi effettuati confermano anche metricamente gliaspetti mistici delle figure geometriche percepite dall’os-servatore, che ne apprezza il carattere sacro nel rapporto

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tra dettaglio e insieme della costruzione.

Note:1 Cfr E.Bertaux, L’art dans l’Italie Méridionale, Paris 1894 p.1802 Ibidem3 Ibidem4 Cfr A. Petrucci (a cura di), Cattedrali di Puglia, Bestetti editore, Roma 1976 pp.42-445 Cfr L.Lenormant, A travers l’Apulie et la Lucanie. Notes de voyage, Paris, 1982.6Op. Cit.7 R. Guenon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Edizioni Adelphi, Milano,

1982 pp.135-136.

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4.2.2 La forma delle eccezioni: le absidi

CompendioL’incremento del "blocco primitivo" e lo sviluppo di "eccezioni",ovvero la costruzione delle due (forse tre) absidi, mostra la conoscen-za di un linguaggio diffuso in Puglia e la capacità di interpretazione daparte di architetti e maestri, aperti alle influenze esterne ma nel con-tempo forti di una cultura propria.

Analizzando, dopo un accurato rilievo, le due facciate ori-ginarie della chiesa si evince che quella a mezzogiorno èmeglio conservata: al centro di essa sporge una piccola absi-de, larga 5.27 m e con un’altezza fino alla gronda pari a6.32 m, con tre archi ciechi su pilastri intagliati a scacchie-ra, che in origine dovevano essere probabilmente riempitientro i vuoti, di paste varie (vetro, stucco,e specialmentetartaruga, di particolare uso locale) o di quadratini dimarmi colorati. La cornice dell'abside conserva, con il girodei dentelli, una traccia di profilatura dal curato disegno.Anche qui si vedono quattro formelle quadrangolari postesulle punte (losanga), una in alto e tre in basso, mentre nelcampo dell'ultimo arco si apre una finestra riccamentedecorata, non meno bella dell'altra, ornata di intreccio, acui corrisponde, per età e per fattura, in altro punto dellafabbrica. Nella stessa decorazione esterna di Santa Mariadi Siponto vi sono elementi che mostrano di appartenere adue periodi differenti. Le absidi, per esempio, con quellelesene intagliate a scacchiera, che richiamano gli intagliaffini delle fasce marginali della cattedra e dei bordi dellaloggetta nel pulpito canosino di Acceptus, appartengonoad uno stadio meno progredito di quello delle decorazionidel portale, specie dell'archivolto1.Per tentare una pur ipotetica ricostruzione della complessavicenda costruttiva, la prima e più evidente trasformazioneriguarda: l’aggiunta del portale e quindi del protiro databi-le, per motivi stilistici, sulla fine del’200; la decorazionedell’abside sud, con paraste e arcate cieche, chiaramenteammorsate alla parete preesistente; la decorazione dellearcate cieche esterne, ottenuta sostituendo o riscalpellando

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sia le cornici che i capitelli, che in origine dovevano avereun aspetto affine a quello dei capitelli dell'interno, a sem-plici fogliami lisci facilmente trasformabili con un finelavoro di intaglio2. Solo tre capitelli dell’esterno, due deiquali seminascosti dietro l’elemento cilindrico che oggifunge da sagrestia, ma che forse in passato era parte di unatorre di avvistamento come si evince dal testo del De Troia 3,conservano, l’aspetto primitivo, affine a quello dei capitel-li interni. La chiesa primitiva avrebbe avuto un andamentonord-sud, dettato probabilmente da necessità contingenti eda relazioni con altre fabbriche circostanti. L'abside, chefronteggia il portale occidentale, si rivela, ad un attentorilievo, frutto di una più tarda trasformazione dell'edifìcio,databile probabilmente a fine Duecento e che doveva pre-vedere, almeno allo stato di progetto, una sopraelevazionedell'intero complesso. A due terzi della sua altezza è infat-ti evidente, all'esterno come all'interno, un taglio corri-spondente ad un finestrone, che se fosse stato interamenterealizzato, avrebbe richiesto un'abside alta almeno il dop-pio di quella attuale. Alla stessa fase appartengono anchedue salienti inseriti all'esterno tra la parete orientale e l'at-tacco della curva absidale e due semicolonne troncate, che,sempre sullo stesso lato, salgono ben oltre la linea dellearcate cieche. E' probabile che il muro est sia parzialmen-te crollato nel terremoto del 1223. Nella ricostruzione chene seguì, si dovette immaginare una nuova redazione dellachiesa con abside a oriente, decorata, forse sul modellodella cattedrale di Troia, da colonne poggianti su un altostilobate e finestrone absidale fiancheggiato da scultureraffiguranti animali, di cui rimangono tuttora visibili i tron-coni mozzati. Il progetto non dovette essere mai condottoa termine per ovvie difficoltà tecniche o perché la naturasismica del terreno lo sconsigliava4.Osservando sempre dall’esterno, l’abside sud, si riconosceuna copertura con chianche, tipico modo pugliese di crea-re coperture, molto legato alla costruzione dei trulli, comeevidenziato dallo stesso Bertaux. Si nota che è indubbia lasuggestione dei trulli, sia nella loro entità singolare, sia nelloro aggruppamento per formare appartamenti di molti

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vani; ma costruttivamente, si è esaminato che, il tipo inesame è nettamente basato sui principi delle volte e degliarchi pur traendo dalla pratica costruttiva dei trulli richia-mo di gusto plastico, abitudine nel trattare la pietra e inter-ferenza di metodi costruttivi. E' evidente del resto che lacoesistenza dei due sistemi non può non aver portato areciproche influenze ed anche a strutture, o addirittura adedifici, di carattere ibrido5.Sempre legati alle soluzioni bizantine di chiese a piantacentrale, si trovano esempi in Puglia, che ne rappresentanouna interpretazione più armoniosa, come il tipo lobato aquattro absidi in Santa Caterina di Conversano, che puòessere vista come la materializzazione della volontà del“progettista” della basilica di Santa Maria Maggiore diSiponto di ricordare una soluzione forse progettata ma mairealizzata.

Note:1 Cfr A. Petrucci (a cura di), Cattedrali di Puglia, Bestetti editore, Roma 1976 pp.41-472 Ibidem3 Cfr G. De Troia, Dalla distruzione di Siponto alla fortificazione di Manfredonia,

Schena Editore, Fasano 1985 pp.103-1094 Op.Cit.5 Cfr P. Belli D'Elia (a cura di), Alle sorgenti del romanico Puglia XI Secolo, Dedalo edi-

tore, Bari 1987 pp. 47-52

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4.2.3 Una applicazione singolare: l’impianto quadrato

CompendioLa basilica di S. Maria, edificio a pianta quadrata, rappresenta unaapplicazione singolare della tipologia di chiese a cupole in asse affian-cate da mezze botti, in cui la volta a mezza botte segue il perimetrodella fabbrica e la cupola, oggi, è sostituita da una volta a vela lunet-tata.

La basilica di S. Maria Maggiore in Siponto, a pianta cen-trale, con interessante cripta, ha il corpo centrale costituitoda quattro archi a sesto acuto, i quali presentano una frec-cia di 3.72 m ed una luce pari a 6.71 m e collegano quattropilastri sui quali si scarica il peso della volta a vela lunet-tata, ed inoltre una volta rampante tutto intorno crea unaspecie di navatella continua sui quattro lati che contrasta laspinta della vela1.Dal rilievo diretto effettuato risulta che la base del quadra-to misurato internamente ha lato 14.61 m mentre l’altezzamassima è pari a 14.38 m, rilevata in corrispondenza del-l’intradosso della lanterna con l’ausilio di un distanziome-tro laser.Dal punto di vista costruttivo si ha l’applicazione in piantacentrale del tipo in esame: questa considerazione, che è dicarattere tecnico, è indiscutibile poiché la copertura siregge in base a tale genere di equilibrio di forze e di masse,per quanto turbato dalla lunetattura della vela2.Dal punto di vista storico la questione è più complessa, perintervenute, ma non storicamente definite, modificazioni. E’ da osservare che è assai improbabile che un così origi-nale sistema statico sia stato attuato da altri costruttori adistanza di tempo e ad azione interrotta: ripetizioni delgenere sono avvenute solo alla fine del secolo scorso el’impianto della costruzione non è certo del XIX secolo2.La vela, impostata su di un “quadrato” 7.51 m x 7.57 m,attualmente si presenta in modo assai strano poiché lelunettature, giungono sino ad una lanterna dal quale entraquasi tutta la luce della chiesa: ma, prescindendo da ogniconsiderazione storica, la sua natura di vela è certa. Infatti

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i quattro peducci non potevano sorreggere che una volta acrociera od una volta a vela affiancata da quattro archi,secondo una disposizione consolidata.Attualmente non vi è la crociera: può rimanere il dubbioche lo sia stata in origine e che poi tutta la volta sia stataricostruita a vela in un periodo successivo, quando furonoinseriti gli archi acuti. A tale ipotesi s’oppongono conside-razioni statiche perché anche all'epoca della prima costru-zione della chiesa le vele avevano soppiantato le crociere,e nell'epoca degli archi acuti era normale solo l'uso dellacrociera, e si sarebbe casomai sostituita una crociera aduna vela, e non una vela ad una crociera3.Dalle precedenti considerazioni sembra che emerga nettala convinzione che la chiesa di S. Maria di Siponto costi-tuisca un adattamento del sistema in esame alla pianta cen-trale, forse imposto dalla preesistenza dei muri d'ambito,dimostrata e ritenuta certa dall’Avena4; e tale dipendenzada un preesistente impianto centrale troverebbe riferimen-to nel gusto, diciamo così, bizantino, dei quattro peducci sucolonnine d’angolo, che non appare in nessun altra chiesadel tipo in esame. Gli archi acuti, in tale ipotesi, non sareb-bero che un semplice rinforzo aggiunto sotto originariarchi a tutto sesto; e le lunettature, come pure il raccordoinserito al sommo delle volte a mezza botte, sarebberoopere assai recenti di restauro. Pur non addentrandosi inconsiderazioni strutturali, come sopra si è fatto, il Bertauxnell’ipotesi di un rifacimento delle volte, in epoca baroccao posteriore, secondo la disposizione antica, ritiene che “ilfaut supposer que l'architecte de cet édifìce avait adapté àun plan carré fort ancien les sistèmes de constructionemployés dans les églises apuliennes dont la nef de basili-que était surmontée de trois cupoles, tandis que les bascòtés étaient couvertcs de voùtes demi-berceau”5.Rimane aperto il problema delle origini dell’anomala pla-nimetria, che secondo alcuni sarebbe da ricollegare a fontiorientali, armene o dell'Asia Minore, la cui conoscenzapoteva essere facilitata dalla presenza bizantina; mentresecondo un'altra tesi (Cagiano, 1967) la chiesa di S. Mariaavrebbe ereditato la sua forma dal battistero collegato alla

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basilica paleocristiana, sull'area del quale sarebbe stataeretta la cattedrale. Gli ultimi studi propongono di ricono-scere nella chiesa attuale il frutto di un tardivo rimaneggia-mento del battistero, citato nelle fonti, come chiesa di S.Giovanni Battista, che Leone si sarebbe limitato a restau-rare. In questa nuova ottica, che vedrebbe la basilica paleocri-stiana rimaneggiata e restaurata nell'XI secolo, riconsacra-ta nel 1117 e abbandonata solo dopo il terremoto del 1223,la “S. Maria quadrata”6 sarebbe da identificare con unacappella dedicata, secondo alcune fonti, a S. Nicola, sortatra fine XI e metà XII sull'impianto dell'antico battistero.Rapporti diretti la Puglia ne ha avuti con l’Oriente, ImperoBizantino, e con l’Occidente, mercenari e conquistatorinormanni. Analoghe alle soluzioni bizantine le chiese apianta centrale, e legate con esse le varie impostazioniattuali, infatti nelle Puglie si trovano esempi diverse tipo-logie di coperture con predominio della cupola usati inOriente e in Occidente attorno al X-XII secolo, come iltipo lobato a quattro absidi in Santa Caterina diConversano.Facendo riferimento a tutte le precedenti considerazioni, sudue elementi, evidenti e certi, è bene fissare l’attenzione: laparentela della copertura in esame con le coperture a cupo-la delle altre soluzioni costruttive, e l'inattitudine del tipoin esame a coprire grandi ambienti, inattitudine assai mino-re però di quella delle altre soluzioni a cupola, diciamocosi, più bizantine, attuate in Puglia7. Da questi due ele-menti, e dalle mutazioni demografiche ed economichedipendenti dall’evolversi dello stato politico, si ha comeeffetto lo sviluppo di chiese di modeste dimensioni coper-te a cupola accanto alle cattedrali dei grossi centri urbani.Infatti, nel periodo di inurbamento delle popolazioni, traX-XIII secolo, si ha la necessità ulteriori strutture religio-se, per cui sorge e si sviluppa, accanto alle cattedrali concopertura lignea, il tipo a tre navate a cupola, con adatta-menti della tipologia studiati caso per caso, come testimo-nia la chiesa sipontina.Era naturale che esso trovasse motivi di preferenza nei

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pregi di sicurezza e di estetica che sono propri delle costru-zioni a volta; e particolarmente fosse attuato o mantenutoda comunità religiose, per le quali nella chiesa più chel'ampiezza era importante la solidità e l’armonia estetica.Ma era anche naturale che esso non potesse gareggiare, perragioni tecniche ed economiche, con il sistema con coper-tura lignea, sia per le grandi costruzioni, sia per le chieseparrocchiali costruite entro le mura delle città dai profughidelle campagne. E così pure, in seguito, era nello sponta-neo evolversi della tecnica che esso dovesse sparire difronte ai sistemi nervati e costolonati delle crociere,costruttivamente più semplici e più facilmente calcolabili.Possiamo cosi vedere nelle chiese coperte con una serie dicupole, e con semibotti laterali, l'estremo prodotto, dipiena eleganza costruttiva, della lunga ininterrotta tradizio-ne che, movendo dalle prime esperienze preromane eromane, ha considerato la copertura a cupola come il piùumano equilibrio spaziale8.

Note:1 Cfr M. Berucci, Il tipo di chiese coperte a cupola affiancate da volte a

mezza botte, in Atti del IX Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura

(Bari 10-16 ottobre 1955), Roma 1959, pp.103-1042 Ivi pp.105-1063 Ibidem4 Cfr A.Avena, I monumenti dell’Italia meridionale, Roma 19025 Cfr E.Bertaux, L’art dans l’Italie Méridionale, Paris 1894 p.1056 Cfr A. Petrucci (a cura di), Cattedrali di Puglia, Bestetti editore, Roma 1976 p.467 Op.Cit.8 Op.Cit.

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4.2.4 Il parco archeologico di Santa Maria di Siponto

CompendioLa chiesa di Santa Maria di Siponto deve essere studiata non solocome fabbrica rappresentativa di un codice architettonico quale è ilromanico in Puglia, ma anche come testimonianza sopravvissuta diuna struttura urbana più complessa, distrutta da ripetuti terremoti eoggi racchiuso nel parco archeologico di Siponto.

La basilica romanica di S. Maria Maggiore si colloca in unsignificativo contesto della città romana e medievale diSiponto, sfruttando come si è detto l’impianto dell’anticobattistero, all'intemo del circuito murario della coloniaromana, non lontano dall'attraversamento del decumanusmaximus1.Nell'area affioravano anticamente alcune delle numerosesorgenti d'acqua che caratterizzavano il rialzo tufaceooccupato dall'insediamento e che, probabilmente, contri-buirono a motivare la scelta dei luoghi quando, nel 194a.C. e poi nel 185 a.C, fu fondata la colonia di diritto roma-no di Sipontum2.L'abbandono della città, causato dall'impaludamento dellalaguna e da forti eventi sismici, coincise con il trasferimen-to degli abitanti nella nuova Siponto, Manfredonia, fonda-ta da Manfredi nel 1263. Proprio l'area circostante la basi-lica di S. Maria Maggiore, con resti architettonici sparsi,insieme alla chiesa nella quale rimase sempre vivo il culto,e ai poco distanti ipogei Capparelli, ha conservato neisecoli, come è attestato sin dal Cinquecento, la memoriadella antica città scomparsa.La scoperta, avvenuta casualmente nel 1872, di un altopilastrino con la dedica a Diana di un tempio e di un'ara daparte di Titus Tremelius Antiochus, da quella data alimen-tò la convinzione dell'esistenza presso la chiesa romanicadel luogo di culto della dea. Solo i primi scavi sistematicieffettuati negli anni Trenta del Novecento consentirono diaccertare che il contesto di ritrovamento del pilastrino erain realtà una cisterna al cui interno esso era stato reimpie-gato e di portare alla luce, in luogo del ricercato tempio

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pagano, la basilica paleocristiana della quale si riconobbe-ro la planimetria e le pavimentazioni musive3.Il complesso intreccio di strutture antiche, nonché il ripie-go di materiale lapideo continuato anche dopo l'abbandonodella città, che divenne una cava per la costruzione diManfredonia, l'assenza di un metodo di indagine stratigra-fica, sia negli scavi degli anni Trenta sia in quelli degli anniCinquanta, per lungo tempo hanno costretto ad una letturadell'area piuttosto superficiale privilegiando quella che - difatto - è la sua maggiore emergenza superstite, cioè la basi-lica tardoantica.Campagne di scavo sistematico sono state condotte in que-st'area (1988, 1989,1992), oltre che per cogliere altri pos-sibili elementi sulla basilica anche per comprendere il suorapporto con le stratigrafie più antiche. All'età della colo-nia si riferiscono alcuni muri privi di orientamento unifor-me impostati direttamente sulla roccia, realizzati a secco,individuati nell'area retrostante l'abside della basilica tar-doantica insieme a due basi di pietra. Ad una fase succes-siva. la cui cronologia non è puntualmente definibile,appartengono altri muri provvisti però di un orientamentoomogeneo ripreso dagli impianti della tarda repubblica-prima età imperiale. Fra questi ultimi, costruiti in operareticolata. (che coincidono con una significativa fase edili-zia della città: anfiteatro. Mascherone, impianti termali) aiquali è coevo un lacerto musivo con motivo a crocette inbianco e nero. è ben identificabile un'importante operacanalizzazione scavata nella roccia con le spalle rinforzatein alcuni tratti con muri in opera reticolata. La successivasistemazione di una sorgente - a pianta quadrata (m 13 perlato) costruita in blocchi di calcare squadrati con una cana-letta perimetrale ed un pozzo centrale - obliterò in partel'impianto con un consistente riempimento di materialeanforaceo4.La basilica tardoantica ha rappresentato un momento privi-legiato delle esplorazioni più recenti, offrendo l'occasionedi un approfondimento particolare, verificando la sua ori-ginaria planimetria della quale a lungo si erano ipotizzatedue fasi costruttive, la prima mononavata, la seconda a tre

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navate5. In realtà questo tipo di impianto avrebbe caratte-rizzato l'edifìcio sin dalla sua costruzione (fine IV-inizi Vd.C.) con modifiche avvenute successivamente (V d.C.)consistenti nel rivestimento pavimentale (al mosaico bian-co e nero si sostituisce il mosaico policromo) e nel rialza-mento del presbiterio.Anche il nartece era pavimentato a mosaico, probabilmen-te bianco, privo di decorazioni. Con il disuso della chiesapaleocristiana l'area fu destinata a necropoli con un'ampiaspecchiatura tipologica di tombe6.

Note:1 Oggi S.S. 89.2 Cfr M. Mazzei (a cura di), Siponto antica, Claudio Grenzi editore, Foggia-Roma 19993 Cfr M. Mazzei (a cura di), La chiesa di S. Maria di Siponto: interventi di conoscenza

dell’area archeologica, in C. Gelao, G. Jacobitti (a cura di), Castelli e cattedrali di

Puglia, Mario Adda editore, Bari 1999 pp. 387-3884 Ibidem5 Cfr M. Fabbri, La basilica paleocristiana di Siponto: nuove acquisizioni, ivi, 31 (1994),

pp. 189-1966 Op. Cit.

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VA LO SVILUPPO MORFOLOGICO TRA COSMOLOGIA E LOGICA COSTRUTTIVA LO SVILUPPO MORFOLOGICO TRA COSMO

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MOLOGIA E LOGICA COSTRUTTIVA LO SVILUPPO MORFOLOGICO TRA COSMOLOGIA E LOGICA COSTRUTTIVA LO SVILUCAPITOLO V

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CAPITOLO V: LO SVILUPPO MORFOLOGICO TRACOSMOLOGIA E LOGICA COSTRUTTIVA

5.1 Gli gnomoni nelle cattedrali europee: segno cosmolo-gico del rapporto artificio/natura e uomo/Dio.

CompendioL’analisi dello gnomone visto sia come strumento astronomico checome oggetto ponte tra l'uomo a Dio. Elemento presente non solo inPuglia ma in tutta l'Europa: similarità e differenze.

La presenza all’interno delle strutture religiose, di elemen-ti “eccezionali”, come può essere un foro gnomonico omeridiana a camera oscura, evidenziano la volontà da partedell’uomo di instaurare un legame più evidente con unentità superiore, o con una sua creazione qual è il sistemasolare.In realtà vi sono anche altre motivazioni più facilmentecomprensibili come:*l'esigenza della Chiesa Cattolica di controllare i moticelesti, per garantirsi della correttezza del calendario ai finidella data di Pasqua. Infatti, il Concilio di Nicea, nel 325d.C., stabilì che tutte le chiese avrebbero celebrato laPasqua la domenica che segue il plenilunio successivoall'equinozio di primavera;* la necessità di dare agli astronomi adeguati osservatoriper le loro ricerche;* l'opportunità di dare alle popolazioni delle città evolute ilsegnale delle ore 12, necessario per regolare gli ormai dif-fusi orologi meccanici1.Oltre all’abbazia di San Leonadro di Siponto, altri edifici acarattere religioso ospitano artifici simile a quello dellachiesa sipontina.La prima in ordine cronologico è rappresentata dalla catte-drale di Chartres, che da circa novecento anni ospita unforo nel grande lastrone posto nell’ala ovest del transettosud2.Nessuno sa perché sia lì, nessuno sa quale sia la sua fun-zione.

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Ma a mezzogiorno del solstizio d'estate viene illuminato daun raggio di sole che filtra attraverso il vetro trasparentedella finestra a pannelli decorati colorati di Sant'Apollinare(oggi, con gli spostamenti astronomici ciclici e con l'oralegale ciò accade verso le 14). La pianta della Cattedrale inoltre è stata concepita su pre-cise regole matematiche derivanti dalla regola del NumeroAureo (1,618): le distanze tra le varie istallazioni interne(colonne, transetti, il coro, ma anche della navata stessa)sono tutte multiplo del Numero Aureo. Ma cosa c'era nelle intenzioni dell'architetto, del vetraio,del tagliapietre e dell'astronomo? Possiamo fare soltantodelle congetture, nulla più, e anche piuttosto banali: uncalendario astrale per segnare ogni l'inizio dell'estate?Parrebbe la soluzione più plausibile. Ma in un contestocome quello della Cattedrale di Chartres nulla è immedia-to, chiaro e scontato. In base agli elementi conosciuti bisogna accontentarsi diquesta interpretazione, non essendoci altri elementi cheaiutino a scoprire la realtà diversa.A mezzogiorno in punto del 21 giugno, un raggio di solefiltra da un piccolo buco, stranamente rimasto senza pittu-ra, di una vetrata, detta di Saint-Apollinaìre, nella navatalaterale ovest della Cattedrale e va a colpire una pietra piùbianca delle altre, posta di sbieco nelle lastre che compon-gono la pavimentazione, proprio su un pezzo di metalloche qualcuno quasi mille anni fa ha fissato, forando la stes-sa pietra3.Non bisogna dimenticare che Chartres è stata costruita sudi un poggio dove la tradizione dice che prima i Celti e poii Galli si recassero in una grotta per venerare una Vergine.Il luogo era scelto proprio in quel determinato sito dellacampagna perché si riteneva che fosse il punto d'incontrodi correnti terrestri telluriche4.Comunque Solstizio d'estate e raggio di luce sono elemen-ti strettamente connessi tra di loro e creati ad arte da “qual-cuno” che voleva che proprio da quel giorno gli uominicominciassero i loro pellegrinaggi a Chartres perché pro-prio in questo periodo dell'anno, secondo gli antichi, ini-

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ziarono le grandi pulsazioni della terrestri.Spostandosi dalla Francia in Italia, un caso emblematico dasegnalare è lo gnomone del Toscanelli presente in SantaMaria del Fiore a Firenze.La cattedrale di Santa Maria del Fiore fu fondata nel 1296al posto della basilica paleocristiana di Santa Reparata. Lacostruzione prese avvio dalla facciata, probabilmente suprogetto dell'architetto fiorentino Arnolfo di Cambio, e siprotrasse per circa due secoli (ma la facciata verrà comple-tata solo alla fine dell'Ottocento). Da sempre consideratatempio dell'arte, oltre che luogo di culto, la Cattedrale con-serva anche importanti testimonianze che rimandano almondo della scienza5.Al 1475 risale la realizzazione, da parte del matematicoPaolo dal Pozzo Toscanelli, di uno gnomone, il più altomai realizzato in una chiesa, un orologio solare costituitodalla sola linea meridiana, praticando un foro gnomoniconella cupola a 86 metri dal suolo; è la meridiana a cameraoscura più grande del mondo.Esso consente di controllare il momento del passaggio delSole al solstizio d'estate. Alla base della lanterna dellacupola è collocata una tavoletta di bronzo, detta bronzina,che reca il foro gnomonico. Nel periodo tra maggio eluglio, i raggi solari, filtrando attraverso questo foro, dannoluogo a un'immagine del Sole, circa 90 metri più in basso,sul pavimento della Cappella della Croce, dove si trovanoi segni solstiziali rinascimentali e la linea meridiana instal-lata nel 1755 dal gesuita Leonardo Ximenes.Dal punto di vista architettonico la costruzione dellaCupola di Santa Maria del Fiore rappresenta una tappa fon-damentale per l’inizio del Rinascimento, cioè la riscopertadei modelli costruttivi dell'età classica e la contemporaneamutazione dell'organizzazione del cantiere che vide laseparazione fra i ruoli del progettista e del costruttore, cheè tuttora adottata.La struttura della cupola è davvero imponente. L'imposta,che si eleva 35,50 metri sopra il tamburo, è a circa 54 metrida terra. La distanza tra due spigoli opposti dell'ottagono dibase è di circa 35 metri. L'altezza della lanterna che la

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sovrasta, palla in rame compresa, è di poco superiore ai 22metri. La vela interna della cupola evidenzia una curvatu-ra a sesto di quinto acuto (cioè una curva, il cui raggio è i4/5 del diametro di base), mentre la cupola esterna presen-ta un'inclinazione a sesto di quarto acuto. Si calcola che perla costruzione siano stati impiegati oltre quattro milioni dimattoni. È la cupola più grande mai costruita senza l'impie-go di centine per sostenere la muratura. Altro esempio, del genere analizzato, è rappresentato dallachiesa di San Petronio di Bologna. Come espressione del-l'autorità comunale, il Senato di Bologna deliberò nel 1388la costruzione di una nuova grande chiesa dedicata alpatrono della città, San Petronio6.Iniziata nel 1390, su progetto di Antonio di Vincenzo, labasilica, tardo esempio del gotico italiano, venne termina-ta nel 1659, pur non essendo ancora del tutto compiuta lafacciata.Per lungo tempo San Petronio fu anche la chiesa delloStudio universitario, che dal Cinquecento all'Ottocentoebbe sede nell'adiacente Archiginnasio, scandendo i tempidelle lezioni con il suono di una sua campana, detta “lascolara”.Nel 1576 venne chiamato a Bologna per l'insegnamento diMatematica e Astronomia il domenicano Egnazio Danti,cosmografo di Cosimo I dei Medici. Danti faceva partedella Commissione insediata da Gregorio XIII per la pre-parazione del nuovo calendario, quello cosiddetto grego-riano, che venne poi promulgato nel 1582 e che è lo stessoche noi ora utilizziamo.Lo studio delle variazioni del movimento apparente delSole nel corso dell'anno e la determinazione degli istantidegli equinozi e dei solstizi erano tra le osservazioni astro-nomiche più importanti proprio ai fini della definizione delnuovo calendario.Già a Firenze, in Santa Maria Novella, Danti aveva proget-tato uno strumento astronomico assolutamente nuovo permigliorare l'osservazione del moto solare: una linea meri-diana.La macchia di luce prodotta sul pavimento di una grande

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chiesa dai raggi solari, ammessi nella sua penombra da unforo di limitate dimensioni, consentivano di definire laposizione dell'astro e le variazioni del suo moto moltomeglio dell'ombra prodotta sul terreno dai grandi gnomoniusati sin dall'antichità.Appena giunto a Bologna, Egnazio Danti realizzò unameridiana all'interno di San Petronio, con la quale verificòproprio la datazione dell'equinozio di primavera.È importante ricordare che a quei tempi - nonostante fossegià stato pubblicato da oltre trent'anni il De RevolutionibusOrbium Coelestium di Copernico, che illustrava il nuovosistema eliocentrico - si credeva ancora che la Terra si tro-vasse al centro del Creato e quindi, secondo l'accreditatosistema aristotelico, il moto solare era ritenuto reale e nonapparente7.Neanche un secolo dopo la costruzione della meridiana diEgnazio Danti, a causa dei lavori di ampliamento dellabasilica, si progettò di demolire il muro di fondo dellanavata di sinistra, sulla cui sommità aveva sede l’”occhio”della meridiana di Danti: lo strumento cinquecentescosarebbe quindi andato distrutto.Nel 1655 la Fabbriceria di San Petronio decise di affidareil progetto di una nuova linea meridiana al dottor GianDomenico Cassini.Cassini insegnava Astronomia a Bologna già da alcunianni e si era segnalato per l'accuratezza mostrata nelleosservazioni astronomiche, tra le quali quelle della cometadel 1652, che egli dimostrò trovarsi molto al di sopra del-l'orbita della Luna, contrariamente alle correnti idee aristo-teliche, che ritenevano le comete esalazioni dell'atmosferaterrestre e non corpi celesti.Contro le proposte di sostituire la linea meridiana di Danticon una più corta e decisamente meno utile alle osserva-zioni astronomiche, Cassini presentò un audace progetto:sfruttando abilmente il percorso tra le colonne della nava-ta gotica, propose di aumentare di un terzo l'altezza dellognomone di Danti e di renderlo due volte e mezzo piùlungo, in modo da poter compiere osservazioni ancora piùaccurate.

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Per terminare la sua opera dovette però superare notevolidifficoltà economiche, logistiche, tecniche ed anche acca-demiche.Le navate della grande basilica, che era stata volutamentecostruita in modo da affacciarsi sulla piazza comunale, nonpresentavano un orientamento nella direzione nord-sud. Ladifficoltà tecnica maggiore, quindi, era proprio quella diriuscire ad evitare che il percorso dei raggi solari venisseinterrotto dalle colonne, riuscendo ad utilizzare il più pos-sibile le grandi dimensioni dell'edificio.Dopo accurate osservazioni del percorso del Sole, il forognomonico venne collocato nella quarta volta della navatasinistra, ad una altezza pari a 1000 once del piede regio diParigi (27,07 metri) e il giorno del solstizio d'estate del1655 si pose la prima pietra della linea meridiana. La lun-ghezza al suolo della linea dal punto verticale al foro gno-monico, come previsto da Cassini, risultò pari alla seicen-tomillesima parte della circonferenza terrestre (66,8 metri).La grande fama raggiunta da Cassini con questo strumen-to "per misurare il Sole", da lui stesso chiamato "eliome-tro", e con altre importanti osservazioni astronomiche, fecesì che fosse chiamato a Parigi da Luigi XIV per contribui-re alla realizzazione dell'Observatoire Royal.Cassini ritornò poi a Bologna nel 1695 per verificare lalinea meridiana, insieme al figlio Jacques e a DomenicoGuglielmini: gli strumenti utilizzati allo scopo (che sivedono nell'immagine a fianco) sono ancora conservati nelMuseo della basilica. La determinazione allora effettuatadell'epoca dell'equinozio di primavera dissipò i dubbi rela-tivi all'opportunità di omettere il bisestile nell'anno 1700,come previsto dalla riforma gregoriana.Lo scopo dichiarato da Cassini per poter realizzare unalinea meridiana lunga ben 67 metri (la più lunga al mondo)era quello di determinare con la massima accuratezza lalunghezza dell'anno tropico, mediante la misura del tempotrascorso tra due passaggi successivi del Sole all'equinoziodi primavera, onde poter verificare la correttezza dellariforma gregoriana del calendario.Ben altro, però, era lo scopo di Cassini, come si può capi-

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re dall'utilizzo che egli fece del grande strumento.A meno di 20 anni dal processo a Galileo non era faciledichiarare apertamente di voler realizzare uno strumentoche risolvesse la controversia tra coloro che ritenevano ilmoto del Sole circolare e uniforme intorno ad una Terraimmobile e coloro che ritenevano, invece, che la Terra ruo-tasse intorno al Sole e che il moto del Sole fosse solo appa-rente.Il Sole sembra muoversi in cielo più lentamente d'estateche d'inverno ed era noto già a quei tempi che proprio d'e-state esso si trova alla massima distanza dalla Terra. E'appunto questo grande allontanamento che secondo gliantichi faceva apparire il suo moto più lento.Ultimo esempio, analizzato, è rappresentato dalla dallabasilica di Santa Maria degli Angeli a Roma8.Da quasi tre secoli sul pavimento della basilica, una gran-de meridiana segna il passare del tempo e lo svolgersi dellevicende umane. Ma da molti anni questo monumento dellascienza e dell'arte è caduto nell'oblio quasi completo, tra-scurato e negletto anche dai più attenti visitatori della basi-lica; solo qualche sparuto frettoloso turista di tanto in tantosi sofferma incuriosito a interrogarsi sugli splendidi dise-gni dei segni zodiacali, cercando di capire il significato ditutti quei numeri allineati tra di essi e lo scopo di quell'o-pera che misteriosamente attraversa in diagonale tutta labasilica.Nel '700 il Papa Clemente XI fece costruire dal Bianchinila bellissima meridiana di Santa Maria degli Angeli aRoma, realizzata nel 1702. Bianchini scelse l'assetto chegli aveva dato Michelangelo nel 1566 e prese come model-lo la meridiana di San Petronio del Cassini a Bologna. Lameridiana fu quindi inaugurata il 6 ottobre 1702. Ma acausa del rimaneggiamento effettuato nel 1749 dalVanvitelli, l'impianto perse un po' del suo carattere diosservatorio astronomico; una recente lapide segnala chela meridiana è servita da orologio fino al 1846 quando fusostituita dal cannone del Gianicolo9.L'impianto è una meridiana doppia, costituita da due gno-moni, uno boreale e l'altro australe. Quello australe com-

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prende un foro sulla parete Sud, dal quale penetra un rag-gio del Sole quando questi passa al meridiano superiore. Ilforo gnomonico è situato a 20.30 metri d'altezza; le dimen-sioni dell'ellisse variano da 22 a 110 cm a seconda delladeclinazione del sole; la precisione della lettura all'istantedel transito dipende dalla nitidezza della macchia e dallavelocità con la quale si sposta, che si aggira intorno a unpaio di secondi. La linea meridiana è materializzata da unastriscia di ottone al centro della quale è incisa una sottileriga che individua la meridiana vera e propria; la lunghez-za di questa meridiana è di 44 m di cui 38 sono utilizzabi-li. Dallo gnomone boreale si poteva osservare la StellaPolare, ma con il restauro vanvitelliano il foro è stato eli-minato. Naturalmente, quanto più alto era il foro gnomoni-co tanto maggiore era la precisione delle osservazioni equasi tutte le grandi meridiane furono installate nelle chie-se perché all'epoca queste erano gli unici edifici in grado diospitare impianti del genere. Lungo i lati della meridianatroviamo dei riquadri nei quali vengono raffigurate lecostellazioni, in corrispondenza dei punti di una tangentein cui la macchia solare transita quando il Sole entra nelrispettivo segno zodiacale.Vi sono altri esempi purtroppo poco documentati come lachiesa si S. Sulpice a Parigi e la cattedrale di Palermo chepresentano un foro gnomonico.Nel 1727 la chiesa di S. Sulpice, a Parigi, era stata munitadi una meridiana a camera oscura con foro gnomonico di26 metri, opera di Enrico Sully.L'astronomo Giuseppe Piazzi porta a compimento nel1801, nella cattedrale di Palermo, una meridiana il cui forognomonico è alto 11,78 metri.Questa breve rassegna sul binomio chiesa-gnomone è ser-vita a dimostrare che San Leonardo di Siponto, non è l’u-nico caso in cui in un edificio a carattere religioso si prestaa laboratorio scientifico, legando forse sacro e profano, maè probabilmente il caso più emblematico.

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Note:1 Cfr www.meridiane.it2 Cfr www.garganonline.it3 Ibidem4 Ibidem5 Cfr www.santamariadelfiore.it6 Cfr A.Tavolaro, Astronomia e architettura di Castel del Monte, in Castellum n.18, II

semestre, Istituto italiano dei castelli, Roma 1973 pp. 43-877 Ibidem8 Ibidem9 Ibidem

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5.2 Il portale romanico come luogo/simbolo di giustizia

CompendioVi possono essere in un opera di architettura complessa, qual’è un“oggetto romanico”, elementi di particolare significato non solo per gliaspetti più propriamente architettonici ma per ciò che rappresentanoanche rispetto ad altre discipline. Questo è il caso dei portali romanici,attraenti non solo per la fastosità e per la ricchezza delle decorazioni,ma anche perchè essi rappresentano la sede fisica della giustizia siaumana che divina.

Durante tutto il medioevo è possibile rilevare la consuetu-dine di amministrare la giustizia terrena ed ecclesiasticapresso i portali delle chiese. A Strasburgo, nel XIII secolo,il Consiglio della città installò il tribunale davanti al porta-le meridionale della cattedrale, sotto la statua del re e giu-dice Salomone dell'Antico Testamento (Ill. 1). Un edittodel 1200 ordinava: "Se scoppia una lite fra cittadini […],nessuno deve ricorrere immediatamente alle armi, ma pre-sentarsi agli uomini del Consilio davanti alla cattedrale diMaria"1. Un altro documento ci mostra la precisa colloca-zione dei giudici davanti al portale meridionale della chie-sa, che un tempo era protetto da un tetto e circondato dallesbarre del tribunale, come si vede in una incisione diBernhard Jobin del 1566. Queste strutture permettevano diproteggere i procedimento giudiziari dal maltempo e dallapressione delle folle. Un altro esempio dell'uso mondano di un portale ecclesia-stico come sede di giustizia è quello della cattedrale diLeón in Spagna. Tra l'ingresso centrale e quello di destra,nel vestibolo della chiesa, sotto la statua di Salomone sitrova una iscrizione con le parole "Locus Appellacionis"(luogo di appelli) e gli stemmi di Pastiglia e di Leòn.Mentre gli elementi araldici possono essere datati al XIIIsecolo, l'iscrizione risale al secolo XI. Proprio in Spagna,ancora ai giorni nostri, un procedimento giudiziario sisvolge presso il portale di una chiesa2. A Valencia i conta-dini del circondario si incontrano ogni settimana presso ilgrande portale centrale della cattedrale barocca, dove i giu-

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dici da loro eletti giudicano sulle questioni irrisolte dell'ap-provvigionamento idrico. Spesso era il colore del portonea rivelare la funzione di sede di giustizia. I portali davantiai quali si amministrava la giustizia erano spesso dipinti dirosso, tradizione documentabile nell'Europa del nord. Ilmonaco e artista Roger di Helmarshausen - nel suo tratta-to composto tra il 1110 e il 1140 sulle tecniche delle arti,Schedula Diversa Artium - dedicò un intero capitolo altema "come dipingere in rosso i portoni". Il fatto che i por-toni rossi indicassero le sedi di giustizia è documentato, fral'altro, nelle cattedrali di Francoforte, Paderborn, Münster,Würzburg, Mag- deburgo, Bamberga ed Erfurt3. A Francoforte, documenti della prima metà del XIII seco-lo provano che davanti al portale meridionale oggi murato,noto come "rode dure" (porta rossa), venivano conclusi deicontratti, e a Paderborn, come è documentato fino al 1452,venivano compiuti atti di giustizia presso la porta indicatacome "dei roden Doer", sul lato settentrionale della catte-drale. Il colore rosso era fin dall'antichità un simbolo dipotere e di nobiltà ed ebbe una grande diffusione nelmedioevo come il colore dei procedimenti di giustizia.L'imperatore, per esempio, concedeva le sue prerogativegiudiziarie con la consegna di un drappo rosso, come èattestato per la cessione delle regalie alla città di Cremonada parte di Enrico VI nel 1195. Nello stesso tempo, il colo-re rosso era anche un'allusione alla possibilità di un'esecu-zione cruenta delle sentenze. Così il tribunale più impor-tante del medioevo, quello che doveva decidere sulla vitao sulla morte, fu chiamato “il giudizio del sangue” e i libridelle sue sentenze erano detti "libri del sangue"4.Esistevano anche delle pietre del sangue, "lapides sangui-nis", chiamate anche pietre rosse, come è documentato perFrancoforte, Passavia, Worms. Presso di esse, nei primitempi del medioevo, veniva pronunciato ed eseguito il giu-dizio, e la qualificazione attribuita a queste pietre derivachiaramente dal sangue che vi veniva versato. Tali costumie consuetudini fecero sì che il colore rosso divenne simbo-lo dell'amministrazione della giustizia5. Il rosso era il colo-re preferito da giuristi e da giudici e anche Cristo ha una

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veste rossa in alcune rappresentazioni del Giudizio univer-sale. È quanto si può vedere, per esempio, nell'opera diStephan Lochner. Perciò nel medioevo, oltre ai portonirossi delle chiese, vi è testimonianza di torri rosse, di ban-chi, di alberi rossi, e in tutti questi casi il colore rosso indi-cava la funzione di sedi di giustizia. Oltre all'elemento delcolore, anche l'esibizione molto diffusa di coppie di leonipresso gli ingressi delle chiese poteva essere una indicazio-ne della funzione giudiziaria dei portali. I leoni erano spesso collegati al trono di Salomone, che daessi era affiancato. Poiché questi, nell'Antico Testamento,era il prototipo del giudice, i due leoni erano riferiti ingenerale alla dignità giudiziaria e simboleggiavano il pote-re dei giudici. Questo concetto è espresso dal monaco fran-cese Pierre Besuire, nel suo Repertonum morale, e fornisceun'interpretazione in termini morali del mondo risalente al1362: "II giudice è associato a due leoni, che sono collo-cati presso molte scale e che fiancheggiano gli ingressi divari edifici. Essi rendono più difficile il passaggio e perquesto motivo, laddove i giudici amministrano la giustizia,essi rappresentano il castigo dell'avidità umana"6. In effetti, è rimasta traccia di molti atti di giustizia che sisono svolti "inter duos leones" (tra due leoni). Un esempioconcreto è quello di Werden in Vestfalia, dove, davanti allachiesa oggi distrutta di San Nicola, erano poste due colon-ne su ciascuna delle quali poggiava un leone. Fino al XVIIIsecolo il giudice di questa abbazia aveva l'abitudine dicelebrare gli atti ufficiali del suo incarico tra queste duecolonne, ed essi infatti si concludevano col la formula"actum inter duos leones"7. In modo simile vanno conside-rate le coppie di leoni che si trovano ai fianchi dei porticinelle cattedrali dell'Italia settentrionale. Negli anni '40 delXII secolo molti atti giudiziari furono conclusi presso laPorta dei Mesi della cattedrale di Ferrara, attualmentedistrutta, che era fiancheggiata da due leoni e che guarda-va sulla piazza del mercato. Le attività di carattere giuridi-co presso i portali non si limitavano tuttavia allo svolgi-mento di procedimenti giudiziari: il portale era anche illuogo presso il quale si prestava giuramento. Soprattutto

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nel Nord Europa, fin dal secolo VIII, era diffusa la consue-tudine di prestare giuramento "alla soglia" o "alle porte"8

di una chiesa. Nei documenti del priorato cluniacense diRüeggisberg, in Svizzera, viene riferito, per esempio, chenell'anno 1387 il balivo di Berna Petermann von Krauchtalgiurò di proteggere la chiesa e tutta la gente del baliato eper questo "prese l'anello della porta della chiesa nella suamano sinistra, tenendo con la mano destra la formula delgiuramento, da ripetere a voce alta"9. Il giuramento pres-so la porta di una chiesa è documentato anche da una fonteletteraria, la Saga dei Nibelunghi, risalente al 1200.Quando le due regine Crimilde e Brunilde compresero dinon poter risolvere il loro dissidio che era scoppiato negliappartamenti femminili, si trasferirono davanti al portaledel duomo di Worms, che e solitamente identificato con ilportale settentrionale. Qui chiamarono a testimoni i lorosposi, Sigfrido e Gunther, e alla fine Sigfrido si offrì di pre-stare giuramento davanti alla porta della chiesa. Una taletestimonianza letteraria è più importante di ogni altrodocumento storico, perché, come i protagonisti tragici rap-presentano le figure idealizzate della regina, del rè, dell'e-roina e dell'eroe, così anche le porte della chiesa sono unarchetipo, che eleva la funzione giudiziaria del portale diWorms all'universalità del mito. E' significativo, per quan-to riguarda la funzione di questo portale nella storia deldiritto, che proprio questo luogo fu scelto da FedericoBarbarossa per la concessione dei privilegi alla città, nel1184. Il portale delle chiese, nel medioevo, era anche un luogo diasilo. Molte cronache del tempo mostrano come uomini infuga cercassero rifugio presso le porte delle chiese e comeper sancire questo asilo fosse essenziale toccare l'anello delportale. Il diritto d'asilo presso le porte delle chiese fuanche definito nei codici. Nel Sachsenspiegel, una raccol-ta di leggi della Germania meridionale la cui prima versio-ne risale al 1215, si trova il seguente editto : "Se un uomonon può penetrare all'interno della chiesa, ma riesce a toc-care l'anello del portone, ottiene con questo la stessa sicu-rezza che avrebbe avuto all'interno della chiesa"10. Anche

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la firma dei contratti aveva luogo presso i portali dellechiese, compresi i contratti di matrimonio. Nel medioevo ilmatrimonio era celebrato presso le porte delle chiese e solodopo il suo compimento la coppia veniva condotta in chie-sa per la messa. Tale tradizione spiega anche la frequentedefinizione dei portali come "porta delle nozze", come adesempio a Bamberga, Braunschweig, Magonza oNorimberga11. Per questo motivo anche i pittori dell'epocacollocavano la scena riguardante il matrimonio di Maria eGiuseppe davanti all'ingresso di un tempio o di una chiesa.Per esempio, Robert Campin, nel suo dipinto realizzatointorno 1420, collocò la benedizione nuziale sul fronte diun portale riccamente scolpito. Anche i contratti commer-ciali erano conclusi presso i portali delle chiese. Le nume-rose piazze del mercato, che si trovano intorno o presso lechiese testimoniano ancora oggi questa tradizione. In molticasi, anche misure ufficiali si sono conservate sugli ingres-si delle chiese. Numerose testimonianze dimostrano chesulle pareti dell'atrio della torre della catterdrale diFriburgo erano incise le diverse misure con la data in cuifurono istituite. Troviamo là le grandezze prescritte neglianni 1270,1313 e 1320 per il pane e per i panini, le misuredel grano, del legno, del carbone e dei mattoni, così comeil diritto sancito dal re Ruprecht nel 1403 di tenere unafiera due volte all'anno. Il significato dei portali delle chie-se medievali per l'amministrazione giudiziaria spiegaanche il percorso di espiazione compiuto da Raimondo VI,che abbiamo ricordato all'inizio. Il rito pubblico dell'espia-zione si svolgeva presso il portale e anche in questo caso sitrattava di un atto legale, che prevedeva la punizione e lariconciliazione dei peccatori. Seguendo le regole del rito ipeccatori che dovevano subire una pena venivano cacciatidalla chiesa il mercoledì delle ceneri, "come Adamo erastato cacciato dal Paradiso"12. Il parallelismo con il pecca-to originale spiega perché fu imposto a Raimondo di doverarrivare nudo al portale; ciò serviva non solo a umiliarlo,ma a illustrare anche il suo legame con Adamo. L'atto pub-blico di espiazione culminava nel rito di riconciliazione delGiovedì Santo. I peccatori dovevano trovarsi presso il por-

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tale, dove il sacerdote prendeva la loro mano destra perricondurli nella chiesa e sancire il loro essere nuovamenteaccolti nella comunità dei credenti. La scena fu ripresaspesso nelle arti figurative, soprattutto nelle rappresenta-zioni del Giudizio universale. Si può indicare come esem-pio un particolare del timpano di Conques, che mostra unangelo che ha preso la mano di un beato per guidarlo attra-verso le porte del Paradiso. Il portale della chiesa, nel sim-bolismo medievale, rappresentava la porta del Paradiso,che assicurava ai credenti l'ingresso nella Gerusalemmeceleste. Anche nella pittura già citata di Stephan Lochner,che rappresenta il Giudizio universale, l'ingresso alParadiso è raffigurato come il portale di una chiesa. Comesi può spiegare il fatto che al portale fosse attribuito nelmedioevo questo importante significato giuridico? Fra lediverse risposte, ne va evidenziata una, che può spiegare lafunzione storica e teologica del portale. L'usanza di com-piere atti di valore giuridico presso una porta pubblica risa-le a tempi molto lontani. Nell'Antico Testamento la portadella città era il luogo dove gli anziani amministravano ildiritto, come si può derivare da molti passi. Per esempioDio ordina agli israeliti: "Odiate il male, amate il bene, e,alle porte, stabilite saldamente il diritto" (Amos 5,15);Samuele "si metteva da un lato della via che menava alleporte della città" per ricevere coloro "che venivano dal reper chiedere giustizia" (II Samuele 15,2 e 6)13. L'usanzadescritta nell'Antico Testa mento di amministrare la giusti-zia presso le porte della città può giustificare la funzioneattribuita al portale delle chiese nel medioevo. Quando unachiesa era consacrata, le sue porte erano paragonate a quel-le di una città. Il confronto tra la porta della città e il por-tale della chiesa può essere visto anche nella rappresenta-zione della Giustizia e dell'Ingiustizia di Giotto nella cap-pella degli Scrovegni a Padova. La Giustizia è rappresen-tata seduta in trono, la cui spalliera appare come un passag-gio aperto dal quale appare il cielo azzurro. La formaarchitettonica ricorda quella del portale di una chiesa conle porte aperte. L'ingiustizia invece siede davanti a unaporta di città cadente e sbarrata. In essa c'è un riferimento

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all'Antico Testamento, in quanto è il simbolo della fine del-l'antica alleanza conclusa da Dio con gli Israeliti e supera-ta dalla nuova alleanza di Cristo, impersonificato dallaGiustizia. Come in molte raffigurazioni del tempo, l'iden-tificazione della Sinagoga con una lancia spezzata e conuna corona caduta a terra, simbolo del vecchio patto, vieneopposta alla Chiesa trionfante; la Giustizia e l'Ingiustiziarappresentano qui l'antitesi fra l'antica e la nuova alleanza.La porta della città cadente e sbarrata e opposta al portaleaperto. La porta aperta è simbolo di Cristo, che ha detto: "losono la porta; chi passa attraverso di me sarà salvato"14.Cristo è la porta del Paradiso, aperta a tutti coloro che cre-dono in lui e conducono una vita giusta. In questo sensodeve essere interpretato anche il portale delle chiesemedievali: è il luogo del giudizio, la porta del Paradisoaperta ai giusti15.

Note:1 Cfr W. Effmann, Die karoligisch-ottonischen Bauten zu Werden, vol. I, Strasburg 1899

pp. 120-1232 Cfr T. Toman (a cura di), Il Romanico, architettura, scultura e pittura, ed.

Gribaudo/Kaufman, Milano 2004 p.3243 Ivi p.3254 Cfr H.G. Evers, Tod, Macht und Raum als Bereich der Architektur. Munchen 19705 Op. Cit.6 Op. Cit.7 Cfr C. Verzàr Bornstein, Portals and politics in the early italian city state: the sculp-

ture of Nicholaus in Context, Parma 1988 pp. 23-438 Op. Cit.9 Op. Cit.10 Op. Cit.11 Op. Cit.12 Cfr P.C. Claussen, Chatres-Studien: Zur Vorgeschichte, Funktion und Skulptur der

Vorhallen, Weisbaden 1975 pp.34-5413 Ibidem14 Op. Cit.15 Ibidem

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CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSION

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ONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUSIONI CONCLUCAPITOLO VI

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CAPITOLO VI. CONCLUSIONI

6.1 Conclusioni

CompendioL'esaltazione di un linguaggio architettonico sviluppatosi nell'arco disecoli, molto legato al territorio e da esso plasmato, è dovuto anchealla conoscenza di opere “minori” quali la chiesa di Santa MariaMaggiore di Siponto e San Leonardo di Siponto, opere emblematichedel romanico pugliese e della sua interpretazione da parte del popolodauno.

L'approccio ad un rilievo in un area cosi stratificata e riccadi vicissitudini storiche ha reso necessaria una prima inda-gine conoscitiva a livello storico-cartografico come baseper comprendere la genesi degli oggetti di studio.Rilevare significa anche individuare, in un opera architet-tonica che si presenta più o meno complessa, gli elementisignificativi indispensabili alla caratterizzazione di quelpreciso organismo e al suo riconoscimento, pur nella sem-plificazione che se ne deve necessariamente dare1.Attraverso l'osservazione e la relativa graficizzazioneabbiamo avuto la possibilità di comprendere l'importanzadel dettaglio architettonico e della sua lavorazione, i suoilegami con le tecniche costruttive e con i canoni di propor-zione e di peculiarità rispetto ad esse.L'operazione di rilevamento utilizzata può dirsi articolatanelle seguenti fasi: - cognizione dell'opera da rilevare e scelta delle tec

niche di rilievo;- rilevamento;- rappresentazione grafica;- lettura dell'opera attraverso il rilievo, la documen

tazione grafica, le fonti d'archivio, bibliografiche, etc2.

Il lavoro che si è voluto proporre riguarda la metodologiaapplicata nel rilievo e nella rappresentazione di due operedi architettura romanica presenti nel territorio dauno, uti-

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lizzando tecniche e metodi tradizionali supportati da stru-mentazione digitale3 .Le chiese romaniche analizzate sono localizzate in apertacampagna, legate dalla S.S. 89, che ricalca parte della anti-ca via peregrinorum, e rappresentano casi esemplificatividi un linguaggio, quale è il romanico pugliese, visto comeinterpretazione locale di uno stile internazionale. La tran-quillità di tali luoghi comunica un senso di continuità sto-rica: uguale o simile, si è portati a pensare, deve essereapparsa la località anche nel medioevo, quando in essa fucostruita la chiesa. Il fascino di queste chiese romanichenon dipende tanto dalla loro grandezza, come avviene perle “cattedrali” urbane, quanto dalla loro dimensione umanatrasferita nella piccola scala, nella bellezza delle forme,nella semplicità del sistema costruttivo, nell’eleganza del-l’apparato decorativo4.

La chiesa di San Leonardo è una chiesa del tipo in esame,nella quale, in seguito a condizioni particolari che si pos-sono far coincidere con il restauro eseguito dai cavalieriTeutonici nel loro insediamento, fu modificata, comeoccorreva, secondo il gusto e la tecnica dei nuovi proprie-tari, i quali si può ritenere non avessero né conoscienza, nésimpatia per le volte ed gli archetti a mezza botte, e, doven-do ricostruire la volta centrale, preferirono la botte a sestoacuto alla cupola.La fabbrica si presenta come un parallelepipedo di pietrabionda che si staglia nitida contro luce, presentando al visi-tatore il fianco nord, nobilitato e promosso al rango di fac-ciata principale dal sontuoso portale al centro, elementofortemente simbolico dell’architettura romanica.La nitida superficie è conclusa da una cornice a mensole sucui scende la falda di un semplice tetto a gradoni dal qualeemergono due tiburi separati da un ampio spazio copertoda tetto a spioventi e sovrastati da basse coperture a pira-mide.Le irregolarità nelle aperture riflettono certo fasi diverse dicostruzione e interventi successivi su una struttura chedovette essere sostanzialmente affine a quella ben nota

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delle chiese a cupole in asse con semibotti laterali. Le ana-logie con questo tipo architettonico si colgono bene nellaparete orientale, tozza e dilatata, conclusa con due spio-venti collegati da un segmento orizzontale che corrispondealla terrazza da cui emergono i tiburi, che rappresentano glielementi più evidenti del legame con le chiese con cupolein asse particolarmente diffuse in terra di Bari e nel suddella Francia e nel contempo individuano una peculiaritàdell’interpretazione locale5.

Dai rilievi e dalle analisi storiche emerge netta la convin-zione che la chiesa di Santa Maria di Siponto costituisce unadattamento del sistema in esame alla pianta centrale, forseimposto da preesistenze, come sostenuto da studiosi delsecolo scorso; e tale dipendenza da un preesistente in pian-ta centrale troverebbe riferimento nel gusto “bizantino” deiquattro peducci su colonnine d’angolo, che non appare innessun’altra chiesa del tipo. L’applicazione alla pianta cen-trale di un sistema nato per uno sviluppo longitudinaletrova casi analoghi in alcune chiese francesi, come in quel-la di Rieux-Mérinville. La costruzione della parte più anti-ca, in parte conservata nelle tre pareti perimetrali origina-rie, aveva forma quadrata con una sola abside rivolta a sude la facciata, non più esistente, in corrispondenza del latonord, segno del legame dichiarato con la preesistente basi-lica paleocristiana. Nel XII secolo a causa di un forte ter-remoto si ha la completa cancellazione del sistema dicoperture originali della chiesa superiore e dei relativi sup-porti, perdendo per sempre una tipologia di copertura chenon verrà mai più riproposta.Nei secoli successivi a causa di importanti lavori di restau-ro, si elaborò un progetto di trasformazione globale, proba-bilmente tenendo conto del nuovo linguaggio che in quelperiodo si andava diffondendo: lo stile pisano. Nello stesso periodo si mutò l'orientamento secondo l'asseest-ovest, si progettò e parzialmente si costruì l'abside adest, completa di finestrone e di un giro di colonne addossa-te all'esterno; un intervento particolarmente significativoper la vita del monumento.

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La versione duecentesca non fu mai conclusa e la chiesadovette rimanere a lungo priva di copertura, mentre allenecessità liturgiche suppliva la cripta, concepita come unavera e propria chiesa con ingresso indipendente. La cupo-la a vela poggiante su pilastri a base quadrata e le volte amezza botte, risalgono alla fine del Cinquecento, quando sirinunciò ad attuare il vecchio progetto di rinnovamentodella chiesa e ad essa fu data la sistemazione che oggiconosciamo6.

In conclusione tutte le scelte operative effettuate sono deri-vate da attente valutazioni sulla morfologia del monumen-to e si sono fondate sul principio secondo il quale il rilievodel patrimonio architettonico ed ambientale è consideratonon solo la base preliminare ad ogni intervento di tutela edi trasformazione di qualsiasi opera di architettura, maanche una esperienza altamente formativa per chiunqueoperi nell'ambito della conoscenza e tutela dei beni cultu-rali.I casi analizzati sono esemplificativi di un linguaggio, dif-fuso in tutta Europa ed in Puglia in particolare, che sia inSan Leonardo che in Santa Maria trova una interpretazio-ne fortemente caratterizzata dalla cultura e dalle conoscen-ze tecniche del popolo dauno.

Note:1 Cfr M.Docci, D.Maestri (a cura di), Manuale di rilevamento architettonico e urbano,

Editori Latrza, Roma-Bari 1994 pp.5-112 Ibidem3 Cfr A. Di Tizio, Conoscenza di un luogo: largo San Marcellino, in A. Baculo, M.

Dell'Aquila, G. Fusco (a cura di) Paradigmi e modelli operativi della trasformazione. La

città di Napoli, ed. Arte Tipografica, Napoli, 2005 pp.49-514 Cfr A. Petrucci, Cattedrali di Puglia, Bestetti editore, Roma 1976 pp. 56-765 Cfr A.D’Ardes, Interventi edilizi dei Cavalieri Teutonici nell’abbazia di San Leonardo,

in Atti del V Convegno di Studi, Siponto e Manfredonia nella Daunia, Manfredonia

2000 pp.100-1216 Op.Cit.

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APPENDICE

Bibliografia consultata

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