a cura di renza baiocco testi di andrea bovari

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Comune di Potenza Picena Assessorato alla Cultura a cura di Renza Baiocco testi di Andrea Bovari

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Page 1: a cura di Renza Baiocco testi di Andrea Bovari

Comune di Potenza PicenaAssessorato alla Cultura

a cura diRenza Baiocco

testi diAndrea Bovari

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supervisione editorialeSergio Paolucci Sindaco di Potenza Picena

coordinamento progettoRenza BaioccoAndrea Bovari

fotoLuigi Anzalone Studio Fotografico Potenza PicenaMassimiliano Di ChiaraAido ConsolaniRoberto PurificoEnrico GiorgettiNico CoppariHenry RuggeriFoto Club Potenza PicenaFototeca Comunale “Bruno Grandinetti”Archivio Storico ComunaleMostra fotografica “Montecanepino e la sua gente”

progetto e realizzazione graficaRenza BaioccoPaolo Accoramboni

ricerca iconograficaRenza Baiocco

si ringrazia per la preziosa collaborazioneRoberto DomenichiniPaolo PerettiPaolo OnofriGeorge DernowskiLorena Giacobbidon Andrea BezziniFrancesca IacopiniLaura CarotaFausto SanpaoloPiero CingolaniUffici del Comune di Potenza Picena

si ringraziano quanti hanno collaboratoalla realizzazione del progettoe in particolare per la disponibilitàSabrina ColleClaudia Baiocco

patrocinio

si ringrazia

l’Istituto di Riabilitazione S. Stefano

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“Un viaggio nelle Marche, non frettoloso, porta a vedere meraviglie”, così scrive Guido Piovenea commento del suo Viaggio in Italia svoltosi tra il 1953 e il 1956.Una di queste “meraviglie” è certamente Potenza Picena col suo territorio, mirabile rispecchia-mento, così tipico di questa regione, tra arte e paesaggio, tra le forme della città e la varietà deicoltivi che la circondano.Potenza Picena, l’antica Monte Santo, sorge in una zona che è quasi un distillato delle Marche.Intorno alla città, addossata al crinale della collina e connotata dal tipico cotto chiaro tendenteal roseo, è un paesaggio di struggente dolcezza, senza dissonanze, con pendii poco scosce-si, ma lunghi e punteggiati di piante, quasi a creare un grande e naturale giardino all’italiana.Non a caso su queste colline rivolte al mare eressero nel Settecento le loro splendide residen-ze estive alcune delle famiglie più illustri della nobiltà maceratese, i Compagnoni Marefoschi ei Buonaccorsi. Poi la collina cede a brevi tratti di pianura costiera fino all’incontro con l’Adriatico,ma purtroppo qui il litorale, come in molte parti della regione, è stato deturpato dai nuovi quar-tieri sorti dopo la metà del Novecento. Questo libro racconta la lunga storia di Potenza Picena. Pensata soprattutto per accompagna-re il visitatore curioso e attento alla scoperta dei suoi monumenti, delle sue belle chiese e dellenumerose opere d’arte, essa non trascura al pari di raccontare ai suoi abitanti, in particolare aquelli più giovani, le storie di un passato più o meno prossimo, ricco di tanti fatti significativi, isti-tuzioni prestigiose e personaggi illustri. Così scorrono nella pagine le memorie di un folkloredenso, per feste o ricorrenze religiose e profane, di una tradizione musicale consolidata, di unarealtà produttiva assai vivace.Ma naturalmente, per quel che a me più interessa, il libro di Potenza Picena – compilato daAndrea Bovari e curato da Renza Baiocco, “raccoglitori di memorie” locali, ultimi eredi di unagloriosa tradizione storico-erudita volta al meticoloso esame dell’antica storia cittadina – costitui-sce una delle prime occasioni di conoscere e far conoscere un patrimonio artistico di grandeinteresse, e rammenta perentoriamente a tutti, ciascuno nelle proprie competenze, la semprepiù urgente necessità di proteggerlo e salvaguardarlo. A tal riguardo è doveroso esprimere unprofondo apprezzamento per le iniziative promosse e finanziate dall’Amministrazione Comunaleche in questi ultimi anni hanno consentito il recupero di due importanti chiese della città, SantaCaterina e Sant’Agostino, permettendo di ricollocarvi sugli altari, nella loro sede originaria, leopere d’arte precedentemente ospitate nella Pinacoteca Civica e attribuendo loro un nuovo evitale ruolo di centri culturali.

GABRIELE BARUCCASoprintendenza per i Beni Storici, Artisticie Etnoantropologici delle Marche – Urbino

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5 PRESENTAZIONE DI VITTORIO SGARBI

7 Gabriele Barucca

SALUTI

15 Sergio Paolucci17 Giulio Silenzi19 Amedeo Grilli21 Mario Ferraresi

23 Introduzione di Andrea Bovari

STORIA

31 CENNI DI STORIA LOCALE

39 SACRATA

43 STEMMA COMUNALE

45 UNA FINESTRA SUL PASSATO

45 Vita sociale ed economica nella Monte Santo del XIV secolo 46 Il Monte di Pietà47 I catasti, testimonianze dell’evoluzione del territorio santese50 Le abitazioni rurali nei secoli scorsi54 Le “Famiglie primarie santesi” dal XIV al XVIII secolo54 I nostri emigranti56 La Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza”

57 LUOGHI DI STORIA, DI ARTE E DI FEDE

57 Piazza Matteotti65 Il teatro “Bruno Mugellini”67 I portali68 Le porte di Monte Santo72 Il porto di Monte Santo e la torre quadrata77 Il Monastero delle Clarisse di San Tommaso Apostolo79 Il Monastero delle Benedettine di Santa Caterina in San Sisto83 L’Istituto delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata89 Il Convento dei Cappuccini92 Il Convento dei Frati Minori

SOMMARIO

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96 La chiesa di San Nicolò, nota come di San Francesco o dei PP. FrancescaniConventuali

100 La chiesa di San Giacomo104 La chiesa della Madonna delle Grazie107 La chiesa di Santa Maria della Neve109 La chiesa di Santo Stefano115 La chiesa di San Marco117 L’ex complesso agostiniano

PAESAGGIO

131 2008: la prima Bandiera Blu del Comune di Potenza Picena132 Potenza Picena136 Porto Potenza Picena148 Montecanepino154 San Girio159 Villa e giardino Bonaccorsi

ECONOMIA

173 L’OPEROSITÀ DELLA NOSTRA GENTE NELLA TRADIZIONE

173 I muratori179 La sciabica183 Un giorno con gli sciabecotti

187 LE AZIENDE NEL NOSTRO TERRITORIO

187 L’Istituto Santo Stefano, una realtà preziosa194 L’Aeronautica Militare195 La Società Ceramica Adriatica197 La Fornace Antonelli198 La S.I.F.198 La Società Automobilistica Potentina199 La Bontempi201 La Rogin202 La Ceramica Montesanto202 Costruzioni Nautiche Fratelli Carlini202 Le altre aziende di rilievo di un recente passato203 Le realtà produttive di oggi

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ARTE E CULTURA

205 IL POLO CULTURALE

205 La biblioteca comunale206 L’archivio storico comunale 207 La fototeca comunale “Bruno Grandinetti”

209 LA MUSICA

215 Schola Cantorum Santo Stefano216 Corale Sant’Anna217 L’organo da sala di Giovanni Fedeli

COSTUME E SOCIETA’

221 RICORRENZE

221 La festa del Grappolo d’Oro226 Il Presepe vivente227 La Festa di Sant’Anna231 “Lo Porto de cent’anni fa”

235 ECCELLENZE SPORTIVE

255 PERSONAGGI ILLUSTRI

269 PARROCI

271 SINDACI

275 CONCLUSIONE

HISTORY

277 Scattered notes on local history285 The allurement of history and sigh of the sea. Potenza Picena

299 NOTE

301 BIBLIOGRAFIA

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Giardino di villa Bonaccorsi

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s a l u t i

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Potenza Picena è tra i Comuni più vivaci della Provincia di Macerata: il suo territorio, i suoi cit-tadini, le attività economiche, le organizzazioni sociali e sportive, le tradizioni storiche e gli even-ti culturali caratterizzano questa località qualificandola tra le più importanti della nostraProvincia.A Potenza Picena si può apprezzare il mare con la sua spiaggia di sabbia finissima, dal qualesi osservano dolci colline verdi in mezzo alle quali si conservano testimonianze di una storiaantichissima lunga più di duemila anni, ville storiche di rara bellezza architettonica, case ruralie aziende agricole, esempio dell'operosità e della creatività dei cittadini potentini. A PotenzaPicena si può gustare la migliore enogastronomia, si può trascorrere una vacanza di mare e dicultura ma anche frequentare locali notturni di grande interesse per molti giovani.Esprimo a Potenza Picena tutto il mio affetto e la mia simpatia per la ricchezza del suo territorioe della sua gente con un ringraziamento particolare per la pubblicazione di questo libro cheesalta Potenza Picena e la Provincia di Macerata.

GIULIO SILENZIPresidente Provincia di Macerata

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Ricostruire l’identità di un territorio attraverso la riappropriazione degli elementi che costituisco-no la storia delle singole comunità locali è sicuramente un obiettivo dell’azione della FondazioneCassa di Risparmio di Fermo.I beni culturali, l’ambiente, il paesaggio di cui oggi disponiamo rappresentano un patrimonioche ci è stato trasmesso e che dobbiamo valorizzare in una visione dinamica di tutela e diaccrescimento del valore.La conoscenza è sicuramente lo strumento più immediato per promuovere e divulgare le spe-cificità che caratterizzano le nostre realtà naturali, costruite, modellate e accresciute dal lavorodell’uomo.Per questo abbiamo deciso di aderire alla proposta del Comune di Potenza Picena di condivi-dere la presente esperienza divulgativa attraverso la pubblicazione di un volume di qualità, chefa apprezzare in modo più approfondito a chi già conosce e che serve a presentare, a chi nonconosce, la bellezza e i valori umani, artistici e ambientali di Potenza Picena.

AMEDEO GRILLIPresidente Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo

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Parlare di Potenza Picena e parlare dell’Istituto di Riabilitazione Santo Stefano è un po’ parlaredi una storia comune per quasi cento anni. Da quei lontanissimi primi anni del 1900 quandovenne realizzata la “colonia perugina” ad oggi, storia, economia, persone di questa terra e delnostro Istituto si sono intrecciate condividendo momenti di crescita e molti momenti difficili.Oggi, più che mai, il Santo Stefano è una realtà significativa di questo territorio e per noi è unpiacere condividere iniziative come questa che vuole raccontare una storia meravigliosa, quel-la di un territorio bellissimo e di gente onesta, laboriosa e ospitale.

MARIO FERRARESIPresidente Istituto di Riabilitazione Santo Stefano

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Dar vita ad un libro avente per argomento Potenza Picena e il suo territorio comunale, la suastoria, le sue tradizioni e caratteristiche principali, le sue eccellenze: il tutto coordinando i con-tributi storici e letterari di chi, in passato, si è già occupato di temi locali con perizia e passio-ne. L’Amministrazione Comunale, desiderosa di dotarsi di una pubblicazione aggiornata, ha affi-dato al sottoscritto tale opera di coordinamento, chiedendo di dare alla trattazione uno stile gior-nalistico, fluido, comprensibile a tutti.Se il compito sia riuscito o no lo diranno i lettori: di certo non è mancato l’impegno per meritarela fiducia che il Sindaco Sergio Paolucci e gli Amministratori hanno così generosamente ripostoin chi ha scritto le righe che state leggendo. Alcuni capitoli di questo libro sono stati realizzatiattingendo a lavori già esistenti: ciò è avvenuto, ad esempio, per quelli di natura storica, artisti-ca, sociale, architettonica ed, almeno in parte, relativi alla tradizione locale; altri, invece, sonostati concepiti traendo spunto dall’attualità, come ad esempio quelli riguardanti le eccellenzesportive o argomenti dei quali si è avuta esperienza diretta.Tanti cittadini del Comune di Potenza Picena hanno dato un prezioso contributo a questa pub-blicazione ed è giusto esprimere loro un sincero ringraziamento: nelle pagine che seguono ver-ranno indicati i nomi di coloro che hanno messo a disposizione i loro lavori, le loro testimonian-ze, i loro racconti, dai quali è stata tratta materia per questo libro. In una comunità come lanostra sono talmente numerosi e vari gli argomenti che meritano attenzione che si rischia didimenticarne certamente alcuni: nonostante l’intento di evitare tale evenienza, siamo certi chequalcuno o qualcosa non abbia trovato spazio in queste pagine e di ciò sinceramente ci scu-siamo. Il presente lavoro, in fondo, non nasce con la pretesa di rappresentare un’opera comple-ta e neanche di costituire un punto di riferimento per studiosi di storia o di tradizioni locali: è,invece, solo un modesto tentativo di raccontare, per sommi capi, alcuni aspetti della nostra terrae della sua popolazione, in modo che possano essere conosciuti anche da coloro che vivonoin altri luoghi. Speriamo di esserci almeno avvicinati a tale obiettivo.

INTRODUZIONE DI ANDREA BOVARI

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I L FASC INODELLA STORIA

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IL RESPIRODEL MARE

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Tenuta di Santa Cassella

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s t o r i a

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Il nostro territorio è ricco di storia: lo testimoniano splendidi edifici arrivati fino a noi in buonostato di conservazione e molte opere d’arte che possono essere ammirate in vari luoghi. Lorivela, inoltre, lo stesso nome di Potenza Picena, scelto nel 1862 a sostituire quello prece-dente di Monte Santo. Mentre l’attributo “Picena” indica che in questo luogo erano presen-ti i Piceni prima ancora che Roma esprimesse la sua statura imperiale, il termine “Potenza”deriva dal nome dell’antica Potentia, florida colonia romana sorta nel 184 a.C. tra l’ultimotratto del fiume omonimo e l’abbazia di Santa Maria in Potentia, ora in territorio di PortoRecanati. Dell’importante colonia romana dà notizia Tito Livio (XXXIX, 44, 10), indicandocome essa fosse stata fondata dai triumviri Quinto Fabio Labeone, Marco Fulvio Flacco eQuinto Fulvio Nobiliore(1). Roma, in quel periodo, intendeva espandersi verso l’Adriatico,puntando le sue mire di conquista al settore est del Mediterraneo. La scelta del nomePotentia aveva un significato augurale(2), come eco della recente vittoria punica. Il luogoindividuato per la fondazione della colonia era particolarmente vantaggioso: godeva delladisponibilità di terre fertili da assegnare ai coloni (sei jugeri, circa un ettaro e mezzo a testa),era in prossimità dello sbocco di una vallata fluviale, la foce del fiume poteva essere utiliz-zata come porto, il fiume si prestava al trasporto di materiali pesanti, c’era la presenza diassi viari importanti. Grazie all’interessamento di Marco Fulvio Flacco, vennero eseguiteopere notevoli, come la costruzione di un tempio a Giove, una rete fognaria, un foro con por-tici e botteghe, un acquedotto. La popolazione della colonia era operosa, distinguendosi,pare, nella produzione di vasellame e anfore. Nel 56 a.C., come riferisce Cicerone(3), la cittàfu colpita da un fortissimo terremoto. Il declino dell’importante colonia romana avvenne,pare, intorno al VII secolo d.C., in conseguenza di vari dissesti idrogeologici e per il verifi-carsi della dominazione longobarda. Per salvarsi la vita, diversi abitanti di Potentia sareb-bero saliti in collina, dando origine al borgo di Monte Santo, nato intorno all’antica pieve diSanto Stefano, che si trovava proprio dove adesso c’è piazza Matteotti(4).Dell’esistenza della pieve di Santo Stefano si ha notizia dal Regesto Farfense, un documen-to del 947; in esso, il nome della pieve è accostato a quello di Monte Santo. Intorno al 1000,quest’ultima era uno dei ministeri della contea fermana, cioè una circoscrizione amministra-tiva di derivazione longobarda.Nel nostro territorio c’era anche un altro ministero, quello di San Paterniano, che pare siastato inglobato da quello di Monte Santo nel XII secolo. Nel medioevo, almeno stando aquanto si sa, Monte Santo non subì distruzioni; le notizie di un saccheggio effettuato daisoldati dell’imperatore tedesco Enrico V nel 1116 – di cui riferiscono alcuni studiosi –potrebbero essere relative al “castello” di San Giovanni, che si trovava in posizione inter-media tra l’attuale Montecanepino e villa Bonaccorsi. La lunga strada che permise la tra-sformazione da ministero a comune e la graduale emancipazione dalla subalternità feuda-le nei confronti del vescovo di Fermo venne percorsa durante i secoli XII e XIV. Fu, a quan-

CENNI DI STORIA LOCALE

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to sembra, un passaggio senza particolari scossoni, quasi una svolta fisiologica maturata-si nel tempo. Il primo passo di questo cammino venne mosso nel 1128: nel settembre diquell’anno, il vescovo fermano Liberto concesse a Monte Santo un certo grado di autono-mia, rinunciando a riscuotere il fodro (diritto di casermaggio) e a presiedere il placitum (tri-bunale), pur conservando il potere di occuparsi delle “questioni estere” e di pronunciarsisui delitti di maggiore gravità. Lo stesso presule di Fermo affidò a due consoli e a dodiciboni homines, rappresentanti degli abitanti di Monte Santo, l’amministrazione locale e i dirit-ti di mercato.Proseguendo nel cammino verso una più concreta autonomia, si arrivò al luglio del 1199,quando la popolazione santese, nella piazza di Santo Stefano, stipulò dei patti con il vesco-vo fermano. In base ad essi, la gente dei “castelli” di Monte San Giovanni e di Gerola (que-st’ultimo situato in prossimità del Varco e delle Casette Antonelli) ebbero l’autorizzazione adabitare insieme a Monte Santo, tranne alcuni uomini, che dovevano stabilirsi a Coriolano(Monte Coriolano), vicino al porto da realizzare sulla costa. Al vescovo, in cambio, andavala disponibilità di alcune decine di uomini e qualche proprietà fondiaria. In aggiunta, colo-ro che erano stati ammessi ad abitare a Monte Santo fecero promessa di diventare parroc-chiani della pieve di Santo Stefano e di costruire, per il presule di Fermo, un palazzo, pro-

Resti archeologicidell’antica Potentianell’attualeterritorio diPorto Recanati

Cartinageografica,

da «Potentia» aMonte Santo a

Potenza Picena,Vincenzo Galiè

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babilmente l’edificio che, successivamente, sarebbe diventato sede del Comune. Inoltreessi assumevano l’impegno di scavare un fossato per far giungere l’acqua del fiumePotenza verso sud, dove era in programma di costruire il porto. All’alba del 1200 MonteSanto poteva contare su un’amministrazione locale dotata di una certa autonomia, avevagiurisdizione su un territorio vasto che andava dal fiume Potenza (a nord) al torrente Asola(a sud), dal mare Adriatico (ad est) alla zona dell’attuale Castelletta (ad ovest). Il progres-sivo raggiungimento di una statura giuridico-amministrativa di un certo rilievo e il verificar-si di situazioni favorevoli sembrano aver creato le condizioni ideali per promuovere attivitàeconomiche e commerciali. In questo quadro intervenne il privilegio papale del 14 ottobre1238 che, allo scopo di sostenere lo sviluppo dei traffici marittimi, assegnava ai castelli diCivita Nuova e di Monte Santo il completo controllo del litorale dal fiume Chienti all’Asola eda questo torrente al fiume Potenza. Nei primi cinquant’anni del XIII secolo a Monte Santovennero a stabilirsi i rappresentanti di alcuni dei più importanti ordini religiosi. Della nasci-ta del monastero delle Clarisse si hanno notizie certe in un documento del 1227; della pre-senza dei Francescani parla una pergamena del 1247. Lo stesso San Francesco dovreb-be aver frequentato la nostra terra, stando a quanto sostiene la tradizione. Gli Agostinianiarrivarono a Monte Santo nel 1250. La completa autonomia comunale della nostra anticacittà è rappresentata dalla concessione del diritto di elezione del podestà: ciò avvenne nel1252 per decisione di Papa Innocenzo IV, confermata sedici anni dopo da Clemente IV. Ilpodestà aveva, in quel periodo, competenze giudiziarie.Dal punto di vista delle relazioni con le altre realtà comunali e in occasione di scontri arma-ti che avevano luogo nella marca di Ancona, Monte Santo dimostrò di essere dalla parte diFermo. Quando, nel 1202, la pace di Polverigi fece sospendere le lotte tra Ancona con isuoi alleati su un fronte Osimo, sull’altro Fermo, Monte Santo venne citata come facenteparte del comitato fermano. Ciò si ripetè nella “concordia” del 1221 tra il marchese diAncona, Azzolino d’Este, e il vescovo di Fermo, Pietro. Nei conflitti che coinvolsero i guelfi(partito papale) e i ghibellini (partito imperiale), la comunità santese pare fosse schieratacon le truppe pontificie. La ribellione del 1283, concretizzatasi con l’occupazione del palaz-zo del podestà, sembra fosse causata solo da una protesta popolare contro il pagamentodi denaro in favore della chiesa di Roma. Dopo il 1305, anno d’inizio della “cattività avigno-nese” del Papa, nel nostro territorio regionale vennero alla ribalta signorie o “tirannie”: ipoteri politici e amministrativi finirono nelle mani di potenti famiglie o di singoli individui,sfuggendo all’autorità centrale (Papa o imperatore) e al controllo delle istituzioni governati-ve comunali. Anche a Monte Santo si registrò tale nuova tendenza, tanto che, tra il 1316 eil 1318, essa subì le prepotenze dei ghibellini di Lippaccio e Andrea da Osimo. Emerse,poi, il potere di Puccio da Monte Santo, il cui nome è citato nella pace del 1353, portata atermine da Giovanni Visconti, Arcivescovo di Milano, chiamato a contrastare quella speciedi anarchia che stava prendendo piede nelle zone del centro e del nord della Penisola. Lostesso intento fu alla base della decisione del Papa di inviare nella marca anconetana ilCardinal Egidio d’Albornoz, autore delle costituzioni che portano il suo nome; in quel tempo(1357), Monte Santo veniva descritta come comune libero, di grandezza media, con una

Campanile dellachiesa diSant’Agostino

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popolazione di quasi mille famiglie. Nell’ottobre del 1377, il Comune santese ottenne la suapiena autonomia: al podestà venne concesso di esercitare il mero e misto impero, di giudi-care qualsiasi reato commesso nel suo territorio di competenza. Nell’estate dell’anno suc-cessivo, la città, per difendersi da mercenari bretoni, cercò l’aiuto di Ancona: questa misea disposizione trenta soldati per proteggere il suolo santese. Monte Santo seppe valorosa-mente, nel 1407, respingere le truppe di Ludovico Migliorati, signore di Fermo, intenziona-te ad invadere la cittadina: gli aggressori vennero accolti dal lancio di giavellotti e dallefrecce scagliate dalla sommità delle mura di cinta. Il nucleo abitato di Monte Santo conob-be uno sviluppo attorno all’antica pieve di Santo Stefano.

Statua di Iulia Augustaterza mogliedell’imperatoreAugusto, scolpita dopoil 14 d.C. trovata nel1793 presso l’Abbaziadi Santa Maria diPotenza,Gliptoteca di Monacodi Baviera in cui èmenzionata comeproveniente da FalerioPicenus.Vincenzo Galiè, Da“Potentia» a MonteSanto a Potenza Picena

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Durante il XV secolo le mura contenevano i borghi di San Pietro (l’attuale quartiereGaliziano), San Paolo (Porta Marina o Girola) e San Giovanni. Sulla costa, le mura e la roccadel Porto vennero rafforzate nel 1564. Due anni prima la popolazione santese si era oppo-sta con successo al tentativo d’infeudazione sostenuto dalla Santa Sede a vantaggio diFrancesco d’Este, duca di Ferrara.Nei primi anni del XV secolo il Comune approvò il nuovo regimen del territorio: venne deci-so che il consiglio generale fosse composto da 60-80 membri (aventi a disposizione capi-tali di almeno cinquanta libbre), rappresentanti dei quartieri cittadini (S. Giovanni, S.Angelo, S. Pietro e S. Paolo). Quarantotto dei consiglieri erano scelti mensilmente, a grup-pi di quattro, per assumere il ruolo di priori e gonfaloniere, garantendo sempre la rappre-sentanza di tutti i quartieri. Vi era, poi, il consiglio minore o speciale, formato da dodici con-siglieri generali, il cui capitale individuale non poteva essere inferiore alle cento libbre: essierano in numero di tre per ogni quartiere cittadino. Dal 1600 in poi tale ordinamento cam-biò, venne meno la corrispondenza degli amministratori ai quartieri, alcune cariche diven-nero quasi una specie di diritto ereditario, di cui beneficiarono le famiglie nobili. Nel XVIsecolo la popolazione santese era composita, annoverando varie etnie. L’economia era trai-

Raffigurazione diMonte Santo nel 1773di Giuseppe Federici,

geometra e catastiere.Archivio storico

comunale

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nata dall’agricoltura, dal commercio e dall’artigianato. I proventi di quelle attività permise-ro a varie persone di diventare piccoli proprietari di immobili, come rivelano i dati catasta-li. Era sorta una piccola borghesia, che continuò ad esistere per tutto il secolo. Intorno allafine del Cinquecento la situazione iniziò a deteriorarsi: l’Italia cominciò a perdere quellasorta di centralità nell’economia continentale di cui aveva goduto, a causa dello sposta-mento delle correnti di traffico commerciale verso l’oceano Atlantico. Anche il nostro terri-torio locale ne risentì: l’attività manifatturiera lasciò il posto ad un fenomeno di accentuataruralizzazione. Il potere economico, di conseguenza, passò in mano ai grandi proprietariterrieri, che inglobarono i piccoli agricoltori.Dal XVII al XIX secolo, nel territorio santese si imposero le famiglie di nobili come iBonaccorsi, i Marefoschi-Compagnoni, i Mazzagalli, i Mancinforte. Disponevano di veri epropri latifondi, nei quali ebbero forte impulso le coltivazioni agricole, come quelle del gran-turco, della patata, dell’olivo e della vite. La potenza economica consentì a quelle famigliedi esercitare una forte influenza nella vita sociale del tempo: la presenza di loro esponentiin ambito politico e artistico è stata rilevante.Monte Santo diede il suo contributo durante il Risorgimento: alcuni suoi cittadini preseroparte, nel 1817, ai moti marchigiano-romagnoli e qualche riunione di ‘carbonari’ ebbe luogosul nostro territorio.Le guerre che si sono combattute nel Novecento hanno visto il sacrificio di tanti nostri gio-vani, che si sono battuti eroicamente per la conquista della libertà e della sicurezza nazio-nale, nella speranza di una pacifica convivenza tra i popoli. Molti di loro persero la vita ineventi bellici, lasciando un enorme vuoto nell’esistenza di familiari e amici, oltre che in quel-la di tutta la comunità locale. Qui vogliamo ricordare due di questi ragazzi coraggiosi, rias-sumendo nel loro sacrificio quello di tutti gli altri. Mariano Cutini (nato il 13 aprile 1924) eMariano Scipioni (16 febbraio 1925), amici tra loro e figli del nostro territorio comunale, ave-vano rifiutato di rispondere alla chiamata alle armi che, nel novembre 1943, la RepubblicaSociale Italiana aveva disposto. Lo avevano fatto per convinzioni di fede religiosa e peramore della libertà. Nel febbraio 1944 si unirono ai patrioti che sui nostri Appennini com-battevano i nazi-fascisti. Il 22 marzo 1944, nei pressi di Cessapalombo, a Montalto, furonofucilati insieme ad altri 24 giovani dal feroce nemico cui si opponevano.

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Sul territorio dove ora si trova Porto Potenza Picena e sulle colline ad essa immediatamen-te retrostanti, sembra sorgesse Sacrata, nominata nella Tavola Peutingeriana(5). Il vicusromano, secondo quanto sostenuto dallo studioso don Vincenzo Galiè(6), sembra fosse neipressi dell’attuale Montecanepino, perché circa venti secoli fa, il litorale era più arretratorispetto ai nostri giorni e la strada era più vicina alle colline. Il luogo era favorevole ad uninsediamento urbano perché godeva dell’esposizione a sud, del riparo dai venti freddi set-tentrionali e perché la vicinanza del torrente Asola consentiva la probabile risalita di barchea fondo piatto per trasportare merci. Non è escluso che ci fosse anche un piccolo porto,utilizzato per la pesca e per il commercio locale. Alcuni ritrovamenti avvenuti nei decenniscorsi (sepolture, monete consolari, vasellame vario, reperti archeologici) confortano l’ipo-tesi che Sacrata si trovasse proprio sulle colline a ponente di Porto Potenza Picena: unapresenza che non ha lasciato tracce notevoli ma che contribuisce a dare al nostro territo-rio una suggestiva valenza storica.

SACRATA

La costa del Piceno nel-l’antichità classica conindicazione di Sacrata,

la città di Potentia el’antico corso dell’omo-

nimo fiume.Sala delle carte

geograficheMusei Vaticani, Roma

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Veduta aerea di Potenza Picena

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Abside della collegiata di Santo Stefano e parte delle mure castellane

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Lo stemma comunale di Potenza Picena raffigura una croce in campo rosso, sovrappostaa cinque monti. Secondo il Cenerelli Campana, questi ultimi rappresentavano le “cinquecomuni che formarono il distretto”: Gerola (San Paolo), a nord-est, nei pressi delle CasetteAntonelli; Terchio, detto anche Tergi; Santaro, cioè Monte Maggio; Sacrata; Monte Corio-lano. Don Vincenzo Galié ritiene che i cinque colli dello stemma potentino abbiano laseguente lettura: quello centrale e più alto sia la collina madre, su cui si trovava la Pieve diSanto Stefano; gli altri quattro simboleggino i quattro quartieri di Monte Santo, indicati nellostatuto, approvato da Callisto III nel 1455: San Paolo, o Girola, a nord-est; San Giovanni, asud-est, in zona Monte Canepino e villa Bonaccorsi; San Pietro, a sud-ovest, zona Castel-letta; Sant’Angelo, a nord-ovest, zona Marolino e Mulino. Roberto Domenichini individua nelcolle centrale Monte Santo; negli altri quattro minori indica Monte Coriolano (MonteGrugliano), Girola, Sant’Angelo e San Pietro.

STEMMA COMUNALE

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1 Frontespizio del cata-sto di Monte Santo,compilato nel 1762,raffigurante lo stemmacomunale. Archiviostorico comunale

2 L’attuale stemmacomunale

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Chiesa di San Francesco con il “pincio”,anni Venti - Trenta

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Vita sociale ed economica nella Monte Santo del XIV secolo

Grazie a studi condotti con grande meticolosità e competenza dallo storico RobertoDomenichini(7), è possibile avere interessanti notizie su alcuni aspetti della società santesedel Trecento. Sono tre le fonti di queste conoscenze: un catasto riferibile al 1371; gli attirogati nel 1375 dal notaio Stefano di Domenico; le registrazioni contabili di un mercante dipannilana dal 1386 al 1388. Il catasto, il cui primo compilatore fu il notaio Stefano di Matteo,sembra riconducibile al solo quartiere di San Pietro (detto anche di Galazzano; gli altri treerano Sant’Angelo, San Paolo o Girola, San Giovanni). Il registro mostra una proprietà moltofrazionata, con imponibili che spesso non raggiungono le dieci libbre. La fascia degli inte-statari più modesti (da una a 49 libbre di estimo) è pari al 65% del totale; il raggruppamen-to successivo (da 50 a 99 libbre) sfiora il 14%; la fascia dei possidenti medi (da 100 a 399libbre) è quasi il 16%, quella dei medio-alti (da 400 a 1000 libbre) si aggira sul 4%, quelladei più facoltosi (oltre le 1000 libbre) sull’1%. Cinquanta libbre era la quota minima perpoter essere eletti nel consiglio generale del Comune santese. Dai rogiti del notaio Stefanodi Domenico emerge un certo Aldrianus Nalli, notaio, proprietario di un frantoio e commer-ciante di pannilana, in una poliedricità di attività che non era affatto rara a quei tempi, det-tata dalla volontà di diversificare gli investimenti.Dal registro notarile di Stefano di Domenico apprendiamo che, nel 1375, Monte Santo pog-gia su un’economia in prevalenza agricola e presenta una non trascurabile attività commer-ciale, più in evidenza rispetto a quelle artigianali e manifatturiere. Notevole appare la ten-denza all’investimento fondiario, ritenuto bene rifugio. In agricoltura domina l’olivicoltura,favorita dal clima mite e dalla morfologia del terreno, collinare per quasi il 70%: essa dàluogo alla produzione e al commercio dell’olio. Il grano e il vino sono gli altri prodotti del-l’attività agricola locale. Di un certo rilievo nell’economia santese sono le fornaci che pro-ducono laterizi da esportare; da sottolineare anche la produzione di vasi. Il terzo documen-to preso in esame dallo storico Roberto Domenichini – le registrazioni contabili di un mer-cante di pannilana – porta alla luce la figura di Vanni di Messer Francesco. Questi è unfacoltoso proprietario terriero che si apre al commercio, soprattutto in campo tessile. Dalleregistrazioni relative alle sue vendite, si hanno interessanti notizie sulla sua attività mercan-tile. Egli dispone di una vasta gamma di tessuti, dai più economici a quelli di alta qualità,con un’ampia scelta di colori. La sua clientela arriva dai centri limitrofi (ad esempioCivitanova, Montelupone, Macerata, Osimo) ma anche da località più lontane (tra le qualiPerugia, Siena, Bologna, Milano), grazie al richiamo delle fiere che, nel basso Medioevo, siorganizzano in molte località della Marca. Intorno alla fine del Cinquecento i traffici com-merciali diminuiscono, le attività artigianali e manifatturiere quasi scompaiono: solo il lavo-ro agricolo continua a sostenere la popolazione locale.

UNA FINESTRA SUL PASSATO

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Il Monte di Pietà

Nella Monte Santo del XVI secolo(8) la gran parte della popolazione viveva in condizioni dipovertà, situazione comune anche nel resto del continente europeo. Per aiutare i cittadinia far fronte con un briciolo di dignità alle esigenze del vivere quotidiano, la Chiesa e i gover-ni locali crearono istituti come i monti di pietà. Quello santese iniziò ad operare il 30 gen-naio 1558, per iniziativa del Comune, intenzionato ad assistere i poveri nelle loro necessitàdi tutti i giorni. Ovviamente, per esistere il monte di pietà doveva dotarsi del denaro occor-rente per il prestito su pegno. Il patrimonio dell’istituzione santese derivava principalmentedal canale pubblico alimentato dal Comune, dal contributo delle istituzioni religiose e dadonazioni varie. Tra i finanziamenti dei privati vi era la questua: il Venerdì Santo, festa delmonte di Pietà, si raccoglievano offerte, come anche nel giorno di Pasqua. I prestiti alle per-sone bisognose, nei periodi di carestia, erano intesi a far fronte alle necessità alimentari: inquei frangenti il prezzo del grano saliva, mettendo in grave crisi i salariati. Le persone indifficoltà economica lasciavano al monte di pietà alcuni loro oggetti: si privavano, ad esem-pio, di capi di vestiario e di vari oggetti domestici. Lenzuola, camicie e tovaglie, ad esem-pio, erano tra le voci più ricorrenti tra i pegni lasciati prima del 1700; successivamente ini-ziarono a prevalere gli oggetti in metallo pregiato. Il monte di pietà santese fu, in definitiva,un’istituzione assistenziale che dovette intervenire in varie carestie; distribuiva aiuti che fun-gevano da stimolo al lavoro, sollecitando il debitore al riscatto del pegno in tempi ragione-volmente contenuti.

Alberi di ulivo,tenuta del ConteGian Mario Lazzarini,località San Girio

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I catasti, testimonianze dell’evoluzione del territorio santese

Una ‘fotografia’ della vita sociale nel territorio santese di qualche secolo fa è fornita dalCatasto Federici, realizzato dall’omonimo geometra di Monte Filottrano, cui la comunitàlocale aveva affidato il compito di eseguire il rilevamento topografico, la misura e la stimadei possedimenti(9). Il lavoro del tecnico iniziò nel novembre 1762 e terminò nel 1765. I dativennero raccolti in due registri voluminosi: uno descriveva i terreni censiti, la loro misura ela loro stima; l’altro riguardava le mappe nelle quali i possedimenti territoriali erano riporta-ti graficamente. Pur senza soffermarci sui dati tecnici della realizzazione dei registri cata-stali del Federici, è giusto segnalare un aspetto originale di quest’opera: il loro indirizzofisiocratico, secondo il quale l’estimo veniva calcolato in relazione alla capacità produttivadel terreno. L’imposta si doveva individuare sulla capacità produttiva del fondo, per cui eranecessario trovare il sistema per passare dal valore del ‘terreno investito’ a quello del ‘ter-reno nudo’ in maniera oggettiva.Il terreno coltivato, detto ‘terreno investito’, era il termine di riferimento da cui partire: dalsuo valore venivano tolte le spese sopportate dal proprietario e dall’agricoltore, arrivandoa dare una valutazione dell’attitudine del terreno nudo. I fondi erano, in tal modo, valutatiper la loro fertilità naturale e i proprietari erano addebitati della migliore coltivazione possi-bile. Essi, pertanto, erano spinti ad effettuare le colture più idonee se volevano evitare dipagare ciò che non producevano e non coltivavano. Nel catasto venivano distinti terreniarativi, prativi e sodivi. I possidenti erano laici ed ecclesiastici; i beni della comunità sante-se erano inseriti nell’ambito di quelli laici. L’estensione totale del territorio registrato dalFederici era di 4.634,38 ettari: i possedimenti laici ammontavano a 2.994,68 ettari, quelliecclesiastici totalizzavano 1.371,75; il terreno rimanente apparteneva al Comune e avevaun’estensione di 287,95 ettari. I possedimenti laici erano di piccole, medie e grandi dimen-sioni. Ai piccoli proprietari (73 su un totale di 91) appartenevano fondi con estensione mas-sima di dieci ettari; i medi proprietari (11 in tutto) possedevano terreni con superficie com-presa tra dieci e cento ettari; i grandi proprietari (7 in totale) avevano fondi di estensionesuperiore a cento ettari. La proprietà più vasta era quella del conte BonaccorsoBonaccorsi, al quale appartenevano ben 1.006 ettari di terreno; a distanza lo seguivano,nell’ordine, altri nobili, come il marchese Mancinforte Sperelli, il conte Carradori, l’EreditàMarefoschi, il conte Orazio Mazzagalli, il conte Lodovico Bernabei e il conte MicheleRinaldini. I possidenti ecclesiastici erano 38 e questo numero comprendeva conventi,monasteri, abadie e altro.Dal catasto Federici si può dedurre che la maggior parte dei piccoli terreni era lavoratadagli stessi proprietari. Nelle proprietà più grandi, frazionate in più terreni, operava la mez-zadria: ciò si desume dall’appartenenza dei grandi proprietari alla nobiltà e dall’esistenzadi diverse abitazioni coloniche per i mezzadri. Il catasto Federici non analizza le singolecoltivazioni realizzate nel territorio santese ma esse vengono raggruppate sotto la parola‘arativo misto’. Quest’ultimo interessava quasi il 90% del territorio accatastato e aveva nellacerealicoltura l’attività prevalente. Frequente era la presenza di piante come olmi, pioppi,

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Frontespiziodel catasto diMonte Santo,1585-1586,catasto Cicconi.Archivio storicocomunale

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querce, salici e mori, alberi che venivano ritenuti di sostegno alle necessità dei fondi, deiproprietari e dei coloni. Ad esempio, la quercia forniva le ghiande per l’alimentazione deisuini e legname; l’olmo vedeva le sue foglie utilizzate come foraggio. Di notevole importan-za era la coltura del gelso, vista la diffusione degli allevamenti dei bachi da seta a partiredal Settecento nel centro Italia. Frequente era la presenza di canneti: le canne erano tenu-te in buona considerazione dagli Statuti comunali perché servivano per sostenere le viti eperché fornivano la ‘cannafoglia’, che si utilizzava per alimentare il bestiame. Molti terreniospitavano uliveti e vigne: la vite si coltivava a filoni supportati da canne (vigna filonata) oappoggiata ad altre piante (vigna maritata o piantata): pregevoli, fin da allora, i vini prodot-ti. Oltre al terreno arativo, vi erano il prativo e il sodivo, entrambi di scarse qualità agricole.Le abitazioni rurali erano la testimonianza dell’impegno del colono a custodire i beni che glierano stati affidati. La mezzadria è la caratteristica dell’agricoltura locale e prevede unpodere, una casa e una famiglia contadina che vi opera. L’abitazione riveste un ruolo fon-damentale nell’attività: è un edificio che ha diverse funzioni, come quella di sicura dimoraper chi vi abita, disponendo di stanze, di un forno per cuocere il pane, di un pozzo di acquapotabile.Per l’allevamento degli animali ha a disposizione stalle, per ospitare i prodotti dell’agricol-tura ci sono magazzini adatti, per gli attrezzi da lavoro ambienti idonei. La casa ha ancheluoghi destinati alla prima lavorazione dei prodotti, come la cantina per la vinificazione el’aia per l’essiccazione e la trebbiatura dei cereali. L’abitazione rurale, quindi, è una dimo-ra e insieme la struttura portante dell’azienda agricola. Le sue dimensioni variano in basealla superficie del fondo e alle necessità delle coltivazioni. Nel 1855-1856 il Comune san-tese ebbe un nuovo catasto, compilato secondo le indicazioni di Papa Gregorio XVI.Rispetto a quello del Federici, il nuovo registro non si affida a misure locali ma si basa suun modulo comune, valido in tutto lo Stato. Inoltre perde di validità il principio della ‘fertilitànaturale’ del fondo perché manca di esattezza; al suo posto viene introdotto il criterio dell’‘attività relativa’, in base al quale la valutazione del terreno prende in considerazione lanatura del suolo, la sua posizione, le coltivazioni che vi si effettuano e ogni altro elementoutile a determinare un sistema di valutazione il più oggettivo possibile. Nel catasto rusticodel 1855-1856, poi, si assiste alla scomparsa dei privilegi del clero: i possessori ecclesia-stici vengono registrati nello stesso elenco di quelli laici. Dal confronto tra i due catastiemerge la differenza numerica di abitazioni coloniche: in quello del Federici erano 163, nelcatasto ottocentesco superano le 400 unità. Tale cospicuo incremento è dovuto alla note-vole frammentazione della piccola e media proprietà causata da divisioni per eredità e allaforte diffusione della mezzadria.

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Le abitazioni rurali nei secoli scorsi

Come erano le abitazioni della campagna santese del 1700 e 1800? Grazie ad uno studioaccurato di Sabrina Grandinetti(10) è possibile avere un’esauriente panoramica sull’argo-mento. La maggior parte delle case dei coloni di quel periodo venivano edificate in mezzoai campi, per dar modo a chi le abitava di vigilare su tutto il podere. Altre costruzioni eranocollocate vicino alle strade per facilitare le operazioni commerciali e i collegamenti con ilcentro urbano. Le case coloniche avevano, in prevalenza, forma rettangolare e le lorodimensioni erano, in qualche modo, direttamente proporzionali all’estensione del podere sucui erano edificate. Il tetto era normalmente a doppia falda, cioè a due spioventi; quello aquattro falde, visto il suo maggior costo di realizzazione, non veniva preferito. Le caseerano costruite con pietre e mattoni, ma si utilizzavano anche materiali provenienti da vec-chie abitazioni demolite. Non si ha, invece, notizia di costruzioni in legno e argilla. Di parti-colare interesse è la costruzione a palombara, a colombaia.La palombara è stato il primo insediamento abitativo nelle campagne in epoca medievale;successivamente, adeguandosi alla politica agraria, ha finito per diventare la costruzionededicata all’allevamento dei colombi terraioli. Nel 1700, quando il concime non venne piùfornito da questi volatili ma dai bovini, le palombare cominciarono a perdere la loro funzio-ne, anche se nelle campagne di Monte Santo ne esistevano una ventina intorno al 1765.Per comprendere l’importanza di questo particolare edificio occorre avere presente la suaevoluzione funzionale: quando si iniziò ad investire capitali cittadini sui fondi, prese il via ilripopolamento delle campagne e i contadini trovarono nelle torri medievali, esistenti dal1200, un punto di riferimento abitativo. La torre cominciò ad essere l’abitazione rurale delcolono e della sua famiglia, perdendo la funzione difensiva per la quale era stata costruita,diventando una costruzione integrata nella dimora di campagna.Accanto alla casa a torre iniziarono ad essere costruiti altri edifici a sviluppo orizzontale: nelXVIII secolo la famiglia colonica non abitava nella torre ma se ne serviva come magazzinoe, nella sua parte più alta, ricavava una stanza dove allevare i colombi. La palombara eranormalmente composta da tre piani, ognuno dei quali ospitava un solo vano. Nel pianoterra era ricavato il locale per deporre gli attrezzi da lavoro e per il ricovero degli animali;una scala interna portava al piano intermedio in cui, nei primi tempi dell’insediamento, viera l’abitazione della famiglia colonica, poi trasferita in una delle costruzioni di fianco allatorre, lasciando maggiore spazio al magazzino nel quale venivano conservati i prodotti deivari raccolti; salendo ancora su per la scala interna si giungeva al sottotetto, dove veniva-no allevati i colombi. Gli abitanti della casa-torre avevano, così, la possibilità di sorvegliaregli uccelli che allevavano, provvedendo alle loro necessità. La base della palombara eraquasi sempre quadrata, a volte rettangolare; l’edificio aveva un’altezza di circa dodici metrie la dimensione del lato era di sei metri. Il tetto della palombara poteva essere realizzatoad uno, due o quattro spioventi. Il più comune era quello a falda unica, ma era presenteanche quello a doppia falda. I materiali che venivano usati per costruire la palombara eranoquelli che si trovavano a disposizione nella zona: pietre e laterizi in particolare, anche insie-

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me. Le venti torri presenti nel territorio santese eranodistribuite quasi uniformemente, con maggiore con-centrazione in corrispondenza dei poderi delle fami-glie nobili: la famiglia Bonaccorsi, ad esempio, nepossedeva sei. Oggi sono rimaste solo due palom-bare nel territorio potentino: una si trova in contradaSanta Cassella, l’altra in zona San Girio.Negli anni a cavallo tra il XVIII e XIX secolo si assistet-te ad un sensibile popolamento delle campagne, cheportò ad una crescita numerica e di dimensioni delle

case coloniche. La palombara, fatto il suo tempo, lasciò il posto a magazzini spaziosi,necessari per conservare i prodotti agricoli. All’inizio del 1800 le abitazioni rurali santesi fece-ro registrare modificazioni, che riguardarono principalmente la scala e la pianta della casa.La prima, dall’interno della costruzione, si trasferì all’esterno addossandosi al lato lungodella costruzione e lasciando alla famiglia colonica più spazio abitativo. Ciò consentì anchedi realizzare l’indipendenza della parte abitativa dai locali sottostanti, dove si trovavano glianimali. La scala esterna delle abitazioni di campagna santesi era coperta a loggia. La pian-ta della casa subì delle variazioni nel corso del XIX secolo, diventando più articolata permeglio rispondere alle crescenti esigenze del nucleo familiare. L’edificio abitativo aumentòdi dimensioni e ad esso si affiancarono nuove strutture. La pianta della casa abbandonò laforma quadrata per assumere quella rettangolare od anche irregolare. Attorno all’abitazione

Panoramica della casacolonica del Conte

Gian Mario Lazzarini,località San Girio

Meridianacasa colonica

del conteGian Mario Lazzarini,

località San Girio

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Casa colonica conpalombara, localitàSanta Cassella

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comiciarono a costruirsi gli annessi: la capanna, il forno, il porcile, il pozzo e altre piccolecostruzioni per le necessità quotidiane. Intorno al 1800, nel territorio santese si introdussel’allevamento del baco da seta, attività che trasse la propria ragion d’essere dalla crescen-te domanda di prodotti serici che si verificò in tutto il continente europeo.L’introduzione di questo allevamento nel nostro territorio fece sì che le abitazioni dei colonisubissero delle trasformazioni, fino alla realizzazione di una particolare costruzione, denomi-nata “con bigattiera rialzata”. Intorno alla metà del XIX secolo si assistette al fenomeno delladivisione dei fondi agricoli: da un terreno se ne ricavano due o tre. Stessa sorte toccò allecase rurali: da un’abitazione riservata ad un solo nucleo familiare si creò spazio anche perun’altra famiglia di coloni, anch’essa impegnata nella coltivazione di un terreno appartenen-te allo stesso proprietario. Come è facile immaginare, le condizioni abitative erano tutt’altroche comode: al proposito si parlò delle tre ‘effe’ delle case rurali, sottolineando il freddo diun ambiente in cui il camino fa fumo ma non scalda e dove la fame non si placa.

Casa colonicacon palombara

località San Girio

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Le “Famiglie primarie” santesi dal XIV al XVIII secolo

In un documento autografo di Carlo Cenerelli Campana, conservato presso la BibliotecaFrancescana Picena di Falconara Marittima e risalente intorno alla metà del 1800, è ripor-tato l’elenco delle “Famiglie primarie di Monte Santo, esistenti ed estinte” dal secolo XIV alsecolo XVIII, “nell’ordine di Cernita, come risulta dai registri comunali”.Le Famiglie riportate sono: Casa Adriani, Casa Amari, Casa Augeni, Casa Barlotti, CasaBizzarri, Casa Boarese, Casa Bonaccorsi, Casa Bordoni, Casa Busciatti, Casa Carradori,Casagrande, Casanuova, Casa Cenerelli, Casa Censi, Casa Coccetti, Casa Comi, CasaCorraducci, Casa Coti, Casa Credenziati, Casa Fazzini, Casa Fortunati, Casa Gasparini,Casa Gentili, Casa Giacopini, Casa Giri, Casa Graziani, Casa Guardirucci, Casa Guarnieri,Casa Mancini, Casa Marefoschi, Casa Masi, Casa Masini, Casa Massi, Casa Massucci,Casa Mazzagalli, Casa Mazzoni, Casa Meoli, Casa Mercenari, Casa Monaldi, Casa Nobili,Casa Pechieni, Casa Pini, Casa Pettorali, Casa Peroni, Casa Pasquali, Casa Rossi, CasaRuggeri, Casa Scoccia, Casa Scortecchia, Casa Sereni, Casa Spiriti, Casa Tamberlani,Casa Torri, Casa Torzo (?). La segnalazione del documento autografo del Cenerelli Cam-pana ci è stata fatta dallo storico Roberto Domenichini, che ringraziamo cordialmente.

I nostri emigranti

Negli ultimi decenni del XIX e nei primi del XXsecolo, Potenza Picena diede un contributoimportante al fenomeno dell’emigrazione italia-na: Argentina, Canada, Stati Uniti d’America eBrasile furono tra le destinazioni più gettonatedai nostri conterranei in cerca di migliori condi-zioni di vita. Nel 1892 i potentini emigranti rag-giunsero il cospicuo numero di 125(11), collo-candosi al secondo posto nella provincia diMacerata in questa speciale classifica, prece-duti solo dai recanatesi.A lasciare il suolo natio era gente di varie clas-si sociali: presero la valigia artigiani, operai,marittimi ma anche professionisti. Negli ultimivent’anni del 1800, nel territorio comunalepotentino si registrò un sensibile incrementodemografico: il numero degli abitanti crebbedel 9%, raggiungendo quota 8.037. L’aumentodei residenti si verificò in concomitanza di una

Piramide de Mayorestauratanell’ottobre 2008

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flessione dell’economia del luogo, dovuta alle difficoltà del mercato agricolo che soffrivadella concorrenza delle importazioni di cereali.Dal 1890 e fino all’inizio della prima guerra mondiale l’emigrazione dei potentini fornì mano-dopera da inviare in Argentina: il movimento era talmente importante da giustificare la pre-senza di quattro subagenti di emigrazione, mentre anche il segretario comunale e il sinda-co collaborarono nel favorire le partenze e nell’assistere gli emigranti a risolvere le questio-ni relative al viaggio. Le province di Buenos Aires, Santa Fè, Cordoba e Mendoza viderol’arrivo di numerosi immigrati potentini, giunti nel continente americano per essere occupa-ti nell’agricoltura e nell’allevamento del bestiame. Molti di loro erano attratti dalla prospetti-va di poter diventare proprietari terrieri dopo alcuni anni di lavoro in loco. A testimonianzadel forte legame con la terra argentina esiste oggi a Potenza Picena un monumento: è laPiramide de Mayo, inaugurata il 16 luglio 1967, a ricordare quello stretto rapporto cemen-tatosi con gli anni.

Inaugurazione dellaPiramide de Mayo

16 luglio 1967

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La Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza”

Agli inizi del 1900, Porto Potenza Picena aveva poche cen-tinaia di abitanti e le loro principali occupazioni erano ilcommercio, l’artigianato e la pesca. Per la gran parte dellagente locale non mancavano le preoccupazioni di naturaeconomica e ciò rese sentita l’esigenza di creare un’orga-nizzazione che si occupasse di solidarietà sociale. In occasione del Carnevale del 1907, alcuni giovani si uni-rono per realizzare i festeggiamenti e, successivamente,decisero di conservare quel tipo di aggregazione, versan-do una quota settimanale di 10 centesimi. Poco dopo, unodi quei ragazzi si ammalò e gli altri, per aiutarlo, misero a disposizione una somma di dena-ro. Fu questa la nascita della Società di Mutuo Soccorso di Porto Potenza Picena, la cui riu-nione inaugurale si tenne il 9 giugno 1907, nella casa del signor Giovanni Colocci, in viaRegina Margherita, l’edificio a tutti noto come “il Palazzone”, di fronte alla stazione ferrovia-ria. I soci fondatori erano 46, il signor Colocci venne nominato cassiere e amministratorecapo della neonata società, il cui principio fondamentale era la fratellanza e la solidarietàtra i soci e il cui fine unico era il mutuo soccorso materiale, intellettuale e morale. La SocietàOperaia di Mutuo Soccorso “Speranza” svolge la sua lodevole attività da oltre un secolo;nel 2007, in occasione dei cento anni dalla fondazione, si è espresso l’auspicio che essapossa “costituire, per la cittadinanza locale, elemento di coesione e aggregazione tra lediverse realtà sociali e culturali che abitano il nostro territorio”(12).

Festeggiamenti per i100 anni della SocietàOperaia MutuoSoccorso “Speranza”,Porto Potenza Picena,2007

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Piazza Matteotti

Piazza Matteotti è il cuore di Potenza Picena, lo è sempre stata, fin da quando, in pienoMedioevo, portava il nome di piazza Santo Stefano, in omaggio all’antica pieve intitolata alprimo martire della cristianità. Subito dopo l’Unità d’Italia si chiamò piazza Principe diNapoli. Le fanno da cornice palazzi di storiche famiglie potentine, come i Bonaccorsi, iMarefoschi, i Carradori e i Mazzagalli; non sono più presenti, invece, la pieve di SantoStefano – elevata a Collegiata insigne nel 1754 e demolita nel 1796 – e la chiesa di SanGiovanni “de platea”. Il palazzo del Comune, il palazzo del Podestà, la torre civica e il tea-tro “Bruno Mugellini” sono alcuni degli edifici che circondano e caratterizzano architettoni-camente piazza Matteotti.Il palazzo del Comune dovette essere di proprietà del vescovo di Fermo(13) e sembra risa-lisse al 1199-1200. Nel processo di realizzazione dell’autonomia comunale santese, la strut-tura, dal Duecento in avanti, ospitò i Consigli Generale e di Credenza, il Magistrato e gli uffi-ci comunali. A metà del Settecento, il palazzo fu ricostruito dal ticinese Pietro Bernasconi,che si era già occupato di villa Bonaccorsi. Al piano superiore vi era una loggia, al di sopradella quale si trovava una ‘torretta’. Intorno al 1850 la loggia fu chiusa per ricavare spaziagli uffici comunali, la ‘torretta’ venne demolita e al suo posto si costruì una soffitta. Nelpiano terra c’erano tredici stanze, nelle quali trovavano posto, tra l’altro, lo spaccio delpane, il forno, il Monte di Pietà, la posta e l’archivio pubblico. Attualmente, nella Sala dellaGiunta del Palazzo Comunale sono esposti i quadri Madonna col Bambino tra i santiMartino e Rocco (1584) di Simone De Magistris, Allegoria della Pace (sec. XVIII) di CorradoGiaquinto e Sant’Emidio (1770) di Benedetto Biancolini. Il palazzo del Podestà risale al XIVsecolo ed è stato oggetto di opere di ristrutturazione nel Settecento – probabilmente con larealizzazione della merlatura ghibellina – e nella prima metà dell’Ottocento.L’edificio, nei suoi piani superiori, fu la sede degli uffici del Podestà, magistrato che si occu-pava prevalentemente di questioni giudiziarie; nel Settecento e nell’Ottocento le sue com-petenze si ampliarono fino a comprendere argomenti di natura amministrativa. Al pianoterra e nel seminterrato c’erano le carceri. La torre civica, sulle cui origini medievali non sihanno molte informazioni, fu ricostruita nel Settecento e ad essa lavorò anche l’architettoPietro Augustoni alla fine di quel secolo. La struttura, successivamente, venne danneggia-ta da un fulmine e fu riedificata su progetto dell’ingegner Gustavo Bevilacqua nel 1886.

LUOGHI DI STORIA, DI ARTE E DI FEDE

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Palazzo Comunalein una foto del secondodopoguerra

Piazza Principedi Napoli,inizi del Novecento

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Piazza Matteotti oggi

Piazza Matteotti conla fontana restaurata

nel marzo 2009

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Madonna colBambino tra i santi

Martino e RoccoSimone De Magistris,

1584, Sala Giunta

Allegoria della PaceCorrado Giaquinto,sec. XVIII,Sala Giunta

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Piazza Principe di Napoli, ora piazza Matteotti, al centro il Palazzo Comunale, 1887

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Teatro “Bruno Mugellini”, particolare del soffitto,al centro la tela dipinta dal pittore romanoIgnazio Tirinelli, 1862

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Il teatro “Bruno Mugellini”

Il teatro, autentico gioiello di storia e di arte, è una delle eccellenze di Potenza Picena.Fino al 1856 Monte Santo(14) non disponeva di un teatro stabile, a differenza dei Comuni limi-trofi. Per colmare quella lacuna, l’8 marzo di quell’anno il conte Osvaldo Carradori, il dr.Silvestro Bravi e Achille Gasparrini decisero di chiedere al Delegato Apostolico di Maceratal’autorizzazione a costituire una società di azionisti per la costruzione di un teatro stabile nelComune santese, autorizzazione che venne concessa dopo appena quattro giorni. Il 2maggio successivo, la seduta consiliare si occupò dell’argomento, in particolare dellarichiesta dei tre promotori prima citati di ottenere la concessione dell’uso della ‘sala muni-cipale’ e dei due vani adiacenti per costruire un teatro stabile. In quella riunione si sottoli-neò il vantaggio che la comunità locale avrebbe potuto trarre dalla disponibilità di una talestruttura e si definì il teatro come ‘scuola delle umane passioni, ove si corregge il vizio e lavirtù si esalta’. La seduta consiliare concesse l’uso dei locali richiesti, a patto che prima sicostituisse legalmente la società degli azionisti. Questa vide ufficialmente la luce il 12 giu-gno 1856 e della sua nascita si informò il priore comunale con una lettera del 17 giugno. Itre rappresentanti della società – Filippo Bonaccorsi, Arezio Gasparrini e Osvaldo Carra-dori – fecero subito redigere una perizia provvisoria per la costruzione del teatro e la invia-rono all’architetto recanatese Giuseppe Brandoni. Nella seduta consiliare del 4 aprile 1857venne presentata la proposta di utilizzare per la costruzione del teatro anche i due localisottostanti alla sala e alle due stanze annesse, in modo da realizzare una struttura piùcapiente. La richiesta fu accolta all’unanimità. Dopo un’altra perizia tecnica e altri atti ammi-nistrativi, in data 20 aprile 1858 il presidente della società teatrale, cav. Filippo Bonaccorsi,e il deputato della stessa società, Silvestro Bravi, assegnarono all’architetto Brandoni i lavo-ri per la costruzione del nuovo teatro nei locali del Comune. Questi terminarono nel novem-bre 1859; il 20 dicembre successivo venne eseguito il collaudo della nuova struttura.Le decorazioni del teatro furono realizzate dal pittore Filippo Persiani: egli terminò la suaopera dopo l’Unità d’Italia. Forse per celebrare tale avvenimento, venne dipinta l’incorona-zione di una donna (l’Italia) sulla parte centrale del soffitto. Il conte Filippo Bonaccorsi pro-pose di aprire il teatro al pubblico in occasione del Carnevale 1862. Il “Bruno Mugellini” hatre ordini sovrapposti di palchi, una platea a forma di ferro di cavallo, un palcoscenico, duecamerini, scale e servizi. La sua capienza totale è di 152 posti a sedere.L’intitolazione del teatro all’illustre musicista avvenne il 28 ottobre 1933. Nel 1970 la struttu-ra venne chiusa al pubblico; nel 1984 iniziarono i lavori di restauro che si conclusero nelfebbraio 1990. Oggi il “Mugellini” è un vero e proprio gioiello di arte, storia e cultura, ammi-rato da chiunque abbia la fortuna di entrarvi. A cura dell’Amministrazione Comunale, ospi-ta interessanti stagioni teatrali, con la partecipazione di noti attori. Il 18 novembre 2006, ilteatro ha visto recuperato il suo antico e prezioso sipario, un’autentica opera d’arte checompleta in maniera armoniosa l’intera struttura. Esso ha una larghezza di 704 centimetri eun’altezza di 561: è dedicato alla dea Minerva, divinità alla cui tutela gli antichi avevano affi-dato l’arte e la scienza. Per lunghi anni il sipario era rimasto abbandonato nei depositi

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comunali, in un oblio dal quale è stato riportato alla luce il 10 marzo 1998 grazie all’inter-vento di Bruno Grandinetti e di altri cittadini.L’Amministrazione Comunale ha poi provveduto a farne effettuare il restauro e a ricollocar-lo nel teatro “Mugellini”. Ignoto è l’autore del sipario: inizialmente si pensava fosse il pitto-re recanatese Filippo Persiani – l’artista cui si devono le decorazioni del teatro – ma dadocumenti d’archivio è emerso che il sipario venne acquistato dalla Società Teatrale dalSeminario di Macerata è che è più antico del teatro stesso; il restauro fu eseguito dal pitto-re potentino Lorenzo Giardetti. Il sipario presenta, nella sua parte centrale, una scena mito-logica con la dea Minerva e altri personaggi; nella cornice in alto vi è lo stemma sabaudodei Savoia in segno di omaggio per l’Unità d’Italia; in basso si nota lo stemma del Comunedi Potenza Picena. Grazie all’ultimo restauro – nel corso del quale sono stati rilevati prece-denti interventi con tecniche artigianali, eseguiti dai fratelli Rinaldo e Igino Carestia – il sipa-rio ha riacquistato uno splendore artistico notevole e concorre a rendere ancora più bello ilteatro “Mugellini”.

Interno del teatro“Bruno Mugellini”

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I portali

A Potenza Picena si possono ammirare alcuni portali di eccellente qualità artistica. PressoPalazzo Properzi se ne trovano due ogivali in terracotta, degli inizi del sec. XV; in via Tripoli,al numero 26, si incontra un portale in terracotta, con simboli ebraici, del sec. XVI. In vicoSolanelli troviamo il portale in pietra del palazzo Trionfi, oggi Mazzoni, datato 1469. Nelmezzo dell’architrave è scolpito lo stemma di famiglia, sorretto da due putti o angeli. Ai latidell’architrave vi sono due figure, una maschile e una femminile; sopra vi è un’iscrizioneche cita il nome di Giovanni Trionfi, nativo di Monte Santo, che aveva “acquisita” la nobiltàanconitana. Il palazzo doveva essere stato la sua casa natale.

Portale diPalazzo Properzisec. XV

Particolaredel portale

di Palazzo Trionfi,oggi Mazzoni

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Le porte di Monte Santo

La cinta muraria di Monte Santo era dotata di quattro porte d’accesso: Porta Girola (o diSan Paolo, conosciuta anche come Porta Marina), Porta San Giovanni (popolarmente deno-minata “della Madonna delle Grazie”), Porta di Galazzano (o “di Galiziano”, o “di SanPietro” o “Porta Macerata”), Porta del Cunicolo (o “della Cava”). Di esse è giunta in buonostato fino ai nostri giorni soltanto quella “di Galazzano”. Circa l’ubicazione delle porteoccorre notare che, in origine, esse non si trovavano nella posizione attuale, ma erano piùarretrate perché la cinta muraria di Monte Santo è stata allargata almeno tre volte dalle ori-gini (secoli X-XI) al Quattrocento; pertanto, quelle che conosciamo attualmente sono portecostruite a seguito dell’ultimo allargamento della cinta muraria, probabilmente verificatosinel secolo XV. Nel corso dei secoli le porte hanno subito vari restauri: gli interventi, in par-ticolare quelli effettuati sulle facciate esterne, hanno risentito dei gusti artistici e delle modeprevalenti in ogni singola epoca. Vediamo, in dettaglio, le quattro porte montesantesi.

Porta Girola,anni Trenta

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PORTA GIROLA. Situata a nord-est, menzionata in documenti risalenti al 1365 ed eretta neipressi della chiesa della Madonna della Neve, questa porta era l’inizio della strada checonduceva ai porti di Ancona e Recanati. Era una “porta doppia”, cioè aveva una porta chesi apriva verso l’interno e un’altra verso l’esterno; nel mezzo poteva ospitare un posto diguardia. In foto scattate intorno agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, si può osser-vare come la facciata fosse settecentesca, in quanto rifatta seguendo il gusto neoclassicodell’epoca in cui venne realizzata; vennero aggiunti anche dei merli, probabilmente perrichiamare le origini medievali della costruzione. Porta Girola venne demolita nel dicembredel 1950(15), sacrificata alle esigenze del crescente traffico automobilistico del tempo cherichiedeva una più comoda via d’accesso al centro abitato.

PORTA SAN GIOVANNI. Sita a sud-est, vicino alla chiesa della Madonna delle Grazie, moltoprobabilmente era la porta preferita dalla quale dirigersi verso il Porto di Monte Santo (l’at-tuale Porto Potenza Picena). Anticamente non esisteva l’attuale strada che dal Varco con-duce direttamente al Porto: dal Varco occorreva continuare per la strada di “Palazzo Rosso”

Porta San Giovanniprima della

demolizione nel 1956

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Porta di Galizianoo di Galazzano

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(oggi villa Compagnoni Mare-foschi). Pertanto, per raggiungereil Porto di Monte Santo o quello diCivitanova si partiva da Porta SanGiovanni, percorrendo la cosid-detta “Strada del Giardino” o divilla Bonaccorsi. La demolizionedi Porta San Giovanni risale al1956(16), anche in questo caso perrendere più facile l’accesso alcentro abitato di Potenza Picenacon le automobili.

PORTA DI GALIZIANO. Situata asud-ovest, pare debba il suo nomea quello di un rivo presso il qualevenne costruita la fonte omonima,utilizzata in passato per lavare obere. Era nota anche come “PortaMacerata” perché da essa partivala strada che conduceva all’omoni-ma città, capoluogo amministrativodella Marca per tutto l’antico regi-me. Come Porta Girola, anch’essa

viene menzionata in documenti del 1365 ed era una “porta doppia”, ospitando un posto diguardia. Nel corso dei secoli ha subito vari interventi di ristrutturazione, come quelli del 1566-72 e del 1775, anno nel quale venne rifatta la facciata esterna secondo il gusto neoclassico,con l’aggiunta di pinnacoli sulla sommità. Nel 1894 la porta è stata restaurata. Nel 1960 èstata isolata dalle mura castellane(17) e sottoposta ad altro restauro.

PORTA DEL CUNICOLO. Posta a nord, nord-ovest, si trovava in quello che ora è il quartie-re di Sant’Angelo. In tempi più recenti venne chiamata anche “Porta della Cava” (anche iltratto della strada di circonvallazione sottostante era detto “Strada della Cava”). Della Portadel Cunicolo si ha notizia fin dal 1365. Nell’archivio comunale di Potenza Picena esiste unadocumentazione visiva di questa porta, grazie ad una pianta a colori disegnata dall’inge-gnere comunale Saverio Pierangeli, allegata ad una sua perizia del 1818. La Porta delCunicolo, di cui si è persa memoria a livello popolare, era più piccola delle altre tre. Nellaperizia del 1818 risulta essere già chiusa; di essa resta solo un rudere.

Madonnina diporta Girola

opera diGiuseppe Asciutti

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Il porto di Monte Santo e la torre quadrata

Il trascorrere dei secoli ha un testimone d’eccezione a Porto Potenza Picena: la torre diSant’Anna, come tutti familiarmente la chiamano. L’imponente edificio è ciò che rimane diuna struttura fortificata, eretta in periodo medievale, a scopo difensivo. I documenti antichine parlano come dell’ ‘edificio del Porto’ o anche come ‘Porto’ di Monte Santo. Il grandefabbricato, in base a disegni del Settecento, aveva forma quadrangolare, un cortile internoe una porta che dava sul mare. Non vi sono dati certi sulle sue origini. In una pergamenadella prima metà del Quattrocento, probabilmente appartenente ad un registro, vi è unprimo accenno al forte: vi sono riportate delle spese del Comune, alcune delle quali relati-ve ad acquisto di utensili per il ‘Porto Communis’, a pagamenti per il trasporto di materialeda Monte Santo al Porto, al salario del ‘Capitano del Porto’, tale Alessandro di Domenico.L’archivio del Comune conserva un altro documento importante: in esso, nel febbraio 1426,si registra la nomina di un Capitano del Porto e si riporta l’inventario di beni presenti nel-l’edificio, forse già a quel tempo fortificato. Lungo il nostro litorale adriatico era particolar-mente attenta la vigilanza verso eventuali incursioni nemiche dal mare. Si ha notizia(18) chenel 1484, per prevenire possibili attacchi di imbarcazioni turche, venne attivato un servizio

Porto di Monte Santoin una raffigurazionedel tardo Seicentoda M. L. de Nicolò,Costa difesa,Fano 1998

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di soldati a cavallo che dovevano perlustrare le spiaggeper dare l’allarme in caso di avvistamenti di natanti osti-li. Nella prima metà del Cinquecento cominciò a farsiurgente il bisogno di rendere il Porto più protetto a causadi più frequenti minacce nemiche. Per meglio difendereil territorio, Papa Pio IV nel 1564 concesse al Comunesantese di utilizzare il denaro e i beni confiscati ai rei persistemare le mura castellane e la rocca del Porto. Non èescluso che quest’ultima sia stata riedificata quasi com-pletamente intorno alla fine del XVI secolo, come testi-monierebbe una piccola lapide presente sulla costruzio-ne. Riguardo alla torre (con base quadrata di m 5,70 per

lato, un’altezza di m 25, uno spessore delle pareti alla base di m 1,60 e di m 0.50 alla som-mità), pare che essa sia stata progettata dall’architetto Verzelli di Recanati. Dalla sommitàdell’imponente edificio, scrutando il mare fino all’orizzonte, era possibile avvistare imbarca-zioni nemiche in avvicinamento. Immediatamente veniva dato l’allarme a Monte Santo: digiorno con segnali di fumo, di notte con la luce del fuoco e col suono della campana a mar-tello. La presenza di altre torri lungo tutto il litorale adriatico permetteva, con le stessemodalità, di trasmettere l’allarme lungo la linea costiera, mettendo le popolazioni in condi-zione di organizzare per tempo la difesa. Nel Seicento l’area del Porto dovette vivere unperiodo di declino: il calo del commercio sul mare Adriatico è probabile che facesse dimi-nuire l’interesse del Comune santese per il suo Porto, ormai diventato quasi esclusivamen-te una struttura di difesa militare e sanitaria. Ai primi anni del XVIII secolo risale la prima

Torre Nova(in costruzione)tra Monte Santo

e il porto diRecanati

Pianta della fortezzadel porto

di Monte Santo

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descrizione abbastanza precisa dell’edifi-cio: in essa si presenta la ‘Torre quadra’,con il ‘maschio’ alto e imponente, copertodi tegole e idoneo per vigilare. Nellacostruzione, dotata pure di un pozzo d’ac-qua potabile e di una chiesetta, abitavasolo una famiglia e non vi erano validearmi per difendersi: questo, almeno, èquanto dichiara lo sconosciuto autore deltesto. Dopo il 1750, grazie alla crescitaeconomica verificatasi in agricoltura, ilPorto torna ad avere un suo ruolo. Nel1766 il Comune realizza interventi su tuttol’edificio, quindi anche sulla torre, cheviene dotata di merli ‘ghibellini’, come lemura perimetrali. Di tali lavori si parla negliatti consiliari e la data è incisa su un mat-tone dell’edificio.Terminate le guerre napoleoniche, scom-parso il fenomeno delle incursioni turchedall’Adriatico, non ha più ragione di esse-re la funzione difensiva dell’edificio, dema-nializzato in periodo napoleonico e poilasciato in semi-abbandono. Il Comune,dopo l’Unità d’Italia, ne tornò in possesso e, dopo alcuni anni, demolì il forte, decidendo diconservare la torre che, nel 1884, vedrà modificata la sua parte superiore. Da ricordare,oltre la torre del Porto, un altro importante presidio del litorale santese: si tratta della “TorreNova”, situata più a nord, nella giurisdizione della Parrocchia di San Girio.Attualmente la torre di Sant’Anna, ristrutturata nel 1998, ospita un percorso storico(19) apprez-zabile durante la salita verso la sommità dell’edificio; didascalie e cartelli esplicativi permet-tono al visitatore di ottenere le necessarie informazioni. Appese alle pareti interne, vi sono54 riproduzioni di disegni raffiguranti il litorale adriatico dello Stato Pontificio intorno al 1670,con tutte le fortificazioni e le loro planimetrie, da Porto d’Ascoli fino a Goro, nel Ferrarese. Idisegni originali sono conservati alla British Library di Londra. Salendo le eleganti scale inlegno della torre si incontrano due plastici che rappresentano la fortezza del ‘Porto’ nel 1667e Torre Nova in costruzione. Di particolare interesse un dipinto olio su tavola (cm 240x90) diAlessia Bianchini, raffigurante la battaglia di Lepanto. Salendo ancora si incontra un model-lino di marciliana, nave da carico veneta; questo tipo di imbarcazione era solito approdarenel porto di Monte Santo per caricare olio, vino, granaglie, prodotti nella nostra terra. Sullasommità della torre vi sono tre campane di bronzo con superficie decorata.

“Torre Nova”di proprietà delconte LeopoldoBonaccorsi,1930

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La torre del Portoristrutturata

nel 1998

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1 particolare dellacampana di bronzodella torre

2 interno della torre

3 plastico della“Torre Nova”

4 teste apotropaichedella campana dibronzo della torre

1 2

3

4

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Il Monastero delle Clarisse di San Tommaso Apostolo

La presenza del secondo ordine francescano nell’antica Monte Santo ha una significativatestimonianza nel monastero di San Tommaso Apostolo, fondato anteriormente al 1227(20).Di esso le prime notizie arrivano da una bolla di Papa Gregorio IX, datata 20 ottobre 1227.Si narra che a fondare la struttura religiosa siano state due consorelle di Santa Chiara. Ilmonastero presenta linee architettoniche sobrie, in accordo con l’umiltà caratteristicadell’Ordine francescano. A cavallo tra il XVII e XVIII secolo si è avuta la ricostruzione dellachiesa, il cui interno presenta elementi barocchi. Di linee neoclassiche, invece, sono glialtari in pietra, la cui realizzazione risale al 1780. Attribuiti a pittori di scuola romana sono idipinti che raffigurano l’Annunciazione e l’Immacolata tra San Gioacchino, Sant’Anna, SanFrancesco e Santa Chiara; L’incredulità di San Tommaso è il titolo di un’altra opera pittori-ca, eseguita dall’artista Francesco Caccianiga (1700-1781). Nel corso dei secoli la comu-nità francescana ha ricevuto donazioni provenienti da testamenti di fedeli; l’avvento diNapoleone e, successivamente, il nuovo clima politico-sociale venutosi a creare dopol’Unità d’Italia crearono molte difficoltà alla vita monastica. Nonostante ciò il monastero –che ospitò per un certo periodo le suore benedettine di Santa Caterina – ha continuato arappresentare, per la collettività potentina una significativa presenza, un punto di riferimen-to rilevante nel tessuto sociale cittadino.

Interno della chiesa

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Monastero delleClarisse, campaniledella chiesadi San Tommaso

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Il Monastero delle Benedettine di Santa Caterina in San Sisto

Il monastero e la chiesa di Santa Caterina sono stati eretti nel 1280, stando a quanto ripor-ta un catalogo benedettino. Di sicuro il convento – nel quale hanno trovato ospitalità lemonache benedettine – esisteva nel 1348, quando una signora del luogo, tale Gebelosa,destinò ad esso alcune sue proprietà, come registrato in un documento pergamenaceoconservato nell’archivio del Comune potentino. Intorno alla metà del XV secolo le autoritàreligiose avevano dato l’autorizzazione di realizzare un dipinto con l’immagine dellaVergine: tale opera, che forse venne ospitata nella chiesa, diventò subito oggetto di devo-zione sia per la gente locale che per i pellegrini in transito per Monte Santo. Monastero echiesa non sono intitolati, come si potrebbe pensare, a Santa Caterina da Siena ma alla ver-gine e martire Santa Caterina d’Alessandria.All’interno della chiesa (oggi sconsacrata e adibita a fototeca comunale), sull’altare mag-giore si trova Sant’Antonio Abate (sec. XVIII), di autore ignoto; ai lati dell’altare maggioresono conservate le opere Estasi di S. Teresa (sec. XVIII) e Madonna con Bambino, S. Luciae S. Vincenzo Martire (sec. XVIII). Il convento benedettino, dove trascorsero la loro vitamonastica giovani di illustri famiglie santesi, subì interventi di ristrutturazione verso la metàdel XVIII secolo; la chiesa venne quasi riedificata totalmente nella prima metà del secolosuccessivo. Anche le suore benedettine, ovviamente, furono penalizzate dagli eventi stori-ci del periodo napoleonico e dell’Unità d’Italia: le monache persero la proprietà dei beni e,dopo essere state ospitate dalle Clarisse nel monastero di San Tommaso, riuscirono adacquistare palazzo Marefoschi e l’annessa chiesa di San Sisto, dove hanno proseguito laloro attività religiosa.

Particolare diMadonna conBambino, S. Luciae S. Vincenzo Martire,autore ignoto,sec. XVIII,chiesa di SantaCaterina d’Alessandria

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Altare maggioredella chiesa di SantaCaterina d’Alessandria,Sant’Antonio abatesec. XVIII, autore ignoto

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Madonna col Bambino,San Giovanni Battista e

San Sisto, autore ignoto,fine sec. XVII

inizi sec. XVIII, Chiesa di San Sisto

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Nel corso degli anni il monastero di SantaCaterina è stato adibito, tra l’altro, ad asilo, orfa-notrofio femminile, casa di riposo di signoreanziane gestiti dalle Figlie della Carità (o mona-che Cappellone), che già in precedenza aveva-no gestito a Potenza Picena l’ospedale civile. Ilmonastero è stato anche utilizzato come sededella Congregazione di Carità, poi diventataEnte Comunale di Assistenza.Attualmente l’ex monastero ospita la casa diriposo, la fototeca comunale e l’associazioneAmici della Musica, l’Avis e alcuni appartamen-ti. Il 22 maggio 1933 al monastero delle Bene-dettine di Potenza Picena venne riconosciutaufficialmente la personalità giuridica. All’internodel monastero delle Benedettine è conservatal’opera, di autore ignoto, Madonna in gloria coni SS. Caterina, Benedetto e Scolastica (XVIIIsecolo); da sottolineare anche la presenza dellapoltrona sulla quale, nel maggio 1874, si sedet-te Papa Pio IX, in occasione della sua visita a Potenza Picena, nella chiesa della Collegiata(il Pontefice, nell’occasione, donò alla stessa chiesa un ostensorio e alle suore benedettinela sua papalina). Nella chiesa di San Sisto si può ammirare il dipinto Madonna col Bambino,San Giovanni Battista e San Sisto, di autore ignoto.

Poltrona su cui sedettePapa Pio IX nel maggiodel 1874, monastero diSan Sisto

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L’Istituto delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata

La vita religiosa di Monte Santo prima e Potenza Picena poi è stata ed è tuttora caratteriz-zata anche dall’opera delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata.Grazie all’iniziativa di Suor Faustina Mengo (1770-1829), nativa di San Girio e sorretta dauna fede straordinaria, questa congregazione vide la luce nel 1816 ed ebbe in CasaMazzagalli la sua culla(21). All’inizio furono cinque le giovani che, riunite dal prevosto donLuigi Pasquali, dedicarono la loro esistenza alla preghiera, al lavoro e all’educazione dellafanciulle povere, il tutto alla luce del valore redentivo della sofferenza. Nel 1818 le suore sitrasferirono nel convento dei Minori Conventuali e, nel 1820, furono ospiti della casa delconte Guelfo Rinaldini. Solo nel 1822, con l’autorizzazione dell’Arcivescovo di Fermo,Cardinale Brancadoro, si spostarono nel collegio della soppressa Compagnia di Gesù.Guidate da Suor Faustina, esse si distinguevano pure per la loro bravura nei lavori di tes-situra, grazie ai quali cercavano di far fronte alle difficoltà economiche, aiutate in ciò ancheda don Pasquali e dai Padri Cappuccini.La loro maestria al telaio è stata sempre unanimemente apprezzata e ha dato luogo a pro-dotti di eccellente qualità. Ancora oggi è possibile ammirare i telai, sui quali lavorano alcu-ne ragazze del luogo.

La cappella deiCittadini e artisti

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Antico Telaio dell’Istituto delle figlie del SS. Redentoree della Beata Vergine Addolorata

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Chiostro dell’Istituto delle figlie del SS. Redentoree della Beata Vergine Addolorata

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Le suore, che crescevano di numero col passare del tempo, davano un’educazione cristia-na alle bambine povere del paese, istruendole e assistendole con cura e generosità d’ani-mo. Il 31 marzo 1838 il Papa concesse alle Figlie del SS. Redentore e della B.V. Addoloratal’abitazione nella prepositura di Monte Santo. L’anno successivo la Congregazione dellaCarità di Monte Santo chiese alle suore dell’Addolorata che due di loro si rendessero dispo-nibili per assistere le piccole ospiti nella casa dell’orfanotrofio a Sant’Antonio: era la primavolta che il loro servizio veniva richiesto al di fuori della Casa madre. Il 2 febbraio 1924 ilVescovo fermano, Carlo Castelli, emanò il decreto di formale approvazione dellaCongregazione delle Suore del SS. Redentore e della B.V. Addolorata.Nel 1928 il Comune di Potenza Picena sollecitò la superiora Madre Ida Murri ad aprire unaCasa a Porto Potenza Picena: ella ne parlò col parroco don Silvio Spinaci e, successiva-mente, venne chiesta a Mons. Marinozzi la disponibilità di una grande colonia marina nelpaese rivierasco. Da quel momento in poi la presenza delle suore dell’Addolorata si diffu-se in varie località: nel 1930 venne aperta una Casa a Meldola (Forlì); nel 1934 l’Istituto por-topotentino si trasferì in via Regina Margherita; nel 1937 si aprì una nuova Casa aFontespina; nel 1939 le suore acquistarono un edificio in territorio di Amandola per gestireun pensionato di giovani studentesse; nel 1944 venne aperta una scuola a MontefalconeAppennino.Tra il 1955 e il 1958 vennero eseguiti lavori di ristrutturazione dell’ex collegio dei Gesuiti,sede delle suore a Potenza Picena. Nel 1971 ebbe inizio l’attività apostolica e missionariadelle Figlie del SS. Redentore e della B.V. Addolorata in Brasile: gli insegnamenti e il desi-derio della fondatrice, Suor Faustina, di aprirsi ai bisogni dei poveri varcavano, così, i con-fini locali per soccorrere genti di un altro continente. Il 2 febbraio 1990, sotto il pontificatodi Giovanni Paolo II, l’Istituto è divenuto di Diritto pontificio. Tuttora le Suore del SS.Redentore e della B.V. Addolorata continuano la loro opera educativa e sociale a vantag-gio dei giovani e delle famiglie bisognose.

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Il convento dei Cappuccini

Il consiglio comunale santese, nel marzo 1560, provò a convincere, senza successo, iCappuccini a stabilirsi nel suo territorio e per far questo decise di assegnare loro la chiesadi San Girio e il vicino convento, che prima ospitava i padri Carmelitani. Otto anni dopo iltentativo si ripeté: la terra offerta per la costruzione del monastero, in quella occasione, erastata individuata su un colle, che verrà detto ‘dei Cappuccini’, l’attuale Colle Bianco. I fratigradirono l’invito e, nel giro di due anni (1571-1572) la chiesa fu eretta e venne intitolata aSan Lorenzo Martire. Per motivi ignoti, nella prima parte del XVII secolo i Cappuccini fece-ro richiesta di demolire tutto il complesso e di edificare un nuovo monastero non lontano dalluogo dove sorgeva quello precedente. Nel periodo 1653-1657 il convento venne costrui-to, anche grazie alle donazioni dei fedeli locali. Come gli altri ordini religiosi, anche i Cap-puccini subirono le soppressioni dell’età napoleonica. Negli anni successivi all’Unitàd’Italia, chiesa e convento furono abbandonati e chi vi era ospitato si trasferì in case di pri-vati. Il Comune acquistò l’ex monastero nel 1869 per farne un ricovero per mendicanti; nel1875 i Cappuccini, su loro richiesta, vennero autorizzati ad assistere i ricoverati.Alla fine del XIX secolo i monaci tornarono in possesso dei loro edifici, chiesa compresa.Quest’ultima è stata recentemente fatta oggetto di opere di restauro; in essa si trovanoimportanti dipinti, come la Deposizione del De Magistris (1576), la Sacra Famiglia e SanGiovannino fine XVI secolo, del pittore toscano Santi di Tito e altre opere di pregio.

La Sacra Famigliae San Giovannino,Santi di Tito,fine sec. XVI,convento deiCappuccini

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La Deposizione, Simone De Magistris, 1576,convento dei Cappuccini

Altare del convento dei Cappuccini

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Il Convento dei Frati Minori

La presenza dei Frati Minori, popolarmente detti “Zoccolanti”, a Monte Santo risale allaseconda metà del XV secolo. Il pontefice Pio II inviò al Comune, nel 1463, due bolle con lequali intendeva promuovere la realizzazione di un monastero da costruire a poca distanzadalla chiesa di San Girio. L’ubicazione indicata, però, non piaceva ai monaci perché la vici-na valle del fiume Potenza non garantiva caratteristiche di salubrità; per questo i frati espres-sero il loro gradimento per un’area prossima al centro abitato santese. Il luogo venne indivi-duato nella collina vicina a porta Galiziano, nei pressi di un bosco. Fu papa Alessandro VI,nel 1498, ad autorizzare l’insediamento; un anno dopo iniziò la costruzione del monastero edella chiesa, intitolata a S. Antonio da Padova. La chiesa, nella quale sono stati sepolti mem-bri di importanti famiglie santesi – come i Marefoschi, gli Scoccia e i Mancinforte – conser-va opere di un certo rilievo, come una Crocifissione del pittore veneto Palma il Giovane(1599) e la pala dell’altare maggiore Madonna con Bambino e i santi Giuseppe, Caterinad’Alessandria, Francesco e Antonio, realizzata da Simone De Magistris (1576).L’epoca napoleonica ebbe pesanti conseguenze sul monastero. La struttura, venduta a pri-vati, subì delle manomissioni e fu anche impiegata come lazzaretto in occasione di un’epi-demia di tifo che si verificò nel 1817. I monaci rientrarono in possesso del convento nel 1831;dopo l’Unità d’Italia, però, il monastero venne ancora espropriato e utilizzato come casermamilitare. Solo alla fine del XIX secolo i frati sono riusciti a riprendere il possesso di chiesa econvento, che sono stati ricostruiti nel tempo. Attualmente il convento ospita il centro missio-nario della provincia dei Frati minori e un bel museo missionario.

Chiostrodel conventodei Frati Minori

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Altare maggioredel convento

dei Frati Minori

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Madonna con Bambinoe i Santi Giuseppe,Caterina d’Alessandria,Francesco,Antonio da Padova,Simone De Magistris,1576, pala dell’altaremaggiore del conventodei Frati Minori

CrocifissionePalma il Giovane, 1599

convento deiFrati Minori

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La chiesa di San Nicolò, nota come di San Francescoo dei PP. Francescani Conventuali

Nell’area del Belvedere Donatori di Sangue, meglio noto come Pincio, sorge la grande chie-sa di San Nicolò, comunemente detta di San Francesco. La presenza del Santo di Assisidalle nostre parti viene riferita dalla tradizione popolare, secondo la quale i santesi dona-rono al Poverello e ai suoi seguaci delle piccole case, proprio nella zona dell’attuale Pincio.Quei piccoli edifici dovettero essere la base sulla quale venne costruito il monastero fran-cescano nel terzo decennio del XIII secolo. I frati, trasferitisi per un periodo di tempo aMonte Grugliano (Coriolano), tornarono a San Nicolò intorno alla fine dello stesso secolo:chiesa e monastero divennero luoghi di riferimento importanti per i fedeli locali. La chiesa,secondo le informazioni fornite dall’inventario del 1729, aveva due navate e sei altari; tra leopere d’arte presenti c’era un polittico su tavola di Vittore Crivelli, risalente al 1493 e oradisperso; vi erano anche affreschi eseguiti da Ludovico Urbani nel 1491. La chiesa, comela vediamo oggi, risale agli anni intorno al 1770: la facciata e il campanile, entrambi di note-voli dimensioni, pare siano stati opera dell’architetto lombardo Pietro Augustoni.All’interno della chiesa si possono ammirare quattro statue che rappresentano le virtù car-dinali; pregevoli anche il coro ad intagli, realizzato dall’ebanista Moschetti, e i confessiona-li. I dipinti presenti risalgono quasi tutti al XVIII secolo: raffigurano, tra l’altro, un Miracolo diSan Giuseppe da Copertino, La Natività, Il transito di S. Andrea di Avellino. Ai lati del qua-dro dell’altare maggiore, che rappresenta la Vergine Immacolata tra Angeli e i SantiNiccolò, Francesco d’Assisi e altro santo francescano (forse S. Giuseppe da Copertino), sipossono vedere due tele relative alla vita francescana. Attualmente la chiesa appartiene aldemanio; quello che resta del convento è stato adibito dal Comune a biblioteca e archiviostorico.

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La Prudentiasec. XVIII,chiesa di

San Francesco

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Particolare del coro ad intaglio della chiesa di San Francescorealizzato dall’ebanista Moschetti, sec. XVIII

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La chiesa di San Giacomo

Sita nei pressi di porta Galiziano, la chiesa sembra risalga alla seconda parte del XIV seco-lo. La sua costruzione e l’officiatura sono relative all’attività della confraternita del CorpusChristi, nota anche come di San Giacomo, un tempo unita alla confraternita di S. MariaMaddalena, la cui sede era presso la chiesa dei padri Agostiniani, che portava lo stessonome. Nel novembre 1430, la curia fermana autorizzò il priore della confraternita di S. MariaMaddalena, Ludovico di Tommaso, a costruire un ‘ospedale’ per poveri e malati (venne impie-gato pure per ospitare i pellegrini diretti al santuario lauretano); tale costruzione, da edificar-si vicino a porta Galiziano, doveva essere dedicata a San Giacomo Maggiore apostolo. Nelcatasto di Monte Santo del 1371 c’è già notizia della presenza di questa chiesa. Ulteriore con-ferma della edificazione del sacro edificio si ricava dal rosone in pietra arenaria, che si puòammirare sulla facciata: secondo vari studiosi, esso risale proprio alla seconda parte delXIV secolo. Ospedale e chiesa hanno formato un unico complesso fino a circa il 1750: ilprimo venne chiuso nel 1765 perché era diventato un riparo di malfattori; la seconda, inve-ce, diventò sede parrocchiale con bolla del 20 ottobre 1774 dell’Arcivescovo di Fermo, car-dinale Urbano Paracciani. La chiesa di San Giacomo venne ristrutturata intorno alla fine delXIX secolo. Nel 1943 c’è stato un ulteriore intervento: è stato eseguito su progetto dell’ar-chitetto Eusebio Petetti e ha riguardato la facciata. Nella chiesa è conservato un polittico diPaolo Bontulli da Percanestro (1507), intitolato La Vergine con Bambino tra i SS. GiacomoMaggiore e Rocco. Nei due altari laterali si trovano il S. Cuore di Luigi Fontana (sec. XIX) eSan Michele Arcangelo uccide il demonio (sec. XVIII).

Rosone in pietraarenaria sulla

facciata della chiesadi San Giacomo,

sec. XIV

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Vergine con Bambinotra i SS. Giacomo

Maggiore e Rocco,polittico di

Paolo Bontulli daPercanestro, 1507,

chiesa di San Giacomo

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Particolare del politticodi Paolo Bontulli da Percanestro

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La chiesa della Madonna delle Grazie

Tra le molte chiese che sorgono a Potenza Picena, quella della Madonna delle Grazie èparticolarmente cara alla gente locale. Si trova vicino a Porta San Giovanni, nel luogo dovepare vi fosse un’edicola votiva che meritò la devozione dei fedeli. Si racconta che un dipin-to della Madonna con il Bambino, risalente all’inizio del XV secolo, dispensasse grazie acoloro che vi si rivolgevano con fiducia e con la preghiera. Anche nello Statuto comunale,approvato nel 1455, si parla del luogo come Via Gratiarum, via delle grazie. La fede delpopolo potentino, grande e profonda, ha riservato sempre particolare attenzione a questapiccola chiesa. Intorno al 1750 essa restò chiusa perché le sue condizioni strutturali nongarantivano la sicurezza; negli anni Ottanta dello stesso secolo la chiesa rischiò anche diessere demolita per ordine dell’arcivescovo di Fermo, mons. Minucci, intenzionato a servir-si del materiale per restaurare la chiesa di San Giacomo.Ovviamente la popolazione di Monte Santo si oppose strenuamente alla decisione del pre-lato fermano: la gente chiese aiuto al conte Leandro Mazzagalli, pregandolo di finanziare ilavori di recupero della chiesetta e di acquisirne il patronato. La volontà del popolo preval-

Affresco dellaMadonna

delle Grazie,inizio sec. XV

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se e l’edificio religioso venne ristrutturato e ingrandito, permettendo a più fedeli di frequen-tarlo: esso divenne anche meta privilegiata dei pellegrini che si recavano a Loreto, i qualilo visitavano per manifestare la loro autentica devozione e gratitudine. Essi lasciavano ex-voto alla Vergine, in particolare tavolette raffiguranti immagini di miracoli. La chiesa dellaMadonna delle Grazie venne ampliata nel 1872 per ospitare un maggior numero di fedeli;nel 1883 fu rifatta la facciata. Undici anni dopo, in un clima di grandi festeggiamenti popo-lari, si ebbe la solenne incoronazione della Vergine e del Bambino.Dopo il crollo del tetto, avvenuto nel 1970, la chiesa è stata ricostruita quasi completamen-te. Le cronache degli anni recenti hanno, purtroppo, dovuto registrare i furti delle coroned’oro della Madonna e di Gesù: gesti inqualificabili che contrastano profondamente conl’amore e la fede della gente potentina verso questo caro luogo di culto.

Chiesa di SantaMaria della Neve,anni Cinquanta

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La chiesa di Santa Maria della Neve

Vicino alla porta principale di Potenza Picena (porta Girola) si può ammirare la chiesa dedi-cata alla Beata Vergine della Neve. Fu costruita, probabilmente, nella prima parte del XVsecolo: ciò pare trovare conferma nel fatto che l’affresco Madonna col Bambino e angeliche si trova sopra l’altare venga attribuito da alcuni studiosi a Giacomo di Nicola daRecanati, artista che operava nella nostra regione nel sec. XV, il dipinto sembra sia statorimaneggiato più volte nei secoli successivi. Quasi certamente la chiesa, in origine, era dipiccole dimensioni; successivamente, grazie a donazioni, si poterono effettuare lavori diampliamento. Nel 1573 il vescovo di Fermo, mons. Maremonti, durante la visita apostolicadi quell’anno, ordinò che fossero realizzate opere di miglioramento strutturale. La chiesavisibile oggi dovrebbe risalire alla seconda metà del XVII secolo, probabilmente al 1663,data che si può leggere in una incisione su cotto. Forse dello stesso periodo è il nuovo alta-re e la casa adiacente, dove abitò un eremita, che dovette fungere da custode dell’edificioreligioso. La loggetta d’ingresso della chiesa fu costruita nel corso del XVIII secolo: essapoteva dare riparo ai pellegrini diretti a Loreto, garantendo loro una sosta sicura in caso dimaltempo. Nell’estate del 1672 Papa Clemente X concesse il privilegio di indire, ogni anno,una fiera il 5 agosto, giorno della Beata Vergine della Neve: l’iniziativa, che interessò anchei giorni 4 e 6 dello stesso mese, dava la possibilità di portare e vendere merce, senza paga-re alcuni dazi. Dalla chiesa di Santa Maria della Neve, il 19 settembre di ogni anno, parti-va un pellegrinaggio popolare verso il santuario di Loreto, per ringraziare la Vergine delloscampato pericolo corso da Monte Santo, che stava per essere ‘infeudato’ dalla SantaSede e dal duca di Ferrara nel 1562. Tale minaccia svanì per l’orgogliosa reazione dellagente santese. Nei primi anni del XVIII secolo, nella chiesa fu sepolto il marchese LudovicoMarefoschi: con il suo testamento aveva istituito il conservatorio per le orfane potentine.

Portico restauratodella chiesa di Santa

Maria della Neve

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La chiesa di Santo Stefano

Nota come Collegiata, è quella originariamente dedicata a S. Ignazio, appartenuta aiGesuiti, i quali potevano disporre anche di un collegio, ospitato nell’edificio annesso. Il pro-getto dell’intera struttura è opera dell’architetto p. Giovanni De Rosis e risale all’ultima partedel XVI secolo; nel 1616 fu approvato in maniera ufficiale dal p. Generale della Compagniadi Gesù. La realizzazione del grande complesso architettonico gesuitico venne promossada un benefattore, il nobile Antonio Casagrande, che allo scopo mise a disposizione unacospicua somma di denaro. A Monte Santo i primi rappresentanti della Compagnia di Gesùarrivarono intorno al 1580, ospiti di privati, e si misero immediatamente a svolgere la loroattività religiosa. Alla fine del 1584 vide la luce la congregazione dei “Cittadini e artisti”, inti-tolata dalla Beata Vergine Assunta, che è stata attiva fino a dopo la seconda guerra mon-diale. A quegli stessi anni dovrebbe risalire anche l’istituzione della congregazione dei con-tadini, che venne dedicata alla Purificazione di Maria. Successivamente ebbero origine lecongregazioni dei nobili, degli ecclesiastici e degli scolari.La prima pietra del collegio dei Gesuiti fu posta nel maggio 1585 da Fabio De Fabiis, padreprovinciale dell’Ordine, sul luogo dove, in precedenza, sorgevano la chiesa di Santa Luciae l’ospedale di San Giuliano. La costruzione della chiesa di S. Ignazio – una delle prime inItalia dedicata al Santo – iniziò nell’agosto 1631, presente l’arcivescovo di Fermo. Alleingenti spese contribuì una donazione del conte Pietro Antonio Marefoschi, che morì pro-prio in quel periodo. Nel 1773, sotto il papato di Clemente XIV, la Compagnia di Gesù fusoppressa e anche a Monte Santo la presenza dei Gesuiti venne meno. Nel 1796 l’antica

Madonna colBambino e angeli,attribuita a Giacomodi Nicola daRecanati, sec. XV,chiesa di SantaMaria della Neve

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Pieve di Santo Stefano, che sorgeva dove ora c’è piazza Matteotti, venne abbattuta: nel1754 era stata elevata a Collegiata da Benedetto XIV. La Collegiata e il Capitolo vennero,così, trasferiti nella chiesa di S. Ignazio che, il 25 maggio 1796, venne dedicata a S. Stefanoprotomartire. Sull’altare maggiore della chiesa, dove si trovava il quadro raffigurante S.Ignazio, opera del romano Giacinto Brandi, vi è collocato il S. Stefano, della scuola delPomarancio (prima metà del sec. XVII); nella cappella a sinistra La Pentecoste del mila-nese Andrea Lanzani (1677); nella seconda di destra si può ammirare La morte di S.Giuseppe, di cui è autore il fiorentino Benedetto Luti (1666-1724). Altra opera di pregio èl’organo costruito dai Bazzani di Venezia nel 1848. Una scalinata scende alla cappelladella Congregazione dei Contadini, sottostante la chiesa: le pareti e il soffitto conservanoaffreschi di Benedetto Biancolini (sec. XVIII).

Organo della chiesadi Santo Stefanorealizzato dai Bazzani,1848

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La Pentecoste,Andrea Lanzani,

1677,chiesa di

Santo Stefano

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Cappella dei contadini,seconda metà sec. XVIII

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Santo StefanoScuola del Pomarancio,inizio sec. XVII

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La chiesa di San Marco

La chiesetta di San Marco, tuttora esistente, si trova a breve distan-za dalla chiesa di Santo Stefano. Dedicata all’Evangelista (fine sec.XIII-inizi XIV), il più antico documento che attesta la sua esistenzarisale al 1346 ed è stato ritrovato dallo storico Roberto Domenichini.Rimasta di proprietà della Santa Casa di Loreto, è attualmentesconsacrata, sembra da più di settanta anni.

Particolaredell’ostensorio donato

da Papa Pio IXnel 1874 alla chiesa di

Santo Stefano

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L’ex complesso agostiniano

Nel centro storico di Potenza Picena, a poche decine di metri da piazza Matteotti, si incontrail complesso di Sant’Agostino: ne fanno parte l’ex convento, la chiesa, il campanile e il chio-stro. La presenza degli agostiniani a Monte Santo e nella preesistente chiesa di Santa MariaMaddalena è testimoniata da un documento conservato in Vaticano e risalente al 2 Luglio1250. In quella data il vescovo di Fermo, Gerardo, concesse a quei religiosi quella chiesa,concessione che fu ratificata da Papa Innocenzo IV il 20 Settembre dello stesso anno. Nel XIVsecolo alcuni agostiniani dimorarono nel convento e il Comune offrì cera alla chiesa.Del 1348 è il testamento di una tale signora Gebelosa che destina dei beni per la “fabrica” diSanta Maria Maddalena: probabilmente il convento fu ricostruito o almeno ristrutturato intor-no alla seconda decade del 1400. La chiesa, fin dalle origini, è intitolata a Santa MariaMaddalena: agli inizi del XX secolo nel complesso di Sant’Agostino è stata ritrovata una ter-racotta raffigurante la Santa. Tale opera, attribuita ad Ambrogio Della Robbia, è stata ospita-ta nella sala della Giunta Municipale di Potenza Picena, poi è stata rubata nel Gennaio 1997.Secondo alcuni, la preziosa terracotta era, in origine, posizionata sopra l’altare maggiore dellachiesa. Popolarmente il tempio porta la denominazione di Sant’Agostino per il fatto che vioperavano i padri agostiniani. Fino ai primi decenni del XVIII secolo la chiesa presentava duenavate, quattro archi, otto altari e tre porte. I lavori di rifacimento del complesso pare si pro-trassero fino al 1770. In seguito a lavori realizzati in anni recenti (2002-2007) la chiesa, scon-sacrata, è divenuta sede del centro culturale intitolato alla memoria del premio OscarFerdinando Scarfiotti. L’edificio mostra linee semplici e decorazioni che offrono all’insieme unasobria eleganza. Entrato dall’ingresso principale, il visitatore può osservare, sulla parete sini-stra, il primo altare laterale, dove si conserva un dipinto ad olio su tela della prima metà del1600, della scuola di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio: San Nicola da Tolentino interce-de per le anime del purgatorio. Il secondo altare di sinistra presenta un olio su tela del XVIIIsecolo, opera di artista ignoto: essa rappresenta la Vergine col Bambino, Santa Chiara, ilbeato Antonio da Amandola, San Clemente da Osimo e Sant’Agostino. Nel terzo altare sini-stro si può ammirare la Madonna del Rosario, i cui autori sono stati individuati negli artisti fer-mani Filippo e Alessandro Ricci (XVIII secolo). Sulla parete dell’abside si trova una grandetela che mostra Maria Maddalena ai piedi della Croce: l’opera è di Piero Tedeschi. Al centrodella zona absidale è ospitato il prezioso organo da sala di Giovanni Fedeli (1757), restaura-to nel 2007. Sull’altro lato della chiesa, presso il terzo altare di destra, vi è un dipinto ad oliodel Settecento, di autore sconosciuto: ritrae la Madonna col Bambino, Santa Monica eSant’Agostino. Nel primo altare destro si può osservare una scena del Miracolo del pozzo,anch’essa del XVIII secolo e di autore ignoto. Nel corpo laterale, oggi utilizzato come foyer, aridosso della parete sinistra si nota il paramento dell’altare maggiore; si può ammirare ancheil tabernacolo, opera del Settecento. Nella parte superiore del foyer si trova l’opera diBernardino di Mariotto (1506) intitolata Madonna con Bambino tra i SS. Antonio, Francesco eAngeli musicanti. Attualmente l’ex complesso agostiniano è una struttura polivalente e spa-ziosa, con funzione di auditorium, sala convegni o ambiente museale.

Facciatadella chiesadi Sant’Agostinooggi auditorium“F. Scarfiotti”

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La Maddalena aipiedi della Croce,

Pietro Tedeschi,seconda metàdel sec. XVIII

Internodell’auditorium“F. Scarfiotti”ex chiesadi Sant’Agostino

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Madonna conBambino tra i SantiAntonio, Francescoe Angeli musicanti,

Bernardino diMariotto, 1506,

foyer dell’auditorium“F. Scarfiotti”

L’architetturadell’auditorium“F. Scarfiotti”

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Anticocandeliere

San Nicola daTolentino intercede

per le anime delPurgatorio, della

scuola di CristoforoRoncalli detto il

Pomarancio,sec. XVII

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Madonna del Rosario, attribuito a Filippo e Alessandro Ricci di Fermo, sec. XVIII

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p a e s a g g i o

Il territorio comunale di Potenza Picena, bagnato dal mare Adriatico, ha una superfi-cie di 48,2 chilometri quadrati e una popolazione di poco superiore ai 15.000 abitanti.Se la provincia di Macerata è definita, a buon diritto, “terra delle armonie”, i luoghipotentini ne sono un esempio validissimo. Un entroterra costituito da dolci colline – sullequali le varie colture agricole disegnano geometrie d’autore, apprezzabili nei filari diviti e negli uliveti – che godono di una benefica esposizione al sole; un litorale pianeg-giante, dove chi ama il mare ha a disposizione spiagge sabbiose e ampie. Quattro sonoi nuclei abitativi del territorio comunale potentino: Potenza Picena, Porto PotenzaPicena, Montecanepino e San Girio. Sono centri aventi peculiarità diverse che, messeinsieme, donano alla nostra realtà locale una ricchezza di storia e di tradizione chenon ha nulla da invidiare alle altre città marchigiane e a quelle extraregionali.

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Cerimonia della conse-gna della Bandiera Blu21 giugno 2008

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2008: la prima bandiera blu del Comune di Potenza Picena

Nel 2008 il Comune di Potenza Picena ha avuto la sua prima Bandiera Blu, il prestigiosoriconoscimento europeo che premia quelle località che si distinguono, tra l’altro, per la curache rivolgono alla qualità dell’ambiente, per le strutture di cui dispongono, per i servizi cheoffrono. La lunga strada per arrivare a tale affermazione è stata percorsa con impegno edeterminazione ed è stata caratterizzata da scelte sagge, come quella, ad esempio, di met-tere in atto una raccolta differenziata di rifiuti che ha fatto salire il nostro territorio nei primiposti della relativa classifica nazionale. Negli anni precedenti l’ottenimento della BandieraBlu, il Comune potentino ha eseguito opere pubbliche importanti, di riqualificazione urba-na, di recupero o di trasformazione di edifici storici, di realizzazione di nuove strutture chelo hanno legittimato ad aspirare ad un futuro turistico di ottimo livello. Il 21 giugno 2008, sol-stizio d’estate, alla presenza del Sindaco Sergio Paolucci, di altre autorità e di una gran folladi persone, si è celebrata la prima conquista della Bandiera Blu della Città di PotenzaPicena: non un punto d’arrivo, come ha detto giustamente il primo cittadino nel suo inter-vento, ma un trampolino di lancio per meritare di tagliare traguardi ancora più ambiti, rispet-tando l’ambiente, promuovendo il turismo, continuando a camminare sulla strada di unlodevole progresso sociale e civile. Anche per il 2009 al Comune di Potenza Picena è stataassegnata la Bandiera Blu.

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Potenza Picena

Ha le caratteristiche proprie di un centro medievale: posta su un colle, dotata di una notevo-le cinta muraria, presenta di sé un’immagine di antica nobiltà. Visitando il centro urbano sipossono apprezzare vari scorci paesaggistici di autentica bellezza: si incontrano ampie edeleganti scalinate, piazze di pregevole architettura. Chi ha la fortuna di passeggiare per le viecittadine respira aria pura e storia nel medesimo tempo, avendo l’opportunità di ammirare stu-pendi palazzi, testimonianze sontuose di una nobiltà che alberga ancora nel ricordo dellagente del luogo.Potenza Picena si è chiamata Monte Santo fino al 1862(22): a tale nome non dovettero essereestranee le 27 chiese che, un tempo, il paese contava, oltre a tanti campanili. La cittadina col-linare è cresciuta attorno alla splendida piazza Matteotti: ad essa arrivano, da ogni punto car-dinale, le vie urbane, quasi in atto di omaggio alla centralità del luogo, punto di riferimentogeografico e storico del paese. Qui, infatti, sorgeva l’antica pieve di Santo Stefano, attornoalla quale vennero a stabilirsi coloro che dettero inizio alla realtà urbana santese. Oltre allenumerose ricchezze storiche e architettoniche di Potenza Picena, al visitatore non sfugge labellezza panoramica che si gode dal belvedere del Pincio(23): agli occhi si apre un paesaggiodi straordinaria armonia, che passa dalle vette appenniniche alla costa adriatica, con inmezzo un mare di verdi colline, tra le quali spicca quella su cui si erge la Basilica di Loreto.All’esterno della cinta muraria è andata, nel tempo, sviluppandosi la parte moderna delpaese, costituita da vaste aree caratterizzate da nuovi quartieri abitativi.Anche il progresso economico e industriale ha avuto il suo spazio: numerose aziende sonosorte, ad esempio, lungo la strada statale Regina, dove operano ditte i cui prodotti sonoapprezzati sia in Italia che all’estero. Nonostante tale sviluppo, Potenza Picena ha conserva-to la propria identità di paese tranquillo e fiero cultore delle tradizioni locali: la festa delGrappolo d’Oro, che si celebra nella seconda metà di settembre, è l’esempio più calzante dicome la comunità potentina sappia dar rilievo ad un’attività – quella della coltivazione dellavite – che nei secoli ha rappresentato e tuttora rappresenta, oltre che una concreta fonte direddito, anche un evento capace di aggregare la gente del luogo e di diventare elementodistintivo di cultura popolare. Passato e presente convivono in maniera armonica a PotenzaPicena: la tranquillità dei luoghi, lo splendore architettonico dei suoi edifici e la dolcezza delclima sono i tratti salienti di una città che merita di essere visitata.

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Porto Potenza Picena

Distesa per quasi tre chilometri alle spalle della sua bella spiaggia, è un’apprezzata locali-tà balneare, posta sulle più importanti vie di comunicazione nazionali. Sorta agli inizi del1900, la cittadina rivierasca si presenta come una realtà urbana in rapido sviluppo. La ricet-tività turistica può contare su una grande struttura (il Natural Village), situata a nord delpaese, capace di ospitare molte centinaia di villeggianti: se ad essa si aggiungono i postiletto garantiti da campeggi, alberghi e case di privati, la cifra sale ulteriormente. Moderniimpianti sportivi consentono la pratica di numerose discipline e la disputa di campionati dilivello nazionale.A Porto Potenza Picena opera il noto Istituto Santo Stefano, realtà sanitaria di eccellentelivello nelle terapie riabilitative e in altri campi della medicina. La spiaggia portopotentinaoffre ampi spazi a chi ama le vacanze al mare: è quasi totalmente sabbiosa, ospita vari eattrezzati stabilimenti balneari. Da alcuni anni è dotata di un elegante lungomare che, versosud, sale su un belvedere – intitolato nel 2007 a Lord Baden Powell, fondatore del movi-mento scout – dal quale si gode un’ottima vista sul mare Adriatico. Porto Potenza Picena èin grado di garantire un soggiorno tranquillo a chi venga a trascorrervi un periodo di vacan-za: le famiglie possono trovarvi tutti i servizi necessari, i giovani hanno a disposizione loca-li di ritrovo e discoteche di assoluto livello (come il Babaloo), meta di ragazzi che vi giun-gono anche da fuori regione. Nei mesi estivi sono varie e interessanti le iniziative propostedal Comune e dalla Pro Loco: quest’ultima, tra le tante manifestazioni, organizza un’apprez-zata sagra delle vongole. Piazza Douhet, piazza della Stazione, piazza Saverio Marottasono i luoghi dove la gente si incontra più spesso, soprattutto nei giorni di festa o nei varimomenti dell’anno in cui si organizzano manifestazioni pubbliche. In luglio, nel periododella festa in onore della Patrona Sant’Anna, ad esempio, la cittadina è meta di un eleva-tissimo numero di visitatori, attratti dal nutrito calendario di iniziative ed, in particolare, dalgrandioso spettacolo pirotecnico sul mare. La vita estiva di Porto Potenza Picena ha conosciuto eventi di spettacolo di assoluto rilievoa cavallo degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Grazie all’attività del celebreGiardino Florida, anima del quale è stato Attilio Principi, si sono avute numerose serate coni migliori cantanti del tempo: nella cittadina rivierasca si sono esibiti gruppi notissimi, tra iquali i Dik Dik, i Camaleonti, l’Equipe 84, o cantanti come Patty Pravo, stabili frequentatoridelle zone alte della classifica discografica della Hit Parade. In quegli anni il GiardinoFlorida era meta consueta di tanta gente che arrivava da tutte le Marche e da fuori regioneper assistere a quegli spettacoli di musica leggera. I giovani di allora avevano anche lapossibilità di frequentare il Peretos, un locale da ballo all’aperto, situato nella zona sud delpaese, a ridosso della linea ferroviaria. Era un luogo di incontro per i ragazzi, residenti e vil-leggianti, un sano ritrovo dove trascorrere in compagnia alcune ore danzando e ascoltan-do musica, tra un passaggio e l’altro dei treni sferraglianti sui binari…; poi, magari, si chiu-deva la serata con una romantica passeggiata sulla riva del mare, alla luce della luna.Accanto all’imponente torre quadrata, di cui abbiamo già parlato, si trova la chiesa di

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Sant’Anna, consacrata nel 1926 dall’Arcivescovo di Fermo, Mons. Carlo Castelli: essa custo-disce il dipinto Vergine con Bambino tra i Santi Gioacchino e Anna (sec. XVII), della scuolaromana. Attorno alla chiesa si è sviluppato, nel corso del tempo, l’abitato di Porto Potenza.Degli anni Sessanta è la chiesa del Corpus Christi, edificata quando la crescita demografi-ca rese necessario un luogo di culto di maggiore capienza. Al suo interno si può ammirareun grande mosaico dal titolo Cristo centro della storia della Salvezza. Particolarmente caroalla popolazione locale è l’oratorio parrocchiale, fondato nel 1948 e denominato “Casa delFanciullo”. Alla sua costruzione, per la quale il parroco don Mauro Carassai e la comunità diPorto Potenza Picena si impegnarono a fondo, diede un contributo notevolissimo la famigliaperugina dei Conti Conestabile della Staffa, in particolare il Conte Alessio, stimata guidadell’Istituto Santo Stefano. Varie generazioni di giovani sono cresciute negli ambienti dell’ora-torio, punto di riferimento di aggregazione sociale, luogo dove trascorrere in modo sano iltempo libero, condividendo i valori cristiani. Nel 2008 è iniziata, su proposta del parroco donCesare Di Lupidio e di diversi parrocchiani, la costruzione del nuovo oratorio che, affiancan-do il vecchio, potenzia l’offerta di spazi dedicati ai giovani.

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Stazione di PotenzaPicena - Montelupone,anni Venti - Trenta

Sant’Anna(chiesa nuova)consacrata nel 1926,realizzata dall’architettoEusebio Angelo Petetti

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La spiaggia,anni Cinquanta

Via Regina Margherita,1950 circa

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Via CristoforoColombo,anni Quaranta

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Giocatrici di tennis,nella piazza della

Stazione, davanti apalazzo Colucci,inizio Novecento

Posa della prima pietradella chiesa delCorpus Christi,

29 giugno 1964

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Vergine con Bambinotra i santi Gioacchinoe Anna, della scuola

romana, seconda metàdel sec. XVII

Interno dellachiesa diSant’Anna,consacratanel 1926

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Piazza Douhet

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Parco dei laghetti

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Montecanepino

Percorrendo la direttrice meridionale, checollega Porto Potenza a Potenza Picena, siincontra Montecanepino. Gli studiosi la indi-cano come l’erede di Castel San Giovanniche, nel medioevo, sorgeva sull’area doveora si può ammirare villa Bonaccorsi.Intorno alla chiesa di San Giovanni si è svi-luppato il piccolo nucleo urbano, particolar-mente frequentato nella giornata del Lunedìdi Pasqua, quando tanta gente vi arriva pervivere una delle feste più popolari nella tra-dizione di tutto il territorio comunale(24).La festa di San Vincenzo Ferreri, il lunedìdopo Pasqua, aveva il suo punto di riferi-mento nella chiesetta di campagna addob-bata e illuminata, intitolata a San Giovanni,situata all’inizio della principale strada d’ac-cesso a Montecanepino provenendo daPorto Potenza. Al mattino, alle 11, si cele-brava la Santa Messa; al pomeriggio si dava spazio a vari giochi popolari, cui si partecipa-va con allegria e spontaneo entusiasmo, con la gente che arrivava numerosa dai principa-li centri del territorio comunale e dai paesi vicini. Tra i giochi più… gettonati vi era quellodelle brocche: tali recipienti, appesi ad un filo, dovevano essere colpiti da un giocatorebendato. Dalla brocca rotta poteva uscire anche acqua e allora, per il concorrente, c’eraun bagno fuori programma tra le risa dei presenti. In un’atmosfera di serenità, a Monte-canepino la giornata trascorreva tra passeggiate, bancarelle e merende all’aria aperta, conla gioia di un contatto diretto con la natura che tornava a vestire i colori e i profumi della pri-mavera. Adesso quella chiesetta di campagna non c’è più; al suo posto è sorta un’edicoladedicata alla Madonna; la festa, invece, continua ad esistere, con attrazioni di vario tipo econ lo spettacolo pirotecnico a sera inoltrata. La mitezza del clima, l’armonia del paesaggio, il sapore ancora vivo della vita agrestedanno a Montecanepino una gradevole identità, come ben sanno coloro che vengono a tra-scorrervi giornate di vacanza a stretto contatto con una natura ancora ricca di autenticagenuinità. Sull’origine del nome di questo nucleo urbano, che risale al XIX secolo, devonoaver avuto influenza i cosiddetti “canepini”, cioè i cordai, i lavoranti la canapa, che opera-vano in numero consistente in quest’area.

Edicola di casaGiordano Giampaoli

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Scorcio caratteristicodi Montecanepino

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Valle d’Asola, scorcio panoramico verso i Monti Sibillini

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Chiesa diSan Giovanni crollata

negli anni Settanta,oggi vi è un’edicolacon la statua della

Madonna

Montecanepino,fine anni Cinquanta

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Tenuta Casalis-Douhet

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San Girio

Questa località si trova lungo la strada provinciale che unisce la S.S. Regina a PotenzaPicena. Al Santo che dà il nome al nucleo abitato è dedicato il santuario, meta frequentatis-sima di tanti fedeli. La chiesa, costruita in origine sopra la tomba di San Girio nel 1298, furiedificata nel 1560; nel 1936 vi vennero realizzate tre navate, una nuova facciata e il cam-panile. L’abside è del 1951, anno in cui venne scavata la cripta. Stando alla tradizione, ilSanto, nato in Francia nel 1274, abbandonò le ricchezze di famiglia per raggiungere, col fra-tello, la Palestina. Durante il cammino verso tale destinazione, nel nostro territorio si amma-lò e cessò di vivere: in quel momento le campane della pieve di Santo Stefano si misero pro-digiosamente a suonare. Il corpo di San Girio venne conteso dalle popolazioni di Recanatie di Monte Santo: la disputa fu risolta grazie ad un neonato che, miracolosamente in gradodi parlare, disse che la scelta del luogo cui assegnare le spoglie del Santo fosse lasciata adue buoi senza guida. I due animali si fermarono nel punto dove ora c’è il santuario.Caratterizzata da profonda religiosità e da una vocazione agricola ben radicata nella suagente, la località di San Girio ha da sempre grande devozione per il suo Patrono. La sua festa(25 Maggio) ha tradizioni antiche e il suo momento culminante nell’omaggio di ceri al Santo daparte delle autorità locali e della popolazione. Nel 1952 la festa è stata rivalutata grazie all’ini-ziativa dell’allora parroco don Elia Malintoppi e dell’Amministrazione Comunale, guidata dalsindaco Lionello Bianchini. Due, in particolare, le iniziative prese in quell’anno: il lavoro diristrutturazione del santuario e gli interventi artistici (affreschi e quadri) ad opera del prof.Cesare Pavisa di Pesaro; la rivalutazione della tradizione dell’omaggio dei ceri, con una deli-bera comunale che indicò San Girio Patrono di Potenza Picena. In passato, in occasione dellafesta del Santo, aveva luogo una fiera del bestiame e di merce di ogni tipo, che richiamavamolta gente; attualmente sono in programma manifestazioni religiose, sportive e di spettacolo. Anche il martedì dopo Pasqua era un giorno importante a San Girio: si festeggiava SanVincenzo Ferreri. Al mattino si celebrava la Santa Messa e aveva luogo una processione,con la partecipazione della Confraternita di San Girio del Sangue Sparso; nel pomeriggioavevano luogo alcuni giochi popolari, come la rottura delle pigne e l’albero della cuccagna.

Internodel santuariodi San Girio

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Affresco di Cesare Pavisa di Pesaro, anni Cinquanta

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Affresco di Cesare Pavisa di Pesaro, anni Cinquanta

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Villa e giardino Bonaccorsi

Una delle eccellenze più notevoli del territorio comunale potentino è villa Bonaccorsi con ilsuo straordinario giardino all’italiana. Situata nelle vicinanze di Montecanepino, a pochissi-mi chilometri dal mare Adriatico, la villa potrebbe essersi sviluppata attorno ad un palazzodi campagna del XVI secolo. Il trascorrere del tempo vide l’ampliamento della costruzione,che ebbe il suo periodo migliore dal 1745 in poi, quando a curare i lavori fu chiamato uncollaboratore del Vanvitelli, il ticinese Pietro Bernasconi. In tempi più recenti, sono statecostruite nuove scuderie.Nel cortile interno della villa si possono ammirare quattro statue, rappresentanti le quattrostagioni, opera di Giovanni Bonazza, scultore veneto, che le realizzò nella prima metà delSettecento. Il complesso costituito dalla villa e dal giardino ha una superficie di quasi cin-que ettari. Il giardino, a terrazze digradanti, è un inno all’armonia, un equilibrio perfetto diarchitettura vegetale e di arte scultorea.Cinque sono le terrazze sulle quali il giardino si sviluppa: esse sono percorse da una sca-linata centrale e sono esposte a sud. Nella prima terrazza – che si trova al livello del ‘pianonobile’ della villa e che ospita un ‘giardino segreto’ con statue di argomento mitologico – sipossono ancora vedere dei ciottoli dai quali in passato scaturivano zampilli d’acqua sim-metrici, che davano vita ad una sorta di tunnel da attraversare senza bagnarsi. Le aiuolesono le assolute protagoniste della seconda terrazza, occupandola con geometrie policro-me che catturano lo sguardo. In mezzo ad esse si possono ammirare le statue che raffigu-rano due “maschere” della Commedia dell’Arte, Arlecchino e Pulcinella. Di rilievo nellaterza terrazza, detta ‘viale degli Imperatori’, c’è una pregevole statua rappresentante la deaFlora, ospitata in una nicchia. Ancora le aiuole in grande evidenza nella quarta terrazza,disposte con gradevolissima eleganza geometrica; nella quinta, infine, sono apprezzabilidei vialetti formati da siepi di alloro, che contribuiscono alla globale bellezza del luogo. Lenumerose statue che popolano questi spazi rappresentano soggetti umani e individui grot-teschi e mitologici: sono di scuola veneta, attribuibili ad Orazio Marinali e ai suoi discepoli.

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Entrata principale di villa Bonaccorsi

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Stemma dellafamiglia Bonaccorsi

Statua diCiccobirbo

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Serradel giardino

Particolare di unadelle statue delgiardino Bonaccorsiattribuita ai fratelliMarinali di Vicenza,sec. XVIII

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La statua delladea Flora, situatanella terza terrazza del“viale degli Imperatori”

Interno dellavilla Bonaccorsi

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Veduta della villa Bonaccorsi, lato sud

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Giardino Bonaccorsi,tipico esempio di giardino

settecentesco all’italiana

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e c o n o m i a

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I muratori

Una delle attività che hanno caratterizzato la vita della gente del nostro territorio comunaleè quella del muratore. Lo studioso di tradizioni popolari marchigiane Claudio Principi(25) hatrattato con particolare attenzione e ricchezza di dettagli la figura di tale lavoratore, perso-naggio a volte rude ma schietto e concreto come pochi altri. Tutti sanno che, scherzosa-mente, ancora oggi gli abitanti di Potenza Picena vengono chiamati “carginelli” e tale spi-ritosa denominazione è diretta eredità dei muratori, specialmente attivi nella città alta pertanti decenni. L’uso della carge, cioè la calcina, che ne imbrattava i pantaloni, ha finito perdar luogo a quel nomignolo che continua, tenace, a resistere al tempo. Protetti dal loropatrono San Claudio, i muratori sono stati, a lungo e ingiustamente, considerati artigiani dilivello inferiore, in quanto esercitavano la loro attività senza vottega, cioè senza poterdisporre di un laboratorio al coperto, dotato di luce artificiale. Essi hanno sempre lavoratoall’aperto, dipendendo necessariamente dalla luce del sole e dalle condizioni meteorologi-che. A far ritenere poco rilevante il loro mestiere c’era la considerazione che non possedes-sero tecniche complesse o abilità che necessitassero di talento, inoltre maneggiavanomateriali di basso costo. Ad essi era richiesta soprattutto prestanza fisica e resistenza allafatica e alle intemperie, dovendo operare all’aperto.Tradizionalmente, il periodo in cui i muratori erano più attivi – grazie alla più lunga illumina-zione diurna – andava dal 3 maggio, giorno di Santa Croce, al 14 settembre, giornodell’Esaltazione della Croce: era, come più o meno scherzosamente dicevano, un tempo ditribolazione e di “Calvario”, riferendosi alla presenza delle croci in quelle due date. I mura-tori usavano ritrovarsi per mangiare insieme in due momenti dell’anno: alla festa del loropatrono San Claudio e la sera del Giovedì Santo, dopo la visita ai Sepolcri. Di solito il cibopreferito in tali circostanze era costituito da fagioli, stoccafisso o sardelle, che venivanogustati col consueto appetito proprio della gente abituata a lavorare duro. I pasti di lavoroquotidiani, invece, prevedevano cibi portati da casa, preparati dalle madri o dalle mogli,messi in gamelle o avvolti in grandi fazzoletti. Tre, normalmente, erano le pause che si con-cedevano durante il lavoro: intorno alle otto, per una quindicina di minuti, facevano colaziò;a mezzogiorno era la volta de lo voccò, detto anche merenna, pasto che veniva rispettatopiù degli altri perché annunciato dalla campana della chiesa; nel pomeriggio, intorno allediciassette, si passava alla merennetta, che occupava circa un quarto d’ora. Per la colaziòi muratori portavano da casa grandi fette di pane o porzioni di pagnotte, tra le quali mette-vano salumi affettati, frittate o verdure; quando non avevano a disposizione questi tipi dicompanatico, si procuravano frutta di stagione nelle campagne vicino al luogo di lavoro. Lovoccò, cioè il pasto principale della giornata, veniva a volte riscaldato nel cantiere, dove,in certi casi, si riusciva anche a preparare, magari frettolosamente, un po’ di polenta.

L’OPEROSITÀ DELLA NOSTRA GENTE NELLA TRADIZIONE

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Muratori dell’impresaedile di PasqualeClementoni e figli,al lavoro sul campaniledella chiesadi San Francesconel 1937

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L’abbigliamento dei muratori era generalmente rappresentato da indumenti consumati erattoppati, impolverati, quasi sempre coperti da calcina; come copricapo avevano un ber-retto di panno o di carta, di solito ricavato da giornali vecchi, piegati a formare una speciedi bustina. Le scarpe erano, anch’esse, in male arnese, sformate, sporche, ovviamente, dicalcina. Spesso, dalla tasca posteriore dei pantaloni facevano capolino un metro pieghe-vole di legno – composto da stecche gialle o arancioni – l’estremità di una livella o una volu-minosa matita, detta in dialetto làbbise (lapis).Molti e interessanti sono gli attrezzi usati dai muratori; ne prendiamo in esame i più comu-ni. Col termine di cucchiare si indicano le cazzuole, che sono di vario tipo e si distinguonoin relazione al loro impiego. Lo frattazzo è una tavoletta di forma rettangolare – prima fattadi legno duro e ora di acciaio o plastica – dotata di una impugnatura posta lungo la partemediana di una delle due facce; ci si posa la calcina per distribuirla uniformemente sullesuperfici piane, come fondi di pavimenti o intonaci. La callarella, una specie di secchio cheserve per trasportare la calcina e per prelevarla con la cazzuola durante le operazioni dimuratura; è utile anche per trasportare l’acqua e per contenere attrezzi. A forma di troncodi cono rovesciato, è dotata di un manico arcuato, simile a quello del paiolo, lo callà, dalquale ha derivato, in qualche modo, il nome. Altri arnesi di uso comune sono il martello, lamartellina da taglio, la tenaglia, lo scalpello, un piombino con lo spago, la livella a goccia.Prima di costruire una casa, i muratori preparavano un capanno, la varacca, per ospitarvigli attrezzi che avrebbero dovuto usare e i sacchetti di cemento, calce e gesso. Vicino allacasa in costruzione venivano sistemati laterizi e materiali inerti, un vaglio a rete, un grossorecipiente pieno d’acqua da utilizzare per bagnare i laterizi o per lo spegnimento dellacalce. Nel cantiere vi era, poi, grande quantità di legname: esso serviva per preparare iponteggi, per realizzare le strutture provvisorie nella costruzione di scale o volte e per tante

Muratorial lavoro in

un cantiere,anni Sessanta

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Muratori durantela pausa pranzo,fine anni Cinquantainizi anni Sessanta

Muratorial lavoro,anni Sessanta

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Costruzione dellacasa del Fanciullo

(oratorio),anni Cinquanta

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altre esigenze. Tra i muratori vi era una precisa gerarchia, in cima alla quale si trovava ilcapomastro che, normalmente, era colui che guidava l’impresa. La sua autorità era indi-scussa: egli dirigeva tutti i lavori del cantiere, gestendo opportunamente le risorse umaneche aveva a disposizione. Conosceva bene i materiali da utilizzare e sapeva procurarseli aprezzi convenienti. Oltre a supervisionare il lavoro dei suoi dipendenti, partecipava in primapersona alle fasi più importanti della costruzione degli edifici, mettendo in mostra notevoliabilità manuali. Alle dipendenze del capomastro c’erano i muratori, denominati cucchiare,cioè cazzuole; loro sottoposti erano gli apprendisti abbastanza esperti o muratori di secon-da categoria, ai quali era affibbiato il nome di menze cucchiare, e i manovali. Sul gradinopiù basso dei rapporti gerarchici si trovavano li garzù, giovani che si avviavano al mestie-re e che dovevano iniziare una lunga gavetta, imparando la tecnica dei loro “superiori”.Quando si costruiva un muro, le cucchiare, cioè i muratori più esperti, si occupavano dellaparete a facciavista, quella esterna, mentre alle menze cucchiare, notoriamente menoesperte, si affidava il compito di occuparsi della parete interna. I manovali garantivano aimuratori il rifornimento dei materiali necessari alla costruzione, dopo averli opportunamen-te preparati. Qualche volta la donna era presente in un’impresa edile: il suo compito eraquello di spostare da un luogo all’altro del cantiere i materiali che dovevano essere usatidai muratori. Tali oggetti, sistemati in cesti di vimini o contenitori simili, venivano posti sullatesta, sulla quale era preventivamente appoggiato un canovaccio per rendere meno rudeil contatto con il peso da sostenere. Come dicevamo in precedenza, l’attività del muratoreha sempre dovuto fare i conti con le condizioni meteorologiche. Se il tempo era inclemen-te per un lungo periodo, necessariamente si andava incontro ad una disoccupazione chemetteva in grosse difficoltà economiche la famiglia. Quando non lavoravano, i muratori siincontravano in candina, cioè in osteria, dove si concedevano qualche bicchiere di vino epassavano il tempo a giocare a carte, alla morra o anche a bocce.

La sciabica

Nella tradizione marinara di Porto Potenza Picena un posto di assoluto rilievo spetta allapesca con la sciabica. Il nome indica una rete composta da due bracci uguali, simmetricirispetto ad un sacco centrale (manica), nel quale finiscono per rimanere i pesci catturati.Per calarla in mare si utilizza una barca (lancetta) lunga sei o sette metri, spinta da quattroremi che, a partire da poppa, sono: il remo de preme, che ha una funzione simile a quelladel timone; il remo de sgaezzo, che è quello che imprime la spinta maggiore al movimen-to della barca; il remo de bocca de gola e il remo de prua, quello più avanzato(26). Dopoaver sistemato la rete sul ripiano di poppa (gràtena), quando il sole non è ancora sorto, ini-zia la cala della sciabeca: da bordo viene lanciata ad un uomo a riva la cima della resta,una fune di canapa lunga circa un centinaio di metri. All’altro capo di essa possono esser-ne annodate altre, fino a sei o sette, se il padrone della barca (lo parò) ritiene che sia con-

Muratoriin posa teatrale,fine anni Cinquantainizi anni Sessanta

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veniente calare più a largo del solito per catturare pesci più grandi, come sgombri, sughe-ri, bobbe e mojelle(27). Finito di lasciare in acqua le reste, comincia la messa in mare dellarete, il cui inizio è segnalato dalla mazza. Scende subito il primo braccio, caratterizzato damaglie più larghe; il limite inferiore di esso è rappresentato da una corda munita di piombi(lima piommata), che permette alla rete di toccare il fondale; il limite superiore è costituitoda una corda dotata di galleggianti in sughero (lima de scorzo), che consente alla sciabi-ca di arrivare in superficie, formando una parete verticale di maglie.Al termine della cala del primo braccio si arriva alla manica, una specie di sacco dallemaglie fittissime, sostenuto a galla da sugheri molto voluminosi, che costituiscono il cosid-detto carriò, la cui visione rappresenta un importante punto di riferimento per i pescatoriche, successivamente, dovranno recuperare la rete fino a riva. Il carriò, infatti, è il puntocentrale di tutta la struttura di pesca e deve rimanere al centro anche durante tutta la fasedi recupero della sciabica. Calata in mare la manica, facendo attenzione a non pijà lo porco(cioè ad evitare che la manica finisca erroneamente sotto la lima de piommo e che, di con-seguenza, non si apra durante la pesca), i pescatori sulla barca mettono in acqua il secon-do braccio della rete e, dopo di esso, le reste, di numero pari a quelle calate in preceden-za. Quando il capo terminale dell’ultima resta giunge in mano ad un altro pescatore sullabattigia, inizia il recupero della rete ad opera di due gruppi di sciabecotti, uno per ognicapo della sciabica. Aiutandosi con lo collà (fascia di tessuto robusto, dotata di una cordache termina con un nodo, lo groppo, utile per “agganciare” la resta), i pescatori si aggrap-pano alla fune di recupero e, indietreggiando con passo ritmato sulla spiaggia, recupera-

Marinai dopoaver tiratola sciabica,anni Cinquanta

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no la resta e, di conseguenza, la rete. Col passare dei minuti, il grande arco disegnato sullasuperficie del mare dai galleggianti della lima de scorzo si approssima alla riva e si restrin-ge, dato l’avvicinarsi dei due gruppi di recupero tra di loro. Quando la manica è in vicinan-za della battigia, alcuni pescatori si occupano di tenere aderente al fondale la lima piom-mata e di alzare un po’ quella de scorzo, per impedire ai pesci di tentare la fuga.Finalmente arriva a terra il sacco, e diventa comprensibilmente palpabile la curiosità deglisciabecotti di controllare l’entità del pescato. La manica viene aperta con cura e, quandola cattura è buona, agli occhi della “ciurma” appare il suggestivo spettacolo di un argen-teo “pavimento” pulsante di vita, formato da pesci guizzanti, come sardoncini, agore, moiel-le, sgombri e via di questo passo. Si narra di catture notevoli che, per singola cala, hannoportato a riva quintali di pesce, tanto da riempire qualche decina di coffe (i tipici cesti divimini e canne utilizzati per contenere il pescato). Mentre il recupero della sciabica è in corso ad opera dei due gruppi di sciabecotti sullariva, alcuni giovani (morè) si dedicano alle reste arrivate in spiaggia: le raccolgono arroto-landole in volute sovrapposte, in modo da renderle disponibili per la cala successiva.Importante è anche l’opera di chi rimane a bordo della barca in acqua (lo bordarolo), con-trollando che non finisca in secco o che non sia portata via dalla corrente. La prima calaviene denominata cala dell’alba ed è quella che prevede l’uso di più reste; a seguire sieffettua la cala de scia; l’eventuale cala pomeridiana viene detta di calandro e può conclu-dersi anche dopo il tramonto del sole. La pesca con la sciabica sulla costa portopotentina

Marinai mentretirano la sciabica,

anni Sessanta

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si praticava già nei primissimi anni del 1900. La prima “ciurma” fu quella di Neno deSciamoè (Giampaoli), poi furono attive quella degli Alleati (Bovari, Giri, Marconi), del Capi-tano (Giulio Carlocchia), dell’Ascaro (Arturo Giampaoli), di Nicola Giri, di Gino Giampaoli,dei fratelli Marinelli, di Neno Carota, di Orazio Germondari, di Franco Babbini e di altri anco-ra. Il periodo più propizio per la pesca con la sciabica andava da aprile a fine ottobre ma,non di rado, tali limiti temporali venivano superati.Durante i conflitti mondiali, gli sciabecotti continuavano a pescare: proprio nei momenti dimaggiore difficoltà economica questa attività ha costituito fonte di sostentamento per lefamiglie del nostro litorale. Dopo la seconda guerra mondiale gli abitanti del luogo integra-vano le loro entrate ancora con la sciabica: chi, ad esempio, lavorava alla CeramicaAdriatica o alla fornace Antonelli si assoggettava a levatacce per procurare il cibo o qual-che soldo per i bisogni della propria famiglia. Dalla vendita del pesce catturato – effettua-ta dalle pesciarole con la caratteristica bilancia (vàscula) e con le coffe sul carretto, oltreche direttamente alle pescherie di Civitanova Marche e Porto Recanati – lo parò ricavava isoldi che venivano distribuiti ai componenti della ciurma, seguendo precise priorità: unquarto del ricavato andava alla sciabica, cioè al suo proprietario; i restanti tre quarti veni-vano divisi in parti uguali nel modo seguente: una alla sciabica, una al proprietario, una cia-scuno ai pescatori che avevano partecipato alla pesca. Erano previste anche divisioni piùpiccole, fino alle quartarole (un quarto di parte), che andava ai novizi, cioè ai ragazzini alleprime armi. Questi ultimi, a volte, nel periodo estivo, dopo aver trascorso la serata al cine-ma o con gli amici, andavano ad attendere le tre del mattino (orario consueto di partenza

Marinai apronoil sacco della sciabica,anni Sessanta

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per andare a pesca con la sciabica) all’interno della barca, addormentandosi sotto un telo-ne impermeabile. Nei pochi mesi in cui questo tipo di pesca si interrompeva, le barchevenivano portate a ridosso della linea ferroviaria e coperte per proteggerle dalle intempe-rie. In anni recenti i materiali per la costruzione della rete e delle reste sono cambiati: allacanapa, pesante e da asciugare al sole dopo la pesca, è subentrato il nylon, più leggero enon bisognoso di cure particolari. In passato, di pomeriggio era comune vedere distesa adasciugare sulla spiaggia la sciabica; e familiare era la figura de lo parò che, con la “linguet-ta” (un particolare attrezzo di legno) riparava i danni subiti dalle maglie della rete a causadi qualche presura (oggetti sui quali la rete stessa si impigliava nelle operazioni di pesca).Accanto a lui vi era la barca, poggiata sulle palanche, robuste traverse di legno a forma diparallelepipedo, sulle quali, al momento del varo, essa scivolava grazie anche al grasso dimaiale (lo sego) che i pescatori vi mettevano per rendere meno faticosa la spinta verso leprime onde. Alla fine della stagione di pesca, la rete veniva immersa in un grande recipien-te (callara), contenente un liquido di colore marrone scuro, fatto riscaldare ad alta tempe-ratura: aveva luogo la cosiddetta tenta (tinta), un trattamento che serviva a rinforzare la rete,mantenendola in buono stato. Le sciabiche più grandi erano reti che raggiungevano anchei 250 metri di lunghezza, sommando i due bracci e la manica che si apriva tra di loro.Spesso i nostri sciabecotti sceglievano come luogo di pesca le zone vicine alle foci deifiumi Chienti e Potenza: per arrivarvi dovevano remare per sette-otto chilometri, cosa di persé già molto impegnativa, dato il peso della barca, che raggiungeva o superava i dieciquintali. Ovviamente la stessa distanza doveva essere coperta al ritorno, a volte ricorrendoall’ausilio dell’arzana, cioè del traino della barca effettuato da alcuni pescatori sulla riva, tra-mite una resta. Fatica, sudore, sacrificio, ma anche entusiasmo: sono queste le caratteristi-che della pesca con la sciabica, attività che univa tra loro le persone, rendendole un grup-po compatto, una sinergia di contributi davvero esemplare. L’attenzione massima nella caladella rete, la sincronia dei movimenti nel suo recupero, il ritmo incalzante dei passi all’indie-tro sulla spiaggia, l’emozione dell’apertura del sacco che arriva sulla battigia: sono comefotogrammi di un film senza tempo, le fasi di una rappresentazione che, appena terminata,è pronta a ricominciare.

Un giorno con gli sciabecotti

Il cielo è ancora buio e la brezza di terra pettina la superficie del mare. Sulla spiaggia, nellapenombra, alcuni uomini spingono una barca, facendola scivolare sulle palanche, fino adincontrare l’acqua. A poppa è sistemata la rete, pronta ad essere calata per la pesca. Gliuomini salgono a bordo e si mettono a remare verso il luogo dal quale inizierà la cala dellasciabica. Sulla spiaggia qualcuno cammina nella stessa direzione, in attesa di ricevere ilcapo della fune di recupero della rete. L’ aria della notte è piuttosto fresca; per tenersi caldii pescatori indossano una maglia, sulla quale hanno già infilato il collare che li aiuterà nelle

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fasi successive della loro attività. L’alba non è ancora spuntata e il paese, al di là della fer-rovia, dorme; il silenzio è rotto solo dal passaggio di un treno che sferraglia solitario, fino ascomparire in lontananza. Quando la barca arriva sul luogo scelto per la pesca, la fune direcupero della rete viene lanciata a terra e presa in consegna da chi la stava aspettando.Ci siamo: la cala della sciabica può iniziare. Mentre la barca si allontana dalla riva verso illargo spinta dai remi, la prima a scendere in acqua è la resta, la fune di recupero il cui capoè già in mano ai pescatori sulla battigia. Quando la corda è finita, gli uomini a bordo inizia-no a mettere in mare la rete, descrivendo un arco: si comincia con la prima ala della scia-bica, si passa successivamente al sacco, si prosegue con la seconda ala. Completata lacala della rete, la barca si avvia verso riva, lasciando in acqua la seconda fune di recupe-ro, il cui capo verrà affidato ad altri uomini a riva. Il grande arco è, finalmente, disegnatosulla superficie del mare: le operazioni di recupero possono avere inizio. I due gruppi diuomini cominciano il loro compito: aiutandosi con il collare, in fila indiana afferrano la cordae indietreggiano sulla spiaggia, ritmicamente, come stessero interpretando un’anticadanza. Quanta forza mettano lo rivelano le impronte dei piedi sulla sabbia, profonde e

La lancetta, con larete sulla “graténa”

entra in acqua

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nette, equidistanti tra loro. Aiutandosi con mani, braccia e spalle, i pescatori portano a rivametri di fune, avvicinando sempre più l’arco di rete alla spiaggia. La corda recuperata vieneraccolta in modo ordinato, disponendola a cerchi sovrapposti, in modo che sia pronta peril successivo utilizzo. Contemporaneamente i due gruppi di recupero cominciano a ridurrela distanza che li separa, stringendo progressivamente l’arco della rete, segnalato sullasuperficie dell’acqua dai galleggianti. Il chiarore dell’alba ormai illumina lo scenario dipesca: ai primi raggi del sole scintillano d’argento i cefali che cercano di sfuggire alla reteprovando a scavalcarla. A riva, intanto, sono giunte le parti iniziali delle due ali della scia-bica: i gruppi di recupero sono adesso molto vicini tra di loro e aumentano il ritmo della loroazione. I pescatori, per evitare che i pesci scappino sul fondo, tengono il più possibilebassa l’estremità inferiore della rete. Il sacco, con le sue maglie fittissime, è a pochi metri

Gli sciabecottirecuperano l’ultima

parte della sciabica

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da riva: l’animazione dei pescatori aumenta, c’è gran voglia di vedere quanto pesce con-tenga. Come già avvenuto per la resta, anche la rete viene raccolta a cerchi sovrapposti,pronta ad una nuova cala. Con un ultimo sforzo gli sciabecotti tirano il sacco sulla battigiae, disponendosi a cerchio, pian piano lo aprono. Ai loro occhi appare un argenteo tappetopalpitante di vita: papalina, sardoncini, mojelle, àgore (28), anche qualche triglia, si dimena-no sul fondo del sacco, tra alcune foglie verdi d’alga. E’ tempo di mettere il pescato nellecoffe, preparandolo per la successiva vendita, cui provvederanno le pesciarole. Agli uomi-ni non resta che caricare sulla barca funi e rete e riprendere il mare per un’altra cala: c’ètempo per pescare ancora, a casa aspettano fiduciosi pesce per la tavola e qualche liraper tirare avanti.

I pescatori sistemano“reste” e rete per unanuova cala

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L’Istituto Santo Stefano, una realtà preziosa

L’Istituto di Riabilitazione Santo Stefano intreccia la sua esistenza con quella di PortoPotenza Picena ed è opportuno conoscere, seppure a grandi linee, come è nato e come siè sviluppato il rapporto tra l’importante struttura sanitaria e la cittadina che la ospita. Nel1923, il conte Gian Carlo Conestabile della Staffa, di nobile e generosa famiglia perugina,venne a Porto Potenza e acquistò un terreno in riva al mare(29). Vi costruì un edificio che,negli anni successivi, ospitò gratuitamente dapprima vedove e orfani perugini della guerramondiale, poi fanciulli di Perugia (in luglio) e di Assisi (in agosto), predisposti alla tuberco-losi. La grande struttura, successivamente, divenne ospedale e prese il nome di IstitutoChirurgico Elioterapico Divina Provvidenza.Nel 1961(30), visto che un numero crescente di posti-letto non veniva utilizzato per mancan-za di richieste di ricovero, venne valutata la possibilità di orientare la struttura assistenzia-le verso nuove forme di ricovero con soggetti diversi. L’amministratore unico, il conteAlessio Conestabile della Staffa, fratello del già citato Gian Carlo, nel marzo 1961 organiz-zò a Roma un incontro cui presero parte l’Avv. Giuseppe Cassano, suo genero, il dottorGualtiero Bugatti, suo procuratore, e il dottor Lanfranco Ricchi, direttore amministrativo del“Divina Provvidenza”, per l’avvio di una valida soluzione alternativa. La via scelta fu quelladel ricovero di pazienti spastici, soggetti necessitanti di ricovero per cure riabilitative. Sudelega del conte Alessio, il dottor Ricchi prese contatti con il Ministero della Sanità e a

LE AZIENDE NEL NOSTRO TERRITORIO

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Roma consegnò la documentazione relativa all’esecuzione di alcune modifiche necessarieper trasformare la struttura portopotentina, accogliendo non più malati sanatoriali ma inva-lidi civili, necessitanti di riabilitazione fisica e mentale. Il Ministero consigliò la scelta delprof. Maurizio Formica, della Clinica Neurologica dell’Università di Roma, che divenneresponsabile medico del programmato istituto di riabilitazione. Egli seguì con grande cural’organizzazione della nuova struttura e la ricerca del personale specializzato per le attivitàdi fisiochinesiterapia, logoterapia e terapia occupazionale. Tutto il piano terra del padiglio-

Pazienti durantela elioterapia,

anni Sessanta

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ne “Nord” del Divina Provvidenza (fami-liarmente noto come Santo Stefanoperché posizionato nei pressi di un’abi-tazione privata nella cui prossimità erafunzionante una cappella intitolata alProtomartire) venne interessato dailavori di trasformazione.Quando fu realizzato il complesso“Divina Provvidenza”, nella zona norddi Porto Potenza c’erano poche case,per cui esso veniva chiamato dallapopolazione locale “La Colonia”, data

la sua posizione isolata e anche per via dell’attività promossa dalla Famiglia Conestabiledella Staffa, volta ad ospitare gratuitamente tanta gente umbra. A fine giugno 1962, tutto ilpiano terra del padiglione Nord era pronto con le sue camere di degenza, i servizi igienicirinnovati, il refettorio, le sale di terapia, l’ambulatorio medico e altre importanti dotazioni. Ildottor Ricchi propose di intitolare la nuova struttura “Istituto di Riabilitazione Santo Stefano”e tale denominazione venne accettata dal presidente Alessio Conestabile della Staffa edagli altri suoi collaboratori. Il 4 agosto 1962, con diciotto giovani, iniziò ufficialmente la vitadell’istituto, organizzato per accogliere gli adolescenti invalidi che necessitavano di cureper il recupero globale. La benedizione dei locali venne impartita da don Angelo Panicciari,cappellano dell’Istituto.Nell’ottobre dello stesso anno prese avvio la prima classe dell’Avviamento Professionale –inizio di una lunga e proficua collaborazione con la Scuola pubblica – e gli insegnanti si

Interno del giardinodell’Istituto

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posero il problema preliminare della formazione avviando lo sviluppo della personalità,dando fiducia e sicurezza agli allievi. Nel marzo 1963 gli ospiti erano già cento e proveni-vano da tutta Italia; nell’ottobre 1965 il numero era salito a duecentocinquanta. La preziosae competente attività del “Santo Stefano” venne apprezzata da vari Ministri della Sanità chesi succedettero negli anni: a Porto Potenza arrivarono, nell’ordine, Giulio Pastore, CamilloRipamonti, Remo Gaspari e Vittorino Colombo. La crescente richiesta di ricoveri da tutto ilterritorio nazionale impose alla dirigenza dell’istituto l’ampliamento della struttura esistente:il modo più rapido fu quello di riconvertire il contiguo istituto “Divina Provvidenza” in centroper invalidi civili, che fornì altri trecentocinquanta posti letto. Nel contempo, nella zona nordvenne realizzato il palazzo degli studi, con ben ventiquattro locali destinati alla didattica.Nel marzo 1969 il conte Alessio, per ragioni di salute, lasciò la carica di presidente del con-siglio di amministrazione al genero, l’avv. Giuseppe Cassano. Il primo ottobre 1969 nacquela “Comunità Santo Stefano”, concreta testimonianza di inserimento nella società dei giova-ni dimessi dal Santo Stefano; l’inaugurazione ufficiale della casa comunitaria ebbe luogo il23 gennaio 1970. Tale casa chiude il ciclo di riabilitazione e segna lo sbocco logico del-l’opera dell’Istituto, dedicata al recupero dei suoi ospiti. Il 3 febbraio 1970 morì il conteAlessio, che aveva vissuto nell’umiltà e nella dedizione e che aveva scelto di vivere nellasemplicità e nella povertà di una cameretta all’ultimo piano del grande istituto per esserepiù vicino agli ospiti. Il ”Santo Stefano” diede impulso alla realizzazione di due scuole, unaper terapisti della riabilitazione e una per educatori specializzati. Il 30 marzo 1972 alla pre-sidenza del consiglio di amministrazione giunse il prof. Bruno Fida.Nel maggio 1973 nacque la Società Cooperativa di lavoro a responsabilità limitata, chediede concreto sbocco occupazionale ad una trentina di ricoverati: è il superamento dellaemarginazione e l’affermazione del diritto alla vita e alla convivenza tra uguali, principio fon-damentale del vivere civile. Nel 1974, a seguito della crescente richiesta di ricoveri e dellaassoluta indisponibilità di posti letto liberi, il dottor Ricchi suggerì al prof. Fida la realizza-zione di un incontro con vari medici provinciali per studiare qualche iniziativa per risponde-re positivamente alle richieste di famiglie con figli necessitanti di assistenza riabilitativa. Ilprof. Fida accettò la proposta e affidò al dottor Ricchi l’incarico di provvedere a vari incon-tri con i medici provinciali di Marche, Abruzzo e Molise.Il primo centro ambulatoriale “Santo Stefano” nelle Marche fu inaugurato il 7 Settembre1974 con la presenza del Sottosegretario alla Sanità, on. Franco Foschi. Nel tempo sonostati aperti numerosi altri centri ambulatoriali nelle Marche e in altre regioni. Nel 1985 diven-ne presidente del CdA del Santo Stefano il prof. Cosimo Cassano. Ulteriori lavori edili per-misero l’aggiornamento di vari padiglioni per la riabilitazione ospedaliera post-acuzie, dinuovi uffici amministrativi; si è ristrutturato un edificio per un centro diagnostico di elevatolivello specialistico. Il 9 marzo 1998 morì il prof. Cosimo Cassano; alla presidenza lo sosti-tuì il dottor Antonio Rosali, dimessosi nel 2006. La carica è stata, poi, assunta dal dottorMario Ferraresi. Il 15 Giugno 2007, a Milano, presso la sede del Gruppo De Benedetti, sisono incontrate la presidenza dell’Istituto di Riabilitazione “Santo Stefano” e la “HSS”, laHolding Sanità e Servizi del Gruppo CIR. Le due parti hanno sottoscritto un contratto con il

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Suore della Carità“Cappellone”, in servizio

presso l’Istituto,fine anni Cinquanta

Infermiere in posa,anni Sessanta

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Pulizia delle tazze,anni Sessanta

Ospiti dell’Istituto,anni Sessanta

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quale la “HSS” ha acquistato il 100% della “Santo Stefano SpA”: in base a tale accordo ilgruppo marchigiano mantiene la piena autonomia operativa, con mandato a qualificare iservizi erogati nella Regione Marche e di espandere la sua attività nel centro Italia e lungola dorsale adriatica. Conservati anche i livelli occupazionali e confermato il managementdel “Santo Stefano”, con il dottor Ferraresi che resta presidente e con il dottor Enrico Brizioliamministratore delegato.La popolazione locale deve molto all’Istituto Santo Stefano, sia dal punto di vista occupa-zionale che da quello dell’alto valore morale e sociale della sua lunga e lodevole attività. Inquesta grande struttura, ora unanimemente riconosciuta come una delle più importanti nelpanorama sanitario nazionale e internazionale, si è sempre lavorato con impegno a favoredi chi dalla vita ha avuto meno, contribuendo alla costruzione della società dell’uomo pertutti gli uomini. Oltre all’alto livello di aggiornamento tecnico e scientifico, l’istituto si è meri-tato la fiducia della gente per essere una comunità di vita, una frontiera avanzata di unaumanità più consapevole, verso la piena affermazione di ogni singola personalità, al di làdel dolore, della compassione, avendo ben presente il senso della libertà nella società edella pari dignità degli uomini.

Architetturadell’interno,

anni Sessanta

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L’Aeronautica Militare

Da vari decenni l’Aeronautica Militare è una presenza familiare sulnostro territorio comunale. La decisione di costituire in loco un CentroRadar, che contribuisse ad assicurare la difesa aerea sui nostri cieli,venne presa dallo Stato Maggiore aeronautico nell’Aprile del 1956(31).Così, da tanti anni, giorno e notte, il personale militare del 14° CentroRadar sta operando per garantire l’efficienza degli apparati e la loro migliore utilizzazione. Ilcompito primario è quello di fornire, via radio, informazioni ai piloti dei velivoli intercettori, rea-lizzando il controllo dello spazio aereo, l’avvistamento, l’intercettazione, l’identificazione, laguida caccia, per impedire violazioni dello spazio aereo stesso. Dal 1° gennaio 2000, a segui-to della chiusura del 14° Gruppo Radar, le strutture logistiche site a Porto Potenza sono stateacquisite dalla Scuola Perfezionamento Sottufficiali A.M. di Loreto, e quindi impiegate per laricettività dei frequentatori dei corsi di perfezionamento sottufficiali e dei corsi I.G.P. per ser-genti maggiori. Tali strutture sono state incrementate per ospitare circa duecento unità, conalloggi, laboratorio di informatica e multimediale, sistema di videoconferenza, mensa unificatae altro ancora, per permettere lo svolgimento dei compiti istituzionali. Dal 2000 si ospitanoanche corsi di perfezionamento per il personale volontario di truppa, appartenente alle diver-se categorie professionali e distaccato nei vari settori di impiego della Forza Armata. La baseoperativa, nel complesso delle sue strutture tecnico-operative, è rimasta sul territorio potenti-no. Nel corso del tempo, il legame tra l’Aeronautica Militare e la popolazione locale si è fattosempre più stretto e molte famiglie si sono costituite tra i militari e le giovani del luogo.

Stemma del14° Gruppo Radar

Il radar del 14° Centrodell’AeronauticaMilitare

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La Società Ceramica Adriatica

E’ stata un’azienda particolar-mente importante nella storiadella nostra realtà locale,avendo dato lavoro a centina-ia di famiglie, contribuendoallo sviluppo sociale ed eco-nomico del territorio. Sortonel 1923 con il nome di“Stabilimento MattonelleAntonelli-Tebaldi”, ebbe uninizio di attività molto difficile,che richiese ingenti capitaliper far fronte alle perdite chesi verificavano con disarmante regolarità. Ci furono vari tentativi di dare una soluzione defi-nitiva alle frequenti difficoltà economiche, ma, nonostante tutto, nel 1941 venne decisa lachiusura dello stabilimento, che fu posto in liquidazione, vendendo i macchinari che vi sitrovavano. Sembrava il malinconico tramonto di un’azienda importante e delle speranze dioccupazione per tanta gente, ma non fu così. L’anno successivo, infatti, un gruppo diimprenditori tosco-liguri, dimostrando coraggio e fiducia nel futuro, presero lo stabilimentodall’ I.R.I., con l’intenzione di evitarne lo smantellamento e di farlo tornare operativo, nono-

Operai al lavoro,anni Trenta

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stante le pessime condizioni in cui si trovava. Il lodevole intento, però, trovò sul suo cam-mino le difficoltà relative alla seconda guerra mondiale, che videro la fabbrica requisitaprima dall’Aeronautica Militare Italiana, poi dalle forze repubblichine, successivamentedalle forze alleate e infine dai soldati polacchi, che lo lasciarono alla fine del 1946. Le pro-fonde ferite del terribile conflitto mondiale non scoraggiarono quel gruppo di industrialitosco-liguri di cui si è detto qui sopra: con grande impegno, sia professionale che finanzia-rio, essi ricostruirono lo stabilimento, che riprese a funzionare nell’agosto 1947. Da allora eper molti anni la Società Ceramica Adriatica ha conosciuto un costante sviluppo industria-le che l’ha portata ad essere una delle migliori d’Europa nel suo campo produttivo e che hadato lavoro a parecchie centinaia di persone. Tale successo imprenditoriale ha visto comemaggiore protagonista il Comm. Eugenio Quaglia, presidente e amministratore delegatodella S.C.A.: era un uomo che aveva la rara qualità di possedere, ad un tempo, doti di illu-minata imprenditoria e di sensibilità umana. Oltre che per i suoi successi industriali, seppedistinguersi per iniziative di carattere sociale, tra le quali la realizzazione di un asilo nido edi un doposcuola a Porto Potenza Picena, una colonia montana a Penna San Giovanni, iltutto per accogliere e assistere i figli dei dipendenti della sua azienda. Nel 1958 ad EugenioQuaglia il presidente della Repubblica conferì il titolo di Cavaliere al Merito del Lavoro, ono-rificenza meritata con una professionalità davvero notevole. La posizione di prestigio dellaS.C.A. nel campo industriale nazionale e internazionale durò per altro tempo, poi venneprogressivamente perduta per l’affermarsi di aziende concorrenti. Nella storia locale, però,l’attività di questo stabilimento ha lasciato un’impronta indelebile e ad esso il ricordo dellapopolazione corre ancora con sincera gratitudine.

Donne alla sceltadelle mattonelle,fine anni Cinquantainizi anni Sessanta

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La Fornace Antonelli

In posizione collinare, lo Stabilimento Laterizi Antonelli (popolarmente noto come FornaceAntonelli) è stata una delle industrie ‘storiche’ del nostro territorio. Venne fondato daFrancesco Antonelli intorno al 1860 e iniziò l’attività produttiva con la fabbricazione a manodi laterizi. Nel 1910, grazie ai progressi tecnologici del tempo, l’azienda introdusse i primimacchinari, con la conseguente soppressione della lavorazione a mano e con un notevoleaumento della produzione. La ‘Fornace’ seppe distinguersi per la validità dei suoi prodotti,realizzati con l’ottima qualità dell’argilla ferruginosa usata. La fabbrica seppe costruirsi unavasta clientela, sia in Italia che all’estero: particolarmente rinomate erano le “tegoleAntonelli”, le cui caratteristiche erano apprezzate ovunque. Lo stabilimento diede lavoro atante persone locali nel corso dei decenni, costituendo una importante fonte di reddito pernumerose famiglie.

Operai della Fornacecon il conte Antonelli,

anni Trenta

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La S.I.F. (Società Italo Francese)

Negli anni Trenta del secolo scorso era attiva a Porto Potenza Picena la S.I.F.: si occupavadella produzione di conserva di pomodoro e, successivamente, di pomodori pelati. Lo sta-bilimento, che inizialmente operava con l’energia fornita da un motore a vapore, lavoravastagionalmente, garantendo l’occupazione a varie decine di persone. Nel corso degli annil’azienda ha cambiato denominazione: è stata la Ditta Alberto Cavalli, la S.I.L.A. (dellaFederconsorzi), la Massalombarda. Lo stabilimento conserviero, che è stato attivo fino al1959, presentava la caratteristica ‘ciminiera’, un’elevata costruzione che gareggiava inaltezza con la torre quadrata vicina alla chiesa di Sant’Anna e che rappresentava una rile-vante peculiarità del paesaggio portopotentino. Il conferimento dei pomodori all’aziendaavveniva, nei primi tempi, utilizzando carri trainati da buoi, mezzi di trasporto poi sostituitidai camion.

La S.A.P. (Società Automobilistica Potentina)

Nasce nel 1923 e si sviluppa nel trasporto pubblico locale. Negli anni allarga la sua attivi-tà con il trasporto da noleggio e attività di scuolabus per i comuni del comprensorio mace-ratese. Attualmente sono trentacinque i mezzi a disposizione della società.

StabilimentoconservieroMassalombarda,anni Cinquanta

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La Bontempi

Nel 1937 iniziava la sua attività un’azienda destinata a diventare leader mondiale nel suosettore, contribuendo a far conoscere ovunque il nome di Potenza Picena. Fondata daEgisto Bontempi, nasceva la Bontempi, all’inizio azienda produttrice di fisarmoniche; suc-cessivamente diventerà protagonista assoluta nella produzione degli strumenti musicaligiocattolo. Negli anni Sessanta, con l’avvento dell’elettronica, l’ ing. Paolo Bontempi ha ini-ziato una nuova grande fase di sviluppo industriale, che ha portato l’azienda ad essere pro-tagonista nel settore strumenti musicali per oltre quarant’anni nei mercati nazionali e inter-nazionali. Puntando sulla tecnologia e sulla qualità, la ditta potentina ha meritato fin da subi-to la fiducia di una clientela sempre più vasta, divenendo autorevole ambasciatrice del“made in Italy” nel mondo.La ditta Bontempi, mentre dava lavoro a centinaia di famiglie del nostro territorio e diventa-va punto di riferimento irrinunciabile per l’economia locale, diffondeva i suoi prodotti in ogniangolo del pianeta, permettendo ai bambini di ogni continente di familiarizzare con la musi-ca e di imparare a suonare. La realizzazione degli strumenti musicali giocattolo è sempreavvenuta all’interno dell’azienda, grazie ad uno staff di progettazione di elevato livello tec-

Operai mentreaccordano lefisarmoniche,

anni Cinquanta

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nico: una generazione di professionisti si è presa cura dell’elettronica, degli stampi, dellaqualità e delle certificazioni, fino ai metodi produttivi. L’avvento delle tecnologie informati-che ha trovato pronta la Bontempi a rispondere alle nuove sollecitazioni del mercato, sem-pre garantendo l’assoluta bontà degli strumenti prodotti, nel rispetto delle attese e della tra-dizione maturata. Alle notevoli difficoltà che hanno investito il settore a livello globale, sortesoprattutto per la concorrenza dei Paesi asiatici, l’azienda ha risposto senza perdere quotedi mercato, conservando quella posizione di prestigio che ovunque le viene riconosciuta.Attualmente la Bontempi produce oltre il 60% della propria collezione di strumenti musica-li in Italia, grazie a capacità organizzative e tecnologiche di primissimo livello.Accanto agli strumenti musicali giocattolo, l’azienda potentina, con il brand Farfisa, proget-ta e introduce nei mercati internazionali prodotti elettronici di fascia medio-alta, strumentimusicali tecnologici, destinati al settore professional. La filosofia di espansione dell’azien-da ha portato alla nascita di una nuova società, la Bontoys. Creata per coprire tutto il set-tore del giocattolo, essa sviluppa e distribuisce una vasta gamma di prodotti legati all’im-magine dei più amati personaggi televisivi. Nuove e importanti sfide rilanciate con succes-so dalla Bontempi sotto la guida dell’attuale presidente Cristina Ficozzi.

Operai durantel’assemblaggiodelle fisarmoniche,anni Cinquanta

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La Rogin

Nel mondo dell’abbigliamento femminile e del “made in Italy”, la Rogin ha interpretato unruolo di primo piano. Le origini dell’azienda potentina risalgono al 1962, anno in cui partì ilpercorso creativo e imprenditoriale dei titolari Alberto Rosciani, Juska Rosciani eCameranesi. Nata come laboratorio nel quale operavano poche sarte e animata dalladeterminazione di entrare a far parte dei grandi protagonisti della moda italiana, la Roginsi è imposta progressivamente all’attenzione generale per la sua creatività, la raffinata qua-lità dei suoi capi e la professionalità di chi vi ha lavorato. Messasi in luce anche attraversole partecipazioni a manifestazioni importanti come Pret-à-Porter di Parigi, Pitti Donna aFirenze e Modit a Milano, l’azienda di Potenza Picena divenne una realtà economica digrande valore per il nostro territorio comunale, dando lavoro ad oltre duecento donne econtribuendo al benessere della popolazione locale e del circondario. Le collezioni dise-gnate da Juska Rosciani hanno saputo emergere nel panorama della moda e dell’elegan-za, tenendo ben presenti i valori della tradizione e dando il giusto spazio ad un tocco dimodernità che proietta lo stile nel futuro. La Rogin ha meritato riconoscimenti internaziona-li, come il premio Style, conferito dal Club della Mela di New York, il premio alla carriera PittiDonna di Firenze, l’Ambrogino d’Oro Città di Milano, il premio Bizarre della AtkinsonsProfumi, il premio Smile di Milano.

Sfilata di moda,al centro della

passerella la sig.raJuska Rosciani,

anni Ottanta

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La Ceramica Montesanto

Nasce nel 1968 per iniziativa di Aldo Gandolfi, già dirigente della Società CeramicaAdriatica, e del figlio Mario. All’inizio l’azienda poteva contare su un unico altoforno, poi, colpassare del tempo, la dotazione si è ampliata con altre strutture produttive. Nei primi annidi attività, la Ceramica Montesanto si è avvalsa della competenza tecnica di collaboratorigiunti da Sassuolo, i quali hanno insegnato il mestiere ai tanti lavoratori della nostra zona,che non avevano conoscenze specifiche.Nel 1986 l’azienda si è trasformata in cooperativa, alla cui guida è Fabio Mazzieri. I prodotti, rea-lizzati con materiali di ottima qualità, sono apprezzati nei mercati nazionali e internazionali.

Costruzioni Nautiche Fratelli Carlini

Agli inizi degli anni Trenta, in via De Gasperi di Porto PotenzaPicena, nasce il cantiere dei Fratelli Carlini e per circa ventianni costruisce cutter e imbarcazioni da diporto. Note carat-teristiche del cantiere sono gli off-shore che vincono nellaclasse 500 e 1000 cmc dei campionati italiani ed europei.Negli anni Trenta e Quaranta i piloti che vinsero i campionatifurono Emilio Osculati, Piero Morosi e l’industriale cinemato-grafico Scaligero Scalera. Ricordiamo il record nazionale suidroscivolante con motore Isotta-Fraschini di 120 km/h.Ennio Clementoni continuò l’arte del maestro d’ascia con variriconoscimenti nazionali.

Le altre aziende di rilievo di un recente passato

Prima della seconda guerra mondiale iniziò la sua attività la CAMICERIA MARINA a PortoPotenza Picena, l’azienda operò fino al 1985 grazie alla competente guida di ArnaldoPaniconi. Negli anni successivi, a Porto Potenza Picena cominciarono la loro attività alcuneaziende che hanno avuto una certa rilevanza nel tessuto economico locale. L’ ITALORTO, inqualche modo diretta erede della SIF, si è occupata in particolare della lavorazione deipomodori, preparando confezioni di pelati e di conserve; l’EDALIT è stata una ditta importan-te nella produzione e vendita di marmettoni, con clientela nazionale e internazionale; laSTYLINT, ancora in attività, si è distinta nella realizzazione di capi di biancheria intima e abbi-gliamento. Grazie all’energia imprenditoriale di Adriano Offidani e Gino Matteucci, questerealtà produttive hanno garantito a molte famiglie una preziosa occupazione, contribuendoallo sviluppo sociale della cittadina rivierasca e dei centri limitrofi.

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Le realtà produttive di oggi

Sono molte e di varia natura le attività economiche del nostro territorio comunale, a testimo-nianza dell’operosità di chi lo abita. A differenza di un passato più o meno recente, dovefiguravano realtà occupazionali con diverse centinaia di dipendenti (ricordiamo, ad esem-pio, la Società Ceramica Adriatica e la Bontempi), attualmente le aziende locali non rag-giungono cifre così alte, anche se alcune contano, comunque, una settantina di lavoratori.Il panorama produttivo mostra imprese artigiane e industriali distribuite sull’intero territorio,con buona concentrazione lungo la Strada Regina. Tra le attività si segnalano quelle relati-ve all’ortofrutta, alla panificazione, alla produzione e lavorazione di componenti per l’indu-stria calzaturiera, alla produzione di ruote per timoni di imbarcazioni, alla produzione dimacchine agricole, alla produzione di camicie, all’edilizia, alla pitturazione edile e industria-le, alla tipografia, alla falegnameria, alla lavorazione di materie plastiche, alla produzione discatole e cartoni; di rilievo sono anche le aziende che si occupano della progettazione har-dware e software, dell’assemblaggio di parti meccaniche e plastiche, dei circuiti stampati,dell’abbigliamento, di stampi, buste e sacchetti, ceramiche, biancheria, gelati, metalli pre-ziosi con relativa lavorazione; presenti anche quelle che si occupano di coltivazioni agrico-le, di edilizia, di trasformazione delle uve, del trasporto di linea, di prestazione di servizi diperforazione, della raccolta e trasporto di rifiuti speciali in genere, di lavorazione di fondiper calzature. Attive anche le aziende che producono piastrelle e ceramiche, mobili, infis-si e porte, calzature, stampi per suole, cavi elettrici, vini, mole abrasive, materie plastiche,oggetti elettronici ed elettrodomestici; da segnalare anche la presenza di ditte che si dedi-cano alla costruzione edile, all’automazione industriale, alla falegnameria, alla confezionee imballaggi per conto terzi, ai cablaggi industriali per la realizzazione di prodotti elettro-meccanici. Sul territorio sono presenti, inoltre, numerose aziende nel settore del commer-cio di prodotti alimentari e della ristorazione, varie officine meccaniche e altro ancora.Discorso a parte merita l’Istituto Santo Stefano: come in passato, questa grande strutturasanitaria dà lavoro a centinaia di famiglie, confermando la sua importanza vitale per l’eco-nomia locale.Tra le aziende del nostro territorio, tutte mediamente di buon livello, spiccano alcune dieccellenza per i servizi forniti e la qualità dei prodotti. La NSC (National Service Company),operante dal 1985, è attiva nel settore petrolifero, con tecnologie e interventi di alto livelloprofessionale; la Elettromedia, fondata nel 1987, è leader mondiale nel mercato car audiocol marchio Audison, producendo amplificatori, altoparlanti e accessori; la “SavorettiArmando & c snc”, nata nel 1965, è prima in Italia nella costruzione di ruote di timone evolanti per imbarcazioni; la Goldenplast SpA, fondata nel 1993, è leader nella produzionedei compounds termoplastici, destinati all’esportazione in tutto il mondo e in vari settori.Data la tradizione agricola locale, una citazione particolare meritano le case vinicole SantaCassella, la Montesanto e la Montecoriolano, i cui vini sono apprezzati ovunque.

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a r t e e c u l t u r a

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La biblioteca comunale

Sita in via Trento, la biblioteca comunale, gestita dal 2005 da un’associazione culturale, è arti-colata in due sezioni, l’antica e la moderna. In totale vi sono conservati oltre 21.000 volumi,patrimonio che si arricchisce con frequenti donazioni di enti pubblici e di privati. La sezionemoderna dispone di una buona dotazione di testi di storia locale e di storia e cultura marchi-giana. Particolarmente ricco è il settore della narrativa, della poesia e della critica letteraria.Sono presenti circa 90 periodici (mensili, settimanali, quotidiani, ecc.), compresi quelli inabbonamento, in donazione e in disuso; disponibile anche una buona dotazione di materialemultimediale, relativo ad enciclopedie, film e musica. Ricco è il settore dedicato all’infanzia eall’adolescenza, che dispone di varie opere pedagogiche destinate a genitori ed educatori.Da sottolineare, inoltre, l’esistenza di un fondo musicale, intitolato ai donatori “Diegi-Beltrami”,che comprende le partiture di 96 opere classiche, custodite in un mobile apposito.

La sezione antica della bibliote-ca comprende circa 1.600opere, tra libri a stampa e opu-scoli manoscritti. I più numerosisono libri dei secoli XVII e XVIII,le “cinquecentine” sono circa140; è presente anche un incu-nabolo ben conservato ma ace-falo (mancano i primi sette fogli),con capilettera dipinti a mano ininchiostro rosso e blu. Si conser-vano anche 42 manoscritti librari.La biblioteca di Potenza Picenaha registrato un incremento note-vole nel numero degli utenti, chearrivano da tutto il territoriocomunale potentino e dai comu-ni limitrofi. La biblioteca, chedispone anche di quattro posta-zioni di PC, offre numerosi servizie organizza interessanti iniziativeper la promozione della letturatra i bambini e i ragazzi.

IL POLO CULTURALE

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L’archivio storico comunale

Attiguo alla biblioteca è l’archiviostorico comunale. Esso custodi-sce documenti relativi ad un lun-ghissimo periodo di tempo, dalXIII al XX secolo.La documentazione più antica ècomposta da circa 160 volumi diatti consiliari, “istrumenti”, ca-merlenghi (atti della tesoreria delComune), catasti, ecc., dei seco-li XIV-XVIII, e da materiale mem-branaceo (144 pergamene, dicui la più antica è del 1252 e lapiù recente è del 1672). Il docu-mento cartaceo più antico è unregistro catastale del 1369-70.L’archivio è articolato in unaparte relativa al periodo dell’“Ancien Régime” (dal Medioevoal 1808), in una seconda riguar-dante l’età napoleonica (1808-1815), in una terza che va dallafine del potere napoleonico in Italia all’unità italiana (1816-1860) e una quarta che compren-de il periodo successivo all’unità della Penisola.La documentazione relativa all’ “Antico Regime” si divide, a sua volta, in un archivio “priva-to” o “segreto” e in un archivio generale. Nella prima di queste ripartizioni vi sono gli statu-ti comunali del XVI secolo, copia manoscritta degli statuti confermati e approvati da PapaEugenio IV nella prima metà del 1400, con capilettera in inchiostro color seppia, rosso overde. Di rilievo sono anche le Reformationes, una raccolta di leggi e decreti desunta daiLibri dei Consigli (ante 1526-1619), oltre ai già citati Consigli Comunali, che si riferisconoad un periodo di tempo che va dal XIV secolo al 1808 (con lacune) e ai documenti riguar-danti il Camerlengato (1481-1809). Ricca è pure la documentazione che ha per oggetto ilMonte di Pietà (dal 1558 al 1838) e anche quella relativa agli atti notarili, suddivisa in baseal notaio. In periodo napoleonico i documenti sono distinti in 12 categorie e ogni categoriain rubriche. Da segnalare, tra gli archivi aggregati, quello dell’E.C.A. (Ente Comunale diAssistenza): esso conserva documenti che vanno dal XVIII secolo al 1978.

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La fototeca comunale “Bruno Grandinetti”

Il 6 Luglio 2007 è avvenuta l’inaugurazionedella fototeca comunale “Bruno Grandinetti”,ospitata in alcuni locali del complesso dellachiesa e del monastero di Santa Caterina, incorso Vittorio Emanuele a Potenza Picena. Larealizzazione della nuova istituzione culturaleè stata possibile grazie alla donazione, effet-tuata dagli eredi, del grandissimo fondo foto-grafico di Bruno Grandinetti.Questi è stato testimone fedele e preziosodella storia locale dal 1950 in avanti: davantiall’obiettivo della sua macchina è fluita la vitadella gente locale, sono passati gli eventi piùsignificativi di una comunità operosa, legataalle sue tradizioni, giustamente fiera delle sueradici.La fototeca conserva un vero e proprio tesoro:per ciò che concerne il materiale strettamentefotografico, vi sono circa 15.000 stampe (inbianco e nero, a colori, alcune ritoccate a mano, altre ancora da inventariare), più di 50.000negativi (dalle lastre in vetro ai sali di bromuro d’argento degli anni ’50 alle più recenti pel-licole), circa 20.000 diapositive. Gli ‘scatti’ di Bruno Grandinetti rappresentano una docu-mentazione di inestimabile valore, una fonte inesauribile di personaggi, storie, tradizioniscritte con le immagini, con grande sensibilità e impareggiabile perizia tecnica. Il grandefotografo potentino si è pure dedicato, con la consueta maestria, alla documentazione deibeni artistici del Comune di Potenza Picena.

Donazione di apparecchiaturafotografica della

famiglia BrunoGrandinetti

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Nella fototeca possono essere ammirate anche varie attrezzature fotografiche di epochediverse, importanti testi tecnici relativi al mondo fotografico e una rilevante emeroteca spe-cializzata, nella quale spiccano i numeri della rivista “Progresso Fotografico”, molto quota-ti nel mercato antiquario. Il grande patrimonio donato al Comune dalla famiglia Grandinetticostituisce una realtà culturale di notevole valore, una eccezionale opportunità di consulta-zione e studio per tutti coloro che vogliano approfondire la conoscenza del territorio comu-nale potentino.

Inaugurazione dellaFototeca Comunale“Bruno Grandinetti”6 luglio 2007

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Monte Santo ha un lungo e importante rapporto con la musica. Grazie a recenti studi diPaolo Peretti e Fabio Quarchioni(32), possiamo disporre di informazioni utili a ripercorrere ilcammino coperto dai cultori delle sette note nel nostro territorio comunale. Se dati certimancano relativamente al periodo più antico, indicazioni più precise arrivano con il bassoMedioevo: in quel periodo la musica veniva praticata nelle chiese e nelle comunità religio-se, particolarmente presenti nella nostra realtà urbana del tempo, come la francescana,l’agostiniana e la benedettina. Nel secolo XV si mise in luce un tal Paolo da Montesanto,musico di eccellente talento, che fu cantore presso la corte pontificia. Nella prima parte delCinquecento la musica dovette essere praticata anche come intrattenimento mondano eprivato nell’ambito delle famiglie aristocratiche e tra gli intellettuali che le frequentavano.Agli inizi del Seicento ebbe una certa rinomanza Dionisio Pettorali da Montesanto, cantorecontralto della cappella di Loreto; intorno alla metà dello stesso secolo si realizzò l’attivitàmusicale del frate agostiniano Girolamo Amadori da San Costanzo, originario del Pesaresema venuto a risiedere nella nostra città, probabilmente esercitando la sua arte presso lachiesa di Sant’Agostino. Nella secondà metà del Seicento, nel monastero francescano diSan Tommaso, seppe emergere in campo musicale la clarissa suor Angela BenedettaBongiovanni, nativa di Servigliano. Il suo talento artistico si manifestava quando suonava ilclavicembalo e anche quando cantava accompagnandosi con esso. I secoli XVIII e XIX ciregalano un panorama più ricco di informazioni sulla musica della nostra realtà locale. Glistudiosi citati invitano ad individuare tre ambiti, in particolare, nell’attività musicale santesedel Settecento e dell’Ottocento: 1) la musica presso le dimore di famiglie aristocratiche; 2)la musica vocale e strumentale nelle chiese; 3) la musica cittadina e l’istruzione musicalepubblica. Tra le famiglie nobili di Monte Santo, che dedicarono uno spazio importante allacultura musicale, vi è quella dei Compagnoni Marefoschi. A palazzo si faceva musica siaper occasioni sacre che profane: si tenevano feste da ballo, nelle quali si eseguivano siabrani strumentali che vocali-strumentali; si svolgevano celebrazioni liturgiche, nella cappel-la privata o nelle chiese che erano sotto il patronato della potente famiglia, e feste religio-se. Anche i conti Bonaccorsi seppero onorare la musica, tanto che nella loro villa era ope-rante un corpo filarmonico al completo, detto “del Giardino”. Un evento importante nelcampo della musica di chiesa si ebbe nel 1754, in occasione dell’innalzamento a Collegiatainsigne dell’antica Pieve di Santo Stefano. Venne deciso di dotare la chiesa di un organonuovo e di stipendiare un organista in forma stabile. Negli anni successivi si cercò di affi-dare gli incarichi di organista e di maestro di cappella ad un’unica persona. Tra i religiosimusicisti si può ricordare il frate minore conventuale Antonio Maria Costantini, originario diMonte Santo, che fu attivo nella prima metà dell’Ottocento, producendo centinaia di com-posizioni musicali per le feste dell’anno liturgico. Tra gli altri suoi incarichi, fu apprezzatis-simo maestro di cappella ad Assisi e Padova. Nel 1832 Monte Santo ebbe il suo primo mae-

LA MUSICA

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stro pubblico di musica: tale compito venne assegnato all’ascolano Leopoldo Angelini – datre anni residente nel centro collinare – che doveva impartire lezioni gratuite a quattro allie-vi del luogo, provenienti da famiglie “non possidenti”. Con Settimio Barlesi, nel maggio1861, la figura del maestro comunale si occupò contemporaneamente dell’istruzione degliallievi, della direzione della banda e dell’istruzione dei suoi membri. La banda musicale diMonte Santo vide la luce nel novembre 1842 e fu posta sotto l’alto patronato del cardinaleFilippo De Angelis, arcivescovo di Fermo. A presiederla erano i conti Filippo Bonaccorsi eCamillo Compagnoni Marefoschi, rappresentanti delle due più note famiglie nobili del terri-torio. Nel 1947 avvenne la ricostituzione post-bellica della banda musicale, affidata alla pre-gevole direzione del maestro Edgardo Latini. Sono molti e di talento i potentini che seppe-ro distinguersi in campo musicale. Non possiamo, per ragioni di spazio, elencarli tutti mariteniamo opportuno dedicarci ad alcuni di loro.

BRUNO MUGELLINI (Potenza Picena 1871 - Bologna 1912) compì i suoi studi di composizio-ne e pianoforte al liceo di Bologna, guidato dai maestri Tofano, Busi e Martucci. A soli 24anni compose il poema Alle fonti del Clitunno, che ebbe l’onore di dirigere alla Scala diMilano; a 26 divenne insegnante di pianoforte al liceo del capoluogo emiliano, poi neassunse la direzione. Il suo talento concertistico gli meritò molti successi sia in Italia cheall’estero: Mugellini, del quale vennero particolarmente apprezzate la tecnica e la sensibi-lità artistica, fu interprete impareggiabile di titani della musica come Bach e Chopin. Lafama del nostro grande musicista è legata anche al Metodo di esercizi tecnici, autentica eirrinunciabile guida in particolare per gli studenti di pianoforte. A Bruno Mugellini, PotenzaPicena ha intitolato il suo splendido teatro nel 1933.

Il maestroBruno Mugellini

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GIAMBATTISTA BONI (Potenza Picena 1875 - Fermo 1964) divenne sacerdote presso ilSeminario Arcivescovile di Fermo e si impegnò nella propaganda della musica sacra,dando vita alla Cappella Aloisiana, rivista mensile con testi e musica per voci bianche, cuidiedero il loro contributo, tra gli altri, noti maestri come Amadei, Lazzarini, Matthey eTebaldini. A 33 anni, come ci informa Norberto Mancini nelle sue Visioni Potentine (33), diven-tò organista della Collegiata S. Michele Arcangelo di Fermo e direttore della ScholaCantorum dei seminari regionale e diocesano. Grazie alla sua infaticabile opera, la musicasacra conobbe grande diffusione e riscosse interesse sia nella diocesi fermana che oltre iconfini di essa. Giambattista Boni, che si distinse nelle produzioni musicali ed editoriali,compose undici Messe: la nona riscosse il convinto apprezzamento del Maestro Perosi.

FLAVIO CLEMENTONI (Potenza Picena 1886 - Fano 1958) studiò sotto la guida dei MaestriAmilcare Zanella e Antonio Cicognani, rispettivamente direttore e vicedirettore del conserva-torio “Rossini” di Pesaro. A Loreto frequentò altri importanti personaggi del panorama musi-cale del tempo, come i maestri Ulisse Matthey e Giovanni Tebaldini, dai quali seppe trarrepreziosi insegnamenti. L’attività artistica di Flavio Clementoni aveva il dono della spontaneità,della fantasia, della originalità e si meritò il plauso di istituzioni a livello nazionale. Tra le sueopere più note ci sono le composizioni corali Ave Maria, Il Cantico delle Creature, l’opera intre atti Il ritratto della mamma e, soprattutto, Mater Dei, oratorio in tre parti, per cori, soli e gran-de orchestra, sul quale diedero giudizi molto positivi Pietro Mascagni e Lorenzo Perosi.Degne di nota anche le quattro Messe da requiem dedicate alla figlia Maria Luisa.

ARTURO CLEMENTONI (Potenza Picena 1894 - Ascoli Piceno 1984) si diplomò al conservato-rio “Rossini” di Pesaro in direzione e strumentazione a vent’anni; dopo la prima guerra mon-diale proseguì gli studi e conseguì il diploma di organo e di composizione organistica. A

Flavio e ArturoClementoni con lamadre Annunziata

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Loreto si perfezionò sotto la guida dei maestri della basilica lauretana, Barbieri, Tebaldini eMatthey. Le sue qualità gli meritarono la direzione della Cappella di San Nicola a Tolentinoe quella di S. Emidio ad Ascoli Piceno. In quest’ultima città diede vita alla Scuola Cecilianaper i giovani della diocesi e alla Scuola Gregoriana nel monastero di clausura delleBenedettine. Nel capoluogo piceno divenne direttore artistico del teatro Ventidio Basso. Ilsuo capolavoro di musica sacra è la Missa Jubilaris, premiata da Papa Pio XII con laCommenda dell’Ordine di San Silvestro. Le sue composizioni vengono tuttora eseguite inambito nazionale e internazionale.

La musica del nostro territorio comunale deve molto al maestro EDGARDO LATINI. Nativo diMorrovalle, fin da bambino aveva manifestato il suo talento per la musica. Frequentati iConservatori “Rossini” di Pesaro e quello romano di “Santa Cecilia”, si diplomò in strumen-tazione e composizione. Docente di ruolo di educazione musicale nelle Scuole Medie,diresse una scuola per pianoforte, chitarra e organo elettronico a Civitanova Marche. Nelsuo palmares figurano successi in vari concorsi di musica leggera e classica. In virtù dellasua grande preparazione e maestria, nel 1947 gli venne affidato il compito di riorganizzarela banda musicale e la scuola di musica a Potenza Picena. Grazie alla sua guida, la bandamusicale è diventata una delle migliori delle Marche. Il maestro Edgardo Latini è stato unodei maggiori collaboratori della Schola Cantorum per la quale fu apprezzato organista.

In questi ultimi anni hanno messo in evidenza il loro talentomusicale i fratelli Reggioli. ENRICO REGGIOLI (classe 1965),diplomato in pianoforte principale al Conservatorio “Rossini” diPesaro e in Direzione orchestrale a Pescara, è un apprezzatomaestro d’orchestra dal 1999. Da allora ha maturato un ricco bagaglio di esperienze lavoran-do a fianco di Maestri come Acs, Morandi, Renzetti e, dal2008, Oren. Al suo attivo figurano direzioni d’orchestra in Italiae all’estero. Nel 2002, a Yokohama, ha diretto l’orchestra inter-nazionale di Tokyo nelle prove del concerto The three Tenors,collaborando con Carreras, Domingo e Pavarotti. Tra le sue

apprezzate direzioni vi sono quelle dell’Orchestra Sinfonica del teatro di Limoges,dell’Orchestra “Verdi” di Salerno, dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Budapest,dell’Orchestra Filarmonica delle Marche, dell’orchestra del teatro “La Monnaie” diBruxelles. Tra le opere da lui dirette figurano Il Trovatore, Falstaff e Un ballo in maschera diVerdi, Cavalleria Rusticana di Mascagni, Pagliacci di Leoncavallo, L’Italiana in Algeri e LaCenerentola di Rossini, L’Elisir d’amore di Donizetti.

SERGIO REGGIOLI (1970), all’età di soli sei anni, ha avuto il primo approccio con il violino; poi,nel 1992, si è diplomato al conservatorio “Rossini” di Pesaro. Nei primi anni ’90 ha frequen-tato la scuola di Mogol (CET), facendo le prime esperienze con la composizione di canzo-

Il maestro EdgardoLatini con la bandamusicale, duranteuna manifestazionenella chiesadi San Francesco,anni Ottanta

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ni e brani strumentali, avvicinandosi al mondo della musica pop-rock e collaborando conautori e compositori dei Nomadi. Nella storia musicale di Sergio ha avuto grande importan-za l’incontro con il civitanovese Giuseppe Gismondi (già chitarrista di Ivan Graziani).Nel 1998 Reggioli ha fatto il suo ingresso nei Nomadi; nel 2006, con loro, ha vinto la clas-sifica ‘Gruppi’ al Festival di Sanremo, centrando anche il secondo posto assoluto. Con ilmitico gruppo emiliano, Sergio ha al suo attivo diverse partecipazioni al Concerto del PrimoMaggio a Roma; suona il violino in modo eccellente e ha dato un contributo notevole al rin-novato successo dei Nomadi; è bravo anche con le percussioni, le chitarre acustiche edelettriche, i flauti, la tromba e altri strumenti.

I Nomadi al festivaldi Sanremo nel 2006

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Schola Cantorum Santo Stefano

E’ la più antica istituzione cittadina: vide la luce nel 1796, per volontà del Preposto dellaCollegiata di Santo Stefano, passata dall’antica Pieve, che si trovava nella piazza principa-le, nella chiesa di S. Ignazio, divenuta Chiesa Parrocchiale. Siccome ci si era dotati di unorgano, si pensò alla costituzione di una corale che prestasse il suo servizio accompa-gnando la popolazione di Monte Santo nel suo cammino di fede. La Schola Cantorum effet-tuò il suo primo servizio in occasione della celebrazione della Santa Messa nel giorno diPasqua, il 27 marzo 1796. Da allora, giovandosi del talento di grandi uomini di musica, èarrivata fino a noi, mutando il nome in quello di Corale Santo Stefano. In oltre due secoli divita, essa è cresciuta sia nel numero dei suoi componenti sia nella qualità delle interpreta-zioni, con un vasto repertorio che comprende, tra l’altro, composizioni polifoniche, spiritualse musica moderna. Moltissimi i luoghi dove la Corale Santo Stefano si è esibita: da molticentri marchigiani, a numerose città italiane, a località estere come Zante (Grecia), Berlino,Budapest, Stettino (Polonia). Il 10 settembre 1995 ha avuto l’onore di cantare a Montorso diLoreto in occasione della Santa Messa celebrata da Sua Santità Giovanni Paolo II, nell’am-bito dell’incontro con i giovani d’Europa.

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Corale Sant’Anna

Nata a Porto Potenza Picena nel 1985 per iniziativa di appassionati di musica, la CoraleSant’Anna ha un organico a voci miste e si compone di oltre trenta elementi. Il suo reperto-rio spazia dalla polifonia classica rinascimentale alla musica contemporanea. Nonostantela sua ancora breve esistenza, ha fatto registrare un gran numero di esibizioni, relative siaall’attività liturgica che concertistica. Tra i luoghi dove la Corale Sant’ Anna ha cantato cisono i Santuari della Madonna del Rosario di Pompei, di San Gabriele, di Santa Rita daCascia; le Basiliche della Santa Casa di Loreto, di San Francesco d’Assisi, di San Pietro aRoma e di Sant’Antonio a Padova, il duomo di Fermo e quello di Macerata. Si è esibitaanche in diretta televisiva su Raiuno, in occasione della Santa Messa celebrata nella chie-sa dell’Istituto Santo Stefano dall’Arcivesco di Fermo, Gennaro Franceschetti; ha presoparte a diverse rassegne musicali, tra cui il Festival Internazionale di canto corale AltoAdige, e ha cantato anche in Slovenia. Presta servizio liturgico nella chiesa del CorpusChristi, a Porto Potenza Picena nelle più grandi solennità.

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L’organo da sala di Giovanni Fedeli

Tra i tesori d’arte e di storia che Potenza Picena custodisce, un posto di rilievo lo merita unostraordinario organo da sala, opera del maestro organaro camerte Giovanni Fedeli (1711-1782). Ospitato nell’ex chiesa di Sant’Agostino, è uno strumento di particolare pregio, cheappartenne alla famiglia dei nobili Compagnoni Marefoschi: successivamente venne por-tato nella chiesa delle monache Clarisse di San Tommaso, prima di trovare la collocazioneattuale. L’anno di costruzione del prezioso organo è il 1757: l’autore e la datazione sonodocumentati da un’iscrizione rilevabile dietro il piede della canna centrale di facciata e dauna scritta su altra parte dello strumento. La ‘mano’ del Fedeli, inoltre è riconoscibile daalcuni dettagli stilistici nella decorazione dell’organo. Questo, racchiuso in una artisticacassa lignea decorata ad intarsio, ha la tastiera che presenta preziose copertine in osso sualcuni tasti. Le splendide canne interne sono costituite della stessa lega di stagno di quel-le di facciata (anziché essere di piombo, come di regola) e in essenza di castagno. Graziead un intervento di restauro eseguito con eccellente maestria, l’organo è tornato allo splen-dore originario ed è stato possibile ripristinare la sua inimitabile qualità sonora. La ‘creatu-ra’ del Fedeli, grazie alle sue caratteristiche, è utilizzabile per l’impiego solistico, per il dia-logo con altri strumenti o con la voce. Attualmente l’organo da sala è collocato al centrodella zona absidale della ex chiesa di Sant’Agostino, sotto un grande dipinto di PieroTedeschi (1750-1805) raffigurante la Maddalena ai piedi della Croce.

Vittorio Sgarbiammira l’organo

di Giovanni Fedeli,aprile 2007

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Prospetto dei tiranti deiregistri con gli originali

cartellini manoscritti

La tastiera

L’organo GiovanniFedeli, 1757,restaurato neldicembre 2007

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c o s t u m e e s o c i e t à

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La festa del Grappolo d’Oro

Un omaggio ad uno dei frutti più generosi della nostra terra, un appuntamento in cui tradi-zione agricola e autentica cultura popolare si fondono mirabilmente, regalando emozioni egioia di vivere: questa è, in estrema sintesi, la ‘Festa del Grappolo d’Oro’, un vero e proprioinno all’uva e, di conseguenza, al vino.La prima edizione, datata 1955, era intitolata ‘Festa dell’Uva’ e già allora era caratterizzatadall’entusiasmo di chi la promuoveva e di chi vi prendeva parte. Le prime edizioni(34) eranosemplici sagre paesane, con carri trainati da buoi: erano carri agricoli che rappresentava-no la vendemmia, la cantina, la lavorazione del vino. In seguito essi diventarono vere e pro-prie opere d’arte, fino ad arrivare all’edizione in cui il G.S. Potentia 1945 allestì un carrodenominato “Grappolo d’Oro”: era costituito da un tralcio di ferro con acini illuminati da lam-padine. L’opera, acquistata dalla Pro Loco, è stata per anni esposta all’ingresso di PotenzaPicena e la ‘Festa dell’Uva’ è diventata ‘Festa del Grappolo d’Oro’. Gli ultimi giorni di set-tembre sono dedicati a questa manifestazione che propone una gara di carri allegorici,allestiti da maestri carristi, in rappresentanza delle contrade locali. Per l’occasione, lo scor-rere tranquillo della vita quotidiana di Potenza Picena subisce una piacevole accelerazio-ne ed è facile lasciarsi coinvolgere dall’atmosfera di festa che si respira nelle vie e nellepiazze. Le locande e le taverne propongono le loro eccellenze culinarie, accompagnate da

RICORRENZE

Ragazze in costumetradizionale potentino,

anni Cinquanta

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vini di qualità, mentre la musica rallegra gli animi. Organizzata dalla locale Pro Loco, incollaborazione col Comune di Potenza Picena, la ‘Festa del Grappolo d’Oro’ è uno degliappuntamenti più noti del calendario delle manifestazioni folkloristiche delle Marche. Dalmattino alla sera è un trionfo di colori, di suoni, di sapori: si mettono in evidenza i policro-mi costumi dei figuranti e degli sbandieratori, le note delle chiarine, il gusto delle pietan-ze che attirano i buongustai, il profumo del mosto. Sulle colline che circondano il centroabitato, i filari delle vigne disegnano interminabili linee parallele in un gioco geometricoche cattura gli occhi. Il profumo del mosto, che si sente nell’aria, inebria e diffonde alle-gria. La ‘Festa del Grappolo d’Oro’, che ritualmente si apre con la dichiarazione ufficialedel messaggero di Bacco a cavallo, si articola in diversi giorni e ha in programma conve-gni su argomenti enogastronomici e sulle tradizioni locali, con la partecipazione di emi-nenti esperti del settore. Della bellezza della manifestazione folkloristica di Potenza Picenasi sono potute rendere conto anche le delegazioni della città irlandese di Templemore, diquella inglese di Burford e di quella francese di Premilhat: gli ospiti d’oltre confine nehanno apprezzato ogni aspetto, ogni particolare, portando nei loro Paesi le emozioni vis-sute nel Settembre potentino.

Gruppo folck“Montesanto 1992”

Grappolo d’Oro 2002

Carro delGrappolo d’Oro,fine anni Cinquanta

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Ragazza mentre recita,fine anni Cinquanta

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Ragazza in costumetradizionale potentino,

edizione 2006

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Il Presepe vivente

Il presepe vivente di Potenza Picena è diventato uno dei più visitati e apprezzati in ambitoregionale, grazie all’accuratezza della rappresentazione e al fascino del luogo che la ospi-ta: il bosco del convento dei Frati Minori. Circa duecento personaggi, indossanti vesti rea-lizzate con scrupolosa fedeltà ai modelli originali, animano le molte scene allestite sui due-mila metri quadrati interessati dall’evento, insieme con animali, attrezzi e arredi relativiall’antico popolo ebraico. Musiche e luci concorrono a rendere il tutto particolarmente sug-gestivo, creando un’atmosfera che invita alla riflessione e dona emozioni profonde. La rap-presentazione potentina della natività, che ha mosso i primi passi potendo contare sullaconsulenza di don Carlo Leoni, è un’opera artisticamente apprezzabile e, soprattutto,diventa strumento prezioso di trasmissione di valori umani e religiosi; inoltre, grazie ad essai suoi organizzatori – gli “Amici del Presepe” – raccolgono offerte che poi devolvono inbeneficenza. La prima scena che il visitatore incontra nel bosco dei Frati Minori è relativaal Paradiso Terrestre, l’ultima riguarda la Gerusalemme Celeste: in mezzo vi sono alcunidegli eventi più importanti e noti della vita di Gesù.

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La Festa di Sant’Anna

Nella ancor breve storia di Porto Potenza Picena, la festa di Sant’Anna (26 luglio) organiz-zata impeccabilmente da un apposito comitato, è un evento fondamentale sia dal punto divista religioso che sociale. Attorno all’omonima chiesa è cresciuta la comunità locale nelsecolo scorso, accogliendo gente giunta qui da varie regioni italiane per cercare lavoro oper ricevere cure all’Istituto Santo Stefano. La Patrona, madre di Maria, è una presenzamolto importante nel cuore dei portopotentini e la sua festa viene vissuta intensamente. Ilsuono delle campane della torre di Sant’Anna ha sempre annunciato, di primo mattino, l’at-tesa ricorrenza.Negli anni Sessanta e Settanta, al largo della nostra spiaggia, arrivava una nave dellaMarina Militare, che giungeva per la concomitante Festa del Marinaio e in onore dellaPatrona. La giornata, anche oggi, è ricca di altri momenti di celebrazione, come quellomolto commovente del lancio in mare di una corona d’alloro per ricordare i caduti delleguerre mondiali. Vari decenni fa, la raccolta di fondi per organizzare le manifestazioni inonore della Patrona era a cura dei cosiddetti “festaroli”(35) che, fin dal tempo della battitura,si recavano in campagna per racimolare un po’ di grano da vendere al mulino per ricava-re qualche soldo.L’immagine di Sant’Anna (una tela ora appesa nella sacrestia della chiesa del CorpusChristi) veniva portata in processione su una sorta di barella munita di due stanghe, soste-nuta a spalla da quattro persone; seguiva il “baldacchino”, di broccato oro, portato da seifedeli. In spiaggia, la festa viveva momenti di grande divertimento. Uno di questi si svolge-va in mare ed era una sorta di albero della cuccagna: all’estremità di un palo di legno, chesporgeva dalla prua di una barca, era fissata una bandierina. I concorrenti, a turno, dove-

Nave della MarinaMilitare Italiana per la

Festa di Sant’Anna,anni Sessanta - Settanta

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Fuochi per la festa di Sant’Anna

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vano andarla a prendere avanzando lungo il palo, cosparso di grasso: numerose e accom-pagnate dalle risa del pubblico sulla spiaggia le frequenti cadute in acqua. Altra gara eraquella della cattura di anatre che venivano lasciate libere in uno specchio di mare circon-dato da barche: a nuoto i partecipanti al gioco dovevano agguantarle. Di sera si potevaassistere, in piazza della Stazione, al lancio di un pallone aerostatico pieno di luci; comple-tavano il programma serale l’apprezzato concerto della Banda musicale di Potenza Picenae l’estrazione di una tombola. In anni recenti nuove attrazioni sono giunte a sostituire quel-le appena ricordate: il Palio di Sant’Anna, la gara dei castelli di sabbia e il grande spetta-colo pirotecnico sul mare sono tra gli appuntamenti di spicco. Di invariato, invece, resta ilprofondo amore dei portopotentini per la loro Patrona, un sentimento che non tramonta maida queste parti.

Torre quadrata,sec. XVIe chiesa diSant’Anna

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“Lo Porto de cent’anni fa”

Un’iniziativa culturale che sta costruendosi una bella tradizione è Lo Porto de cent’anni fa,promossa dal Centro Studi Portopotentino. Gli ideatori di tale appuntamento estivo, che haluogo nel primo sabato d’agosto, si propongono di riportare alla luce momenti e personag-gi della cittadina rivierasca di un secolo fa. Circa duecento figuranti in costume d’epoca (trail 1900 e il 1920) danno vita a diverse ambientazioni differenziate per ceti sociali: così sipossono ammirare i nobili nella loro eleganza, i contadini intenti ai loro lavori quotidiani edeccellenti interpreti del Saltarello marchigiano, i pescatori nel loro tipico abbigliamento, i vil-leggianti. Le vie e le piazze di Porto Potenza Picena, come per incanto, diventano un ammi-rato palcoscenico sul quale fluisce la vita di un secolo fa, immagini che, senza questa intel-ligente e ben organizzata rievocazione, finirebbero per essere dimenticate. Accanto a LoPorto de cent’anni fa vanno segnalati due altri appuntamenti che hanno luogo il giornodopo: la Rievocazione degli Antichi Mestieri e la Pesca con la sciabica. La prima, che sisvolge nella suggestiva ambientazione del Rione Casette, passa in rassegna alcuni deilavori tipici di un tempo: nei loro costumi si possono ammirare, ad esempio, le tessitrici, ilbirrocciaio, il falegname, il maniscalco, lo scrivano, il fruttivendolo, il costruttore di nasse, ecosì via. Per i turisti e per le nuove generazioni è un’autentica opportunità di conoscerealcune occupazioni del passato, per i più anziani è un momento di nostalgia e anche dicommozione per un tempo ormai andato. Rilevante, poi, è la rievocazione della pesca conla sciabica, che viene proposta nel tratto di mare antistante il circolo “Il Faro”. Vengono rivis-sute tutte le fasi relative alla pesca con la grande rete: la sua cala, il suo faticoso recuperoda parte degli sciabecotti, la vendita del pescato da parte delle pesciarole e poi, per con-cludere, vi è anche un assaggio di squisito brodetto con pesce dell’Adriatico.

Figuranti de “Lo Portode cent’anni fa”,

Centro StudiPortopotentino, 2006

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Ballo in piazza Douhet,2006

Gli “sciabecotti”,2006

Sfilata in abitid’epoca, 2006

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Potenza Picena e il suo territorio comunale vantano un movimento sportivo qualitativamen-te e quantitativamente di notevole rilievo, ai vertici nella Provincia di Macerata. Al 2008 risul-tano ufficialmente attive ben 35 società sportive, alle quali aderiscono diverse centinaia ditesserati nelle diverse discipline praticate. Di quanto sia radicato lo sport tra i giovani delComune potentino sono testimonianza le varie edizioni finora svoltesi delle Olimpiadi dellaProvincia di Macerata: i nostri ragazzini partecipano sempre in gran numero e, proprio nel2008, si sono piazzati nientemeno che al secondo posto nel medagliere generale, prece-dendo Comuni più grandi, come Macerata (terza), Recanati (quinta), Tolentino (decima). Igiovani atleti potentini sono saliti sul secondo gradino del podio avendo conquistato 27medaglie d’oro, 14 d’argento e 12 di bronzo, un bilancio davvero entusiasmante. La cosapiù importante, però, non è il fatto di aver centrato tanti successi ma il poter contare su unagioventù che, praticando lo sport, cresce sana e lontana il più possibile dai pericoli di que-sto tempo, che matura nel rispetto del prossimo e delle regole. Siccome, però, è giustocelebrare le affermazioni sportive, nelle pagine che seguono passiamo in rassegna, disci-plina per disciplina, tutti coloro che le hanno ottenute a livello nazionale e internazionale:per ragioni di spazio non abbiamo potuto dedicarci né ai campioni provinciali né a quelliregionali, ai quali rivolgiamo comunque un applauso. Catalogare nomi di atleti e di squadre che, nel corso degli anni, si sono fatti onore ai mas-simi livelli, non è cosa facile: si rischia di dimenticare qualcuno o qualche impresa impor-tante. Per questo si è ricorso all’aiuto di varie persone che, nelle rispettive discipline, con-servano memoria storica di fatti e personaggi che hanno dato lustro alla loro attività sporti-va. Le prossime pagine, in modo necessariamente sintetico, passano in rassegna, in ordi-ne alfabetico, gli sport dal più ricco palmares.

Atletica Leggera

Nei primi anni ’90, l’atletica leggera ha regalato grandi soddisfazioni allo sport locale. Il quelperiodo, grazie alla Società Podistica Seco, presieduta da Franco Leandrini, arrivaronodiversi titoli italiani a dar lustro al palmares sportivo del nostro territorio. Il 14 Settembre1990 ai campionati italiani di Cesenatico, MARIO MORETTI si guadagnò la medaglia d’oro sui5.000 metri, imitato dal suo compagno di squadra ANDREA ACQUA che s’impose sui 100metri piani; il giorno dopo, sempre Moretti vinse sui 10.000 metri, mentre Acqua centrò l’ar-gento sui 200 metri piani. A Viareggio, il 12 Settembre 1992, Mario Moretti conquistò l’oronazionale sui 5.000 metri e LEONARDO AGOSTINELLI arrivò secondo sulla stessa distanza; ven-tiquattro ore dopo, Agostinelli si mise al collo un altro argento, sui 10.000 metri. A Roseto

ECCELLENZE SPORTIVE

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degli Abruzzi, il 9 Maggio 1993, Mario Moretti si laureò campione italiano dei 10.000 metrisu strada. Altro alloro tricolore per lo stesso atleta giunse il 23 Settembre 1995 aCesenatico: Mario sbaragliò la concorrenza sui 10.000 metri. Nel 1999, a Marina di Massa,l’Atletica Potenza Picena vinse la medaglia d’oro nel campionato italiano di mezza marato-na. Nel 2008, a Caserta, MAURIZIO BONVECCHI si è laureato campione italiano nella catego-ria M50 di corsa campestre.

Baseball

In questa disciplina sportiva possiamo vantare numerosi atleti, provenienti dal BaseballClub Le Pantere, che si sono meritati la convocazione in maglia azzurra. RICCARDO

RICCOBELLI (classe 1983) ha vestito per la prima volta la casacca della Nazionale Ragazzinel 1995. Ha preso parte a numerosi raduni della rappresentativa italiana, con la quale hapartecipato al campionato europeo a Praga, dove la compagine azzurra ha conquistato iltitolo continentale. MICHELE QUATTRINI (classe 1987) è stato chiamato in Nazionale Ragazzinel 2000, ha partecipato a molti raduni del team italiano. Dall’età di tredici anni è semprestato selezionato per le formazioni di categoria. Nel 2005 ha disputato il Mundialito (unaspecie di campionato mondiale giovanile) svoltosi in Spagna e, l’anno successivo, a quel-lo di Trieste: in entrambe le competizioni è risultato il miglior lanciatore. Nel 2008, dopo treanni di militanza in serie A2, ha raggiunto la massima serie nelle file dei Pirati di Rimini,dove gioca nel ruolo principe di lanciatore. RICCARDO GIUSTI ha partecipato al Mundialito inGiappone, GABRIELE QUATTRINI ha disputato, con la Nazionale Ragazzi, il Mundialito diMilano del 2006 e il MondialHit in Abruzzo nel 2007, insieme con ENRICO SIMONETTI.

Bocce

Grazie all’attività di quattro società bocciofile (Delfino, Montesanto, Riviera e Vittoria), lebocce hanno avuto uno sviluppo importante nel nostro territorio comunale. Gli allori ottenu-ti sono stati e sono di caratura elevatissima. Il primo risultato eccellente è datato 1969: aFerrara, RENATO TURCHI, LUIGI BILÒ e NANDO BELLUCCINI si laureano campioni italiani nella“terna” Allievi. L’anno successivo il titolo tricolore lo colgono, a Milano, SESTO ZALLOCCO,MARIO GALASSI e NELLO MARTINELLI, che si impongono nella “terna” categoria B. Nel 1972, aTreviso, ENZO ZALLOCCO e GAETANO FRATTARI vincono l’alloro nazionale nella “coppia” catego-ria C. Dodici mesi dopo, sul più alto gradino del podio italiano, a Voghera, salgono FRANCO

PEZZOLA, LUIGI BAFFO e GRAZIANO TRAMANNONI che sbaragliano il campo nella “terna” catego-ria C. Le nostre bocce continuano a mietere vittorie e, nel 1975, LEONE MOBILI e DANTE

TORRESI conquistano l’oro tricolore a Teramo, dominando nella “coppia” categoria B. Dopo

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una pausa di otto anni, nel 1983 si torna a vincere il titolo nazionale: ci riesce, a Parma,LUCA PETRELLI, insieme a Giorgio Mammalucco e Simone Elisei, imponendosi nella “terna”Ragazzi. Passano altri sette anni e, nel 1990, arriva la maglia tricolore nei campionati persocietà: al Flaminio di Roma si laurea campione d’Italia la Bocciofila Vittoria, con i giocato-ri Luca Petrelli, SAURO PETRELLI, GIUSEPPE MICUCCI e DOMENICO DARI, c.t. Giuseppe Petrelli. Nel1995 la palma del migliore della Penisola va a MICHELE SGOLASTRA che a Fano, in compa-gnia di Giacomo Gallucci, vince la “coppia” Ragazzi. Il nuovo millennio ripropone i fasti diquello passato. Nel 2002, a Verona, MIRKO GAROFOLO, insieme con Massimiliano Petrocchi,conquista il titolo italiano nella “coppia” Ragazzi. Doppio squillo di tromba per le nostrebocce anche nell’anno successivo: a Brescia, MANUEL MACELLARI, col compagno AndreaBigioni, vince l’oro tricolore nella “coppia” Allievi; sotto la guida del c.t. Attilio Macellari,MANUEL MACELLARI partecipa alla conquista del titolo italiano Juniores per società. Anche nel2004 i nostri boccisti salgono in cattedra: LUCA GELOSI, insieme con Marco Sabbatici, con-quista il titolo nazionale di “coppia” Allievi a Venezia; in Ungheria, al campionato europeoa squadre, MANUEL MACELLARI vince con la rappresentativa italiana il titolo continentale. Il2005 vede ancora Manuel Macellari in splendida evidenza: a Carpi diventa campione tri-colore nella “terna” Allievi, insieme con Paolo Macori e Marco Sabbatini. Passano altri dodi-ci mesi e si torna a primeggiare in Italia: lo fanno la giovanissima JESSICA GELOSI, che domi-na nell’ “individuale” Ragazze a Bologna, e Manuel Macellari che s’impone nell’ “individua-le” categoria B a Monza. Nel 2007 è la volta di Luca Petrelli: vince l’oro nazionale a ReggioEmilia nell’ “individuale” categoria A.

Calcio

Il campanilismo che, più di adesso, ha caratterizzato i rapporti tra Potenza Picena e PortoPotenza, ha sempre avuto nel calcio una delle sue vetrine privilegiate. La storia sportivalocale ha, soprattutto, i colori giallorossi (potentini) e rossoneri (portopotentini), entità cro-matiche che hanno dato vita al ‘derby infinito’ tra le squadre dei due centri, con la cornicechiassosa di un pubblico sempre ‘caldo’ e interessato. I cori verso i ‘carginelli’ o gli ‘scia-becotti’ sono le espressioni goliardiche e, a loro modo, simpatiche dei sostenitori delle duecompagini, una nota suggestiva nel rispetto delle regole e del prossimo.Nel calcio NICOLA BOVARI (1945) occupa una posizione di rilievo nel racconto della nostrastoria sportiva. In serie D già a 16 anni (nella Sangiorgese), ha meritato la prima convoca-zione in Nazionale a 17, giocando nella formazione azzurra Juniores in Romania. Passatoall’Inter, ha vinto con i nerazzurri il torneo “De Martino” e ha risposto ad un’altra chiamatadella Nazionale italiana, impegnata in Inghilterra (in squadra giocava anche Gigi Riva). Nelsecondo anno di sua permanenza nel club di Angelo Moratti ha effettuato la preparazioneprecampionato a San Pellegrino con la Grande Inter dei vari Mazzola, Corso e Suarez. Ildebutto di Nicola in serie A è avvenuto a 19 anni, all’Olimpico di Roma, con la maglia del

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I ragazzi premiati perle III Olimpiadi dellaProvincia di Macerata,Festa dello Sport 2008

Dirigenti della societàBaseball Club“Le Pantere”,Giuseppe Carestia,Ernesto Riccobelli,Bruno Mancini,Festa dello Sport 2008

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Remo Scocciamentre viene premiato

da Roberto Luchinie Andrea Bovari,

per l’impegno profusonel ciclismo,

Festa dello Sport 2006

Componenti dellasquadra di calcio “Bar

Maritozzo”, campioniitaliani amatori 1987,

da sinistra AndreaBovari, Silvano Meriggi,

Manlio Ramadori,Giovanni Sampaolo,

Mario Girotti, EnzoBalloriani, MarcelloPaolucci, Luciano

Marabini, EdoardoVeroni,

Festa dello Sport 2007

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Bari. L’allenatore gli ha sempre affidato il compito di marcare il giocatore avversario di mag-gior classe: così si è preso ‘cura’ di campioni come Haller, Amarildo, gente di talentosopraffino. Successivamente Bovari ha disputato numerosi campionati tra serie B e C.NELLO MALIZIA (1950), molisano di nascita ma trasferitosi a Potenza Picena fin da piccolo, èstato uno dei migliori portieri italiani per almeno un decennio. Vestita la maglia delle giova-nili giallorosse, è passato poi alla Maceratese (serie C), trampolino di lancio per approda-re al Perugia nel 1974, salendo in serie A con la formazione umbra, nella quale si mise ingrande evidenza. Sua destinazione successiva è stata Cagliari (1983), ancora nella massi-ma serie. Lasciata l’isola, ha continuato a mostrare la sua bravura in squadre professioni-stiche come il Padova e l’Atalanta. Appese le scarpe al proverbiale chiodo, ha iniziato asvolgere l’attività di preparatore dei portieri nella società nerazzurra di Bergamo, giovando-si della grande esperienze maturata in tanti anni sui campi di tutta Italia.Una delle pagine più emozionanti del libro del calcio locale è stata scritta nell’ottobre 1987dalla squadra del BAR MARITOZZO, allenata da Marcello Paolucci, protagonista del calcioamatoriale. La formazione del presidente Silvano Meriggi stacca il biglietto per le finali diFoggia, da disputarsi nello stadio “Pino Zaccheria”, impianto da 25.000 spettatori. Nellacittà pugliese, il Bar Maritozzo gioca la semifinale contro la compagine di Cagliari, che ilpronostico dà favorita per la finale per il titolo italiano. Sembra debba essere il classico con-fronto impossibile, con gli isolani pronti a far un sol boccone dei malcapitati marchigiani einvece, come a volte capita nello sport, le previsioni della vigilia vanno miseramente in fran-tumi e il Bar Maritozzo approda all’atto conclusivo, tra lo stupore generale ma con pienomerito. In finale c’è un altro grande scoglio: è la squadra di Brescia, anch’essa, come quel-la sarda, pronosticata per la conquista dello scudetto tricolore. I lombardi sono una com-pagine robusta e tecnicamente dotata, dimostrano di meritare il credito di cui godono epassano in vantaggio di un gol. Sembra il colpo di grazia per le speranze del nostro teamche, invece, ha la forza di non disunirsi e di reagire con ordine e lucidità, fino al raggiungi-mento del pareggio, con la rete di Morgoni. Il risultato non cambia più fino al 90’ e ciò rendenecessario il ricorso ai calci di rigore per laureare la squadra campione d’Italia. Qui i bre-sciani, loro malgrado, trovano sul loro cammino Marco Malatini, un portiere che, particolar-mente ispirato, riesce a parare ben tre loro penalties, consegnando il titolo tricolore alla suacompagine. L’impresa è compiuta: il nostro calcio amatoriale è sul tetto d’Italia.

Ciclismo

Lo sport del pedale ha una lunga tradizione nel nostro territorio comunale, a cominciare dal1945, anno di fondazione del Gruppo Ciclistico Sant’Antonio, poi diventato GruppoSportivo Potentia. Ecco gli atleti che si sono maggiormente distinti e le loro affermazioni piùrilevanti.MARIO MANCINI (1943) vanta venticinque vittorie tra i Dilettanti, un titolo di campione tosca-

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no di categoria nel 1966, la maglia azzurra della Nazionale italiana. Ha disputato due sta-gioni tra i Professionisti (1966-1967) avendo per compagni di squadra prima Taccone eRitter, poi Faggin; ha preso parte al Giro d’Italia, alla Milano-Sanremo (una volta 25°, l’altra31°), al Giro di Lombardia (17° assoluto, 4° degli italiani), alla Coppa Agostoni (12°). In annipiù recenti si è messo in luce in campo amatoriale, vincendo due ‘bronzi’ nazionali e un‘argento’ europeo.TONINO CIARROCCA (1957) ha ottenuto i suoi maggiori successi da Dilettante di secondaserie (5 vittorie e un titolo regionale) e di prima serie (20). Brillante il suo 5° posto al Girod’Italia di categoria nel 1978, che gli ha aperto le porte della Nazionale azzurra, con laquale ha preso parte al Giro del Messico, al Giro di Romania (secondo posto in una tappa)e al Tour de l’Avvenire in Francia. Ha corso anche al Giro di Jugoslavia, al Giro delLussemburgo e al Giro d’Australia, vincendo la tappa Brisbane-Sidney e conquistando laquarta posizione nella classifica finale.GIANCARLO BALDONI (1958) ha ottenuto cinque vittorie da Dilettante nel 1981, anno in cui ègiunto 15° nel Giro d’Italia di categoria ed è stato convocato in Nazionale, disputando il Girodel Venezuela con la maglia azzurra. Nel 1982 è passato al professionismo, disputando ilGiro d’Italia e prendendo parte a competizioni di prestigio come la Milano-Sanremo, il Girodi Lombardia, la Tirreno-Adriatico.LUCA STEFANELLI (1972) ha colto una cinquantina di vittorie, sia su pista che su strada. Nel1998, a Livorno, ha vinto il titolo italiano di ciclismo su pista, nel chilometro da fermo. Al suoattivo sette titoli regionali su pista, il 7° posto al campionato europeo di ciclismo su pistanella velocità nel 1990, a Brno (Repubblica Ceca), il 13° nel campionato mondiale su pistanella velocità olimpica a Bordeaux (Francia). Vari i suoi piazzamenti in Coppa del Mondo;il suo record personale nella specialità del chilometro da fermo è di 1’05”130, ottenuto inCoppa del Mondo a Cali, in Colombia.MASSIMO MANCINI (1975), figlio di Mario, nel 1998 ha conquistato il secondo posto al cam-pionato italiano Dilettanti a San Daniele del Friuli. Al suo attivo alcune vittorie in ambito inter-nazionale, correndo con atleti del calibro di Di Luca e Bettini. Non è passato al professio-nismo.MARINA ROMOLI (1988), sotto la competente guida del padre Giordano, nel 2004 è giuntaterza tra le Allieve nella Coppa Rosa, e ha vinto il campionato italiano a squadre per socie-tà, sia su strada che su pista, a Dalmine e Bergamo col G.S. Potentia 1945. Nel 2006, trale Juniores, ha colto il secondo posto ai campionati italiani su strada e la medaglia d’argen-to ai Mondiali di Spa, in Belgio, nella stessa specialità. Su pista ha conquistato la CoppaEuropa nella specialità “Eliminazione”, il titolo italiano nella Corsa a punti, il secondo postonello “Scratch”, la classifica Oscar Tuttobici. Dal 2007 è entrata nel professionismo, vincen-do subito due ‘bronzi’ nazionali su pista.ALESSIA MASSACCESI (1989), anche lei allieva di Giordano Romoli, ha vinto nel 2004 il ‘bron-zo’ ai campionati italiani su strada e su pista Allieve, nella velocità; nello stesso anno haconquistato il titolo nazionale a squadre su pista e strada con il G.S. Potentia 1945. Nel2005, ancora Allieva, è giunta seconda nella Coppa Rosa, terza nel campionato italiano a

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cronometro e si riconferma campionessa nazionale a squadre sia su strada che su pista aMontegrotto e Padova. L’anno seguente ha vinto il campionato italiano Juniores su stradae il Gran Premio della Liberazione. Nel 2007 ha conquistato il Braccio Cronomen; dal 2008è professionista. Altra ciclista potentina molto valida è MARTINA SCOPPA (1988), pluricampionessa regionale invarie categorie e autrice di numerosi piazzamenti in gare femminili e promiscue (con imaschi) a livello nazionale. Tra le sue migliori prestazioni il settimo posto da esordiente aicampionati italiani a Porto Sant’Elpidio, il quinto tra le Juniores ai campionati italiani in Friuli(2006). E’ giunta ventunesima agli Europei di Valkenburg (Olanda). Nel 2007, da Under 20,Martina è stata convocata in maglia azzurra e ha partecipato alle prestigiose corse delNord Europa, tra cui il Giro delle Fiandre. Nel 2008 ha preso parte al Giro di Germania e alTour De France, maturando preziose esperienze.La SCUOLA DI CICLISMO POTENTIA 1945 – RINASCITA, che rappresenta un intelligente esempio dicollaborazione sportiva tra Potenza Picena e Porto Potenza, è formata da bambini la cui etàvaria da sette ai dodici anni e che sono inseriti nella categoria Giovanissimi. Nel 2003, aBari, questa Scuola è riuscita a classificarsi al terzo posto assoluto nella classifica naziona-le; nel 2008 ha vinto il titolo regionale.Una vita lunga, ricca di attività e di meritati riconoscimenti: REMO SCOCCIA (1912) è uno stra-ordinario esempio di impegno nel sociale, espresso con generosità e competenza in varisettori. In ambito sportivo la sua storia inizia già nel 1926 nell’atletica leggera, praticata finoal 1932. Dal 1935 al 1939 è giudice di gara della Federazione Italiana di Atletica Leggera,poi la seconda guerra mondiale lo vede nelle vesti di sottufficiale in artiglieria, dove gliviene assegnata la Croce di bronzo al merito di guerra. Lasciato finalmente alle spalle ilconflitto mondiale, nel 1945 prende parte alla fondazione del Gruppo CiclisticoSant’Antonio (che diventerà Gruppo Sportivo Potentia), del quale diventa segretario, poipresidente dal 1955 fino al 1985. Tra le cariche sportive assunte, ricordiamo quella di vice-presidente vicario del Comitato regionale marchigiano della Federazione Ciclistica Italiana.Tra i numerosissimi riconoscimenti e onorificenze deI mondo dello sport è giusto sottolinea-re la Stella d’Argento del CONI (1977), il Distintivo d’Oro della F.C.I. (1989), il Distintivod’Oro d’onore della Unione Nazionale Veterani dello Sport (1995), la Stella d’Oro del CONI(1998), il Diploma d’Oro del Comitato Olimpico Internazionale (2001) e la Medaglia d’OroC.R.M. della F.C.I. per i decenni al servizio del ciclismo marchigiano e italiano. Scoccia èuno dei fondatori della Pro Loco di Potenza Picena e presidente onorario della SezioneVeterani dello sport “M. & P. Sassetti” di Potenza Picena. Eccellenti le onoreficence civilidelle quali è stato insignito: Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana nel 1980, Ufficialeal Merito della Repubblica Italiana nel 1985, Commendatore al Merito della RepubblicaItaliana nel 1991.

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Hockey su prato

L’hockey su prato ha una importante tradizione a Potenza Picena. Già nel 1984/85, la squa-dra locale aveva conquistato il palcoscenico nazionale, salendo in serie A2 dove è restatafino al 1992/93. Nel frattempo le compagini giovanili hanno ottenuto eccellenti risultati: nel1988, a Roma, la squadra Under 14 si è laureata campione italiana ai Giochi della Gioventù;nel 2001 la compagine Under 16, allenata dal bravo Paolo Belvederesi, si è messa al collol’oro tricolore. La squadra maggiore è tornata in serie A2 grazie agli spareggi svoltisi a SanVito Romano nel giugno 2007: una bella soddisfazione per il tecnico Belvederesi, il delega-to regionale Paolo Grandinetti e il presidente Aido Consolani.LORENZO CONSOLANI, uno dei giocatori più rappresentativi dell’ H.C. Potenza Picena, haavuto una significativa esperienza con la maglia della Nazionale Italiana Under 18 nel bien-nio 1991-1992. Nel primo anno, ha partecipato, ad Amsterdam, al torneo internazionaleHDM, avendo come avversarie le compagini di Inghilterra e Olanda; poi ha disputato gliincontri Italia-Francia a Roma in luglio, Spagna-Italia a Barcellona in settembre, Italia-Cecoslovacchia a Padova in novembre. Nel 1992 è sceso in campo a Cholet (Francia) perFrancia-Italia in aprile, a Praga per la Poligras Cup in maggio-giugno, a Roma per Italia-Canada in luglio, nel Torneo Internazionale di Spagna a Barcellona in luglio-agosto, aPadova per Italia-Svizzera in settembre.

Judo e karate

Il judo è una disciplina sportiva che vanta interpreti di ottimo livello nel nostro territoriocomunale. VINICIO MORGONI (1956) ha ottenuto il titolo nazionale UISP nel 1978 a Mestre,nella categoria kg 71; nel 1979 è stato componente della squadra azzurra al campionatoeuropeo CSIT in Belgio e della formazione italiana che ha partecipato al campionato preo-limpico denominato Hapoel Games in Israele. Nel 1980 ha disputato il campionato interna-zionale UISP svoltosi in Bulgaria. Grazie all’ASD Jigoro Kano, fondata nel 1976, sono statiottenuti altri risultati di rilievo. SERGIO LINARDELLI (1962) già a 16 anni ha risposto alla primaconvocazione nella Nazionale maggiore UISP, divenendone titolare a 18 e rimanendo in‘rosa’ fino al 1985. E’ stato campione italiano UISP nel 1983 e 1984, secondo nel 1978,1979, 1982, 1985, terzo nel 1980, 1981, 1986, 1987, 1989 e 1992. Oltre a primeggiare invarie competizioni internazionali, è riuscito a conquistare il bronzo nella classifica a squa-dre ai campionati europei del C.S.I.T. di Lisbona nel 1980 e di Roma nel 1982. GIANCARLO

GIRONELLI (1949) ha al suo attivo un quinto posto ai campionati italiani Filpj a Firenze nel1974 e un bronzo ai campionati italiani UISP nel 1982 a Mestre; insegnante di judo prima aPotenza Picena poi ad Ancona, ha fatto parte per anni della commissione tecnica naziona-le UISP. MARIA CUTINI si è ben distinta ai campionati italiani UISP: due medaglie d’argento(1980-1981) e due di bronzo (1978-1979); un argento ai campionati italiani Filpj a Chiavari.

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Raduno Ferrari per il 40° anniversario di Lodovico Scarfiotti,piazza Matteotti, 8 giugno 2008

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Un terzo posto ai campionati nazionali anche per STEFANIA LINARDELLI, ottenuto nel 1978 aCastelfranco Emilia. OSVALDO CAROTA si è aggiudicato un argento tricolore nel 1978, aMestre, e un bronzo nel 1979 a Milano. ANDREA GELOSI, sempre ai campionati italiani UISP,è salito sul secondo gradino del podio nel 1981 a Napoli, sul terzo nel 1979 a Milano.MASSIMO LINARDELLI si è laureato campione nazionale nel 1981 a Torino. LUIGI BORRONI, con-vocato in nazionale UISP nel 1984, ha vinto l’oro ai campionati italiani nel 1984 e 1985, ilbronzo nella classifica a squadre agli Europei del C.S.I.T. nel 1984 in Francia. ALBERTO

CITTADINI ha conquistato il titolo nazionale nel 1982 a Torino. AUGUSTO MERLINI ha centrato unbronzo tricolore nel 1985 a Torino. GIANCARLO SENIGAGLIESI è giunto terzo nello stesso annonel capoluogo piemontese, stesso piazzamento ottenuto da GUGLIELMO SACCONI.Nel karate, specialità combattimento, CHRISTIAN CARESTIA (1987) ha conquistato il bronzo tri-colore tra i Cadetti ad Ostia (2003), l’argento nella categoria Juniores (2004) sempre adOstia, il bronzo europeo a S. Polten, in Austria (2004).

Kickboxing

PAOLO ROSSI (classe 1980) ha fatto registrare eccellenti risultati nella difficilissima disciplinadel Kickboxing. Si tratta di uno sport da combattimento che unisce caratteristiche delKarate giapponese con il pugilato occidentale: si ha la combinazione di tecniche di calcio,tipiche delle arti marziali orientali, con i colpi di pugno propri della boxe. In questo sportPaolo ha conquistato nel 2003 il titolo europeo Dilettanti nella categoria kg 86; nello stessoanno, con i colori del Club Antea, ha colto a Roma la medaglia di bronzo al campionato ita-liano. Nella carriera di Paolo vanno sottolineate anche le convocazioni in maglia azzurra ela partecipazione ai campionati mondiali di Massa Carrara.FEDERICO MORGONI (1992), dopo essersi piazzato al primo posto nella classifica del CentroSud Italia, ha conquistato la medaglia d’argento ai campionati italiani kickboxing, catego-ria Kg 60, nel 2008, ad Ariccia, nel Lazio.

Pallacanestro

Il basket fece capolino nella nostra realtà locale negli anni Cinquanta del secolo scorso. APorto Potenza Picena questa disciplina si praticava sull’area dove ora sorge la casa par-rocchiale di via Trieste, poi anche nello ‘storico’ spazio del Giardino Florida. Da allora, conqualche pausa nel corso degli anni, la pallacanestro si è guadagnata una posizione impor-tante nel panorama del nostro movimento sportivo.FABIO PRINCIPI (1962-1996) è stato il più forte giocatore di basket del nostro territorio e unodei più validi delle Marche. Mossi i primi passi nella Sacrata Basket a metà degli anniSettanta, la sua brillante carriera si è sviluppata nella Sangiorgese e ha avuto momenti digloria nelle formazioni Nazionali Giovanili e nella disputa del campionato italiano di serie A.

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La costante ascesa di Fabio subì un rallentamento a causa di un infortunio al ginocchio, manonostante ciò egli riuscì ad essere uno degli migliori giocatori per più di un decennio, met-tendo in luce una classe cristallina sui campi di B e C di mezza Italia. I tremila punti realiz-zati e il grandissimo numero di rimbalzi conquistati gli hanno meritato una posizione di rilie-vo nella storia della pallacanestro marchigiana. A causa di un incidente stradale, ha ces-sato di vivere nel 1996. A Fabio Principi è intitolato il Palasport di Porto Potenza Picena.

Pallavolo

La nostra tradizione pallavolistica è ben radicata e di alto livel-lo. Sia in campo maschile che in quello femminile abbiamointerpreti di rilievo, capaci di farsi onore in campo nazionale,alla pari di compagini di città capoluoghi di provincia, conbacini di utenza sportiva di grandezza molto superiore alnostro. Nella pallavolo femminile, il VOLLEY TORRESI ha avutoanni di splendore sia nel campionato nazionale di serie B2, fre-quentato per varie stagioni, che in quello di B1, nel quale hamilitato nel 2003. In ambito maschile, il VOLLEY POTENTINO haraggiunto la B1 nel 2005 e, da quell’anno, ha collezionato piaz-zamenti in crescendo nella classifica finale: ottavo nella stagio-

ne d’esordio, sesto nel 2006, quarto nel 2007 e terzo nel 2008, alle soglie dell’ingresso nelplayoff per la promozione in serie A2.PIERO BONARINI (1947) è stato il primo potentino a giocare nella serie A di pallavolo. Nellastagione agonistica 1968-69 vestiva la maglia dell’Esercito Napoli (Terza CompagniaSpeciale Atleti). In quell’anno seppe distinguersi in maniera egregia ed ebbe l’opportunitàdi affrontare squadre del calibro della ‘mitica’ Panini Modena e della Ruini Firenze. MATTEO ZAMPONI, classe 1978, ha vissuto stagioni importanti nella pallavolo di livello nazionale.A soli 15 anni ha fatto parte della squadra azzurra pre-juniores, con la quale ha disputato i cam-pionati europei (Barcellona) e mondiali (Portorico). Matteo ha giocato tre anni in serie A1 nellefile della Lube Banca Marche Macerata, nella seconda metà degli anni Novanta, per poi vesti-re le maglie di altre compagini di ottimo livello in altre categorie. La carriera pallavolistica diALBINO MASSACCESI (1950) può essere presa ad esempio sia per i successi raggiunti che per lacompletezza dei ruoli ricoperti (giocatore, allenatore, dirigente). Avvicinatosi allo sport in etàadolescenziale con gli amici dell’Oratorio di Porto Potenza, nel 1971 entra nel Cus Macerata daallenatore, dando inizio ad una eccellente ascesa nel mondo della pallavolo, sia come tecnicoche in veste dirigenziale. Dal 1973 al 1975 è presidente della Fipav Macerata, dal 1976 al 1986è prima consigliere poi vicepresidente della Fipav Marche. Nel 1990 passa alla neonata A.S.Volley Lube Treia. Nella società treiese, campione d’Italia 2005/2006 e vincitrice dei maggioriallori internazionali, Albino ha ricoperto gli incarichi di direttore sportivo, direttore generale, pre-sidente e vicepresidente. Le sue qualità professionali gli hanno meritato uno spazio di rilievo

Albino Massaccesi,alto dirigente

della Lube,Festa dello Sport 2006

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anche nel consiglio di amministrazione della Lega Pallavolo Serie A, che lo ha visto presenteininterrottamente dal 1995 al 2004, sia come consigliere che come vicepresidente.ROMANO GIANNINI (1970) si è messo in luce come tecnico: nel 2003-2004 ha allenato la VidexGrottazzolina in serie A2.

Pesca sportiva

RICCARDO CARINELLI (1980) si è laureato campione italiano di pesca sportiva, tecnica carpfi-shing, nel 2003 a Chieti (in coppia con Fabio Buccolini). Nel 2005 e nel 2007 ha preso parteagli incontri internazionali tra Italia e Francia; nel 2005 in Belgio, 2007 in Serbia e nel 2008in Sud Africa ha partecipato al campionato del mondo. La sua prima convocazione inmaglia azzurra è del 2005.Il 16 e 17 novembre 2007, sulla spiaggia di Ugento (Lecce), un altro nostro concittadino havinto il titolo tricolore, imponendosi nel campionato italiano a Box nella pesca sportiva. Sitratta di SIMONE MARABINI, classe 1975, che ha conquistato l’ ‘oro’ tricolore insieme con icompagni di squadra Rizzuni e Matteucci, tutti portacolori della A.S.D.P. Golden Fish diCivitanova Marche. Alla gara pugliese hanno preso parte ben 270 concorrenti, in rappre-sentanza di 43 società.

Sport paralimpico

Il medagliere del nostro sport locale deve moltissimo ai ragazzi dell’Associazione SportivaSanto Stefano, ‘stelle’ di prima grandezza nelle discipline paralimpiche. Lo straordinario pal-mares della società rivierasca ci costringe ad una sintesi dei suoi migliori risultati, fornitici congrande cortesia e precisione dalla signora Tiziana Savoia. In ATLETICA LEGGERA, ai campionatiitaliani, dal 1983 al 2008, i ragazzi del Santo Stefano hanno vinto 258 medaglie d’oro, 120 d’ar-gento e 65 di bronzo nelle varie specialità praticate. Ecco l’elenco di tutti i medagliati: TeresaAlbano, Federico Bartolucci, Giancarlo Capecci, Michele Capecci (13 ori), Amico Ceresani,Raul Curzola, Michele Dentamaro, Florindo De Palatis, Angelo Di Gregorio, Federico Dubini,Anna D’Urbano, Agostino Fellini, Natale Foti, Sergio Greci, Bruno Iervicella (22 ori), GiovanniLoiacono (23 ori), Patrizia Mastrogiovanni (12 ori), Mario Matteis, Angelo Merlo (15 ori), MicheleMiani (21 ori), Mario Nai, Filomena Pantalone (10 ori), Antonia Paolini, Luisa Pocognoli (48 ori),Riccardo Rossini (10 ori), Fortunato Ruberto, Vincenzo Saccente, Fabio Staffolani, MariaAntonietta Stipa, Gaetano Terrevoli (14 ori), Marco Torregiani,Vito Antonio Vitale, Michela Volpe(12 ori). In ambito internazionale, l’atletica leggera del Santo Stefano ha avuto in GiovanniLoiacono il suo protagonista assoluto. Ecco i suoi successi: Giochi Paralimpici di New York nel1984: oro nel disco (primato del mondo, con m 31,20), argento nel peso; campionati europei

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di Bruxelles nel 1985: argento nel peso, bronzo nel giavellotto; Giochi Internazionali di Parigidel 1987: oro nel disco; Giochi Paralimpici di Seoul del 1988: bronzo nel disco; Robin HoodGames di Nottingham del 1989: oro nel disco (record mondiale con m 33,94), argento nelpeso; campionati europei di Bruxelles del 1989: argento nel disco. Ai Disability AthleticsInternational di Birmingham del 1997, Teresa Albano ha vinto tre ori (100, 200, 400 metri piani),Florindo De Palatis un oro e un argento (giavellotto e peso), Bruno Iervicella due ori (100 e 200),Giovanni Loiacono tre argenti (peso, disco giavellotto), Marco Torregiani tre ori (100, 200, 400).Nel BASKET IN CARROZZINA l’A.S. S.Stefano ha una tradizione di assoluto prestigio. Nel cam-pionato italiano di serie A1 si è classificata tre volte al terzo posto (1994/95, 1999/2000,2006/2007); in serie A2 si è classificata in prima posizione nel 2004/2005. In campo inter-nazionale brillano, in particolare, le vittorie nella Vergauwen Cup del 1996 (successo in fina-le sui tedeschi dell’UBC Munster) e nella Brinkmann Cup del 2004 (vittoria in finale sullacompagine Kik Veterani Tuzla della Bosnia Erzegovina) e del 2006 (vittoria in finale suglispagnoli dell’Amfiv Vital Vigo). Da segnalare, inoltre, i successi in vari tornei internazionali.Ai campionati italiani di SOLLEVAMENTO PESI del 1989, nella categoria 65 kg, argento perAngelo Merlo e Bronzo per Michele Dentamaro; nel 1990, nella categoria 90-100 kg, oroper Merlo e argento per Dentamaro.Nel TIRO A SEGNO eccelle ANTONIO MARTELLA (aria pistol, sport pistol, pistola calibro 22, pisto-la libera 50 m), plurimedagliato in vari campionati europei e mondiali (Linz 1994, Yarvenpaa1995, Santander 1998, Wroclaw 2005, Suhl 2007) e alle Paraolimpiadi (Atlanta 1996).Ottimo anche il palmares di GIANCARLO IORI (pistola 10 m, pistola calibro 22, pistola 25 m),con prestigiose affermazioni in rassegne europee e mondiali (Santander 1998, Kyungnam2002, Wroclaw 2005, Sargans 2006, Suhl 2007) e ai Giochi del Mediterraneo del 2001 aTunisi. MAURIZIO NIOSI ha conquistato un argento ai Giochi del Mediterraneo di Tunisi 2001e un bronzo ai campionati mondiali di Sargans nel 2006.Nella squadra della ASD Anthropos di Civitanova Marche si sono messi in grande evidenzaalcuni ragazzi potentini. Nelio Piermattei, presidente dell’associazione civitanovese, ci ha gen-tilmente fornito i seguenti dati. Tra il 2000 e 2004, TERESA ALBANO ha conquistato cinque titolinazionali (nei 100, 200 e 400 metri piani). Palmares ricchissimo quello di MARIO SMORLESI nelnuoto, rana, stile libero, dorso, staffetta). Dal Luglio del 2000 ha collezionato medaglie ai Giochinazionali Special Olympics (Fiuggi, Caorle, Pescara, Bari, Pugnochiuso, Lignano Sabbiadoro).Nel 2003 ai Giochi Mondiali Special Olympics di Dublino è diventato campione iridato nei 50metri farfalla e nella staffetta 4x50 mista, conquistando anche il bronzo nei 50 metri dorso.SERENA CANTORO (stile libero, dorso, staffetta) ha conquistato numerose medaglie ai campiona-ti italiani (Bari, Lignano Sabbiadoro, Pugnochiuso). Vanta sei titoli tricolori. LORENA DALFINO

(rana, dorso, staffetta) ha al suo attivo quattro ori nazionali. LINDA BARCHIESI (nuoto e atletica) eTEODORO REBEZZI (nuoto) hanno dato il loro importante contributo alla qualificazione della lorosquadra alla fase finale della Coppa Italia, poi vinta dalla stessa compagine dell’Anthropos.

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La sig.raCasalis - Douhetmentre vieneomaggiata dalcapitanodell’ “Ala Douhet”Marcello Giampaoli,campo sportivoDouhet,anni Cinquanta

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Ragazzi mentregiocano al

calcio balilla,anni Cinquanta

La squadra di tiro alla fune di

Porto Potenza Picenaai vertici della

specialità in ambitonazionale, anni Trenta

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La traversata in moscone da Veli Rat alla spiaggia Portopotentina

Tra il 7 e l’8 luglio 2007 GIANCARLO GIRONELLI sì rende protagonista di un’impresa sportiva dirilievo: la traversata in pattìno (il popolare moscone) da Veli Rat, in Croazia, fino alla spiag-gia portopotentina del circolo Il Faro, due luoghi divisi da circa 70 miglia marine, qualcosacome 130 chilometri! Sorretto da una grande determinazione, frutto di una solida discipli-na mentale maturata con la pratica del judo, inizia una lunga e meticolosa preparazione invista della eccezionale prova. Per effettuarla si costituisce un comitato organizzatore e ilmaestro d’ascia Guido Graziani realizza un apposito pattìno, un autentico gioiello di tecni-ca artigianale, frutto di una lunghissima esperienza nella costruzione nautica. Il 7 luglio è ilgiorno della partenza da Veli Rat, fissata per le ore 18,00. Nonostante le previsioni meteo-rologiche abbiano indicato buone condizioni atmosferiche e marine, la prima parte dellaprova è caratterizzata da un fastidioso vento di scirocco, che aumenta progressivamente eche fa incrementare il motoondoso, fino a notte fonda.Giancarlo, la cui andatura mediaè stata prevista in 2,8-3 nodiorari, deve contrastare una fortecorrente, che ne riduce la velo-cità, fin quasi a farlo fermare.Consumando tesori di energiesolo per battersi contro il mare,Gironelli è costretto ad appog-giarsi ad una delle barche che loaccompagnano, fino a che ilvento diminuisce. Superate lecritiche condizioni ambientaliavverse, riprende a vogare conrinnovata lena. Dopo circa 27ore dall’inizio della prova,Giancarlo arriva sulla spiaggiaportopotentina, atteso da centi-naia di persone che lo accolgo-no con entusiasmo e affetto, persottolinearne il coraggio e ilvalore dell’impresa compiuta.

Guido Grazianinel suo laboratorio

Giancarlo Gironellidurante la traversata,luglio 2007

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Inaugurazione delcampo sportivo

“Skorpion”, costruitodall’omonimo 2° corpo

di armata polacco,1946

Squadra di pallavolo“Sacrata”, 1968

Bindelli,Colafranceschi,

Bonarini, Meriggi,Esposto, Campugiani,

Paolucci, Rebichini,Massaccesi

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Vari potentini, nativi e adottivi, si sono messi in luce nel corso del tempo in diversi ambiti dellavita sociale. Di quelli che hanno saputo eccellere nella musica ci siamo occupati nelle paginerelative a quest’arte. Nel presente capitolo ci dedichiamo a coloro che si sono distinti in altri set-tori; certamente altri avrebbero pure meritato di figurare nella lista che segue, ma si è cercato,anche per motivi di spazio, di offrire una panoramica il più possibile sintetica e significativa(36).

Giuseppe Asciutti

Giuseppe Asciutti (1898-1981) è stato un gran-de artista e un grande uomo, al quale la popo-lazione locale è profondamente grata per lagenerosa dedizione dimostrata nel contribuirealla formazione artistica e professionale di tantiragazzi del luogo. Dopo aver studiato presso leAccademie di Belle Arti di Urbino e di Roma eaver conseguito il diploma, fu docente di dise-gno, plastica e intaglio nella Scuola d’ArteGiannini di Pergola. Nel 1926 operò presso ilLaboratorio d’Arte Antica Angelelli a Roma.Due anni dopo tornò a Potenza Picena e fuinsegnante di disegno ai corsi di Avviamento

Professionale di Porto Recanati e Potenza Picena. Successivamente ha ricoperto il ruolo di diret-tore della Scuola d’Arte “Ambrogio della Robbia”, insegnando a tanti giovani il disegno, elemen-ti di architettura, l’impiego del cemento, la lavorazione artistica del ferro, nozioni d’intaglio.Asciutti ha rappresentato una guida sicura e competente per coloro che hanno voluto occupar-si d’arte. Prese parte ad importanti mostre, da quelle allestite nella nostra provincia (Maceratanel 1922, Recanati nel 1937, Macerata nel 1944, Montelupone nel 1957) a quella di Roma nel1926 e di Buenos Aires nel 1936. Realizzò, tra l’altro, pitture ad olio, ritratti, paesaggi, pergame-ne in miniatura, sculture in legno, disegni architettonici: il tutto con il comun denominatore di unatecnica sopraffina e una pregevole sensibilità. Tra le sue opere più importanti figurano la paladell’altare maggiore della chiesetta rurale in contrada Molino Vecchio di Potenza Picena, dipin-to intitolato La Sacra Famiglia di Nazareth, e la cappella di Lourdes, realizzata presso i PadriCappuccini di Potenza Picena, lavoro eseguito in cemento, che riproduce la grotta dell’appari-zione della Madonna a Bernadette. Maestro di numerose tecniche artistiche, si è distinto ancheper la sua grande umiltà e per la sua profonda fede in Dio.

PERSONAGGI ILLUSTRI

Statua ligneadel sec. XVII,raffigurante unodegli apostoli,pinacoteca comunale

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Umberto Boccabianca

Nato a Ripatransone (Ap) nel 1860, giunse a Potenza Picena nel novembre 1882, vincitoredi concorso per maestro elementare; nel 1894 assunse l’incarico di Direttore scolastico. Aproprie spese fondò, nel 1887, la Scuola di Lavoro Educativo, seconda in ambito naziona-le dopo quella di Ripatransone, diretta dal suo vecchio insegnante, l’illustre pedagogistaprof. Emidio Consorti. L’anno seguente, Boccabianca divenne direttore della Scuola diDisegno, che era stata fondata nel 1873 dal prof. Domenico Filippetti, trasformandola dap-prima in Scuola Popolare, successivamente in Scuola d’Arte Applicata all’Industria, conriconoscimento ministeriale nel 1896: essa diede una preziosa formazione a muratori, fab-bri e falegnami, insegnando il mestiere a tanti giovani del luogo. Nel 1891 Boccabianca isti-tuì la Sezione Femminile di Disegno, diventata nel 1899 Sezione Femminile della Scuolad’Arte e intitolata alla Regina Margherita di Savoia: vi impararono il mestiere ricamatrici,sarte e cucitrici, che acquisirono maestria in queste attività. Nel 1900 il Ministero dellaPubblica Istruzione gli conferì la medaglia d’argento per meriti acquisiti nell’ambito del-l’educazione popolare. La Scuola d’Arte maschile fu intitolata, nel 1905, ad Ambrogio dellaRobbia, il noto artista fiorentino che ebbe casa e laboratorio a Monte Santo nel 1524.Boccabianca diede grande impulso alla scuola locale, che seppe mettersi in luce a livelloregionale e nazionale. In qualità di direttore della scuola elementare di Potenza Picena, pro-mosse iniziative a favore degli alunni poveri e meritevoli, dimostrando anche grande sensi-bilità e generosità.

Il Prof. UmbertoBoccabianca insiemealle alunne dellaScuola Femminile diDisegno.Interno del Chiostrodi S. Agostino,fine Ottocento

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Balduino Bocci

Laureatosi in Medicina e Chirurgia a Bologna, Balduino Bocci (1852-1945) andò a perfezio-narsi a Vienna e Parigi. Nel 1882 fu nominato assistente alla cattedra di Fisiologia a Roma;due anni dopo lo troviamo docente in Fisiologia all’università capitolina. Nel 1892 fu nomina-to medico provinciale di Roma. Tre anni più tardi ebbe l’incarico di professore, prima straor-dinario poi ordinario, di Fisiologia a Siena. Con grande talento di scienziato si occupò, tra l’al-tro, di ottica fisiologica e meccanica cardiaca. In campo medico fu autore de L’immagine visi-va cerebrale e di Guida allo studio sperimentale della fisiologia. Balduino Bocci fu anche otti-mo letterato: amò Virgilio, Dante, Leopardi e Pascoli. Tra le sue opere citiamo il poema in versisciolti Le Api, il poema epico Italia! Italia! e Argomenti della Divina Commedia.

Bonaccorso Bonaccorsi

Laureatosi all’Università di Perugia, Buonaccorso Buonaccorsi (1620-1678) iniziò a Romaun’importante carriera ecclesiastica, con incarichi di grande responsabilità, fino alla crea-zione cardinalizia, avvenuta il 29 novembre 1663, ad opera di Papa Clemente IX. Gli fuassegnata la legazione di Bologna da Clemente X, poi confermata da Innocenzo XI. Dicarattere energico e forte, si adoperò con determinazione per eliminare gli episodi di vio-lenza e di malvivenza che si verificavano in quella città. Quando morì, il suo corpo venneportato a Loreto e sepolto nella basilica mariana.

Mons. Giovanni Cotognini

Nato a Potenza Picena il 3 dicembre 1908, Giovanni Cotognini frequentò il Seminario diFermo, per poi laurearsi in Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.Apprezzato per il suo prezioso servizio sacerdotale in vari centri marchigiani, è stato ancheassistente diocesano delle suore dell’Istituto “Figlie del SS. Redentore e Beata VergineAddolorata” di Potenza Picena e membro del Tribunale Matrimoniale EcclesiasticoRegionale. Docente di Lettere presso l’Istituto magistrale “Bambin Gesù” di Fermo e pro-fessore di Diritto in Seminario, mons. Cotognini si è distinto anche per i suoi studi dedicatialla storia e alle memorie locali e per alcune interessanti pubblicazioni, tra le quali ricordia-mo Il Monastero delle Benedettine di Potenza Picena e Memorie Storiche dell’Istituto ‘FiglieSS. Redentore e B.V. Addolorata’.

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Raffaele Curi

Laureato in Storia dell’Arte, si è meritato un posto importante nel mondo del cinema, inter-pretando una ventina di films. Il primo di questi è un capolavoro della cinematografia mon-diale, Il Giardino dei Finzi Contini, diretto da Vittorio De Sica, opera che ha conquistatol’Oscar quale miglior film straniero nel 1972. Nella filmografia di Curi spiccano anche IlGatto di Luigi Comencini, Jazz Band e Impiegati di Pupi Avati, Scherzi da prete di PierFrancesco Pingitore e Claretta di Pasquale Squitieri. E’ stato collaboratore di Man Ray evalidissimo collaboratore di Giancarlo Menotti al Festival di Spoleto. Nel 1983 si è occupa-to dell’Arena Sferisterio di Macerata, in cui venne allestita un’edizione particolarmente feli-ce della Bohème, con la regia di Ken Russell. Nel 2006 è stato eletto “Marchigiano dell’an-no”. Interior designer, regista di grandi eventi internazionali e recentemente autore di unoscript per Martin Scorsese, Curi è attualmente apprezzato direttore artistico dellaFondazione Alda Fendi, che si distingue per la sua sperimentazione teatrale e per la pro-mozione e produzione di esperimenti artistici multimediali.

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Roberto Domenichini

Classe 1954, Roberto Domenichini è un valente e stimato studioso di storia locale. Laureatoin Filosofia con lode presso l’Università degli Studi di Macerata, diplomato archivista-paleo-grafo con lode presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Scuola speciale perArchivisti e Bibliotecari, si distingue per l’accuratezza e la competenza nei suoi studi.Domenichini, che presta servizio nell’archivio di Stato di Ancona ed è responsabile della Saladi studio di questo Istituto, è autore di molte pubblicazioni storico-scientifiche, tra le qualiricordiamo: Il dipartimento del Metauro nell’età napoleonica (1808-1815). Divisioni territoriali-amministrative e stato della popolazione (1987), Evoluzione demografica nella città e diocesidi Ancona nel XVIII secolo (1989), Fonti documentarie per la storia contemporanea nell’Archi-vio di Stato di Ancona (1991), Note sulla presenza della Compagnia di Gesù in alcune loca-lità della Marca. La fondazione dei collegi (1994). Tra le pubblicazioni dedicate alla realtà san-tese vi sono: Monte Santo (Potenza Picena): una “terra” della Marca anconitana e i suoi cata-sti; secc. XIV-XVIII (1995), Fonti ecclesiastiche locali per la storiografia: l’archivio parrocchia-le di Monte Santo (Potenza Picena) 1994, Aspetti della società e dell’economia santese neltardo Trecento (1997). Roberto Domenichini è membro della Deputazione di Storia patria perle Marche e socio dell’Accademia marchigiana di Scienze, lettere e arti.

Severino Donati

Nel panorama artistico potentino, Severino Donati(1915-1982) si è meritato un posto di rilievo perun’operazione culturale che ha dell’incredibile.Perito industriale, elettrotecnico di professione,socialmente impegnato e amante della letteratura, siè dedicato con passione e competenza al dialettopotentino, alla sua difesa e rivalutazione. Utilizzandocon sensibilità e maestria il nostro vernacolo, Donatiha tradotto nell’idioma locale la Divina Commedia diDante Alighieri e i Vangeli; inoltre ha realizzato rac-colte di poesie (Mondesando che rride, Monde-sando che piagne, Galazzà e dintorni, Vrange

rosce) che costituiscono, nello stesso tempo, una preziosa testimonianza sulla vita locale e unamore profondo per la sua terra. Le sue poesie sono “pennellate di colore che non hanno nes-suna pretesa artistica, ma solo lo scopo di non far dimenticare la variopinta vita dei nostri nonlontani predecessori”. Donati volle completare il suo impegno letterario realizzando Appuntiper un glossario del dialetto di Potenza Picena, un testo per aiutare il lettore meno preparato acomprendere meglio il significato e le sfumature del vernacolo potentino.

Severino Donaticon la moglie

Giuseppina Petroselli,1975

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Don Vincenzo Galiè

Nato a Montefiore dell’Aso (Ap) nel 1940, potenti-no d’adozione, sacerdote dal 1965, è un illustrestudioso della topografia antica e dell’archeologiadelle basse Marche, nonché autore di oltre cin-quanta pubblicazioni sulle ricerche compiute. Par-roco a Montecanepino, nella parrocchia di S. Gio-vanni Evangelista, dal 1967 al 1986 (anno dellasoppressione della stessa), ha insegnato religionepresso il liceo scientifico “Leonardo da Vinci” diCivitanova Marche e ha svolto il ruolo di assisten-te spirituale nell’Istituto di Riabilitazione “SantoStefano” di Porto Potenza Picena. E’ stato cappel-lano nei cantieri italiani all’estero, in Zambia e Iran.Nominato rettore del Collegio Arcivescovile

“Fontevecchia” di Fermo, nel dicembre 1998 ha ricevuto, per decisione dell’Arcivescovo diFermo, Mons. Franceschetti, la nomina di abate parroco di Campofilone, dove svolge lasua missione pastorale. Laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Macerata, donVincenzo Galiè ha compiuto studi approfonditi di topografia e archeologia, utilizzandoanche il georadar, che individua resti archeologici situati diversi metri sottoterra. Tra le suepubblicazioni ricordiamo Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza ed il Chientie lungo il litorale (1980), Da Potentia a Monte Santo a Potenza Picena (1992), importantestudio sulla città romana di Potentia.

Norberto Mancini

Norberto Mancini (1909-1980) è uno dei letteratiillustri del nostro territorio comunale.Insegnante e uomo di grande serietà professiona-le, animato da sincero amore per la sua terra, adessa e alla sua storia ha dedicato studio e appro-fondimento. Tra le opere che ci ha donato voglia-mo ricordare Potentini illustri, La mia terra e VisioniPotentine, preziosi lavori che ancora oggi costitui-scono punti di riferimento irrinunciabili per chiun-que voglia conoscere il nostro recente passato.Con raffinatezza letteraria e squisita sensibilità hasaputo divulgare gli usi, i costumi, le tradizioni del

Spartito deLa Putindinaparole di SeverinoDonati, musica diEdgardo Latini.Il testo in vernacoloè all’interno del libroGalazzà e dintorni

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nostro territorio, contribuendo a salvarli dall’oblio. Seppe eccellere anche come poeta, cre-ando composizioni di rara bellezza ed eleganza. Le sue opere hanno rappresentato fontiutilissime per preparare il presente libro e di ciò gli siamo grati.

Prospero Marefoschi

Compiuti gli studi universitari a Fermo, Prospero Marefoschi (1653-1732) si trasferì a Roma,dove intraprese la professione di avvocato, per poi assumere incarichi ecclesiastici. PapaInnocenzo XII lo elesse votante di segnatura e, successivamente, uditore del camerlengo.Il pontefice Clemente XI lo nominò segretario del buon governo, poi anche vescovo diCesarea. Papa Benedetto XIII lo creò cardinale il 20 dicembre 1724; lo stesso pontefice lonominò Vicario di Roma. Il cardinal Marefoschi fu sepolto a Roma, nella chiesa di SanSalvatore in Lauro.

Luigi Miti

Nato a Potenza Picena il 30 Dicembre 1914, LuigiMiti occupa una posizione di primissimo piano nelmondo medico regionale e nazionale. Laureato inMedicina e Chirurgia a Roma nel 1940, specializ-zato in malattie del tubo digerente, sangue ericambio, in malattie dell’apparato respiratorio, incardiologia, ha ricoperto importanti incarichianche come docente universitario. In periodo bel-lico si è distinto anche come antifascista, parteci-pando alla Resistenza con il Gruppo di AzionePatriottica. La sua brillante carriera medica haconosciuto un’ascesa prestigiosa, che lo ha porta-to a ricoprire, più volte, il ruolo di primario nellasanità anconetana. Autore di 110 pubblicazioni

scientifiche, il prof. Miti è stato Presidente dell’Accademia Medico-Chirurgica del Piceno,ha ricevuto tra l’altro, la medaglia d’oro dell’Ordine dei Medici della Provincia di Ancona per“aver contribuito con la professionalità ad aumentare il prestigio della struttura pubblicaospedaliera nella città di Ancona”, la medaglia d’argento al merito della Sanità Pubblicacon decreto del Presidente della Repubblica, e numerosi altri riconoscimenti giunti a pre-miare una vita dedicata alla medicina e una professionalità di altissimo livello.

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Ferdinando Scarfiotti

Ferdinando Scarfiotti (1941-1994) è stato uno dei migliori scenografi del cinema italiano. Lasua straordinaria carriera ebbe inizio nel 1963, come assistente di Luchino Visconti, colquale poi collaborò per il film Morte a Venezia; nel 1972 si fece conoscere a Hollywood perla sua collaborazione artistica con Billy Wilder. Il suo incontro con Bernardo Bertolucci portòalla realizzazione di scenografie per films come Il conformista, Ultimo tango a Parigi, Il tènel deserto, L’ultimo imperatore, opera per la quale ottenne il Premio Oscar nel 1988, insie-me con Bruno Cesari e Osvaldo Desideri, per la migliore scenografia e arredamento.Scarfiotti ha collaborato con altri illustri registri: tra gli altri ricordiamo Brian De Palma perScarface, John Schlesinger, Barry Levinson per Toys, che gli valse, nel 1993, una nuovacandidatura all’Oscar. Ferdinando Scarfiotti espresse il suo grande talento anche in teatro,collaborando con Luca Ronconi ed Eduardo De Filippo. Al nostro eccellente scenografol’Amministrazione Comunale di Potenza Picena ha intitolato l’auditorium dell’ex complessodi Sant’Agostino.

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Gian Luigi Scarfiotti

Nativo di Torino (1939) ma potentino d’adozione, è uno dei fotografi italiani più apprezzati.Compiuti gli studi classici in Italia ed economici in Svizzera, ha iniziato a fotografare fin dabambino, passione trasmessagli dal padre. Giunto nelle Marche ha collaborato con rivistedi viaggi e sport; dal 1970 si è dedicato professionalmente al fotogiornalismo, compiendonumerosi viaggi in ogni parte del mondo, occupandosi di attualità, di ricerca sociale, di fol-clore e di eventi bellici. Varie e importanti le sue collaborazioni con testate comeNewsweek, L’Espresso, Famiglia Cristiana, Aramco Magazine, Atlante, Paris Match. Le suefoto vengono scelte per servizi fotografici per la pubblicità di aziende e compagnie aeree.Dal 1981 vive in Toscana, da dove parte per effettuare servizi foto-giornalistici per l’editoriae la pubblicità. Numerose le sue mostre fotografiche in Italia e all’estero: nel 2008 anchePotenza Picena ne ha ospitata una di eccellente livello. E’ iscritto all’Albo nazionale dei gior-nalisti e al GADEF.

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Lodovico Scarfiotti

Nasce a Torino nel 1933, la sua carriera nell’automobilismo della quale ci limitiamo a ricor-dare alcuni brillanti successi, con le corse in salita e con le competizioni Turismo.Prese parte alla Mille Miglia nel 1956, imponendosi nella categoria 1300.Nel 1957 vinse il titolo di campione italiano Velocità Turismo e il Trofeo della Montagna, suc-cessi ripetuti l’anno seguente. Nel 1962, su Ferrari, conquistò il Campionato Europeo dellaMontagna. Altri due successi internazionali giunsero nel 1963: la 12 Ore di Sebring, in cop-pia con Surtees, e la 24 Ore di Le Mans, con Bandini. Dello stesso anno è il debutto inFormula Uno, quando prese parte al Gran Premio d’Olanda, gara in cui riuscì a classificar-si al sesto posto.Nel 1964, conquistò, tra l’altro, la 1000 chilometri del Nurburgring in coppia con Vaccarella.Due anni dopo l’Associazione Costruttori lo scelse come “Miglior pilota dell’anno”, titolo chegià era stato suo nel 1962. Il suo momento di maggior splendore si ebbe in occasione delGran Premio d’Italia del 1966, a Monza: alla guida di una Ferrari conquistò il gradino più

Lodovico Scarfiotticon Enzo Ferrari.

Modena, provaLucangeli, 1962

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alto del podio, realizzando il sogno degli sportivi italiani di vedere al primo posto l’accop-piata “Rossa-pilota italiano”, un abbinamento che i tantissimi tifosi del ‘Cavallino rampante’auspicano da sempre.Oltre che per la scuderia di Maranello, Scarfiotti corse per la Eagle e per la Cooper, sullacui vettura, nel 1968, ottenne due quarti posti, uno al Gran Premio di Spagna e l’altro aMontecarlo. In totale prese parte a dieci gran premi in Formula Uno, collezionando dicias-sette punti; nel 1966 si piazzò al decimo posto nella classifica finale piloti. Un incidentepose fine alla sua vita nel giugno 1968, durante una gara in salita a Rossfeld, in Germania.

Campioni potentini nati all’estero

La vocazione sportiva di Potenza Picena si manifesta anche nel suo essere patria adottivadi campioni di livello internazionale. Alcuni di loro, grazie a progenitori originari del nostroterritorio comunale, sono diventati ufficialmente potentini.GABRIELA SABATINI, nativa di Buenos Aires (1970), è stata una delle tenniste più talentuose ditutti i tempi. Campionessa mondiale juniores nel 1984, a soli diciotto anni vinse la medagliad’argento ai Giochi Olimpici di Seoul nel singolare femminile e il torneo di Wimbledon neldoppio con Steffi Graf. Nel 1990 si aggiudicò l’Open degli Stati Uniti; l’anno successivo fubattuta dalla Graf nel singolare del torneo di Wimbledon. Gabriela, bella quanto brava, havinto per quattro volte (1988-1989-1991-1992) gli Internazionali d’Italia, diventando amatis-sima beniamina del pubblico italiano. Nel 1994 ha dominato il Master Virginia Slims, comegià aveva fatto nel 1988. L’ultimo torneo del suo sontuoso palmares è stato quello vinto aSydney nel 1995; l’anno seguente, a soli 26 anni, ha deciso di appendere la racchetta alchiodo.MAURO GERMAN CAMORANESI (1976) è originario della cittadina argentina di Tandil. Ha inizia-to il suo cammino nel calcio professionistico in Messico, nel Santos Laguna, per poi pas-sare al team uruguaiano del Montevideo Wanderers. Tornato in Argentina per vestire lamaglia del Banfield, si è successivamente trasferito in Messico, nelle file del Cruz Azul.Nell’estate del 2000 passò all’Hellas Verona; il suo esordio in serie A è avvenuto nell’otto-bre di quell’anno. Nell’estate 2002 è passato alla Juventus, diventando campione d’Italial’anno dopo. Grazie alle sue qualità tecniche di centrocampista di fascia, ha visto aprirsi leporte della Nazionale Italiana nel 2003. Nel 2006, con la maglia azzurra, ha partecipato allaconquista del Campionato mondiale in Germania.Pur con avi di origine abruzzese, CICERO JOAO DE CEZARE, detto CICINHO, è diventato citta-dino di Potenza Picena. Nato in Brasile, a Pradopolis, nel 1980, ha iniziato la sua carrieracalcistica nelle formazioni giovanili del Botafogo. Nel 2003 ha indossato la casaccadell’Atletico Mineiro, l’anno successivo è passato al Sao Paolo, vincendo il campionato pau-lista. Il 2005 è stato un anno d’oro per lui: ha conquistato la Confederation Cup con laNazionale Brasiliana, mentre, con il Sao Paolo, ha vinto la Coppa Libertadores e il mondia-

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le per club Fifa. Nel dicembre 2005 è giunto in Europa per vestire la maglia del Real Madrid.Nell’estate 2007 è diventato giocatore della Roma, con la quale, nel maggio 2008, ha vintola Coppa Italia. Dotato di pregevole tecnica, è noto per il suo gioco combattivo e spiccata-mente offensivo. Rapido nella corsa, possiede una buona abilità nei cross. Altri due calcia-tori di spicco sono diventati cittadini di Potenza Picena: PAULO CESAR ARRUDA PARENTE

(1978), nato ad Osasco in Brasile, ha vestito le maglie del Flamengo, del Botafogo, delVasco da Gama, del Santos e del Paris Saint Germain; Teixeira da Silva Renan (1985), ori-ginario di Caieiras, sempre in Brasile, ha militato nel Sao Paolo, nel Cruzeiro e nel Vitoria,vincendo la Coppa Libertadores e il campionato mondiale per club nel 2005.

Gabriela Sabatini

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La forte tradizione cattolica della nostra terra ha nei parroci dei punti di riferimento insosti-tuibili. Per la gente locale sono stati e sono, oltre che ministri di culto, persone alle qualichiedere consigli, esporre problemi quotidiani o anche comunicare gioie. Di seguito ripor-tiamo i nomi dei parroci di Potenza Picena, Porto Potenza Picena, San Girio e Monte-canepino, che hanno operato dagli inizi del 1900 fino ai nostri giorni.Per Potenza Picena, il parroco don Andrea Bezzini, ci ha fornito i nominativi dei parrocidella Prepositura di Santo Stefano, che è stata fino al 1989 la parrocchia principale e inquella data ha assorbito le altre due parrocchie potentine: San Giovanni Evangelista inMontecanepino e San Giacomo a Porta Galiziano. Ecco l’elenco dei parroci:fino al 1921: don GIUSEPPE GIRONELLI;dal 1921 al 1923: don VINCENZO LEONI come amministratore;dal 1923 al 1927: don GIUSEPPE GIORGINI;dal 1927 al 1929: don GIUSEPPE CORALLINI come amministratore, poi come parroco solo nel 1930;dal 1931 al 1951: don MARONE CESANELLI;dal 1952 al 1978: don GIACOMO FORTUNATI;dal 1978 al 1988: don PRIMO PENNACCHIONI;dal 1988 al 2006: don CARLO LEONI;dal 2007: don ANDREA BEZZINI.Operano in parrocchia la Confraternita Corpus Christi e della Morte e Orazione: sono statesoppresse quelle del Suffragio, del SS.mo Sacramento, dei SS. Rocco e MartinoEcco i parroci a Porto Potenza Picena:dal 1915 al 1947: don SILVIO SPINACI;dal 1947 al 1982: don MAURO CARASSAI;dal 1982 : don CESARE DI LUPIDIO.A San Girio:dal 1890 al 1917: don ANTONIO PIERCONTI;dal 1920 al 1938: don ENRICO ACCIARRI;dal 4 settembre 1938 al 30 ottobre 1938: don FRANCESCO CAMPOLUNGO;dal 30 ottobre 1938 al 12 marzo 1939: don MARONE CESANELLI (economo);dal 12 marzo 1939 al 6 maggio 1946: don ROBERTO REMIA (rinunciatario);dal 6 maggio 1946 all’8 settembre 1946: don FERNANDO ANGELICI (economo);dal 1946 al 1979: don ELIA MALINTOPPI;dal 1979: don ALDO MARINOZZI.

I parroci di Montecanepino sono stati:dal 1957 al 1967: don ORESTE PIGNOLONI;dal 1967 al 1986: don VINCENZO GALIÈ.

PARROCI

Annunciazione,attribuito a C. Todini,sec. XVIII, Conventodei Cappuccini

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FILIPPO BONACCORSI (ottobre1860 - novembre 1860), presidente della Commissione municipale.

PIETRO BOCCI (dicembre 1860 - febbraio 1861), presidente della Commissione municipale.

LUIGI GASPARINI (marzo 1861 - aprile 1861), assessore facente funzione di sindaco.

GAETANO SOLFANELLI (maggio 1861 - ottobre1862).

LUIGI GASPARINI (ottobre1862 - gennaio 1863), facente funzione di sindaco.

ALESSANDRO CANEPINI (febbraio 1863 - maggio 1865).

EMIDIO CARDINALI, ALESSANDRO CANEPINI, CRISIPPO PAOLO CORI, FILIPPO BONACCORSI, LUIGI

GASPARINI, PIETRO BOCCI (maggio 1865 - dicembre 1866): assessori che si susseguonofacenti funzione di sindaco.

LUIGI GASPARINI (dicembre 1866 - luglio 1867).

AREZIO GASPARINI, CRISIPPO PAOLO CORI, FILIPPO BONACCORSI (agosto 1867 - maggio 1869),assessori che si susseguono facenti funzione di sindaco.

ALESSANDRO CANEPINI (maggio 1869 - febbraio 1874).

LUCIANO BOCCI (maggio 1874 - luglio 1880).

FILIPPO BOCCI, CESARE BRUNACCI e SILVESTRO BRAVI (novembre 1880 - maggio 1882), assesso-ri che si susseguono facenti funzione di sindaco.

LUCIANO BOCCI (settembre 1882 - novembre 1889).

(dicembre 1889 - dicembre 1890) si susseguono diversi sindaci facenti funzione.

PIETRO FELICI (gennaio 1891 - febbraio 1892).

GIUSEPPE PIERANGELI, BENEDETTO BROCCOLO, LOREDANO FILIPPUCCI, PIETRO FELICI (marzo 1892 -ottobre1893), assessori che si susseguono quali sindaci facenti funzione.

PIETRO FELICI (ottobre1893 - luglio 1895).

ETTORE BOCCI (ottobre1895 - gennaio 1899).

ALESSANDRO BUONACCORSI (agosto 1899), rimane in carica pochi giorni.

BONACCORSO BONACCORSI (novembre 1899 - agosto 1900).

ETTORE BOCCI (settembre 1900 - luglio 1905).

ETTORE BOCCI (settembre 1905 - novembre 1907).

CARLO BONACCORSI (dicembre 1907 - novembre 1912).

SINDACI

Mura castellanedi Potenza Picena,anni Cinquanta

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CARLO BONACCORSI (dicembre 1912 - aprile 1918).

BONACCORSO BONACCORSI (agosto 1918 - febbraio 1919).

RODOLFO FIORETTI (febbraio 1919 - marzo 1919), commissario prefettizio.

BLANDO TORRESI (marzo 1919 - luglio 1919), commissario prefettizio.

CARLO CORSI (luglio 1919 - settembre 1920), commissario prefettizio.

GUGLIELMO GASPARRINI (ottobre1920 - luglio 1923).

LODOVICO SCARFIOTTI (agosto 1923 - maggio 1924), commissario prefettizio.

F. MARCUCCI (maggio 1924), commissario prefettizio, firma solo una seduta.

AMEDEO PENNESI (giugno 1924 - luglio 1924), commissario prefettizio..

PAOLO SCARFIOTTI (luglio 1924 - aprile 1927).

PAOLO SCARFIOTTI (aprile 1927 - agosto 1929), podestà.

NICOLA SPINACI (settembre 1929 - maggio 1934), commissario prefettizio (sostituito, nelperiodo settembre-ottobre1933 da RENATO DE ANGELIS).

FRANCESCO FORMICONI (maggio 1934 - ottobre1935), commissario prefettizio. L’8 febbraio1935 è nominato podestà, il 9 giugno si dimette; viene sostituito dal delegato podestarileCESARE MAGGINI, che poi si dimette; torna Formiconi fino al 23 ottobre1935.

GERIO MATTEUCCI (ottobre1935 - novembre 1935), commissario prefettizio.

CESARE MAGGINI (novembre 1935 - ottobre1937), commissario prefettizio, poi podestà adecorrere dal marzo 1936.

GIOVANNI VOLPINI (ottobre1937 - febbraio 1938), commissario prefettizio.

CESARE MAGGINI (febbraio - luglio 1939), podestà.

AZZOLINO CLEMENTONI (luglio 1939 - luglio 1940), commissario prefettizio.

CESARE MAGGINI (agosto 1940 - ottobre1940), commissario prefettizio.

GIOVANNI VOLPINI (ottobre1940 - marzo 1942), commissario prefettizio.

CLODOMIRO GIORGINI (marzo 1942 - marzo 1944), commissario prefettizio. Tra il dicembre1943 e il febbraio 1944 è sostituito da RENATO DE ANGELIS.

LUIGI ORSINI (marzo 1944 - luglio 1944), commissario prefettizio.

GIOVANNI PASQUALI (luglio 1944). Dal novembre 1944 gli subentra il vicesindaco GIUSEPPE

PASTOCCHI.

GIUSEPPE NAZZARENO PASTOCCHI (dicembre 1944 - settembre 1945).

ANTONIO MAZZONI (settembre 1945 - marzo 1946).

ANTONIO CARESTIA (marzo 1946 - luglio 1951).

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NAZZARENO RICCOBELLI (giugno 1951 - maggio 1952).

LIONELLO BIANCHINI (maggio 1952 - novembre 1960).

GIUSEPPE SILVANO MAZZONI (novembre 1960 - giugno 1964).

FERNANDO PERRI (luglio 1964 - novembre 1964), commissario prefettizio.

ROLANDO SIMONETTI (gennaio 1965 - giugno 1970).

ALBERTO ROSCIANI (agosto 1970 - ottobre1972).

GABRIELE NOCELLI (novembre 1972 - giugno 1975).

MARIA MAGI MIGNANELLI (settembre 1975 - settembre 1985).

LEONARDO MELATINI (ottobre 1985 - luglio 1990).

PAOLO MOSCIONI (luglio 1990 - febbraio 1993).

LEONARDO MELATINI (aprile 1993 - maggio 1995).

MARIO MORGONI (maggio 1995 - giugno 2004).

SERGIO PAOLUCCI (giugno 2004).

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Un viaggio nel nostro territorio comunale, visitandone i luoghi d’arte, di storia, di cultura,ammirandone il paesaggio, conoscendone alcune tradizioni, incontrando i personaggi chegli hanno dato lustro nel corso del tempo: questo libro, opera sinergica perché scritta conil contributo di tante persone, vuole essere un omaggio alla nostra realtà locale. Dalle anti-che origini, che affondano le loro radici in secoli lontani, alla vita presente, si è cercato didar rilievo ad alcune peculiarità di questa terra, nel tentativo di offrirle al lettore perché lepossa apprezzare sempre di più e, magari, approfondirne la conoscenza con apposito stu-dio personale.Potenza Picena e il suo territorio costituiscono un armonico insieme in cui si fondono lamemoria di un passato antico e nobile, la realtà di un dinamico presente in divenire, lasperanza di un futuro in cui possano realizzarsi le prospettive di crescita di una comunitàsociale viva e operosa. Nel corso di questi ultimi decenni il tessuto sociale del luogo, fede-le custode della propria identità, ha progressivamente accolto chi è venuto da altre regio-ni italiane e dal resto del mondo per stabilirsi a vivere e lavorare in questa terra, in uno spi-rito di collaborazione e di rispetto reciproco. E la natura ospitale della gente locale ha resofisiologica questa integrazione, che diventa una risorsa per un avvenire di sviluppo e com-prensione.

CONCLUSIONE

Fontanapiazza Matteotticon la torre civica,anni Cinquanta

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h i s t o r y

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Our territory is immensely rich in history: in testimony of this heritage we can visit splendidhistorical buildings and sites still in wonderful condition together with works of art restoredto be found in various locations throughout the town waiting only to be hunted down andadmired. The name itself, “Potenza Picena”, given to the town in 1862 in substitute to theprevious name of “Monte Santo”, is also cloaked in history. While the name “Picena” indi-cates the presence in this area of the “Piceni” tribes, who were the original inhabitantsbefore Imperial Rome’s domination in 184 b.c., the name “Potenza” derives from the antiquename of Potentia, soon a rich and wealthy Roman colony situated between the last stretchof the homonymous river and the abbey of “Santa Maria in Potentia” (now in the territory of“Porto Recanati”). Notice of this important Roman colony was given by “Tito Livio” (XXXIX,44, 10), stating how it was founded by the triumvirate “Quinto Fabio Labeone”, “MarcoFulvio Flacco” and “Quinto Fulvio Nobiliore”. In those times Rome intended to expandtowards the Adriatic Sea with the intention of extending it’s territorial gains East of theMediterranean. The important name “Potentia” held a good wish significance but was alsoenhanced because it echoed the recent Punic war victories. The area chosen for the set-tlement was particularly ideal: available rich fertile land was handed out to the colonies (6“jugeri” about 1 and 1/2 hectares per head), near to an outlet of a river valley with the mouthof the river as a perfect port, being an important route of communication, it was useful fortransporting heavy material. Thanks to the good offices of “Marco Fulvio Flacco”, importantworks were carried out: a temple in honour of Jupiter, a sewerage system, a forum witharcades and shops, an aqueduct. The people were hard workers, apparently well known inthose time also for their craftmanship especially in the production of crockery and ampho-ra. In 56 b.c, as stated by “Cicerone”, the colony was badly hit by an earthquake. Thedownfall of the important Roman colony began around the VII century a.c., following notonly various hydrogeological upheavals but also due to the Longobard domination. To savetheir lives, the inhabitants of “Potentia” most likely fled to the hillside, thus giving origin tothe village of “Monte Santo” which grew around the antique parish church of “SantoStefano” situated exactly where “Matteotti” Square is today.Of the existence of the parish church of “Santo Stefano” we have news from the “Farfense”Register, a document dated 947:the parish church is stated as being near Monte Santo.Around the year 1000 “Monte Santo” was incorporated in the department forming thecounty pertaining to the area of “Fermo”, that is to say, an administrative district ofLongobard origin.There was another department in our territory, that of “San Paterniano”, however thisappears to have been taken over by “Monte Santo” in the XII century. As far as we know,during medieval times, “Monte Santo” was never destroyed, news of plunder carried out bythe soldiers belonging to the German Emperor Henry V in 1116 – as referred to by some

SCATTERED NOTES ON LOCAL HISTORY

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historians – probably concerned the castle of “San Giovanni”, which was built between thepresent-day “Montecanepino” and “Villa Bonaccorsi”. It took a long time for the town totransform from department to municipality and then to gradually emancipate by shreddingoff the subordinate feudal system governed by the Bishop of “Fermo” throughout the XIIand XIV cent. It was, so it seems, a transit without undue tremors, almost a physiologicalchange matured naturally through time. The first step along this route took place in 1128: in

Teatro Mugellini,“Antico sipario”restaurato nelnovembre 2006

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September of that year, “Liberto”, the Bishop of “Fermo” granted “Monte Santo” a certainamount of autonomy, giving up the rights of collecting “fodro” (right of barrack equipment)and presiding over the “placitum” (courtroom), keeping the power of ruling over “foreignaffairs” and to have a say in crimes of higher offence. The same Bishop of “Fermo” entrust-ed two consuls and twelve “boni homines” (“wise men”), representing the inhabitants of“Monte Santo”, to preside over local administration and market rights.Proceeding slowly down the road of consolidating autonomy, it’s not until July 1199 that thepeople of “Monte Santo”, in the square of “Santo Stefano”, stipulate an agreement with theBishop of “Fermo”. Accordingly, the people of the “castles” of “Monte San Giovanni” and of“Gerola” (the latter was situated near the Gateway and the hamlet (Casette Antonelli)gained authorization to live together in “Monte Santo”, that is except for a few men, who hadto move off to “Coriolano” (Monte Coriolano) near a port to be built on the coast. Inexchange, the Bishop gained the willingness of a few score men and some landed proper-ty. Furthermore, those who were allowed to live in “Monte Santo” promised to becomeparishioners of the parish church of “Santo Stefano” and to build, for the Bishop of “Fermo”,a large palace, probably the same building that was, successively, to become the munici-pality seat. They further promised to dig a trench to allow the water from river “Potenza” toflow south where there was a port in construction. On the eve of 1200 “Monte Santo” coulddepend on a sound local administration that allowed them a certain amount of autonomy,it’s jurisdiction spread over a vast stretch of territory that went from river “Potenza” (North)to the “Asola” stream (South), from the Adriatic Sea (East) to the present-day “Castelletta”(West).The progressive combination of an acceptable standard of juridical-administration, coupledwith favourable circumstances of certain events, seemed to have created appropriate con-ditions to promote economic and commercial activities. In this frame the papal privilegeintervened on 14th October 1238 when, with the intent of encouraging the development ofnaval traffic, the castles of “Civita Nuova” and of “Monte Santo” were assigned the com-plete control of the coast from river “Chienti” to “Asola” and from this latter stream to river“Potenza”. During the next fifty years, in the XIII cent., many of the most important religiousorders came to settle down in “Monte Santo”. The settling of the Monastery of Clarissa Nunsis documented for certain in a parchment dated 1227; of the presence of the FranciscanFriars there is mention in a parchment dated 1247. The same Saint Frances, according totradition, also visited our territory.The Augustine Monks arrived in “Monte Santo” in 1250.Complete municipality autonomy ofour antique town is recorded by conceding the right of the people to elect their ownpodestà (ruler): this occurred in 1252 following Pope Innocent IV’s decision, confirmed six-teen years later by Pope Clement IV. In those times the podestà held judicial authority. Asfar as the relationship with other municipalities in the area was concerned, especially whenit came to conflicts that took place in the “Marca” of “Ancona”, “Monte Santo” proved to beallied to “Fermo”. When, in 1202, the peace of “Polverigi” came about thus interruptingstruggles between “Ancona” and it’s allies along one front and “Fermo” with “Osimo” on the

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other, “Monte Santo” was mentioned as being part of the “Fermano” coalition. The samewas repeated in the “Concordia” signed in 1221 between the marquise of “Ancona”,“Azzolino d’Este” and “Pietro”, the Bishop of “Fermo”. During warfare involving the Guelphparty (papal party) and the Ghibelline party, (Imperial party), the community of “MonteSanto” tended most probably for the papal troops. The revolt that took place in 1283, end-ing with the occupation of the podestà palace, seems to have been caused only becausepeople protested against having to pay tribute towards the church of Rome.After 1305, the first year of the start of the Pope’s captivity (in “Avignon”), our regional ter-ritory saw the start of the seigniory system or “despotism”: the political and administrativepowers fell into the hands of powerful families or single individuals, escaping central author-ity (Pope or Emperor) and any local control formed by government institutions. Even “MonteSanto” was overcome by the new tendency, so much so that between 1316 and 1318, thetown was subject to the bullying of the Ghibelline party led by “Lippaccio” and “Andrea ofOsimo”. Then came the domination of “Puccio” of “Monte Santo”, whose name is quoted inthe peace treaty of 1353 brought about by “Giovanni Visconti”, Archbishop of Milan, calledin to oppose just the sort of anarchy that was starting to take foothold in the Central andNorthern area of our peninsula. The same reason was behind the idea of the Pope’s deci-sion to send to the “Marca” of “Ancona” Cardinal “Egidio d’Albornoz”, author of the consti-tutions that bear his name; in those times (1357), “Monte Santo” was described as a free

Antichi telaidell’Istituto dellefiglie delle SS.Redentore e dellaBeata VergineAddolorata

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municipality, of medium size with a population of almost one thousand families. In October1377, the municipality of “Monte Santo” obtained full autonomy: the podestà was allowedto exercise the “mero” and “ misto impero” and to judge any criminal offence committed inthe territory of his jurisdiction. During the summer of the following year, the town, in order todefend itself from Breton mercenaries, called upon the aid of “Ancona”: this city sent thirtytroops to help defend the territory of “Monte Santo”. In 1407, the town of “Monte Santo”repulsed with valour the troops of “Ludovico Migliorati”, signory of “Fermo” who intended toinvade the town; the aggressors were met with showers of spears and arrows hurled fromthe top of the fortified walls. The population living in the centre of “Monte Santo” experi-enced growth around the antique parish church of “Santo Stefano”.During the XV cent fortified walls also encircled the suburb of “San Pietro” (now the“Galiziano” quarter), “San Paolo” (now “Porta Marina” or “Girola”) and “San Giovanni”. Alongthe coast, the walls and the fortress of the port were reinforced in 1564. Two years before thepeople of “Monte Santo” held off with success an attempted return of the feudal systembacked by the Holy See to the advantage of “Francesco d’Este”, Duke of “Ferrara”. At the startof the XV cent. the municipality approved the new territorial “regimen” (regime) : it was decid-ed that the general council was to be numbered between 60 and 80 members (capital own-ers of at least fifty “libber”), representatives of the citizens quarters (“S. Giovanni”, “S. Angelo”,“S. Pietro” and “S. Paolo”). Fortyeight of the councillors were chosen monthly, in groups of four,

Chiesa delCorpus Christi

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to hold the roles of prior and standard bearer, guaranteeing always the representatives of allquarters. There was then, the minor or special council, formed by twelve general councillorswhose individual wealth could not be less than onehundred “libbre”: they were in groups ofthree representing each citizens quarter. From 1600 onwards this organization changed, therelationship between quarters and administers became less and some assignments becamemore of a right by inheritance of which mainly noble families benefited. In the XVI cent. thepopulation of “Monte Santo” was very mixed including different ethnic groups.The main source of economy was through agriculture, from commerce and handicraft. Theearnings from these activities enabled various people to become small proprietors in housesas the general land register reveal. A sort of small middle class started to grow and spreadthroughout the entire century. Towards the end of the sixteenth century the situation took adrastic turn: Italy began to lose that geographic central position of the continental’s economy,which helped so much in the past owing to the shift of commercial traffic more towards theAtlantic Ocean. Even our local area was hit: the manufacturing activity gave way to a markedrural economy. The economical power was thus taken over by the big land owners whobought over the small farmers. From the XVII to the XIX century the territory of “Monte Santo”was ruled by noble families such as “Bonaccorsi”, “Marefoschi-Compagnoni”, “Mazzagalli”,“Mancinforte”. Being large landed estate owners, it was obvious that agricultural activitiesbecame predominant giving way to cultivation such as corn, potatoes, olive trees and vine-yards. The economic power enabled these families to exercise strong influence in the socie-ty of those times: the presence of their favourites both in political and artistic aspects wasnotable. “Monte Santo” gave it’s contribution during the historical period of revolts. Some ofit’s citizens took part, in 1817, in the Marchigian-Romagnian uprisings participating in under-cover “carbonari” (underground conspirators) meetings that took place in various locations ofour territory. The wars fought in the twentieth century saw many of our young generation sac-rifice their lives fighting heroically for future liberty, freedom and national security in the hopeof a more peaceful understanding between people.Many of them lost their lives in the war, leaving an unlimited emptiness of existence felt notonly amongst families and friends alike but also by the entire community. Here we wish toremember two of these courageous boys, whose sacrifice sum up those of all the others.“Mariano Cutini” (born on 13th April 1924) and “Mariano Scipioni” (born on 16th Feb.1925),both friends and sons of our local community when, called to arms in November 1943 by the“Repubblica Sociale Italiana” , they refused being enrolled. Their decision was guided by theirreligious faith and love of liberty. In February 1944 they joined the patriots fighting the Nazi-Fascists amongst our Apennine Mountains. On 22nd March 1944, nearby “Cessapalombo” at“Montalto”, together with other 24 youngsters, they were mass executed by their ferociousenemy who they were fighting against.

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Veduta di Lidobello

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Statua di Prometeonel giardinoBonaccorsi

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Potenza Picena is located on a hill at an altitude of 237 metres above sea level. Town of artand sea, characterised by lovely landscapes leading to the Adriatic sea, where PortoPotenza, a densely populated seaside resort, lies.The Municipality, enriched by the two rural villages of San Girio and Montecanepino, hasabout 15.000 inhabitants. It is located in the heart of Marche Region, in the Macerataprovince and is linked up with the most important Italian spots through the A14 motorwayand the Adriatic railway.During the period of the medieval communes it was called Monte Santo, but after the Italianunity (1862) the name was changed to Potenza Picena. Potenza refers to Potentia; theneighbouring ancient roman town. The adjective “Picena” refers to the Piceni; the local earlyiron age inhabitants. Once in the historical centre of Potenza Picena there were 27 church-es. Many of them have disappeared, but the town conserves its ancient aspect thanks tothe town-walls, the narrow alleys and the brick facades buildings.The earliest information concerning the town is dated 947 A.D. and refers to the church ofSanto Stefano (now piazza Matteotti; the town main square where the main public buildingsare placed) demolished in 1796. The Town Hall probably dating from 1199 (seat of the bish-op of Fermo) and rebuilt between 1745 and 1750 was based on a design by Pietro

THE ALLUREMENT OF HISTORY AND SIGH OF THE SEAPOTENZA PICENA

Il “pincio” oggibelvedere Donatori

di sangue

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Torre civica dipiazza Matteotti

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Bernasconi, a collaborator of Luigi Vanvitelli. In the mid 19th century it was partly trans-formed in order to adequately house the public offices.On exhibit in the Sala della Giunta of the Town Hall are the canvas by Simone De MagistrisVirgin and Child with St.Roch and St. Martin (1584), Corrado Giaquinto Allegory of Peace(18th Century) and Benedetto Biancolini St. Emidio (1770).From 1856 to1863, thanks to the initiative of a group of noblemen from Potenza Picena, thetheatre (today dedicated to the musician Bruno Mugellini) was constructed using a part of theTown Hall. It was designed by Giuseppe Brandoni who made the maximum use of the spaceavailable to obtain a theatre with stalls, two tiers of boxes and a gallery, for a total of 152 seats.After a long repair period it is now possible to admire the old curtain (unknown author - 18thcentury) dedicated to the goddess Minerva. Overlooking the Matteotti square are theembattled Palazzo del Podestà, dating from the 14th century, the Civic Tower rebuilt in 1886on the remains of the previous tower, which dated from 1732 and some palaces belongingto the most important families of the town: Buonaccorsi, Carradori, Mazzagalli.Near the main square is the Pincio; one of the most evocative panoramic points of the Region.In piazzale Giacomo Leopardi there is a reproduction of the Pyramid of Plaza de Mayo inBuenos Aires, as a reminder of the numerous citizens of the town who emigrated to Argentina.Nearby is the church of San Francesco, of 13th century origins, rebuilt in the second half ofthe 18th century. Next to this church there is the building which houses the town library, the

Veduta notturnadella spiaggia

del Natural Village

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Art Gallery and the historical archives. The Art Gallery houses a small collection of arms,some antiphonaries and missals, religious objects from various centuries and paintings.The Collegiate Church placed on the east side of the historical centre (Church of SantoStefano) was until 1773 the church of the Jesuits of Monte Santo. It was built 1585 by thearchitect Padre Giovanni De Rosis. The façade was uncompleted (inside there are manyvaluable paintings and religious objects). The annexed college, begun in 1585 and restruc-tured many times, is now the seat of the Istituto delle Suore dell’Addolorata. Not far away isPorta Girola, one of the medieval external fronts also known as Porta Marina, demolished in1950, placed near the Church of the “Beata Vergine della Neve” built in the 15th century.The church of “San Giacomo” is situated on the Southern side of the historical town centre.Officiated by the “Corpus Christi” brotherhood, since 1430 a Hospital for the poor operat-ed alongside it. To be admired on it’s façade is a rose window in sandstone of the XIV cen-tury renovated between the Nineteenth and Twentieth cent. Inside, above the High Altar,stands a magnificent polyptych representing the Blessed Virgin with baby between SaintGiacomo the High and Rocco painted by Paolo Bontulli from Percanestro (1507). Nearbystands the XIV century medieval “Galiziano Gate” renovated in 1775 the walls of whichhoused a small garrison of troops in defence of the town.Close to Matteotti square is the Sant’Agostino church complex (mentioned in 1250 andanciently dedicated to Santa Maria Maddalena), now seat of the “Scarfiotti cultural Centre”

Piazza della Stazione

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LungomareMarinai d’Italia

BelvedereBaden Powell

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including works by the Pomarancio school and Bernardino di Mariotto (1506) Virgin withChild among St. Antonio, St. Francesco and musician Angels, and Giovanni Fedeli cham-ber organ (1757). Next the Monastery of the Benedettine of Santa Caterina fromAlessandria in San Sisto (mentioned in a document from 1280). Annexed is the Church ofSanta Caterina completely restructed and seat of the Photo-Gallery entitled to the photog-rapher “Bruno Grandinetti” from Potenza Picena.Behind the Town Hall is the Monastery of the Clarisse of San Tommaso Apostolo with its ancientwalls, mentioned in 1227 and presumably founded by two sisters of Santa Chiara. Near PortaSan Giovanni is the Church of the “Madonna delle Grazie” (15th century). This church is situ-ated on the site where there was a votive shrine depicting Virgin with Child of 1400. The churchhas been rebuilt many times over the centuries. Near the cemetery are the Church and the con-vent of the Capuchins. Inside there is an important Deposizione by Simone De Magistris (1576)and the Sacra Famiglia con San Giovannino by Santi di Tito (16th century).

BabalooDinner+Disco

Veduta delBaba Beach

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Beyond Porta Galiziano we arrive at the Church “Dei Frati Minori” and annexed is the con-vent of Sant Antonio; the church conserves a “Crucifix” by Palma il Giovane (1599) and onthe high altar is the Virgin with Child and Saints by Simone De Magistris (1576).Going down towards the sea has developed Porto Potenza Picena around the 16th centuryTower, where the Roman colony Sacrata once was. Today the town is a wealthy and well-equipped seaside holiday resort and it boasts beaches considered to be among the mostbeautiful in the Region. On the right of the Tower is the Church of Sant’Anna, a Romanesque-Gothic imitation housing an interesting canvas dating from the second half of the 17th centu-ry depicting la Vergine, il Bambino e i Santi Gioacchino e Anna (roman school).The town offers tourists modern structures able to satisfy all requirements: restaurants,hotels, tourist villages, chalets, farm holidays, B&B, discos, sports facilities and a small arti-ficial lake arbour linked up with the sea.The fine sand beach is bordered by a lightened and well-equipped promenade whichallows pedestrians to have beautiful walks.Today the town has an important role in helping the physically disabled.The presence of the Santo Stefano Rehabilitation Centre, known all over Italy with its extreme-ly modern equipment and machinery, and the prudent town planning means that the wholearea is able to offer the disabled everything they may need also thanks to the presence ofstructures, gardens and well organised beaches designed for disabled access.A few miles from Potenza Picena, towards Montecanepino, can be found Villa Buonaccorsi.Its origins are 16th century, but it was subsequently enlarged and restored between 1745and 1750 by the architect Pietro Bernasconi, from the Luigi Vanvitelli school. Other build-ings, storehouses and stables were added in the 18th and 19th centuries. The jewel of thevilla is the beautiful Italian garden (1700) devided into five terraces joined by a central stair-way and protected by a thick copse. There are rare plants, fountains, water features, nich-es, obelisks and many statues of the Venetian school depicting people and grotesque andmythological beings. In the garden there is also a small puppet theatre and a small church.The villa is destination of many tourists and during the summer it houses theatrical andmusical shows.Along the road connecting Potenza Picena and the “Regina” road is San Girio with itsSanctuary; one of the most special places for the people of Potenza Picena. This Sanctuaryprobably built in 1298 on the tomb of the saint, was rebuilt in 1560 and restructured in thefirst part of last century. It houses frescos depicting the life of the Saint and a canvas depict-ing San Girio from 1791.Together with art, culture and sea Potenza Picena offers an impressive agricultural scenerywith its lovely hills, the specialised agriculture, the vineyards and the olive groves. Herehave developed valuable wineries and agrituristic farms where you can combine a quietstay with delicious products of the regional and local cuisine.

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Chiesa di San Francescocon il viale sottostante al “pincio”,

anni Cinquanta

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Darsena “Le Cinque Vele”

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Parco dei laghetti

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1 Edvige Percossi Serenelli, Potentia quando poi scese il silenzio…, Milano, Federico Motta Editore S.p.A.,2001, pag.26.

2 Tesi di laurea di Eleonora Forti, Viabilità e idrografia picena in epoca romana, Università degli Studi di Urbino,Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere Classiche, Anno Accademico 1995-96, pag.35.

3 Edvige Percossi Serenelli, op. cit., pag.38.

4 La maggior parte delle notizie storiche di questo capitolo sono state tratte dalla pubblicazione Monte SantoItinerari storico-artistici del Comune di Potenza Picena, realizzato dalla locale Amministrazione Comunale nel-l’ottobre 1998, curato da Roberto Domenichini, Duilio Corona e Moreno Campetella.

5 La Tavola Peutingeriana è una copia del XIII secolo di un’antica carta romana che rappresentava un somma-rio delle strade dell’Impero Romano. Ha il nome del suo antico proprietario Konrad Peutinger di Augsburg.

6 Don Vincenzo Galiè, Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza e il Chienti e lungo il litorale,estratto da “Studi Maceratesi”, Atti del XVI Convegno di Studi Maceratesi. Civitanova Marche, 29-30 novem-bre 1980, pag.18.

7 Roberto Domenichini, Aspetti della società e dell’economia santese nel tardo Trecento in «Atti del XXXIIIConvegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi StoriciMaceratesi, 1999, pagg.289-316.

8 Gessica Zallocco, Il Monte di Pietà santese nei secoli XVI-XVIII in «Atti del XXXIII Convegno di StudiMaceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg.317-384.

9 Tesi di laurea di Debora Selmarini, I Catasti di Monte Santo tra Settecento e Ottocento, Università diMacerata, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere Moderne, Anno Accademico 1997-98.

10 Sabrina Grandinetti, Case coloniche e poderi a Montesanto tra ’700 e ’800 in «Atti del XXXIII Convegno diStudi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999,pagg.385-410.

11 Carlo Pongetti, L’emigrazione transoceanica dal Maceratese e il caso di Potenza Picena in «Atti del XXXIIIConvegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di StudiMaceratesi, 1999, pagg.507-528.

12 Informazioni tratte da Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” G. Colocci Un secolo di storia 1907-2007 di Maria Grazia Tedeschi.

13 Vincenzo Galiè, Da “Potentia” a Monte Santo a Potenza Picena, Pollenza, Tipografia San Giuseppe, 1992,pag.49.

14 Mauro Mancini, Il teatro Bruno Mugellini Cenni storici, Potenza Picena, 1990. Apprezzato funzionario comu-nale per tanti anni, Mancini ha contribuito, con studio e competenza e animato da profondo amore per la suaterra, alla valorizzazione del patrimonio culturale potentino. Il suo libro sul teatro Mugellini è una preziosadocumentazione sulla storia di questo meraviglioso gioiello d’arte e di cultura.

15 Notizie tratte dalla pubblicazione Porta Galiziano e le altre porte di Monte Santo nella storia, curata dal nostroconcittadino Paolo Onofri, cultore di storia locale.

16 Idem

17 Idem

18 Maria Lucia De Nicolò, La costa difesa, Fano, Edit. Grapho 5, 1998, pag.65.

19 Informazioni fornite da Piero Cingolani, nostro concittadino, cultore di storia. A lui e ai suoi collaboratori nellaPro Loco portopotentina si deve, in larga parte, l’elegante sistemazione dell’interno della torre.

20 Informazioni tratte da Le Clarisse a Potenza Picena di Anna Rosa Curi Monelli, Nanni Morelli, P. GiuseppeSantarelli.

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NOTE

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21 Informazioni tratte da Memorie Storiche dell’Istituto “Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata” di Mons. G.Cotognini, Sr. M. Candida Italiani e don Giovanni Carnevale S.D.B.

22 Il nome Potenza Picena venne scelto dal Consiglio Comunale il 21 dicembre 1862.

23 Il Pincio attualmente ha il nome di “Belvedere Donatori del Sangue”.

24 La festa di San Vincenzo Ferreri.

25 Claudio Principi, I muratori nostrali nell’oralità del passato in «Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi»(Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg.62-166.

26 Le notizie sulla pesca con la sciabica sono state raccolte dalla testimonianza orale dei pescatori portopoten-tini. Un grazie particolare va al sig. Antonio Giampaoli per la sua disponibilità a fornire la maggior parte deidettagli riportati in queste pagine.

27 In italiano le ‘bobbe’ si dicono boghe, le ‘mojelle’ sono i cefali.

28 In italiano la ‘papalina’ è detta bianchetto, cioè novellame di sarda; i ‘sardoncini sono il novellame delle sar-dine, le ‘agore’ sono le aguglie.

29 Informazione tratta dal discorso commemorativo pronunciato, in onore del Conte Alessio Conestabile dellaStaffa, da Sua Eccellenza Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, il 10 giugno 1973, in occasione del25° anniversario della fondazione dell’Oratorio Parrocchiale “Casa del Fanciullo” di Porto Potenza Picena.

30 La sintesi della storia dell’Istituto Santo Stefano ci è stata cortesemente fornita dal dr. Lanfranco Ricchi, permolti anni apprezzato direttore amministrativo dello stesso istituto.

31 Le notizie relative all’Aeronautica Militare ci sono state cortesemente fornite dal Tenente Colonnello AntonioCasole, che vi ha svolto una brillante carriera. Parallelamente ad essa, egli ha sviluppato il suo talento arti-stico, che ha dato luogo a validissime opere scultoree e pittoriche, che gli hanno meritato prestigiosi ricono-scimenti. Una sua mostra personale ad Altoetting, in Germania, è stata inaugurata dall’allora CardinalRatzinger, diventato poi Papa Benedetto XVI. Notevole il contributo di Casole in numerose iniziative culturalie di impegno sociale. Il Capo dello Stato, Napolitano, gli ha conferito l’onorificenza di Grande Ufficiale alMerito della Repubblica Italiana.

32 Paolo Peretti, Fabio Quarchioni, Contributi per una storia della musica a Potenza Picena (già Montesanto) in«Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro diStudi Maceratesi, 1999, pagg.411-506.

33 Norberto Mancini, Visioni Potentine, Fermo, Stabilimento Tipografico Sociale, 1958, pag.81.

34 Informazioni fornite dal Comm. Remo Scoccia.

35 Informazioni fornite dal nostro concittadino Fausto Sampaolo, presidente del Centro Studi Portopotentino.

36 Nel 1950 Norberto Mancini pubblicò Potentini Illustri, una ricca panoramica sui personaggi locali che seppe-ro mettersi in luce in vari settori della vita sociale. Si invita a leggere quel libro per avere una più completaconoscenza dell’argomento.

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Carlo Cenerelli Campana, Istoria dell’antica città di Potenza rediviva in Montesanto, Ripatransone, GiacomoJaffei e Figli, 1852.

Norberto Mancini, Potentini Illustri, Recanati (Mc), Industria Tipografica Pupilli, 1950.

Norberto Mancini, Visioni Potentine, Fermo, Stabilimento Tipografico Sociale, 1958.

Anna M. Eustacchi Nardi, Contributo allo studio delle Tradizioni Popolari Marchigiane, Firenze, Leo S. Olschki –Editore, 1958.

Domenico Spadoni, Alcune costumanze e curiosità storiche marchigiane (Provincia di Macerata), Bologna,Arnaldo Forni Editore S.p.A., 1974.

Vincenzo Galiè, Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza e il Chienti e lungo il litorale, Macerata,Centro di Studi Storici Maceratesi, 1982.

Paolo Jacobelli, Giorgio Mangani, Valerio Paci, Atlante Storico del territorio marchigiano, Ancona, IndustrieGrafiche F.lli Aniballi per conto della Cassa di Risparmio di Ancona, 1983.

Mons. Giovanni Cotognini, Il Monastero delle Benedettine di Potenza Picena, Forlì, Grafiche M D M, 1988.

Mons. Giovanni Cotognini, Sr. M. Candida Italiani, don Giovanni Carnevale S.D.B., Memorie Storiche dell’Istituto“Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata”, Pollenza (Mc), Tipografia Mariana, 1991.

Vincenzo Galiè, Da “Potentia” a Monte Santo a Potenza Picena, Pollenza (Mc), Tipografia San Giuseppe, 1992.

Callisto Urbanelli, Giuseppe Santarelli, Nanni Monelli, I Cappuccini a Potenza Picena, Ancona, Edizioni Aniballi,1993.

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Il mare di Porto Potenza Picena

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Stampa a cura della Scocco&Gabrielli srl - Maceratanel mese di maggio 2009

www.scoccogabrielli.it